Storia del Cinema e Neorealismo PDF

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Questo documento esplora la storia del cinema, concentrandosi in particolare sul movimento del Neorealismo italiano. Descrive le origini del Neorealismo, il contesto storico in cui si è sviluppato, e i suoi principali esponenti. Include anche una panoramica del cinema italiano sotto il regime fascista, e la nascita di Cinecittà.

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STORIA DEL CINEMA INTRODUZIONE DI NEOREALISMO ITALIANO Quando parliamo di tendenze artistiche, ci sono 2 tendenze, i movimenti organizzati e quelli spontanei. Si parla di un movimento organizzato quando il nome di questo movimento è autoassegnato, quando esiste un testo scritto, quando c’è un testo...

STORIA DEL CINEMA INTRODUZIONE DI NEOREALISMO ITALIANO Quando parliamo di tendenze artistiche, ci sono 2 tendenze, i movimenti organizzati e quelli spontanei. Si parla di un movimento organizzato quando il nome di questo movimento è autoassegnato, quando esiste un testo scritto, quando c’è un testo programmatico che esplicita gli scopi di questo movimento e quando c’è una data precisa di inizio di questo movimento. Invece si parla di tendenza spontanea quando non c’è un leader, il nome del movimento non è stato scelto dagli stessi componenti ma inventato da altri e da esterni, non c’è un manifesto programmatico e manca una data precisa. MOVIMENTO ORGANIZZATO Presenza di un padre fondatore, leader o caposcuola Nome auto-assegnato Presenza di un manifesto programmatico o dichiarazione di intenti Data di nascita precisa TENDENZA SPONTANEA Assenza di un leader vero e proprio Nome assegnato da altri (di solito dalla critica) Assenza di un manifesto programmatica Assenza di una precisa data di nascita Per esempio, parliamo di movimento organizzato come il Futurismo inaugurato da Filippo Tommaso Marinetti. Come tendenza spontanea possiamo citare per esempio il Cubismo. Infatti, per esempio, mentre troviamo un manifesto del Futurismo con quindi una data precisa, non possiamo dire lo stesso del cubismo che non ha una data precisa di nascita visto che non abbiamo un manifesto o un testo pragmatico. Il neorealismo è una tendenza spontanea: «Ognuno viveva per conto suo, pensava e sperava per conto suo. Non è che un giorno ci siamo seduti a un tavolino di via Veneto, Rossellini, Visconti, io e gli altri, e ci siamo detti: adesso facciamo il neorealismo. Addirittura, ci si conosceva appena». Vittorio De Sica, 1954 ORIGINE DEL TERMINE «NEOREALISMO» Prima di essere applicata ai film italiani dell’immediato dopoguerra, l’espressione «neorealismo» era stata usata dalla critica letteraria già a partire dagli anni ’20 del ‘900. Per esempio, Ettore Lo Gatto intitola Dal futurismo al neorealismo il primo capitolo di Letteratura sovietista (1928). Nel corso degli anni ’30 molti critici applicano il termine sia a opere italiane (come Gli indifferenti di Alberto Moravia), che a tendenze letterarie straniere (come la “Nuova oggettività” tedesca o il romanzo americano di Hemingway, Faulkner o Dos Passos). La parola era stata usata precedentemente anche dalla critica cinematografica italiana, ma solo a proposito di opere straniere, come i film muti sovietici e soprattutto i film francesi degli anni ’30. Per esempio, Guido Aristarco, recensendo nel 1943 Ossessione, sottolinea il suo debito con il «neorealismo francese», mentre lo stesso anno Umberto Barbaro scrive un articolo sul cinema francese intitolato Neo-realismo. L’espressione viene usata per la prima volta a proposito del cinema italiano dell’immediato dopoguerra in tre articoli del 1948: Avviso di Luigi Chiarini, Le basi filosofiche del neorealismo cinematografico italiano di Félix A. Morlion (pubblicati entrambi su «Bianco e Nero») e Panoramique sur le cinéma italien di Antonio Pietrangeli (apparso inizialmente in Francia su «La Revue du Cinéma»). Il termine, tuttavia, non si diffonde immediatamente e diviene d’uso comune soltanto a partire dagli anni ’50 (infatti in uno dei primi contributi importanti su questo argomento, Il realismo cinematografico e la scuola italiana della Liberazione di André Bazin, pubblicato in Francia nel 1948, non compare mai l’espressione «neorealismo»). CRONOLOGIA- PERIODO STORICO IN CUI SI SVILUPPA IL NEOREALISMO Come data di nascita si indica di solito il 1945, perché è al tempo stesso anno della fine della Seconda guerra mondiale e della liberazione dell’Italia da occupazione nazista e apparizione del film “Roma città aperta” di Roberto Rossellini, considerato come primo film neorealista. Il neorealismo, vero e proprio, viene anticipato da alcuni film prodotti durante la 2 guerra mondiale, negli ultimi anni di vita del regime fascista, tra questi film ricordiamo “Ossessione” di Luchino Visconti che esce nel 1943: questo film è considerato l’altro capostipite del neorealismo. In questo caso si parla di PROTONEOREALISMO, o PRENEOREALISMO per film come “Ossessione” che escono prima, e che anticipano il Neorealismo. Pertanto, il periodo anteriore al 1945 è però più corretto parlare di «proto-neorealismo» o «pre-neorealismo». Mentre collochiamo con più facilità la data di inizio del Neorealismo ossia il 1945, d’altra parte è più difficile invece indicare una data di morte o fine del Neorealismo, possiamo dire che si conclude nei primi anni 50. Il 1952 si può prendere come data simbolica perché esce l’ultimo film che possiamo considerare neorealista "Umberto D" (1952) di Vittorio De Sica. Non tutti i film prodotti in Italia fra il 1945 e il 1952 sono da considerare neorealisti: il numero delle opere riconducibili direttamente a questa tendenza supera a stento la cinquantina. All’interno di questo corpus circoscritto spiccano i film di quattro registi considerati i rappresentanti più tipici del neorealismo italiano: Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Vittorio De Sica (insieme allo sceneggiatore Cesare Zavattini) e Giuseppe De Santis. Il film “Ossessione” può essere considerato il capostipite del Neorealismo, perché esce prima di “Roma città aperta”. “Ossessione” è il primo film di Visconti, ed è tratto da un romanzo americano “Il postino suona sempre 2 volte” e parla di una coppia clandestina che decide di uccidere il marito della donna. È un film su una coppia criminale, e la cosa interessante è che, mentre il romanzo è ambientato in California, Ossessione la traspone in Italia e specialmente a Ferrara, e tranne una parte che è girata ad Ancona. IL CINEMA ITALIANO DI REGIME Dopo un momento di grande fioritura negli anni ‘10 del ‘900, il cinema muto italiano attraversa un periodo di gravissima crisi nel decennio successivo (dai 350 film prodotti nel 1921 si passa ai 60 film del 1924). Negli anni ‘30 si assiste invece a una rinascita della produzione nazionale dovuta a due principali fattori: 1. l’avvento del sonoro 2. le iniziative a sostegno del cinema messe in atto dal regime fascista. L’AVVENTO DEL SONORO - Il cantante di Jazz (1927) di Alan Crosland: Il film fu proiettato per la prima volta in Italia al Supercinema di Roma il 19 aprile 1929. - Fondata a Roma nel 1906, la Cines era stata una delle più importanti case di produzione italiane del periodo del muto e aveva cessato l’attività nel 1918. Nel 1929 Stefano Pittaluga rileva gli studi della Cines e produce il primo film sonoro italiano. - Negli anni successivi Pittaluga produce altri film sonori importanti, ma muore prematuramente nel 1932. - La canzone dell’amore (1930) di Gennaro Righelli - La segretaria privata (1931) di Goffredo Alessandrini LA POLITICA CINEMATOGRAFICA DEL FASCISMO = Motto, firmato da Mussolini, posto su una parete nel cantiere della nuova sede dell’Istituto Nazionale Luce, in occasione della posa della prima pietra, il 10 novembre 1937. Viene creato nel 1924 da Luciano De Feo allo scopo di produrre e diffondere film educativi. Nel 1925 viene trasformato in un Ente parastatale, l’Istituto Nazionale Luce) alle dipendenze del governo. L’acronimo L.U.C.E. sta per «L’Unione Cinematografica Educativa». Specializzato nel cinema non-fiction, l’Istituto Luce è famoso soprattutto per la produzione di cinegiornali. In Italia i Cinegiornali LUCE possono considerarsi antecedenti del telegiornale. L'Istituto LUCE (L'Unione Cinematografica Educativa) è stata una società per azioni italiana, creata nel 1924 durante il ventennio fascista, celebre per esser divenuta un potente strumento di propaganda del regime fascista, è la più antica istituzione pubblica destinata alla diffusione cinematografica a scopo didattico e informativo del mondo. Nello statuto di fondazione del LUCE, la finalità dell'Istituto era volta alla «diffusione della cultura popolare e della istruzione generale per mezzo delle visioni cinematografiche, messe in commercio alle minime condizioni di vendita possibile, e distribuite a scopo di beneficenza e propaganda nazionale e patriottica». I «Giornali Luce» erano notiziari di una decina di minuti proiettati obbligatoriamente nelle sale a partire dal 1926. I «Giornali Luce» vengono suddivisi in tre gruppi: Giornale Luce A (1927-1931): 1037 numeri (muti). Giornale Luce B (1931-1940): 1694 numeri (sonori). Giornale Luce C (1940-1945): 430 numeri (sonori). Nata da un’idea del conte Giuseppe Volpi, presidente della Biennale di Venezia, l’Esposizione d’arte cinematografica è la più antica manifestazione di questo tipo al livello mondiale. La prima edizione si svolge dal 6 al 21 agosto del 1932. A partire dal 1934 viene istituita la Coppa Mussolini per premiare il miglior film italiano e il miglior film straniero. DIREZIONE GENERALE PER LA CINEMATOGRAFIA (1934) La Direzione generale per la cinematografia viene istituita nel 1934 per volontà di Galeazzo Ciano presso il Ministero per la stampa e la propaganda, che nel 1937 diventerà il Ministero della cultura popolare. A capo dell’ufficio viene posto Luigi Freddi, che lo dirige fino al 1939. Luigi Freddi (1895- 1977) =direttore generale per la cinematografia. Nel 1932 viene fondata a Roma la Scuola nazionale di cinematografia come sezione autonoma del Conservatorio di Santa Cecilia, sotto la guida del regista Alessandro Blasetti. Nel 1935 viene fondato da Luigi Freddi il Centro Sperimentale di Cinematografia, sotto la direzione del critico e teorico del cinema Luigi Chiarini. Nel 1940 viene inaugurata da Mussolini la nuova sede del Centro Sperimentale di Cinematografia, in Via Tuscolana nei pressi di Cinecittà. Studi di cinecittà (1937) = tutto avviene nel 1935, quando gli stabilimenti della Cines vengono distrutti da un incendio, Luigi Freddi convince il finanziere Carlo Roncoroni a costruire un nuovo studio cinematografico di dimensioni imponenti. Gli studi di cinecittà, situati in via tuscolana, vengono inaugurati ufficialmente nell’aprile del 1937. Carlo Roncoroni rimane alla guida di cinecittà fino alla morte, avvenuto nel 1938, dopo la quale gli stabilimenti vengono rilevati dallo stato. Inaugurati gli studi di cinecittà: da strumento di propaganda e di "distrazione di massa" nato negli anni bui del regime, Cinecittà diventa in poco tempo la grande fabbrica di sogni made in Italy, capace di tenere testa ai mitici studios hollywoodiani. Oggi, oltre ad essere la più grande città del cinema in Europa, è la memoria storica di ottant'anni di settima arte. Dall'inizio degli anni Trenta, il regime fascista intuisce le potenzialità del cinema come strumento di propaganda e adotta una serie di provvedimenti, che hanno l'effetto da un lato di scoraggiare le importazioni di film stranieri, dall'altro di alimentare una produzione locale. La fine dei vecchi studi Cines nel 1935, distrutti da un incendio, crea le condizioni per la costruzione di un nuovo e più vasto complesso, rispondente alle ambizioni "imperiali" dell'Italia mussoliniana. La zona in questione viene individuata in un terreno di 500mila metri quadrati, lungo la via Tuscolana, a 9 chilometri dal centro di Roma. Del progetto vengono incaricati l'architetto Gino Peressutti e l'ingegnere Carlo Roncoroni. "Perché l'Italia fascista diffonda nel mondo più rapida la luce della civiltà romana". Così si leggeva sul manifesto che nel 1937 