Diritto Commerciale - LS PDF
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These notes cover the topic of Italian commercial law, specifically focusing on the legal distinctions between individuals and business organizations, and the operation of non recognized associations within the framework of the Italian Civil Code. The document details the legal structure, rights and responsibilities from the Civil Code, particularly emphasizing the principles of interpretation and obligations of associating parties. The notes also cover the formation and operation of non-recognised associations.
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Lezione I Nel primo esame parziale studiamo la parte sull’imprenditore e sull’azienda (primo libro). Esempio introduttivo del professore per ragionare sulla gerarchia delle norme: se io sono un professore universitario e do un’interpretazione della norma stupida e uno studente da un’interpretazion...
Lezione I Nel primo esame parziale studiamo la parte sull’imprenditore e sull’azienda (primo libro). Esempio introduttivo del professore per ragionare sulla gerarchia delle norme: se io sono un professore universitario e do un’interpretazione della norma stupida e uno studente da un’interpretazione molto più intelligente, quella che prevale è la mia perché sono un professore universitario. Codice civile – struttura Il Codice civile italiano è un testo normativo fondamentale per il diritto privato, che disciplina i rapporti tra privati in vari ambiti (famiglia, contratti, proprietà, successioni, ecc.). È strutturato in modo gerarchico e suddiviso in Libri, Titoli, Capi, Sezioni, e Articoli. Di seguito, una spiegazione della sua organizzazione: 1. Libri Il Codice civile è suddiviso in sei Libri, che rappresentano le grandi macroaree del diritto civile. Ogni Libro contiene le norme che riguardano un particolare ambito. Ecco i sei Libri del Codice civile: Libro I: Delle persone e della famiglia – disciplina lo stato giuridico delle persone e i rapporti familiari. Libro II: Delle successioni – regola la trasmissione dei beni e dei diritti in seguito alla morte di una persona. Libro III: Della proprietà – tratta il diritto di proprietà e altri diritti reali (es. usufrutto, servitù). Libro IV: Delle obbligazioni – disciplina i rapporti obbligatori, come i contratti e le obbligazioni in generale. Libro V: Del lavoro – riguarda i rapporti di lavoro e le norme sulle imprese, società e cooperative. Libro VI: Della tutela dei diritti – regola le modalità per far valere i propri diritti (es. prescrizione, decadenza, mezzi di prova). 2. Titoli Ciascun Libro è diviso in Titoli, che rappresentano sotto-insiemi del tema principale del Libro. Ad esempio, nel Libro IV (Delle obbligazioni), uno dei Titoli è dedicato ai Contratti in generale e un altro ai Contratti tipici. 3. Capi Ogni Titolo è a sua volta suddiviso in Capi. I Capi organizzano più nel dettaglio la materia trattata nel Titolo. Per esempio, all'interno del Titolo sui contratti, ci saranno Capi che trattano i diversi tipi di contratti (ad esempio contratto di compravendita, contratto di locazione, ecc.). 4. Sezioni Alcuni Capi, soprattutto quelli più complessi, sono ulteriormente divisi in Sezioni. Le Sezioni aiutano a organizzare gli argomenti più specifici e particolari all'interno di un Capo. 5. Articoli Infine, il Codice è composto da Articoli, che sono le singole disposizioni normative. Gli articoli sono numerati in modo continuo per tutto il Codice civile, e vanno dall'articolo 1 fino oltre il 2900. Ogni articolo contiene una norma o una serie di norme che regolano specifici aspetti della materia trattata nel Titolo o nel Capo in cui si trovano. Prima parte, preleggi del C.C. Sistema delle fonti. Già visto in diritto pubblico, ossia schema gerarchico interpretativo: leggi (ed atti aventi forza di), regolamenti, usi. Le legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo. Interpretazione della legge Art. 12 Il Codice civile si occupa di stabilire come va interpretata la legge. Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato. È questa la c.d. interpretazione letterale, volta ad attribuire alla norma il significato che si evince immediatamente dalle parole utilizzate. È questa la c.d. interpretazione logica che, superando il significato immediato della disposizione, mira a stabilire il suo vero contenuto, ossia lo scopo che il legislatore ha inteso realizzare, emanandola. Il legislatore espressamente contempla la possibilità che vi siano fattispecie non previste né risolte da norme giuridiche. Il legislatore prevede, cioè, l'esistenza di lacune, le quali devono, tuttavia, essere colmate dal giudice che non può rifiutarsi di risolvere un caso pratico adducendo la mancanza di norme. È questa la c.d. analogia legis, ammissibile soltanto se basata sui seguenti presupposti: a) il caso in questione non deve essere previsto da alcuna norma; b) devono ravvisarsi somiglianze tra la fattispecie disciplinata dalla legge e quella non prevista; c) il rapporto di somiglianza deve concernere gli elementi della fattispecie nei quali si ravvisa la giustificazione della disciplina dettata dal legislatore (eadem ratio). È questa la c.d. analogia iuris: nel richiamare i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato, il legislatore ha inteso, innanzitutto, escludere il ricorso ai principi del diritto naturale. Quanto alla loro individuazione, la dottrina prevalente ritiene che essi vadano identificati in norme ad alto grado di generalità (es.: art. 1176 c.c.), di rango costituzionale, di tenore vago (e dunque suscettibili di adattamenti interpretativi, ad esempio l'art. 2041 c.c.) o di importanza fondamentale per l'intero sistema giuridico (es.: art. 1322 c.c.). Nell’ambito dell’interpretazione delle norme si fa anche riferimento al principio di buona fede. Interpretazione di buona fede Art. 1366 Il contratto deve essere interpretato secondo buona fede. È una norma collegata all’interpretazione dei contratti che, come vedremo nel corso, hanno forza di legge fra le parti. Nella sua funzione generale, il principio dell’interpretazione del contratto secondo la buona fede costituisce un mezzo sussidiario di interpretazione, al quale il giudice deve ricorrere sempre che sussista un dubbio sul reale significato delle dichiarazioni contrattuali e non è invocabile quando il giudice del merito, attraverso l’esame degli elementi raccolti, abbia già accertato l’effettiva volontà delle parti. Il giudice che si avvale del criterio ermeneutico di cui all’art. 1366 c.c., deve procedere ad analizzare le espressioni usate dalle parti contraenti stabilendo quale sia il significato obbiettivo sul quale le stesse, in relazione alle circostanze concrete, potevano e dovevano fare ragionevole affidamento, ricercandone così la comune intenzione, senza sovrapporre una propria soggettiva opinione all’effettiva volontà dei contraenti. Differenza fra persone fisiche e giuridiche Il diritto privato (e quindi anche il diritto commerciale) si occupa delle persone come soggetti di diritto per stabilirne le capacità. Il concetto di persona fisica si riferisce a ogni essere umano considerato come individuo, capace di essere titolare di diritti e doveri. Ogni essere umano, dal momento della nascita, è una persona fisica, con la capacità di agire in ambito legale (entro certi limiti, come l'età o la capacità mentale). Le persone giuridiche, invece, sono degli “artefatti”, ossia costruzioni del diritto che fingono che un determinato soggetto sia una persona, ad esempio: le società sono enti collettivi che vengono considerate individui ai fini del diritto, autonomi rispetto alle persone che le costituiscono. Le persone giuridiche di cui ci occupiamo sono associazioni, fondazioni, società di capitali. Persone fisiche e persone giuridiche sono soggetti di diritto: è un concetto più generale. Un soggetto di diritto è chiunque o qualunque ente che ha la capacità di essere titolare di diritti e doveri in base all'ordinamento giuridico. Tutte le persone fisiche e giuridiche sono, quindi, soggetti di diritto. In sintesi, essere soggetto di diritto significa avere una posizione riconosciuta dall'ordinamento giuridico che permette di essere titolare di diritti e doveri. Vediamo alcuni articoli su “differenza tra persone fisiche e persone giuridiche”. Nell’ordinamento giuridico italiano le persone giuridiche possono ottenere riconoscimento attraverso l’iscrizione nel registro regionale o prefettizio delle persone giuridiche. L’iscrizione ha effetto costitutivo ai fini dell’acquisto della personalità giuridica e ad essa consegue l’autonomia patrimoniale perfetta, per cui delle obbligazioni assunte risponde solo l’ente e non le persone che lo compongono. Sono tali (artt. 14-35, in sintesi): Associazioni: sono caratterizzate dalla predominanza dell’elemento personale rispetto a quello patrimoniale. Fondazioni: sono caratterizzate dall’esistenza di un patrimonio vincolato ad uno scopo, in esse l’elemento patrimoniale predomina su quello personale. Comitati: hanno uno scopo temporaneo da perseguire e, a tal fine, ricevono contributi da soggetti estranei all’ente. Società di capitali: sono caratterizzate dall’esercizio in forma associata di un’attività economica, al fine di dividerne gli utili e con limitazione della responsabilità personale del socio. Le persone giuridiche non riconosciute sono enti di fatto. Sono complessi organizzati di soggetti e beni, per la realizzazione di uno scopo, che non abbiano chiesto (o ottenuto) il riconoscimento. Essi hanno una forma di “soggettività” da cui consegue un’autonomia patrimoniale imperfetta, per cui delle obbligazioni dell’ente di fatto possono essere chiamati a rispondere anche le persone fisiche che lo compongono. Sono tali (artt. 36, 42): - Associazioni non riconosciute: che non hanno chiesto il riconoscimento o non l’hanno ottenuto. - Comitati non riconosciuti: enti collettivi che si propongono il raggiungimento di uno scopo, normalmente di interesse collettivo, mediante la raccolta di fondi e/o contributi. - Altri enti di fatto: organizzazioni di volontariato, organizzazioni di utilità sociale. Le associazioni Partiamo dal caso delle associazioni. Come detto, possono essere riconosciute con atto costitutivo o meno. Le associazioni non riconosciute possono ugualmente organizzarsi in maniera autonoma. Nel caso in cui un'associazione non sia organizzata come ente riconosciuto, l'ordinamento italiano distingue comunque fra le persone che la compongono, poiché anche in questo caso vi è una responsabilità. Infatti, l'associazione non riconosciuta dispone di un fondo comune, sul quale i terzi, che vantano diritti (obbligazioni) nei suoi confronti, possono rivalersi. In questi casi, si fa riferimento agli artt. 36-38 C.C. Analizziamoli. LIBRO I, DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA CAPO III, DELLE ASSOCIAZIONI NON RICONOSCIUTE Gli enti non riconosciuti ricevono una scarna regolamentazione anche se, con il passare del tempo e soprattutto negli ultimi decenni hanno acquisito notevole importanza sul piano giuridico e sociale. La preferenza dei soggetti a