Biologia Applicata PDF
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This document provides an introduction to applied biology, discussing cell theory, cell types (prokaryotic and eukaryotic), and microscopy. It covers the chemical components of cells and the different types of microscopy techniques like optical and electron microscopy, along with cell structure.
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BIOLOGIA APPLICATA INTRODUZIONE Si incominciò a parlare di biologia animale già nel Seicento grazie alla figura di Hooke che costruì un microscopio (30X) per osservare la struttura del sughero: nel 1665 egli vide una rete di minuscoli compartimenti che chiamò...
BIOLOGIA APPLICATA INTRODUZIONE Si incominciò a parlare di biologia animale già nel Seicento grazie alla figura di Hooke che costruì un microscopio (30X) per osservare la struttura del sughero: nel 1665 egli vide una rete di minuscoli compartimenti che chiamò cellulae (in latino “piccole camere”), oggi però si sa che non osservò delle vere e proprie cellule in quanto questi minuscoli compartimenti vuoti sono formati dalla parete cellulare del tessuto morto della pianta. LA TEORIA CELLULARE= tra il 1838 e il 1839 Schwann e Schleiden postularono i primi due principi della teoria cellulare, a cui sono stati aggiunti due altri principi nel corso degli anni: Ø tutti gli organismi sono costituiti da una o più cellule; Ø la cellula è l’unità base e funzionale della struttura di tutti gli organismi; Ø tutte le cellule derivano da cellule preesistenti (1855 Virchow) Ø le cellule contengono informazioni genetiche (DNA) che vengono trasmesse dalla cellula parentale alla cellula figlia. Facendo riferimento al primo punto della teoria cellulare, è possibile distinguere gli organismi in unicellulari, ovvero costituiti da una singola cellula, e in pluricellulari, cioè costituiti da più cellule. Inoltre, le cellule possono essere suddivide in due tipi: - Procariotiche: questo tipo di cellula fa riferimento ai domini dei Batteri e degli Archei. Sono cellule strutturalmente e funzionalmente più semplici rispetto alle cellule eucariotiche. Sono organismi unicellulari che possono essere sia aerobi sia anaerobi. Queste cellule sono delimitate dalla membrana plasmatica e sono sprovviste di un nucleo poiché hanno una sola molecola di DNA circolare ripiegata in una decina di anse contenuta all’interno del nucleoide. Il citoscheletro è assente o molto semplice e il citoplasma è privo di strutture membranose. Nei procarioti vi è uno strato di peptidoglicani che formano la parete cellulare (parete cellulare batterica): questo strato può essere più o meno spesso e per questo si distinguono i batteri di tipo Gram-positivo (strato più spesso quindi nella fase di decolorazione rimangono viola e il colorante non esce) o di tipo Gram- negativo (strato più sottile per cui cambiano colore poiché il colorante fuoriesce). La parete cellulare batterica serve per mantenere la forma della cellula. Queste cellule hanno un apparato di locomozione molto semplice composto da flagelli, ovvero prolungamenti di qualche decina di nanometri di diametro e lunghi 3-100 microm la cui rotazione permette il movimento, e dai pili (fimbrie), ossia strutture proteiche lunghe 100-200 nm che si proiettano all’esterno della parete cellulare e si legano ai carboidrati presenti su altre cellule. I procarioti si moltiplicano per divisione binaria e le dimensioni sono dell’ordine dei microm (1-5!"). I batteri sono le cellule più piccole e semplici e possono avere forme differenti (sferica, bastoncellare, spirale); il più conosciuto è l’Escherichia coli. Alcuni batteri sono fotosintetici e un batterio sulfureo trae la sua energia dall’ossidazione di H2S e fissa il carbonio anche al buio. - Eucariotiche: Gli eucarioti sono organismi pluricellulari e sono strutturalmente e funzionalmente più complessi dei procarioti. Le cellule eucariotiche sono molto più grandi di quelle procariotiche e compensano per il minore rapporto superficie/volume compartimentalizzando i materiali all’interno di organelli delimitati da membrana; infatti, all’interno di questo tipo di cellula ritroviamo gli organelli intracellulari (apparato del Golgi, reticolo endoplasmatico, mitocondri, lisosomi, perossisomi). Dimensioni: 10-100 !". Comprendono sia le piante sia gli animali. Tutte le cellule eucariotiche possiedono in comune almeno quattro principali caratteristiche strutturali: una membrana plasmatica esterna che definisce i confini della 3 cellula e trattiene il suo contenuto, un nucleo circondato da membrana che ospita il DNA che dirige le attività cellulari, gli organelli delimitati da membrana in cui si trovano le diverse funzioni cellulari e un citosol semifluido in cui si intrecciano le fibre del citoscheletro. Inoltre, le cellule animali, a differenza di quelle vegetali, non possiedono una parete cellulare ma sono circondate da una matrice extracellulare costituita prevalentemente da proteine che fornisco supporto strutturale. La divisione avviene attraverso la mitosi. Le cellule possono essere estremamente diverse tra loro per forma, dimensioni e/o funzioni: vi sono migliaia di migliaia di tipi; la varietà deriva dal modo in cui ogni cellula utilizza le sue istruzioni e informazioni genetiche, le quali fluiscono dal DNA all’RNA con la trascrizione e dall’RNA alle proteine per mezzo della traduzione. Questi processi rappresentano la chimica di base caratterizzante le cellule di tutti gli esseri viventi che sono dotate per l'appunto da una chimica sostanzialmente simile e che sono funzionanti secondo gli stessi principi di base. Inoltre, le cellule possono essere coltivate in vitro. I protozoi sono microorganismi unicellulari eucariotici, mentre i lieviti sono cellule eucariotiche semplici. MICROSCOPIA In generale, le cellule sono così piccole che bisogna utilizzare come unità di misura il micron (!), che corrisponde alla millesima parte di un millimetro: per questo motivo è possibile vederle solo al microscopio. La risoluzione massima a occhio nudo è 0,2 mm. I primi microscopisti videro nuove cellule formarsi per divisione da altre cellule preesistenti. Le due principali forme di microscopia utilizzate sono la microscopia ottica e la microscopia elettronica, esse dipendono dal livello di risoluzione richiesto dall’analisi; la risoluzione è la minima distanza alla quale un sistema ottico permette di distinguere due punti distinti. MICROSCOPIO OTTICO: questo modello, per mezzo di lenti, ingrandisce l’immagine del campione che viene illuminato