PDF - Storia dell'Italia Contemporanea Cap 1 a Cap 8

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dopoguerra fascismo Seconda guerra mondiale storia italiana

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Questo documento esplora la storia dell'Italia contemporanea dal dopoguerra, analizzando il fascismo e gli impatti della Seconda Guerra Mondiale. Il testo esamina le trasformazioni sociali e politiche in Italia, i conflitti del periodo, e l'ascesa e caduta del regime fascista, offrendo una panoramica dettagliata degli eventi chiave e delle loro conseguenze.

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Capitolo 1: Dopoguerra 1. Estate 1943: un teatro di guerra La Repubblica Italiana si colloca nel cuore del Novecento dentro le vicende che attraversano l’età della catastrofe, il tempo che unisce il primo dal secondo conflitto mondiale. Tra il 1915 e il 1945 nella prima metà del secolo, le trasf...

Capitolo 1: Dopoguerra 1. Estate 1943: un teatro di guerra La Repubblica Italiana si colloca nel cuore del Novecento dentro le vicende che attraversano l’età della catastrofe, il tempo che unisce il primo dal secondo conflitto mondiale. Tra il 1915 e il 1945 nella prima metà del secolo, le trasformazioni di quella che prende il nome di “società di massa” modificano le forme delle relazioni tra individuo e collettività, tra diritti e poteri. La Repubblica rappresenta innanzitutto un cammino, un orizzonte possibile, a partire da quel certificato che porta la data del referendum del 2 giugno 1946. Il dopoguerra italiano è quindi uno spazio definito dalla conclusione della Seconda guerra mondiale che si proietta fino al presente, segnato da fratture e continuità, attraversato dal faticoso e complesso itinerario di una comunità nazionale. In fondo la Repubblica ha vissuto stagioni diverse che ne hanno modificato tratti costitutivi in un continuo e incessante tentativo di collocare il proprio cammino all’interno di un contesto più ampio, di un quadro di riferimento fatto di vincoli, compatibilità, sfide collettive: il nesso mutevole tra equilibrio interno e dimensione internazionale. Acquista senso e significato allora collocare le radici della Repubblica a un grappolo di questioni, un groviglio di situazioni incerte: l’uscita dal fascismo con la crisi del regime e le sue ricadute, la cesura della seconda guerra mondiale che taglia in due il secolo e attraversa condizionando i protagonisti della vicenda nazionale, la guerra civile che insanguina la penisola muovendo scelte e comportamenti fino a collocare gli italiani su sponde e prospettive contrapposte; non si tratta quindi di un cammino con verso univoco e rassicurante. La percezione della crisi del fascismo si salda con la condotta della guerra e gli insuccessi registrati da Mussolini nelle sue imprese mal costruite e mal gestite. Un cammino alternativo, un’ipotesi di uscita dal fascismo è collegabile alla progressiva sconfitta dell’idea stessa di una possibile guerra parallela: da una parte Hitler e la Germania nazista, dall’altra Mussolini e l’Italia fascista, stessi nemici, ma percorsi e strategie non convergenti. Per il fascismo si tratta di una scommessa azzardata, fondata su presupposti non consolidati, che si manifestano a partire dalla campagna di aggressione alla Grecia nell'autunno 1940, pochi mesi dopo l'ingresso nel conflitto con la dichiarazione enfatica del 10 giugno. L'esito disastroso della campagna di aggressione segna un punto di svolta, la fine di pretese egemoniche continentali o progetti di potenza: l’Italia fascista assume il ruolo e la funzione di alleato subalterno e subordinato alle strategie belliche del terzo Reich. Ecco il punto di crisi del regime, L'inizio di un'erosione progressiva di quel consenso che pure aveva caratterizzato il fascismo nel suo rapporto con il corpo pulsante della società italiana. Contrariamente a quanto raccontato per lunghi anni, la guerra diventa una rivelazione, persino involontaria dei limiti e delle debolezze di una costruzione nazionale fondata sulla forza e la potenza. Il messaggio che il capo del fascismo consegna alla radio il 2 dicembre 1942 segna la fine di un mito capace di sostituirsi alle idee di nazione e Stato che avevano retto i primi decenni post- unitari: Il dissolvimento sembra avvicinarsi inesorabilmente, non ci sono contromosse o reazioni possibili, in sostanza l'invito era quello di arrangiarsi trovando soluzione o salvezza individuale. La guerra prosegue, ma il controllo non è più nelle mani di chi l'aveva cercata e proposta come soluzione palingenetica. Tra la fine del 1942 e l'inizio del nuovo anno i tedeschi cominciano a trasformarsi da alleati in nemici, quel fronte compatto mostra crepe e gravi responsabilità.A partire dai primi mesi del 1943 i racconti dei soldati rientrati dalla catastrofica ritirata sul fronte russo contribuiscono a rafforzare l'immagine di una debolezza generalizzata. La paura diventa il tratto unificante, le colpe del regime sono sotto gli occhi di molti. 1 Benedetto Croce ha definito il fascismo una parentesi nella storia d’Italia; tuttavia, forse non lo è perché si tratta di un elemento che ha ancora delle ripercussioni, la parentesi, invece, ad un certo punto si chiude. Tra le eredità più feconde e profonde del Novecento si colloca la progressiva globalizzazione dei processi storici, oggi con espressione ridondante e carica di significati controversi si parla di storia globale, di un tempo passato che per essere analizzato e forse compreso allarga progressivamente confini e ambiti di riferimento. La storia contemporanea affiancata dalla storia dei partiti e dei movimenti politici, la storia dei trattati e delle relazioni internazionali sovrapposta agli eventi riconducibili a matrici nazionali. Le due guerre mondiali trasformano i percorsi dei diversi nazionalismi, esaltano il ruolo e la funzione della violenza, rimandano al responso dei campi di battaglia ogni riferimento a un equilibrio tra poteri e nazioni nella ricerca di un criterio che possa corrispondere alle logiche di potenza. I conflitti sono l’occasione per misurare coalizioni e progetti alternativi, anche il cammino del dopoguerra italiano si colloca in questo scenario complessivo talvolta offuscato dalla scomoda eredità del fascismo e dai lasciti di una narrazione che ha privilegiato i tratti di discontinuità per dare alla Repubblica uno spazio sgombro (almeno in partenza) dalle zavorre di un passato ingombrante. Il dopoguerra italiano è parte di una storia più ampia, inserito nel cammino di definizione di un ordine internazionale come risposta alle tragedie che l’umanità aveva conosciuto. L’alleanza tra fascismo e nazismo ha radici profonde. Due regimi che s’incontrano in un tratto di strada breve, tra gli inizi degli anni Venti e il decennio successivo. Condividono alcune linee guida sul destino dell’Europa e sulla natura della presenza dell’umano sulla terra, hanno nemici in comune vicini e lontani, temono la democrazia e le sue forme storiche. Per costruire il proprio disegno, per forgiare un uomo nuovo meritevole di calpestare la superficie del pianeta hanno bisogno di una grande prova, di una sfida che possa al tempo stesso allargare il proprio spazio vitale e distruggere chi non rientra nelle categorie e nei dettami del nuovo ordine. Una guerra senza precedenti, dove la dimensione territoriale si accompagna e si sovrappone a un disegno ben più ambizioso e complesso: stabilire chi ha i titoli per sentirsi parte del nuovo ordine e chi invece non può partecipare, deve essere escluso, rinchiuso o eliminato. Ecco perché lo scontro ha in palio qualcosa di più che l’esito di un conflitto, molto di più della sovranità riconosciuta su un territorio conteso: non si può pareggiare, ne é consentito trovare una via d’uscita a metà strada. La caduta del fascismo, la sua crisi di legittimità, s’iscrivono quindi nella sconfitta di un disegno egemonico e nella contestuale costruzione di qualcosa di nuovo: un progetto con l’ambizione di eliminare la guerra della storia, la violenza dal destino delle generazioni future. Da qui il nesso con il dopo, il dopoguerra, l’espressione ricorrente di una Repubblica nata dalla cesura della guerra totale. Basta riprendere il filo degli eventi principali per trovare il bandolo della matassa (la soluzione), il punto di incontro tra le dinamiche interne di un paese segnato dal ventennio fascista e il contesto internazionale che si modifica tra il 1939 e il 1945. Dopo un avvio dei grandi successi per la Germania di Hitler tutto diventa più complicato. La prima fase assomiglia a un’avanzata inarrestabile, in tutte le direzioni dall’Est Europa a Parigi, dai Balcani al mar Baltico. Solo l’Inghilterra resiste nella gloriosa battaglia sui cieli mentre gli Stati Uniti sono ancora alla finestra (ci resteranno incerti fino al dicembre 1941 dopo l’attacco di Pearl Harbour). 2 Poi la svolta in una fase di stallo o di attesa. S’interrompe la marcia trionfale del nuovo ordine hitleriano e il campo avverso comincia a riorganizzarsi a partire dalle prime vittorie nei deserti del Nord Africa: le truppe dell’Asse colpite e spinte indietro. Le divisioni italiane vengono umiliate in Grecia e in Africa; la musica cambia in modo repentino, con un costo alto di mezzi e di vite umane. Dopo la resa di von Paulus a Stalingrado e la vittoria di Montgomery e El Alamein le sorti del conflitto muovono lentamente verso gli Alleati. Il mondo appare più piccolo e più fragile, appeso a un destino comune, quello di poter organizzare la riconquista delle terra che la Germania con i suoi satelliti aveva occupato. Sono le premesse che anticipano la sfida al cuore del Terzo Reich. Maturano in questi mesi termini e progetti che segneranno un lungo tempo, a partire dalla carta atlantica e dall’espressione Nazioni Unite che, rovesciando il paradigma nazionalista, aprono il cantiere di un confronto verso l’ipotesi di una collaborazione reciproca: vincere la guerra per costruire il domani. In fondo la convinzione che progressivamente si fa strada è che non si dovesse soltanto vincere sui campi di battaglia, ma che la cifra più nitida della vittoria sarebbe stata quella di proporre un altro progetto di convivenza e solidarietà. La resa incondizionata di Hitler avrebbe aperto un cammino inedito rendendo possibile ciò che in passato era clamorosamente fallito. Tra la fine del 1942 e i primi mesi del nuovo anno il mito di Mussolini comincia ad andare in frantumi, mentre la tenuta delle potenze dell’Asse viene messa a dura prova dall’avvio della controffensiva alleata. Arriva la svolta cruciale dell’estate del 1943 quando il teatro di guerra del Mediteranneo coinvolge il territorio della penisola italiana. Tutto sembra precipitare in pochi giorni, a partire dal mese di luglio: lo sbarco alleato in Sicilia, il primo bombardamento sulla città di Roma, il voto del Gran consiglio del fascismo che mette Mussolini in minoranza, aprendo così la crisi del regime. La Campagna d’Italia è in atto, la liberazione dell’Europa passa per un asse che dalla Sicilia punta verso Nord, la guerra migra dai deserti del Nord Africa alla terraferma italiana. Una decisione controversa, che divide i principali protagonisti: gli americani premono per portare il cuore dello scontro sul continente europeo privilegiando l’ipotesi di uno sbarco massiccio delle coste francesi; gli inglesi al contrario propendono per un’opera di contenimento sui diversi fronti allo scopo di indebolire la Germania prima di lanciare l’offensiva finale. Colpire l’Italia fascista assume significati diversi: avvicinarsi a Berlino, dare un segnale incoraggiante alle divisioni impegnate su altri fronti, rovesciare l’alleato storico di Hitler, creare le premesse necessarie a un esito favorevole del conflitto. Ma il cammino sarà ben più complicato di quanto gli altri comandi alleati avessero immaginato. Mentre il regime fascista inizia il suo lento e drammatico declino, la guerra travolge gli equilibri politici e i confini geografici della penisola. Nulla sarà più come prima. La sola autorità rimasta è quella del pontefice a difesa della città eterna e dei suoi luoghi sacri, mentre tutto cambia nel breve spazio di poche settimane. La crisi del regime complica lo scenario della dialettica tra Alleati e potenze dell’Asse. Un governo provvisorio fascista, i 45 giorni di Badoglio raccoglie i brandelli di potere che il fascismo aveva cercato di difendere, la Monarchia complice dell’ascesa di Mussolini vuole voltare pagina nei 45 giorni che separano il voto del Gran consiglio del fascismo il 25 luglio (con la destituzione di Mussolini) dall’armistizio dell’8 settembre 1943. 