annunciava la nascita degli studi di Cinecittà, che – almeno nelle intenzioni del duce – proprio per questo era stata fondata. Il 28 aprile di quell'anno Mussolini aveva partecipato alla cerimonia d'inaugurazione degli studi sulla via Tuscolana, alle porte di Roma, dove un suo motto campeggiava a caratteri cubitali: "La cinematografia è l'arma più forte". La politica cinematografica del fascismo distingue nettamente intrattenimento e propaganda. Di norma la propaganda politica è affidata alla produzione non-fiction (e in particolare ai giornali Luce), mentre la funzione del cinema di fiction è di puro intrattenimento. IL CINEMA ITALIANO COME “ARMA FASCISTA”: DA LUCE A CINECITTÀ Dall’Istituto LUCE alla nascita di Cinecittà: come Mussolini ed il fascismo hanno rivoluzionato il cinema italiano cercando di farne un’arma politica. Il Cinema è stato uno degli strumenti di propaganda politica più apprezzati dai regimi totalitari, tra cui quelli del nazismo e del fascismo. Infatti, con la salita al potere nel 1922 di Benito Mussolini – cinefilo come il politico sovietico Stalin ed il nazista Goebbels – il cinema italiano fu travolto dal fascismo, divenendo in poco tempo «l’arma più forte» al servizio del potere. Durante i primi anni al potere Mussolini cercò di orientare la politica del regime alla conquista e monopolizzazione del settore cinematografico. Furono quindi varate una serie di misure col fine di promuovere il cinema come principale mezzo propagandistico. È così che – da un’idea di Mussolini, Paulucci De Calboli e De Feo – nel 1924 fu fondata L’Unione Cinematografica Educativa (LUCE). Quest’ultimo fu il primo vero esempio di “organizzazione pubblica e sistematica di educazione, informazione e propaganda attraverso le immagini”. La nascita della Mostra del cinema di Venezia e di Cinecittà Mentre si cercava di rilanciare la produzione nazionale con l’aiuto di misure protezionistiche e con la creazione della Direzione Generale per la Cinematografia (affidata a Luigi Freddi), il regime si dedicò anche alla costruzione di nuove ed importanti infrastrutture cinematografiche. Nel 1932 nacque la Mostra internazionale d’arte cinematografiche di Venezia, ritenuta ancora oggi il festival del cinema più antico e prestigioso in Italia. Nel 1935, invece, a seguito di un tragico incendio che distrusse gli studi della società CINES, Luigi Freddi – l’allora direttore generale per la cinematografia – avviò i lavori per la costruzione di un imponente complesso di teatri di posa, Cinecittà: Cinecittà sorge dalle ceneri della Cines, distrutta dal fuoco, per cause misteriose, nel 1935: Roncoroni, che ne ha curato la nascita e il decollo, muore alla fine del 1938. Un anno dopo, l’intero complesso viene ceduto dagli eredi allo stato e, nel gennaio 1940, Freddi ne è nominato direttore. Nel giro di pochi anni s’assiste a un notevole sviluppo della produzione italiana, che raggiunge, per qualità, modernità d’impianti e potenzialità produttive, uno dei primi posti al mondo riuscendo a sfornare prodotti avanzati dal punto di vista tecnologico e competitivi anche rispetto a quelli di Hollywood.» LE ORIGINI DEL NEOREALISMO La politica cinematografica del fascismo conteneva in sé una forte contraddizione: da una parte il regime esercitava una severa censura sui film e sulla stampa, dall’altra la creazione di istituzioni come la Mostra di Venezia, il Centro Sperimentale di Cinematografia o i Cineguf (cine-club universitari creati da Freddi nel 1934) aveva dato vita a un intenso dibattito critico sul cinema che si svolgeva su alcune riviste specializzate. I registi del periodo, inscritti nel neorealismo, rifiutano di essere legati ad una categoria precisa (siamo nella primavera del 1948): non vogliono riconoscersi in una etichetta che non renda conto delle loro reciproche diversità. Anche le dichiarazioni di De Sica testimoniano che, effettivamente, i registi dell’epoca non sapevano cosa stessero facendo (in termini di etichetta): non ci si è messi a tavolino e ci si è e detti facciamo il neorealismo, succede che ognuno si specializza in quello che desidera mostrare al pubblico come meglio gli riesce e poi viene inscritto in una categoria. Zavattini: “il neorealismo come categoria limita l’orizzonte del cinema italiano”. Volontà di un cinema calato nei problemi di attualità: Leo Longanesi (1933) propone di abbandonare i teatri di posa e di scendere con la macchina da presa per le strade, rinunciando all’artificio in virtù dell’Italia vera, della realtà. Insistere sul carattere nazionale dei nostri film era anche un obiettivo principale sia per le direttive del regime fascista che per le spinte che muovono gli intellettuali. “Cinema”: rivista con direzione del figlio del Duce Vittorio Mussolini che, dopo la perdita dei consenti legati al fascismo, diviene nucleo della battaglia per il rinnovamento cinematografico che troverà luogo nel postguerra. Molti scrivono sulla rivista, tra cui anche lo stesso Luchino Visconti (Michelangelo Antonioni, Mario Alicata). La rivista si configura come strumento antifascista, pagina su cui scrive anche Zavattini nel 1940 “I sogni migliori”, qui Zavattini immagina un tipo di cinema totalmente privo di un intreccio narrativo e basato sulla pura osservazione della realtà quotidiana. Lo scrittore propone infatti di posizionare la cinepresa in una strada o in una stanza per riprendere «l’uomo che dorme» o «l’uomo che litiga», anticipando gli esperimenti compiuti da Andy Warhol in film come Eat (1963) o Sleep (1964). Alicata e De Santis, che pure scrivono sulla rivista Cinema, credono che l’incipit sia da ritrovare nel naturalismo di Zola e Verga. Il realismo di Verga è dove le creature sono più primitive e più vere, dove la macchina da presa scende per le strade del nostro paese seguendo il passo lento e stanco dell’operaio che torna alla sua casa. Giuseppe De Santis e Mario Alicata (1918-1966) - Verità e poesia: Verga nel cinema italiano (1941) - Ancora di Verga e del cinema italiano (1941) «Giovanni Verga non ha solamente creato una grande opera di poesia, ma ha creato un paese, un tempo, una società: a noi che crediamo nell’arte specialmente in quanto creatrice di verità, la Sicilia omerica e leggendaria dei Malavoglia, di Mastro don Gesualdo o dell’Amante di Gramigna sembra offrire l’ambiente più solido e umano, più miracolosamente vergine e vero, che possa ispirare la fantasia di un cinema il quale cerchi cose e fatti in un tempo e in uno spazio di realtà, per riscattarsi dai facili suggerimenti di un mortificato gusto borghese». Alicata e De Santis, 1941 Barbaro e Chiarini rappresentano il punto di riferimento di questi giovani. Il realismo per Barbaro è visivo e si lega al racconto popolare d’intrigo. “Sperduti nel buio” è un film emblematico che Barbaro porta alla luce prima della guerra e che, a causa delle confische da parte dei nazisti della Cineteca Nazionale, resta un film che si è effettivamente “sperduto nel buio”, di cui non si hanno più tracce. Luchino Visconti eredita questa passione per Verga di Alicata e De Santis, respingendo il cinema “cadavere” e stantio e promuovendo un nuovo modo di fare cinema caratterizzato da una profonda riscoperta dei valori umanistici. Bisogna portare sullo schermo le contraddizioni del tempo presente in cui si vive, abbandonando i teatri di posa e catapultadosi nella realtà viva del paesaggio italiano. Antonioni, “Gente del Po”: 1943-1947 gestazione del film. Documentarismo degli anni ’30, immersione nella natura delle valli padane. - Vittorio De Sica (1901-1974) Volti nuovi nel cinema (1942) «Se fosse possibile, mi piacerebbe di scegliere i miei interpreti dalla strada, tra la folla. Vorrei che il mio protagonista fosse quel giovane il quale siede davanti a me nel tramvai o quella ragazza che conduce per mano un bambino e di tanto in tanto l’accarezza con gli occhi bellissimi, o quella vecchia donna scarmigliata che in questo momento sta leticando sull’uscio di quella bottega». Vittorio De Sica, 1942 RIASSUNTO GENERALE SULLE CARATTERISTICHE E ORIGINI DEL NEOREALISMO La tendenza cinematografica più importante del secondo dopoguerra ebbe luogo in Italia negli anni 1945-1951: il neorealismo. Esso non fu un movimento compatto e organizzato come altri che lo avevano preceduto, ma senza dubbio creò un diverso approccio al cinema di finzione ed ebbe un’influenza enorme e duratura nel cinema mondiale. Nell’Italia uscita dalla guerra e dalla dittatura, si sentiva il bisogno di una rinascita politica e sociale, cineasti e registi vollero farsi artefici di questo rinnovamento. Proposero un cinema che scavava nella realtà del presente e del più recente passato, portando alla luce storie, temi e personaggi di quel mondo su cui bisognava agire, il cinema neorealista si caratterizza fin da subito per il suo forte impegno sociale. I film neorealisti si distinsero seccamente dalla produzione precedente italiana e mondiale. Erano girati non nei teatri di posa, ma anche nelle strade e nelle campagne. Proponevano storie che raccontavano le vicende attraversate dall'Italia, la resistenza partigiana, le condizioni sociali delle classi più povere. Per la prima volta i protagonisti erano degli operai, dei contadini, degli adolescenti, dei pensionati. Vennero impiegati in alcune pellicole anche attori non professionisti. Non erano film di evasione, ma descrivevano criticamente la situazione difficile attraversata dall'Italia, in un modo così fedele alla realtà che alcuni di quei film possono oggi essere visti come documentari di un'epoca. Il neorealismo cominciò a guadagnarsi fama internazionale con Roma città aperta (r. di R. Rossellini, 1945). I film più importanti di questo movimento furono Paisà (r. di R. Rossellini, 1946), Sciuscià (r. di V. De Sica, scen. di C. Zavattini, 1946), Germania anno zero (r. di R. Rossellini, 1947), La terra trema (r. di L. Visconti, dal romanzo "I malavoglia" di G. Verga, 1948), Ladri di biciclette (r. di V. De Sica, scen. di C. Zavattini, 1948). Il nuovo movimento neorealista non proponeva un manifesto, ma solamente la propensione verso un maggiore realismo e un’enfasi sulle vicende contemporanee. L’attenzione era rivolta in particolare alle classi operaie, con l’obiettivo di raccontare le loro vicende quotidiane con la massima fedeltà. Interessanti furono le innovazioni tecniche che il movimento introdusse: la maggior parte delle riprese veniva girata all’esterno e spesso con degli attori non professionisti, e le inquadrature erano volutamente sporche. Infine, piuttosto che utilizzare solo attori non protagonisti, si preferiva utilizzare ciò che André Bazin definì “la tecnica dell’amalgama”: mescolare attori non professionisti ai grandi divi dell’epoca, quali Anna Magnani e Aldo Fabrizi. Il risultato sono quindi dei film che mettono in scena il reale in ogni sua sfumatura, ma in cui tutti gli eventi hanno la stessa importanza: è compito dello spettatore distinguere le “scene madri” dai momenti ordinari. OSSESSIONE (1943) DI LUCHINO VISCONTI Considerato uno dei massimi capolavori del Neorealismo italiano, Ossessione è il film con cui Luchino Visconti ha voluto raccontare il sottoproletariato della Valle Padana, senza paura di svelarne gli aspetti più desolanti e meschini, in aperta sfida con la rigida morale dell’epoca. Gino (Massimo Girotti), un giovane vagabondo squattrinato e senza meta, arriva nello spaccio di campagna di proprietà di Giuseppe Bragana (Juan De Landa), un uomo anziano con una moglie, Giovanna (Clara Calamai), più giovane di lui e insoddisfatta della vita che conduce. Gino trova ospitalità e lavoro nell’osteria e intreccia una relazione clandestina con la padrona di casa, che, stanca di non poter vivere la relazione con l’uomo di cui è innamorata, istiga Gino a uccidere il marito simulando un incidente d’auto. Il rimorso del delitto e la paura di essere scoperti dalla polizia segneranno la loro unione fino al tragico epilogo. "Ossessione" è un film del 1943 diretto da Luchino Visconti, che rappresenta un punto di svolta nella storia del cinema italiano ed è spesso considerato uno dei primi esempi del neorealismo. Questo film è un adattamento del romanzo "Il postino suona