con luce nell’intervallo spettrale del visibile. Il microscopio ottico permette di avere immagini di soggetti di dimensioni compresi tra il millimetro ed il micrometro per cui sono possibili da osservare le strutture interne di una cellula vivente; esso, quindi, riesce ad ingrandire un oggetto fino a 1000 volte. MICROSCOPIO ELETTRONICO: questo modello utilizza un fascio di elettroni che viene deviato e messo a fuoco da un campo elettromagnetico; poiché la lunghezza d’onda degli elettroni è minore rispetto a quella dei fotoni della luce visibile, il limite di risoluzione di questo tipo di microscopio è migliore e permette quindi di osservare soggetti anche di dimensioni dei nanometri. Le strutture più piccole visibili al microscopio elettronico sono i ribosomi ed il DNA. Esistono due tipi: il microscopio elettronico a trasmissione (TEM) e il microscopio elettronico a scansione (SEM). Il primo forma l’immagine mediante gli elettroni che vengono trasmessi attraverso il campione; il secondo, invece, effettua una scansione della superficie del campione e forma le immagini mediante la rilevazione degli elettroni che vengono deflessi dalla superficie esterna del campione stesso. MICROSCOPIO A FLUORESCENZA: certe molecole, in virtù della loro struttura chimica, hanno la capacità di essere eccitate dalla luce di una specifica lunghezza d’onda e di emettere luce di lunghezza d’onda maggiore; questo processo di assorbimento e emissione della luce è chiamato fluorescenza e le molecole che esibiscono questo comportamento si chiamano fluorocromi. Un esempio è la proteina fluorescente verde (GFP- Green Fluorescent Protein), scoperta nel 1962 nella medusa, in grado di assorbire la 4 luce blu e di emettere luce verde; il Nobel per la Chimica 2008 è stato assegnato a Osamui Shimomura, Martin Chalfie e Roger Tsien, per la scoperta della proteina fluorescente GFP, importante per analizzare sostanze sino a quel momento invisibili, come lo sviluppo delle cellule nervose del cervello o la diffusione delle cellule del cancro. Attraverso la modifica della proteina GFP si è ottenuta una vasta gamma di colori. La luce visibile è una porzione dello spettro elettromagnetico compresa approssimativamente tra i 400 e i 700 nm (nell’aria); inoltre, la luce è caratterizzata sia dalla lunghezza d’onda sia dalla frequenza, legate tra loro dalla relazione ! = #/%. Per la marcatura dei preparati viene usata sempre più spesso la “fluorescenza multipla”: questo metodo fa risaltare le differenti strutture con diversi colori che possono essere osservate singolarmente passando da un’immagine all’altra con l’uso del cursore portafiltri; in alternativa, è possibile ricorrere a speciali combinazioni di filtri che permettono l’osservazione simultanea di due o tre marcature in una sola immagine. 5 I COMPONENTI CHIMICI DELLE CELLULE Un atomo è un sistema costituito da protoni, neutroni ed elettroni: i protoni e i neutroni si trovano nel nucleo, che risulta carico positivamente, mentre gli elettroni ruotano intorno al nucleo e sono carichi negativamente. Il volume dell’atomo è per lo più vuoto e, inoltre, la massa dell’elettrone è circa tre ordini di grandezza inferiore rispetto al neutrone e al protone. Queste entità submicroscopiche interagiscono tra loro mediante interazioni di tipo elettromagnetico. Ciascun elemento X possiede: § NUMERO ATOMICO Z= numero di protoni nel nucleo= numero di elettroni nell’atomo neutro= carica nucleare. § NUMERO DI MASSA A= numero di protoni + numero di neutroni La mole viene definita come la quantità in grammi di una qualsiasi sostanza numericamente uguale alla sua massa, atomica o molecolare, espressa in unità di massa atomica (u); ad esempio, 1 mole di carbonio pesa 12g, 1 una mole di glucosio pesa 180g, 1 mole di cloruro di sodio pesa 58g. Le soluzioni molari hanno la concentrazione di 1 mole della sostanza in un litro di soluzione (M=g/l). Una mole contiene un numero di Avogadro di molecole della sostanza (6x1023molecole). Gli elementi si possono ordinare per numero atomico nella tavola periodica (sono evidenziati quelli che compongono gli organismi viventi): i quattro elementi evidenziati in rosa costituiscono il 99% del numero totale di atomi presenti negli organismi viventi. La reattività chimica di un elemento dipende da quanto il suo strato elettronico più esterno è completo o incompleto, per cui dipende dal numero di elettroni di valenza. Gli atomi tendono a combinarsi chimicamente con altri atomi per dare un sistema finale più stabile e a minor energia rispetto a quello iniziale. à Il legame covalente si forma per la condivisione di elettroni di valenza da parte di due atomi. Gli elettroni non sono fermi tra i due nuclei, ma costituiscono una nuvola elettronica intorno ad entrambi i nuclei con una maggiore probabilità di trovare gli elettroni tra i due nuclei piuttosto che agli estremi. Questo tipo di legame comporta la condivisione di almeno una coppia di elettroni di valenza tra due atomi, i quali possono essere caratterizzati da elettronegatività uguali o diverse: ogni atomo mette a disposizione almeno un elettrone esterno e lo condivide con l’altro formando un doppietto di legame; tale doppietto elettronico condiviso costituisce il legame covalente ed è solitamente indicato da un trattino che unisce i due atomi (teoria di legame di Lewis). à Il legame ionico comporta il trasferimento di almeno un elettrone di valenza da un atomo all’altro con conseguente formazione di ioni di carica opposta. Coinvolge elementi caratterizzati rispettivamente da basso potenziale di ionizzazione ed elevata affinità elettronica. È adirezionale e la forza di attrazione fra gli ioni di carica opposta aumenta all’aumentare della carica degli ioni e diminuisce all’aumentare della distanza. Un esempio è il cloruro di sodio. Il legame covalente è molto più forte degli altri tipi di legami. La forza di legame corrisponde all’energia necessaria da fornire per rompere il legame. 