25 luglio 1943 avviene la seduta del Gran Consiglio del Fascismo che destituisce costituzionalmente Mussolini. Quest’ultimo il 26 luglio va dal Re, che gli revoca l’incarico poiché era ancora il 3 Capo dello Stato. Il Re prende la precauzione di farlo uscire in un’ambulanza affinché non venga riconosciuto e portato in un luogo sicuro. Si tratta di un arresto a tutti gli effetti. Sempre il 26 luglio il maresciallo Badoglio, alla radio, afferma che sua maestà ha accettato le dimissioni di Mussolini e l’ha nominato Capo dello Stato, sarà colui che deciderà di continuare la guerra a fianco dei suoi alleati (la Germania). La corte e il governo si trasferiscono al Sud, era un governo non politico ma tecnico. Le forze politiche non possono ancora entrare nel governo, molti membri dei partiti sono stati esiliati o uccisi, le brigate partigiane agiscono segretamente. Il nuovo governo viene irriso e mal sopportato da entrambi i contendenti: traditore per i nazisti, incerto e inaffidabile per i governi di Londra e Washington. Si fatica a distinguere le forze in campo e a tracciare una linea certa che divida i compagni di strada dai nemici, gli interlocutori dagli avversari. Il governo provvisorio presieduto da Pietro Badoglio firma a settembre l’armistizio con gli angloamericani. L’armistizio è una sospensione di ostilità, confermata il 13 ottobre quando il Regno del Sud d’Italia dichiara guerra alla Germania, diventando cobelligerante (a fianco di una potenza ma senza un trattato formale) a fianco le Nazioni Unite, non alleate. Si volevano attenuare le clausole del trattato di pace, per cui nell’immaginario collettivo degli italiani, l’Italia combatte contro i tedeschi, con i quali non avevano mai voluto allearsi. Un tempo gli italiani amavano la Germania, tuttavia sembrava naturale combattere contro i tedeschi, molti erano contrari perché ricordavano le vicende della Prima Guerra Mondiale. Come il tradimento del Patto di Londra (26 aprile 1915), l’Italia firma un patto segreto con la Gran Bretagna, la Russia e la Francia. Il 24 maggio l’Italia entra in guerra affianco alla Triplice Intesa, i tedeschi dicono che l’Italia li ha traditi. Anche se il trattato della Triplice Alleanza (tra impero tedesco e impero austro-ungarico) prevedesse che l’Italia non entrasse in guerra senza la loro consultazione, essendosi dichiarata neutrale una volta scoppiata la guerra. La spedizione punitiva tedesca è la conseguenza di questo tradimento da parte dell’Italia. Ci sarà un successivo governo Badoglio formatosi in seguito alla Svolta di Salerno, il Secondo Governo Badoglio che sarà in carica dal 24 aprile fino al 6 giugno del 1944 e che vedrà l’inserimento, al seguito della prima riunione, dei partiti antifascisti. Questo Secondo Governo Badoglio vedrà l’inserimento di alcuni esponenti dei partiti politici. In Italia abbiamo avuto una Resistenza partigiana molto attiva. Al contrario, in Germania nella Repubblica federale, dopo il 1945, ci sono stati cinquanta anni di dittatura ed è qui che sono nati gli estremismi. Nella Germania comunista non c’è mai stato un confronto con il passato nazista, siccome si è sempre considerata pura. I problemi che hanno spinto la Germania ad avvicinarsi ad ideologie neo-naziste sono la crisi economica e quella migratoria. Proprio per questo la responsabilità dei crimini fu gettata sulla Germania, una colpa collettiva sui tedeschi. Nel nostro immaginario collettivo pensiamo di essere sempre stati dalla parte giusta, la nostra vicenda rispetto a quella dei tedeschi è stata molto diversa. Fino agli anni ‘80/’90 c’era questa base di ricordi, di cultura come fondamenta della ricostruzione della Repubblica, redimendosi e cominciando un nuovo percorso democratico. Se per molti l’armistizio veniva identificato con la pace, rimuovendo il problema della presenza dei tedeschi, c’era anche chi capiva che le cose non potevano finire così. L’Italia (o almeno una sua porzione) passa dall’altra parte, si prepara a combattere contro i suoi alleati. Mussolini viene allontanato, nascosto e imprigionato prima che i tedeschi riescono a portarlo 4 via da Campo Imperatore sul Gran Sasso per fondare quella che diventerà la Repubblica Sociale Italiana, un governo fantoccio riconosciuto dalla sola Germania che tuttavia offre agli italiani, desiderosi di proseguire la guerra, una sponda e una copertura affidabili. Con la Repubblica Sociale Italiana ci si libera della monarchia, la Repubblica era infatti anti-clericale, si chiama “sociale” perché c’è una visione dell’economia e della politica sociale completamente diversa da quella che era stata instaurata dal ventennio fascista, si vuole ritornare ad alcune basi socialiste e popolari. Dall’estate del 1943 l’Italia diventa un teatro di guerra di un conflitto totale che non ammette distinzioni tra chi indossa una divisa e chi no coinvolgendo popolazioni civili nei combattimenti dal cielo, sul mare e sulla terra. Il paese è diviso e attraversato dalle ipotesi che fronteggiano, inizia quindi una guerra civile. A Sud la lenta risalita della penisola da parte degli eserciti alleati, un cammino complicato segnato da errori militari e scarse conoscenze sulla morfologia dello stivale. Un anno dopo l’apertura del fronte francese con lo sbarco in Normandia - il D-Day del 6 giugno 1944 operazione Overload, a soli due giorni dalla liberazione di Roma - sarà la risposta più efficace a chi cercava una direttrice convincente per arrivare a Berlino nel più breve tempo possibile. Il tempo si prolunga in una dimensione di attese e spostamenti senza che si riesca a prevedere la fine delle ostilità e l’esito del confronto fra le parti. La linea Gustav che taglia longitudinalmente lo stivale dal Tirreno all’Adriatico divide i due fronti: a Sud gli Alleati e a Nord l’occupazione tedesca a sostegno della Repubblica Sociale Italiana. Questa linea, fortificata dai tedeschi, passava per il Monte Cassino, per impedire che gli alleati andassero oltre. L’abbazia, la città di Cassino e anche altre città limitrofe vengono distrutte. C’è un cimitero polacco a Cassino, una regione polacca operava accanto agli alleati. I volantini lanciati dal cielo dagli Alleati (non sono angloamericani, ma anche francesi, marocchini, australiani e neozelandesi) condannano l’Italia per colpe di Hitler e Mussolini a diventare terra di nessuno, quel settore desolato che sta fra i due opposti fronti di combattimento. E se i liberatori fanno riferimento a una No man’s land diffusa e popolata, gli occupanti sono feroci nel vendicarsi “degli italiani traditori” che sono passati dall’altra parte. Una nazione allo sbando, senza autorità né catene di comando; divisioni abbandonate al proprio destino in campi di battaglia privi di indicazioni operative: la divisione Acqui in Egeo nell’isola di Cefalonia e Corfù e tanti altri soldati o ufficiali italiani consegnati alla sorte di prigionieri nei campi di lavoro in Germania (oltre 600 mila gli Internati Militari Italiani). La Monarchia Sabauda scrive una delle pagine più tristi e vergognose: se ne va al Sud cercando fuga e riparo, un salvacondotto per mettersi in sicurezza noncurante di ciò che si lascia alle spalle. Quando il Re e Badoglio riescono a raggiungere un accordo con gli alleati per la fine della guerra firmano l’armistizio, il 3 settembre del 1943 nei pressi di Siracusa. Lo firmano segretamente, temendo la reazione dei tedeschi, infatti l’armistizio resterà segreto fino all’8 settembre; 5 giorni, perchè bisognava organizzare la difesa di Roma e del paese contro i tedeschi, con l’aiuto degli angloamericani che mandano un vertice al governo. Hitler, che già non si fidava, aveva già organizzato la conquista di Roma, inizia l’occupazione tedesca dell’Italia (una serie di rappresaglie e triglie). Il giorno stesso dell’annuncio dell’armistizio, l’8 settembre 1943, ha inizio la Resistenza, a partire dalla battaglia di Roma: italiani che scelgono di combattere contro l’occupazione tedesca e coloro che la sostengono (giunge a un certo momento in guerra civile). 5 Il primo episodio di Resistenza al Nazismo è Cefalonia (isola che si trova in Grecia, poiché l’Italia aveva tentato di occupare la Grecia insieme alla Germania). Non ricevono il messaggio di Badoglio ed essendo circondati da tedeschi, decisero di resistere anche se erano molto deboli (vengono fucilati perché non si consegnano ai tedeschi). Sono queste le radici della Repubblica, quello spazio che si apre tra la fine di un regime logoro e inefficace e l’inizio di una nuova storia, segnata dall’affermazione di un segmento di paese che partecipa all’epilogo della guerra, diventando parte della controffensiva alleata fino a ottenere l’ambiguo status di cobelligerante contro il nazifascismo. Un biennio cruciale segnato da divisioni geografiche che non si esauriscono nello spazio di quei due mesi: il Sud liberato attende l’esito finale, la lotta partigiana nel Centro-Nord, le rappresaglie violente degli occupanti nazisti, la lunga strada che porterà alla Liberazione del 25 aprile 1945. Tra chi si oppone al colpo di coda del fascismo troviamo percorsi differenti, culture e storie non riconducibili a un’unica matrice: un insieme di segmenti, biografie, partiti che si muovono nelle pieghe della società italiana o che fanno ritorno dall’esilio dove il regime li aveva costretti. Convivono e collaborano diversi programmi, bandiere, colori, punti di riferimento plurali e non facilmente riconducibili a una sintesi univoca. Da un lato la ricchezza innegabile, un laboratorio di quella che diventerà presto la Repubblica dei partiti, dall’altro una difficile composizione tra aspirazioni legittime, capacità organizzative e militari, forme diverse d’intendere gli approdi possibili di una stagione fondante: l’esito della guerra si accompagna e si sovrappone ai progetti sull’Italia del domani, alle forme di collaborazione e confronto tra protagonisti e comprimari, alla possibilità di marcare un tratto di discontinuità con il passato fascista. In linea con il contesto internazionale che vedeva l’unità dei fronti e la collaborazione di tutte le forze politiche, si decide di creare un governo di coalizione in cui tutti i partiti vengono rappresentati. Si costituisce un primo governo politico, partiti rappresentati nel comitato di liberazione nazionale, con la democrazia cristiana, il partito comunista, socialista, liberale e d’azione (partito che nasce tra le fila della Resistenza, ma si scioglie successivamente). Non parteciperà un partito che era sopravvissuto nella clandestinità, il Partito Repubblicano, per una pregiudiziale nei confronti della monarchia. Nel 1944 questo governo sarà guidato da Ferruccio Parri, vigente fino al 1946, nel ‘47 vengono esclusi socialisti e comunisti. Si trattava di partiti