organizzarsi secondo tali schemi si giustifica con la circostanza che, in assenza di riconoscimento, tali enti sono sottratti ad ogni forma di controllo, sia in sede di costituzione sia nello svolgimento della loro attività. Le norme che regolano gli enti non riconosciuti (associazioni e comitati) sono una diretta applicazione della libertà di associazione sancita all’articolo 18 della Costituzione italiana (libertà di associazione), con i relativi limiti. Dunque, associazione non riconosciuta è quel complesso organizzato di soggetti e di beni volti al perseguimento di uno scopo non lucrativo. Ordinamento e amministrazione delle associazioni non riconosciute Art. 36 L'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati. Le dette associazioni possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la direzione. Obbligazioni Art. 38 Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione, i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione. Si evince: se noi partecipiamo all’associazione rispondiamo per il nostro patrimonio se e solo se agiamo per conto dell’associazione e non in qualsiasi caso, che vada a prescindere dal contesto. CAPO II, DELLE ASSOCIAZIONI E DELLE FONDAZIONI Responsabilità degli amministratori Art. 18 Gli amministratori sono responsabili verso l'ente secondo le norme del mandato. È però esente da responsabilità quello degli amministratori, il quale non abbia partecipato all'atto che ha causato il danno, salvo il caso in cui, essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, egli non abbia fatto constare del proprio dissenso. Le persone giuridiche agiscono attraverso degli organi. L'organo amministrativo esercita l'attività di gestione dell'ente per il raggiungimento dello scopo, e lo rappresenta nei rapporti esterni. L'amministratore è necessario in ogni persona giuridica, in aggiunta all'assemblea degli associati per le associazioni. La responsabilità degli amministratori è solidale ma secondo le regole del mandato, quindi adoperando la diligenza media in relazione all'incarico ricevuto ed alla prestazione dovuta, pena il risarcimento di danni procurati all'ente. La responsabilità non si estende a colui che, tra gli amministratori, non abbia partecipato all'atto causativo del danno. Nell’associazione riconosciuta, il patrimonio è ciò su cui si possono soddisfare i creditori mentre gli amministratori sono responsabili solo secondo le norme del mandato. L’associazione, con l’acquisto della persona giuridica, acquisisce la caratteristica di essere soggetto di diritto così che i suoi partecipanti sono altra cosa rispetto alla persona giuridica stessa (l’associazione). I beni I beni sono ciò che può costituire oggetto di diritti. I beni sono cose che possono anche essere immateriali, l’unica condizione è che debbano poter formare oggetto di diritti, tipo quello di proprietà. I beni si distinguono nel diritto come immobili o mobili (vengono elencati i beni immobili, tutto il resto sono beni mobili). Questa distinzione non ha una finalità puramente descrittiva, ma è necessaria in quanto le tipologie di beni hanno caratteristiche diverse, ad esempio per ciò che riguarda il conferimento nel capitale della società. LIBRO III, DELLA PROPRIETÀ TITOLO I, DEI BENI CAPO I, DEI BENI IN GENERALE SEZIONE II, DEI BENI IMMOBILI E MOBILI Distinzione dei beni Art. 812 Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d'acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo. Sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all'alveo o sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione. Sono mobili tutti gli altri beni. La principale distinzione è incentrata sulla natura del bene stesso. Sono beni immobili tutte quelle cose che, naturalmente o artificialmente, sono ancorate al suolo e che non possono essere spostate senza che vi sia la loro dissoluzione o alterazione, come nel caso di un edificio o di una sorgente. La norma, definiti i beni immobili, definisce in via residuale la categoria del beni mobili, cioè tutti i beni che non possono essere riconosciuti come immobili. Universalità di mobili Art. 816 È considerata universalità di mobili la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria. Le singole cose componenti l'universalità possono formare oggetto di separati atti e rapporti giuridici. Le universalità di beni mobili: se una pluralità di beni mobili appartiene a una persona e ha un’unica destinazione si può considerare come un bene unico à questa persona può trasferire tutti questi beni con un unico atto per via del concetto dell’universalità dei beni mobili à per esempio, un’azienda, invece di trasferire ogni singolo componente singolarmente può fare trasferimento scrivendo nell’atto che trasferisce l’azienda in toto (comprendente, dunque, tutti i beni mobili). La norma è basata sulla comune destinazione economica di un complesso di cose, che assume rilievo per gli effetti giuridici ad essa collegati (tipo in materia di possesso). L’universalità non pregiudica l’individualità delle cose, potendo le stesse, come espressamente previsto, formare oggetto di atti e di rapporti separati. La proprietà LIBRO III, DELLA PROPRIETÀ TITOLO II, DELLA PROPRIETÀ CAPO I, DISPOSIZIONI GENERALI I diritti sui beni sono vari, tra questi c’è la proprietà. È un diritto reale che consente al proprietario di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo. È un diritto limitato dagli obblighi dall’ordinamento giuridico poiché non si possono usare i beni per nuocere agli altri. La proprietà si acquista in varie maniere, ad esempio, per effetto di contratti. Contenuto del diritto di proprietà Art. 832 Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico. La proprietà è il diritto reale in virtù del quale il titolare ha il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, nei limiti e con l’osservanza degli obblighi che impone l’ordinamento. Atti d'emulazione Art. 833 Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri. La norma prevede un limite al diritto di godimento, rappresentato dal divieto di atti emulativi. Quest’ultimo si sostanzia nel divieto di abusare del proprio diritto di proprietà al solo scopo di nuocere o di recare un pregiudizio ad altri, come nel caso in cui il proprietario costruisca in aderenza al muro del vicino al solo scopo di oscurare la luce (esempio). LIBRO III, DELLA PROPRIETÀ TITOLO II, DELLA PROPRIETÀ CAPO III, DEI MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETÀ Modi di acquisto Art. 922 La proprietà si acquista per occupazione, per invenzione, per accessione, per specificazione, per unione o commistione per usucapione, per effetto di contratti, per successione a causa di morte e negli altri modi stabiliti dalla legge. Abbiamo definito che cosa è la proprietà. Che cosa è il possesso? LIBRO III, DELLA PROPRIETÀ TITOLO II, DEL POSSESSO CAPO I, DISPOSIZIONI GENERALI Possesso Art. 1140 Il possesso è il potere sulla cosa che si manifesta in un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale. Si può possedere direttamente o per mezzo di altra persona, che ha la detenzione della cosa. Cioè il possesso non è una relazione giuridica (la proprietà lo è). È piuttosto una relazione di fatto della cosa. Io posso possedere qualcosa che è di proprietà di un altro. Cioè: io ho possesso se gli altri percepiscono in me una cosa che utilizzo come se ne fossi il proprietario. Questo avviene per esempio nel caso di usucapione. Quando uso una determinata cosa per un dato periodo di tempo, io ne divento il proprietario. È una relazione di fatto. Esempi pratici: Proprietà: se compri una casa e la registri a tuo nome, diventi il proprietario. Hai il diritto legale di disporre della casa come meglio credi. Possesso: se affitti una casa, tu ne hai il possesso (perché la occupi e la usi come se fosse tua), ma il proprietario è un altro soggetto. Tu puoi usare la casa, ma non puoi venderla o modificarla senza il consenso del proprietario. In sintesi, la proprietà è un diritto legale e reale che conferisce il pieno controllo su un bene, mentre il possesso è una situazione di fatto in cui qualcuno usa o gode un bene, anche senza esserne il proprietario. Abbiamo visto che la proprietà, fra gli altri modi, si acquisisce per contratto. Cerchiamo quindi di fare qualche cenno sul tema dei contratti. Il contratto oltre ad essere uno strumento per l’acquisto della proprietà è anche la fonte delle obbligazioni. Che cosa sono le obbligazioni? LIBRO IV, DELLE OBBLIGAZIONI Le norme non ce lo dicono in maniera specifica. Siamo noi a ricavare il concetto dal fatto che le obbligazioni sono de facto degli obblighi a rendere ad un soggetto terzo delle prestazioni suscettibili di valutazione economica. La legge non ci dice cosa sono ma ci dice da dove nasce il concetto e ci dice che le prestazioni alle quali si fa riferimento sono suscettibili di valutazione economica. Le obbligazioni sono degli obblighi che si assumono nei confronti degli altri e che sono tutelate dall’ordinamento giuridico. TITOLO I, DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE Fonti delle obbligazioni Art. 1173 Le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto, o fatto idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico. Potremmo ricavare questo concetto per antitesi, cioè dall’art. 2034: TITOLO VII, DEL PAGAMENTO DELL’INDEBITO Obbligazioni naturali Art. 2034 Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un incapace. I doveri indicati dal comma precedente, e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato, non producono altri effetti. Un’obbligazione naturale tipica a cui si fa riferimento è la scommessa, il giuoco. Questa è un’obbligazione che non può essere fatta valere giuridicamente. Invece l’obbligazione definita nel C.c. è tutelata giuridicamente. Responsabilità del debitore Art. 1218 Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. La norma in esame fissa il principio per cui il debitore risponde sempre delle conseguenze dannose dell’inadempimento, salvo che questo sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore stesso. L’inadempimento assoluto conduce soltanto al risarcimento del danno, il quale dovrà essere commisurato all’utilità che la prestazione correttamente eseguita avrebbe comportato per il creditore. Il ritardo comporta invece l’obbligo di risarcire il danno concernente il pregiudizio per il differimento dell’esecuzione della prestazione. Definizione. Si può, dunque, affermare che obbligazione è: rapporto tra due parti in cui un soggetto, creditore, può pretendere l’adempimento di una prestazione da parte di un altro soggetto, debitore. Può, quindi, definirsi come vincolo giuridico caratterizzato da debito e responsabilità. L’oggetto della prestazione deve essere di natura economica. Lezione II Riassunto lezione precedente Principi generali dell’ordinamento, ossia le preleggi del Codice civile. Interpretazione della legge e interpretazione dei contratti. Questione delle persone fisiche e giuridiche. Nozione di bene, beni mobili e beni immobili. Concetto utile quando parliamo di azienda: universalità dei beni mobili. Diritto di proprietà e diritto di possesso (differenza fra tutela giuridica e non). Obbligazione e cenno sui contratti. Diritto di usufrutto Il diritto di usufrutto è una particolare modalità di diritti sui beni che separa il potere di disporre di una cosa dal potere di godere di una cosa. Si individuano nel caso di diritto di usufrutto: Nudo proprietario: colui che può disporre della cosa, in quanto la cosa è di sua proprietà. Usufruttuario: colui che usa e gode della cosa in questione. Tale diritto di usufrutto si applica spesso alla proprietà immobiliare. Ad esempio, i genitori trasferiscono l'usufrutto ai figli mantenendo la nuda proprietà. L’usufrutto ha una durata, e nel caso in cui il nudo proprietario muoia, la nuda proprietà si ricongiunge all’usufruttuario che diventa il pieno proprietario. Viene utilizzato dalle aziende per traferire i diritti ad un terzo e anche per sostituire l’affitto. Questo perché l’usufrutto è un diritto reale sulla cosa che ha più forza di ciò che è un mero contratto sulla cosa (ossia il banale contratto di affitto). Riferimento al concetto di “obbligazione in solido”: obbligazione per la quale più debitori sono obbligati tra di loro per la medesima prestazione. Io sono creditore e più persone devono adempiere l’obbligazione nei miei confronti. Io creditore posso domandare a chiunque fra i debitori di pagare l’intera obbligazione e non solo la spettante parte; poi saranno i debitori stessi a dividersi i conti. LIBRO IV, DELLE OBBLIGAZIONI TITOLO I, DELLE OBBLIGAZIONI IN GENERALE CAPO V, DELLA CESSIONE DEI CREDITI (OBBLIGAZIONI) L’obbligazione da luogo ad un rapporto di debito e di credito. Io che vendo un bene sono obbligato a consegnarlo ed il compratore è obbligato a pagarlo. Cedibilità dei crediti Art. 1260 Il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere strettamente personale o il trasferimento non sia vietato dalla legge. Le parti possono escludere la cedibilità del credito; ma il patto non è opponibile al cessionario, se non si prova che egli lo conosceva al tempo della cessione. Per agevolare il rapporto tra debitore e creditore, la cessione del credito è consentita anche senza il consenso del debitore, ossia se io stabilisco che il mio debitore dovrà consegnare il credito ad un terzo, questo dovrà farlo. Tuttavia, condizione necessaria è che il debitore deve essere informato di questo cambio di soggetto a cui è stato ceduto il credito. Nozione della solidarietà Art. 1292 L'obbligazione è in solido quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere costretto all'adempimento per la totalità e l'adempimento da parte di uno libera gli altri; oppure quando tra più creditori ciascuno ha diritto di chiedere l'adempimento dell'intera obbligazione e l'adempimento conseguito da uno di essi libera il debitore verso tutti i creditori. Un’obbligazione solidale è quella per la quale più debitori sono obbligati tra di loro per un'unica obbligazione. Io creditore posso chiedere a ciascuno dei debitori l’intero prezzo e non solo la sua parte. I condebitori decidono poi come e se dividere il costo del credito. LIBRO IV, DELLE OBBLIGAZIONI TITOLO IX, DEI FATTI ILLECITI Come abbiamo già visto, le obbligazioni possono derivare da contratti o da fatti illeciti. Questo lo deduciamo facendo riferimento, ancora una volta, all’art. 1173. Tale articolo si collega al 2043. Risarcimento per fatto illecito Art. 2043 Qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. Etimologia ingiusto: “in-” come prefisso di contrapposizione; giusto nel senso di “ius”. Quindi lett. “contro legge”. Se io investo e provoco delle lesioni dal punto di vista penalistico mi sarà data una pena, dal punto di vista civilistico dovrò un risarcimento. Ecco un esempio di obbligazione da fatti illeciti. Se io commetto un reato e ripago il danno, i giudici terranno conto del fatto che io ho ripagato i danni per la parte civile à avrò uno sconto sulla pena (esempio in cui il diritto civile e quello penale si intersecano). Ratio Legis Il principio alla base della responsabilità extracontrattuale è quello del neminem laedere, in base al quale ciascun consociato è tenuto ad astenersi dal ledere la sfera giuridica altrui (2, Costituzione). I contratti LIBRO IV, DELLE OBBLIGAZIONI TITOLO II, DEI CONTRATTI IN GENERALE CAPO I, DISPOSIZIONI PRELIMINARI Nozione di contratto Art. 1321 Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale. Cioè: il contratto è un accordo. Quindi richiede il consenso di più parti. Può essere bilaterale o plurilaterale. Il contratto è un accordo che ha un contenuto patrimoniale. I contratti sono tutelati dall’ordinamento. Questo consente a chi ha stipulato l’accordo di andare in tribunale per farlo rispettare. Definizione: il contratto è lo strumento giuridico con cui le parti possono, con efficacia vincolante tra di esse, creare in loro favore nuove situazioni giuridiche (costituire); apportare modificazioni ad un rapporto giuridico tra loro già esistente (regolare); porre fine ad un rapporto preesistente (estinguere). Autonomia contrattuale Art. 1322 Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico. Cioè: le parti sono libere di dare contenuto al contratto, con il limite imposto dalla legge, secondo quanto imposto dall’art. 1343. È questa legge espressione del principio dell’autonomia contrattuale, specificazione del più generale principio dell’autonomia privata. Causa illecita Art. 1343 La causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume. Il contratto deve avere una causa economico-sociale che sia riconoscibile dall’ordinamento. La causa del contratto dipende anche molto dai fattori culturali di ogni singolo stato. Questo articolo, nel nostro ordinamento, oltre a garantire una disciplina uniforme, assicura il rispetto dei limiti citati. Questo poiché il contratto con causa illecita è colpito dalla sanzione più grave, cioè dalla nullità. Dunque, il legislatore ne circoscrive la portata a categorie generali definite. Efficacia del contratto Art. 1372 Il consenso delle parti avviene a seguito di proposta ed accettazione, per via di una disciplina molto dettagliata del C.c. Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge. Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge. Una volta concluso, il contratto ha forza di legge fra le parti. Iter: consenso à autonomia contrattuale (ex art. 1322)à limite dell’autonomia contrattuale nel rispetto fra le leggi (ex art. 1343) à efficacia del contratto che diviene legge (ex art. 1372). È importante sottolineare che il contratto ha forza di legge fra le parti. Il contratto non può essere sciolto salvo che per mutuo consenso. La stessa norma sancisce, inoltre, il principio della relatività degli effetti del contratto: cioè, gli effetti del contratto sono limitati alle sole parti che lo hanno stipulato. Recesso unilaterale Art. 1373 Il contratto non può essere sciolto salvo che per mutuo consenso; il contratto non può essere modificato in maniera unilaterale da una sola delle due parti salvo che per à art. 1373 1.Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione. 2.Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso non ha effetto per le prestazioni già eseguite o in corso di esecuzione. 3.Qualora sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso, questo ha effetto quando la prestazione è eseguita. È salvo in ogni caso il patto contrario. Ratio Legis Il primo comma si spiega considerando che se il contratto ha già ricevuto una seppur minima esecuzione non appare conforme a buona fede sacrificare l'interesse della parte non recedente. Il secondo comma risponde all'idea per cui nei c.d. contratti di durata deve essere consentito ad una parte di interrompere il vincolo, in quanto nessun vincolo obbligatorio può durare all'infinito. In tal caso, però, le prestazioni eseguite sono salve in quanto ciascuna di esse è autonoma. Il terzo comma si spiega considerando che il corrispettivo è posto nell'interesse del non recedente in quanto egli subisce una lesione dal recesso della controparte. Della cessione del contratto Art. 1406 Nozione Il contratto può essere ceduto. Ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l'altra parte vi consenta. La cessione del contratto è lo strumento con il quale si trasferisce l’intera posizione contrattuale ad un altro soggetto (cessionario) che in tal modo si sostituisce ad una delle parti (cedente). Secondo la dottrina, la cessione del contratto ha struttura trilaterale, poiché è richiesto il consenso di tre soggetti: quello delle parti del contratto (cedente e contraente ceduto) e quello del terzo che subentra (cessionario). Ciò può essere consentito se e solo se vi sia il consenso delle parti. È questa la regola generale. Invece nel caso del credito ciò non è richiesto perché di fatto non modifico elementi personali che possono essere presenti, invece, in un contratto. Differenza fondamentale: Nella cessione del contratto, la posizione della controparte cambia, perché si trova a dover avere rapporti con una nuova persona o entità, il che può influire sia sugli obblighi che sull'affidabilità del contratto. Ecco perché è necessario il consenso della controparte. Nella cessione del credito, la posizione del debitore non cambia, perché continua a dover pagare lo stesso importo alle stesse condizioni, solo che il destinatario del pagamento è diverso. Per questo motivo, non è necessario il consenso del debitore. LIBRO IV, DELLE OBBLIGAZIONI TITOLO II, DEI CONTRATTI IN GENERALE CAPO XI, DELLA NULLITÀ DEL CONTRATTO Vizi del contratto I contratti possono presentare dei vizi. I vizi del contratto sono di due tipi: nullità e annullabilità. Cause di nullità del contratto Art. 1418 Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente. Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall'articolo 1325, l'illiceità della causa, l'illiceità dei motivi nel caso indicato dall'articolo 1345 e la mancanza nell'oggetto dei requisiti stabiliti dall'articolo 1346. Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge. Il contratto è nullo quando manca uno dei requisiti strutturali, e cioè: l’accordo delle parti, la causa, l’oggetto, la forma ad substantiam, il rispetto del principio di liceità. La nullità è un vizio che penetra radicalmente di validità il contratto facendo retroagire la caducazione del contratto fin dal momento in cui è stato stipulato (ex tunc). La nullità del contratto, essendo un vizio così radicale ha varie conseguenze: chiunque può far valere la nullità del contratto, anche qualcuno che non fa parte del contratto come contraente (art. 1421). la condizione di nullità non è soggetta a prescrizione (e ha efficacia ex tunc). il contratto nullo non è convalidabile. LIBRO IV, DELLE OBBLIGAZIONI TITOLO II, DEI CONTRATTI IN GENERALE, CAPO XII, DELL’ANNULLABILIITÀ DEL CONTRATTO L’annullabilità è un altro vizio del contratto che è tutelata in maniera meno intensa. Questo vizio consegue al fatto che una delle parti era incapace ai sensi dell’art. 1425. Dopo 5 anni, non si può più agire per annullabilità del contratto. Ha un’efficacia ex nunc (da ora) non ex tunc (da allora), ossia non ha effetto retroattivo. A differenza del contratto nullo, il contratto annullabile è provvisoriamente efficace sino a quando non intervenga la pronuncia di annullamento. L’annullamento del contratto ha conseguenze diverse dalla nullità: Art. 1441: l’annullamento spetta solo a chi è coinvolto e non a chiunque ne abbia interesse. Art. 1442: l’annullamento va in prescrizione in cinque anni. Incapacità delle parti Art. 1425 Il contratto è annullabile se una delle parti era legalmente incapace di contrattare. È parimenti annullabile, quando ricorrono le condizioni stabilite dall'articolo 428, il contratto stipulato da persona incapace d'intendere o di volere. Ai fini della norma, si deve precisare che legalmente “incapaci di contrattare” sono i minori, i soggetti interdetti e i soggetti inabilitati. L’incapacità di intendere indica la capacità del soggetto a rendersi conto del significato delle proprie azioni; l’incapacità di volere, invece, indica l’incapacità di autodeterminarsi liberamente. LIBRO IV, DELLE OBBLIGAZIONI TITOLO III, DELLA RESPONSABILITÀ PATRIMONIALE CAPO I, DISPOSIZIONI GENERALI Responsabilità patrimoniale Art. 2740 Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge. Si presti attenzione all’aggettivo “futuri”. Ossia si possono avere anche casi di pignoramenti in periodi futuri rispetto all’adempimento previsto dall’obbligazione. Concorso dei creditori e cause di prelazione Art. 2741 I creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salvo le cause legittime di prelazione. Sono cause legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche. La norma enuncia il principio della par condicio creditorum. Secondo tale principio, i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione (privilegi, pegno e ipoteca). Il principio trova piena attuazione nella procedura fallimentare, poiché questa coinvolge necessariamente tutti i creditori, che non possono far valere individualmente le loro pretese. Le cause di prelazione possono essere anche precostituite. Se qualcuno compra una casa con un mutuo, la banca mette un’ipoteca ed avrà una causa di prelazione. Mentre l’ipoteca colpisce le cose immobili, il pegno colpisce i beni mobili. In altre parole, la prelazione sancita dall’art. 2741 c.c. rappresenta un diritto di priorità che deroga al principio della parità di trattamento dei creditori, consentendo a chi detiene privilegi, pegni o ipoteche di essere soddisfatto con precedenza sugli altri. Questa preferenza è giustificata dal fatto che il creditore titolare di prelazione ha maggiori garanzie rispetto agli altri creditori e ha un diritto speciale di essere pagato prima. Nozione di diritto commerciale – cenni storici Il diritto commerciale venne fuori, storicamente parlando, quando gli affari cominciarono a comportare investimenti di denaro molto importanti. Precedentemente gli affari e gli scambi economici erano legati piuttosto a questioni riguardanti artigianato o agricoltura. Quando invece si cominciarono a scambiare investimenti, i commercianti cominciarono a rivendicare dei diritti sui commerci. A Venezia, in particolare, si inventarono delle modalità di combinazione tra un ceto sociale che ha la ricchezza e un ceto sociale più dinamico, che ne usufruisce. Quindi si inventarono delle combinazioni per regolare questi rapporti. Né è un esempio la commenda: tipologia di contratto elementare in cui un investitore (commendante) finanziava un'attività commerciale gestita da un operatore (commendatario). I profitti erano divisi, con l'investitore che rischiava solo il capitale e l'operatore il proprio lavoro. È in questi anni che viene fuori il termine bancarotta, che deriva dal fatto che davanti a tutti, in epoca medievale (in cui si faceva commercio sulle banche, tavole) veniva rotto il banco stesso su cui si esercitava attività economica. La rivoluzione industriale comporta un ulteriore irrobustimento del diritto commerciale e della nozione di impresa. Fino ad arrivare al momento in cui lo stato sovrano da l’approvazione e il sostegno al “diritto commerciale”. Questo avviene con i governi di Napoleone Bonaparte, il quale ha l’idea di fare dei codici con le norme che riguardavano ambiti civili e commerciali (in realtà ci aveva già pensato, in parte, Giustiniano). In Italia post-unificazione si fa questa stessa operazione. Nel periodo fascista si pensa ad una operazione fatta diversamente. Art. 2086 – gestione dell’impresa à esempio di concezione organicistica del passato di cui è rimasta traccia. L'imprenditore è il capo dell'impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori. L'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale. Ratio legis La norma attribuisce all’imprenditore il potere di organizzare, in posizione di supremazia gerarchica, l’attività dei collaboratori. Inoltre, il secondo comma pone in capo all'imprenditore l'obbligo di organizzare la società in maniera tale da cogliere precocemente i primi segnali della crisi e da attivarsi tempestivamente per salvaguardare la continuità dell'impresa stessa. Lezione III Il diritto commerciale all’inizio era considerato un diritto “speciale” dei/per i mercanti per poi diventare diritto dello Stato e come tale viene, in un primo momento, tenuto distinto dal diritto civile; in Italia, con la codificazione del ‘42 entra a far parte del C.C. di cui occupa una larga parte del libro V che contiene, oltre alla disciplina del lavoro, anche quella del lavoro dell’impresa. Le fonti del diritto commerciale sono disseminate in una grande quantità di leggi, come ad esempio la normativa della finanza, e in minima quantità nel C.C. Nel 2003 ci fu una riforma del diritto societario in cui il legislatore intervenne nel C.C. Esiste una normazione di leggi speciali che disciplinano parte del diritto commerciale che sta fuori da C.C. e ci sono ambiti che vanno a cavallo con il diritto commerciale (diritto privato) e altri diritti tipo il diritto amministrativo. Il diritto della concorrenza è normato da una disciplina specifica che fa intervenire un’autorità, autorità garante per la concorrenza di mercato, ossia comunemente chiamata autorità antitrust. Anche le decisioni di queste autorità orientano chi deve interpretare le norme, allo stesso modo della giurisprudenza. Un grande ruolo lo gioca anche la legislazione europea, sia sotto profilo della disciplina che della concorrenza: uniforma le legislazioni dei paesi membri per rendere il mercato un mercato unico. Esiste un livello di interferenza nella delegificazione che varia di periodo in periodo, sul rapporto tra stato ed economia. Lo possiamo notare già nella costituzione della repubblica, la quale si occupa dell’impresa (titolo III, rapporti economici); ad esempio l’art. 41 C.I. sancisce il principio della libertà economica, che nel periodo storico in cui venne adottato (post-fascismo) ha avuto una portata di grande rilievo. L’iniziativa economica privata è libera ma non può svolgersi in contrasto con utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità. È come se tra il primo e secondo comma ci fosse un “ma”. III comma à Consente alla legge (provvedimenti normativi) di determinare programmi e controlli perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali à relazione forte tra principi costituzionali e diritto commerciale. Lo stato interviene nell’economia anche gestendo indirettamente delle aziende, aziende di Stato il cui numero è stato notevolmente ridimensionato. Anni fa ce n’erano molte di più. Il periodo delle privatizzazioni ha aperto la possibilità che determinati settori strategici vadano in mano di altri in particolare anche in mani di altri Stati. Nella privatizzazione si introdusse un principio secondo cui lo stato poteva avere una golden share, quota d’oro, con la quale controllare strategicamente l’azienda pur essendo una quota di minoranza. Un altro filtro dello stato, creato soprattutto durante la pandemia, è il golden power, che consiste in una normativa che impone ai proprietari di determinate aziende di comunicare allo stato quando vogliono vendere a mercati stranieri. Incremento delle aziende soggetto al golden power, soprattutto aziende agroalimentari. Imprenditore/impresa Non c’è una norma che dice che cos’è l’impresa, la norma ci dice solo chi è l’imprenditore à art 2082: è imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. L’impresa, quindi, è un’attività con tutte queste caratteristiche ed è esercitata dall’imprenditore. C’è distinzione tra attività economica in generale e quell’attività economica che è impresa. I vari aspetti che caratterizzano la definizione di imprenditore (esercita professionalmente attività economica organizzata per produrre o scambiare beni o servizi). I- economica: significa che l’attività esercitata dall’imprenditore deve rispondere al requisito dell’economicità, ossia i ricavi devono almeno coprire i costi. L’economicità non va ricavata dal risultato concreto dell’imprenditore, imprenditore può anche impegnarsi a coprire i costi ma non riuscirci (diverso discorso per le attività di beneficenza). Economicità non vuol dire nemmeno che chi la esercita si propone di avere un utile à utile soggettivo caratterizza la societàà imprenditore può non puntare all’utile. II- organizzata: l’imprenditore è il soggetto che organizza fattori produttivi per esercitare questa attività economica. Questa non è necessario che sia esercitata direttamente dall’imprenditore ma non può risolversi in una mera attività intellettuale (uno scrittore non organizza fattori produttivi, un giornale sì). L’azienda è l’insieme dei fattori produttivi, quindi dei beni che l’imprenditore organizza, per svolgere la sua attività (è richiesto un vero e proprio schema organizzativo). III- professionalmente: sta ad indicare un esercizio di questa attività non occasionale. Se compro casa è diverso dal “vendere case”, non è una cosa occasionale, non sarebbe un’attività da imprenditore. Non importa che uno faccia esclusivamente quel tipo di attività costantemente, posso anche svolgere contemporaneamente più tipi di attività. Per esempio, l’imprenditore può essere stagionale (il bagnino). IV- produrre o scambiare beni o servizi: è la finalità, abbiamo tutte le possibilità, combinazioni di attività che si possono fare (bisogna produrre qualcosa, oggetto di scambio). I professionisti non sono considerati in sé imprenditori. È una scelta del legislatore che oggi viene sempre di più in tensione con la concreta organizzazione dell’attività professionale di alcune categorie, tanto che la legislazione ormai consente che i professionisti possano organizzarsi in società. Impresa illecita: l’impresa non può avere ad oggetto un’attività economica organizzata illecita. Suddivisione degli imprenditori Gli imprenditori si dividono in una moltitudine di tipologie che ci interessano perché ciascuna ha una disciplina diversa. In particolare: si distinguono per l’oggetto dell’attività, tra imprenditori agricoli e commerciali. si distinguono per dimensioni, tra piccoli e non piccoli. si distinguono per la natura del soggetto imprenditore. si distinguono fra imprese pubbliche e private. La distinzione principale ruota attorno agli imprenditori agricoli e commerciali. Art. 2086 (già visto