6 Gli atomi inoltre possono legarsi tra loro con singoli o doppi legami: i legami doppi sono più forti e corti dei legami singoli e non permettono la rotazione di una parte della molecola rispetto all’altra intorno all’asse del legame. Le molecole polari a seconda del loro comportamento in soluzione acquosa possono essere distinte in acidi, se liberano protoni, o in basi, se acquistano protoni. H3O+ esiste anche nell’acqua pura alla concentrazione di 10-7M (pH=7) in conseguenza del movimento di protoni da una molecola di acqua all’altra. COMPONENTI CHIMICI DELLE CELLULE= il nostro organismo, come le cellule, è composto prevalentemente da acqua (70%) e da sostanze chimiche (30%): in gran parte vi sono le macromolecole, mentre per il 6% si hanno piccole molecole e fosfolipidi. INTRODUZIONE ALLE MACROMOLECOLE= le macromolecole comprendono proteine, polisaccaridi, acidi nucleici e lipidi. I primi tre sono polimeri, ovvero sequenze di unità ripetute dette monomeri, mentre i lipidi no. polimerizzazione MONOMERI MACROMOLECOLE ZUCCHERI POLISACCARIDI (ACIDI GRASSI) (LIPIDI) AMMINOACIDI PROTEINE NUCLEOTIDI ACIDI NUCLEICI Esclusi i lipidi, le macromolecole sono la sintesi di più monomeri: l’aggiunta di ogni unità base avviene con l’eliminazione di una molecola di acqua ed è definita reazione di condensazione. Esse vengono degradate per mezzo dell’idrolisi in quanto l’aggiunta di H20 spezza il legame tra i monomeri adiacenti. Molte piccole molecole si uniscono mediante legami covalenti per formare delle macromolecole, che a loro volta possono associarsi in grandi complessi macromolecolari mediante legami non covalenti; ad esempio, i legami idrogeno, che si formano quando un atomo di idrogeno si trova “intrappolato” tra atomi con alta elettronegatività, possono stabilizzare la conformazione di una macromolecola, mentre altri legami non covalenti mediano l’interazione tra macromolecole: la superficie della molecola A combacia male con quella delle molecole B e C e riesce a formare solo alcuni legami deboli che sono facili da rompere per i moti di agitazione, al contrario le superficie delle molecole A e D combaciano bene e quindi riescono a formare legami deboli in numero sufficiente a resistere ai moti di agitazione termica. 7 Le proteine Le proteine sono in peso le macromolecole più abbondanti della cellula perché, a prescindere dal numero, sono molto grandi per cui costituiscono per il 15% il peso della cellula. Dal punto di vista chimico sono di gran lunga le molecole più complesse come struttura e le più raffinate come funzionalità; la molteplicità di funzioni svolte dalle proteine deriva dal numero impressionante di forme tridimensionali che esse possono assumere: si ha una forte corrispondenza tra struttura e funzione. Funzioni § Enzimi= funzionano da catalizzatori biologici che accelerano le reazioni aumentando la velocità di reazione. Catalizzano funzioni in cui si rompono e si formano legami covalenti. Es.: pepsina, proteina chinasi, DNA polimerasi. § Proteine strutturali= forniscono un sopporto fisico e una forma alle cellule e agli organelli conferendo alle cellule il loro aspetto caratteristico. Es.: collagene, elastina, actina, cheratina, tubulina. § Proteine di trasporto= sono implicate nel movimento di alcune sostanze tra l’interno e l’esterno della cellula. Es.: pompa del Ca2+, emoglobina. § Proteine motrici= utili nella contrazione e nel movimento delle cellule e delle strutture intracellulari. Es.: miosina, chinesina, dineina. § Proteine di accumulo= immagazzinano molecole piccole e ioni. Es.: ferritina, ovalbumina, caseina. § Proteine segnale= mediano la comunicazione tra cellule distanti dell’organismo trasferendo segnali da una cellula all’altra. Es.: molti ormoni e fattori di crescita, come l’insulina, il fattore di crescita nervosa, il fattore di crescita dell’epidermide. § Proteine recettoriali= rivelano i segnali che arrivano alle cellule per trasmetterli agli apparati cellulari competenti a rispondere. Es.: rodopsina retinica, recettori acetilcolinico, insulinico, adrenergico. § Proteine regolatrici dei geni= si legano al DNA per attivare o inattivare i geni. Es.: repressore del lattosio, proteine omeotiche. § Proteine con funzioni specifiche= es.: proteine anti-congelamento, fluorescenti, di fissaggio. Struttura Le proteine sono polimeri di venti tipi diversi di #-amminoacidi e differiscono tra loro per il numero, la composizione e la sequenza degli amminoacidi. Ogni amminoacido ha una struttura base caratterizzata da un gruppo carbossilico, un gruppo amminico, un atomo di idrogeno e una catena laterale (gruppo R) diverso per ogni amminoacido a cui conferisce proprietà specifiche. Poiché questi quattro gruppi si legano tutti a un atomo di carbonio centrale (carbonio alfa) esistono due stereoisomeri per ogni amminoacido, ma per le proteine vi sono solo gli L-amminoacidi. Nelle cellule viventi tali monomeri esistono prevalentemente in forma ionizzata, come ioni dipolari. Gli amminoacidi sono classificati in base alle proprietà della catena laterale che possiedono: Gli amminoacidi si legano tra loro mediante la reazione di disidratazione (o condensazione): nel momento in cui viene rimossa la molecola d’acqua, il carbonio del gruppo carbossilico di un amminoacido e l’azoto del gruppo amminico di un altro amminoacido si legano tra loro con un legame covalente carbonio-azoto detto legame peptidico (C-- N); l’estremità della catena con il gruppo amminico finale è detta estremità N-terminale (o ammino-terminale), l’estremità con il gruppo carbossilico è detta estremità C-terminale (carbossi-terminale). Il prodotto 8 immediato della polimerizzazione degli amminoacidi è un polipeptide, non una proteina che, invece, è una catena polipeptidica con una forma tridimensionale unica e stabile e quindi biologicamente attiva. Quando si legano due amminoacidi si forma un dipeptide, con tre amminoacidi un tripeptide, con quattro un tetrapeptide, con 5-10 amminoacidi un oligopeptide, con >10 amminoacidi un polipeptide. Le proteine presentano un’ossatura polipeptidica su cui si inseriscono le catene laterali: ogni tipo di proteina differisce per sequenza e numero di amminoacidi, perciò è l’ordine delle catene laterali, chimicamente varie, che conferisce a ogni proteina le sue proprietà. Si indica con conformazione la disposizione tridimensionale degli atomi di una molecola, cioè la loro organizzazione spaziale. Il ripiegamento iniziale di un polipeptide nella sua conformazione specifica dipende da diversi tipi di legami e di interazioni comprendenti il legame covalente disolfuro e legami e interazioni non covalenti. Le forze non covalenti includono i legami a idrogeno, i legami ionici, le interazioni di van der Waals e le interazioni idrofobiche. Queste interazioni coinvolgono soprattutto i gruppi R dei singoli residui amminoacidi. La denaturazione è un fenomeno chimico che consiste nel cambiamento della struttura proteica nativa con conseguente perdita della funzione originaria della molecola; tale processo è in alcuni casi reversibile. Le proteine sono stabilizzate da legami deboli, i quali sono sensibili alla