sempre due volte" di James M. Cain, anche se Visconti trasporta la storia dagli Stati Uniti alla campagna italiana, arricchendola con elementi culturali e sociali locali. È un film su una coppia criminale, e la cosa interessante è che, mentre il romanzo è ambientato in California, Ossessione la traspone in Italia e specialmente a Ferrara, e tranne una parte che è girata ad Ancona. Ossessione è un «film-manifesto», concepito dalla redazione di «Cinema», coinvolta quasi al completo nella sua realizzazione, per mettere in pratica le idee sul realismo enunciate sulla rivista negli anni precedenti. TRAMA Gino Costa è un giovane disoccupato. Un giorno, vagabondando, capita in un casolare abitato dal vecchio Giuseppe Bargana e dalla sua giovane moglie Giovanna. Infatuatasi del bel giovane, Giovanna convince il marito ad assumerlo nel loro spaccio. I due divengono amanti. All'insaputa del marito, Gino tenta di organizzare una fuga con Giovanna, che rifiuta pur consumata dal dubbio. Deluso, Gino scappa verso Ancona e incontra lungo la strada un viaggiatore spagnolo, che gli propone di unirsi a lui. Trascorrono i giorni; l'amore per il canto spinge Giuseppe ad Ancona, accompagnato dalla moglie per partecipare ad un concorso lirico. Qui, i tre si ricongiungono e tra i due amanti torna ad ardere la fiamma della passione. Nonostante l'ingenua benevolenza di Giuseppe, che invita Gino a riprendere il lavoro con lui, il ragazzo e Giovanna comprendono che l'unica speranza di vivere il loro amore risiede nella scomparsa del vecchio Bardana. Organizzano a questo scopo un finto incidente stradale, nel quale Giuseppe perde la vita. Ma la coppia di amanti, divorata dai sensi di colpa, si sgretola; trasferitosi a Ferrara, Gino abbandonerà Giovanna per una modesta ballerina, Anita, convinto che la donna abbia soltanto voluto sfruttarlo per impadronirsi dell'assicurazione del marito. Giovanna, sola ed avvilita, rivela a Gino di essere incinta, obbligandolo a tornare da lei. Braccati dalla polizia per l'assassinio, i due complici tentano un'ultima e disperata fuga in macchina, ma il loro mezzo finisce fuori strada. Nell'incidente Giovanna perde la vita, mentre Gino viene raggiunto dalle forze dell'ordine. IL REGISTRA DI OSSESSIONE: LUCHINO VISCONTI (1906 -1976) Luchino Visconti: Luchino Visconti nasce a Milano da una famiglia ricca e aristocratica: il padre, Giuseppe Visconti di Modrone, era duca, la madre, Carla, apparteneva alla famiglia Erba, proprietaria della più importante industria farmaceutica italiana. Nel periodo giovanile si dedica all’allevamento dei cavalli e partecipa a competizioni equestri. Nel 1936, durante un soggiorno a Parigi, conosce il regista Jean Renoir e assiste alle riprese del suo film Une partie de campagne. Nel 1940 collabora nuovamente con Renoir per il film Tosca, girato a Cinecittà, ma il regista francese è costretto ad abbandonare l’Italia con lo scoppio della guerra. Lo stesso anno conosce Giuseppe De Santis, che lo introduce nel gruppo della rivista «Cinema». Visconti esordisce nel cinema come regista molto tardi, dirigendo il suo primo film, Ossessione, all’età di 37 anni. IL RAPPORTO CON IL ROMANZO Il rapporto tra Ossessione di Visconti e il romanzo Il postino suona sempre due volte di Cain è stato spesso sottovalutato dalla critica cinematografica italiana che tende a non considerare il rapporto col soggetto non originale. Secondo molti studiosi, il romanzo di Cain è servito a Visconti solo da canovaccio, ossia come una base da cui partire per creare un’opera innovativa sia dal punto di vista del significato che della forma. Tuttavia, sono molti i riferimenti che Visconti estrapola dal romanzo di Cain: in primis, la ripresa della trama, in cui una giovane donna, sposata con un marito che non vuole, si innamora di un giovane e bel vagabondo che entra per caso nella sua locanda; i due amanti uccidono il marito di lei e dopo varie peripezie, un incidente in macchina stronca la loro vita, uccidendo lei e condannando lui al carcere. Vi sono poi, diverse analogie strutturali: come, per esempio, l’arrivo di Gino e di Frank a bordo del furgone e la loro condizione di vagabondi; molto simile è anche la scena della seduzione, in cui sia Cora che Giovanna mostrano la loro femminilità; identica è la fine delle due donne che muoiono entrambe in un incidente stradale; grande importanza ha poi il motivo della spiaggia che ritorna, anche se, mentre in Cain si tratta di una spiaggia della California, in Visconti è la riva del fiume Po. Le prime differenze tra il film e il romanzo sono quelle onomastiche, relative al nome dei personaggi, infatti, come protagonisti, al posto di Cora e Frank troviamo Gino e Giovanna, e al posto di Nick Papadackis troviamo Giuseppe Bragana; ci sono, poi, differenze anche nei luoghi, infatti, le spiagge della California vengono sostituite dalla Pianura Padana e la piazza di Ancona prende il posto del Messico. Differenze fra Ossessione e il romanzo Viene eliminato il primo tentativo di omicidio. Viene introdotto il personaggio dello Spagnolo, che appare nell’episodio di Ancona e ricompare verso la fine. (ll caso dello Spagnolo è completamente assente nel romanzo americano) Viene eliminata la parte processuale (dopo l’omicidio i due protagonisti vengono lasciati liberi ma sorvegliati da un agente). Viene introdotto il personaggio di Anita, la giovane prostituta incontrata da Gino a Ferrara, che sostituisce la Madge del romanzo. Viene eliminato l’episodio del ricattatore. Nel romanzo (Il postino suona sempre due volte (1934)): Personaggi principali Frank Chambers (vagabondo) Nick Papadakis (ristoratore) Cora Smith (sua moglie) Sackett (procuratore distrettuale) Katz (avvocato) Madge Allen (domatrice di felini selvatici) Kannedy (ricattatore) SINOSSI Arrivo di Frank alla taverna e inizio della relazione con Cora (1-3). Primo tentativo fallito di omicidio (4-5). Breve separazione e ritorno di Frank alla taverna (6). Secondo tentativo riuscito di omicidio (7-8). Arresto, processo e assoluzione (9-11). Ritorno alla taverna, separazione e incontro con Madge (12-13). Ritorno alla taverna e scontro con il ricattatore (14). Riconciliazione, incidente d’auto e morte di Cora (15). Arresto e condanna a morte di Frank (16). - La storia è narrata in prima persona da Frank Chambers, il protagonista del romanzo. - Verso la fine apprendiamo che si tratta di una confessione scritta da Frank per il cappellano del carcere prima di essere giustiziato («Così adesso mi trovo nel braccio della morte, a scrivere le ultime righe di questa storia, in modo che padre McConnell possa darle una ripassata e mostrarmi dove magari conviene aggiustarla un po’, per la punteggiatura eccetera»). - Il libro è scritto in un inglese vicino alla lingua parlata e spesso sgrammaticato che rispecchia la bassa estrazione sociale e culturale del protagonista. Il postino suona sempre due volte è un film del 1946 diretto da Tay Garnett ; il soggetto del film è tratto dal romanzo omonimo di James M. Cain. Interpreti e personaggi: - Nick Smith (Cecil Kellaway) - Frank Chambers (John Garfield) - Cora Smith (Lana Turner) Il postino suona sempre due volte (è un film del 1981 diretto da Bob Rafelson e tratto dal romanzo omonimo di James M. Cain. Il film è un remake del precedente hollywoodiano Il postino suona sempre due volte del 1946, diretto da Tay Garnett. Interpreti e personaggi: - Frank Chambers (Jack Nicholson), - Cora Smith (Jessica Lange) - Nick Papadakis (John Colicos) LA SCENEGGIATURA Autori: Luchino Visconti Mario Alicata Gianni Puccini Giuseppe De Santis Pietro Ingrao (non accreditato) Alberto Moravia (non accreditato) - Gli sceneggiatori del film lessero il romanzo in una traduzione francese dattiloscritta che Visconti aveva avuto da Renoir (anche se in Francia era già stato pubblicato nel 1936 da Gallimard). - Il film non contiene nei titoli di testa nessun riferimento al libro Il postino suona sempre due volte come fonte della sceneggiatura. - Nel dopoguerra la casa francese Gladiator Film, che aveva prodotto nel 1939 il primo adattamento del romanzo, fece causa a Visconti per plagio (la vertenza si concluse soltanto nel 1953 con il proscioglimento del regista). LA PRODUZIONE Il film viene prodotto formalmente dalla Industrie Cinematografiche Italiane – I.C.I., che però lo finanzia solo parzialmente: il resto del budget viene fornito da una società creata ad hoc di cui Visconti era il maggiore azionista. Il titolo provvisorio adottato durante la lavorazione e annunciato dalla stampa era Palude. Sembra che la decisione di ambientare Il postino nella Pianura padana sia da attribuire principalmente a Visconti, unico elemento settentrionale del gruppo; la scelta di girare un episodio del film ad Ancona si deve invece al marchigiano Puccini. CAST TECNICO ARTISTICO Regia: Luchino Visconti Sceneggiatura: Luchino Visconti, Mario Alicata, Giuseppe De Santis Fotografia: Aldo Tonti, Domenico Scala Scenografia: Gino Franzi Costumi: Maria De Matteis Musica: Giuseppe Rosati Montaggio: Mario Serandrei (Italia, 1943) GLI INTERPRETI PERSONAGGI E INTERPRETI: Giovanna Bragana: Clara Calamai Gino Costa: Massimo Girotti Giuseppe Bragana: Juan De Landa Anita: Dhia Cristiani lo Spagnolo: Elio Marcuzzo LE LOCATION La storia infatti ha inizio nella pianura padana, dove i due protagonisti, Gino e Giovanna, si incontrano. L’azione si sposta poi ad Ancona, quando è in svolgimento la fiera di San Ciriaco, dove Gino fugge e Giovanna lo segue. Infine, termina a Ferrara, dove c’è la tragica conclusione. ✓ La trattoria di Giuseppe Bragana, abbattuta nel 1953, si trovava nel comune di Canaro, in provincia di Rovigo. ✓ Nell’episodio girato a Ferrara sono visibili il Castello Estense, Piazza della Repubblica, Via Saraceno, Via di Porta San Pietro, la Stazione e il Ponte di San Giorgio. ✓ Altre scene sono state girate ad Ancona (in diverse location, tra cui il piazzale del Duomo). ✓ L’incidente d’auto in cui muore Giovanna è stato girato nei pressi di Polesella, in provincia di Rovigo. LO SPAGNOLO È un personaggio abbastanza ambiguo; da un lato può essere visto in maniera positiva, poiché aiuterà Gino ancor prima di conoscerlo (pagandogli il biglietto del treno) e tenterà di liberarlo da quella relazione malata e morbosa che lo stava attanagliando; dall’altro lato, però, alcuni critici, hanno visto nel suo personaggio una sorta di riferimento alla Guerra civile spagnola e all’antifascismo di Visconti, che non poteva permettersi di esprimere le proprie opinioni a causa della censura del regime. Dal personaggio dello Spagnolo, tuttavia, può essere desunta un’altra caratteristica ancora più innovativa e trasgressiva. Infatti, in particolar modo una scena del film (quella in cui lo Spagnolo e Gino dormono assieme nello stesso letto), ha suscitato un verto scandalo, per la forte componente omosessuale su cui sembra fondarsi. Infatti, tramite una semi-soggettiva, lo Spagnolo, grazie alla luce di un fiammifero, osserva con attenzione il corpo di Gino disteso di spalle sul letto. Questa scena, fortemente allusiva, ci porta a identificare lo Spagnolo, non solo come un semplice aiutante del protagonista, ma anche come una possibile scelta dal punto di vista sentimentale, rispetto alle due figure femminili di Giovanna e Anita. Visconti, pertanto, crea con la figura de lo Spagnolo una certa bivalenza tra intenzioni politiche iniziali (lo Spagnolo come figura anarchica e comunista, solidale al proletariato) e intenzioni intime e personali (sottintesa omosessualità). «Se vuoi puoi restare con me, in due si possono fare tante cose». «Non pensavo che tu fossi impegolato in certe cose» «Se resterai con me ti insegnerò io che per le strade non si gira soltanto per far l’amore con le donne». «Ero passato di qui con l’idea di portarti via con me». ⭢durante la notte passata insieme ad Ancona lo Spagnolo si accende una sigaretta, poi illumina con il fiammifero la schiena di Gino addormentato e la guarda lungamente. TRATTI ORIGINALI DEL FILM Scelta di una narrazione noir incentrata sull’esecuzione di un delitto da parte di una coppia adultera e criminale, del tutto insolita per la produzione italiana dell’epoca. Presenza di una sensualità e di una morbosità nella rappresentazione della relazione amorosa fra i due protagonisti che lasciò perplessa perfino la redazione di «Cinema». Realismo inedito nella scelta delle location e nella descrizione di un’Italia povera e arretrata, popolata di personaggi marginali (vagabondi, artisti girovaghi, prostitute). ACCOGLIENZA DEL FILM - Secondo la leggenda Vittorio Mussolini, dopo avere assistito all’anteprima del film, esclamò indignato: «Questa non è l’Italia!» - L’uscita di Ossessione fu preceduta da una campagna promozionale insolita per l’epoca, con articoli di anticipazione su «Cinema» e altre riviste. - Nel 1943 il film ebbe una distribuzione parziale e in alcune città – tra cui Roma – venne proiettato soltanto nel 1945, dopo la fine della guerra. - Nonostante la circolazione limitata, Ossessione suscitò un vivace dibattito sui quotidiani e sulle riviste specializzate. - Il film fu attaccato violentemente dalla stampa più conservatrice e di ispirazione cattolica, mentre fu difeso a spada tratta dalla redazione di «Cinema» e da altri giovani critici che scrivevano su giornali o riviste ufficialmente di regime. Alla sua uscita, "Ossessione" ricevette recensioni contrastanti. Da un lato, fu lodato per la sua audacia e il suo stile innovativo, dall'altro fu criticato dalla censura e da alcuni settori conservatori. Col tempo, il film è stato riconosciuto come un capolavoro e un punto di svolta nella storia del cinema. INFLUENZA SUL NEOREALISMO Il film è considerato un precursore del neorealismo, influenzando registi come Roberto Rossellini e Vittorio De Sica. La scelta di rappresentare la vita quotidiana con tutte le sue asperità e la focalizzazione sui problemi sociali e morali della gente comune sono tratti distintivi che "Ossessione" condivide con i successivi capolavori neorealisti. L’influenza di "Ossessione" si estende ben oltre il suo tempo. Il film ha ispirato numerosi registi e ha contribuito a definire il linguaggio del cinema moderno. La sua esplorazione di tematiche profonde e universali, combinata con uno stile visivo unico, continua ad affascinare e influenzare cineasti e spettatori. Ossessione in un certo senso anticipa il neorealismo, dal momento in cui scardina il cinema fascista precedente e lo rende di colpo obsoleto, sia dal punto di vista del linguaggio cinematografico, sia da quello più generalmente culturale. Ossessione viene visto come un manifesto di rottura con il cinema del passato, proprio per il fatto che prende le distanze da quelle che erano le caratteristiche peculiari dei film fascisti. Il cinema di Visconti intende con Ossessione riportare alla luce la realtà, mettendo in risalto tramite la narrazione di singole storie di individui, la situazione italiana del periodo. Insomma, Ossessione rappresenta un vero e proprio manifesto di distruzione di tutti gli stereotipi che il cinema fascista aveva creato e diffuso in quel periodo. Il significato polemico e irruento di Ossessione, tuttavia, non scampò di certo alla censura fascista. Già dalla prima presentazione a Roma, infatti, Vittorio Mussolini aveva risposto in maniera indignata alla visione del film, negando che quella mostrata nel film fosse l’Italia; tanto che poco tempo dopo, Ossessione venne eliminato dalla circolazione. Nonostante la sua vita travagliata, già prima della sua nascita ma ancor più successivamente, Ossessione è riuscito a portare in scena la vera Italia del periodo, e a dimostrare in maniera anche trasgressiva il non più attaccamento alle rigide regole imposte dal regime fascista. In Ossessione, il fulcro è la critica dello squallido modello di esistenza piccolo-borghese tanto caro al fascismo e al cosiddetto cinema dei telefoni bianchi. Inoltre, per la Feminist Film Theory, in questa pellicola per la prima volta il corpo di un uomo diviene elemento sensuale e oggetto del desiderio dello sguardo di una donna: mediante una soggettiva di Giovanna, la macchina da presa si avvicina al viso di Gino, anche l’abbigliamento (una canottiera attillata e molto scollata) enfatizza la caratterizzazione sensuale e il suo corpo è spesso l’oggetto degli sguardi espliciti di altri personaggi femminili, ma anche di quelli maschili come lo spagnolo, figura emblematica al centro di aspre polemiche a causa del sotto-testo omoerotico. In un’Italia pervasa dalla cultura fascista dove sia l’adulterio che l’omosessualità sono banditi, fare un film toccando entrambi i temi è un gesto fortemente trasgressivo e simbolico. É considerato pertanto il film che segna la nascita del neorealismo per l’ambientazione e per la forza espressiva e la carnalità delle scene passionali tra Girotti e la Calamai che rompono la tradizione del cinema al tempo ancora del Fascismo. Ricco di descrizioni della vita di persone comuni, nell'ambientazione dell'azione in città mai considerate fino ad allora dal cinema, nelle descrizioni di situazioni di vita quotidiana. L’opera pur non essendo contro il regime, non rispecchia gli ideali fascisti, vedisi per esempio il disprezzo per le condizioni piccolo-borghese tanto care al fascismo. Inoltre anche solo la scelta iniziale di prendere spunto per il film da un romanzo americano contravveniva fortemente alla politica autarchica dell’epoca. Inoltre, anche la sensualità esasperata era considerata oscena per la retorica fascista e per la chiesa. In conclusione, esso si distacca sia dai film irreali del cinema dei telefoni bianchi e sia dalla retorica dei film storici: la descrizione dei personaggi e dei loro rapporti è qualcosa di inedito rispetto ai lussuosi paesaggi e agli eroi sorridenti dei telefoni bianchi. LA TERRA TREMA È il secondo film di Luchino Visconti. Come in Ossessione, anche in La terra trema, l’ambientazione è veristica. Siamo in un paese della costa ionica della Sicilia, Aci Trezza, in provincia di Catania. È un paese di pescatori, di povera gente che vive per l’attività quotidiana della pesca. La pesca è la fonte della loro vita, ma si tratta di una vita grama. Come in Ossessione, anche in questo film è presente il fallimento: il fallimento di una famiglia di pescatori, così come nella novella di Verga da cui è tratto, ma il loro fallimento esistenziale riflette quello più generale di una crisi di valori. TRAMA La terra trema è una trasposizione cinematografica de I Malavoglia di Giovanni Verga. È una storia sulle vicende dei Valastro, una famiglia di pescatori di Aci Trezza, un borgo alle porte di Catania. Narra le loro storie di povertà e di duro lavoro. Questa poverissima famiglia sopravvive grazie alle notti passate in mezzo al mare e vive di precaria pesca, attività controllata da grossisti senza scrupoli. Il figlio maggiore dei Valastro, 'Ntoni, protesta contro gli abusi dei grossisti, ma la sua è una rivolta che rimane solitaria. Il prezzo offerto è basso, appena sufficiente a vivere una giornata, ma ogni tentativo di ottenere un aumento si spegne davanti all’intransigenza dei compratori. I pescatori più anziani sopportano, ma i giovani si sentono umiliati e cercano di ribellarsi, si rifiutano di cedere, ma alla fine non c’è nulla da fare. ‘Ntoni, fra tutti è il più determinato, in una delle risse di cui è protagonista, viene denunciato dai grossisti, viene arrestato e condannato al carcere. La prigionia, fortunatamente dura poco: la denuncia viene ritirata e ‘Ntoni torna a casa. Ntoni è innamorato, ricambiato da una fanciulla, Nadia, e dopo la pesca corre a salutarla e a passare con lei la mattinata. La sorella Mara è anch’essa innamorata, di un muratore, Vanni, col quale parla stando alla finestra. L’altra sorella, Lucia, è ancora giovanissima, molto bella e attira le attenzioni del maresciallo dei carabinieri che cerca, inutilmente, di farle la corte. Disposti a lottare contro l’oppressione, si riprende a lavorare, ma nella mente di ‘Ntoni nasce un’idea. Se i grossisti si arricchiscono col loro lavoro, perché invece di lavorare per i grossisti non si comincia a lavorare per sé stessi? L’idea fa strada. Il capitale necessario lo si otterrà mettendo un’ipoteca sulla vecchia casa di famiglia: la famiglia Valastro ipoteca la casa per comprare una barca e lavorare in proprio. I grossisti vedono di malocchio questa iniziativa. Sanno che ‘Ntoni è un bravissimo pescatore, e le sue pesche sono sempre abbondanti e hanno procurato loro ingenti guadagni. La sua uscita di scena li danneggerà, e augurano a ‘Ntoni di non farcela. L’impresa di ‘Ntoni nasce sotto buoni auspici. Proprio il primo giorno di pesca ci si imbatte in grossissimo passaggio di acciughe. La pesca è ricchissima. Si riempiono bidoni e bidoni. Si acquista il sale per la conservazione, cominciano le spese, comunque le cose vanno avanti. Una notte il tempo è minaccioso, ma la situazione economica non consente tregue. Si va in mare ugualmente. Si scatena la tempesta. Al mattino la barca dei Valastro non fa ritorno. C’è disperazione nei volti delle donne Valastro e anche nei colleghi. Si teme il peggio. Fortunatamente ‘Ntoni e gli altri riescono a tornare ad Aci Trezza, rimorchiati, ma la tempesta ha distrutto la barca, con tutto quello che conteneva. Tutto il lavoro, le prospettive, le possibilità se ne vanno in fumo. È la miseria. Per ‘Ntoni è dura. È costretto a cercare lavoro come lavorante a giornata, lui che era padrone della sua barca. Ma nessuno lo vuole assumere. I grossisti lo beffeggiano, e lo isolano. ‘Ntoni si sente abbandonato. Anche la fidanzata non si fa più vedere. La sorella Mara è costretta a lasciarsi con Vanni. Alla fine, devono vendere la pesca di acciughe ai grossisti ad un prezzo irrisorio, perdono la casa e la famiglia si disgrega tra una sciagura e l'altra. La sorella Lucia diviene l'amante del maresciallo del corpo di finanza di Aci Trezza, il fratello Cola diventa un contrabbandiere e la sorella Mara non può sposare il muratore che ama ed entra nel giro della droga. Costretto dalla fame, ‘Ntoni si rassegna a lavorare sulle barche dei grossisti. Ma, sebbene sconfitto e umiliato, appare consapevole della necessità che il suo tentativo individuale divenga patrimonio di lotta comune. IL REGISTA Durante l’occupazione tedesca Luchino Visconti nasconde nella sua casa romana numerosi antifascisti ricercati dalla polizia fascista. Nel 1924 viene fatto prigioniero dalla famigerata «Banda Koch» e si salva da una probabile fucilazione grazie all’intervento dell’attrice Maria Denis, che riesce a farlo rilasciare. Subito dopo la Liberazione partecipa alla realizzazione del documentario sulla Resistenza Giorni di gloria. Giorni di gloria = Luchino Visconti, Mario Serandrei, Giuseppe De Santis e Marcello Pagliero, con Giorni di gloria, rendono un sentito omaggio alla Resistenza. Prodotto nel 1945, è il primo documentario che racconta gli avvenimenti dolorosi vissuti tra il settembre del 1943 e l’aprile del 1945 che portarono alla liberazione dell’Italia dal giogo nazifascista. Visconti riprende il processo a Pietro Caruso, questore di Roma durante l’occupazione nazista, svoltosi nel settembre del 1944, e le fucilazioni alla schiena dello stesso Caruso, di Federico Scarpato e di Pietro Koch, eseguite rispettivamente il 23 settembre 1944, il 26 aprile 1945 e il 5 giugno 1945 a Forte Bravetta. «Le inquadrature della sedia del condannato a morte ci rimandano a quelle di Roma città aperta [uscito il mese prima] dedicate all’esecuzione di Don Pietro: sono, si può dire, il loro rovesciamento perfetto». (Stefania Parigi) Fra il 1945 e il 1947 Visconti cura ben dodici regie teatrali, offrendo un importante contributo al rinnovamento del teatro italiano postbellico. Negli anni ‘50 e ‘60 continuerà a lavorare come regista per il teatro di prosa e per l’opera lirica, alternando l’attività cinematografica a quella teatrale. Tornando a La terra trema, il modello del film è il romanzo di Verga I Malavoglia. Nella trama ci sono molti aspetti in comune, e in entrambi i casi i protagonisti sono una famiglia patriarcale di pescatori: la famiglia dei Toscano, detti i Malavoglia, nel romanzo; la famiglia Valastro nel film. Le famiglie si trovano ad affrontare gravi avversità e la disgregazione dell’unità familiare che ne consegue a causa della perdita