diversi (di sinistra nelle varie forme, d’ispirazione cattolica o liberale, azionisti o di centro) che ancora non conoscono la propria forza, non si sono misurati elettoralmente, eppure si sentono parte di un itinerario che li accomuna: un tratto di strada che li conduce fuori dal fascismo fino dentro le fondamenta possibili di una nuova stagione. Partiti in formazione con una classe dirigente che viene fuori dall’esperienza di guerra e dalla stagione della Resistenza, dalle contraddizioni di un biennio: la vedremo presto all’opera nel tentativo di dare agli italiani una nuova casa. La Repubblica nasce infatti per un concorso di forze, sarebbe scorretto separarle o costruire una graduatoria su meriti e medaglie. Quella divisione geografica e politica cui si è fatto riferimento si ricompone gradualmente tra l’estate del 1943 e la primavera del 1945: gli eserciti alleati riescono a risalire lo stivale sulle due direttrici del Tirreno e dell’Adriatico, avevano sottovalutato la presenza della catena appenninica come divisore naturale del territorio conteso. La Resistenza degli italiani si 6 muove nelle zone dove i tedeschi esercitano controlli e repressioni, l’organizzazione del pluralismo politico nei partiti (riuniti nel Comitato di Liberazione Nazionale) definisce un campo di forze in grado di guidare la fase di transizione al dopoguerra. Un concorso di piani, protagonisti e strategie, non sempre coerenti e coordinati, spesso in competizione tra loro su chi avesse più titoli o meriti da poter esporre o su chi tempestivamente riusciva ad arrivare per primo in una città o in una zona da liberare. Ci sono anche le zone grigie, dove molti anti- fascisti non presero armi o parte diretta alla Resistenze e alla guerra. La Resistenza è semmai un processo che matura in un tempo definito e culmina nella liberazione di Milano, con la proclamazione dell’insurrezione da parte del Cln dell’Alta Italia (25 aprile 1945). Mussolini fu appeso a testa in giù a Piazzale Loreto, Milano, pochi mesi prima la sorte era accaduta ai partigiani, esposti per giorni e giorni in Piazzale Loreto. Tutto ciò viene poi seguito dalla resa della Germania (8 maggio 1945) e l’uscita dell’Italia dal fascismo nella lenta riconquista di uno spazio e di una credibilità internazionale. L’8 maggio la guerra è definitivamente finita in Europa, ma continua in Estremo Oriente. L’Unione Sovietica e gli angloamericani collaborano per sconfiggere il Giappone, l’Italia fascista e la Germania nazista. Questa unità delle forze politiche italiane è uno specchio di quello che stava succedendo anche a livello internazionale: le istituzioni angloamericane erano diverse rispetto a quelle sovietiche, ma anche qui si lasciano da parte le controversie, per concorrere ad un obiettivo comune: la sconfitta del nazifascismo. Il senso profondo della guerra civile tra il ‘43 e il ‘45 consisteva anche nelle stragi in cui la popolazione civile era la prima a pagare per l’azione dei partigiani. Basti pensare all’eccidio delle Fosse Ardeatine: episodio emblematico e drammatico dell’occupazione nazi-fascista in Italia. Le fosse si trovavano a Roma, in Via Ardeatina, in cui avvenne una strage di 335 uomini, che accadde il 24 marzo 1944. Fu una rappresaglia per l’attentato partigiano in Via Rasella, avvenuto il 23 marzo, durante una sfilata di un gruppo folto di SS sudtirolesi mentre tornavano in caserma. I partigiani fecero esplodere un cesto della spazzatura che veniva fatta portare da un finto netturbino. Per questo Hitler stesso chiese che venissero uccisi 10 italiani, comunisti badogliani, per ogni tedesco morto. Non venne emesso alcun avvertimento pubblico riguardo la rappresaglia e non fu presentata alcuna richiesta ai partigiani di consegnarsi per evitare l’eccidio. Le vittime vennero prese dal terzo braccio di Regina Coeli, ovvero i prigionieri detenuti a Roma già condannati a morte o all’ergastolo. Mentre in Via Tasso c’era un palazzo dove venivano portati gli oppositori politici. Questi 335, 5 in più, vennero assassinati senza lasciare testimoni, una volta commesso l’eccidio si coprì tutto con la terra, per evitare pellegrinaggi di propaganda anti-tedesca. I prigionieri vennero presi cinque per volta, legati uno all’altro con i polsi e sul bordo del precipizio sparavano un colpo in modo da farli cadere tutti e cinque, facendo ammassare i corpi l’uno sull’altro. Il responsabile dell’organizzazione di questa strage scappò in Argentina, fu poi scoperto e riportato in Italia. Uno degli episodi su cui si è fondata la memoria e l’immaginario collettivo del secondo dopoguerra. I massacri non furono soltanto da parte nazista e fascista. In questo caso si parla delle foibe. Le vittime furono infoibate, gettati nelle foibe, erano i partigiani titini (i partigiani iugoslavi), guidati dal comandante partigiano Tito (la Jugoslavia è l'unico paese che si libera da solo dall’occupazione fascista, perché così non avranno gli alleati come occupanti). Gli jugoslavi sono anti-fascisti, poiché i fascisti si sono spartiti insieme ai tedeschi delle parti del loro territorio jugoslavo (in particolare la Dalmazia). Durante questa occupazione Mussolini attua una politica di italianizzazione, rendere italiane le popolazioni presenti su quei territori, con l’istituzione di scuole italiane. Sarà un fallimento totale perché non si può imporre una cultura natia. 7 Un’altro episodio furono le marocchinate, quando i marocchini, che facevano parte delle truppe francesi alleate durante la Liberazione, il cui generale ha incitato 50 ore di razzia in cui avrebbero potuto derubare all’indomani della liberazione nel 1944. Si resero responsabili di violenze di massa in Italia. Il termine si riferisce principalmente agli abusi, stupri, uccisioni e saccheggi perpetrati da queste truppe ai danni della popolazione civile. Una delle conseguenze fu che alcune donne venivano messe in disparte e non veniva data loro la possibilità di bere alla fontana perché si pensava avessero contratto delle malattie dai marocchini. Lo stesso è accaduto a Berlino, con l’arrivo dei russi, dove ci furono sei mesi continui di violenza sulle donne tedesche. Queste donne si sono nascoste o hanno cercato di dimenticare quanto accaduto, solo recentemente questi avvenimenti sono stati portati alla luce. 2. Democrazia, referendum, Costituzione La fine della Seconda guerra mondiale in Italia prende una duplice prospettiva: Se ci si volge verso il passato prevale la chiusura di una fase sostenuta da matrici diverse: guerra patriottica, guerra civile e guerra di classe. Un insieme di percorsi che confluiscono nella cesura più profonda che il Novecento consegna alle generazioni successive. Se al contrario, si guarda verso il futuro quella pagina rappresenta la premessa fondamentale per poter costruire le basi dell’Italia di domani. I due sguardi, i punti di vista alternativi non sono separabili, molte questioni inevase rimangono sottotraccia fino a condizionare per lungo tempo il corso degli eventi: eredità e lasciti dai conflitti della prima metà del secolo si spingono fino al lungo dopoguerra che percorre la seconda metà del Novecento. A partire da queste basi nel primo sessantennio repubblicano assistiamo a un processo di consolidamento della democrazia italiana tra straordinari passi avanti e continue battute d’arresto. Seguendo tale approccio, il passato non è un buco nero indistinto o come spesso si sente dire una zavorra da cui liberarsi. Le radici di una comunità nazionale affondano in una storia comune scandita dal passaggio tra le generazioni che si danno il cambio. Questo è stato il punto di forza nel percorso del lungo dopoguerra italiano. Si apre così il tempo delle scelte per una classe dirigente composita e variegata, con matrici diverse, culture di riferimento alternative, parole chiave spesso in conflitto fra loro. Matura così il cammino della democrazia italiana, un’opzione non scontata o precostituita (formata in precedenza), uno spazio sospeso tra l’utopia e la storia. Non un approdo certo né una tavola già scritta di valori e comportamenti, ma la democrazia come processo, cammino incompiuto e incompleto. La democrazia non è esportabile, non è figlia di esperimenti o modelli precostituiti, vive e si modifica nel corso delle sfide del tempo che attraversa. Si tratta di un pilastro del nuovo mondo, della base più solida del lungo dopoguerra italiano. Ricostruire un paese (materialmente e spiritualmente) a partire da un’esperienza collettiva e irripetibili, dalle basi di quella stagione della Resistenza che aveva segnato un segmento significativo della popolazione italiana. La Resistenza è un mondo che contiene diverse possibilità: un insieme di atteggiamenti che non ha un’unica matrice o spiegazione. C’è chi si è mobilitato scegliendo la guerra partigiana (come Calvino, Fenoglio, Meneghello, Viganò); tuttavia le resistenze sono di vari tipo, plurali, richiamano le scelte di tanti: chi nasconde renitenti alla leva o cittadini di religione ebraica ricercati o perseguitati, chi aiuta chi è in difficoltà sulla linea del fronte, chi nasconde bambini o soldati, chi distribuisce cibo, 8 coperte o beni di prima necessità, chi semina futuro e costruisce tasselli di solidarietà, risorse per l'Italia che verrà. La stagione della Resistenza assume i tratti di un itinerario plurale senza vincoli o rigidità di appartenenza. La democrazia come processo storico ha quindi uno spessore profondo che supera distinzioni, appartenenze, punti di vista. La democrazia nella sua accezione più piena, la democrazia di massa rappresenta un’inversione di tendenza non tanto e non solo rispetto ai dettami del fascismo e alle sue forzature ma rispetto alle caratteristiche dell’Italia post- unitaria: le basi ristrette della partecipazione politica, l’opposizione del movimento cattolico che non riconosceva parti costitutive del processo risorgimentale (la questione romana e il suo peso), lo scontro sociale che aveva condizionato la dialettica tra la classe dirigente liberale (ben prima del fascismo) e settore del movimento operaio e socialista. Poteva apparire, con il rischio dell’enfasi momentanea, un nuovo inizio per tutti, vincitori e vinti. Per molti la stagione costituente rappresenta l’occasione per rovesciare una piramide politica e persino sociale: i cattolici che da esclusi o marginali diventeranno parte fondante dei nuovi equilibri, le sinistre convinte di poter consolidare il protagonismo nella guerra di liberazione, azionisti e liberali pronti a giocare la carta di presentazione dell’antifascismo delle origini. Non sono previsti strumenti di misurazione dei rapporti di forza né vincoli e contrappesi tra i diversi poteri di uno Stato che ha perso parte costitutiva delle prerogative. Il tempo è quello della ricostruzione a partire dalle fondamenta. Un grande rischio, ma anche un’occasione per lasciarsi alle spalle le lunghe ombre del fascismo e la macerie ingombranti della guerra. ○ La Questione romana: contrasto tra il Papa e il Regno d’Italia, che ha preso i territori dello Stato Pontificio e dunque anche di Roma. Al pontefice viene sottratto il potere temporale ma gli rimane quello spirituale. Si troverà una conclusione con i Patti Lateranensi nel 1929 (concordato firmato dalla Santa Sede con stati esteri in cui si tutelano i cittadini cattolici di un determinato paese). La questione romana sarà ripresa dopo la caduta del fascismo. Sul versante dei passaggi istituzionali possiamo distinguere tra fasi stringendo una cronologia più ampia attorno agli snodi cruciali dell’ultimo tratto di strada. ○ L’inizio della transizione con i governi presieduti da Ivanoe Bonomi tra il 1943 e il 1945: l’avvio incerto nella definizione di una strategia