Psicologia Generale - Lezione 4 sull'Attenzione - PDF
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Università degli Studi di Brescia
2024
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Lezione di psicologia generale del 08/11/2024 sull'attenzione, partendo dalle definizioni e diversi tipi e forme di attenzione (selettiva spaziale, sostenuta, spontanea). Si analizzano anche le forme di elaborazione dell'informazione nelle diverse forme di attenzione e come vengono gestite. Discute inoltre aspetti come il multitasking e il processo di automatizzazione, concludendo con esempi pratici relativi a test per misurare l'attenzione
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Sbobinatore: Chiara Longo Revisore: Giada Dotti Materia: Psicologia generale D...
Sbobinatore: Chiara Longo Revisore: Giada Dotti Materia: Psicologia generale Docente: Anna Della Vedova Data: 08/11/2024 Lezione n°: 4 Argomenti: L’attenzione La professoressa inizia la lezione chiedendo come si potrebbe definire la funzione dell’attenzione. L’ATTENZIONE L’attenzione è quel tipo di attività che ci permette di selezionare una parte dell’informazione, una parte dell’ambiente o una parte dello spazio che diventa il luogo privilegiato in cui noi attiviamo le nostre risorse cognitive. È perciò un’attività che ci consente di convogliare le nostre risorse cognitive su una serie di stimoli o eventi escludendone altri. L’attenzione, insieme alla percezione, ci permette di decodificare in modo preciso e funzionale ai nostri processi cognitivi le informazioni che provengono dalla realtà esterna. L’attenzione è stata definita anche come la porta principale della coscienza intesa come consapevolezza, infatti per essere consapevoli ad esempio di un rumore, di uno stimolo o di una sensazione è fondamentale aver dislocato le risorse attentive su quell’aspetto. Sono stati identificati diversi tipi di attenzione, in particolar l’attenzione selettiva è quella che solitamente ci è più familiare, ovvero quella capacità di suddividere gli stimoli e le informazioni in stimoli che sono rilevanti in un determinato momento poiché magari importanti per il compito che dobbiamo svolgere o rilevanti perché rientrano nelle nostre aspettative, oltre a quelle informazioni che sono irrilevanti e sulle quali non si va a focalizzare le risorse cognitive. Attenzione spaziale: Un caso particolare di attenzione selettiva è l’attenzione spaziale che è selettiva perché è quel tipo di attenzione che noi applichiamo allo spazio, per esempio al campo visivo piuttosto che a quello che ci circonda inteso come spazio fisico. L’uomo generalmente va a suddividere le informazione in una sorta di focus che potrebbe essere immaginato come uno spot del teatro (il cono di luce in un teatro buio che va ad illuminare alcuni punti della scena) quindi le informazioni sono selezionate attraverso una sorta di fascio dell’attenzione e si lascia sullo sfondo l’area restante. Attenzione sostenuta: L’attenzione può essere anche quella che viene definita attenzione sostenuta (che costa fatica), ovvero quella che viene direzionata su un compito e mantenuta su esso. L’attenzione ha una sua curva per cui inizialmente si hanno a disposizione molte risorse grazie alle quali si riesce a rimanere attenti e poi mano a mano l’attenzione cala perché vengono utilizzate energie e risorse cognitive, l’attenzione sostenuta è perciò quella che noi orientiamo volontariamente su un compito e li la manteniamo. Attenzione spontanea: L’attenzione spontanea è invece quella che noi orientiamo in modo involontario, se sentiamo un rumore alle nostre spalle ad esempio direzionare l’attenzione direttamente in quell’area oppure quando non si ha un obiettivo particolare si può osservare che l’attenzione spontanea diventa fluttuante, si muove e viene attirata da diversi stimoli e situazioni. La divisione dell’attenzione: Gli psicologi sperimentali hanno scoperto che l’attenzione può essere divisa: noi siamo in grado di orientare parte della nostra attenzione su un compito e parte su un altro compito. Questo aspetto è stato molto studiato e gli strumenti utilizzati sono quelli che usano il doppio compito, si chiede infatti ai soggetti di svolgere un’operazione e contemporaneamente farne un’altra. La professoressa chiede alla classe l’esperienza che ognuno di noi ha per quanto riguarda la divisione dell’attenzione, se viene fatto spesso, se facilita o crea degli ostacoli. Concorda con alcuni studenti sul fatto che spesso quando si svolge un’unica