della loro barca distrutta nel corso di una tempesta marina. La differenza fra il romanzo e il film è soprattutto nell’impostazione: nei Malavoglia lo sviluppo della trama trova motivazione nei conflitti che l’irruzione del mondo moderno provoca nell’ambito del mondo rurale siciliano; in La terra trema l’impostazione è soprattutto politica: lo sfruttamento del lavoro umano e la ribellione; la lotta degli sfruttati, lotta nella quale gli sfruttati sono costretti a pagare un prezzo altissimo. L’ambiente è quello di Acitrezza, ma la storia si discosta in parte dal romanzo di Verga a cui pure si ispira. C’è lo stesso senso della drammaticità del destino che si abbatte sui più deboli. Nel film, però, è molto più accentuato il conflitto sociale. Come negli altri film di Visconti, c’è un’impostazione politica che nel testo letterario manca. “All’ingiustizia si fa l’abitudine e tutto cade sulle spalle dei poveri – dicevano i vecchi”. La povertà è causa della disgregazione della famiglia, che diviene come un albero secco che perde i suoi rami. C’è chi si perde e prende la strada del malaffare e chi con coraggio ricomincia da capo. - Nel 1947 Visconti riceve dal Partito Comunista Italiano un piccolo finanziamento di 6 milioni di lire per girare un documentario sulla Sicilia da utilizzare durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 1948. ANALISI FILM Francesco Rosi su La terra trema: «In principio, Visconti aveva intenzione di fare non uno, ma tre film; anzi, diceva, tre documentari: uno sui pescatori, uno sui contadini e uno sui minatori. Tutti e tre in Sicilia, sulla Sicilia» (Francesco Rosi). Tutti e tre in Sicilia, sulla Sicilia. Tutti e tre, aspetti diversi della stessa lotta di esclusi contro le avversità degli uomini e delle cose. L’intenzione di portare a termine gli episodi della trilogia sul mare, sulla terra e sulla miniera di zolfo effettivamente c’era in Visconti; ma quello che sicuramente prima di tutto desiderasse era fare un film da I Malavoglia di Verga. ⮕Come si evince dal testo Appunti per un film documentario sulla Sicilia, che può essere considerato il soggetto di La terra trema, il regista non pensava né a una trilogia né a un unico film composto da tre episodi distinti: al contrario le tre linee narrative avrebbero dovuto intrecciarsi in montaggio alternato. Tuttavia, alla fine, Visconti decide di girare soltanto il film sui pescatori (anche se il sottotitolo Episodio del mare, presente nei titoli e nei manifesti, fa pensare che fosse previsto un seguito). «Come era già avvenuto per Ossessione nei confronti del romanzo di Cain, Visconti non cita nei titoli di testa I Malavoglia, ma non è un’omissione immotivata. Il ripensamento viscontiano del testo verghiano è infatti talmente radicale e profondo da non autorizzare nemmeno a parlare di un’opera “liberamente tratta“dal romanzo». (Lino Micciché) - Anche se la vicenda si svolge in epoca contemporanea e si sviluppa in modo autonomo, la presenza del romanzo I Malavoglia come testo di riferimento è riconoscibile nell’ambientazione (la cittadina di Aci Trezza) nel sistema dei personaggi, in alcune situazioni narrative e addirittura in alcune battute di dialogo. ANALOGIE FRA LE FAMIGLIE TOSCANO E VALASTRO Entrambe le famiglie per una serie di circostanze sfortunate passano da una condizione di relativo benessere all’indigenza e sono costrette a lasciare la propria casa. ‘Ntoni Malavoglia all’inizio del romanzo parte per la leva militare, mentre ’Ntoni Valastro all’inizio del film ha appena finito il suo servizio nell’esercito. Nel film Cola, fratello minore di ‘Ntoni, viene ingaggiato insieme ad altri giovani da uno sconosciuto e parte di nascosto verso una destinazione ignota, mentre nel romanzo è lo stesso ‘Ntoni che entra nel giro del contrabbando. Nel film Lucia diviene l’amante di Don Salvatore, il maresciallo della Guardia di Finanza, mentre nel libro Lia perde la reputazione in seguito al suo corteggiamento da parte di Don Michele, il brigadiere delle guardie doganali. Nel film Mara è costretta a rinunciare al muratore Nicola a causa della differenza di classe, mentre nel romanzo Mena è costretta a rinunciare a sposarsi con il carrettiere Alfio Mosca per la cattiva reputazione della sorella. Inoltre, sia il romanzo di Verga che il film di Visconti sono ambientati ad Aci Trezza (un paese alle pendici del vulcano Etna e nella provincia di Catania) = Visconti ricorre continuamente a Verga per i dialoghi e spesso radicalizza il senso e la valenza del testo letterario. Le riprese si svolgono ad Aci Trezza (Catania), dove è ambientato il romanzo di Verga, dal 10 novembre 1947 al 26 maggio 1948. Per la lavorazione del film, iniziata nel novembre del 1947, Visconti ricorse solamente ad attori sconosciuti e non professionisti. Essi erano infatti realmente abitanti di Aci Trezza, che davanti alla macchina da presa parlarono in lingua siciliana, non conoscendo altro linguaggio, e vissero la loro dura esistenza quotidiana. «La composizione della troupe era quella per un documentario. Non c’erano scenografo, costumista, arredatore. Non c’erano gru, né dolly, ma una Debrie 300 e pochi metri di carrello. In più, dei pochissimi elementi che componevano la troupe, per lo meno un terzo non aveva mai fatto cinema». (Francesco Rosi) Poiché il finanziamento del P.C.I. (partito comunista italiano) è del tutto insufficiente, Visconti è costretto a vendere beni di famiglia e riesce a concludere il film solo grazie all’intervento in extremis del produttore Salvo D’Angelo. La terra trema porta alle estreme conseguenze la prassi neorealista, già sperimentata da De Robertis e da Rossellini, di utilizzare attori non professionisti che interpretano sé stessi: tutti i personaggi del film sono impersonati da veri abitanti di Aci Trezza. Durante la lavorazione, Visconti non utilizza una vera e propria sceneggiatura, ma una sorta di piano di lavoro o di schema narrativo, ricorrendo ampiamente alla improvvisazione dell’azione e del dialogo durante le riprese. «Il film è tutto girato non solo con personaggi veri, ma su situazioni che si creano lì per lì, di volta in volta, seguendo io soltanto una leggera trama che si viene, per forza di cose, modificando man mano. I dialoghi li scrivo a caldo, con l’aiuto degli interpreti, vale a dire chiedendo loro in quale maniera istintivamente esprimerebbero un determinato sentimento, e quali parole userebbero». (Luchino Visconti) PERSONAGGI E INTERPRETI Antonio Arcidiacono: 'Ntoni Giuseppe Arcidiacono: Cola Agnese Giammona: Lucia Nelluccia Giammona: Mara - La terra trema venne presentato alla mostra di Venezia il 2 settembre 1948 e suscitò forti reazioni da parte del pubblico, con urla, fischi e insulti rivolti a Visconti. - Il film fu distribuito nelle sale nel 1950 in un’edizione ridotta e ottenne scarsissimi incassi al botteghino. Le immagini del film sono accompagnate da una voice-over che recita un commento firmato da Visconti e da Antonio Pietrangeli (ma scritto principalmente dal secondo). Gli interventi della voice-over sono molto numerosi (circa una cinquantina) e svolgono, secondo Lino Micciché, quattro principali funzioni: - Traduttiva (traduzione o riassunto dei dialoghi in dialetto siciliano). - Esplicativa-descrittiva (chiarimento del contenuto di una scena). - Integrativa-aggiuntiva (trasmissione di notizie in esclusiva). - Ideologica (commento politico agli eventi rappresentati). ROBERTO ROSSELLINI (1906 -1977) Nato a Roma nel 1906, egli si avvicina al cinema verso la metà degli anni '30, realizzando sia come montatore che, come regista, alcuni cortometraggi per l'Istituto Luce. Il primo incontro di Rossellini con il cinema avviene con la realizzazione di alcuni cortometraggi documentaristici di soggetto naturalistico fra la fine degli anni ‘30 e l’inizio degli anni ’40. Roberto Rossellini, conosciuto nel mondo come padre del Neorealismo e autore di influenti film antifascisti, il suo esordio alla regia è legato strettamente alla propaganda fascista. Infatti, l’ingresso nel cinema professionale avviene invece grazie all’amicizia con Vittorio Mussolini, che gli affida il ruolo di assistente alla regia per il film Luciano Serra pilota (1938) di Goffredo Alessandrini. Sempre come assistente alla regia, partecipa alla lavorazione del film Uomini sul fondo (1941) di Francesco De Robertis, prodotto dal Centro cinematografico del Ministero della Marina. Ancora per il Ministero della Marina, dirige il suo primo lungometraggio, La nave bianca (1941), che costituisce il primo capitolo della cosiddetta «Trilogia della guerra fascista». ➔Francesco De Robertis (1902-1959): Singolare figura di ufficiale di Marina prestato al cinema, famoso soprattutto come regista dei film semi-documentaristici Uomini sul fondo (1941) e Alfa Tau! (1942), interpretati da attori non professionisti, che anticipano il Neorealismo. «TRILOGIA DELLA GUERRA FASCISTA» La nave bianca (1941), Un pilota ritorna (1942), e L'uomo dalla croce (1943) = Trilogia della guerra fascista. Bisogna considerare che Rossellini dopo avrà il suo riscatto, come molti suoi connazionali, alla vigilia della caduta del Fascismo: la sua conversione all’antifascismo è del resto la trasformazione tipica dell’Italiano medio di formazione cattolica. Assistere all’ingiustizia della guerra svegliò il popolo dal torpore nel quale il Fascismo lo aveva gettato. Fu una presa di coscienza collettiva (o quasi). E così Rossellini passò dalla Trilogia della guerra fascista a quella della guerra antifascista: Roma città aperta (1945), Paisà (1946) e Germania anno zero (1947). Roma città aperta (1945) = Primo capitolo della cosiddetta «Trilogia della guerra antifascista». ROMA CITTÀ APERTA (1945) Il film, diretto da Roberto Rossellini, è il primo della cosiddetta trilogia antifascista: a Roma città aperta (1945) seguono Paisà (1946) e Germania anno zero (1948). La pellicola riscuote un grande successo grazie anche alla presenza di attori del calibro di Anna Magnani e Aldo Fabrizi, così come alla collaborazione di Sergio Amidei e Federico Fellini per la sceneggiatura. Alcuni fra i riconoscimenti ricevuti sono la Palma d’Oro al Festival di Cannes del 1946 e, nello stesso anno, il Nastro d’Argento alla miglior regia e alla miglior attrice non protagonista per Anna Magnani. Sceneggiato da Rossellini, Sergio Amidei, Federico Fellini e Celeste Negarville, il film si ispira alla storia vera di don Luigi Morosini, torturato e ucciso dai nazisti perché colluso con la Resistenza. Nella Roma del '43 e '44, si intrecciano le vicende di alcune persone, coinvolte nella Resistenza antinazista. Durante l'occupazione, Don Pietro protegge i partigiani e, tra gli altri, offre asilo ad un ingegnere comunista: Manfredi. TRAMA Roma, 1944. Durante i mesi dell’occupazione nazista a Roma, i tedeschi sono sulle tracce dell’ingegnere Giorgio Manfredi, a capo di un movimento della resistenza. Fuggendo sui tetti, Manfredi riesce a sfuggire alla perquisizione nel suo appartamento e trova rifugio a casa di Pina (Anna Magnani), una vedova che sta per sposare un tipografo, Francesco, anch’egli partigiano. Il figlioletto di Pina, Marcello, corre a chiamare don Pietro (Aldo Fabrizi), parroco della chiesa di S.Elena sulla via Casilina perché Manfredi ha bisogno di lui. Nel frattempo, il maggiore Bergman della Gestapo non desiste nel cercare l’ingegnere con l’aiuto del Questore e di una collaboratrice, Ingrid, la quale utilizza meschinamente Marina (un’attricetta amante di Manfredi) prospettandole ricchezza e morfina. Un attentato allo scalo ferroviario (compiuto da un gruppo di ragazzini, fra cui Marcello) provoca un rastrellamento nel grande casamento popolare dove abita Pina e dove si nascondono i ricercati. Francesco viene catturato, insieme ad altri, mentre Manfredi riesce ancora a fuggire. Pina, disperata, corre dietro al camion che porta via il suo uomo ma una raffica di mitra la colpisce a morte: straziante la scena del figlio Marcello che urla e la abbraccia sul selciato. Poco dopo, un attacco partigiano blocca la colonna tedesca e libera i prigionieri. Francesco e Manfredi decidono di rifugiarsi a casa di Marina che, ormai nelle mani di Ingrid, li denuncia: Manfredi e don Pietro vengono arrestati, mentre stavolta a salvarsi è Francesco. Sottoposto alla tortura della Gestapo affinché riveli i nomi dei suoi compagni, Manfredi muore, senza parlare, sotto gli occhi di don Pietro, che maledice gli assassini. Manfredi muore dopo aver subito numerose torture, mentre don Pietro viene fucilato. ll film termina con la triste scena dei ragazzini che, con la cupola di S.Pietro sullo sfondo, mestamente tornano a casa. IL TITOLO Il titolo viene spesso dato per scontato, ma che bisogna capire. Il termine “città aperta” viene usato durante la Seconda guerra mondiale per indicare una città che, in seguito a un accordo fra le parti belligeranti, non è dotata di mezzi difensivi e offensivi e per tale ragione dovrebbe essere risparmiata da azioni belliche e bombardamenti. Roma viene proclamata unilateralmente città aperta il 14 agosto 1943 dal governo Badoglio, ma la dichiarazione viene ignorata tanto dai tedeschi, che la occupano militarmente in settembre, quanto dagli Alleati, che si riservano piena libertà d’azione nei confronti della capitale e che la bombardano una cinquantina di volte, anche se risparmiano i monumenti e il centro storico. Quindi il titolo si riferisce a questa cosa, ma probabilmente è un titolo ironico, perchè invece ci mostra una città dove si combatte con da una parte i cittadini che aderiscono alla Resistenza e dall’altra i militari tedeschi. LA SCENEGGIATURA Fra gli autori del soggetto e gli autori della sceneggiatura vengono indicati sei o sette nomi e questa è una caratteristica su cui si è ironizzato spesso del cinema neorealista, dove spesso le sceneggiature sono firmate anche da 8 persone. Questo non significa che c’erano 10 persone che lavoravano contemporaneamente alla sceneggiatura, poichè in realtà i veri autori della sceneggiatura erano uno o due e gli altri contribuiti erano limitati e circoscritti, come l’aggiunta di qualche scena, o la revisione dei dialoghi, e tutti venivano poi accreditati come sceneggiatori. Nel caso di Roma città aperta i personaggi da ricordare per il loro contributo sono sostanzialmente due: Sergio Amidei e Federico Fellini. Sergio Amidei è stato uno sceneggiatore triestino, nato nel 1904, che aveva già lavorato intensamente come sceneggiatore nell’ultimo periodo del fascismo, fra la fine degli anni ‘30 e i primi anni ’40 e che continuerà a svolgere questa professione soprattutto nel dopoguerra, scrivendo sceneggiature di film importanti e con Rossellini collaborerà anche per Paisà. Egli è l’autore principale della sceneggiatura, che ha scritto il grosso di esse e a cui va attribuita la storia e i personaggi. Federico Fellini a quell’epoca era molto giovane, aveva 24 anni e non aveva ancora esordito nel cinema come regista. Il suo apporto è comunque importante, ma molto meno rispetto a quello di Amidei, in quanto è intervenuto in un secondo momento facendo delle aggiunte, delle correzioni e delle modifiche a sceneggiatura già scritta. Purtroppo, però la sceneggiatura originale di questo film è andata perduta e questo è un vero peccato, perchè di molti film dello stesso periodo, non solo si è conservata la sceneggiatura, ma anche diverse copie. Nel caso di questo film della sceneggiatura originale ne esistono solo 6 pagine, le prime tre e le ultime tre, che sono state ritrovate da un critico, Stefano Roncoroni, all’interno di qualche archivio ministeriale. La storia raccontata, che si svolge a Roma nel 1944, durante l’occupazione nazista, è basata su degli avvenimenti reali, per l’esattezza, i due personaggi principali, Pina e Don Pietro sono ispirati a personaggi realmente esistiti. Il personaggio di Pina è ispirato a Teresa Gullace, che era una donna di estrazione operaia che viveva a Roma e a marzo del 1944, il marito antifascista venne arrestato dai nazisti e lei insieme ad altre donne andarono a protestare davanti alla caserma, ma un soldato tedesco sparò nella folla e lei rimase uccisa. Il secondo personaggio è Don Pietro, che è ispirato alla figura di Don Giuseppe Morosini, un sacerdote romano che collaborava con la resistenza, che venne scoperto, arrestato e fucilato un mese dopo Teresa. Nel film non vengono menzionati i due avvenimenti più gravi e dolorosi: all’attentato di Via Rasella, avvenuto il 23 marzo 1944, e l’eccidio delle fosse Ardeatine, avvenuto il 24 marzo 1944, a metà strada fra le due morti di Teresa e del don. Il 23 marzo del 1944, un gruppo di partigiani comunisti misero in atto un attentato contro una divisione di soldati della polizia tedesca che marciavano in via Rasella e fecero scoppiare una carica di esplosivo e lanciato anche delle bombe a mano provocando una strage. Come rappresaglia gli ufficiali nazisti decisero di uccidere 10 italiani per ogni tedesco ucciso nell’attentato e quindi raccolsero più di 300 antifascisti, li portarono in una cava abbandonata dove vennero uccisi. Fra gli antifascisti c’era anche un prete antifascista che collaborava con la Resistenza, che si chiamava Pietro Pappagallo. Secondo il critico Stefano Roncoroni, che ha ricostruito la genesi del film, inizialmente la sceneggiatura doveva alludere anche all’eccidio delle Fosse Ardeatine attraverso la figura del prete partigiano, ispirato a Don Pappagallo, ma poi fu deciso di omettere qualsiasi riferimento a questo evento a causa del carattere controverso dell’attentato di via Rasella, organizzato autonomamente dai G.A.P. (comunisti) e non approvato da tutte le altre componenti della Resistenza e della popolazione. Al contrario il film voleva essere un film che rappresentava e soddisfava tutte le componenti della Resistenza antifascista. Non a caso abbiamo da una parte degli insegnanti fascisti che sono caratterizzati come comunisti, come Francesco, il compagno di Pina, oppure l’ingegnere Manfredi che alla fine viene ucciso sotto tortura. Questi personaggi di sinistra sono accostati a Don Pietro, quindi c’è un’intenzione chiara di soddisfare la componente comunista e quella cattolica. Probabilmente il dettaglio delle Fosse Ardeatine è stato omesso, perché fu un evento di tale importanza, che non si poteva trattare senza farne argomento centrale del film. PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE Nella Roma appena liberata la situazione per il cinema è drammatica: gli studi di Cinecittà sono inagibili e si fa fatica perfino a trovare la pellicola. Il film viene prodotto ufficialmente dalla Excelsa, una piccola società che esisteva da prima della guerra, ma Rossellini è costretto a trovare altri finanziatori e a contribuire personalmente alle spese, vendendo propri oggetti personali. Le riprese iniziano il 18 gennaio 1945 in uno studio improvvisato, dove vengono girati alcuni interni, e si concludono all’inizio dell’estate. Per questioni economiche, il film venne girato interamente muto e ridoppiato dagli autori in sede postsincronizzazione. Questa cosa però non è assolutamente insolita per il cinema italiano, perchè mentre in altri paesi tradizionalmente il dialogo veniva registrato in presa diretta, al contrario in Italia, nel dopoguerra si diffonde la pratica sistematica della postsincronizzazione. Tutti i film italiani degli anni ’50 e ’60 sono tutti girati muti e doppiati e in molti casi poi non dagli stessi attori, ma da doppiatori professionisti. Distribuito nel settembre del 1945, il film non viene accolto inizialmente con grande entusiasmo da parte della critica italiana e la sua consacrazione avviene all’estero: in Francia e negli Stati Uniti. Non è vero che venne accolto tanto male e non è neanche vero che incassò pochissimo; invece, suscitò molto interesse perché aveva degli aspetti sensazionalistici e quindi fu uno dei film più visti. Però la sua consacrazione critica venne prima all’estero. GLI INTERPRETI Anna Magnani: Pina ➪Anna Magnani interpreta Pina. Anna Magnani è stata sicuramente una delle più grandi dive fin assoluto del cinema italiano. Nasce a Roma nel 1908 e inizia negli anni ’30 ad affermarsi come attrice teatrale di varietà e di avanspettacolo. Un tipo di teatro di varietà popolare che viene chiamato così perché veniva messo in scena all’interno della sala cinematografica prima del film. Anna Magnani molto spesso recita con Totò nell’avanspettacolo negli anni ’30. Già a partire dal 1934 comincia a lavorare nel cinema, però interpretando solo personaggi secondari, ma comincia ad affermarsi come attrice cinematografica all’inizio degli anni ’40. In questo periodo, che va dal 1939 al 1943, è un periodo drammatico, in cui l’Italia va a rotoli e che però allo stesso tempo è un periodo in cui vengono prodotti tantissimi film interessanti. Anna Magnani comincia ad affermarsi all’inizio degli anni ’40 e uno dei suoi film più famosi, che interpreta prima della fine della guerra è Campo de’ Fiori del 1943 di Mario Bonnard, nel quale recita con Aldo Fabrizi e Peppino De Filippo. Poi il suo periodo d’oro fu dal 1945 con Roma città aperta che ne fa un’icona del neorealismo italiano. Interpreta tantissimi film come Amore di Roberto Rossellini del 1948, con il quale ebbe una burrascosa relazione d’amore. Di seguito fece Bellissima del 1951 di Luchino Visconti e poi Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini del 1962. Fece anche dei film a Hollywood e vinse il premio oscar nel 1956 per il film La Rosa tatuata di Daniele Mann del 1955. Rossellini fin da subito aveva pensato ad affidare il ruolo di Pina nel film ad Anna Magnani. Pina: Pina è l’unico personaggio femminile positivo presente nel film, ma è caratterizzato in maniera tutt’altro che convenzionale. Non è in regola con i precetti della Chiesa (convive con un uomo che l’ha messa incinta fuori dal matrimonio, anche se dovrebbe sposarsi il giorno dopo). Ha modi aggressivi e un temperamento impulsivo (una caratteristica tipica di quasi tutti i personaggi interpretati da Anna Magnani). Aldo Fabrizi: don Pietro Pellegrini Aldo Fabrizi interpreta invece Don Pietro Pellegrini. Egli è un’altra icona di romanità. Nasce a Roma nel 1905 e si afferma negli anni ‘30 all’interno del teatro di varietà e dell’avanspettacolo e all’interno di questo teatro acquista un grande notorietà e all’inizio degli anni ’40 decide di sfruttare questa sua popolarità per esordire come attore cinematografico. Fra il 1942 e il 1943 interpreta i suoi primi tre film: Avanti c’è posto, Campo de’ Fiori, L’ultima carrozzella. In due di questi tre film egli recita in coppia con Anna Magnani e Rossellini aveva pensato subito a Fabrizi come attore per interpretare il prete, sia per la sua connotazione romanesca e sia perchè aveva già recitato con Anna Magnani in altri film. Però non conosceva personalmente Fabrizi e aveva paura che rifiutasse la parte per il fatto che era un attore comico che non aveva interpretato né nel cinema né nel teatro dei ruoli così drammatici ed era inoltre apolitico. La questione viene risolta quando Rossellini incontra Fellini. Fellini: Fellini nasce a Rimini a e 19 anni si trasferisce a Roma dove comincia a lavorare come disegnatore e scrittore umoristico per una rivista e poi lavora come sceneggiatore per la radio e contemporaneamente frequenta l’ambiente dell’avanspettacolo e si mette a scrivere gag per attori comici di teatro e proprio in questa fase conosce Fabrizi e fra i due nasce una strettissima amicizia, tanto che Fabrizi quando decide di esordire al cinema, chiama Fellini per collaborare alla sceneggiatura dei questi tre film che interpreta. Dopodiché, nell’immediato dopoguerra, Fellini si trova totalmente disoccupato e per guadagnare un po’ di denaro, decide di aprire un piccolo negozio a Roma intitolato Funny Face Shop, nel quale realizza l’impronta delle caricature per i soldati americani. Passando davanti al negozio Rossellini vede Fellini e gli propone di convincere Aldo Fabrizi a partecipare al film interpretando il ruolo del don, offrendogli in cambio di collaborare alla sceneggiatura del film e Fellini accetta e lo riesce a convincere. Marcello Pagliero: Luigi Ferraris/Giorgio Manfredi Marcello Pagliero interpreta Giorgio Manfredi, nome falso di Luigi Ferraris, un militante della Resistenza di estrazione borghese, che ha una relazione con Marina, una