dopo la liberazione di Roma il 4 giugno 1944, difatti il suo governo fu definito “di cerniera”. I partiti del Comitato di Liberazione Nazionale convergono sulla priorità di liquidare Badoglio come vertice dell’esecutivo investendo una figura come Bonomi, leader del Partito della Democrazia del Lavoro. Un passaggio che appare scontato e indolore, ma che in realtà evidenzia la necessità di mettere al centro di una stagione costituente le forze diverse dell’antifascismo unite da una comune divisione. Bonomi è un uomo di cerniera tra vecchio e nuovo. ○ Dopo di lui il passaggio al governo presieduto da Ferruccio Parri (1° novembre 1945) è il risultato del vento del Nord che soffia sulla penisola. Parri, leader del Partito d’Azione ed ex capo supremo delle forze partigiane, dopo trattative laboriose viene designato dal Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. La Resistenza nelle sue espressioni più autorevoli e riconosciute assume piena responsabilità delle sorti di un cammino comune. I sei partiti del Cln sono rappresentati al governo (il Partito Socialista di Unità Proletaria, il Partito Comunista Italiano, la Democrazia Cristiana, il Partito Liberale, il Partito d’Azione e quello della Democrazia del Lavoro); Pietro Nenni leader socialista vicepresidente, Palmiro Togliatti segretario 9 del Pci ministro della Giustizia, Alcide De Gasperi ministero degli Esteri (era un ministero chiave, non possiamo considerare la nostra politica interna senza controllare cosa succede a livello internazionale) in procinto di occuparsi del trattato di pace è il capo della Democrazia cristiana. Questa seconda fase si protrae per il breve spazio di cinque mesi iniziati con grandi entusiasmi presto smarriti nelle sfide di un tempo complicato. Divisioni tra i partiti, protagonismi di tanti in conflitto, inesperienze e incapacità di mostrare sicurezza a fronte dell’emergere di una crisi economica e sociale senza precedenti. Durante il governo Parri, De Gasperi cerca di farsi ammettere e di poter conoscere le clausole di questo trattato per poterle ammorbidire e per poter elaborare una strategia, tuttavia non viene ascoltato. L’Italia prova ad essere ammessa alla conferenza di Potsdam, che si tiene dal 17 luglio al 2 agosto del 1945, nella Germania sconfitta, ma con scarsi risultati. A Londra, l’unica volta in cui viene ricevuto De Gasperi dai vincitori, per cercare di conoscere le clausole del Trattato ma soprattutto per sostenere quelle che sono le questioni più importanti. Il rischio maggiore che corre l’Italia è sul confine nord-orientale (Gorizia, Trieste) perché sono terre contese dalla Jugoslavia, dove l’Italia si era macchiata di crimini atroci come occupante, aveva acquisito nel 1941 la Slovenia e nella Prima Guerra Mondiale aveva acquisito l’Istria. La Jugoslavia figura tra i vincitori sostenuti dall’Unione Sovietica, perché è un paese che si è liberato da solo, ricevendo le armi dagli angloamericani ma non volevano che questi combattessero nel loro territorio. Tito era il leader della resistenza jugoslava e capo del governo jugoslavo. La Jugoslavia reclama delle terre che l’Italia considera proprie, gli Jugoslavi difatti arrivano fino a Trieste, con uno scontro e un’occupazione da parte della Jugoslavia. De Gasperi va a Londra e parla proprio di questa questione, egli però viene accolto nelle sale e portato fino a un grande tavolo dove sono esposte foto degli eccidi che l’Italia fece in Jugoslavia. ○ Parri deluso e amareggiato lascia il campo al primo gabinetto De Gasperi negli ultimi giorni di novembre 1945. Pochi mesi dopo la Liberazione il paese volta pagina spostando l’equilibrio del governo verso i partiti di massa e indebolendo progressivamente il nesso con la stagione della Resistenza, con le forze e le biografie che direttamente la rappresentano. De Gasperi riuscì ad imporre un duplice indirizzo in modo consensuale: un referendum avrebbe offerto agli italiani la possibilità di decidere tra Monarchia e Repubblica eleggendo contestualmente un’Assemblea costituente. Il referendum diventa così la chiave per aprire alla partecipazione popolare e per tratteggiare limiti e competenze della nuova assemblea rappresentativa figlia del riconoscimento dell’universalità del diritto di voto. Un passaggio stretto che vede la prima tornata delle elezioni amministrative (che interesseranno i consigli comunali) il 10 marzo 1946. Una successione di 5 domeniche (10, 17, 24, 31 marzo e 7 aprile 1946) compone la prima tornata amministrativa dell’Italia liberata. La seconda qualche mese dopo, tra ottobre e novembre. In mezzo ai due appuntamenti il referendum del 2 giugno. La prima tornata prevedeva il voto in 5.722 centri (quasi l’80% dei comuni del Nord, più dell’84% del Centro e quasi il 74% di quelli del Sud); sono chiamati alle urne quasi 20 milioni di elettori, in maggioranza donne (quasi un milione più degli uomini). L’affluenza supera di poco l’82%. è un successo diffuso, un fiume di partecipazione che unisce il paese in un clima di festa. La Repubblica segna quindi la morte della nazione che il fascismo aveva costruito, plagiato e imposto spezzando il legame tra percorso del Risorgimento e la tutela di libertà individuali e collettive. Poteva 10 nascere con il referendum un nuovo patto tra gli italiani fondato sulla partecipazione visto che il suffraggio universale per tutte e tutti irrompe come conquista e novità dei tempi: l’Assemblea costituente eletta con un sistema proporzionale, il più rappresentativo possibile, ha il compito di scrivere la nuova Costituzione. Con il 1946, sotto la spinta del referendum istituzionale, si consolida la strada di un processo decisionale condiviso attraverso il trasferimento al governo italiano della giurisdizione sulle province settentrionali, ultima traccia del controllo alleato sul territorio. L’Assemblea Costituente fu prima presieduta da un socialista, Giuseppe Saragat, e poi da un comunista, Umberto Terracini. I motivi che portano gli italiani a scegliere la Repubblica il 2 giugno. La colpa del Re e della Monarchia di aver dato potere al fascismo. Nel 1938 le leggi razziali (1938) vengono firmate dal Re stesso, come firma anche l’alleanza con la Germania, il Patto d’Acciaio, che è avvenuto il 22 maggio 1939 con l’inviato italiano Galeazzo Ciano. Un passaggio cruciale, l’atto di nascita della democrazia di massa e della Repubblica, l’inizio del lungo dopoguerra per voltare pagina senza paure. Il risultato del referendum ridimensiona le aspettative delle sinistre e colloca la Dc in una posizione egemonica e centrale nello schieramento politico con ben 207 seggi nella nuova assemblea. Il Partito socialista italiano di unità proletaria (a sorpresa prima forza della sinistra) ne ottiene 115, il Pci 104 (sorpassato dai socialisti anche nelle città a forte insediamento operaio), l’Unione Democratica Nazionale d’ispirazione liberale 41, l’Uomo Qualunque 30, il Partito repubblicano 23, il Blocco Nazionale della Libertà 16, solo 7 al Partito d’Azione e 13 a liste minori. Finiva così il monopolio ciellenista (della Cln) sostituito da un pluralismo frammentato, preludio alla composizione di alleanze strategiche o convergenze momentanee. La Repubblica si afferma con oltre il 54,27% dei consensi (12 milioni e 700 mila votanti), mentre la Monarchia raccoglie il 45,73% (10 milioni e 700 mila), le schede bianche e nulle superano il milione e mezzo. Impressionante il dato dell’affluenza: più dell’89%, quasi 25 milioni di italiani. Il Consiglio dei ministri con un comunicato lapidario conferisce le funzioni di capo dello Stato ad Alcide De Gasperi. La proclamazione ufficiale cade il 10 giugno 1946 nella sala della Lupa di Montecitorio. Tre giorni dopo il Re se ne va in Portogallo, dopo aver denunciato l’atto di forza rivoluzionario e l’illegittimità dell’esito. ○ Sono le strategie di una nuova cittadinanza che si afferma progressivamente e che ha due cardini di riferimento: il riconoscimento del diritto di voto per tutti e tutte e la definizione di un orizzonte possibile, quello di una democrazia inclusiva rafforzata dal potenziale coinvolgimento di nuovi settori della società. I cittadini elettori sono i nuovi italiani di una democrazia partecipata, fondata su soggetti radicati e di massa (i partiti), segnata da un progressivo cammino di avvicinamento e coinvolgimento di chi è fuori dal recinto, escluso, ai margini di quel nuovo itinerario. Per la prima volta si può pensare o tentare di diventare cittadini e cittadine, elettori e/o eletti/e. ○ Si afferma la cultura della costruzione di una prospettiva comune, in una laboriosa trama di relazioni, obiettivi, valori possibili. Si fa strada la logica dell’equilibrio fondato sul compromesso, sulla base di una collaborazione tra diversi organizzati all’interno delle formazioni politiche che si presentano di fronte agli elettori. Un compromesso tra culture, storie, identità, ma anche tra simboli, parole d’ordine e modelli di riferimento. Ognuno rinuncia a qualcosa per favorire le dinamiche di un incontro che possa includere i partecipanti all’impresa. 11 ○ L’Assemblea costituente assume nella nuova Carta costituzionale la centralità della questione sociale e il suo collegamento con i diritti civili e politici, superando le lacerazioni presenti nell’Italia liberale e poi in quella fascista. Una delle novità più significative che emergono dalla Costituente è proprio quella di aver rifondato i diritti sociali sui principi della democrazia. Questo è un elemento importante e innovativo, culturalmente originale della Costituzione repubblicana. Da qui, ad esempio, l’impostazione precettiva della Carta, ovvero quella di un testo che non si limita a definire regole e strutture, indicando contestualmente un percorso di sviluppo segnato dalla ricerca di quella che oggi chiameremmo una crescente coesione sociale. In secondo luogo, la cifra fondante del compromesso costituzionale, alto, basato sul riconoscimento reciproco di culture, storie e aspirazioni politiche anche profondamente antitetiche. Ognuno rinuncia a parte del proprio programma, ai colori nitidi di bandiere e appartenenze per costruire un punto d’incontro, un equilibrio possibile con gli altri. ○ La Costituzione è anche l’occasione per costruire un rapporto tra intellettuali (di vario ambito e provenienza) e cittadini: una funzione primaria attraverso forme di contatto e comunicazione. Le competenze - le più diverse - al servizio di un progetto comune capace di avvicinare base e vertice della piramide sociale, centro e periferia di un perimetro composito e plurale. La persona umana all’interno dell’ingranaggio complesso dello Stato, una sintesi di ispirazioni e punti di vista tra chi guardava più alla dimensione individuale e chi aveva sposato le appartenenze collettive come garanzia di diritti e relazioni. Il compromesso, il contratto sociale stipulato da cittadini italiani, riesce - non senza limiti e contraddizioni - a tenere insieme i diritti soggettivi e quelli sociali. Corto Senza Rossetto: interviste, dal 2015 al 2016, a donne che hanno votato per la prima volta nel 1946 (simbolo di rivalsa di genere e trionfo di femminilità). C’era già stato un tentativo di rivendicare il diritto al voto per le donne prima del fascismo, nel 1906 delle maestre di Marciano si iscrissero alla lista elettorale, donne diplomate e laureate adatte alla lista, furono subito dopo cancellate. Perché “senza rossetto”? Perchè nelle istruzioni per il voto, si afferma che se il rossetto avesse macchiato la scheda elettorale, il voto sarebbe risultato nullo. Vengono date le istruzioni per il voto perché per vent’anni non si andava a votare. Era una guida sia per le donne che non avevano mai votato ma anche per un’intera generazione di uomini che non aveva votato durante il ventennio fascista. Concedere il voto significa dare qualcosa, o meglio, donare qualcosa che le donne avrebbero dovuto avere in precedenza → Equiparazione che dà vita alla Repubblica Italiana. 