azione, essa può essere composta da diverse sotto azioni che vanno controllate, l’attenzione in questi casi deve saltare da un aspetto all’altro mantenendo tutto monitorato. Inoltre durante il confronto con la classe emerge un altro aspetto molto importante: quando si svolge un doppio compito se uno dei è automatizzato cioè lo si fa in modo automatico (come andare in bicicletta), l’esecuzione contemporanea dell’altro compito avviene in maniera semplice senza particolari disturbi, posta come condizione fondamentale che i distretti corporei e del sistema nervoso e cerebrali siano diversi; ad esempio non si può leggere e guardare un film contemporaneamente perché i due distretti che sono la decodifica delle parole e degli elementi verbali si sovrappongono e c’è un’interferenza. Altri doppi compiti che sono emersi dialogando con gli studenti sono lo studio legato all’ascolto della musica, la professoressa sottolinea che ci sono alcune persone che riescono a studiare mentre si ascoltano delle canzoni, altre invece no. Inoltre la professoressa si chiede se per esempio fare un compito di matematica o usare l’elaborazione visuo-spaziale (disegno tecnico) possa essere compatibile con l’ascolto di musica comprendente parole siccome in questo caso i due distretti sono diversi, uno dei distretti è la memoria uditiva fonologica, ovvero la memoria delle parole, l’altra che viene utilizzata per fare il disegno tecnico o dei calcoli matematici è una memoria di tipo visuo-spaziale. Facendo riferimento all’esperienza di un’altra ragazza la professoressa afferma che in alcuni casi c’è anche la possibilità che si crei una sorta di associazione per cui l’assenza di uno stimolo può diventare disturbante dopo un lungo periodo in cui quello stimolo è stato presente. Ritornando all’attenzione selettiva, che è quella che è stata più studiata, ci permette di suddividere le informazioni che arrivano dall’ambiente in informazioni che sono per noi rilevanti e in informazioni che lo sono di meno. Gli studiosi si sono poi dedicati a cercare di capire come noi elaboriamo in modo uguale e diverso queste informazioni. Per suddividere gli stimoli in quelli pertinenti per un determinato compito e quelli che lo sono di meno si utilizzano due tipi di elaborazione che dipendono dalle caratteristiche degli stimoli oltre che da altri processi cognitivi. La professoressa mostra questa immagine ( vedi fig. 1) e chiede quanti cerchietti con il trattino sono presenti nella figura. Sottolinea che ci vuole pochissimo tempo per rispondere a tale quesito perché immediatamente si individua quel cerchietto. (figura 1 ) Mostra poi questa figura ( vedi fig. 2) e chiede quanti cerchi ci sono senza il trattino. (Figura 2) In questo caso la docente afferma che ci vuole più tempo per rispondere alla domanda. Qui avviene un processo che la nostra mente fa quando non può fare un processo tutto in un colpo. Nel primo caso (vedi fig. 1) infatti avviene un processo in parallelo, in un colpo solo si è in grado di fornire una risposta. Nel secondo processo (vedi fig. 2) invece sono richieste delle operazioni di confronto che devono arrivare ad esaurimento degli stimoli, infatti non si può essere sicuri della risposta fino a che non si possa fare un confronto con il pallino senza trattino e tutti gli altri che sono nella configurazione. C’è chi magari li confronterà ad uno ad uno, tecnica molto precisa, ma molto dispendiosa, altri confronteranno i cerchi a pezzettini, metterà il cerchio libero a confronto con alcuni cerchi con il trattino che riuscirà a inserire nel suo campo visivo e poi si sposta. Questo processo si chiama in serie e autoterminante, nel senso che fino a quando non si è terminata l’analisi di tutti i cerchiolini, non si può essere sicuri nel dare una risposta. Questo è il classico esempio di processo in serie, cioè un processo che deve essere fatto step by step sennò non lo si può fare correttamente. La docente spiega che quando si farà la parte di neurologia e di fisiologia del sistema nervoso si faranno aspetti che riguarderanno la neuropsicologia, ovvero vedere come si possono studiare le operazioni cognitive e tutto il sapere che è stato costruito intorno a tale disciplina che è la neuropsicologia cognitiva. A tal proposito si parlerà delle elaborazioni in parallelo e in serie che fanno la mente umana. Elaborazione in parallelo: L’elaborazione in parallelo ci fa vivere un processo definito pre-attentivo perché è come se una persona non dovesse impegnarsi con l’attenzione, è un processo che non è influenzato dal numero di elementi (se si aumentasse il numero di cerchiolini senza trattino si riuscirebbe ad individuare subito quello diverso, vedi fig.1) inoltre è anche definito così perché è un processo che avviene in un colpo solo. I processi in parallelo sono quei processi che vengono svolti continuamente in modo velocissimo, automatico e come se ognuna delle componenti del processo potesse fluire liberamente, non c’è bisogno di fare le cose passo dopo passo come nel processo in serie. Elaborazione in serie: La seconda configurazione mostrata precedentemente( vedi fig. 2) invece ci descrive il processo dell’elaborazione in serie, tale elaborazione è un processo che richiede attenzione e bisogna focalizzare l’ attenzione(in questo caso spaziale) per andare a confrontare il nostro target (obiettivo) con tutti gli altri. Il numero degli elementi influenza questo processo infatti se si aumentassero i cerchiolini con la stanghetta, la persona che avrebbe dovuto rispondere alla domanda iniziale sarebbe obbligata a fare tanti confronti tanti quanti sono necessari per esaurire tutti i pallini con la stanghetta. Questo tipo di processo viene svolto necessariamente passo dopo passo. La professoressa riprende un esempio fatto da una ragazza alla quale il suo maestro faceva spezzare un compito e le faceva usare un processo in serie, quindi passo dopo passo con un’attenzione focalizzata che eliminava le interferenze e le faceva ripetere passo dopo passo questo processo perché esso ha una prerogativa importante: dopo un po’ diventa appreso, poi super appreso (qualcosa che viene padroneggiato completamente) e poi diventa automatico. La docente fa un’ulteriore esempio, sottolinea che se noi abbiamo imparato ad usare l’automobile, abbiamo iniziato con un processo in serie, mettendo le azioni una dietro l’altra e poi adesso è diventato un processo che non si controlla più, è automatico. Quindi l’elaborazione in serie è quel tipo di elaborazione che noi utilizziamo ogni volta che s’incontra un compito nuovo e che dobbiamo padroneggiare e impararlo bene. Nella vita quotidiana invece di parlare di processi in serie e in parallelo, sono infatti termini che vengono utilizzati nell’ambito neuroscientifico, si parla di processi automatizzati e processi controllati, i primi vanno in parallelo mentre quelli controllati vanno in serie. Processi automatici: I processi automatici sono processi rapidi che non coinvolgono la memoria, non richiedono risorse attentive, si svolgono in un colpo solo, compaiono con l’esercizio, ma hanno un problema: è difficile bloccarli volontariamente. La professoressa fa come esempio un qualcosa che si è soliti fare automaticamente e che solo dopo che si è iniziato a compiere si vorrebbe bloccare, però non si riesce. A tal proposito la classe propone degli esempi come guardare una parola senza leggerla, l’insegnante afferma che in questo caso si tratta della lettura automatizzata: non si può guardare una parola ed evitare di leggerla perché è ormai un processo automatico. La professoressa spiega che ci sono delle cose che si fanno per abitudine e tante volte ci si trova a farle senza volerlo, per esempio se una persona che è solita portare gli occhiali un giorno non li ha perché ha messo le lenti, cercherà di sistemarsi gli occhiali anche se poi si renderà conto che non li sta indossando. Un altro esempio riguarda una situazione in cui manca la luce in casa, anche se si è consapevoli che è stata tolta la corrente volontariamente, si continua a cercare di accendere l’interruttore. Un’altra cosa che capita a molte persone è quella di trovarsi per strada e anche se si deve andare in un punto preciso, si imbocca la strada che si fa di solito. Questi esempi sottolineano una caratteristica del processo automatico, esso si innesca da solo perché ci sono degli stimoli compatibili con la sua presenza. L’automatismo è una di quelle caratteristiche della nostra mente che coincide con quella che viene definita economia mentale o cognitiva, nel senso che automatizzare dei processi ci permette di risparmiare molte energie mentali. Processo controllato Il processo controllato che è alla base per avere un processo automatico ha come punto di riferimento il processo in serie. Il processo controllato è lento, coinvolge la memoria, richiede risorse attentive: quando s’impara a fare qualcosa si dedicano risorse ad ogni minimo dettaglio, inoltre si svolge solo in serie, step by step. In questo caso l’attenzione è completamente orientata su un compito quindi riusciamo ad interromperci nei punti in cui si vuole. Secondo la professoressa è proprio questa la “forza” di tale processo, quando noi svolgiamo un processo controllato, siamo in grado di monitorare ogni piccolo step e quindi ci si può fermare appena ci si accorge che qualcosa non sta andando nel verso giusto. L’esercizio prolungato può trasformare il processo controllato in automatico, esempi di processi controllati che sono poi diventati automatici riguardano alcune attività sportive. Lo sport è infatti per definizione l’esempio di passaggio da processi controllati a quelli automatizzati, questo riguarda ogni fascia d’età. Nel bambino è evidente lo sforzo che egli deve fa per coordinare la varie parti e le difficoltà che può avere all’inizio per svolgere bene un processo controllato siccome l’attenzione deve maturare. Il bambino deve imparare ad orientare l’attenzione sull’azione e deve imparare ad armonizzare tutte quelle componenti che vengono definite funzioni esecutive, le quali consentono all’attenzione di svolgere il suo ruolo. La maggior parte delle cose noi apprendiamo avviene tramite un processo controllato, altri esempi oltre allo sport sono la memorizzazione di poesie, (anche se in questo caso è un po’ diverso siccome è un lavoro di memoria) quando la poesia è stata imparata diventa un processo automatizzato, se prima non si fa un processo controllato, passo dopo passo, non si riesce ad impararla, a meno che sia brevissima e in questo caso si fa una sorta di fotografia e si isolano i diversi versi. Sennò è necessario un processo controllato nel quale poi si dovranno aggiungere delle operazioni per la memorizzazione di tipo verbale o di associazioni, la memoria che si utilizza per azioni motorie è molto diversa dalla memoria che si usa per un sapere di tipo concettuale o verbale. Anche lo studio delle materie scientifiche è un esempio di processo controllato che poi diventa automatico, infatti la prima volta che si deve svolgere un esercizio si fanno le operazioni passo dopo passo, successivamente più lo facciamo più diventiamo esperti e lo automatizziamo. La nostra mente ha quindi la capacità di padroneggiare i processi cognitivi e il rapporto con la realtà per gestirlo nel modo più economico, più veloce e allo stesso tempo più efficace possibile, si tratta perciò di utilizzare i processi controllati per apprendere bene e far diventare poi questi apprendimenti un qualcosa di automatico che è a nostra disposizione. Anche imparare una nuova lingua è un esempio molto valido, si percepisce la differenza di un processo passo dopo passo di chi sta imparando e un processo automatico invece di chi è fluente e si vede che qui il processo diventa in parallelo, senza bisogno dell’attenzione. Si può pensare che quasi tutto quello che noi impariamo, lo acquistiamo in questo modo: prima con un processo controllato, lento e puntiglioso per poi trasformarlo in automatico. Questo tipo di modalità è utilizzata per imparare a ballare, guidare, per compiti di tipo intellettuale, ma anche per cose banali come cucinare. Il problema dei processi automatici è molto importante anche per i clinici, quando noi diventiamo esperti rispetto a qualcosa, abbiamo automatizzato le nostre azioni nei confronti di un certo argomento, a tal proposito la professoressa chiede quale potrebbe essere il rischio in questa situazione. In questo caso si potrebbe smettere di ragionare e fare errori durante il processo, ciò viene definito il rischio del grande esperto. Il rischio del grande esperto è il fatto che quando noi usiamo dei processi automatizzati abbiamo meno attenzione dedicata, il processo automatico infatti proprio per definizione non richiede attenzione. Quando ci si sente sicuri si ha meno controllo e questo è riconosciuto come un problema dell’esperto, perché l’esperto può non accorgersi, sottovalutare, non monitorare un processo perché lo conosce alla perfezione. È perciò un aspetto da tener presente, inoltre diventare esperti è importante perché offre un vantaggio significativo per la nostra mente poiché si risparmiano enormi quantità di energia mentale e risorse metaboliche, bisogna però stare attenti e pensare che anche quando i nostri processi sono automatizzati è importante attuare dei monitoraggi, essere esperti può esporre involontariamente al fatto di trascurare e non porre attenzione su alcuni dettagli. Teorie e modelli dell’attenzione: Il primo modello dell’attenzione nasce intorno agli anni 50’ con un autore molto conosciuto di origini britanniche, Jim Broadbent, che si proponeva un interrogativo: “ Se una persona focalizza la sua attenzione su una parte dell’informazione (target) tutto il resto dell’informazione e i vari dettagli vengono elaborati o non lo sono? La sua prima idea riguarda l’esistenza di una sorta di filtro dei nostri processi cognitivi che blocca quelle informazioni che non sono rilevanti per il compito, questo perché la nostra capacità di manipolare e gestire le informazioni è limitata, non si riesce a tenere a mente più di un tot di elementi nello stesso momento. Quindi secondo Broadbent ci doveva essere una sorta di filtro da lui chiamato collo di bottiglia che permette di filtrare quelle informazioni che non sono importanti per il compito intrapreso. Secondo le sue idea quindi le informazioni non rilevanti venivano perse, c’è uno stimolo non importante per l’azione che si deve compiere che arriva ai sensi e c’è una sorta di filtro che lo blocca e tale stimolo viene perso. L’altro stimolo che è stato selezionato attentamente perché importante per l’attività svolta, segue un percorso diverso: è captato dai sensi, non è fermato dal filtro e prosegue nella short-term memory (memoria a breve termine) affinché lo stimolo possa essere elaborato. Filtro di Broadbent La professoressa chiede se questo è un processo soddisfacente, se gli stimoli non selezionati attentamente vengono persi o sono comunque elaborati, dalla discussione con la classe emerge che essi sono elaborati parzialmente, ma non vengono completamente persi. Questo modello è stato superato nel corso degli anni superato, Broadbent usava come esempio per spiegare la sua teoria quello del cocktail party, secondo lui se una persona è ad un cocktail party e qualcuno gli parla nelle orecchie, la persona ascolta quello che gli viene detto e tutto quello di cui le persone intorno parlano è filtrato via. Questa affermazione è stata vista in modo critico dagli studiosi, infatti anche se si è ad un cocktail party e si ascolta quello che viene detto in un determinato momento da una persona, se si sente un rumore improvviso o qualcuno bisbiglia il nome della persona interessata in quell’istante, la persona coinvolta sente e si accorge, serve quindi una sorta di monitoraggio per gli altri stimoli. Modello dell’attenuazione: Treisman ad esempio suggeriva che gli stimoli non rilevanti potessero essere elaborati in modo primitivo, invece di essere elaborati fino ad un livello semantico. L’elaborazione a livello semantico significa che in un suono, ad esempio se è un nome, si riconosce il suo significato simbolico. Se si sente una persona dire la parola rosa e si riconosce la parola rosa, significa che si sta elaborando a livello del significato semantico l’informazione. Se si elabora la parola rosa solo con il suono e non decodifica il nome, significa che si sta elaborando lo stimolo solo a livello sensoriale. L’elaborazione sensoriale mi fa riconoscere che quello è un determinato suono, l’elaborazione semantica permette di riconoscere che quel suono veicola un nome, è perciò un’elaborazione più elevata. Treisman afferma che probabilmente gli stimoli non rilevanti vengono elaborati a livello delle caratteristiche percettive, non a livello semantico, sotto la soglia di consapevolezza. Il filtro quindi non blocca gli stimoli, ma li attenua, perciò gli stimoli potenti potrebbero eludere tale filtro. (figura 3) In questa illustrazione (vedi fig.3) vediamo che c’è l’input (parte rossa) del sistema uditivo e lo stimolo selezionato che passa i filtri e arriva alla memoria a breve termine in modo diretto. Lo stimolo che subisce una sorta di attenuazione, ricorda il collo di bottiglia di Broadbent, non lo stimolo non è però bloccato, ma è attenuato, permette che gli stimoli arrivano nella memoria in modo diverso, come se fossero meno vividi, ma comunque rintracciabili. Modello del filtro attentivo tardivo: Infine Deutsch e Deutsch Norman, sono riusciti ad approfondire il discorso e hanno dimostrato che l’elaborazione delle informazioni , anche quelle non rilevanti, avviene a livello sofisticato. Secondo questa visione le caratteristiche dello stimolo che noi non riusciamo ad elaborare per via di stimoli veloci che eludono la nostra percezione o perché li abbiamo lasciati fuori dal campo dell’attenzione selettiva, sono elaborate oltre al livello percettivo, quindi non solo ci sono dei suoni intorno ad una persona, ma ci sono delle parole che veicolano dei significati. