Capitolo 4: Il Regime Fascista PDF

Summary

Questo documento riassume il Capitolo 4 sul regime fascista, includendo parole chiave come "Vittoria mutilata", "Fasci di combattimento", e "Marcia su Roma". Analizza anche la crisi del dopoguerra e il "biennio rosso" in Italia, con particolare attenzione alle tensioni sociali e alle occupazioni delle fabbriche.

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# CAPITOLO 4 Il regime fascista ## PAROLE CHIAVE * Vittoria mutilata * Fasci di combattimento * Squadrismo * Marcia su Roma * Totalitarismo * Propaganda * Duce * Leggi razziali * Autarchia ▲ I discorsi di Mussolini Piazza Venezia a Roma, 1929: la folla è riunita per ascoltare uno degli enfatici d...

# CAPITOLO 4 Il regime fascista ## PAROLE CHIAVE * Vittoria mutilata * Fasci di combattimento * Squadrismo * Marcia su Roma * Totalitarismo * Propaganda * Duce * Leggi razziali * Autarchia ▲ I discorsi di Mussolini Piazza Venezia a Roma, 1929: la folla è riunita per ascoltare uno degli enfatici discorsi del Duce. # La crisi del dopoguerra e il "biennio rosso" ## IL PARAGRAFO IN SINTESI 1919-20 "biennio rosso": occupazioni delle fabbriche e delle terre. Giolitti: nessun intervento armato contro gli operai. ↓ Fine spontanea delle occupazioni. ## La crisi economica e la vita quotidiana Anche se l'Italia era uno degli stati vincitori della Prima guerra mondiale, la sua situazione economica nel primo dopoguerra non era affatto buona. Il fenomeno che causava i maggiori disagi alla popolazione era l'inflazione, determinata dalle spese elevate sostenute durante il conflitto, che avevano costretto l'Italia a indebitarsi con i paesi esteri e a svalutare la propria moneta. Il valore della moneta di uno stato, infatti, è legato a vari fattori, tra cui il peso dei debiti che esso ha accumulato: maggiore è il livello del debito, più forte è la tendenza della moneta a svalutarsi. Tale contesto economico aveva pesanti conseguenze sulla vita quotidiana della popolazione. L'Italia, infatti, importava molti prodotti dall'estero e, a causa della svalutazione della moneta, i prezzi di molti generi di prima necessità aumentarono in modo significativo. Ciò produsse spontanee manifestazioni di protesta contro il carovita, cioè l'aumento del costo della vita, che in molte città italiane, durante l'estate del 1919, assunsero il carattere di vere e proprie rivolte. Vi era poi il problema della disoccupazione, che toccava numerosi settori produttivi. Con la fine della guerra, le industrie che avevano prodotto armamenti o forniture per l'esercito dovettero riconvertirsi a nuovi tipi di produzione: ciò richiedeva tempi lunghi e, nel frattempo, il personale assunto nel corso del conflitto veniva licenziato. ## Le proteste di operai e contadini Inflazione e disoccupazione colpivano soprattutto quella parte della popolazione che svolgeva un lavoro dipendente e riceveva quindi uno stipendio fisso: operai, impiegati e contadini che non possedevano terre proprie. Le manifestazioni spontanee contro il carovita coinvolsero soprattutto operai e contadini. A questo tipo di iniziative si accompagnarono anche le mobilitazioni organizzate dai sindacati operai, che diedero vita a scioperi contro la crescita dei prezzi e per chiedere aumenti salariali e la riduzione dell'orario di lavoro. I contadini, invece, protestavano principalmente per ottenere terre da coltivare, oltre che per avere migliori contratti di lavoro. Nel corso della guerra, in particolare dopo la disfatta di Caporetto, i milioni di contadini arruolati nell'esercito erano stati spinti a combattere con la promessa che, dopo la vittoria, avrebbero ottenuto una terra da coltivare. La promessa non fu mantenuta, perché i grandi proprietari terrieri non avevano alcuna intenzione di accettare una suddivisione, anche se parziale, delle terre. La mancata riforma agraria determinò, soprattutto nell'Italia meridionale, l'occupazione delle terre incolte da parte dei