3. Nazionale e Internazionale La Repubblica nasce sulla base di un compromesso tra diversi: un punto d’incontro e di conciliazione che costruisce il nesso tra la stagione della Resistenza e la Carta costituzionale. Non disperdere quell’esperienza, valorizzare la coda drammatica della seconda guerra mondiale significa per molti tentare la via di una possibile codificazione, mettendo nero su bianco una successione di articoli, norme e precetti in grado di salvaguardare i contenuti di un biennio di svolta. Sulla stagione fondante della nostra convivenza nazionale ci sono due letture contrapposte: Da un lato un racconto basato sulla dimensione nazionale della costruzione del dopoguerra, un cammino segnato dai passaggi che la Resistenza riesce a conquistare, consolidare, proiettare sull’Italia che verrà a partire dagli esiti della guerra civile. 12 Dall’altro la guerra mondiale che dai deserti del Nord Africa migra sulla penisola entrando lentamente nella fase decisiva: uno scontro tra coalizioni di paesi, eserciti, strategie e valori. Tenere separati i due piani non aiuta a comprendere la complessa stagione delle origini. Spezzare consapevolmente o per una sorta di pigrizia il nesso tra guerra e Resistenza, tra la cesura del secondo conflitto mondiale e la stagione costituente della Repubblica per dare maggiore peso all’immediato, alle esigenze della ricostruzione e ai linguaggi contrapposti della dialettica politica. Ma le radici del nostro passato sono proprio nelle intersezioni di quei due piani, nella forza delle interdipendenze diffuse, nelle trasformazioni più durature prodotte dai conflitti mondiali: allargamento progressivo dei processi storici (ampliamento dello spazio), simultaneità di eventi distanti in un tempo più rapido e mutevole. A questo livello la lettura del nostro tempo (dopo oltre settent’anni) non può che mettere in ordine momenti e situazioni: la Resistenza è parte di uno scontro più esteso e il contributo degli italiani (la dimensione nazionale del conflitto) si legge e si misura in un quadro ben più ampio. Il paradigma di un caso italiano unico e distinto, insindacabile e peculiare, segnato da protagonisti e comprimari che si muovono in piena autonomia definendo appartenenze, confini e compatibilità non regge a fronte delle profonde trasformazioni e condizionamenti che la guerra totale porta nel cuore della società del pianeta. Un esempio → quel compromesso (ovvero la collaborazione tra le forze antifasciste) che si scioglie e si rafforza tra il 1943 e il 1948, tra l’esplosione della guerra civile e l’entrata in vigore della nuova Carta costituzionale. Quando la grande alleanza antifascista viene meno, tra il 1947 e il 1948, anche in Italia quel fronte si divide, comincia a prendere forma il modello militarizzato del confronto bipolare. Non si tratta anche in questo caso di stravaganze italiane, il nuovo inizio è un processo che avviene su scala mondiale, passa per alcune grandi conferenze di pace e stabilizzazione, si rafforza nelle premesse del costituendo sistema internazionale della guerra fredda, lo scontro tra Est ed Ovest che plasmerà il mondo almeno fino all’ultimo decennio del secolo XX. Un tratto di strada della Repubblica italiana è persino sovrapponibile alla parabola della guerra fredda: dalle origini fino al 1989, dalla costruzione del sistema dei partiti al suo crollo repentino. La collaborazione antifascista si rompe a livello di esecutivo nel 1947 con l’uscita dei comunisti dalla maggioranza, per poi misurarsi nelle elezioni politiche generali dell’anno successivo. Eppure, alcune caratteristiche di fondo permangono, vanno al di là delle fasi che segnano il nostro dopoguerra: la centralità del Parlamento bicamerale, la rappresentatività delle due Camere elette con sistema proporzionale, un partito di maggioranza relativa, la Democrazia cristiana, architrave del sistema che rimane al governo fino al suo scioglimento, una sostanziale stabilità politica e istituzionale nel quadro condizionante della contrapposizione bipolare. Una contraddizione apparente e al tempo stesso cruciale nella definizione del cammino del dopoguerra italiano: oltre settant’anni di vita e circa 65 coalizioni di governo con quasi 30 presidenti del Consiglio che le hanno guidate. Una forte tensione tra i partiti, instabilità tra coalizioni e correnti interne, ma al tempo stesso un quadro di riferimento stabile, una relazione tra maggioranza e opposizioni misurabile nelle variazioni della rappresentanza proporzionale. Ma torniamo ai primi passi della Repubblica. La frattura a livello internazionale si era consumata nelle settimane della campagna elettorale referendaria. Il 5 marzo 1946, in un celebre discorso tenuto al Westminster College di Fulton in Missouri, Winston Churchill aveva descritto il nuovo scenario anticipando ciò che sarebbe avvenuto a breve: “Da Stettino al Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente. Dietro quella linea giacciono tutte le capitali dei vecchi Stati dell’Europa centrale e orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia; tutte queste famose città e le popolazioni attorno ad esse, giacciono in quella che devo chiamare sfera sovietica, e sono tutte soggette, in un modo o nell’altro, non solo all’influenza sovietica ma anche a un’altissima e in alcuni casi crescente forma di controllo 13 da Mosca”. Negli assetti post-bellici iniziava la cesura tra Est e Ovest, lo spazio progressivamente conquistato dalle logiche, gli strumenti, i linguaggi della guerra fredda. L’Italia viene sospinta dai primi passi del nuovo ordine che mostra le prerogative: esaurimento della collaborazione nell’alleanza anifascista, avvio della divisione in blocchi attraverso sfere d’influenza o zone che fanno direttamente riferimento al controllo di una delle due superpotenze. Ecco lo spazio della Repubblica, uno spazio possibile e definito nel perimetro tratteggiato dalla vittoria alleata e dal contenimento dell’espansionismo sovietico. Una scelta di campo che condiziona il percorso, definisce tappe e possibili approdi futuri. —------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Il discorso di De Gasperi alla Conferenza di pace a Parigi Pochi mesi dopo l’intervento di Churchill spetta al presidente del Consiglio e ministro degli Esteri della neonata Repubblica italiana prendere la parola di fronte ai 21 paesi vincitori della guerra. De Gasperi parla a Parigi nella Conferenza di pace che porterà alla firma del trattato il 10 agosto 1946. De Gasperi si trova in una sala buia che attraversa difronte a vincitori dallo sguardo gelido. Un intervento difficile, impegnativo; un concentrato del percorso degli anni precedenti nel rapporto tra la dimensione nazionale e il contesto internazionale che la contiene. De Gasperi mette in luce l’armonia possibile tra le componenti fondamentali del processo di nazionalizzazione: le radici cristiane, l’ispirazione risorgimentale, la questione sociale nel mondo del lavoro. Un equilibrio cercato come garanzia per una pace capace di rappresentare forze diverse in relazione tra loro e in tensione verso la ricerca e la difesa dell’interesse nazionale. Il richiamo alla pace e alla responsabilità comuni come scelta di credibilità e fiducia. In quella stessa estate del 1946 l’Italia negozia la firma per aderire agli accordi di Bretton Woods perfezionata nell’ottobre dello stesso anno con l’ingresso nel Fondo Monetario Internazionale e nella Banca Mondiale ben prima degli altri paesi sconfitti (Germania e Giappone che faranno il loro ingresso nel 1952). Ciò irrobustisce l’impianto della costituzione economica. Il più dolente per l’Italia nel Trattato di Pace: il territorio di Trieste (il confine nordorientale), l’Italia sarà espropriata dalle sue colonie (l’Italia non è stata l’unico paese a possedere delle colonie). —------------------------------------------------------------------------------------------------------------- De Gasperi torna in Italia dopo la Conferenza di Pace, dicendo che l’Italia può ricominciare, inoltre se l’Italia non ratifica il Trattato di Pace questo porterà al ricominciare della guerra. Invita anche a riflettere, il trattato deve essere giusto e non deve creare le condizioni per una guerra futura, altrimenti sarebbe semplicemente un armistizio e non una pace. Questa è la cifra della collaborazione post-bellica, l’impianto di una collocazione internazionale necessaria a dare al progetto della Repubblica le basi per poter camminare. De Gasperi si reca negli Stati Uniti nel gennaio del 1947 nelle prime settimane del nuovo anno, conferma impegni e reciproci interessi, offre la sua credibilità nella definizione di una collaborazione non episodica. De Gasperi sarà accolto calorosamente negli Stati Uniti, rispetto che alla Conferenza di Parigi, trovandosi in una fase in cui si stanno costruendo i blocchi e gli Stati Uniti cercano di accaparrarsi più attenzioni occidentali (l’Italia ha una posizione strategica perché ha sbocchi sul mare e si trova al confine con la Cortina di Ferro). 14 La firma del Trattato di Parigi è del 10 febbraio 1947: L’Italia perde le colonie eredità di un tempo ormai lontano ed è costretta a rinunciare a quasi tutti i territori conquistati sull’Adriatico durante il primo conflitto mondiale. La Jugoslavia confinante a Est si vede riconosciuto il concetto di confine naturale, che viene fissato sulla linea che separa le Alpi Carniche e le Dinaridi della pianura friulana. Un ridimensionamento consistente (attorno al 50% degli abitanti) su un territorio conteso sul quale le popolazioni di lingua e tradizione italiana subiranno il pesio violento dell’offensiva jugoslava (migliaia di infoibati nelle cavità naturali del Carso). L’Italia rinuncia al concetto di confine strategico, attestandosi si una linea precaria di confine “etnico-linguistico”. Difficile tuttavia segnare confini omogenei e riconoscibili su territori dove per secoli hanno convissuto lingue, religioni, culture all’interno dei perimetri dei grandi imperi. Rimane aperta la questione di Trieste fino al 1954, solo con il Memorandum di Londra (accordo provvisorio), Trieste torna italiana dopo anni di governo alleato e il 7% della Venezia Giulia viene recuperato nell’ambito nazionale. Il dramma del confine orientale lacera storie e appartenenze, l’esodo giuliano-dalmata dopo la firma del trattato di pace conduce circa 300 mila italiani verso lidi lontani, in cerca di patria e futuro. Firmato l’armistizio, l’8 settembre 1943, il Regno d’Italia si arrese agli alleati, inizia lo scontro, sul fronte nord-orientale, tra jugoslavi, partigiani titini e italiani fascisti e non. L’Istria, la Dalmazia e alcune zone del Friuli e della Venezia Giulia caddero sotto il dominio dei partigiani jugoslavi guidati da Tito, da qui partirono questi crimini terribili da parte dei partigiani titini sulla popolazione italiana (perché associati al fascismo). Esodo dei giuliano- dalmati: un quartiere a Roma conteneva tutti i profughi dell’Istria, del Friuli Venezia Giulia e della Dalmazia (territori occupati dall’Italia fascista e restituiti poi alla Jugoslavia), che vennero successivamente espulsi dal proprio paese. Molti lasciarono le loro cose contemporaneamente a Trieste, nel magazzino 18. Vennero osteggiati in quanto fascisti una volta arrivati in Italia. Alcuni si rifugiarono in Sardegna o a Roma in questo quartiere giuliano- dalmata. Molti fuggirono in Australia. Le considerazioni di De Gasperi dopo la rettifica sovietica del Trattato di Pace: impressione di soddisfazione ma anche tristezza, la rettifica russa equivaleva all’entrata in vigore del trattato che darà molte responsabilità al paese italiano e graverà sulla sua economia. Nel cammino della Repubblica vive anche lo spessore di una storia incombente, la possibilità di passare alla fase della ricostruzione: materiale, morale, forse anche identitaria in grado di tenere insieme segmenti conflittuali. Ricostruire una casa per tutti uscendo dalle tragedie delle guerre, del fascismo e dei nazionalismi più feroci. Un’impresa che si appoggia su due pilastri: le capacità mostrate dagli italiani in lotta per la loro liberazione, l’affermarsi di modelli e società figlie delle trasformazioni del secolo XX rilanciate dalla vittoria contro il nazifascismo. In questa chiave le superpotenze diventano un riferimento, una sorta di modello ambiguo: guardare a Mosca o a Washington per rafforzare le fortune possibili dei percorsi di ricostruzione. Il vincolo esterno che interagisce con le dinamiche proprie della società italiana diventa parte di una costruzione composita dove il quadro interno s’innesta sulle caratteristiche portanti del costituendo sistema internazionale della guerra fredda. 