Capitoli 9 e 10 - Disabilità Intellettiva e Sindromi Genetiche PDF

Summary

Questo documento fornisce informazioni riguardo le disabilità intellettive e le relative sindromi genetiche, descrivendo le caratteristiche, la diagnosi e i vari livelli di gravità. Discute del funzionamento intellettivo e adattivo, nonché delle competenze concettuali, sociali e pratiche.

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CAPITOLO 9 → Disabilità intellettiva e sindromi genetiche I soggetti con disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo) presentano limitazione nelle loro capacità intellettive e possono presentare una compromissione nelle capacità di adattamento e di funzionamento nella vita quotidia...

CAPITOLO 9 → Disabilità intellettiva e sindromi genetiche I soggetti con disabilità intellettiva (disturbo dello sviluppo intellettivo) presentano limitazione nelle loro capacità intellettive e possono presentare una compromissione nelle capacità di adattamento e di funzionamento nella vita quotidiana. Per il DSM 4 la caratteristica fondamentale del Ritardo Mentale è un funzionamento intellettivo generale al di sotto della media (QI di circa 70 o inferiore), accompagnato da significative limitazioni nel funzionamento adattivo in almeno 2 delle seguenti aree delle capacità di prestazione: comunicazione, cura della persona, vita in famiglia, capacità sociali, autodeterminazione, capacità di funzionamento scolastico, lavoro, tempo libero, salute, e il cui esordio deve avvenire prima dei 18 anni; il ritardo mentale è, infatti, una patologia cronica dello sviluppo a esordio precoce. Il QI dei soggetti con deficit cognitivo rimane stabile nel tempo tranne per quei casi in cui è associato a patologie che determinano un fenomeno di deterioramento cognitivo progressivo. Il grado di compromissione intellettiva classifica il ritardo mentale in lieve, moderato, grave e gravissimo. Per il DSM 5 la disabilità intellettiva è un disturbo con esordio nel periodo dello sviluppo che comprende deficit del funzionamento sia intellettivo che adattivo negli ambiti concettuali, sociali e pratici. Essa è classificata come disturbo del neurosviluppo ed è distinta dai disturbi neurocognitivi, che sono caratterizzati da una perdita delle funzioni cognitive. I vari livelli di gravità vengono definiti sulla base del funzionamento adattivo e non più considerando i punteggi del quoziente intellettivo, in quanto è il funzionamento adattivo che determina il livello di assistenza. Quindi la diagnosi viene fatta attraverso la valutazione clinica e l’utilizzo di alcuni test per le funzioni intellettive e adattive. Sempre per il DSM V le caratteristiche del disturbo dello sviluppo intellettivo sono i deficit delle capacità mentali generali (si riferiscono alle funzioni intellettive che comportano il ragionamento, il problem solving, la pianificazione, il pensiero astratto, la capacità di giudizio, l’apprendimento dall’istruzione e dall’esperienza) e un funzionamento adattivo quotidiano compromesso rispetto ai soggetti che presentano la stessa età, sesso e livello socioculturale. I deficit del funzionamento adattivo fanno riferimento alla maniera in cui il soggetto soddisfa gli standard di autonomia personale e di responsabilità sociale della comunità. Il funzionamento adattivo richiede un ragionamento adattivo in 3 settori: concettuale didattico, le competenze che il soggetto ha nella memoria, linguaggio, lettura, scrittura, ragionamento matematico, problem solving e capacità di giudizio; sociale la consapevolezza dei pensieri, dei senmenti e delle esperienze degli altri, l’empatia, le capacità di comunicazione interpersonale, il giudizio sociale; pratico la cura di sé, le responsabilità lavorative, la gestione del denaro, il passatempo, l’autocontrollo del comportamento, l’organizzazione dei compiti scolastici e lavorativi. Il DSM V distingue il disturbo dello sviluppo intellettivo a seconda del livello di gravità: 1 disabilità intellettiva di grado lieve (la più diffusa) nei bambini non è immediatamente evidente, essi tipicamente sviluppano capacità sociali e comunicative negli anni prescolastici, hanno una compromissione minima nelle aree senso-motorie e spesso non sono distinguibili dai bambini senza disabilità fino all’ingresso nella scuola primaria. Prima dei 20 anni possono acquisire capacità scolastiche corrispondenti all’incirca alla quinta elementare. Al termine del percorso scolastico possono raggiungere un’età mentale compresa tra gli 8 e gli 11 anni. Durante l’età adulta, di solito acquisiscono capacità sociali e occupazionali adeguate per un livello minimo di autosostentamento, ma possono aver bisogno di appoggio, di guida e di assistenza. 2 disabilità intellettiva di grado moderato (10-14%) la maggior parte di questi soggetti acquisisce il linguaggio e le abilità prescolastiche molto lentamente. Difficilmente progrediscono oltre il livello della seconda elementare nelle materie scolastiche. Al termine dell’iter evolutivo possono acquisire un’organizzazione cognitiva tra i 4 e i 7 anni. Durante l’adolescenza, le loro difficoltà nel riconoscere le convezioni sociali possono interferire nelle relazioni con i coetanei. Nell’età adulta, la maggior parte riesce a svolgere lavori non specializzati, sotto supervisione, in ambienti di lavoro protetti o normali. 3 disabilità intellettiva di grado grave (3-4%) durante la prima fanciullezza questi soggetti acquisiscono un livello minimo di linguaggio comunicativo. Durante il periodo scolastico possono imparare a parlare e possono essere addestrati alle attività elementari di cura della propria persona. Nell’età adulta possono essere in grado di svolgere compiti semplici in ambienti altamente protetti. Possono essere presenti comportamenti autolesivi e di disadattamento. La maggior parte di essi si adatta bene alla vita in comunità o con la propria famiglia. 4 disabilità intellettiva di grado profondo o estremo (1-2%) durante la prima infanzia mostrano considerevole compromissione del funzionamento senso-motorio. L’individuo può usare gli oggetti in modo finalizzato per la cura personale, il lavoro e lo svago; ha una comprensione molto limitata della comunicazione simbolica nell’eloquio o nella gestualità; può comprendere alcuni gesti o istruzioni semplici e comunicare attraverso il non verbale. L’individuo è dipendente dagli altri in ogni aspetto della cura fisica, della salute e della sicurezza quotidiana. Alcuni possono svolgere compiti semplici in ambienti altamente controllati e protetti. Eterogeneo è il profilo etiologico e patogenico della disabilità intellettiva; tenendo conto del momento in cui è possibile che compaiano alterazioni al sistema nervoso centrale e manifestazioni cliniche, possiamo parlare di un ritardo mentale a inizio prenatale, perinatale e postnatale. Nel periodo gestazionale, cioè dopo la formazione dello zigote, alcuni fattori determinano delle lesioni in quegli organi che presentano il massimo d’intensità dei fenomeni di accrescimento e di differenziazione cellulare all’epoca dell’intervento dei fa ori patogeni. Essi sono: le malattie materne infettive e non infettive, le malattie nutrizionali, le intossicazioni da agenti chimici, le lesioni da agenti fisici e traumi. I fattori perinatali costituiscono una delle cause più frequenti di lesioni a carico del sistema nervoso centrale (fra la 27° settimana di gestazione e la 1° settimana di vita extrauterina) e sono: la prematurità, il basso peso alla nascita, la postmaturità, l’anossia, le lesioni traumatiche, gli itteri, le turbe metaboliche e le infezioni meningoencefaliche. Le cause principali di lesioni del sistema nervoso centrale a insorgenza post natale sono: le encefaliti, le meningiti, le intossicazioni, i traumi cranici e l’ipoalimentazione. La disabilità intellettiva può essere classificata come non specifica quando costituisce l’unico evento patologico, mentre può essere classificata sindromica quando nel soggetto sono presenti anche particolari segni somatici, comportamentali, malformativi e neurologici Alcune sindromi da aberrazione e instabilità cromosomica → Le anomalie della struttura o del numero dei cromosomi costituiscono la causa più frequente di grave disturbo dello sviluppo intellettivo. Sono 4 i criteri principali a cui bisogna fare riferimento quando si sospetta che un soggetto presenti una sindrome da aberrazione cromosomica e sono: 1. il ritardo di crescita, 2. la presenza di dismorfismi della faccia e degli arti, 3. le malformazioni vere e proprie, 4. la disabilità intellettiva. Questi segni sono facilmente riscontrabili nelle anomalie del cariotipo e l’insieme di essi può già orientarci verso una sindrome ben definita. Alcune sindromi da anomalie degli autosomi → è opportuno ricordare che nel nostro corpo ci sono 46 cromosomi, ovvero strutture che contengono il DNA e le informazioni genetiche. Ogni cromosoma ha due bracci, uno lungo (chiamato “q”) e uno corto (chiamato “p”). Il termine delezione indica che manca un pezzo del DNA in un cromosoma, come se fosse stato “cancellato”, ciò può portare conseguenze per la salute, perché quella sezione può contenere informazioni importanti per il corretto funzionamento del corpo. Sindrome di Wolf o Monosomia 4P → è una sindrome da delezione del braccio corto del cromosoma 4. Le principali caratteristiche di questa malattia sono: grave deficit di accrescimento, disturbo dello sviluppo