temperatura e possono rompersi portando alla modificazione della struttura e alla perdita della funzione; la denaturazione, quindi, prevede la perdita della struttura naturale e funzionale. La spettroscopia di massa può essere usata per identificare proteine attraverso la determinazione della massa di peptidi derivanti da esse, mentre la spettroscopia a risonanza magnetica nucleare può essere usata per determinare la struttura di piccole proteine o di domini proteici; inoltre, la struttura di una proteina può essere determinata mediante cristallografia a raggi X. Livelli di organizzazione strutturale Alla grande varietà di funzioni delle proteine corrisponde una grande varietà di strutture tridimensionali. Ogni proteina presenta diversi livelli di organizzazione di tipo gerarchico che si integrano originando la sua conformazione tridimensionale specifica (proteina allo stato nativo). STRUTTURA PRIMARIA: si riferisce alla sequenza degli amminoacidi dei polipeptidi. Si specifica l’ordine con cui gli amminoacidi compaiono da un’estremità all’altra della molecola. Per convenzione le sequenze amminoacidiche sono scritte dall’estremità N-terminale a quella C-terminale del polipeptide. La struttura primaria di una proteina è importante da un punto di vista sia genetico sia strutturale: la sequenza di amminoacidi del polipeptide deriva direttamente dall’ordine dei nucleotidi nel corrispondente RNA messaggero, che a sua volta riflette le sequenze di DNA nel gene che codifica la proteina. Come esempi si riportano le strutture primarie del glucagone (1), costituito da 29 amminoacidi, e dell’insulina (2), formata da due subunità legate tra loro covalentemente mediante due legami disolfuro. In ambiente acquoso questa struttura si ripiega spontaneamente in modo da allontanare le catene apolari e avvicinare le catene polari all’acqua. 1) 2) 9 STRUTTURA SECONDARIA: essa descrive particolari regioni della struttura della proteina in cui gli amminoacidi assumono una disposizione spaziale regolare e ripetitiva che è stabilizzata da legami idrogeno tra il gruppo NH di un legame peptidico e il gruppo CO di un altro. Queste interazioni possono formare due tipi di conformazioni, ovvero quella α- elica e quella foglietto (piano) β; la formazione di queste strutture neutralizza i gruppi polari (C=O e N-H) di ciascun amminoacido. Struttura α-elica à la catena peptidica si avvolge su se stessa in un cilindro rigido stabilizzato da legami a idrogeno tra gli atomi coinvolti nei legami peptidici. La distanza di ogni quattro amminoacidi permette la formazione di un legame idrogeno tra il gruppo NH adiacente a un legame peptidico e il gruppo CO adiacente all’altro. Si definisce destrorsa o sinistrorsa a seconda del verso di rotazione. Il lato idrofobo della catena amminoacidica va a contatto con le code idrofobe dei fosfolipidi, mentre le parti idrofile dell’ossatura polipeptidica formano legami H all’interno dell’elica in modo da esporre al minimo le catene idrofobe verso l’ambiente acquoso. Tale struttura è il più frequente tipo di struttura secondaria nelle proteine: essa presenta 3,6 amminoacidi per giro con ponti idrogeno che si formano tra amminoacidi distanti 4 residui, la lunghezza media è 10 amminoacidi (3 giri) o 10 Å, ma può variare da 5 a 40 amminoacidi, inoltre, di norma è destrorsa, però raramente possono trovarsi corte eliche di 3-5 amminoacidi sinistrorse. Due eliche alfa possono avvolgersi formando una spirale ritorta. Un segmento di un’elica alfa può attraversare un doppio strato lipidico. Struttura β-foglietto à ha una struttura distesa in cui gli atomi adiacenti nella catena polipeptidica sono localizzati in corrispondenza dei “picchi” e degli “avvallamenti” delle pieghe; l’affiancamento di diversi segmenti della catena polipeptidica dà origine a foglietti beta ondulati a causa degli angoli di legame. I foglietti si formano mediante ponti idrogeno tra 5-10 amminoacidi consecutivi (in media) di una porzione della catena polipeptidica con altri 5- 10 amminoacidi presenti in un’altra regione della proteina. È caratterizzato dal maggior numero possibile di legami idrogeno, che uniscono i singoli tratti di catena polipeptidica, che sono perpendicolari al piano del foglietto e possono essere sia intramolecolari, ovvero tra due segmenti dello stesso polipeptide, o intermolecolari, ossia tra i legami peptidici di due polipeptidi differenti. Se le due regioni della proteina che interagiscono vanno nella stessa direzione, la struttura è detta foglietto β parallelo, mentre se vanno in direzioni opposte la struttura è detta foglietto β antiparallelo; per convenzione la freccia punta verso il C-terminale della catena polipeptidica. I gruppi R degli amminoacidi sporgono alternativamente sui due lati del foglietto. Le regioni interagenti possono essere adiacenti, separate da un breve loop anche di soli due amminoacidi, o lontane, con altre strutture secondarie interposte. Le parti di catena polipeptidica prive di struttura secondaria possono formare cerniere, giri, anse o estensioni digitiformi. STRUTTURA TERZIARIA: è data dalla combinazione di più regioni ad alfa-elica e/o beta- foglietto collegate tra loro da segmenti che formano delle anse (regioni ad ansa), le quali costituiscono in genere il sito funzionale della proteina, come il sito attivo di un enzima o il sito di legame di una proteina di trasporto o di un anticorpo. Tale struttura è stabilizzata da legami non covalenti (legami idrogeno, legami ionici, interazioni idrofobiche) che si stabiliscono tra le catene laterali degli amminoacidi; inoltre, in alcune proteine la stabilizzazione è data anche dai ponti disolfuro, ovvero legami covalenti S-S, che si formano tra due gruppi sulfidrile di due catene laterali di cisteina. Essa rappresenta la struttura tridimensionale ottenuta in seguito al ripiegamento (folding) e consente il corretto funzionamento della proteina, per cui la comprensione di questo livello di organizzazione è fondamentale per capire quale diversa funzione biologica svolge la macromolecola (es. metabolica, strutturale, di regolazione, di difesa immunitaria ed altro). 