15 Per la giovane Repubblica la scelta fondante, l’indirizzo più consapevole e carico di conseguenze si colloca nell’intersezione tra il processo di costruzione dell’Europa post-bellica e l’ancoraggio all’Occidente di stampo statunitense. Un ponte tra Europa e Usa, uno spazio di libero mercato, di circolazione di idee, valori, riferimenti comuni. Qui ci si riferisce a due pilastri: al ruolo dell’Europa negli indirizzi di uno dei paesi fondatori e alla partnership atlantica come irreversibile strumento di crescita, stabilizzazione, lotta al pericolo dell’avanzata del blocco orientale avverso. Questo rafforza il perimetro della Repubblica, lo inserisce in un contesto più ampio, lo colloca dentro un cambiamento radicale dei rapporti di forza e degli orizzonti di riferimento del mondo nella seconda metà del Novecento. In quel contesto vive e si sviluppa l’autonomia di un percorso nazionale, la sua capacità di essere protagonista e non subalterno. In un nuovo ordine internazionale declinato e interpretato da una classe dirigente - uscita dalla guerra e dai suoi responsi - che si muove consapevolmente, usa termini appropriati, si sente fino in fondo legata, condizionata e attraversata da una trasformazione senza precedenti. Una classe dirigente che sceglie indirizzi e programmi, si colloca in quella zona di confine tra le dinamiche nazionali e il contesto internazionale. La costruzione della Repubblica è quindi un cantiere con diverse entrate e varie finestre, la stagione della ricostruzione vede i principali protagonisti - su fronti diversi, spesso alternativi - in sintonia con gli scenari di sfondo di un mondo che cambia. Contraddizioni e scontri, tra la stabilizzazione del Piano Marshall (European Recovery Program), l’utilizzo di fondi e programmi di sviluppo che tratteggiano i confini del mondo occidentale che guarda agli Stati Uniti. Il Piano Marshall è stato un atto di generosità del popolo americano, uno strumento per riattivare e liberalizzare il mercato internazionale, un’ipotesi percorribile di stabilizzazione di società in movimento e in conflitto, un mezzo di modernizzazione ispirata ai valori d’oltreoceano, e allo stesso tempo, un’arma formidabile della guerra fredda, il cui impegno nelle zone arretrate dell’Italia agricola causò un alto livello di interferenza o anche di egemonia statunitense rafforzando vincoli e legami con i primi governi della Repubblica. Il piano fu annunciato dal segretario di Stato statunitense George Marshall il 5 giugno 1947 all’Università di Harvard. Il piano consiste in una prima parte con aiuti economici (non soldi ma elementi materiali come l’acciaio) e dalla seconda parte che consiste nel Piano Marshall delle idee: stabilizzazione e rafforzamento della democrazia, sostegno alle iniziative culturali. Da qui ha inizio l'americanizzazione: i film di Hollywood, la letteratura e il modo di vivere, tutti di concezione diversa. Dopo la rettifica del Trattato di Pace, l’Italia sarà anche ammessa a partecipare al Piano Marshall. —------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Guerra Fredda, stato di contrasto tra due super potenze, talmente forte da essere comparato a uno stato di guerra, ma che non si riversa mai in un conflitto diretto tra Russia e Stati Uniti. Fine guerra fredda: dissoluzione dell’Unione Sovietica. Quando comincia? Non esiste una data, non c’è una dichiarazione di Guerra Fredda. Lo storico italiano Pietro Pastorelli, ripercorrendo questa idea di analogia alla guerra, propone una dichiarazione di Guerra Fredda e la ritrova nel gennaio del 1948 con la pubblicazione, da parte degli angloamericani, dei documenti che essi avevano trovati negli archivi tedeschi. Quando la Germania viene sconfitta e liberata, c’è una corsa da parte degli angloamericani e dei sovietici per accaparrarsi i documenti dell’archivio tedesco, salvati dagli incendi e dai bombardamenti. Gli angloamericani li portano a Londra e li tengono segreti. C’era tra questi documenti il patto Molotov-Ribbemtrop, stipulato a Mosca nel 1939, fra la Germania nazista e l’Unione Sovietica, in cui i contraenti s’impegnavano a non aggredirsi reciprocamente, a non appoggiare potenze terze in azioni offensive e a non entrare in coalizioni rivolte contro uno di essi. Questo è il momento in cui si vogliono rompere i rapporti, la Guerra Fredda è un contrasto che aumenta sempre di più fino ad essere sull’orlo dello scontro. Il 1947 è l’anno in cui troviamo decisioni sia da una parte che dall’altra, che iniziano la cristallizzazione tra i due blocchi, quello sovietico e quello occidentale, inizia anche la nascita della cortina di ferro (è un’espressione 16 utilizzata in Occidente per indicare la linea di confine che divise l’Europa in due zone separate d’influenza politica, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale alla fine della Guerra Fredda). Lo stesso anno in cui entrano in vigore i trattati di pace, iniziano le elezioni, gli angloamericani lasciano il territorio di cui erano occupanti, l’Italia rimane infatti divisa, si trovava al confine con la cortina di ferro. —------------------------------------------------------------------------------------------------------------- La guerra fredda è uno scontro che divide, mette in discussione la carica inclusiva e la partecipazione del nuovo sistema politico. Da un lato l’urgenza di intervenire sulla riforma della proprietà terriera e sullo stato di arretratezza e difficoltà di zone estese del Mezzogiorno, dall’altro la radicalizzazione di una conflittualità contadina che si consolida e si manifesta. L’emblema più nitido il 1° maggio 1947 nella prima strage dell’Italia repubblicana quando a Portella della Ginestra in provincia di Palermo vennero uccisi quattordici contadini e feriti una trentina a opera del bandito Giuliano. Una manifestazione contro il latifondo in occasione della Festa dei Lavoratori, dopo che il blocco delle sinistre si era affermato nelle elezioni regionali di pochi giorni prima, diventa una sfida sulla tenuta del sistema, sul rispetto del responso delle urne, sugli equilibri politici e sociali della nuova Repubblica. Un’eredità difficile e controversa, un groviglio di questioni che dal Mezzogiorno si riflette sui primi passi di una classe dirigente in formazione e sugli indirizzi complessivi del sistema politico repubblicano. La rottura della grande coalizione, la fine dell’unità antifascista nel maggio 1947 radicalizza posizioni e aspettative. Lo scontro è rimandato di pochi mesi, le elezioni del 1948 sono l’occasione per misurare la forza dei contendenti e per valutare appieno il ruolo, il posto e il peso della nuova Repubblica nello scenario del mondo bipolare. 4. Un partito di Centro che cammina verso sinistra La notizia della morte di De Gasperi viene battuta dall’Ansa alle prime ore dell’alba del 19 agosto 1954, è deceduto per paralisi cardiaca. Una piccola folla si ritrovò presso la casa di montagna in Sella Valsugana dove era spirato. Da pochi mesi era iniziata l’era della televisione nei locali pubblici presto diventati luoghi di incontro. In tanti partecipano anche da lontano ai funerali: quando il treno che porta la salma discende lentamente lo stivale da Trento verso Roma, due ali di folla ne accolgono il passaggio. Immediata e diffusa in tutti l’impressione che quel giorno un grande era uscito di scena e con lui si chiudeva una pagina della storia del paese. Il suo nome ha segnato un’epoca, un modo di essere e di guardare all’impegno politico, al rapporto tra Stato e mercato, alla funzione e al protagonismo dei cattolici nella società. Nessun uomo politico italiano ha avuto un numero di eredi, veri o presunti, così alto durante i decenni che ci separano dalla sua morte. Fuori dai confini nazionali si sono chiesti a lungo chi fosse il nuovo De Gasperi di riferimento, quale politico avrebbe rappresentato meglio continuità e certezze con la stagione degasperiana. Quali scelte a vari decenni di distanza lo collocano in prima fila tra i padri della Repubblica? Si possono individuare tre aspetti: In primo luogo, le radici profonde di un’identità di confine che s’invera in un contesto più ampio, un uomo di frontiera tra mondi diversi che attraversano la prima metà del secolo scorso. De Gasperi lavorò in ben tre Parlamenti: fu eletto nel 1911 rappresentante del Trentino alla Camera dei deputati del Reichsrat austriaco, dove sedette fino al 1918, fase terminale della vita dell’Impero asburgico. Divenuto cittadino italiano entrò nel Parlamento del Regno d’Italia nel 1921 e vi rimase fino al 1926 quando Mussolini fece decadere i deputati aventiniani. Come ultima tappa approdò all’Assemblea costituente e al Parlamento repubblicano partecipando da protagonista fino alla conclusione dei suoi giorni. 