contadini. In molte regioni, in particolare nella planura padana e in Puglia, si formarono leghe contadine di tipo sindacale che, con le loro lotte, riuscirono a imporre al proprietari terrieri aumenti salariali, l'imponibile di manodopera e il controllo del collocamento. ## Il conservatorismo del ceto medio Alla crisi del dopoguerra il ceto medio reagi in modo differente. Usando l'espressione "ceto medio" ci riferiamo a gruppi sociali molto diversi tra di loro: professionisti, commercianti e impiegati. Tra questi, gli impiegati si trovavano, come si è detto, in una situazione per molti aspetti simile a quella degli operai, in quanto erano anch'essi colpiti dall'aumento dei prezzi e dalla disoccupazione. Gli impiegati, tuttavia, non erano organizzati in sindacati, e ritenevano di avere una posizione sociale più alta rispetto agli operai e al contadini, dei quali non condividevano né le idee né le iniziative. Durante la guerra molti di loro, grazie al possesso di un titolo di studio, erano stati ufficiali, si erano abituati al comando e non accettavano l'idea di perdere il loro prestigio. Più in generale, il ceto medio aveva sostenuto con entusiasmo il nazionalismo, l'interventismo e la guerra, distinguendosi nettamente dagli operai e dal contadini, che avevano avuto in prevalenza posizioni neutraliste. Non a caso, a differenza che tra gli operai e i contadini, all'interno del ceto medio nel dopoguerra si diffusero posizioni politiche fortemente conservatrici, che vedevano con ostilità le proteste operaie e il rafforzamento del movimento socialista. ## Suffragio universale e partiti di massa Anche dal punto di vista politico la situazione del dopoguerra vide profondi cambiamenti rispetto all'epoca precedente. A seguito dell'introduzione del suffragio universale maschile, la vita politica cominciò ad essere dominata dal partiti di massa, cioè dalle organizzazioni politiche dotate di un'ideologia ben precisa, su cui si basava il programma del partito e di una struttura stabile, presente su tutto il territorio nazionale. Prima del conflitto mondiale la grande maggioranza dei deputati nel parlamento italiano era formata da esponenti liberali. I gruppi liberali, tuttavia, non costituivano un partito di massa organizzato e presentavano al loro interno posizioni molto diverse: da quelle più progressiste dei radicali, a quelle di Giolitti e dei suoi sostenitori, favorevoli a riforme sociali moderate, a quelle più conservatrici. ## Dal sistema maggioritario al sistema proporzionale Già nel 1913, con il suffragio universale maschile, erano state elette in parlamento alcune decine di deputati socialisti e cattolici. Fu però con le elezioni del 1919 che il quadro politico italiano mutò profondamente, in seguito sia a un cambiamento negli orientamenti dell'elettorato, sia all'introduzione di un nuovo sistema elettorale di tipo proporzionale, che tendeva a favorire i partiti politici organizzati. In precedenza in Italia era sempre stato usato il sistema elettorale uninominale maggioritario: esso prevede che il territorio dello stato venga diviso in tanti collegi elettorali quanti sono i seggi al parlamento e che il seggio di ogni collegio venga assegnato al candidato che ha ottenuto la maggioranza dei voti. In genere negli stati dove vige questo sistema elettorale i seggi tendono a essere attribuiti prevalentemente a due soli partiti, perché questo sistema di voto rende molto difficile l'accesso al parlamento dei partiti di piccole dimensioni. Nel sistema proporzionale, invece, i seggi vengono ripartiti in proporzione al voti ottenuti da ciascun partito su tutto il territorio nazionale. Con questo sistema possono essere rappresentati in parlamento molti partiti politici, anche di piccole dimensioni. ## Le elezioni del 1919 Nelle elezioni del 1919 il Partito socialista, che ottenne il 32,3% dei voti e 156 deputati, ebbe la maggioranza relativa (che si ha quando un partito ottiene più voti di tutti gli altri