intellettivo, microcefalia (sviluppo ridotto del cranio), ipertelorismo (occhi distanziati tra di loro), naso a elmo di guerriero greco, padiglioni auricolari grandi e poco differenziati. Possono essere presenti: ipotonia (ridotta tonicità muscolare), asimmetria facciale, labio-palato- schisi, gravi malformazioni cardiache, renali e del sistema nervoso, convulsioni. Il ritardo mentale e psicomotorio è grave e interessa la motricità e il linguaggio; è possibile riscontrare disturbi del comportamento e tratti autistici. Sindrome del “cri du chat” o monosomia 5P → è causata da una delezione parziale (ne manca solo una parte) del braccio corto del cromosoma 5. Il quadro clinico comprende: microcefalia, basso peso alla nascita, deficit di accrescimento, disfmorfie craniofacciali, ipotonia muscolare e ritardo psicomotorio. Il volto ha un aspetto a “luna piena” con ipertelorismo, epicanto (piega cutanea che copre l’angolo interno dell’occhio), naso ampio, padiglioni auricolari ampi, sporgenti e a impianto basso, mandibola di dimensioni ridotte. Caratteristico è il pianto acuto, simile al miagolio di un gatto: questo fenomeno, dovuto all’ipoplasia laringea, tende a scomparire con la crescita. Il ritardo psicomotorio è grave, la deambulazione autonoma viene acquisita verso i 4 anni. Il disturbo dello sviluppo intellettivo è grave anche se possono raggiungere, con un precoce trattamento psicomotorio, un livello di sviluppo paragonabile ad un bambino di 5 anni. Sindrome da trisomia 13 o sindrome di Patau → è una malattia genetica causata dalla presenza di una copia supplementare del cromosoma 13, ci sono 3 copie del cromosoma 13 invece di 2. Succede perché: vi è una non-disgiunzione materna: durante la formazione degli ovuli nella madre, può accadere che i cromosomi non si separino correttamente (questo è il significato di “non-disgiunzione”). copie supplementari: quando l’ovulo con 2 copie del cromosoma 13 si unisce con lo spermatozoo (che ha una copia), l’embrione risultante avrà 3 copie del cromosoma 13 invece di 2. Questa copia in più può influire sullo sviluppo del bambino, causando una serie di problemi di salute e ritardi nello sviluppo, perché il corpo si trova con informazioni genetiche in eccesso che non riesce a gestire correttamente. Alla nascita sono presenti difficoltà di alimentazione, crisi apneiche, marcata ipotonia, convulsioni; l’aspetto fisico del neonato può suggerire la diagnosi. Il volto si caratterizza per ipoplasia delle arcate sopraccigliari, ipertelorismo, rime palpebrali inclinate verso l’alto, naso bulboso, padiglioni auricolari malformati e a impianto basso, micrognazia (mandibola di volume e dimensioni ridotti). Possono anche essere presenti: microcefalia, aplasia cutanea (lesione del cuoio capelluto), polidattilia (dita supplementari di mani e piedi), labio-palato schisi, anomalie oculari (microftalmia, anoftalmia o ciclopia). Sono presenti malformazioni a carico dell’apparato cardiocircolatorio, urinario, genitale, digerente. Le malformazioni cerebrali sono gravi. L’anomalia neurologica maggiore è l’arinencefalia, ovvero l’assenza dei tratti e dei bulbi olfattori. Solo il 5% dei pazienti vive oltre il terzo anno. Sindrome di Angelman → è una malattia genetica causata da una delezione del braccio lungo del cromosoma 15. È caratterizzata da grave ritardo dello sviluppo psicomotorio e disabilità intellettiva, linguaggio gravemente compromesso o assente, disturbi dell’equilibrio e del movimento (atassia) con tremore agli arti, un comportamento atipico caratterizzato da riso eccessivo. Sono inoltre presenti ipereccitabilità, iperattività, scarsa attenzione, disturbi del sonno; altri tratti frequenti sono la microcefalia a esordio post-natale che si evidenzia verso i 24 mesi e l’epilessia che insorge entro i 3 anni di vita. Il deficit linguistico interessa la produzione, mentre sembra essere risparmiata la comprensione e la capacità di comunicare mediante la mimica. Sindrome da trisomia 18 o sindrome di Edwards → è una malattia cromosomica causata dalla presenza di una copia aggiuntiva del cromosoma 18. Incide soprattutto nel sesso femminile. Tipicamente i neonati presentano un basso peso alla nascita, difficoltà di adattamento neonatale e frequenti episodi di apnea. Il volto si caratterizza per capo dolicocefalo (cranio allungato) con occipite prominente e microcefalico, fronte stretta, ipertelorismo, ipoplasia delle arcate sopraccigliari, fessure palpebrali strette e orizzontali, microftalmia (occhi piccoli), padiglioni auricolari a impianto basso e malformati, bocca piccola, mandibola ridotta e male sviluppata (micrognatia). Le mani si presentano con pugno chiuso con pollice flesso sul palmo e indice sovrapposto al medio (a “uncino”); i piedi atteggiati in equino-varismo con tallone prominente (piede a “picozza”). Possono esservi malformazioni viscerali a carico del cuore, dei reni o ipertrofia del clitoride. Solo il 10% sopravvive oltre il primo anno e presenta grave compromissione neurologica. La disabilità intellettiva è grave; il settore più compromesso è il linguaggio. Sindrome da trisomia 21 o sindrome di Down → è un’anomalia cromosomica causata dalla presenza di una terza copia del cromosoma 21. Alla nascita i segni clinici più importanti sono: peso corporeo leggermente inferiore alla norma; ipotonia muscolare; occipite piatto e fronte sporgente; viso rotondo; ipertelorismo; rime palpebrali corte e inclinate verso l’alto; epicanto; naso piccolo a sella con narici anteverse; padiglioni auricolari piccoli, malformati e a basso impianto; bocca piccola perennemente aperta. Le mani sono larghe con dita corte; è presente solco palmare unico. I piedi sono larghi e piccoli e frequenti sono le malformazioni viscerali (cardiopatie, megacolon). Il cervello è piccolo e i lobi frontali, il midollo allungato e il cervelletto sono più piccoli del normale. Il disturbo dello sviluppo intellettivo è variabile, di solito non molto grave. La compromissione linguistica appare maggiore nella produzione, mentre la comprensione appare maggiormente preservata. Nell’ambito della produzione linguistica le competenze lessicali sono migliori di quelle fonologiche e morfologiche-sintattiche. Riguardo la percezione spaziale i soggetti con sindrome di Down hanno la tendenza a una percezione globale e una specifica difficoltà nell’esecuzione di sequenze di movimenti. Le difficoltà linguistiche e di programmazione motoria sono espressione di una dissociazione tra i sistemi responsabili della percezione linguistica (emisfero destro) e quelli responsabili dell’organizzazione del movimento (emisfero sinistro); infatti questi soggetti presentano delle difficoltà nel riprodurre prassie se le consegne sono verbali, ma non se sono di tipo visivo. Il QI dei bambini con sindrome di Down diminuisce col passare del tempo, ciò sarebbe dovuto alla particolare fisiopatologia legata alla sindrome, che comporta uno sviluppo cognitivo continuo, ma con tassi di evoluzione progressivamente sempre più lenti. Sindromi da anomalie dei cromosomi sessuali Sindrome di Turner → è dovuta a un assetto cromosomico 44 + X0. La sindrome nella forma tipica è dovuta a monosomia del cromosoma X (ovvero la presenza di un solo cromosoma X). Il quadro clinico è caratterizzato da: bassa statura, ipogonadismo (insufficiente produzione di ormoni da parte delle ovaie), che causa amenorrea primaria (mancata comparsa del menarca), infantilismo uterino, vaginale, mammario e scarso sviluppo dei peli pubici e ascellari; anomalie congenite quali collo corto, padiglioni auricolari grandi e a basso impianto, ipertelorismo, rima palpebrale inclinata verso il basso, micrognatia e retrognazia (mandibola di dimensioni ridotte e arretrata), il torace a corazza. Frequenti sono difetti dell’apparato cardiovascolare e anomalie dell’apparato urinario. È utile il trattamento estrogenico dopo i 14 anni perché permette lo sviluppo del seno, la comparsa dei peli sulle ascelle e sul pube, la comparsa di mestruazioni, anche se non modifica la sterilità. La disabilità intellettiva in questi soggetti non è una caratteristica costante, spesso è solo modesta. I soggetti raggiungono dei punteggi all’interno della norma per il Q.I. totale e per varie prestazioni verbali, ma presentano una compromissione nel processamento di compiti spaziali e sembrano avere un comportamento deficitario nel calcolo. Studi sugli aspetti psicopatologici hanno evidenziato una significativa incidenza di problematiche emotive, di difficoltà psicosociali e di caratteristiche peculiari nella formazione dell’identità di genere. Sindrome di Klinefelter → (assetto cromosomico 44 + XXY) è una malattia genetica caratterizzata da un’anomalia cromosomica in cui l'individuo di sesso maschile possiede un cromosoma X in più. Principali segni clinici, che si evidenziano solo alla pubertà, sono: l’ipoplasia testicolare (testicoli piccoli); l’azospermia (assenza di spermatozoi nel liquido seminale); la ginecomastia (ingrossamento del tessuto mammario); l’habitus ginoide (fisico a pera: distribuzione delle masse adipose nella metà inferiore dell’addome, nei glutei e nelle regioni femorali). È evidente uno scarso sviluppo dei caratteri sessuali secondari (barba, peli pubici). Alcuni soggetti hanno un aspetto mascolino normale e la diagnosi viene posta in seguito a indagini sulla sterilità. Lo sviluppo mentale è normale nella maggior parte dei soggetti, solo una piccola percentuale di casi presenta una disabilità intellettiva di lieve entità con capacità verbali ridotte. In particolare sono presenti una compromissione generalizzata delle funzioni cognitive con prestazioni carenti in ambito di attenzione, processi logici, abilità visuo-spaziali e linguaggio. Il trattamento con testosterone nel periodo puberale induce la comparsa dei caratteri sessuali secondari, evita la ginecomastia e ha un notevole valore psicologico (rinforza l’identità di genere). Sindrome dell’X fragile → o sindrome di Martin-Bell, è una malattia genetica causata dalla mutazione del gene FMR1 localizzato sul cromosoma X. La sindrome rappresenta la causa più frequente di ritardo mentale ereditario nell’uomo. La sindrome è individuabile dai seguenti segni: caratteristiche somatiche polimorfe e disabilità intellettiva, variabili nella loro associazione e nell’espressione fenotipica. Le principali caratteristiche somatiche sono: circonferenza cranica aumentata, arcate sovraorbitarie prominenti, fronte alta, viso lungo e stretto, padiglioni auricolari ampi e sporgenti, prognatismo (sporgenza in avanti della mascella inferiore), palato ogivale (palato stretto), testicoli abnormi. Le principali alterazioni neuropsichiatriche sono: disabilità intellettiva da lieve a grave, turbe del comportamento, tratti autistici, turbe del linguaggio, epilessia, atrofia cerebrale (riduzione del tessuto encefalico). Lo sviluppo psicomotorio avviene con un modesto ritardo nelle prime tappe. La produzione verbale appare precipitosa, sino alla tachilalia (aumentata velocità all’eloquio), con alterazioni fonologiche plurime. Sono inoltre presenti la perseverazione verbale, l’ecolalia (ripetizione meccanica e stereotipata di parole o frasi) e alterazioni morfo-strutturali delle sequenze frasistiche. Sono state riscontrate anche difficoltà di articolazione imputabili alla struttura del palato, dell’articolazione temporo-mandibolare e alla difficoltà di elaborazione centrale. Il disturbo dello sviluppo intellettivo è di grado vario, ma prevalentemente è medio-lieve. Il QI intellettivo di questi bambini tende a rimanere stabile fino ai 10-15 anni; a partire dalla seconda adolescenza lo sviluppo cognitivo rallenta sensibilmente. È stata ipotizzata una disfunzione dell’emisfero destro che si evidenzierebbe con difficoltà di memoria a breve termine, di percezione visuospaziale, di coordinazione visuo-motoria e di problem solving. Sarebbe presente anche una disfunzione frontale con conseguente deficit di funzione esecutiva (problemi di auto-osservazione, di autocontrollo, tendenza all’introversione e alle fobie sociali). Sono inoltre presenti anomalie comportamentali quali irrequietezza, labilità attentiva, iperattività, auto ed etero aggressività; sono possibili turbe depressive e maniacali, stereotipie, bizzarrie. Nei bambini affetti da sindrome dell’X fragile vi sarebbe una minore rigidità del ritiro relazionale rispetto i bambini autistici. Gli studi che hanno valutato le caratteristiche psicopatologiche hanno evidenziato una significativa prevalenza dell’evitamento dello sguardo e dell’inibizione sociale; particolarmente accentuati in situazioni nuove e di forte coinvolgimento emotivo. In questi soggetti è possibile comunque ottenere un sufficiente livello di autonomia, con discrete capacità di socializzazione. Le sindromi neurocutanee → costituiscono un gruppo di patologie abbastanza eterogeneo anche se rappresentano delle displasie (alterazione della struttura cellulare di un tessuto) interessanti tessuti di derivazione ectodermica (cute e sistema nervoso). A seconda del tipo di eredità esse vengono distinte in dominanti (autosomiche e gonosomiche), recessive ( autosomiche e gonosomiche) e sporadiche. La maggior parte delle malattie neurocutanee si manifesta con crisi convulsive o disturbo dello sviluppo intellettivo. Principali sindromi neurocutanee: 1 Sindrome di von Recklinghausen o neurofibromatosi → è una malattia genetica autosomica dominante. La malattia si caratterizza per la presenza di multiple macchie caffè-latte, le cui dimensioni è di 1-3 centimetri di diametro, per la presenza di neurofibromi cutanei (tumori benigni) localizzati lungo il decorso dei nervi periferici e sul tronco, per la presenza di lentiggini ascellari e inguinali, di gliomi (tumori cerebrali), di due o più noduli di Lish dell’iride. La disabilità intellettiva è di tipo lieve, trovandosi un Q.I. totale compreso tra 70-80; sono presenti una compromissione della funzione visuo-spaziale e lievi alterazioni della motricità sia fine che grossolana. Disturbi dell’apprendimento sia di tipo verbale che di tipo non verbale vengono evidenziati al momento dell’inserimento scolastico. Le interferenze emotive riconducibili ad ansietà, tendenza alla chiusura, note depressive sono state evidenziate nella fascia d’età compresa tra i 10 e i 14 anni. I cambiamenti fisici legati allo sviluppo puberale sono vissuti con disagio superiore rispetto ai coetanei, per la comparsa di neurofibromi cutanei e sottocutanei che comportano disturbi estetici. Insorge un’incapacità a elaborare un’immagine corporea armonica. 2 Sindrome di Bourneville o sclerosi tuberosa → è una malattia ereditaria di tipo autosomico dominante, con espressività del quadro clinico estremamente variabile. La sclerosi tuberosa è caratterizzata da specifiche lesioni cutanee, epilessia e ritardo psicomotorio. Le tipiche lesioni cutanee includono: angiofibromi facciali, macchie ipocromiche, macchie di zigrino, fibromi ungueali e peri ungueali. I tuberi corticali (= lesioni nella corteccia cerebrale, che determinano ingrossamento delle circonvoluzioni cerebrali) rappresentano la caratteristica patologica da cui prende il nome la malattia. La capacità intellettiva dei soggetti con sclerosi tuberosa è varia, 1/3 dei pazienti conserva un’intelligenza normale; negli altri casi esiste un ritardo di sviluppo soprattutto nel linguaggio. I segni del disturbo dello sviluppo intellettivo si manifestano già nel 1° anno di vita con un ritardo nell’acquisizione delle prime tappe dello sviluppo psicomotorio. I bambini che non presentano disturbi intellettivi hanno dei tuberi prevalentemente isolati, di dimensioni medio piccole, in sede parietale. La maggior parte dei bambini con gravi compromissioni della sfera verbale presenta tuberi di grande o medie dimensioni localizzati in regione temporale sinistra. Sono stati anche segnalati disturbi psichiatrici tra i quali l’autismo. Sindrome di Sturge-Weber-Krabbe o angiomatosi encefalo-trigeminale → è una malattia congenita che entra nel gruppo delle angiomatosi cutanee con anomalie del sistema nervoso centrale, la cui etiologia è sconosciuta. È caratterizzata da un nevo flambeo del volto, emangioma leptomeningeo accompagnato da lesioni ischemiche della corteccia sottostante, buftalmo (ingrossamento del bulbo oculare). La sindrome esordisce nell’infanzia con epilessia, disabilità intellettiva ed emiparesi. Il decorso della sindrome è cronico e molti pazienti sopravvivono non oltre il quarto e il quinto decennio di vita. Le crisi convulsive divengono via via più frequenti e sono poco sensibili al trattamento farmacologico. La disabilità intellettiva è di grado variabile, spesso grave, si osserva nell’80% dei casi, talvolta nella prima infanzia, altre volte dopo un normale sviluppo psichico della prima età. Il deterioramento si verifica in genere parallelamente all’insorgere e al ripetersi delle crisi. Sono frequenti bizzarrie del comportamento, iperattività, irritabilità, stati confusionali, tendenze suicide e omicide. Sindrome di Williams → è dovuta a una delezione del braccio lungo del cromosoma 7 che determina una anomalia nella sintesi proteica dell’elastina (proteina elastica costituente il tessuto connettivo); nella maggior parte dei casi è sporadica. Le caratteristiche principali della sindrome di Williams sono: ritardo di crescita anche prenatale, lieve microcefalia, ritardo mentale medio- grave, facies peculiare. A questi segni si associano altri difetti: cardiaci, voce grossolana, personalità inusuale, segni neurologici minori. La facies tipica, che più di ogni altro sintomo è suggestiva della sindrome, è presente alla nascita e si rende più evidente con lo sviluppo (faccia da elfo o folletto). È caratterizzata da fronte larga, sopracciglia distanziate, epicanto, rime palpebrali corte, iride stellata azzurra, naso a punta in sù e narici anteverse, padiglioni auricolari con elice a punta, guance piene, bocca larga e labbra carnose, labbro superiore ad arco di cupido. Le prestazioni cognitive generali sono riferibili a un disturbo dello sviluppo intellettivo lieve o medio. Sono presenti un ritardo nelle tappe di acquisizione motoria e linguistica, nelle capacità di adattamento e di autonomia, nelle competenze di ragionamento e di problem-solving. Le prestazioni linguistiche sono superiori al livello cognitivo generale. Sono maggiormente deficitarie la produzione lessicale e alcuni aspetti morfosintattici. I soggetti con sindrome di Williams sono in difficoltà quando devono integrare in una unità più ampia diversi singoli elementi, pur individuando i singoli componenti. Un’area di particolare compromissione riguarda le competenze numeriche. I soggetti con sindrome di Williams hanno la capacità di attribuire agli altri credenze, desideri, di interpretare il comportamento altrui in funzione del loro pensiero, convinzioni, stati d’animo. La maggior parte dei soggetti presenta una personalità inusuale con spiccata loquacità e socievolezza, descritta dagli autori americani tipo “cocktail party”. Sindrome di Rett → è un disordine neurologico progressivo che colpisce il sesso femminile esordendo nella prima infanzia con interruzione e poi regressione del normale sviluppo psicomotorio, perdita delle capacità comunicative e comparsa di movimenti stereotipati. Circa il 95% dei casi di sindrome di Rett sono dovuti a mutazioni del gene MECP2, localizzato sul cromosoma X. Esisterebbero dei sintomi premonitori: le bambine a 2-3 mesi, prima della regressione, sono poco mobili, poco reattive agli stimoli e mostrano un eccesso di movimenti ripetitivi del tronco e degli arti (tendenza ad aprire ripetutamente le mani nel tentativo di afferrare un oggetto). Le bambine prima della regressione non sviluppano il linguaggio oltre la parola-frase e lo sviluppo dei gesti comunicativi risulta deficitario. La malattia si presenta in 4 stadi: 1° stadio: tra i 6 e i 18 mesi, si ha un arresto dello sviluppo psicomotorio, ipotonia, disinteresse per il gioco e l’ambiente circostante, rallentata crescita della circonferenza cranica. 