10 Teoricamente alcuni dei legami possono ruotare rendendo possibile un numero pressoché infinito di conformazioni, infatti, è estremamente difficile predire con metodi computazionali la struttura proteica, anche se oggi si comincia ad avere qualche promettente risultato; le strutture proteiche sono determinate sperimentalmente mediante diffrazione ai raggi X, oppure mediante NMR. Per semplificare la rappresentazione si utilizzano dei simboli convenzionali per le strutture secondarie: cilindri e nastri attorcigliati per le alfa-eliche, frecce per le strutture beta e stringhe irregolari per le regioni ad ansa (loop). STRUTTURA QUATERNARIA: fa riferimento alle proteine multimeriche in quanto è il livello di organizzazione che riguarda l’interazione tra le subunità e il loro assemblaggio. I legami e le forze che stabilizzano questo livello sono gli stessi della struttura terziaria. In alcuni casi può esistere un livello ancora più elevato di assemblaggio: due o più proteine (in genere enzimi) sono organizzati in un complesso multiproteico. Le proteine possono contenere copie della stessa subunità: nel caso in cui si hanno due subunità si parla di dimero, mentre se presenta quattro subunità si parla di un tetrametro (può essere un oligomero, ovvero subunità differenti, oppure omotetramero, nel caso i quattro componenti sono uguali). Per esempio, l’emoglobina è un tetramero formato da due subunità identiche alfa e due beta disposte simmetricamente; i gruppi eme (in rosso) sono strutture non proteiche attaccate alle catene polipeptidiche e contengono atomi di ferro che legano e trasportano ossigeno. Motivi e domini strutturali proteici Le proteine presentano dei motivi strutturali dati dalla combinazione di strutture secondarie consecutive; più motivi strutturali formano un complesso compatto e stabile che viene detto dominio o modulo proteico. Un dominio è un’unità discreta, ripiegata localmente, della struttura terziaria, che ha una funzione specifica e una struttura stabile; esso comprende generalmente 50- 350 amminoacidi e spesso contiene regioni ad alfa-elica e a beta- foglietto impaccate insieme in modo compatto oppure solo ad alfa-elica o solo a beta-foglietto. Il dominio proteico è dotato di una struttura terziaria indipendente e di specifiche attività funzionali, quindi, responsabile per una precisa funzione, ma può essere presente in proteine diverse dove svolge un ruolo funzionale analogo. All’interno di una proteina, un dominio proteico è un insieme di amminoacidi in grado di combinarsi sino a formare una struttura globulare compatta in grado di ripiegarsi in maniera indipendente; in una stessa proteina vi possono essere più domini funzionali distinti. Queste regioni compatte semi-indipendenti possono avere delle funzioni specifiche, per esempio legare cofattori, e spesso sono collegate al resto della proteina da una porzione di catena polipeptidica che serve da cerniera. In molti casi domini distinti di una stessa macromolecola sono codificati da esoni differenti e a volte le proteine formate da più di un dominio si sono evolute per fusione di geni che codificavano per proteine ancestrali diverse, quindi, i domini in questo caso possono derivare dalla fusione di proteine distinte questo fatto è risultato importante nell’evoluzione degli eucarioti. Classificazione delle proteine Le proteine possono essere classificate in: 1. Proteine semplici, se costituite solo da amminoacidi. 2. Proteine coniugate, se alla proteina è legato un gruppo non proteico, indicato con il termine di gruppo prostetico. In base alla natura chimica del gruppo prostetico, queste macromolecole sono distinte nelle seguenti classi: - Glicoproteine, se il gruppo prostetico è uno zucchero; - Lipoproteine, se il gruppo prostetico è un lipide; 11 - Nucleoproteine, se sono complessate con acidi nucleici; - Emoproteine, se la frazione non proteica è il gruppo eme (es. emoglobina); - Fosfoproteine, se il gruppo prostetico è l’acido fosforico; - Flavoproteine, se i gruppi prostetici sono i nucleotidi flavinici. Organizzazione strutturale delle proteine Le proteine sono definite 1) globulari se la catena, o catene polipeptidiche nel caso in cui siano formate da più subunità, si ripiega assumendo una forma sferoidale, come nel caso dell’emoglobina 2) fibrose se assumono una forma allungata e degli esempi sono la cheratina, presente nello strato corneo dell’epidermide, ed il collagene. Inoltre, le proteine, a seconda della loro conformazione, possono aggregarsi per formare dimeri, spirali, anelli; le subunità proteiche singole possono aggregarsi per formare filamenti, tubi o globuli. Interazione proteine La funzione di una proteina, strettamente legata alla sua conformazione tridimensionale, dipende dalla interazione con altre molecole: per esempio gli anticorpi si legano a virus o batteri, l’esochinasi lega il glucosio e l’ATP, le molecole di tropocollagene si aggregano in fibre di maggior diametro. La sostanza che si lega alla proteina è detta ligando e la regione specifica della proteina che aderisce ad esso si chiama sito di legame; le interazioni tra sito di legame e ligando sono di tipo sterico: interazioni tra forme complementari. Il legame sito di legame/ligando dipende da legami deboli (legami idrogeno, forze di Van der Waals). Il legame di una proteina con un’altra molecola è altamente selettivo. È evidente che variazioni, anche minime, nella struttura primaria di una proteina alterano la sua forma tridimensionale (in quanto modificano le interazioni tra gli amminoacidi) compromettendone la funzionalità. L’attività biologica di molte proteine (enzimi, recettori, proteine del citoscheletro) è regolata in risposta a stimoli differenti, così da adattarla alle esigenze della cellula. Le proteine interagiscono tra loro attivando funzioni “a cascata” per svolgere l’attività biologica della cellula: una proteina attivata può essere un segnale che attiva un’altra proteina, la quale può a sua volta attivarne un’altra e così via. Le interazioni avvengono in base alle strutture “complementari” delle diverse proteine. Un esempio è la proteina chinasi che lega un gruppo fosfato alle proteine per attivarle o inattivarle. Attività catalitica Gli enzimi sono catalizzatori organici e come tali seguono le proprietà di base citate precedentemente. La maggior parte degli enzimi sono proteine globulari o anche ribozimi, molecole di RNA con attività catalitica; in ogni caso sono agenti altamente specifici per il substrato, al quale si legano formando complessi reversibili e transitori durante la durata della reazione e in seguito vanno incontro a un ciclo continuo dell’utilizzo. Aumentano la velocità di una reazione di un fattore 1014, ma non forniscono energia e non possono rendere spontanea una reazione endoergonica. Ogni enzima possiede un sito attivo specifico, formato da amminoacidi, dove si lega il substrato e avviene l’evento catalitico. Il sito attivo è una porzione della proteina che ha proprietà chimiche e strutturali che garantiscono l’interazione e il legame con il substrato specifico, il quale ha una forma complementare al sito attivo; inoltre, il sito attivo si trova in una cavità idrofobica della proteina e il legame tra enzima e substrato non è di tipo covalente. Gli enzimi svolgono la loro funzione catalitica in vari modi: 12 L’enzima lega due molecole substrato e le orienta in modo da favorire il verificarsi di una reazione tra loro. Quando il substrato si lega, l’enzima provvede a redistribuire gli elettroni all’interno di esso inducendovi cariche parziali negative e positive che favoriscono la reazione. L’enzima mette in tensione la molecola del substrato legato, inducendola a passare allo stato di transizione più favorevole per una certa reazione. Il modello chiave-serratura spiega la specificità enzimatica: gli enzimi, infatti, presentano un elevato grado di specificità di substrato, ossia la capacità di discriminare tra molecole molto simili. Alcuni enzimi, spesso coinvolti nella sintesi o nella degradazione dei polimeri, hanno una specificità di gruppo, ossia il sito attivo riconosce gruppi di molecole con caratteristiche strutturali comuni. Il modello dell’adattamento indotto fornisce un esempio dell’interazione enzima- substrato: all’inizio si ha una collisione casuale tra una molecola di substrato e il sito attivo che porta alla stabilizzazione del substrato nello stato di transizione e al cambiamento della conformazione dell’enzima. Si riduce quindi l’energia libera dello stato di transizione. I prodotti della reazione vengono rilasciati dal sito attivo consentendo all’enzima di tornare alla conformazione originaria con il sito attivo di nuovo disponibile a un’altra molecola di substrato. Il sito attivo ha anche il ruolo di attivare il substrato. allesterica modificat covalente · vedi su didi regolazione e. I carboidrati I carboidrati, detti anche zuccheri, sono delle macromolecole prodotte dalla polimerizzazione dei monosaccaridi. Uno zucchero può essere definito come un’aldeide o un chetone con due o più gruppi ossidrili e viene definito a seconda del numero di atomi di carbonio presenti nel composto: triosi= tre atomi di carbonio, pentosi= cinque atomi di carbonio, esosi= sei atomi di carbonio. ßIl glucosio è un monosaccaride, altri esempi sono il fruttosio e il galattosio. Dalla reazione di condensazione tra due unità monosaccaridiche si ottiene un disaccaride (maltosio, lattosio, saccarosio), tra più monosaccaridi si ottiene un oligosaccaride, mentre catene di monosaccaridi unite covalentemente tra loro formano i polisaccaridi (amido, glicogeno, cellulosa). I lipidi I lipidi non sono ottenuti attraverso il processo della polimerizzazione, ma sono considerati macromolecole per i loro alti pesi molecolari e per la loro presenza in importanti strutture della cellula, soprattutto nelle membrane. La caratteristica che li contraddistingue è la loro natura idrofobica oppure anfipatica, poiché alcuni lipidi hanno una regione polare (la testa contiene la parte negativa e un gruppo fosfato) e una regione apolare (coda formata da acidi grassi); dunque, hanno poca o nessuna affinità per l’acqua, mentre sono facilmente solubili in solventi non polari. ACIDI GRASSI: sono i componenti strutturali di numerose classi lipidiche. Un acido grasso è una lunga catena idrofobica di idrocarburi con un gruppo carbossilico a un’estremità: è quindi una molecola anfipatica poiché quest’ultimo rende la “testa” polare rispetto alla “coda” apolare. Gli acidi grassi sono composti dai 12 ai 20 atomi di carbonio, spesso in numero pari, e i più popolari sono quelli costituiti da 16 e da 18 atomi di C. Questi lipidi hanno un’elevata resa energetica in seguito a ossidazione e dalla loro demolizione si ricava energia, ma è un processo lungo e lento. 13 Nella cellula gli acidi grassi si trovano sulla membrana cellulare e possono legarsi covalentemente con altre molecole. Queste molecole differiscono per la lunghezza della catena, ma anche per la presenza e per la posizione di doppi legami tra gli atomi di carbonio all’interno della catena: se non vi sono legami multipli il carbonio è saturato completamente dall’idrogeno e si ha un acido grasso saturo (catena non ripiegata, più facili da impacchettare), mentre se vi sono legami doppi si ha un acido grasso insaturo (catena ripiegata, quindi più disordinate, e acido più fluido). I primi si presentano come grassi (acido palmitico, acido stearico, burro); i secondi sottoforma di olii vegetali (acido oleico, acido linoleico, acido arachidonico). FOSFOLIPIDI: sono una classe di lipidi costituita da glicerolo e acidi grassi. Essi hanno una natura anfipatica poiché hanno una regione idrofoba (“testa”) e una regione idrofobica di acidi grassi (“coda”). La testa è formata da una molecola di glicerolo, da un gruppo fosfato e da un gruppo polare e si dispone verso l’ambiente acquoso: nel caso in cui è presente la molecola di glicerolo si parla di fosfogliceridi, ma questa può essere sostituita da una molecola di sfingosina e quindi si parla di sfingolipidi. La membrana cellulare è formata da un doppio strato di fosfolipidi, i quali si dispongono con le teste verso l’esterno e le code verso l’interno per allontanarsi dall’ambiente acquoso. Essa, quindi, è più o meno permeabile in base alle sostanze che la devono attraversare: le molecole idrofobiche e le molecole neutre molto piccole attraversano la membrana facilmente e, anche se l’acqua è polare, riesce a passare attraverso il doppio strato lipidico. Le molecole grandi polari e gli ioni non riescono a passare da un lato all’altro spontaneamente ma hanno bisogno di un mezzo, come le proteine di trasporto o le proteine canali. Gli acidi nucleici Gli acidi nucleici sono macromolecole fondamentali per la cellula per le loro diverse funzioni: immagazzinamento, trasmissione (signaling) ed espressione dell’informazione genetica. Essi sono polimeri lineari di nucleotidi, uniti in una sequenza determinata geneticamente, che è essenziale per il ruolo come macromolecole informazionali. Hanno un pH molto acido. I due principali tipi di acidi nucleici sono: -DNA (= acido desossiribonucleico): ognuno dei suoi nucleotidi contiene lo zucchero desossiribosio e serve soprattutto come depositario dell’informazione genetica; - RNA (=acido ribonucleico): ciascuno dei suoi nucleotidi contiene lo zucchero ribosio e le molecole di questo acido nucleico svolgono diversi ruoli nell’espressione dell’informazione genetica e nella sintesi proteica. I NUCLEOTIDI: sono i monomeri degli acidi nucleici, ma sono anche vettori di energia (ATP) e molecole di segnale (signaling). Ogni nucleotide è formato da uno zucchero aldo-pentoso (cinque atomi di carbonio) a cui sono legati tre gruppi fosfati e una base aromatica contenente azoto. · Nell’DNA troviamo il desossiribosio e nell’RNA il ribosio: entrambi sono due monosaccaridi costituiti da cinque atomi di carbonio e differiscono tra loro in quanto il desossiribosio ha un ossigeno in meno. I gruppi fosfati sono uniti al carbonio 5’ dello zucchero mediante un legame fosfodiesterico, mentre la base è legata al carbonio 1’. La base può appartenere alle purine (hanno due anelli) o alle pirimidine (hanno un anelo singolo). PURINE= adenina (A) e guanina (G). PIRIMIDINE= timina (t), uracile (U) e citosina (C). 