per un altro motivo, ossia concezione organicistica del passato di cui è rimasta traccia) contiene un primo riferimento a un obbligo o un dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa. È stato introdotto da poco, nel 2019, quando venne riformato il codice della crisi di impresa, che sostituisce il termine “procedura fallimentare”, che si occupa di stabilire dei doveri per rilevare tempestivamente i segnali di crisi, in questo modo l’imprenditore può mettere in atto delle azioni per evitare che l’impresa stessa vada in crisi. È un dovere di conformare quella organizzazione, di cui abbiamo parlato, in maniera adeguata alle dimensioni delle imprese e della loro natura à è un obbligo elastico, non si dice esattamente cosa deve fare: deve mantenere una dimensione commisurata alle necessità per esercitare l’attività. Art. 2380 à bisogna rispettare art. 2086 e parla delle forme varie di amministrazione della società. Sistemi di amministrazione e di controllo Art. 2380 Se lo statuto non dispone diversamente, l'amministrazione e il controllo della società sono regolati dai successivi paragrafi 2, 3 e 4. Lo statuto può adottare per l'amministrazione e per il controllo della società il sistema di cui al paragrafo 5, oppure quello di cui al paragrafo 6; salvo che la deliberazione disponga altrimenti, la variazione di sistema ha effetto alla data dell'assemblea convocata per l'approvazione del bilancio relativo all'esercizio successivo. Salvo che sia diversamente stabilito, le disposizioni che fanno riferimento agli amministratori si applicano a seconda dei casi al consiglio di amministrazione o al consiglio di gestione. Ratio legis In particolare, la norma in esame consente all'autonomia statutaria di optare per i sistemi di amministrazione e controllo diversi da quello tradizionale, risultando quest'ultimo applicabile laddove non vi sia una diversa indicazione statutaria. Imprenditore agricolo LIBRO V, DEL LAVORO CAPO II, DELL'IMPRESA AGRICOLA SEZIONE I, DISPOSIZIONI GENERALI Imprenditore agricolo Art. 2135 È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge. Il processo di adattamento delle norme alla realtà produttiva si interessa molto da vicino dell’impresa agricola. Nella definizione dell’imprenditore agricolo, l’evoluzione dei sistemi di produzione è molto marcata; la definizione si evolve e trasferisce il centro della nozione di impresa agricola dall’utilizzo del terreno verso l’idea di ciclo biologico. Analisi testuale: 1. Per “coltivazione del fondo” si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Nello specifico, la norma non pone più al centro della fattispecie le sole attività svolte sul “fondo”, ricomprendendovi tutte le attività che in generale risultino dirette allo sviluppo e alla cura di un ciclo biologico di tipo animale o vegetale, a prescindere dall’utilizzo effettivo del fondo. 2. Per “attività agricole per connessione” si intendono le attività connesse che sono esercitate dallo stesso imprenditore agricolo. Devono avere ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento degli animali à stiamo sempre parlando (dicendo “coltivazione del bosco…animali”) del ciclo biologico. Queste attività possono avere ad oggetto: a. la manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e val orizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco, o dall'allevamento di animali. Per “nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata” si intende: b. la fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ossia di ricezione ed ospitalità. Quindi, sono considerate attività agricole anche quelle attività di valorizzazione del territorio come, per esempio, gli agriturismi. In conclusione, abbiamo le attività agricole essenzialmente agricole, che mettono al centro l’idea dello sviluppo del ciclo biologico (1) e sono le prime elencate e poi le attività agricole per connessione (2) che sono tutte quelle esercitate dall’imprenditore (a) oppure per mezzo delle attrezzature (b). Questa distinzione consente agli imprenditori agricoli di sfuggire allo statuto degli imprenditori commerciali che prevede una regolamentazione molto complicata (esempi: no fallimento, no scrittura contabile obbligatoria). Questo è dovuto al fatto che l’attività dell’imprenditore agricolo è soggetta ad una forte aleatorietà degli obiettivi dell’impresa. Le norme più rilevanti che disciplinano l’imprenditore agricolo in Italia sono: 1) Art. 2135 c.c.: definizione di imprenditore agricolo e attività connesse. 2) Art. 2136 c.c.: pubblicità per pubblica notizia, non come forma costitutiva. 3) Art. 2221 c.c. e seguenti: esclusione dal fallimento. 4) D.Lgs. 228/2001: modernizzazione e ampliamento delle attività agricole. 5) Normativa fiscale e previdenziale specifica per il settore agricolo. Inoltre, è importante considerare il ruolo delle cooperative agricole, delle leggi regionali e delle politiche europee, come la PAC, che influenzano fortemente l'operato degli imprenditori agricoli. Lezione IV Ci siamo occupati della definizione di imprenditore. Ci occupiamo, adesso, della definizione di imprenditore commerciale e la rinveniamo a partire dall’art. 2195, il quale non ci fornisce una definizione puntuale, piuttosto degli aspetti dai quali possiamo dedurla. LIBRO V, DEL LAVORO CAPO III, DELLE IMPRESE COMMERCIALI E DELLE ALTRE IMPRESE SOGGETTE A REGISTRAZIONE SEZIONE II, OBBLIGO DI REGISTRAZIONE Imprenditori soggetti a registrazione Art. 2195 Sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione, nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano: 1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; 2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni; 3) un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria; 4) un'attività bancaria o assicurativa; 5) altre attività ausiliarie delle precedenti. Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano. In buona sostanza, all’interno della nozione di imprenditore commerciale, rientrano tutte le attività imprenditoriali che non sono agricole. La distinzione fondamentale è quindi questa: si definisce imprenditore commerciale, in forma negativa-residuale, chi esercita professionalmente un’attività economica non agricola. Vedremo come all’imprenditore commerciale si applica una disciplina riservata conosciuta come “statuto dell’imprenditore commerciale” e che comporta: 1. l’obbligo di iscrizione al registro delle imprese; 2. la tenuta della contabilità; 3. un regime particolare per la rappresentanza; 4. un regime particolare per la soggezione alla crisi di impresa. Torneremo sulla definizione ed allo studio dell’imprenditore commerciale all’inizio della lezione V. Adesso procederemo a capire quegli aspetti collaterali che riguardano l’argomento. Liquidazione giudiziale Art. 121 del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza Le disposizioni sulla liquidazione giudiziale si applicano agli imprenditori commerciali che non dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui all'articolo 2, comma 1, lettera d), e che siano in stato di insolvenza. La norma apre la Sezione I del Capo I del Codice della crisi, dedicato alla liquidazione giudiziale, cioè alla procedura concorsuale destinata a sostituire, con alcune differenze, il precedente fallimento. La qualità di imprenditore commerciale, identificata in base all'art. 1 del Codice della crisi, è necessaria per l'avvio della procedura concorsuale in questione; quindi, è legittimato chi esercita un'attività commerciale o artigiana (non agricola), operando quale persona fisica, persona giuridica o altro ente collettivo, gruppo di persone o società pubblica, con esclusione dello Stato e degli enti qualificati pubblici dalla legge. Resta esclusa dalla liquidazione giudiziale (potendo invece accedere alla liquidazione controllata del sovra indebitato) l'impresa minore definita dall'art. 2 comma 1, lett. d), e l'impresa agricola. Requisito oggettivo per l'apertura della liquidazione giudiziale è la sussistenza dello stato di insolvenza definito come lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (art. 2, comma 2, lett. b). Procederemo con: 1- analisi di piccolo imprenditore secondo il Codice civile; 2- analisi di piccola impresa secondo il Codice della crisi di impresa; 3- analisi di imprenditore artigiano; 4- analisi di impresa famigliare. 1-2- Piccolo imprenditore secondo il Codice Civile, analisi di piccola impresa secondo il Codice della crisi di impresa Piccoli imprenditori Art. 2083 Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia. È importante notare che i piccoli imprenditori sono di categorie distinte: coltivatori diretti del fondo, artigiani, piccoli commercianti. Il Codice civile si impegna a definire il piccolo imprenditore. Questa è la norma che si preoccupa di fornire una definizione sostanziale di piccolo imprenditore. La piccola impresa è costituita quando: a- L’imprenditore presta il proprio servizio nell’impresa. b- Il lavoro dell’imprenditore e dei suoi familiari prevalga rispetto ad eventuali prestazioni lavorative di terzi. A cosa serve/serviva questa nozione di piccolo imprenditore? à serviva per tutelare le realtà più piccole tramite leggi semplificate (ad esempio non soggezione a fallimento). In realtà, adesso, la legge sul fallimento fa riferimento ad una norma ancora più specifica rispetto quella determinata dal Codice civile all’art. 2083: articolo 2, lettera d del Codice della crisi di impresa: d) «impresa minore»: l'impresa che presenta congiuntamente i seguenti requisiti 1- un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore; 2- ricavi, in qualunque modo essi risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore; 3- un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila; i predetti valori possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia adottato a norma dell'articolo 348; Osservazioni: Queste cifre vengono aggiornate dal ministero della giustizia per mantenere attuale questa norma quantitativa. L’impresa che non ha 1 dei 3 requisiti è soggetta a fallimento. 