2° stadio: tra 1 e 3 anni; è caratterizzato da perdita delle acquisizioni linguistiche e dell’uso delle mani, assunzione di un comportamento autistico, disturbi del sonno notturno, crisi convulsive. 3° stadio: tra i 2 e i 10 anni e può durare per anni; la circonferenza cranica cessa di aumentare ed evolve verso la microcefalia, si ha grave disabilità intellettiva o demenza. Si ha atassia e aprassia, rigidità, scoliosi, permangono le crisi convulsive. 4° stadio: intorno a 10 anni o più, peggiora la scoliosi, la rigidità e l’ipotrofia; si instaura un quadro di paraplegia o tetraplegia; vi è assenza completa del linguaggio espressivo e recettivo. La sindrome di Rett è associata a disabilità intellettiva grave o estrema. La progressività della malattia compromette sia la funzionalità psichica che quella fisica. La morte improvvisa è frequente, le aspettative di vita a 35 anni sono elevate. Aminoacidopatie → dovute all’assenza o diminuzione di attività di un enzima oppure a un difettoso trasporto degli aminoacidi. La sintomatologia è molto varia da malattia a malattia; fra i sintomi più frequenti vi è il ritardo psicomotorio e disabilità intellettiva. Tra le aminoacidopatie la più frequente è la fenilchetonuria, una malattia ereditaria a trasmissione autosomica recessiva dovuta a mutazioni nel gene che codifica per l’enzima fenilalanina idrosilassi. La fenilalanina- idrosilassi è un enzima che converte l’aminoacido essenziale (deve essere assunto con il cibo), la fenilalanina in tirosina. La carenza dell’enzima necessario per trasformare la fenilalanina in tirosina provoca un accumulo di fenilalanina nel sangue, con effetti tossici per il cervello, compromettendo il normale sviluppo del sistema nervoso centrale. I bambini affetti da fenilchetonuria sono normali alla nascita e i soggetti non trattati appaiono normali nel corso dei primi mesi di vita, anche se la loro pelle può a volte emanare un odore di muffa o di topo causato dalla presenza di acido fenilaceutico nel sudore e nelle urine. Nei primi 2 mesi di vita sono frequenti nausea, vomito e irritabilità. Intorno al 4° mese compare un ritardo dello sviluppo psicomotorio e alla fine del 2° anno di vita la regressione è marcata. La caratteristica principale della fenilchetonuria non trattata è la grave disabilità intellettiva con maggiore compromissione del versante linguistico. Sono frequenti disturbi del comportamento quali iperattività, aggressività e autismo. Se non precocemente trattati i bambini possono presentare convulsioni, spasmi infantili, crisi tonico- cloniche. Possono essere presenti rigidità muscolare, movimenti involontari e tremore che rendono la deambulazione incoordinata. I pazienti spesso presentano alterazioni cutanee caratterizzate da depigmentazione della pelle, dei capelli e degli occhi per ridotta sintesi di melanina. Lo screening neonatale permette di effettuare una diagnosi precoce e di iniziare una dieta povera di fenilalanina che va mantenuta nei maschi fino al completo sviluppo del sistema nervoso (intorno ai 18 anni), nelle femmine è consigliabile continuarla per tutto il periodo fecondo. Un trattamento dietetico adeguato durante la gravidanza in queste donne, può prevenire il rischio di un’embriopatia da iper-fenilalaninemia o almeno limitarne i danni. Gli esiti a carico del prodotto del concepimento sono vari: microcefalia, malformazioni cranio-facciali, ritardo dello sviluppo psicomotorio, deficit cognitivo, malformazioni a carico del sistema nervoso centrale. Malattie del metabolismo glucidico→ Queste malattie vengono distinte in due gruppi: 1) anomalie genetiche della digestione e/o assorbimento; 2) anomalie a carico del metabolismo glucidico intermedio. La più frequente malattia del metabolismo glucidico è la galattosemia. La galattosemia è una malattia genetica ereditaria che si trasmette con modalità autosomica recessiva (il figlio eredita il gene difettoso da entrambi i genitori). La galattosemia classica è causata dal deficit dell’enzima galattosio-1-fosfato uridil transferasi necessario per metabolizzare il galattosio. I sintomi compaiono nei primi giorni di vita e comprendono vomito, diarrea, irritabilità e arresto dell’accrescimento ponderale (ossia il peso del bambino) e dopo due settimane si osserva splenomegalia (ingrossamento della milza) e opacizzazione lenticolare (cataratta). L’acquisizione delle tappe dello sviluppo psicomotorio è ritardata; il disturbo dello sviluppo intellettivo, quando presente, è moderato. La terapia consiste in una dieta priva di lattosio o galattosio che precocemente attuata previene e/o fa regredire la sintomatologia (ma questo non risparmia alcuni bambini dalla compromissione intellettiva); utile resta pertanto lo screening neonatale di massa. CAPITOLO 10 → I disturbi dello spettro autistico I disturbi dello spettro autistico (ASDs) hanno esordio nei primi 3 anni e sono caratterizzati da compromissioni delle interazioni sociali, della comunicazione e da un repertorio limitato, stereotipato e ripetitivo di interessi e di attività. Essi fanno parte dei disturbi del neurosviluppo, un gruppo di condizioni con esordio nel periodo dello sviluppo che si manifestano prima dell’inserimento nella scuola elementare; caratterizzati da deficit dello sviluppo che causa una compromissione del funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo. Oggi riteniamo l’autismo un disturbo eterogeneo (il disturbo può manifestarsi in modo diverso da soggetto a soggetto) con cause multiple e grado di varietà nella severità dei sintomi, espressione di un disordine dello sviluppo neurologico, risultato di processi biologicamente e geneticamente determinati. La diagnosi si basa soprattutto sull’osservazione del bambino trattandosi di una patologia che si manifesta con disturbi dell’interazione sociale, della comunicazione, della comprensione di idee ed emozioni, disturbi del comportamento, limitazioni degli interessi, attività ripetitive e stereotipate. In questi bambini vi è una alterazione e un mancato apprendimento di basi relazionali precoci che i bambini con sviluppo tipico acquisiscono fin dai primi mesi di vita nello scambio con adulti significativi. Al bambino con ASD manca la capacità di intuire, capire cosa voglia l’altro e di mettersi in sintonia con le sensazioni e le emozioni altrui. Per la diagnosi (DSM-V) i bambini devono soddisfare alcuni criteri quali: - il deficit persistente della comunicazione sociale e dell’interazione sociale, - comportamenti, interessi e attività ristrette e ripetitive, - sintomatologia presente nella prima infanzia e che compromettere il funzionamento quotidiano. Sono presenti 3 gradi differenti di severità: 1° livello che richiede un supporto lieve. I deficit nella comunicazione sociale causano impedimenti che possono essere notati; il soggetto ha un ridotto interesse nell’interazione sociale e mostra esempi di atipicità o insuccesso nella risposta alle iniziative altrui. Sono presenti interessi ristretti e comportamenti ripetitivi che causano interferenza in uno o più contesti; 2° livello che richiede supporto moderato. Vi è un deficit marcato nella comunicazione sociale, verbale e non verbale; iniziativa limitata nell’interazione sociale e ridotta o anormale risposta all’iniziativa degli altri. Preoccupazioni, rituali fissi e/o comportamenti ripetitivi appaiono abbastanza di frequente e interferiscono con il funzionamento in diversi contesti. Stress o frustrazione appaiono quando sono interrotti; 3° livello che richiede un supporto rilevante. I severi deficit nella comunicazione sociale causano un impedimento severo nel funzionamento; iniziativa molto limitata nell’interazione sociale e minima risposta all’iniziativa altrui. Sono presenti preoccupazioni, rituali fissi e/o comportamenti ripetitivi che interferiscono marcatamente con il funzionamento in tutte le sfere. Stress marcato quando i rituali o le routine sono interrotte. Etiologia → Gli studi epidemiologici sui disturbi dello spettro autistico hanno evidenziato un aumento della prevalenza degli ASD nella popolazione generale, dovuto a più sensibili e precoci strumenti diagnostici. Tutti gli studi epidemiologici inoltre indicano una più elevata incidenza degli ASD