ragazza che fa la soubrette in un locale. Marcello oltre ad essere un attore è stato anche un regista e nel 1946 ha diretto il film Roma città libera, che però nonostante il titolo, non ha nulla a che fare con il film di Rossellini, perché è ambientato nella Roma immediatamente successiva alla liberazione, ma che non ha nulla di politico. Maria Michi: Marina Mari Maria Michi interpreta Marina Mari. Esordisce con questo film e poi appare anche nel terzo episodio di Paisà. Fu un’attrice che non ebbe successo successivamente, ma il suo nome rimase attaccato a questo film. Marina è un personaggio molto strano e caratterizzato in maniera negativa, anche se non viene demonizzato, perchè in qualche modo è inconsapevole di quello che sta facendo. È un personaggio molto ambiguo perchè da una parte ha una relazione sentimentale con Manfredi, mentre dall’altra parte è tossicodipendente e intrattiene un ambiguo rapporto con la tedesca Ingrid, che le fornisce la droga. Alla fine, Marina svolge il ruolo della delatrice, seppure non del tutto consapevole, contribuendo alla cattura di Manfredi da parte dei nazisti. Carla Rovere: Lauretta = Carla Rovere interpreta Lauretta, la sorella minore di Pina, che fa la soubrette in un locale. È una ragazza frivola, ma che se la fa con i nazisti. Francesco Grandjacquet: Francesco Francesco Grandjaquet interpreta Francesco, il compagno di Pina, un operaio comunista che fa parte della Resistenza e che lavora in una tipografia di giornali clandestini. È l’unico personaggio che riesce a farla franca, perché viene subito liberato dopo l’arresto e quando Manfredi e gli altri vengono catturati, lui riesce a salvarsi. Harry Feist: maggiore Fritz Bergmann Giovanna Galletti: Ingrid Harry Feist interpreta il maggiore Fritz Bergmann, invece Giovanna Galetti interpreta Ingrid, un personaggio molto ambiguo, che occupa una posizione importante all’interno del comando nazista: partecipa alla retata nel palazzo di Pina vestita con una divisa paramilitare e assiste agli interrogatori dei prigionieri nella parte finale, assumendo quasi il ruolo di braccio destro di Bergmann. Svolge anche attività di spionaggio, perchè ottiene informazioni da Marina in cambio di droga, ma diversamente da una spia agisce alla luce del sole, senza dissimulare la propria identità. Durante il nazismo non esistevano divisioni femminili della Wermacht, della Gestapo o delle SS, né era possibile per una donna svolgere ufficialmente ruoli direttivi del partito nazista e nelle sue organizzazioni; quindi, la posizione di Ingrid non è chiara. È sessualmente ambigua: oltre ad avere un volto e un abbigliamento mascolino, mostra un’evidente attrazione nei confronti di Marina. Si riscontra un forte moralismo nella caratterizzazione dei personaggi femminili legati ai nazisti: se la tedesca Ingrid è lesbica, o almeno ambigua sessualmente, la delatrice Marina è tossicodipendente e Lauretta, sorella di Pina, è frivola, superficiale e disinvolta (mentre il maggiore Bergmann è interpretato da un attore gay che conferisce delle movenze effemminate al personaggio). LE LOCATION Le riprese iniziarono negli Studi Cinematografici di Liborio Capitani (una sala corse adattata a teatro di posa) in via degli Avignonesi 30, dove furono ricostruiti quasi tutti gli interni (l’ufficio del maggiore Bergmann, la sagrestia di Don Pietro, l’appartamento di Marina, etc.). Il palazzo in cui abita Pina si trova al n. 17 di Via Raimondo Montecuccoli, nel quartiere Prenestino, dove è stata girata la scena della sua uccisione. La sequenza della liberazione dei prigionieri è stata girata nei pressi del Ponte delle Tre Fontane, dopo l’incrocio fra via Ostiense e Via Cesare Frugoni, vicino al quartiere dell’EUR (sullo sfondo si vede il Palazzo della Civiltà Italiana). La sequenza della fucilazione di Don Pietro è stata girata nei pressi del Forte Trionfale, che si trova in un’area militare non visitabile; la veduta di Roma con cui si chiude il film è ripresa da Via Trionfale, a Monte Mario. Siccome il film Roma città aperta è un film fondamentale per la storia del cinema italiano, è stato girato nel 1996 il film Celluloide, che racconta in maniera romanzata la storia del making di Roma città aperta ed è un film diretto da Carlo Lizzani, con un cast molto interessante con Giancarlo Giannini che interpreta Sergio Amidei, Massimo Ghini interpreta Rossellini e Anna Falchi interpreta Maria Michi. CAST TECNICO ARTISTICO Regia: Roberto Rossellini Sceneggiatura: Celeste Negarville, Sergio Amidei, Federico Fellini, Roberto Rossellini Fotografia: Ubaldo Arata Musica: Renzo Rossellini Montaggio: Eraldo Da Roma MARIO VERDONE, COLLOQUI SUL NEOREALISMO (“BIANCO E NERO”, 1952) Mario Verdone è stato un importante critico cinematografico e uno dei primi docenti universitari di cinema ed era il padre del famoso attore Carlo Verdone. Nell’intervista Verdone a Rossellini gli chiese: “Conviene che nei suoi film v’è spesso una frattura tra un episodio particolarmente felice […] ed altre parti inspiegabilmente incomplete o perlomeno tracciate più sbrigativamente?” È esatto. In effetti ogni film che realizzo mi interessa per una data scena, per il finale, che magari ho già in mente. In ogni film io vedo l’episodio cronachistico [...] e il fatto. Tutta la mia preoccupazione non è che di arrivare a tale fatto. Gli episodi cronachistici mi rendono come balbettante, distratto, estraneo. Sarà una mia incompletezza, non dico di no, ma devo confessare che un episodio che non è di capitale importanza mi infastidisce, mi stanca, mi rende addirittura, se si vuole, impotente. Io non mi sento sicuro che nell’episodio decisivo. Ammette di amare i film con brevi episodi, quali potrebbero essere quelli di Paisà [...]? È vero. E ciò avviene perché io odio il soggetto [...]. Il nesso logico del soggetto è il mio nemico. I passaggi cronachistici sono necessari per arrivare al fatto, ma io sono naturalmente portato a saltarli, a infischiarmene. E questo è – lo ammetto – uno dei miei limiti: l’incompletezza del mio linguaggio. [...] Quando sento che l’inquadratura che giro è soltanto importante per il nesso logico, non per quello che mi preme dire, allora la mia impotenza si rivela, e non so più che fare. Quando, viceversa, è una scena importante, essenziale, allora tutto diventa facile. Anche se Rossellini nell’intervista non cita Roma città aperta, qui sicuramente la “scena importante, essenziale”, “l’episodio di capitale importanza”, è la grande sequenza che inizia con l’irruzione dei tedeschi e dei fascisti nel palazzo di Pina e si conclude con la sua morte, che costituisce il nucleo centrale del film e il momento in cui il racconto raggiunge il suo climax sul piano emotivo. Il film è nettamente diviso in due parti che si concludono con la morte dei due protagonisti. La prima parte inizia con la presentazione dei personaggi principali, prosegue con la sequenza della retata e si conclude con l’uccisione di Pina. La seconda parte inizia con la liberazione dei prigionieri da parte dei partigiani, prosegue con l’arresto e con la tortura di Don Pietro e di Manfredi e si conclude con la fucilazione del prete. La morte di Don Pietro obbedisce all’etica patriottica del sacrificio eroico e può essere considerata “utile” sia in senso pratico (perchè non tradisce i suoi compagni) che come esempio (per i ragazzini che assistono all’esecuzione). La morte di Pina è invece un sacrificio gratuito, la conseguenza di un impulso irrazionale e contrario all’istinto di conservazione che risulta del tutto “inutile” sul piano pratico. La sequenza immediatamente successiva, in cui Francesco e gli altri prigionieri vengono liberati dai partigiani, rende ancora più inutile il gesto della donna. Mentre nel finale l’esecuzione di Don Pietro viene trattata con qualche cedimento alla retorica, l’episodio più celebre del film, quello dell’uccisione di Pina, rivela un profondo pessimismo tipico della concezione del mondo di Rossellini. PAISÁ (1946) DI ROBERTO ROSSELLINI Seconda pellicola della Trilogia della guerra antifascista, è considerata una delle vette del cinema neorealista italiano. Girata con attori prevalentemente non professionisti, rievoca l'avanzata delle truppe alleate dalla Sicilia al Nord Italia attraverso sei episodi: Sicilia, Napoli, Roma, Firenze, Appennino Emiliano, Porto Tolle. Il film non racconta una storia unitaria ma è suddiviso in 6 diversi episodi, ordinati al tempo stesso in una successione cronologica e secondo un itinerario geografico che segue l’avanzata degli Alleati: dall’estate del 1943 all’inverno del 1944 e dal Sud al Nord dell’Italia. Ogni episodio è introdotto da una breve sequenza documentaria con immagini di repertorio accompagnate da una voice-over. Gli episodi: 1. Sicilia 2. Napoli 3. Roma 4. Firenze 5. Savignano di Romagna 6. Porto Tolle La sceneggiatura, a cui hanno contribuito numerosi autori (tra cui Sergio Amidei e Federico Fellini) venne completamente riscritta durante le riprese. Gli attori sono tutti sconosciuti e non professionisti a eccezione di Maria Michi, già presente in Roma città aperta. I personaggi italiani si esprimono nei loro dialetti o con forti inflessioni regionali, mentre quelli stranieri (anglo americani e tedeschi) parlano la loro lingua nazionale. TRAMA Attraverso sei episodi indipendenti l'uno dall'altro, il film rievoca l'avanzata delle truppe alleate in Italia durante la Seconda guerra mondiale. Si inizia con un episodio sullo sbarco in Sicilia, dove una ragazza e un soldato americano vedono troncare sul nascere la loro storia d'amore. Infatti, nel primo episodio, ambientato in Sicilia, un gruppo di soldati americani sbarcano in un piccolo paese dal quale i nazisti si stanno ritirando. Una giovane del luogo, Carmela, li accompagna tra i campi che i tedeschi hanno minato. Mentre il manipolo avanza, Carmela si trattiene con un soldato di guardia; il giovane viene ucciso da una fucilata tedesca ed anche Carmela trova la morte precipitando dagli scogli. Segue una scena a Napoli: i protagonisti sono un soldato afroamericano e un bambino che lo deruba. Inseguendolo, egli scopre la vita misera che conduce con la famiglia e decide di non denunciarlo. Nel secondo episodio, ambientato a Napoli, un soldato americano insegue per le strade della città un piccolo sciuscià che gli ha rubato le scarpe. Trovato il ragazzino, il milite - commosso dalla miseria che spinge il bambino a rubare - lo lascia andare. Roma è la città dove si svolge il terzo episodio: qui una prostituta riconosce, in un soldato americano ubriaco, l'uomo che l'aveva messa incinta poco tempo prima, ma costui il giorno dopo riparte senza volerla rivedere. Il quarto rievoca le drammatiche giornate della liberazione di Firenze, dove una donna cerca disperatamente un suo amico pittore, ora capo partigiano. Ma la battaglia infuria e il giovane perde la vita in combattimento. Il quinto si svolge in Romagna nella riposante quiete di un piccolo convento sulla linea gotica, sconvolto dagli eventi. Nel sesto ed ultimo episodio, paracadutisti e partigiani sul delta del Po combattono strenuamente contro i nemici, ma i nazisti hanno la meglio ed in molti vengono ferocemente massacrati. ANDRÉ BAZIN (1918-1958) André Bazin, critico e teorico del cinema, egli è stato il fondatore nel 1951 della rivista «Cahiers du Cinéma», per la quale hanno lavorato come critici François Truffaut e gli altri maggiori esponenti della Nouvelle Vague francese prima di esordire nella regia. Bazin è stato uno dei maggiori teorici del realismo cinematografico e ha scritto molti articoli sul Neorealismo italiano. Infatti, egli ha scritto un saggio sul neorealismo italiano “Il realismo cinematografico e la scuola italiana della liberazione” (pubblicato sulla rivista Esprit 1948) uno degli scritti più penetranti del neorealismo. Riguardo Paisà scrisse: Paisà come il film neorealista più importante, e che ci fa capire al meglio le caratteristiche stilistiche del cinema neorealista. i fatti non si incastrano l’uno nell’altro come le ruote di un ingranaggio. La nostra mente deve saltare da un fatto all’altro, come si salta di pietra in pietra per attraversare un fiume «Paisà è senza dubbio il primo film che costituisce l’equivalente rigoroso di una raccolta di novelle. La lunghezza di ogni storia, la sua struttura, la sua materia, la sua durata estetica ci danno per la prima volta l’esatta impressione di una novella». - Effettivamente Paisà non è basato su un unico intreccio ma composto di 6 episodi autonomi ambientati in luoghi diversi e incentrati su personaggi differenti. - Nonostante Paisà costituisce l’equivalente di una raccolta di novelle, bisogna tener conto però che le raccolte di novelle contengono spesso racconti che non hanno nulla in comune l’uno con l’altro mentre con Paisà i 6 episodi sono concepiti come un insieme unitario sul piano narrativo, formale e tematico, che deve la sua coesione a 4 elementi ricorrenti. Quali sono questi quattro elementi ricorrenti? 