3- Imprenditore artigiano Tra i piccoli imprenditori dell’art. 2083, abbiamo anche gli artigiani. Sono dei piccoli imprenditori che hanno caratterizzato parecchio l’economia italiana. Anche l’articolo 45 della Costituzione Italiana tutela, infatti, l’impresa artigiana (la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l'incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato.). L’impresa artigiana è definita da una legge speciale, la 443 del 1985 (legge quadro per l’artigianato). Tale legge definisce all’articolo 2 l’imprenditore artigiano come colui “che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare, l'impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo. Sono escluse limitazioni alla libertà di accesso del singolo imprenditore all'attività artigiana e di esercizio della sua professione. Sono fatte salve le norme previste dalle specifiche leggi statali. L'imprenditore artigiano, nell'esercizio di particolari attività che richiedono una peculiare preparazione ed implicano responsabilità a tutela e garanzia degli utenti, deve essere in possesso dei requisiti tecnico-professionali previsti dalle leggi statali”. Definizione di imprenditore artigiano Si tratta quindi di un’attività che: 1. si concentra nella produzione di beni o di servizi; 2. si esercita in maniera personale; 3. si esercita manualmente; 4. mette in funzione preminente il lavoro rispetto che il capitale. Articolo 3 – Definizione di impresa artigiana Sintesi dei principali punti dell'articolo 3: Definizione di imprenditore artigiano: È considerato imprenditore artigiano colui che esercita un'attività di produzione di beni o prestazione di servizi, esclusa l'attività agricola, svolgendola prevalentemente con il proprio lavoro, in modo personale, professionale e continuativo. Requisiti personali: L'imprenditore artigiano deve avere la responsabilità della gestione dell'impresa, essere direttamente coinvolto e non deve essere sotto il controllo o la dipendenza di altre persone o imprese. Tipologia di imprese: L'impresa artigiana può essere individuale o costituita in forma societaria, ma con limitazioni specifiche. Sono ammesse: - Società in nome collettivo (SNC) - Società in accomandita semplice (SAS) - Società a responsabilità limitata (SRL), purché i soci artigiani detengano la maggioranza delle quote e amministrino l'azienda. Limiti dimensionali: Viene definito il numero massimo di lavoratori che un'impresa artigiana può avere: - 18 dipendenti ordinari (o fino a 22, in alcuni casi specifici, come per l'uso di tecnologie avanzate o lavorazioni artistiche). - Non rientrano nel conteggio i familiari dell'imprenditore o gli apprendisti. Esclusioni: Non possono essere considerati artigiani i soggetti che svolgono attività agricola, di intermediazione commerciale o che impiegano mezzi e attrezzature che diano all'impresa una connotazione industriale, rendendo l'apporto manuale marginale. Articolo 4 – Limiti dimensionali In sostanza, l'articolo 4 stabilisce che per mantenere la qualifica di imprenditore artigiano, la persona deve dedicarsi in modo esclusivo all'attività artigiana. In tale articolo si delineano anche i limiti dimensionali previsti per l’impresa artigiana, in maniera estremamente dettagliata. Articolo 5 – Albo delle imprese artigiane Le imprese artigiane hanno un albo specifico in cui vengono iscritte. L’albo è tenuto presso la camera di commercio che si occupa anche di verificare che l’impresa artigiana del caso sia in possesso dei requisiti necessari. Le imprese artigiane sono destinatarie di finanziamenti, posti riservati a gare di appalto ed altre varie agevolazioni e per questo devono essere attentamente monitorate. La PMI Le piccole e medie imprese (PMI) oggi non sono più considerate solo come oggetto di tutela da parte dello Stato, come avvenuto nel secondo dopoguerra a seguito della loro vasta diffusione, ma anche come motore di innovazione e sviluppo nei settori avanzati dell'economia. In particolare, svolgono un ruolo cruciale nella crescita del settore digitale e nella realizzazione di progetti innovativi, contribuendo in modo significativo alla competitività e al progresso tecnologico del Paese. Viene fuori, quindi, una definizione di piccola media impresa o microimpresa innovativa alla quale lo Stato riserva delle particolari cautele. Direttiva europea distingue tutte le tipologie di imprese à Raccomandazione della Commissione: definizione di microimprese, piccole imprese e medie imprese. Definizioni: 3. microimpresa: meno di 10 dipendenti e un fatturato (la quantità di denaro ricavato in un periodo specifico) o bilancio (un prospetto delle attività e delle passività di una società) annuo inferiore ai 2 milioni di euro; 4. piccola impresa: meno di 50 dipendenti e un fatturato o bilancio annuo inferiore a 10 milioni di euro; 5. media impresa: meno di 250 dipendenti e un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro o un bilancio inferiore a 43 milioni di euro. Le PMI che soddisfano i diversi criteri possono beneficiare di: - programmi comunitari e nazionali di sostegno alle imprese, come i finanziamenti per la ricerca, la competitività e l’innovazione, che altrimenti non sarebbero concessi in base alle norme sugli aiuti di Stato dell’UE; - un minor numero di requisiti o costi ridotti per ottemperare alla legislazione dell’UE. Novità introdotte dalla Direttiva CSRD (Direttiva sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale) A partire dal 1° gennaio 2024, la CSRD introduce nuovi requisiti di rendicontazione non finanziaria e di sostenibilità che saranno progressivamente estesi a tutte le grandi imprese e, in alcuni casi, anche alle piccole e medie imprese (PMI) quotate. Ecco come la direttiva distingue le imprese per l’applicazione delle nuove regole: Grandi imprese: dovranno conformarsi alle nuove regole a partire dal 2024 (rendicontazione nel 2025). PMI quotate: l'obbligo sarà applicabile dal 2026 (rendicontazione nel 2027), ma con la possibilità di un'esenzione temporanea fino al 2028. 4- Impresa familiare LIBRO PRIMO, DELLE PERSONE E DELLA FAMIGLIA TITOLO VI, DEL MATRIMONIO CAPO VI, DEL REGIME PATRIMONIALE DELLA FAMIGLIA SEZIONE VI, DELL’IMPRESA FAMILIARE Impresa familiare Art. 230 bis Codice civile Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell'impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Le decisioni concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all'impresa stessa. I familiari partecipanti all'impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi. Il lavoro della donna è considerato equivalente a quello dell'uomo. Ai fini della disposizione di cui al primo comma si intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo; per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo. (1) Il diritto di partecipazione di cui al primo comma è intrasferibile, salvo che il trasferimento avvenga a favore di familiari indicati nel comma precedente col consenso di tutti i partecipi. Esso può essere liquidato in danaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione del lavoro, ed altresì in caso di alienazione dell'azienda. Il pagamento può avvenire in più annualità, determinate, in difetto di accordo, dal giudice. In caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell'azienda i partecipi di cui al primo comma hanno diritto di prelazione sull'azienda. Si applica, nei limiti in cui è compatibile, la disposizione dell'articolo 732. Le comunioni tacite familiari nell'esercizio dell'agricoltura sono regolate dagli usi che non contrastino con le precedenti norme. Punti rilevanti: Un soggetto che presta lavoro all’interno dell’impresa della sua famiglia deve essere retribuito. Ciò è stato inserito nel ‘75, anno in cui la sensibilità sociale circa queste questioni è aumentata fortemente. È molto importante poiché prima di questa norma il lavoro prestato presso l’impresa di famiglia era prevalentemente considerato come a titolo gratuito. Si tratta di una norma programmatica. Ai sensi di quanto descritto, il familiare che presta servizio presso l’azienda di famiglia acquisisce i seguenti diritti: 1. diritto di mantenimento; 2. diritto di partecipazione agli utili dell’impresa; 3. diritto di partecipazione alla gestione dell’impresa. Diritti del convivente Art. 230-ter Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato. Questo articolo viene inserito con la legge del 20 maggio del 2016 tramite la quale si tutelano i soggetti conviventi in una famiglia. È una protezione delle relazioni di fatto nel caso in cui vi siano legami di convivenza in una famiglia come, per esempio, nel caso di partners. Le società LIBRO V, DEL LAVORO TITOLO V, DELLE SOCIETÀ CAPO I, DISPOSIZIONI GENERALI L’impresa collettiva è tendenzialmente identificata con la società. Contratto di società Art. 2247 Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili. Le società possono esercitare attività di impresa, ma anche le associazioni possono avere come oggetto esclusivo un'attività economica. Quando un'associazione svolge un'attività economica in modo abituale e organizzato, può essere considerata un imprenditore a tutti gli effetti e, di conseguenza, è soggetta alle stesse norme applicabili alle imprese, compresa la possibilità di essere coinvolta in procedure fallimentari. L’impresa pubblica L’impresa pubblica trova attuazione ormai quasi esclusivamente tramite partecipazione statale. Esistono dei fondi nazionali che acquisiscono quote delle imprese: alle volte per interessi diretti, altre per sostenerle in casi di crisi. Le società a partecipazione pubblica vanno anche osservate con dei limiti particolari, per esempio, nel caso degli appalti (dal momento che potrebbero risultare favoreggiamenti). Anche gli enti locali si servono degli strumenti societari per esercitare attività di impresa. Quando comincia l’attività di impresa? Vi sono diverse attività preliminari che precedono l'avvio di un'impresa, ma l'imprenditore è riconosciuto come tale e soggetto alle relative norme solo quando l'attività d'impresa è effettivamente avviata. Tuttavia, il sistema giuridico non fornisce una regola fissa e univoca per stabilire l'inizio dell'attività imprenditoriale, richiedendo una valutazione caso per caso. In particolare, è necessario verificare quando le attività preparatorie abbiano raggiunto un livello di organizzazione tale da poter essere considerate vera e propria attività d'impresa à si guarda quindi all’effettività. Quando finisce l’attività di impresa? Allo stesso modo di quello di inizio, si analizza il periodo di fine dell’impresa, che si colloca, tendenzialmente, in una fase che consente ai creditori dell’impresa di far valere i propri diritti. Quindi non basta la mera cessazione dello stato di attività di impresa per “districarsi” dalla definizione di imprenditore. La questione è differente per le società, dal momento che la società ha degli step ben definiti à scioglimento, liquidazione (si pagano tutti i debiti e si divide l’avanzo) à cessazione: fase in cui si rimuove il nome dal registro delle imprese. Lezione V Imprenditore commerciale Rivediamo quanto già analizzato all’inizio della lezione precedente (copy & paste). LIBRO V, DEL LAVORO CAPO III, DELLE IMPRESE COMMERCIALI E DELLE ALTRE IMPRESE SOGGETTE A REGISTRAZIONE SEZIONE II, OBBLIGO DI REGISTRAZIONE Imprenditori soggetti a registrazione Art. 2195 Sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione, nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano: 1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; 2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni; 3) un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria; 4) un'attività bancaria o assicurativa; 5) altre attività ausiliarie delle precedenti. Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano. In buona sostanza, all’interno della nozione di imprenditore commerciale, rientrano tutte le attività imprenditoriali che non sono agricole. La distinzione fondamentale è quindi questa: si definisce imprenditore commerciale, in forma negativa-residuale, chi esercita professionalmente un’attività economica non agricola. Vedremo come all’imprenditore commerciale si applica una disciplina riservata conosciuta come “statuto dell’imprenditore commerciale” e che comporta: 1- l’obbligo di iscrizione al registro delle imprese; 2- la tenuta della contabilità; 3- un regime particolare per la rappresentanza à ausiliari dell’imprenditore; 4- un regime particolare per la soggezione alla crisi di impresa. Le regole che disciplinano l’attività dell’imprenditore commerciale sono ancorate allo “statuto dell’imprenditore commerciale”. Come tutte le definizioni, può aiutare o meno. Ad oggi è abbastanza esagerato e/o limitato. Probabilmente non ci è utile dare una definizione, perché il valore di queste discipline non è tale da essere inserito in uno statuto a sé stante. 1- l’obbligo di iscrizione al registro delle imprese; Vedi anche art. 2195. Società Art. 2200 Sono soggette all'obbligo dell'iscrizione nel registro delle imprese le società costituite secondo uno dei tipi regolati nei capi III e seguenti del titolo V e le società cooperative, anche se non esercitano un'attività commerciale. L'iscrizione delle società nel registro delle imprese è regolata dalle disposizioni dei titoli V e VI. Le attività commerciali sono obbligate ad un regime di pubblicità. Ossia devono registrare l’inizio e l’esistenza della loro attività (ed ogni evoluzione rilevante, fino alla fine della stessa). Questo perché gli stakeholder devono avere un set di informazioni sempre disponibili per facilitare i rapporti. Talvolta queste informazioni hanno una efficacia costitutiva. Cioè, le società si considerano costituite quando si registrano al registro delle imprese. Registro delle imprese Art. 2188 È istituito il registro delle imprese per le iscrizioni previste dalla legge. Il registro è tenuto dall'ufficio del registro delle imprese sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale. Il registro è pubblico. Regolamentazione che gestisce il registro delle imprese. È stata istituita nel ‘53. Camera di commercio à approfondimenti sul registro delle imprese. Efficacia dell'iscrizione Art. 2193 I fatti dei quali la legge prescrive l'iscrizione se non sono stati iscritti, non possono essere opposti ai terzi da chi è obbligato a richiederne l'iscrizione, a meno che questi provi che i terzi ne abbiano avuto conoscenza. L'ignoranza dei fatti dei quali la legge prescrive l'iscrizione non può essere opposta dai terzi dal momento in cui l'iscrizione è avvenuta. Sono salve le disposizioni particolari della legge. Esempio banale: se io iscrivo l’indirizzo della mia azienda in via Zamboni e poi la traferisco in via Farini, il terzo che mi spedisca un atto in via Zamboni ha sostanzialmente ragione nell’avere utilizzato l’indirizzo poiché io non l’ho comunicato alla camera di commercio. E viceversa, se io mi traferisco e l’ho comunicato, chi manda all’indirizzo precedente ha torto. Sull’efficacia, si noti che le notizie iscritte dalle imprese hanno effetto di pubblicità. Iscrizione dell'impresa Art. 2196 Entro trenta giorni dall'inizio dell'impresa l'imprenditore che esercita un'attività commerciale deve chiedere l'iscrizione all'ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione stabilisce la sede, indicando: 1) il cognome e il nome, il nome del padre, la cittadinanza; 2) la ditta; 3) l'oggetto dell'impresa; 4) la sede dell'impresa; 5) il cognome e il nome degli institori e procuratori. [All'atto della richiesta l'imprenditore deve depositare la sua firma autografa e quelle dei suoi institori e procuratori] (1) L'imprenditore deve inoltre chiedere l'iscrizione delle modificazioni relative agli elementi suindicati e della cessazione dell'impresa entro trenta giorni da quello in cui le modificazioni o la cessazione si verificano. 1.Comma abrogato dall'art. 33, L. 24 novembre 2000, n. 340. Digressione su significato di “mignotta” à figlio di m. (madre), ignota à mignotta. 2- la tenuta della contabilità; Libri obbligatori e altre scritture contabili Art. 2214 L'imprenditore che esercita un'attività commerciale deve tenere il libro giornale e il libro degli inventari. Deve altresì tenere le altre scritture che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa e conservare ordinatamente per ciascun affare gli originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute, nonché le copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite. Le disposizioni di questo paragrafo non si applicano ai piccoli imprenditori. Le scritture contabili fanno parte di quell’insieme che l’articolo 2086 impone agli imprenditori (visto precedentemente). La contabilità è stata costituita sulle teorie di LUCA Pacioli (partita doppia). La funzione della scrittura contabile e dei relativi libri, è molteplice: - Le scritture contabili sono anzitutto da intendere come un obbligo che viene imposto agli imprenditori commerciali a loro vantaggio. - Le scritture contabili costituiscono prova nei confronti degli altri debitori. Nel caso in cui sia presente una prova positiva iscritta su libro giornale, sarà il debitore a dover dimostrare l’eventuale non veridicità del fatto. Se l’imprenditore non tiene le scritture contabili viene sottoposto a sanzioni di vario grado. La documentazione dipende dalla natura dell’impresa à comma 2. Cioè: la contabilità deve essere adeguata alle esigenze dell’impresa. Redazione dell'inventario Art. 2217 L'inventario deve redigersi all'inizio dell'esercizio dell'impresa e successivamente ogni anno, e deve contenere l'indicazione e la valutazione delle attività e delle passività relative all'impresa, nonché delle attività e delle passività dell'imprenditore estranee alla medesima. L'inventario si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite il quale deve dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti o le perdite subite. Nelle valutazioni di bilancio l'imprenditore deve attenersi ai criteri stabiliti per i bilanci delle società per azioni, in quanto applicabili. L'inventario deve essere sottoscritto dall'imprenditore entro tre mesi dal termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini delle imposte dirette. Risultano, ex art. 2217, obbligatori: Libro giornale: registra quotidianamente tutte le operazioni economiche dell'impresa, in ordine cronologico. Include entrate, uscite, pagamenti, acquisti, e ogni transazione rilevante. È essenziale per tracciare le movimentazioni finanziarie giornaliere. Libro inventario: Raccoglie una descrizione dettagliata del patrimonio aziendale e dei debiti dell’impresa, compilato almeno una volta all’anno. Deve includere lo stato patrimoniale e il conto economico, offrendo una panoramica della situazione finanziaria e patrimoniale dell’impresa. Modalità di tenuta delle scritture contabili Art. 2215 I libri contabili, prima di essere messi in uso, devono essere numerati progressivamente in ogni pagina e, qualora sia previsto l'obbligo della bollatura o della vidimazione, devono essere bollati in ogni foglio dall'ufficio del registro delle imprese o da un notaio secondo le disposizioni delle leggi speciali. L'ufficio del registro o il notaio deve dichiarare nell'ultima pagina dei libri il numero dei fogli che li compongono. Il libro giornale e il libro degli inventari devono essere numerati progressivamente e non sono soggetti a bollatura né a vidimazione. È facile notare che queste norme fanno riferimento ad un’epoca più “analogica”, ossia caratterizzata dall’utilizzo di mezzi non elettronici. La legge si è accorta di questo. Emerge così l’art. 2215-bis. Documentazione informatica Art. 2215-bis I libri, i repertori, le scritture e la documentazione la cui tenuta è obbligatoria per disposizione di legge o di regolamento o che sono richiesti dalla natura o dalle dimensioni dell'impresa possono essere formati e tenuti con strumenti informatici. Le registrazioni contenute nei documenti di cui al primo comma debbono essere rese consultabili in ogni momento con i mezzi messi a disposizione dal soggetto tenutario e costituiscono informazione primaria e originale da cui è possibile effettuare, su diversi tipi di supporto, riproduzioni e copie per gli usi consentiti dalla legge. Gli obblighi di numerazione progressiva e di vidimazione previsti dalle disposizioni di legge o di regolamento per la tenuta dei libri, repertori e scritture sono assolti, in caso di tenuta con strumenti informatici, mediante apposizione, almeno una volta all’anno, della marcatura temporale e della firma digitale dell’imprenditore o di altro soggetto dal medesimo delegato (2). Qualora per un anno non siano state eseguite registrazioni, la firma digitale e la marcatura temporale devono essere apposte all’atto di una nuova registrazione e da tale apposizione decorre il periodo annuale di cui al terzo comma (2). I libri, i repertori e le scritture tenuti con strumenti informatici, secondo quanto previsto dal presente articolo, hanno l'efficacia probatoria di cui agli articoli 2709 e 2710 del Codice civile. Per i libri e per i registri la cui tenuta è obbligatoria per disposizione di legge o di regolamento di natura tributaria, il termine di cui al terzo comma opera secondo le norme in materia di conservazione digitale contenute nelle medesime disposizioni. Tenuta della contabilità Art. 2219 Tutte le scritture devono essere tenute secondo le norme di un'ordinata contabilità senza spazi in bianco, senza interlinee e senza trasporti in margine. Non vi si possono fare abrasioni e, se è necessaria qualche cancellazione, questa deve eseguirsi in modo che le parole cancellate siano leggibili. Con l'espressione norme di un'ordinata contabilità si fa riferimento non a norme giuridiche ma alle regole elaborate dalla scienza ragionieristica, come tali suscettibili di variare nel tempo seguendo l'evoluzione di detta disciplina. La legge non impone l'osservanza di un particolare sistema contabile. Tuttavia, la discrezionalità lasciata all'imprenditore trova un limite nella necessità che il sistema contabile adottato consenta una rappresentazione chiara e completa della consistenza patrimoniale e dei risultati conseguiti dall'impresa. Conservazione delle scritture contabili Art. 2220 Le scritture devono essere conservate per dieci anni dalla data dell'ultima registrazione. Per lo stesso periodo devono conservarsi le fatture, le lettere e i telegrammi ricevuti e le copie delle fatture, delle lettere e dei telegrammi spediti. Le scritture e documenti di cui al presente articolo possono essere conservati sotto forma di registrazioni su supporti di immagini, sempre che le registrazioni corrispondano ai documenti e possano in ogni momento essere rese leggibili con mezzi messi a disposizione dal soggetto che utilizza detti supporti. L'esigenza di conservare le scritture contabili per dieci anni si giustifica col fatto che esse, data la loro funzione di documentazione, sono destinate a durare nel tempo. Contabilità non finanziaria Quella che abbiamo visto finora è definita come contabilità finanziaria. Oggi si considera l’impresa al centro della società (intesa come unione dei cittadini), per questo si tende a non analizzare più soltanto la sua creazione di ricchezza ma anche i suoi rapporti con terzi, stakeholder. È sorta, quindi, la necessità di una contabilità non finanziaria, che possa valorizzare anche quelle aziende che agiscono rispettando principi socialmente utili o ecologici. Nel 2014, l'Europa ha introdotto l'obbligo di redigere una Dichiarazione Non Finanziaria (DNF) per alcune società di interesse pubblico, con l'adozione della Direttiva 2014/95/UE. Questa normativa ha richiesto alle aziende di fornire informazioni su aspetti ambientali, sociali, relativi ai dipendenti, al rispetto dei diritti umani, e alla lotta contro la corruzione. Il 21 aprile 2021, la Commissione Europea ha proposto una nuova direttiva, la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), che sostituisce e amplia la precedente DNF. La CSRD mira a migliorare la trasparenza e a rendere la rendicontazione della sostenibilità più dettagliata e standardizzata, includendo un numero maggiore di imprese rispetto alla DNF e richiedendo loro di fornire informazioni più dettagliate su tematiche ESG (ambientali, sociali e di governance). La CSRD entrerà in vigore progressivamente, con l'obbligo di rendicontazione dal 2024 per le grandi imprese (già visto su, quando abbiamo parlato di PMI). 