nei maschi rispetto le femmine. È stato dimostrato che i fattori etiopatogenetici interferiscono soprattutto nel periodo di sviluppo del Sistema Nervoso Centrale, in epoca pre, peri e post-natale. Tra i fattori prenatali abbiamo alcune malattie infettive quali la rosolia congenita, l’infezione congenita da citomegalovirus, la toxoplasmosi, la sifilide congenita; anche l’assunzione di alcol; Tra i fattori perinatali troviamo la sindrome ipossico-emorragica e i traumi cerebrali; Tra i fattori post-natali sono presenti quelli infettivi, tossici, traumatici e vascolari. In particolare l’encefalite da herpes simplex provoca lesioni alle regioni temporali del cervello in questi soggetti. Le recenti scoperte genetiche indicano che l’autismo è associato ad alterazioni della connettività durante lo sviluppo, che compromettono il normale processo di maturazione delle strutture neurali, determinando una disconnettività (ipoconnettività e/o iperconnettività) all’interno delle reti neurali con conseguente alterata sincronizzazione tra aree cerebrali di “associazione di ordine superiore”, responsabili dell’insorgenza della sindrome autistica. Un ruolo importante lo svolgono i geni e negli ultimi anni è stata scoperta una serie di mutazioni genetiche che aumenterebbero il rischio di sviluppare ASD. Si sono riusciti a identificare oltre 100 geni che influirebbero sul rischio di sviluppare l’autismo. Le neuroligine sono proteine di adesione cellulare implicate nella formazione della sinapsi: in particolare hanno la funzione di regolare l’equilbrio tra le sinapsi eccitatorie e quelle inibitorie e hanno un ruolo nella maturazione e funzionalità della sinapsi. Se i geni che producono le neuroligine subiscono mutazioni, possono verificarsi problemi nelle sinapsi, cioè nelle connessioni tra i neuroni. Questo può portare a difetti nella comunicazione tra i neuroni e alterare il normale sviluppo del sistema nervoso. Nei soggetti con disturbi dello spettro autistico queste mutazioni possono contribuire alle difficoltà nello sviluppo neuronale e alla formazione delle reti cerebrali. Gli studi di risonanza magnetica strutturale hanno messo in evidenza una precoce crescita del cervello e della circonferenza cranica nei soggetti con ASD. Studi di brain imaging strutturale hanno identificato che le principali regioni in cui è stata riscontrata la crescita cerebrale eccessiva sono il lobo temporale, il lobo parietale, il talamo, il tronco cerebrale e il lobo frontale. Aumentando il volume del cervello aumenta anche la sostanza grigia e la sostanza bianca, per cui il processo di mielinizzazione (maturazione delle fibre nervose) appare più tardivo. È stato osservato un aumento del volume del cervelletto nei soggetti con ASD, correlato a disabilità intellettiva e basso quoziente intellettivo. Anche l’amigdala, che è coinvolta in molti aspetti significativi della cognizione sociale, presenta un volume maggiore. Il sistema dei neuroni specchio si attiva quando svolgiamo un'azione diretta a uno scopo e quando osserviamo quella stessa azione svolta da un’altra persona. Esso rende possibile l’imitazione, la simulazione delle azioni, la comprensione delle azioni altrui e la comprensione dei loro stati emotivi. Nei soggetti con ASD il sistema dei neuroni a specchio non funziona adeguatamente e questo può causare una serie di difficoltà, come problemi nel comprendere e imitare le azioni altrui, difficoltà a prevedere gli obiettivi degli altri o problemi d'empatia. Poiché il sistema dei neuroni specchio è collegato con molte altre aree del cervello, queste difficoltà potrebbero riflettere un problema più generale nella connessione tra diverse parti del cervello nei soggetti con autismo. Gli studi di risonanza magnetica funzionale hanno studiato l'attivazione di alcune aree cerebrali, in particolare: la elaborazione del viso, che negli individui sani attiva le aree del giro fusiforme, e la elaborazione dell’oggetto, che attiva il giro temporale inferiore. Da questi studi è venuto fuori che vi è una minore attività del giro fusiforme (difficoltà a riconoscere il volto), mentre è più attivo il giro temporale inferiore. È stata riscontrata anche una riduzione della connettività funzionale tra le aree corticali attivate nel corso di un compito come il linguaggio, le funzioni esecutive, la consapevolezza emotiva. Accanto alla sotto-connettività hanno riscontrato una iperconnettività in altre aree cerebrali. Ciò suggerisce che i soggetti autistici sono caratterizzati da atipicità neuroanatomiche in termini di alterazioni della connettività ridotta o eccessiva, che compromettono la comunicazione e la coordinazione interneuronale (tra i neuroni). Attraverso il sistema dopaminergico si sviluppano le funzioni dell’attenzione, percezione, associazione, intenzione, motricità, comunicazione, emozione, costanza percettiva e comportamentale. Una sregolazione di questo sistema determinerebbe quell’isolamento e le anomalie percettive e comportamentali presenti nei soggetti con disturbi dello spettro autistico. Diagnosi → viene solitamente formulata tra i 24 e i 36 mesi di età, è però possibile identificare alcuni segnali di allarme dell’autismo già a partire dai primi mesi di vita del bambino. Potere identificare precocemente l’autismo consente di intervenire in una fase di vita in cui il cervello è dotato di una certa plasticità e consente quindi di ottenere una maggiore efficacia degli interventi. In letteratura sono stati identificati diversi sintomi che possono rappresentare indicatori precoci di autismo a cui è bene prestare attenzione, tra cui: - difficoltà a instaurare contatto oculare, a seguire con lo sguardo oggetti in movimento, a esternare manifestazioni di affetto o a riceverle da altre persone, a mettere in atto giochi con altri bambini, a richiedere aiuto o oggetti desiderati. - assenza di risposte a stimoli sonori o al proprio nome; di risposta al sorriso sociale; di gesti comunicativi; di comportamenti per richiamare l'attenzione degli altri; del comportamento di allungarsi per essere preso in braccio; del comportamento imitativo; I sintomi variano spesso sulla base dell’età del bambino e si differenziano nei primi 2 anni di vita rispetto ai bambini più grandi. Indicatori precoci (0-24 mesi) → Nei primi anni di vita del bambino i segnali si manifestano molto come assenza di comportamenti che rappresentano tappe evolutive fondamentali nel percorso di sviluppo del bambino, piuttosto che come presenza di comportamenti strani o atipici. A seconda dell’età i sintomi sono diversi: a 6 mesi i bimbi autistici solitamente non rispondono al sorriso degli altri e non esternano manifestazioni di gioia; a 9 mesi non si orientano a suoni e espressioni facciali, a 12 mesi non rispondono quando chiamati per nome, è spesso assente la lallazione ed i gesti con chiara valenza comunicativa. Intorno ai 16 mesi desta preoccupazione l’assenza di singole paroline pronunciate vocalmente, mentre a 24 mesi l’assenza di frasi a due parole. Se sono presenti consistono in ripetizioni di frasi sentite pronunciare dagli altri. Indicatori di autismo nei bambini dai 2 anni in poi → riguardano principalmente i deficit nelle abilità sociali, linguistiche e comunicative e la presenza di comportamenti ristretti e stereotipati. Nell’area delle abilità sociali i comportamenti che possono rappresentare sintomi di autismo sono: disinteressamento alle altre persone o a ciò che accade intorno; non saper entrare in contatto con altre persone, giocare o farsi amici; non voler essere toccato, preso in braccio o cullato; non impegnarsi in giochi di finzione o di gruppo; difficoltà a parlare di sé o dei suoi sentimenti; non sentire quando gli altri gli parlano. Per quanto riguarda i sintomi del linguaggio: ritardo nel parlare; uso di un tono di voce atipico (o per ritmo o per intensità); ripetizione delle stesse parole o frasi; risposta alle domande ripetendo la domanda; parlare di se in terza persona; difficoltà a comunicare bisogni e desideri; non comprendendere semplici istruzioni, richieste e domande; interpretare ciò che viene detto in modo molto letterale. Per quanto riguarda le difficoltà a livello di comunicazione non verbale: evita il contatto oculare; non coglie il significato delle espressioni facciali degli altri; ha una gestualità molto limitata; reagisce in modo inusuale ad alcuni stimoli visivi, uditivi, oppure ad alcuni sapori e consistenze. Può essere sensibile a certi rumori anche se bassi. Segni e sintomi di comportamenti rigidi e stereotipati: segue routine rigide; ha difficoltà ad adattarsi a qualunque cambiamento nella giornata o nell’ambiente; mostra un attaccamento inusuale a oggetti o giochi particolari; allinea in modo ossessivo gli oggetti o li sistema con un certo ordine prestabilito; mostra interesse per alcuni argomenti specifici e per il movimento degli oggetti; ripete le stesse azioni o movimenti più e più volte. MOLTI DEI PROCESSI MENTALI ALLA BASE DELL’INTERSOGGETTIVITÀ SEMBRANO ALTERATI NEI BAMBINI CON ASD. I bambini con ASD hanno profonde difficoltà nelle attività reciproche, spesso appaiono indifferenti a quello che avviene intorno a loro, sono privi di iniziativa sociale oppure sono iperattivi, in una ricerca continua di agire, di fare e di coinvolgere gli altri, generalmente senza successo. Gli elementi fondamentali del cervello sociale sono il giro fusiforme (elaborazione dei volti), il solco temporale