14 Il DNA contiene adenina, guanina, citosina e timina; l’RNA differisce dall’DNA poiché al posto della timina si ha l’uracile. Secondo le REGOLE DI CHARGAFF le basi azotate si accoppiano sempre nello stesso modo: A=T e C≡G nel DNA, A=U e C≡G nell’RNA, ovvero l’adenina si lega con due legami a idrogeno alla timina o all’uracile a seconda dell’acido nucleico, mentre la citosina si lega alla guanina con tre legami a idrogeno. Sintesi di un nucleotide: all’inizio si crea attraverso una reazione di condensazione un legame N- glicosidico tra il gruppo ossidrile del carbonio 1’ del monosaccaride e il gruppo amminico della base: nucleoside. In seguito, il nucleoside appena formatosi si lega nel carbonio 5’ del monosaccaride con uno, due o tre gruppi fosfati e si forma il nucleotide. Se un nucleoside è legato a un singolo gruppo fosfato si forma un nucleoside monofosfato (MP), se è legato a due gruppi fosfato si ha un nucleoside difosfato (DP), mentre con tre un nucleoside trifosfato (TP). Nell’immagine a fianco è riportato l’esempio dell’uracile nei tre casi possibili. Gli acidi nucleici sono costituiti da catene di nucleotidi uniti insieme da ponti fosfodiesterici 3’, 5’: in particolare, un gruppo fosfato già unito mediante un legame fosfodiesterico al carbonio 5’ di un nucleotide, si lega mediante un secondo gruppo fosfoesterico al carbonio 3’ del nucleotide successivo. Il legame che ne deriva si chiama legame fosfodiesterico 3’,5’. ATP (adenosina trifosfato): è un esempio di nucleotide in grado di svolgere altre funzioni. In questo caso la molecola di ATP serve da trasportatore di energia nelle cellule e libera tale energia scindendosi in fosfato inorganico e ADP. 15 ORGANIZZAZIONE STRUTTURALE E FUNZIONALE DELLE CELLULE 1)LA MEMBRANA BIOLOGICA La struttura della membrana è costituita da un doppio strato fosfolipidico, nel quale le code si dispongono lontane dall’acqua, mentre le teste sono rivolte verso la fase acquosa. La membrana plasmatica (=cellulare) costituisce la barriera di permeabilità per la cellula poiché circonda quest’ultima regolando il passaggio dei materiali dentro e fuori la cellula. Oltre a questo tipo di membrana ve ne sono altre intracellulari che servono a separare i vari compartimenti funzionali presenti all’interno delle cellule eucariotiche. Lo spessore della membrana è circa 4-5 nm. La componente lipidica delle membrane fornisce una barriera a permeabilità selettiva, mentre le proteine specifiche situate nella membrana (proteine di membrana) regolano il trasporto di materiali dentro e fuori dalla cellula e dagli organelli. FUNZIONI DELLA MEMBRANA: compartimentalizzazione: la membrana plasmatica delimita la cellula rispetto all’ambiente extracellulare, mentre le membrane interne delimitano spazi che svolgono attività specializzate, indipendenti le une dalle altre e che contengono sostanze diverse, per cui garantisce il mantenimento di differenze di composizione tra l’ambiente esterno e quello interno. Inoltre, le membrane interne non agiscono semplicemente da barriere ma le differenze fini, specie a livello di proteine, conferiscono ad ogni compartimento intracellulare prerogative specifiche. localizzazione per attività biochimiche: le membrane costituiscono un compartimento distinto nel quale avvengono reazioni biochimiche (es. sintesi di ATP); barriera selettiva: la membrana regola il passaggio di soluti dall’esterno all’interno della cellula e viceversa in modo da isolare e da far comunicare il citosol con l’ambiente extra-cellulare; trasporto di soluti: il passaggio di sostanze attraverso la membrana crea ai capi di questa dei gradienti di concentrazione. Sono necessari quindi dei meccanismi di trasporto per zuccheri (per fornire energia), per aminoacidi (per costruire macromolecole) e per ioni; corrisponde a una sede di scambio in cui le sostanze passano attraverso proteine canali o mediante trasportatori di membrana; risposta a stimoli esterni: vi sono dei recettori specifici sulla superficie esterna della membrana plasmatica che mediano l’interazione con le molecole segnale e che permettono alla cellula di rispondere agli stimoli di natura differente (chimici, elettrici, meccanici, etc). I recettori captano il segnale chimico e lo trasformano in un segnale che possa essere trasportato all’interno della cellula. Tutte le membrane hanno differenza di potenziale tra interno ed esterno; interazione intercellulare: la membrana plasmatica serve per favorire l’adesione tra le cellule, per lo scambio di materiali e per trasmettere informazioni alle proteine citoscheletriche. Ad esempio, le glicoproteine vengono utilizzate come intermediari; conversione di energia: si hanno reazioni che permettono di convertire l’energia da grassi e zuccheri in ATP come la glicolisi e la respirazione cellulare (mitocondri) o la fotosintesi (cloroplasti). adesione e comunicazione cellula-cellula: le proteine di membrana permettono anche l’adesione tra le cellule adiacenti mediante giunzioni meccaniche o elettriche. capacità di movimento ed espansione Tutte le funzioni dipendono dalla composizione chimica e dalle caratteristiche strutturali delle membrane. STRUTTURA GENERALE COMUNE Lo studio della composizione della membrana risale a partire dal 1880, anno in cui si capì che questa struttura cellulare è permeabile ad alcune sostanze e ad altre no. Nel 1972 Singer e Nicolson proposero il modello a mosaico fluido, che vede la membrana come un mosaico di proteine incluse, o attaccate, in un doppio strato lipidico fluido; con l’avvento delle nuove tecnologie si 16 arriva a capire che la membrana non ha sempre lo stesso spessore, ma presenta zone chiamate “zattere lipidiche” in cui la membrana ha uno spessore maggiore. Le zattere lipidiche sono degli