partiti, ma rimane al di sotto del 50%). Al secondo posto si collocd, con (120,5% dei voti e 100 deputati, il Partito popolare, il nuovo partito di orientamento cattolico fondato in quello stesso anno dal sacerdote cattolico Luigi Sturzo. Tutte le altre liste, tra cui quelle di ispirazione liberale, raccolsero il resto dei 508 seggi: per la prima volta dalla nascita del Regno d'Italia i liberali non ebbero più la maggioranza assoluta (che si ottiene superando il 50% dei consensi) e furono costretti a governare con il sostegno di deputati cattolici. ## I socialisti Il Partito socialista, fondato nel 1892, era quello più votato dagli operai e da una parte dei contadini, e si era rafforzato a seguito dei movimenti di protesta del dopoguerra. Al Partito socialista erano infatti legate sia la Cgl (Confederazione generale dei lavoratori), il principale sindacato operaio, fondato nel 1906, sia la Federterra, una delle principali associazioni di contadini. Il successo della rivoluzione russa, inoltre, aveva contribuito a diffondere ancora di più l'ideologia socialista tra le classi popolari, poiché sembrava essere la dimostrazione che era davvero possibile realizzare una società socialista. Il partito, però, era profondamente diviso al proprio interno. Vi erano due correnti principali: * i riformisti, guidati dal fondatore del partito Filippo Turati, pensavano che si potessero introdurre miglioramenti nelle condizioni dei lavoratori con riforme progressive e senza dover ricorrere alla rivoluzione; * i massimalisti, che costituivano la maggioranza dei socialisti italiani, prendevano come modello la rivoluzione russa, anche se non proponevano strategie precise su come organizzare una rivoluzione in Italia. ## I popolari Il Partito popolare si ispirava alla dottrina sociale cattolica, formulata da papa Leone XIII nell'enciclica Rerum novarum del 1891: essa prevedeva la necessità di introdurre riforme sociali che migliorassero le condizioni delle classi più povere, da realizzare non con una rivoluzione o con la lotta di classe ma con un accordo tra le diverse classi sociali, cioè secondo una logica interclassista. I popolari avevano un seguito soprattutto tra i contadini di alcune regioni del nord (come il Veneto) e del centro-sud. Non era un radicamento casuale: già dagli ultimi decenni dell'Ottocento la chiesa aveva organizzato cooperative e banche per aiutare la popolazione delle campagne; inoltre, nel 1918, era stato fondato un sindacato cattolico, la Confederazione italiana dei lavoratori (Cil). Anche il Partito popolare, però, era diviso al suo interno: vi erano sindacalisti, come Guido Miglioli, che avevano posizioni non molto lontane da quelle dei socialisti; vi erano cattolici sostenitori della democrazia, come Sturzo, ma anche cattolici conservatori, contrari a ogni riforma. ## I nazionalisti Non tutta la popolazione, ovviamente, sosteneva i socialisti e i popolari. Il ceto medio nutriva crescenti simpatie per i nazionalisti. Questo gruppo politico, che aveva mobilitato la popolazione a favore dell'entrata in guerra nel 1915, aveva tra le sue figure di riferimento il poeta Gabriele D'Annunzio. La posizione dei nazionalisti, alla fine della guerra, si riassumeva nell'espressione vittoria mutilata: anche se con i trattati di pace l'Italia aveva ottenuto Trento e Trieste, l'Alto Adige e l'Istria, i nazionalisti si aspettavano di più; soprattutto, rivendicavano la città croata di Fiume (che aveva una popolazione in maggioranza italiana), e avrebbero voluto che l'Italia si espandesse anche in Dalmazia (dove invece la popolazione era in maggioranza slava) e in una parte delle ex colonie tedesche. Bisogna a questo proposito ricordare che il patto di Londra, stipulato nell'aprile 1915 tra il governo italiano e i governi di Gran Bretagna e Francia, prevedeva effettivamente l'assegnazione all'Italia della Dalmazia (ma non della città di Fiume) e di una parte delle colonie appartenute alla