superiore (specializzato nella percezione del movimento biologico), l’amigdala (coinvolta nell’assegnare il valore emotivo a diversi stimoli) e parte della corteccia prefrontale (coinvolta nell’inibizione di risposte inappropriate e nella pianificazione di comportamenti). Tutte queste aree risultano compromesse nei soggetti con ASD, e spiegano la loro difficoltà a mantenere lo sguardo, a rivolgersi verso le persone che si muovono, a cogliere le espressioni dei volti, a prestare attenzione ad aspetti dell’ambiente sociale e attribuire un senso di pericolo a determinate situazioni, al non adattamento del proprio comportamento all’ambiente sociale in cui si è inclusi. La ricerca ha evidenziato una funzionalità differente anche in merito alle cosiddette funzioni esecutive, ossia l’insieme di abilità che permettono a una persona di agire in maniera organizzata e flessibile. I soggetti con ASD falliscono nei compiti di flessibilità e tendono alla perseverazione e alla ripetizione. Sono presenti difficoltà nei compiti che implicano il passaggio da una strategia a un’altra, mentre non sembrano esserci problemi nei compiti di memoria di lavoro. La compromissione della comunicazione e del linguaggio è una delle caratteristiche più evidenti nei soggetti con ASD, quando il linguaggio è presente è possibile osservare delle compromissioni a livello pragmatico, relative alla capacità di utilizzare e interpretare il linguaggio in modo appropriato rispetto al contesto. Spesso è presente un linguaggio ecolalico interpretato da alcuni come un intento comunicativo del soggetto, da altri come strumento di autoregolazione emotiva. Interventi educativo-abilitativi → l’autismo non può essere “curato” e dallo stesso non si può guarire. Lo spettro autistico è una realtà molto complessa che presenta una grande variabilità individuale e esso non ha ancora una causa chiaramente stabilita. Per questo motivo negli ultimi decenni si è sviluppata una grande quantità di differenti tecniche di trattamento. Nell’autismo, l'intervento educativo si traduce in un progetto educativo globale che abbia come obiettivi il potenziamento dell’autonomia personale, della competenza comunicativa, della reciprocità e interazione sociale, finalizzati a un miglioramento della qualità della vita e del benessere dell’individuo autistico. Si tratta proprio di un intervento “educativo-abilitativo” che sfrutta le abilità adattive che il soggetto acquisisce e che lo rendono capace di interagire con l’ambiente e di raggiungere il più possibile un adattamento ottimale. Quindi sarà necessario conoscere il funzionamento neuropsicologico della persona con autismo, il suo livello di sviluppo nelle diverse aree funzionali, i suoi interessi e le sue attitudini. Metodo comportamentale ABA → La teoria comportamentista interpreta l’autismo come una sindrome su base neurologica che si manifesta attraverso specifiche modalità comportamentali, sulle quali è possibile apportare modifiche da parte dell’ambiente. L’Analisi Applicata del Comportamento è l’approccio comportamentale più conosciuto, nell’ambito dell’educazione delle persone autistiche, i cui principi hanno ispirato “Young Autistic Project” il modello di intervento delineato da Ivar Lovaas. Questo approccio considera l’autismo un disturbo dell’apprendimento determinato da un’attenzione scarsa o poco funzionale, dalla mancanza di imitazione e dalla lentezza ad apprendere. Il metodo Lovaas è un intervento comportamentale precoce e intensivo: comincia prima dei 5 anni, preferibilmente entro il terzo anno di vita e richiede dalle 20 alle 40 ore settimanali. L'inizio deve essere precoce perché si suppone che vi sia un periodo ottimale durante il quale il cervello del bambino è molto modificabile. L’intervento è intensivo perché noi tutti non impariamo soltanto in alcuni momenti della giornata o solo in alcuni luoghi. L’intervento prevede inizialmente una preliminare valutazione dei diversi repertori comportamentali del soggetto, ma anche del livello della sua prestazione in compiti specifici e aree di funzionamento rilevanti, del suo livello di attenzione e del suo grado di sensibilità nei confronti della frustrazione e dell’approvazione. In seguito si scompone il comportamento manifestato in tante piccole unità osservabili, in modo da non lasciare spazio alla soggettività e rendere l’osservazione e la misurazione oggettive. Infine si dovrà decidere quali condotte dovranno essere potenziate e quali invece ridotte, e quindi determinare la sequenza di comportamenti che portano a raggiungere l’obiettivo comportamentale. Per cui si insegneranno, prima, unità di comportamento piccole e misurabili, successivamente, grazie alla tecnica del concatenamento, si insegneranno unità comportamentali più ampie e abilità più complesse, incoraggiando la loro generalizzazione. Esso presuppone che il meccanismo dell’apprendimento si basa su 3 elementi: stimolo; risposta; conseguenza. Lo stimolo è una situazione ambientale esterna che determina una risposta comportamentale, la quale genera una conseguenza, cioè un evento che se piacevole funge da rinforzatore, portando il soggetto a ripetere e incrementare la risposta, mentre se spiacevole riduce la probabilità che tale risposta venga nuovamente emessa. I tipi di rinforzo sono: primario (cibo, bevande, contatto fisico); secondario (gioco) e sociale (lodi e attenzione). Gli obiettivi riguardano l’insegnamento di abilità fondamentali quali: autonomia personale, sviluppo del linguaggio verbale e della comunicazione intenzionale e comportamento sociale, diminuendo i rituali, gli scoppi di rabbia e i comportamenti aggressivi. L'intervento inizialmente è basato sull’imitazione, la manipolazione e la motricità, affinché il bambino possa apprendere in maniera autonoma dall’interazione con l’ambiente. Il bambino autistico non apprende con facilità dall'ambiente se esso non viene adeguatamente strutturato per eliminare le distrazioni e aumentare la ripetizione e la concentrazione degli oggetti dell’apprendimento stesso, affinché la sua attenzione (scarsa o iperselettiva) venga effettivamente diretta verso gli stimoli rilevanti dell’ambiente. Queste difficoltà possono essere superate utilizzando l’“insegnamento attraverso le prove distinte”, comunemente chiamato “insegnamento senza errori”, il quale costituisce la principale tecnica dell’intervento ABA. Esso si basa sulla convinzione che non possa esserci apprendimento senza la presenza di 3 elementi: chiarezza; aiuto; conseguenze. Si svolge in un ambiente in cui vengono eliminate le distrazioni, utilizza un linguaggio semplice e spoglio, scompone le abilità in piccoli “passi” più comprensibili e facili da imparare, usa correttamente il rinforzo e fornisce aiuti significativi. Una caratteristica che il rinforzo deve possedere è l’immediatezza: esso deve sempre seguire immediatamente l’atto che intende rinforzare. L’obiettivo finale è l’uso spontaneo delle abilità in situazioni naturali. Per quanto riguarda le modalità operative essa ricorre a tecniche comportamentali che possono essere suddivise in: tecniche di incremento, rivolte alla “costruzione” di comportamenti adeguati e adattivi, e tecniche di decremento, rivolte alla riduzione e all’eliminazione di comportamenti ritenuti inappropriati Shaping → ovvero tecnica di modellagio e si usa quando il bambino possiede un repertorio comportamentale ridotto ed è quindi necessario insegnare ex-novo un determinato comportamento funzionale. Essa consiste nel rinforzamento sistematico di comportamenti che si avvicinano sempre di più a quello ricercato, ampliando i repertori di capacità del soggetto. Solitamente parte dall’imitazione della specifica azione che si vuole far apprendere. Prompting e fading → la tecnica del prompting (tecnica dell'aiuto) si usa insieme a quella dello shaping quando il soggetto non possiede un adeguato linguaggio ricettivo. Essa consiste nel dare degli aiuti aggiuntivi (suggerimenti verbali/indicazioni gestuali) detti “stimoli discriminativi”, che sollecitano e facilitano la performance desiderata, ma d’altra parte creano nel soggetto dipendenza dall’aiuto e quindi dall’educatore. Per questo motivo il prompting deve essere seguito dal fading o “attenuazione dell’aiuto”, una tecnica volta al raggiungimento dell’autonomia del soggetto, per cui gli aiuti vengono gradualmente attenuati fino ad essere eliminati, in maniera tale che il comportamento dipenda esclusivamente dagli stimoli naturali presenti nell’ambiente. Modellamento e imitazione → Tra i vari tipi di prompt vi è quello imitativo, una capacità che i soggetti autistici possono apprendere se gli viene fornito un modello del comportamento da imitare, accompagnato dal prompting, e se viene seguita dal rinforzo. Il processo di modeling dipende da 3 importanti condizioni: le caratteristiche del modello (il suo status sociale, il prestigio, la rilevanza affettiva); le caratteristiche dell’osservatore (in termini di disponibilità, motivazione) e le conseguenze (presenza o meno del rinforzamento). Chaining → (concatenamento) è una strategia finalizzata all’insegnamento di abilità complesse costituite da sequenze di comportamenti. Il chaining divide il comportamento iniziale nelle sue diverse componenti e poi focalizza l’insegnamento sulle singole micro-risposte in sequenza, attraverso 2 procedure: 1. Il chaining anterogrado, che insegna ordinatamente le singole risposte partendo