aggregati di lipidi (fosfolipidi e colesterolo) e proteine che si dispongono per alterare lo spessore della membrana e sono quindi importanti per aumentare lo spessore della membrana, per regolare la fluidità della membrana o per regolare il flusso di proteine di membrana: si ha quindi il modello a mosaico fluido aggiornato. Questo modello, a differenza degli altri, considera le proteine come entità globulari separate disposte all’interno del doppio strato lipidico; inoltre, la natura fluida della membrana dipende dalla possibilità dei lipidi e delle proteine di muoversi lateralmente nella membrana e di passare da uno strato all’altro (movimento flip-flop). Per cui le membrane biologiche sono formate da un film molto sottile di molecole lipidiche e proteiche legate tra loro soprattutto da interazioni deboli non covalenti. Le molecole lipidiche sono disposte in un doppio strato continuo che forma la struttura di base della membrana e funziona da barriera relativamente impermeabile al passaggio della maggior parte delle molecole solubili in acqua; invece, le proteine sono associate al doppio strato lipidico in modi diversi e mediano la maggior parte delle altre funzioni della membrana. I LIPIDI DI MEMBRANA: la parte “fluida” del modelloà la componente lipidica costituisce il 50% della massa delle membrane ed è un fluido bidimensionale; le molecole sono anfipatiche, le più abbondanti sono i fosfolipidi, ma si hanno anche molecole di colesterolo e glicolipidi. In acqua i fosfolipidi si dispongono in un doppio strato e le teste e le code si dispongono in base all’affinità con l’acqua: le teste vanno verso l’ambiente acquoso, mentre le code tendono ad allontanarsi dall’acqua disponendosi all’interno del doppio strato; tale doppio strato fosfolipidico planare è sfavorito energicamente per cui esso si ripiega spontaneamente formando un comparto chiuso delimitato. Le classi principali dei lipidi di membrana sono i fosfolipidi, i glicolipidi e gli steroli. 1. I fosfolipidi= sono i lipidi di membrana più abbondanti. La natura anfipatica di queste molecole ha un ruolo fondamentale nella struttura della membrana poiché la componente di acidi grassi fornisce una barriera idrofobica, mentre il resto della molecola ha proprietà idrofiliche che permettono di interagire con l’ambiente acquoso. Nella testa vi può essere il glicerolo (fosfogliceridi) oppure la sfingosina (sfingolipidi); nella membrana plasmatica degli animali uno dei principali fosfolipidi è la sfingomielina. 2. I glicolipidi= hanno uno o più monosaccaridi ancorati ai lipidi, ovvero allo scheletro contenente acidi grassi e glicerolo (glicoglicerolipidi) o sfingosina (glicosfingolipidi). Sono abbondanti nelle membrane delle cellule nervose. Gli esempi più comuni di quest’ultimi sono i cerebrosidi, che hanno nella testa un singolo zucchero privo di carica, e i gangliosidi, che hanno una testa oligosacaridica negativa; inoltre, i gangliosidi presenti sulla membrana plasmatica fungono da antigeni che vengono riconosci da anticorpi nelle reazioni immunitarie. Il gruppo sanguigno A, B, AB o 0 di un individuo è determinato da una corta catena oligosaccaridica legata covalentemente ai lipidi e alle proteine della membrana degli eritrociti. Un individuo con gruppo sanguigno AB possiede sia i gangliosidi con struttura A sia quelli con struttura B. 3. Gli steroli= sono molecole a più anelli e sono correlati al colesterolo e agli ormoni steroidei. Il colesterolo è lo sterolo più importante per la membrana cellulare in quanto mantiene stabile la struttura, conferisce rigidità alla membrana e diminuisce la permeabilità 17 della membrana. Il colesterolo può costituire fino al 50% dei lipidi di membrana ed è presente in entrambi gli strati lipidici. La quantità relativa dei diversi tipi di fosfolipidi varia da membrana a membrana: Inoltre, si ha una distribuzione asimmetrica di fosfolipidi e glicolipidi: I glicolipidi rivestono la superficie della cellula e sono rivolti solo verso l’ambiente extracellulare, ovvero dal lato opposto del citosol, e costituiscono in genere circa il 5% del monostrato esterno. Sono dei brevi oligosaccaridi ramificati (meno di 15 residui monosaccaridici per catena) che svolgono tre funzioni: 1) proteggono la membrana da condizioni estreme, come il basso pH 2) effetti elettrici 3) riconoscimento cellulare, in quanto il loro riconoscimento sui neutrofili è la fase preliminare della migrazione di questi dai vasi sanguigni alla sede dell’infezione. FLUIDITÀ DELLA MEMBRANA: questa caratteristica è molto importante in quanto il doppio strato fluido permette la diffusione laterale dei lipidi e delle proteine di membrana; i movimenti di questi componenti influenzano alcuni processi come il movimento, l’accrescimento, la divisione e l’eso/endocitosi. La fluidità dipende dalla temperatura: quando quest’ultima si abbassa, la fluidità diminuisce, mentre quando la temperatura di alza la fluidità aumenta. Ogni doppio strato lipidico possiede una specifica temperatura di transizione (Tm) alla quale passa dallo stato solido di gel allo stato fluido: questo cambiamento dello stato di membrana è detto transizione di fase. Quindi una membrana per funzionare correttamente deve essere mantenuta a una temperatura al di sopra del suo valore di Tm; se la temperatura è al di sotto di tale valore allora vengono danneggiate tutte le funzioni che dipendono dalla mobilità o dai cambiamenti conformazionali delle proteine di membrana, compresi alcuni processi fondamentali come il trasporto di soluti, la trasmissione dei segnali e la comunicazione cellula-cellula. La fluidità è regolata dalla composizione lipidica, ovvero dalla lunghezza degli acidi grassi, dal grado di insaturazione e dalla presenza di steroli. o Lunghezza della catena: la temperatura di transizione è più elevata per gli acidi grassi a catena lunga, che sono meno fluidi rispetto a quelli a catena corta. o Grado di insaturazione: gli acidi grassi completamente saturi hanno una temperatura di transizione più elevata degli acidi grassi insaturi. All’aumentare della lunghezza della catena degli acidi grassi saturi, aumenta la temperatura e quindi la membrana diventa progressivamente meno fluida. 18 I lipidi con acidi grassi saturi si impacchettano bene nella membrana, mentre i lipidi con acidi grassi non si impacchettano bene nella membrana. o Presenza di steroli: il colesterolo intercalandosi tra i fosfolipidi rende la membrana meno fluida (se T>Tm diminuisce la fluidità); se la temperatura si abbassa, diminuisce la tendenza a gelificare (se T