Germania. Va però anche sottolineato che nel 1915 le diplomazie degli stati potevano ipotizzare che, a seguito del conflitto, l'Impero austro-ungarico si sarebbe ridimensionato, ma non potevano di certo immaginare che esso sarebbe scomparso. La nascita della Iugoslavia, che occupava molti dei territori appartenuti all'Impero asburgico, rese difficile mantenere tutti gli impegni presi con l'Italia, dal momento che la Dalmazia era abitata prevalentemente da popolazioni slave e, in base al principio di autodeterminazione, spettava a uno stato slavo. ## L'impresa di Fiume Per protesta contro la mancata assegnazione della Dalmazia e di Fiume all'Italia, il 12 settembre 1919 un gruppo di reduci guidato da D'Annunzio occupò Fiume e tenne la città sotto il proprio controllo per più di un anno. L'esercito italiano cacciò D'Annunzio e i suoi uomini nel 1920, quando Italia e Iugoslavia stipularono il trattato di Rapallo che stabiliva che Fiume sarebbe diventata una città libera (non italiana né iugoslava, anche se nel 1924 verrà annes-sa all'Italia) e che Zara e alcune isole della Dalmazia sarebbero diventate italiane. L'occupazione di Fiume mostrò che i settori politici di destra intendevano agire al di fuori della legge e anche usando la violenza; inoltre, rese evidente la debolezza dei governi italiani, che per oltre un anno non avevano saputo reagire a un'azione militare che violava il diritto internazionale. ## Le occupazioni del 1919-20: il "biennio rosso" Tra il 1919 e il 1920 le lotte degli operai e dei contadini, organizzate in particolare dal sindacato e dal Partito socialista, raggiunsero il massimo dell'intensità, tanto che gli anni 1919-20 vengono ricordati come il "biennio rosso". La protesta più clamorosa, nel settembre del 1920, fu l'occupazione di molte fabbriche di Milano, Torino e Genova da parte degli operai, dopo che i proprietari avevano rifiutato aumenti salariali e avevano deciso la serrata. L'occupazione durò alcune settimane. Contemporaneamente, in diverse parti d'Italia continuavano le occupazioni delle terre. Molti pensarono – chi con speranza, chi con terrore – che in Italia stesse per scoppiare una rivoluzione simile a quella russa del 1917. Chi non credeva alla possibilità di una rivoluzione era Giovanni Giolitti, il capo del governo nato dopo le elezioni del 1919. Egli era convinto che la maggior parte dei dirigenti socialisti non spingesse le proteste verso un esito rivoluzionario: molti di loro, infatti, erano su posizioni riformiste o comunque non ritenevano i tempi maturi. In base a queste considerazioni il primo ministro italiano non mandò l'esercito a reprimere gli occupanti, come gli chiedevano i proprietari delle fabbriche, ma aspettò che le proteste si spegnessero da sole. I fatti gli diedero ragione. Dopo alcune settimane di occupazione, la maggioranza dei membri della Cgl bocciò la proposta di una parte dei dirigenti del Partito socialista di indire uno sciopero generale, che avrebbe allargato la protesta e forse favorito lo scoppio della rivoluzione, e chiese agli operai di interrompere l'occupazione delle fabbriche in cambio di aumenti di stipendio e della possibilità della partecipazione dei lavoratori alle decisioni sull'organizzazione del lavoro. # Il fascismo al potere ## IL PARAGRAFO IN SINTESI * Ideologia antidemocratica * Organizzazione di tipo militare * Sostegno del ceto medio * Violenza contro gli avversari politici * Marcia su Roma e Mussolini capo del governo ## Le origini del fascismo In questo periodo di tensioni e lotte sociali, nella politica italiana si produsse una novità che avrebbe completamente sconvolto la situazione: la nascita del fascismo. Nel 1919 Benito Mussolini fondò un nuovo movimento politico, i Fasci di combattimento. Il programma iniziale dei Fasci, che fu presto abbandonato, era piuttosto eterogeneo e fondeva elementi "di sinistra" con elementi nazionalisti. I fascisti si presentavano come repubblicani, anticlericali, e