dalla prima, rinforzandole e concatenandole tutte, fino all’ultima, con cui si raggiunge l’obiettivo comportamentale, seguita dal rinforzo finale (adatto allo studente che possiede già nel suo repertorio comportamentale le risposte che, ordinate in successione, lo porteranno al comportamento-obiettivo), 2. Il chaining retrogado, che parte dall’insegnamento dell’ultima risposta della catena, perché più vicina al rinforzo finale, e si articola in diverse fasi in cui ogni volta si aggiunge la risposta precedente, per arrivare alla fine della catena (si rivolge al bambino che non possiede tali comportamenti). Guida graduata → nasce dalla combinazione di altre 2 tecniche, la guida fisica e il fading, e vi si ricorre nei casi di gravissima compromissione cognitiva. Usata all’interno del concatenamento anterogrado e consiste in una guida fisica da parte dell’insegnante che sollecita e accompagna il comportamento in maniera graduata, ossia variata costantemente in conseguenza dell’esecuzione dell’alunno. Possiamo distinguere, a seconda della sua quantità e intensità, 3 fasi: completa, parziale e “ombreggiata” (la guida avviene a distanza, senza un reale contatto fisico) Tecniche funzionali della discriminazione → L’insegnamento alla discriminazione costituisce una delle più importanti operazioni cognitive messe in atto quando si apprendono nozioni nuove, in quanto comporta la percezione e il riconoscimento delle differenze che distinguono una realtà dalle altre (oggetti, azioni, ecc.). Tali processi nell’autismo sono deficitari, per cui è stata elaborata la “stimulus fading”, una procedura che introduce graduali cambiamenti in alcune dimensioni non strutturali intrinseche all’oggetto-stimolo del compito oppure in condizioni a esso collegate. Queste tecniche sono particolarmente idonee all’insegnamento del linguaggio verbale, soprattutto per quanto riguarda la discriminazione delle parole scritte. Un’altra metodologia finalizzata all’insegnamento della discriminazione è il cosiddetto “stimulus shaping”, che prevede la progressiva modificazione della configurazione/forma degli stimoli. Un’altra procedura applicabile nel caso di stimoli grafici è la “super imposizione e fading”, la quale coinvolge la manipolazione degli stimoli indizio, introdotti per facilitare le risposte. Tali indizi (il disegno dell’oggetto corrispondente alla parola) possono essere separati o uniti agli stimoli del compito. L’assessment funzionale e la riduzione dei comportamenti problemi → i comportamenti problema sono quei comportamenti autolesionistici e aggressivi spesso presenti nel repertorio comportamentale dei soggetti autistici. In un primo momento la ricerca si è concentrata sulla messa a punto di interventi volti a indebolire o estinguere tali comportamenti inappropriati, senza che vi sia stato un reale sforzo diretto alla comprensione degli stessi, del loro significato e dei motivi per cui si presentano. Un approccio nuovo e alternativo si basa sul presupposto che il comportamento problematico ha uno scopo, svolge una precisa funzione e pertanto non si può procedere alla sua riduzione senza una preliminare e accurata analisi funzionale dello stesso. Essa consiste nell’ordinare al soggetto di emettere ripetutamente lo stesso comportamento inadeguato, in quanto lo sforzo fisico che implica la sua esecuzione ripetuta avrà un effetto avversivo tale da ridurre il comportamento stesso. L’estinzione consiste nell’eliminare il rinforzatore che motiva il comportamento inadeguato, che può essere rappresentato anche dall’attenzione o dalla reazione dell’educatore, il quale deve ignorarlo. Il timeout è una procedura di punizione che prevede la sospensione da qualsiasi agente rinforzante per un periodo di tempo prestabilito. Le procedure di gestione delle crisi costituiscono una tempestiva risposta all’urgenza e all’imprevedibilità di certe situazioni che, se non gestite opportunamente, possono rappresentare una seria minaccia per coloro i quali vi sono coinvolti. A seconda della gravità della crisi si potrà: ignorare il comportamento problematico, proteggere l’individuo o gli altri dalle conseguenze fisiche del comportamento; fermare o bloccare momentaneamente la persona; introdurre stimoli per l’emissione di comportamenti non problematici. L’assessment funzionale ha delle fasi: 1. identificare i comportamenti problematici e i setting in cui si manifestano; 2. stabilirli in ordine gerarchico, per individuare quelli problematici e urgenti; 3. formulare una precisa definizione comportamentale del singolo problema; 4. raccogliere informazioni sul comportamento problematico e sui contesti nei quali si manifesta; 5. formulare ipotesi sulla funzione o lo scopo di quel comportamento per quell’individuo; 6. categorizzare le informazioni sotto forma di schede, raggruppando gli specifici comportamenti e le diverse situazioni in base allo scopo che si ritiene possano avere; 7. verificare tali ipotesi attraverso il metodo sperimentale; 8. selezionare un comportamento alternativo e sostitutivo funzionalmente equivalente, cioè che abbia la stessa funzione del comportamento problematico e che risulti più efficace; 9. programmare un piano di intervento per l'apprendimento dei comportamenti positivi; 10. mettere in estinzione il comportamento problema; 11. aumentare la tolleranza al rimando/rinvio della gratificazione; 12. programmare la generalizzazione degli apprendimenti; 13. favorire il mantenimento delle abilità funzionali. Il programma TEACCH → TEACCH è l’acronimo di trattamento ed educazione di bambini con autismo e con handicap della comunicazione, un programma cognitivo-comportamentale che prevede una presa in carico globale, una continuità di intervento in tutti gli ambienti di vita, in ogni momento della giornata, in ogni periodo dell’anno e per tutto l’arco dell’esistenza, delle persone con autismo o con altre disabilità comunicative. I suoi principi fondamentali sono: migliorare l’adattamento della persona autistica al suo ambiente, attraverso l’incremento del livello di abilità individuale (comunicazione e interazione sociale) e la modificazione dell’ambiente in funzione del deficit e delle caratteristiche individuali; la valutazione funzionale delle abilità del bambino (acquisite, non acquisite ed emergenti) per impostare un trattamento individualizzato; un programma educativo funzionale all’accrescimento delle abilità e impostato sulle abilità presenti per far sviluppare quelle emergenti; un percorso di insegnamento-apprendimento basato sull’educazione strutturata, una strategia che parte dai bisogni, dalle capacità e dai deficit tipici delle persone con autismo, organizza gli ambienti educativi e le attività in maniera appropriata; l’uso della comunicazione visuale o concreta (facendo leva sulla percezione visuo- spaziale); la collaborazione con i genitori. La finalità è quella di sviluppare e potenziare tutte le abilità che permettono alla persona autistica di migliorare la qualità della propria vita, di vivere la propria dimensione personale, sociale e lavorativa nel modo autonomo e indipendente, adattandosi al proprio ambiente e integrandosi. La comunicazione spontanea nell’autismo → ha l’obiettivo di migliorare e favorire l’uso spontaneo delle capacità comunicative del soggetto. A tale scopo, particolare attenzione va posta alla progettazione e alla costruzione dell’ambiente, ovvero alla creazione delle condizioni che possono portare frequentemente e naturalmente il bambino a sentire il bisogno di comunicare e a farlo secondo le modalità di cui è capace. I sistemi comunicativi sono molteplici e ordinati gerarchicamente in base allo sviluppo; vanno dalle forme di comunicazione non simbolica a quelle simboliche (parlato, scritto, dei segni). Qualora sia impossibile sviluppare il linguaggio verbale, si punta verso l’acquisizione e l’uso di sistemi di comunicazione alternativi (che hanno una funzione sostitutiva). Grande attenzione deve essere prestata alla scelta del sistema di comunicazione più idoneo per il singolo individuo, cioè quello che può essere appreso con maggiore facilità. Non sempre il linguaggio verbale è assente e ciò non esclude l’insegnamento di altri linguaggi: ovvero di sistemi di “comunicazione aumentativa”, i quali si affiancano all’uso del linguaggio verbale riducendo le difficoltà del soggetto in determinati ambiti. Le comunicazioni aumentative alternative → comprendono tutti gli interventi volti ad aumentare e migliorare le abilità e le modalità di espressione e di comunicazione in soggetti in cui quest’area risulta compromessa. Tali interventi utilizzano particolari tecniche e strumenti per incrementare il linguaggio verbale e sviluppare sistemi di comunicazione. Si parla di comunicazione aumentativa quando tali sistemi vengono affiancati all’uso del linguaggio verbale per ridurre le difficoltà; parliamo di comunicazione alternativa quando tali sistemi sostituiscono completamente il linguaggio parlato Il PECS (Sistema di Scambio per Immagini) → è un metodo che ha lo scopo di aiutare i soggetti autistici a comunicare. Il suo obiettivo fondamentale è lo sviluppo della comunicazione funzionale e della comunicazione come scambio sociale, che vengono favorite dall’uso e dallo scambio di immagini. La comunicazione facilitata→ viene usato con bambini incapaci di esprimersi verbalmente e con deficit di controllo motorio, i quali dimostrino di conoscere il linguaggio scritto