3- un regime particolare per la rappresentanza à ausiliari dell’imprenditore; LIBRO V, DEL LAVORO CAPO III, DELLE IMPRESE COMMERCIALI E DELLE ALTRE IMPRESE SOGGETTE A REGISTRAZIONE SEZIONE III, DISPOSIZIONI PARTICOLARI PER LE IMPRESE COMMERCIALI, RAPPRESENTANZA Gli imprenditori commerciali possono avvalersi di rappresentanti per gestire l'impresa (artt. 2203- 2207 c.c.). Esistono diverse figure: institori, procuratori, commessi. Gli institori L’imprenditore può imporre all’interno dell’impresa un institore, colui che ha la rappresentanza generale dell’imprenditore e può compiere tutti gli atti pertinenti all’impresa, tranne per le limitazioni contenute nella procura. Preposizione institoria Art. 2203 È institore colui che è preposto dal titolare all'esercizio di un'impresa commerciale. La preposizione può essere limitata all'esercizio di una sede secondaria o di un ramo particolare dell'impresa. Se sono preposti più institori, questi possono agire disgiuntamente, salvo che nella procura sia diversamente disposto. La norma fornisce la definizione di institore. Egli è un ausiliario dell’imprenditore, in particolare, un prestatore di lavoro subordinato con funzioni direttive, cui spetta un rilevante potere di gestione con ampia autonomia di iniziativa. Le sue mansioni hanno particolare importanza, essendo egli l’alter ego dell’imprenditore, cui deve direttamente rispondere del suo operato. L’institore è colui che ha responsabilità di tenuta contabile con onori ed oneri accessori. L’institore viene inserito e nominato nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 2196. Affinché un soggetto possa agire per conto di un terzo giuridicamente, ci vuole una procura (esempio, procura institoria), che è un documento ufficiale con il quale si istituisce un institore. Per rendere più veloci le operazioni, la rappresentanze legali degli imprenditori giovano di semplificazioni. Poteri dell'institore Art. 2204 L'institore può compiere tutti gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa a cui è preposto, salve le limitazioni contenute nella procura. Tuttavia non può alienare o ipotecare i beni immobili del preponente, se non è stato a ciò espressamente autorizzato. L'institore può stare in giudizio in nome del preponente per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell'esercizio dell'impresa a cui è preposto. La norma in esame fissa un parametro per misurare i poteri dell’institore. In particolare, stabilisce il criterio della “pertinenza”, nel senso che l’institore ha i poteri connessi alla tipologia di attività svolta, secondo un principio di congruità rispetto alla stessa, salvo le limitazioni di cui al secondo periodo del comma 1. L’institore ha potere negativo-residuale, cioè può compiere tutto ciò che è pertinente all’attività svolta, tranne alcune limitazioni specifiche. Responsabilità personale dell'institore Art. 2208 L'institore è personalmente obbligato se omette di far conoscere al terzo che egli tratta per il preponente; tuttavia il terzo può agire anche contro il preponente per gli atti compiuti dall'institore, che siano pertinenti all'esercizio dell'impresa a cui è preposto. L'articolo stabilisce che l'institore è personalmente obbligato se non informa il terzo che sta agendo per conto di un'altra persona (il preponente). Questo significa che, se un terzo entra in contatto con l'institore e non è a conoscenza del fatto che l'institore sta operando per conto di qualcun altro, l'institore assume responsabilità diretta per le obbligazioni create. Nonostante la responsabilità personale dell'institore, il terzo ha anche la possibilità di agire contro il preponente per gli atti compiuti dall'institore. In altre parole, se l'institore compie un'azione pertinente all'esercizio dell'impresa, il terzo può rivalersi sia sull'institore che sul preponente: questa è una condizione necessaria (pertinenza all’attività di impresa). I procuratori Procuratori Art. 2209 Le disposizioni degli articoli 2206 e 2207 si applicano anche ai procuratori, i quali, in base a un rapporto continuativo, abbiano il potere di compiere per l'imprenditore gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa, pur non essendo preposti ad esso. Il procuratore è gerarchicamente inferiore all’institore. Il procuratore ha potere positivo. Cioè: i poteri sono espressamente concessi (invece nel caso dell’institore i poteri erano al contrario, cioè tutti tranne xy) Anche il procuratore viene inserito e nominato nel registro delle imprese. Le differenze essenziali tra la figura del procuratore e quella dell'institore sono rinvenute nell'ampiezza dei rispettivi poteri e nella diversa fonte degli stessi. Il procuratore non è preposto all'impresa ed esercita funzioni esecutive. Gli atti del procuratore sono pertinenti all'esercizio dell'impresa ma non costituiscono l'esercizio dell'impresa stessa. Il procuratore è un funzionario munito di poteri decisionali autonomi ma in ambito limitato. Il procuratore non può comparire in giudizio se il potere di rappresentanza processuale non sia stato espressamente conferito per iscritto. Secondo la dottrina dominante non è applicabile al procuratore l'art. 2208 (visto prima) perché l'institore, a differenza del procuratore, si sostituisce all'imprenditore nell'esercizio dell'impresa à si esclude, dunque, la responsabilità dell’imprenditore per gli eventuali atti compiuti senza spendita del suo nome. Ancora: se il procuratore compie atti senza un mandato chiaro e scritto, l'imprenditore non può essere considerato responsabile per tali atti, poiché non è stata spesa la sua rappresentanza legale. I commessi Poteri dei commessi dell'imprenditore Art. 2210 I commessi dell'imprenditore, salve le limitazioni contenute nell'atto di conferimento della rappresentanza, possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie delle operazioni di cui sono incaricati. Non possono tuttavia esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la consegna, né concedere dilazioni o sconti che non sono d'uso, salvo che siano a ciò espressamente autorizzati. Il commesso è colui che svolge attività essenzialmente esecutive o materiali che lo pongono in contatto con terzi. I poteri dei commessi non sono attribuiti da un qualche atto, ma derivano dal semplice fatto di essere posti dietro al bancone del negozio. Cioè è un potere in cui la collocazione e l’esercizio di fatto deriva e si basa sull’uso del potere che il commesso ha in quanto si trova in quella posizione (fattuale). Il commesso ha anche un potere di manovra di denaro, dal momento che può incassare per conto dell’imprenditore. Il commesso non può agire in nome e per conto dell’imprenditore senza uno specifico atto di preposizione. 4- un regime particolare per la soggezione alla crisi di impresa. L'imprenditore commerciale che non sia "piccolo imprenditore" (secondo la definizione data dall'art. 2083 c.c.) è soggetto alla disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali (es. concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, amministrazione straordinaria). La legge fallimentare disciplina queste situazioni per proteggere i creditori in caso di insolvenza. Lezione VI Riassunto lezione precedente Abbiamo trattato i caposaldi di quello che viene chiamato lo “statuto dell’imprenditore commerciale”. Abbiamo trattato il registro delle imprese (e chi deve scriverci che cosa) e abbiamo anche guardato che cosa è una misura del registro camerale (fatturato o dimensione) che è stato istituito con una legge del ‘53 che istituì il registro delle ditte e con una successiva legge del ‘93 che istituì l’attuale registro delle imprese. Abbiamo trattato il concetto di efficacia costitutiva, facendo l’esempio della società di capitali, la cui iscrizione fa da completamento per il processo di realizzazione vero e proprio. Abbiamo visto le scritture contabili (libro giornale e libro inventario). Distinzione tra procuratori, institori e commessi. Azienda Abbiamo citato il concetto di azienda quando, considerando l’art. 2082, abbiamo menzionato l’organizzazione, intesa come maniera orientata finalisticamente alla produzione o allo scambio di beni e servizi. Questa nozione di organizzazione costituisce le radici del concetto di azienda. LIBRO V, DEL LAVORO TITOLO VIII, DELL'AZIENDA CAPO I, DISPOSIZIONI GENERALI Nozione (di azienda) Articolo 2555 L'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa. L’azienda costituisce l’apparato strumentale di cui si avvale l’imprenditore nell’esercizio della propria attività, caratterizzato da un’unità funzionale; affinché un bene sia qualificabile come aziendale occorre pertanto far destinazione finale alla produzione o scambio. L’elemento organizzativo ci consente di includere nella definizione di azienda beni e servizi molto diversi. Il comune denominatore deve essere l’organizzazione finale. Richiamiamo anche il concetto già analizzato in lezione I sull’universalità dei beni mobili. Universalità di mobili Art. 816 È considerata universalità di mobili la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria. Le singole cose componenti l'universalità possono formare oggetto di separati atti e rapporti giuridici. Questo concetto fa riferimento a quella pluralità di cose che appartengono alla stessa persona ed hanno una destinazione unitaria. Dalla lettura coordinata degli articoli 2555 e 816 possiamo dedurre una parte della definizione di impresa in cui è importante notare che è fondamentale la destinazione finale alla quale sono destinati i beni, non tanto la proprietà degli stessi. Cioè, devono essere finalizzati al funzionamento dell’azienda (siano essi di proprietà dell’imprenditore o di terzi). Prima di proseguire può essere necessario capire per quale motivo, in realtà, ci serve una nozione di azienda. La risposta risiede nel fatto che tale definizione è fondamentale al fine di considerare l’azienda come un oggetto unico, dunque al fine di definire un concetto solido. Per esempio, una volta data una buona definizione del concetto di azienda, si può parlare di trasferimento dell’intero patrimonio dell’azienda in maniera semplificata, os