apparentemente ultrademocratici (rivendicavano il diritto di voto per le donne, l'abolizione del senato di nomina regia, la giornata lavorativa di otto ore, una tassazione straordinaria dei capitali). In realtà la loro ispirazione di fondo era antidemocratica e antisocialista: il movimento fascista si propose fin da subito come il principale avversario del Partito socialista, in quanto opponeva alla lotta di classe l'esaltazione della patria, dell'ordine e dell'autorità. Nel 1921 il movimento fascista divenne un vero e proprio partito, con il nome di Partito nazionale fascista e cancellò dal proprio programma tutti i contenuti progressisti; nel 1923 si fuse con il Partito nazionalista. ## La violenza come strumento di affermazione politica A caratterizzare il movimento fascista furono la sua composizione – per lo più si trattava di giovani ex militari, come lo stesso Mussolini – e l'uso su larga scala della violenza contro gli avversari politici, in particolare contro i socialisti e i lavoratori che manifestavano. Solo nei primi sei mesi del 1921 si calcola che vennero distrutte più di 700 sedi di movimenti e organizzazioni di sinistra. Centinaia furono anche i morti causati dalle violenze fasciste che miravano a umiliare gli avversari, prima ancora che a eliminarli: una pratica molto diffusa era quella di bastonare una persona e poi di abbandonarla nuda, legata a un albero, dopo averla obbligata a bere olio di ricino (ottenuto dalla spremitura dei semi della pianta del ricino) dai fortissimi effetti purganti. A partire dall'autunno del 1920 la violenza fascista si organizzò in un vero e proprio squadrismo, i fascisti cominciarono cioè ad agire in squadre strutturate militarmente, con armi e divisa: gli squadristi indossavano camicia nera, fez (caratteristico berretto con cordoncini pendenti) e mostrine con il simbolo del fascio littorio (antico simbolo romano) o del teschio. Bisogna precisare che i fascisti non nascondevano la propria violenza, ma la rivendicavano, presentandola come "sana" manifestazione di forza e di volontà, contrapposta alla debolezza e all'impotenza dei governi liberali. Anche se la cosa oggi ci può meravigliare, questo aspetto del fascismo affascinava una parte della popolazione italiana dell'epoca. Fino al 1921 le azioni dei fascisti si rivolsero soprattutto contro i movimenti di protesta dei contadini, i quali venivano costretti a sgomberare le terre occupate o a sospendere gli scioperi nelle campagne. Nel 1921-22 le squadre fasciste colpirono anche nelle città, alcune delle quali, per esempio Parma e Bologna, vennero occupate con la forza poiché guidate da sindaci socialisti. L'atteggiamento delle forze dell'ordine e della magistratura nei confronti di queste azioni violente e dei loro responsabili fu esitante o, spesso, addirittu- ra connivente. Il movimento non fu represso con l'energia che sarebbe stata possibile e necessaria e, salvo rari casi, gli squadristi fascisti poterono agire senza doversi scontrare con le forze dell'ordine. ## Sostenitori del fascismo Molti esponenti del ceto medio simpatizzavano per il fascismo, perché erano spaventati dalle proteste degli operai e dei contadini e temevano i socialisti: l'avversione nei confronti di una possibile rivoluzione comunista li portava a considerare con favore il fatto che qualcuno reagisse alle proteste utilizzando la forza. Non a caso, la maggioranza degli squadristi proveniva proprio da questo strato della società. Anche i proprietari terrieri sostenevano i fascisti; anzi furono proprio loro i primi a finanziarli, il che spiega perché le prime azioni violente dei fascisti si diressero proprio contro i contadini in lotta. Gli industriali cominciarono ad appoggiare Mussolini dopo l'occupazione delle fabbriche, perché avevano giudicato la reazione del governo troppo debole. Anche se la previsione di Giolitti che non vi sarebbe stata nessuna rivoluzione e che la protesta sarebbe terminata con un semplice accordo sindacale si era rivelata giusta, questo non aveva tranquillizzato gli industriali che, anzi, avevano cominciato a guardare con favore al fascismo per la sua maggiore decisione nel combattere gli operai e le sinistre; possiamo leggere una testimonianza in questo senso nelle VOCI DELLA STORIA. Il fascismo era sostenuto anche da molti esponenti delle istituzioni: militari, poliziotti, magistrati. Persino all'interno della corte molti, tra cui la stessa regina Margherita di Savoia, madre del re Vittorio Emanuele III, simpatizzava- no per il fascismo. Insomma, tra i ceti dirigenti italiani si stava diffondendo la convinzione che il fascismo, nonostante il suo carattere violento, o forse proprio per questo, poteva essere uno strumento per allontanare lo spettro della rivoluzione. I liberali, ai loro occhi, erano ormai troppo deboli e ciò appariva evidente dai continui cambi di governo: dall'occupazione delle fabbriche del 1920 alla salita al potere di Mussolini nel 1922 si alternarono ben quattro governi a guida liberale. ## L'atteggiamento delle altre forze politiche Anche tra gli esponenti delle forze politiche non fasciste vi era chi guardava al movimento fascista con una certa benevolenza, perché pensava che potesse fermare le sinistre. Per esempio i liberali, compreso lo stesso Giolitti, ritenevano che fosse possibile stringere un accordo con Mussolini, al punto che, nelle elezioni del 1921, i fascisti (che nel 1919 non avevano ottenuto alcun eletto) si candidarono nelle liste guidate da Giolitti e riuscirono per la prima volta a entrare in parlamento con 35 deputati, su un totale di 535. Giolitti era convinto di poter fare con i fascisti quello che aveva cercato di fare con i socialisti prima della guerra mondiale: coinvolgerli nell'azione di governo, facendo loro anche qualche concessione, per poterne neutralizzare le spinte più eversive e renderli più moderati. Questo calcolo, come vedremo tra poco, si rivelerà sbagliato. Anche una parte dei cattolici, quella di orientamento più conservatore, pensa- va di potersi accordare con Mussolini; questa linea venne sostenuta dal nuovo papa Pio XI, eletto nel febbraio 1922, il quale non escludeva la possibilità di una collaborazione con i fascisti. ## La marcia su Roma La marcia su Roma fu un evento chiave per l'ascesa al potere di Benito Mussolini. Mussolini mobilitò le squadre fasciste in una marcia su Roma che avrebbe dovuto portare alla conquista del potere. Il capo del governo, il liberale Luigi Facta, chiese al re di proclamare lo stato d'assedio, necessario per poter utilizzare l'esercito, ma Vittorio Emanuele III non accettò questa proposta e, anzi, il 29 ottobre, quando la capitale era stata ormai invasa dalle squadre fasciste, nominò Mussolini capo del governo. Si trattava di un atto gravissimo: il re proclamava capo del governo il leader di un partito che aveva pochissimi deputati eletti in parlamento e aveva ottenuto la nomina sotto la minaccia delle armi. ## Le divisioni degli antifascisti I fascisti furono avvantaggiati anche dalle divisioni che indebolivano i loro principali avversari, i socialisti. La fine dell'occupazione delle fabbriche aveva deluso quella parte della classe operaia che aveva sperato in un esito rivoluzionario. La stessa delusione aveva spinto una parte dei membri del Partito socialista a dar vita a un nuovo partito, il Partito comunista d'Italia, fondato a Livorno nel gennaio del 1921 con il proposito di avviare in Italia un processo rivoluzionario simile a quello russo. Un anno dopo, nel 1922, anche l'ala moderata dei socialisti si staccò dal partito e diede vita al Partito socialista unitario. Quindi nel 1922, mentre i fascisti si andavano rafforzando in tutto il paese, i socialisti erano divisi in ben tre partiti e il Partito popolare, anche se formalmente unito, in realtà aveva al suo interno posizioni molto diverse sul futuro dell'Italia.

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