o di poterlo apprendere. La caratteristica peculiare del metodo è la presenza di un partner nella comunicazione (un terapista abilitato) che ha il ruolo di “facilitatore”, egli ha il compito di aiutare la persona disabile a coordinare i movimenti funzionali all’indicazione o alla digitazione, permettendole di isolare il dito indice e offrendole un sostegno alla mano o al braccio che ne stabilizzi il movimento, senza guidare nella scelta o suggerire. Questo supporto fisico facilita la scrittura consentendo di superare le difficoltà neuromotorie e di controllo volontario e permettendo una comunicazione scritta in quei soggetti che non sono capaci di espressione verbale. Secondo questa prospettiva la difficoltà di comunicazione sarebbe causata da una “disprassia dello sviluppo” che colpisce le persone con autismo, ovvero un difetto di programmazione e sequenziazione del movimento. La comunicazione facilitata prevede l'uso di differenti strumenti, scelti in relazione alle capacità dell’individuo e al contesto in cui si trova. La modalità comunicativa più semplice è quella dalle tastiere di carta con disegni, parole o lettere indicate dal soggetto e verbalizzate dal facilitatore; tuttavia lo strumento più usato è il computer. La terapia di scambio e di sviluppo → La TED è un approccio terapeutico focalizzato sulla riattivazione delle funzioni psicofisiologiche fondamentali per la costruzione dell’intersoggettività nelle persone con autismo. Utilizza metodi di stimolazione sovrapponibili a quelli utilizzati istintivamente dalla madre per favorire la sintonizzazione con il bambino, stimolandone tutte le funzioni basilari quale l’attenzione, l’associazione, l’intenzione e l’imitazione. La Terapia di Scambio e di Sviluppo riesce a contenere un equilibrio tra dimensione emotivo-affettiva e cognitiva, tra setting individuale e di gruppo, tra interventi dei terapisti all’interno dell’équipe pluridisciplinare e coinvolgimento attivo delle famiglie. Questo modello di intervento prevede una serie di attività strutturate sulla base di 3 fondamentali principi ispiratori: 1) La tranquillità si riferisce alle caratteristiche del setting in cui si svolge l’intervento, che deve sempre essere un contesto rassicurante, prevedibile, stabile. Esso solitamente è costituito da una piccola stanza dotata solo di un tavolo e due sedie, completamente spoglia da possibili fonti di distrazione, dove il terapeuta può interagire in maniera esclusiva con il bambino, canalizzandone completamente l’attenzione e l’interesse attraverso la proposta di un’attività o un gioco alla volta. 2) La disponibilità del terapeuta facilita l’apertura del bambino verso il mondo esterno e favorisce la sua naturale curiosità, incoraggiando ogni sua spontanea iniziativa. In questo senso, condizione imprescindibile è la creazione di un clima relazionale piacevole, in grado di suscitare nel bambino benessere emotivo e interesse, tali da stimolare in lui l’assunzione di un ruolo attivo. 3) La reciprocità è finalizzata a stimolare lo sviluppo della comunicazione e viene sperimentata attraverso lo scambio di oggetti, gesti, vocalizzazioni, emozioni ecc. La terapia psicomotoria → è una pratica educativa e terapeutica che conduce alla scoperta e alla consapevolezza del proprio corpo e delle sue capacità di movimento. Obiettivo dell’intervento di riabilitazione espressivo-corporeo è sviluppare la consapevolezza di se stessi e del proprio modo di sentire, promuovere la scoperta degli altri e dell’ambiente e favorire l'integrazione tra mondo del bambino, mondo degli oggetti e mondo degli altri, definendosi come “terapia relazionale a mediazione corporea”. Nel trattamento dei bambini autistici, la terapia psicomotoria ha lo scopo principale di aprire alla comunicazione attraverso la relazione con il terapeuta, e lo strumento elettivo individuato è il corpo. Nei soggetti autistici il corpo è il luogo in cui si concentra la difficoltà di relazione, la stereotipia. Strategie operative di base della terapia psicomotoria sono: la strutturazione di un contenitore spazio-temporale e costante, ovvero una durata e una cadenza regolare delle sedute e un ambiente psicomotorio i cui elementi stabili saranno il più possibile neutri, per non essere fonte di distrazione; la stimolazione sensoriale ed emotiva; l’uso della voce ma anche l’eventuale soppressione del linguaggio verbale da parte del terapeuta; l’assenza di richieste esplicite; l’iniziale coinvolgimento della madre, al fine di sviluppare quegli aspetti naturali del suo rapporto col figlio che il disturbo autistico ha in qualche modo compromesso. Il metodo Denver → è un modello di intervento precoce rivolto a bambini con disturbo dello spettro autistico che associa un approccio comportamentale con un lavoro sullo sviluppo e sull’imitazione. Il Denver Model integra gli approcci comportamentali naturalistici che vedono il bambino come componente attiva dell’apprendimento e che mettono in risalto un apprendimento più sociale e quindi più generalizzato. Le convinzioni che stanno alla base del Denver Model sono: - le famiglie devono essere a capo del trattamento dei loro bambini, gli interventi e gli approcci devono essere individualizzati; - l’autismo è un disturbo sociale, quindi il trattamento deve focalizzarsi sulla disabilità sociale; - i bambini devono avere un ruolo nella famiglia e nelle attività della comunità; - i bambini con ASD hanno una mente, opinioni, preferenze, scelte, e sentimenti; hanno diritto alla espressione di sé; - i bambini con ASD sono in grado di diventare comunicatori intenzionali e simbolici, e la maggior parte di loro è in grado di sviluppare un linguaggio comunicativo utile se vengono attuati interventi appropriati durante gli anni prescolari; - il gioco è un mezzi potente di apprendimento cognitivo e sociale a disposizione del bambino. Si tratta di un modello basato sull’”approccio evolutivo”, che ha l’obiettivo di promuovere lo sviluppo delle abilità socio-emotive e comunicative (iniziativa, motivazione, partecipazione) attraverso: - un insegnamento intensivo, per “colmare” i deficit di apprendimento che derivano dall’incapacità di accedere al mondo della socializzazione, - l'inserimento del bambino in relazioni sociali per la maggior parte delle ore di veglia, in modo da poter stabilire sia l’imitazione che una comunicazione simbolica e interpersonale. I mezzi per raggiungere questi due obiettivi terapeutici sono l’insegnamento dell’imitazione, lo sviluppo della consapevolezza delle interazioni sociali e della reciprocità, l’insegnamento del potere della comunicazione, l’insegnamento di un sistema di comunicazione simbolica. L’intervento deve avvenire in ambienti strutturati che forniscano una sorta di regolazione esterna. L'intervento con la famiglia→ La presenza di un bambino autistico all’interno di un nucleo familiare comporta sempre un forte stress per tutti i suoi membri e una lunga serie di problemi e di bisogni. Ci si trova pertanto a dover affrontare una serie di difficoltà di ordine emotivo-affettivo e relazionale, educativo, organizzativo, economico. Si sviluppano così pesanti vissuti di ansia e preoccupazione, di depressione, un senso di impotenza e a volte anche di colpa, sentimenti di rabbia e risentimento per la società intera. In alcuni casi, lo sconforto arriva a trasformarsi in vera e propria disperazione per il futuro del proprio figlio, prospettato come un destino di emarginazione e di solitudine. Per tutte queste ragioni, è di fondamentale importanza che la famiglia non venga lasciata da sola ad affrontare l’angoscia e tutte le problematiche connesse con l’esperienza di un figlio con autismo, ma che le venga fornito un sostegno concreto e psicologico che l’aiuti nel processo di adattamento alla situazione di handicap. Affinché questo percorso sia portato a termine con esiti positivi è importante che la famiglia venga supportata in maniera articolata e continuata nel tempo. I gruppi di mutuo-aiuto sono “piccoli gruppi di persone accomunate dal fatto di vivere la stessa condizione di genitori di bambini in situazione di handicap”. Il fatto di non essere i soli a vivere una condizione difficile, il poter appurare che in molte situazioni altri hanno trovato le modalità giuste per vivere in maniera soddisfacente, rappresenta una opportunità molto forte per riflettere sulla propria condizione e apprezzare molte cose alle quali si tendeva a dare scarsa importanza. Nel gruppo di mutuo-aiuto ogni membro è contemporaneamente fruitore e dispensatore di aiuto, in funzione dell’esperienza maturata nei confronti del problema. I programmi di parent training rappresentano invece una forma di sostegno alle famiglie più strutturata, che ha una precisa valenza pedagogica. Si tratta, infatti, di veri e propri programmi formativi condotti da personale specializzato, finalizzati alla promozione di abilità utili per il potenziamento delle risorse familiari e della capacità di gestione dei problemi connessi. Durante i corsi di parent training i genitori imparano a definire, osservare e analizzare i problemi dei propri figli in termini di abilità e di comportamenti; imparano ad analizzare l’ambiente in cui il problema si verifica in termini di stimoli facilitanti o inibenti; imparano a porsi mete ragionevoli e misurabili e a stabilire criteri precisi per valutare il raggiungimento di tali mete.

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