17 Un percorso che alza il livello del confronto collocando le vicende della giovane Repubblica nel cuore del nuovo sistema internazionale. Qui il secondo aspetto della sua attualità: il continuo tentativo di uscire dalle strettoie del giardino di casa per guardare intensamente verso gli orizzonti dei grandi problemi del dopoguerra; la convinzione che nessuno possa farcela da sola e la necessità di legare la fragilità italiana a due assi fondanti: scelta atlantica e dimensione europea come orizzonti e punto di riferimento irrinunciabili. Questa straordinaria opera di ricostruzione doveva avvenire - ultimo aspetto - non con la coercizione o l’esempio di una guida illuminata, ma attraverso il progressivo allargamento delle basi democratiche dello Stato, irrobustendo gradualmente una democrazia consensuale, partecipe e condivisa. Da qui le scelte qualificanti: il referendum del 1946, il rapporto non confessionale tra la Chiesa e il partito dei cattolici (aveva lavorato alla Biblioteca Vaticana stringendo un’importante relazione con Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI), l’avvio nella prima legislatura di un cantiere di riforme decisivo per le sorti della democrazia dei partiti. La costituzione fu approvata il 22 dicembre del 1946, ed entrò in vigore il 1° gennaio del 1948. La prima questione è che si tratta di una costituzione di netta matrice antifascista: chi la scrive sono forze politiche che si sono opposte al fascismo. Una rottura netta con il regime totalitario di destra. La costituzione, soprattutto nei principi fondamentali, cerca di tutelare l’uomo. Cercando di non permettere ciò che era accaduto nel passato e di cui si erano macchiati i due regimi totalitari. Il preambolo della costituzione tedesca “la dignità dell’uomo è intangibile” —> la costituzione è valida per tutti i tedeschi anche quelli che non fanno parte di quello stato e che in quel momento era diviso in due. Tutto ciò è collegato a quello che è successo precedentemente. Le forze politiche che fanno parte dell’Assemblea Costituente sono forze politiche diverse con compromessi fra i principi generali del liberalismo democratico, istanze avanzate sociali dei partiti di sinistra, attenzione molto forte della Democrazia Cristiana nei confronti di queste istanze sociali. Tutte le libertà civili che il fascismo aveva negato, vengono riconosciute dalla Costituzione: i diritti dell’uomo, la sovranità popolare, la separazione dei poteri, la libertà di stampa, di parola, di espressione, di associazione, di riunione, di pensiero; tutto ciò che il fascismo aveva proibito, instaurando un regime imperfetto ma totalitario. I diritti dell’uomo vengono posti a fondamento della nostra Carta Costituzionale, che estendeva il proprio riconoscimento anche ai diritti sociali. Viene introdotto il diritto al lavoro: art. 1 “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, art. 11 “L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; 18 promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Vengono introdotte anche disposizioni a tutela dei lavoratori e il diritto allo sciopero. Art. 7 della Costituzione, “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. L’articolo 7 è uno dei più importanti che porta a non voler creare ulteriori contrasti: riconosce la Chiesa come ordinamento giuridico indipendente e sovrano e così facendo si riconosce l’esistenza di una sfera di rapporti sottratta alla competenza dello Stato stesso. Viene riconosciuta la validità dei Patti Lateranensi (voluta da De Gasperi e dalla Democrazia Cristiana a cui i comunisti inizialmente si opposero, ma che alla fine accettarono per evitare una frattura con la Democrazia Cristiana che li avrebbe portati all’esclusione dal governo. Togliatti sostenne di non voler scatenare una guerra di religione in Italia), viene riconosciuta la Chiesa Cattolica e anche altre chiese proclamata libere e uguali. L’art.7 venne approvato il 25 marzo del 1947, grazie alla decisione di Togliatti si garantì la pace religiosa tra gli italiani. Togliatti, grazie alla sua visione, aveva introdotto un’importante modifica nello statuto del Partito Comunista secondo la quale l’iscritto era vincolato a seguire la linea politica comunista ma non ad obbedire all’ideologia marxista-leninista (ateismo = perché gli italiani sono per la maggioranza cattolica, il papa scomunicherà chi voterà il partito comunista). Viene riconosciuta la possibilità di nazionalizzazione e di espropri per il benessere della società. La proprietà privata viene riconosciuta come inviolabile. Si prevedono norme che tutelano la diffusione della piccola e media proprietà agricola. La Costituzione costituisce un bicameralismo perfetto, le due camere sono uguali: una legge per essere approvata deve essere accettata sia dalla Camera dei deputati sia dal Senato. Suffragio universale che nel ’46 viene concesso anche alle donne. Concessione della fiducia al governo. Ciò che si cerca di tutelare e che diventa oggetto protagonista della tutela della carta costituzionale sono le masse, ovvero la nuova società e la trasformazione del paese. Art. 46 della Costituzione prevede la possibilità e il diritto dei lavoratori di collaborare alla gestione delle aziende. “Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.” Come si compone il governo in Italia: I cittadini eleggono i membri del Parlamento. 19 La coalizione dei partiti di maggioranza individua un Presidente del Consiglio che viene nominato dal Capo dello Stato, verificando le possibilità che questo governo possa ottenere la fiducia e sulla base di questa verifica successivamente lo nomina. Il Presidente del Consiglio e i Ministri devono ottenere la fiducia dalle due camere, se la ricevono entrano in carica. I ministri vengono proposti dal Presidente del Consiglio. I compiti del governo sono di indicare l’indirizzo politico del governo e il potere esecutivo, ovvero emanare e garantire il rispetto delle leggi. Il Presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento in Seduta Comune, un organo ad hoc, a maggioranza assoluta le prime due volte, a maggioranza relativa la terza volta. Una legislatura dura 5 anni, mentre il Presidente della Repubblica ne è in carica 7. Il potere giudiziario consiste nel verificare la conformità delle leggi. Gli altri due poteri (esecutivo e legislativo) sono rappresentati dal Presidente del Consiglio e della Repubblica. Questi tre poteri sono separati e indipendenti l’uno dall’altro, ciò è caratteristico di un ordinamento democratico. Nessun potere, in virtù di ciò che è accaduto precedentemente, prevale sull’altro, altrimenti c’è un potere esecutivo che dà l’indirizzo politico al paese e non sarebbe più democrazia. La democrazia deve essere continuamente tutelata, ci devono essere pesi e contrappesi che permettono che nessun potere prevalga sull’altro. Una delle costituzioni considerata perfetta era la Costituzione di Weimar dove era riuscito però a prevalere il Presidente della Repubblica instaurando un regime dittatoriale. L’ordinamento regionale in opposizione all’accentramento fascista. La nostra costituzione fu scritta liberamente da forze politiche e democratiche elette dai cittadini italiani, una costituzione liberamente scelta in cui gli occupanti (i vincitori) non entrano. 1° gennaio del 1948, l’Italia aveva già firmato il Trattato di Pace e De Gasperi aveva cercato di portare avanti le istanze italiane ma non era stata accolto. L’unico caso in cui fu accolto fu a Londra il 18 settembre del 1945. Nell’agosto del 1946 viene a conoscenza del Trattato di Pace grazie al nostro ambasciatore a Parigi, ma non ebbe la possibilità di chiedere modifiche. Prima delle elezioni del 1948, 100 famiglie italiane si erano trasferite in Belgio poiché temevano che vincesse il Partito Comunista, per poi trasferirsi al sicuro in Gran Bretagna, fu una campagna elettorale durissima. Nel marzo 1948 in questo tentativo di riaccreditarsi, l’Italia ottiene un invito a Bruxelles, si firmò il Patto di Bruxelles, la prima alleanza militare alla quale parteciparono la Gran Bretagna, la Francia, il Belgio e il Lussemburgo e di cui farà parte anche l’Italia. Tutto ciò li porterà a creare l’Alleanza Atlantica. Gli Stati Uniti non potevano allearsi con altri paesi al di fuori del loro territorio in un periodo non militare, difatti hanno sempre avuto una politica isolazionistica. Nella situazione che si era creata, gli europei avevano bisogno del supporto americano perché non avrebbero confrontato da soli la minaccia sovietica. Il Patto di Bruxelles è un escamotage per dare agli americani un punto di appoggio che potrà poi portarvi a creare l’Alleanza Atlantica. Il patto è contro un possibile risorgere del pericolo tedesco (la Germania non esisteva allora). L’Italia rifiuta, Sforza che era allora ministro degli esteri, voleva che la Germania fosse inclusa e reintegrata. Gli americani se la prendono tantissimo perché volevano riaccreditarli, avendogli chiesto un supporto militare. Il segretario di stato americano dirà che gli italiani vogliono ricattare gli americani ma la verità è che De Gasperi rifiutò di partecipare perché era il 17 marzo del 1948, e cioè avrebbero preso un governo che non era stato eletto dal popolo e che non aveva avuto un mandato da un 20 Parlamento democraticamente eletto, le elezioni sarebbero state di lì a poco. Anche gli Stati Uniti possono dare la loro garanzia al Patto di Bruxelles, questo sarà la base (stipulato da cinque membri: Regno Unito, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo e Canada come garante) dell’Alleanza Atlantica (la cui organizzazione militare sarà la NATO). Si consolidano i fronti occidentali da parte gli angloamericani. La stagione del centrismo (quando la DC governava formando alleanze con partiti di centro o di centrosinistra) è così legata al nome di un politico, di un leader di partito e di un uomo di Stato che progetta e definisce fondamenta e compatibilità del nuovo corso repubblicano. Il centrismo degasperiano è al tempo stesso una formula semplificatrice e un prezioso indicatore di un segmento dell’itinerario post-bellico nella prima fase della ricostruzione. L’avvio della nuova stagione è legato all’esito della campagna elettorale del 18 aprile 1948. Uno scontro frontale tra partiti, coalizioni, ipotesi contrapposte giocato tanto su base nazionale quanto sullo scenario del sistema internazionale della guerra fredda. La propaganda elettorale irrompe nella politica italiana nelle forme dell’organizzazione, della persuasione, della promozione di comportamenti e scelte: i Comitati civici a sostegno della Dc, le forme di presenza religiosa che si mobilitano o, sull’altro versante, le organizzazioni del lavoro o del sindacato in appoggio alle sinistre. Una società che si organizza, si muove, partecipa per poter scegliere rappresentanti e interessi da promuovere fino alle aule del Parlamento. Nelle elezioni del 1948, ciascuna parte chiede il voto per il sostegno della pace, che ognuno rivendica e sostiene di poter garantire. Alcuni esempi di manifesti elettorali: Voto cristiano, spada protegge una famiglia dalla minaccia dei serpenti: a cura dei comitati civici, la Democrazia Cristiana poteva contare sulle associazioni cattoliche, il voto cristiano che ferisce il serpente. Il serpente è tutto ciò che ha danneggiato l’umanità (ovvero il divorzio o il libero amore). Vota o sarà il tuo padrone: il padrone sarebbe un sovietico, la morte. Difendetemi: lo scudo crociato simbolo della Democrazia Cristiana che difende il paese dalla falce e il martello (ovvero dal comunismo). W il fronte democratico? Capovolgilo e vedrai la frode —> il fronte popolare aveva come immagine quella di Garibaldi (riferendosi alla Resistenza e al Rinascimento) capovolgendola abbiamo Stalin. Tutti uniti contro i servi di Truman: manifesto del Partito Comunista Italiano del 1948. La democrazia cristiana è un burattino nelle mani degli Stati Uniti. 