1. Unità di tempo e di luogo: tutti gli episodi sono ambientati in Italia negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale. 2. Gli episodi non si susseguono in modo casuale, ma sono ordinati al tempo stesso in senso cronologico (dall’estate del 1943 all’inverno del 1944) e secondo un itinerario geografico (dal Sud al Nord dell’Italia) che segue l’avanzata degli alleati nella penisola. 3. Gli episodi: i sei episodi del film sono tutti incentrati sul rapporto fra i soldati americani e la popolazione italiana. Ciò dipende dal fatto che Paisà è una coproduzione italo- americana: Rod E. Geiger per F.F.P. (Foreign Film Productions) e Mario Conti per O.F.I. (Organizzazione Film Internazionali). Rod E. Geiger (1915-2000) = Rod Geiger aveva incontrato Rossellini nel 1945 mentre prestava servizio come militare in Italia e aveva venduto Roma città aperta al distributore indipendente Joseph Burstyn, che fece conoscere i film del regista negli Stati Uniti. 4. Ogni episodio è introdotto da una breve sequenza documentaristica composta da immagini di repertorio accompagnate da una voice-over. LA SCENEGGIATURA La sceneggiatura originale è stata scritta da Sergio Amidei ma alla sua stesura definitiva hanno collaborato altri scrittori, anche stranieri (tra i quali Klaus Mann). Tuttavia, Rossellini è stato costretto a modificarla fortemente in funzione delle location scelte per riprese e questo compito è stato svolto prevalentemente da Federico Fellini, che ha seguito la troupe durante tutta la lavorazione svolgendo anche il ruolo di assistente alla regia e dirigendo una piccola scena. Quindi, alla fine la sceneggiatura = Sergio Amidei, Roberto Rossellini, Federico Fellini LE LOCATION Il secondo, il terzo, il quarto e il sesto episodio (ambientati rispettivamente a Napoli, a Roma, a Firenze e a Porto Tolle) sono girati nei luoghi in cui svolgono. Invece, il primo e il quinto episodio (ambientati rispettivamente in Sicilia e a Savignano di Romagna) sono in realtà girati entrambi a Maiori sulla Costiera amalfitana, in provincia di Salerno. GLI INTERPRETI Gli attori italiani sono tutti sconosciuti e non professionisti a eccezione di Maria Michi, già presente in Roma città aperta. Gli attori che interpretano i personaggi americani sono in parte veri soldati e in parte «professionisti» scritturati da Rod Geiger. Interpreti: I EPISODIO Carmela Sazio: Carmela Carmela Sazio fu scoperta da Rossellini mentre camminava per la campagna vicino al suo villaggio di Santa Maria la Bruna, nel Napoletano. L’immagine del suo volto fu impiegata per promuovere il film prima dell’inizio delle riprese, come conferma un articolo apparso sulla rivista «Cinetempo»: «La protagonista sarà una semplice fanciulla scoperta ipso loco; una ragazzotta del Napoletano, tutta furia, dai tratti marcati, arcigna e rude». II EPISODIO Dots Johnson: Joe, soldato americano della polizia militare III EPISODIO Maria Michi: Francesca IV EPISODIO Harriet White: Harriet, l'infermiera ANALISI DEGLI EPISODI EPISODIO 1 (SICILIA) 1943, gli americani arrivano in Sicilia per iniziare la conquista dell’isola. Trovano la gente del posto e Carmela, giovane donna in cerca di padre e fratello, si propone di accompagnare i soldati americani dai tedeschi. Arrivati, la ragazza attenderà in un fienile in compagnia del soldato Joe. Queste due persone non hanno niente in comune, nemmeno riescono a parlarsi per via della lingua. Ma c’è un linguaggio universale che li lega in quel momento: il dolore, l’essere distanti dalla normale realtà e la voglia di tornare a com’era prima, farla finita con questa storia. In questo episodio, vediamo due persone qualunque passare del tempo assieme. Ma è il contesto che il cineasta riesce a creare che fa la differenza. Utilizzando ellissi, Rossellini invita lo spettatore a rilassarsi provando tenerezza di fronte a questi due giovani che fanno i gesti per riuscire a capirsi. Ma dopo poco, ricorda a chi sta guardando che siamo comunque nel mezzo di una guerra. L’americano Joe viene colpito a morte dai tedeschi, la ragazza siciliana quando si rende conto che Joe è morto, si impossessa del suo fucile, con il quale va a sparare ai tedeschi, i quali la uccidono. Quando i soldati americani ritornano, trovando il cadavere di Joe pensano che a ucciderlo sia stata Carmela. = quindi viene creduta dai compagni responsabile della sua morte. EPISODIO 2 (NAPOLI) Un agente di colore della polizia militare americana di nome Joe che, mentre era in stato di ubriachezza si è fatto derubare da uno scugnizzo napoletano, il giorno dopo riesce ad acciuffarlo e a farsi restituire la refurtiva, ma decide di lasciargliela quando scopre che è orfano e vive in una grotta insieme ad altri senza tetto. EPISODIO 3 (ROMA) Sei mesi dopo, per le strade di Roma, una prostituta incontra un soldato americano ubriaco di nome Fred e lo porta con sé nella propria stanza; qui l'uomo comincia a raccontare del proprio incontro con una ragazza italiana, Francesca, avvenuto il giorno dell'arrivo alleato a Roma. La prostituta si rende conto di essere proprio lei la ragazza incontrata mesi prima e poi persa di vista, nella disperazione causata dalla guerra; nonostante lei cerchi di rivederlo il giorno successivo per rivelarsi come "quella" Francesca, il soldato Fred riparte senza presentarsi all'appuntamento, ignorando così per sempre la vera identità di quell'anonima donna di strada. La narrazione si fa tenerissima, ma mai smielata. Rossellini ci mostra le conseguenze più invisibili della guerra. Sembra che uomini e donne, in periodo di guerra, non abbiano il diritto all’amore. EPISODIO 4 (FIRENZE) Un’infermiera americana intraprende un pericoloso viaggio per le vie di Firenze, dove ancora infuriano i combattimenti, allo scopo di ritrovare l’uomo che ama, divenuto un capo partigiano con il nome di battaglia di «Lupo», per scoprire per caso dalle parole di un suo compagno morente che è stato ucciso in uno scontro il giorno stesso. Firenze è sotto assedio, tutti i ponti, tranne il Ponte Vecchio, sono stati distrutti e entrare in città è impossibile. Ma l’infermiera inglese Harriet non si dà per vinta: deve ritrovare il suo amato Lupo, un capo partigiano. ⮕Alcune inquadrature dell’episodio fiorentino sono state girate a Roma. EPISODIO 5 (SAVIGNANO DI ROMAGNA) Quando i frati di un piccolo convento francescano sull’Appennino isolato e risparmiato dalla guerra apprendono che dei tre cappellani militari in visita presso la loro comunità soltanto uno è un prete cattolico, mentre gli altri due sono un rabbino e un pastore protestante, decidono di digiunare durante il pranzo in refettorio per la salvezza delle loro anime. EPISODIO 6 (PORTO TOLLE) Negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale dei partigiani veneti affiancati da agenti americani dell’O.S.S. combattono contro i nazisti nelle paludi del Polesine. Alla fine, tutto il gruppo viene catturato ma solo i soldati alleati sono trattati come prigionieri di guerra, mentre i partigiani vengono uccisi barbaramente. Questi ultimi due episodi (V e VI) segnano la fine della guerra. Tra tutti sono quelli con il taglio registico più documentaristico. Il V episodio rende una lungimirante idea di cosa succederà in Italia nei prossimi anni: culture e tradizioni diverse si mischieranno, nessuno sa con quali conseguenze. Il VI episodio colpisce un’ultima volta la sensibilità dello spettatore. Quando il commentatore fuori campo annuncia la fine della guerra, ci si sente sollevati ma sfiniti. È finita, finalmente, ma a quale costo. ULTIME CONSIDERAZIONI Una ellissi narrativa è una porzione di tempo- e quindi di azione- che non ci viene mostrata o raccontata. (salto temporale). Rossellini e gli altri registi neorealisti utilizzano spesso un montaggio molto Ellittico, che richiede un certo sforzo interpretativo da parte dello spettatore. Esso consiste nell’omettere sia inquadrature o sequenze puramente esplicative che scene di una certa importanza (come l’uccisione di Carmela nel primo episodio di Paisà), lasciando al pubblico il compito di integrare le parti mancanti. Esempi di elissi in Paisà: 1. «Un gruppo di partigiani e di soldati alleati è stato rifornito di viveri da una famiglia di pescatori che vive in una sorta di fattoria isolata in mezzo alle paludi del Delta padano». 2. «Al crepuscolo, mentre l’ufficiale americano e un partigiano camminano tra le paludi, si sentono degli spari in lontananza. Un dialogo molto ellittico fa capire che i tedeschi hanno ucciso i pescatori». 3. «Degli uomini e delle donne sono stesi morti davanti alla capanna, un bimbo piange senza posa nel crepuscolo». Lo spettatore deve collegare queste tre parti: i tedeschi sono venuti a sapere che i pescatori hanno rifornito i partigiani e di conseguenza sono piombati nella loro fattoria, sterminandoli, lasciando in vita solo un bambino. Alla fine, vengono tutti catturati ma gli alleati sono trattati come Prigionieri di guerra, mentre i Partigiani vengono giustiziati. Il finale assomiglia all’episodio della morte di Pina: Dale, l’ufficiale americano, condivide la fine dei partigiani con un gesto impulsivo simile a quello della protagonista di Roma città aperta. Paisà si conclude con l’immagine dei corpi dei partigiani che affondano nell’acqua scura del Po, mentre la voice-over commenta: «Questo accadeva nell’inverno del 1944. All’inizio della primavera la guerra era finita». De-enfatizzazione Nei film neorealisti spesso le sequenze più importanti e drammatiche vengono messe in scena come se si trattasse di episodi insignificanti, senza alcuna enfatizzazione tecnico-stilistica (ottenuta di solito attraverso la scelta delle inquadrature, i movimenti di macchina, il montaggio, l’accompagnamento musicale, ecc.), come accade nel caso della morte di Dale. Germania anno zero (1948): Germania anno zero (1948) è l’ultimo film della «Trilogia della guerra antifascista», si differenzia dai primi due perché si svolge a Berlino dopo la fine della Seconda guerra mondiale. VITTORIO DE SICA E CESARE ZAVATTINI Vittorio De Sica può essere definito un artista multimediale: negli anni ‘30 lavora con uguale successo per il teatro, per il cinema, per la radio e per l’industria discografica. Vittorio de Sica esordisce dietro la macchina da presa con Rose scarlatte (1939), adattamento di un testo teatrale di successo. Tra il 1940 e il 1942 dirige altri tre film: Maddalena zero in condotta (1940), Teresa venerdì (1941), Un garibaldino al convento (1942). I tre film hanno almeno tre elementi in comune: 1. In primo luogo, appartengono tutti al genere della commedia romantica. 2. In secondo luogo, in tutti l’ambientazione è scolastica o collegiale (istituto tecnico, orfanotrofio femminile, collegio di suore). 3. In terzo luogo, Vittorio De Sica è presente in tutti anche come attore. Dopo aver firmato alcune piacevoli commedie, egli muta registro con l’intenso I bambini ci guardano (1943), che annuncia la leggendaria stagione del neorealismo e segna l’inizio della fortunata collaborazione con Cesare Zavattini: è da essa, infatti, che prenderanno le mosse Sciuscià (1946) e Ladri di biciclette (1949), entrambi premiati con l’Oscar ed entrati a far parte della storia del cinema mondiale. Pertanto, il film “I bambini ci guardano” segna una svolta decisiva nella carriera di Vittorio De Sica, per tre motivi in particolare: 1. In primo luogo, è il primo film di cui f