21 Le avventure di Pinocchio: il gatto e la volpe con le loro menzogne hanno cercato di ingannare Pinocchio, che invece viene salvato dalla fata turchina, forse rappresentante la Democrazia Cristiana. Nello sfondo c’è Stalin che si toglie la maschera di Garibaldi. In una celebre e controversa intervista dalle colonne del "Messaggero" alla vigilia della consultazione popolare De Gasperi presenta i cardini della propria proposta politica: “Siamo un partito di centro che cammina verso sinistra, la vittoria del governo non sarà una sconfitta delle classi lavoratrici, puntiamo alla riforma agraria e delle proprietà. La meta è quella di un laburismo (rappresentanza del mondo del lavoro e diritto dei lavoratori) italiano”. Un progetto che punta a ridimensionare i conflitti latenti agganciando l’Italia a una porzione di mondo potenzialmente affine. Una lettura segnata dalla connessione profonda tra piano interno e contesto internazionale. E del resto i riflessi del sistema internazionale sono immediati, misurabili direttamente nel responso di una tornata elettorale dagli esiti non scontati, per numeri e significato. Le forze filo occidentali raccolgono alla Camera dei deputati oltre il 62% dei consensi, mentre il fronte popolare delle sinistre si attesta il 31%. La vittoria della Democrazia cristiana assume le dimensioni di un’affermazione netta: il 53% della Camera dei deputati va alla Dc, il Fronte democratico popolare si ferma al 31%, l’Unità socialista raccoglie la percentuale del 7,1, mentre i repubblicani si attestano sul 2,5%, poco meno del Blocco Nazionale (liberali e Uomo Qualunque) che si colloca al 3%. La Destra estrema (monarchici e Movimento sociale) supera di poco il 5%. Simile lo scenario post- voto del Senato. Un panorama cambiato in pochi mesi rispetto agli esiti della Costituente: la Dc diventa un perno indiscusso per costruire maggioranze parlamentari, il voto a sinistra premia il Pci prevalente su altre componenti e culture, lo scontro bipolare attraversa e plasma la definizione degli schieramenti nella I legislatura repubblicana. Poche settimane dopo la formazione del nuovo Parlamento viene eletto al vertice delle istituzioni Luigi Einaudi, rientrato dall’esilio svizzero nel 1944. Presidente della Repubblica attento alle basi economiche della ricostruzioni, figura chiave dei primi passi del dopoguerra, già ministro del Bilancio, nell’autunno 1947 riuscì a rassicurare settori della società italiana preoccupati dal passaggio a un sistema democratico partecipativo; garante e arbitro dei nuovi equilibri sociali e istituzionali. Quando il 14 luglio 1948, a poche settimane dalla sconfitta del Fronte popolare si diffonde la voce dell’attentato al leader del Pci mentre stava uscendo da Montecitorio insieme a Nilde Iotti, la notizia viaggia velocemente negli angoli della penisola “Hanno sparato a Togliatti” segue una risposta composta, un richiamo al rispetto di regole e legislazioni. Tranne casi isolati di reazioni immediate e di piazza, la rabbia del popolo di sinistra non esce dal solco tracciato nella Costituzione della Repubblica. Una prova importante che consolida e legittima i rapporti di forza usciti dalle urne. La fine della grande alleanza antifascista o della collaborazione forzata circoscrive un confronto tra modelli, linguaggi, mondi di riferimento. Un punto di equilibrio faticosamente raggiunto: da un lato i vincoli del sistema internazionale, dall’altro il protagonismo e la dimensione crescente dei partiti italiani. In questo quadro la centralità della politica estera, il peso di uno sguardo che vada al di là di confini e compatibilità investe parte della classe dirigente. L’interdipendenza crescente tra la Repubblica e la guerra fredda, tra lo spazio possibile di una comunità nazionale e le connessioni crescenti di un mondo diviso in due. L’anticomunismo delimita un campo di forze all’interno dell’equilibrio bipolare, gli echi della guerra di Corea (1950-1953) primo teatro di 22 uno scontro Est-Ovest, rafforzano paure e allarmi diffusi. L’espansionismo sovietico nel blocco orientale diventa argomento di campagna elettorale e confronto dialettico tra partiti su sponde contrapposte. L’ingresso dell’Italia nella Nato come socio-fondatore (Alleanza Atlantica) il 4 aprile del 1949 offre stabilità: campo occidentale, alleanza militare di garanzia, protagonismo diretto nel processo d’integrazione continentale. I paesi che ne possono fare parte sono paesi democratici (coloro che possiedono un regimi parlamentare). Vengono fatti una serie di inviti e la Francia propone di inserire anche l’Italia. Quando la Francia propone l’inserimento dell’Italia è perché vuole tutelare i confini della Francia continentale, infatti, inserendo l’Italia, la Francia sarebbe stata coperta nei confini a sud. Gli altri alleati non accettano l’invito francese fatto all’Italia, perché non è considerato ancora un paese affidabile. Successivamente l’Italia all’ultimo momento viene invitata e firma l’Alleanza Atlantica, con un Casus Foederis progressivo (non automatico): tutti sono chiamati ad intervenire ma ognuno con i mezzi opportuni che ritiene necessari alla situazione. Il casus foederis (traducibile come “caso dell’alleanza”) è un’espressione giuridica utilizzata per descrivere una situazione o evento che attiva le disposizioni di un trattato o un accordo internazionale, innesca obblighi reciproci tra le parti contraenti. Per l’Italia questo è il primo pilastro della politica estera, si consolida la posizione italiana nel campo occidentale. Un altro progetto di integrazione europea è la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), il cui responsabile è Jean Monnet. Il Il 9 maggio 1950, con la Dichiarazione Schuman, viene proposto il primo progetto di integrazione europea: mettere in comune le risorse di carbone e acciaio di Francia e Germania per evitare futuri conflitti. Questo piano, rivolto a trasformare due ex nemici in partner collaborativi, mirava a garantire la pace e a integrare la Germania nel blocco occidentale. L’Italia, guidata da Alcide De Gasperi, aderì al progetto nonostante iniziali perplessità, poiché De Gasperi riteneva che un’Europa unita avrebbe richiesto ambiti più ampi, come l’unione militare o monetaria. Tuttavia, consapevole dell'importanza del progetto in un mondo bipolare, accettò la partecipazione italiana. Il progetto avviene il 24 ottobre 1950, il Presidente del Consiglio francese René Pleven incarica Jean Monnet (non un politico ma un tecnico) di risolvere alcune questioni, come la questione della difesa europea. Questo progetto avrebbe dovuto dar vita ad una Comunità Europea di Difesa (CED), che a differenza della NATO era un progetto sovranazionale in cui eserciti nazionali sarebbero stati integrati in un’unica struttura europea; nasce dalla Guerra di Corea. Il 25 giugno del 1950 la Corea del Nord attacca la Corea del Sud (dopo la Seconda Guerra Mondiale rimane divisa, con una parte nord di influenza comunista e una parte sud con influenza statunitense). Questo porta all’intervento delle Nazioni Unite (ONU) sotto la guida americana. L’azione militare, approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU (i caschi blu: agiscono in missioni speciali, sarebbe l’esercito degli stati membri, affinché venga creata una missione, questa deve essere votata e approvata dal Consiglio di Sicurezza), fu resa possibile dall’assenza dell’Unione Sovietica, che stava boicottando le riunioni per protestare contro la mancata assegnazione del seggio cinese alla Cina popolare. A quel tempo, infatti, il seggio del Consiglio di Sicurezza era occupato dalla Cina nazionalista (scappata a Taiwan dopo la sconfitta nella guerra civile contro i comunisti di Mao Zedong). Ritornando alla Guerra di Corea, viene approvata la risoluzione che porta le truppe ONU (sostanzialmente quelle americane) a liberare il paese e a riportare la situazione sul 38° parallelo. In Europa si 23 pensa che ciò che è accaduto in Corea poteva avvenire in Germania; in poche parole, si teme che la Germania est (Repubblica Democratica Tedesca) attacchi la Germania ovest (Repubblica Federale di Germania), quale esercito troverebbe la Germania est a difendere la Germanista ovest, non essendo armata? Si stava creando la NATO (organizzazione militare dell’Alleanza Atlantica, tuttavia sono due organizzazioni separate perché un paese può fare parte dell’Alleanza e non della NATO. Questo è successo alla Francia, dal 1967 quando Des Gaulle dichiara che la Francia uscirà dalla NATO fino al 2011 con Sarkozy). Aderiscono al progetto Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e il Lussemburgo gli stessi sei della comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio. Questo progetto per la non rettifica della Francia che ha timore del riarmo tedesco (anche se era un riarmo controllato), considerandolo minaccia per la propria indipendenza. Il fallimento della Comunità Europea di Difesa nei primi anni Cinquanta ridimensiona la spinta all’integrazione e mette da parte (per lungo tempo) la possibilità stessa di un esercito europeo integrato e condiviso: la bocciatura definitiva con un voto del Parlamento francese il 30 agosto cade beffarda pochi giorni dopo la morte di De Gasperi. De Gasperi sosteneva che l’integrazione europea si fondasse sulla condivisione di aspetti essenziali dello Stato, come l’esercito e la moneta, simboli di sovranità. Riteneva che creare un esercito comune significasse cedere sovranità in un settore cruciale come la difesa. Nel 1952, si batté affinché nel trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa fosse inserito l’articolo 38, che prevedeva che l’assemblea della CECA elaborasse un progetto per una comunità politica europea con un parlamento eletto. Cresciuto nell’Impero Austro-Ungarico, dove alcuni ministeri chiave erano condivisi, De Gasperi fu ispirato da quel modello per promuovere un’Europa più unita e politica, riuscendo a far approvare la sua proposta. Quale asse (tra Europa e Usa) ha più peso nelle priorità strategiche della classe dirigente italiana? Il progetto europeo ha uno spessore culturale che ne motiva ambizioni e finalità, la partnership atlantica unisce ragioni di convenienza (basti il richiamo agli aiuti del Piano Marshall) con obiettivi strategici iscritti nella dottrina Truman del contenimento nei confronti dell’espansionismo del mondo comunista. Più culturale la prima (Europa) e più politica la seconda (America). Nel 1951 si tiene il primo censimento (acquisire informazioni sul numero di abitanti e sulle caratteristiche di una popolazione in un dato momento) su base nazionale dopo la fine della guerra: 47 milioni e mezzo di abitanti, netta maggioranza di contadini. Un paese a prevalenza agricola (ancora per pochi anni) nel quale le parole e gli auspici del fascismo sui caratteri di una modernizzazione dinamica e unificante non avevano avuto grandi fortune. Campagne arretrate in condizioni spesso difficili con un processo di urbanizzazione lento e distante dagli standard evoluti del tempo, base industriale ristretta legata alla proprietà di alcune famiglie e alle zone del triangolo del Nord (Milano, Torino, Genova). La continuità segna la struttura portante della società italiana: quasi il 13% degli analfabeti, più del 46% i semianalfabeti, solo l’1% della popolazione giovanile riesce a laurearsi. Il censimento porta le cifre dell’arretratezza: alta mortalità infantile, condizioni igieniche precarie (solo il 10% ha il proprio bagno), malattie infettive causa di molti decessi, i beni indici di agio o ricchezza (telefono, automobile) in possesso di meno del 5% della popolazione. Negli stessi anni tra il 1951 e il 1952 viene condotta l’Inchiesta sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla; il ritratto del paese è impietoso. Quasi il 12% delle famiglie vive in 24 condizioni di povertà; solo il 40% della popolazione alloggia in strutture adeguate (non affollate); la condizione delle periferie e delle borgate nelle grandi città è particolarmente disagiata. Quasi 4 milioni e mezzo di famiglie non mangiano mai carne, poco più di 3 milioni la mangiano solo una volta a settimana; 1 milione e 700 mila famiglie non usano lo zucchero. La sintesi è che il livello alimentare è molto basso per quasi il 28% degli italiani, da modesto a buono per oltre il 51%, elevato per il 21%. La differenza nel reddito pro capite tra Nord e Sud è di 1 a 5. Solo il 54% degli italiani indossa scarpe adeguate. La relazione tra Chiesa, strutture del mondo cattolico e meccanismi decisionali sono destinate a nuove tensioni, legate alle scelte della Democrazia cristiana e al pluralismo di componenti interne in competizione tra loro. La scomunica della Santa Sede nei confronti dei comunismi del luglio 1949 appare come ultimo atto di una contrapposizione frontale ormai superata dalla composizione della società italiana. La dialettica comunismo-anticomunismo passa per altre vie, si alimenta di miti contrapposti, trova nella guerra fredda ragioni e limiti invalicabili. Riformismo della I legislatura (1948-1953). Alla base di questo riformismo gli effetti di una congiuntura favorevole: s

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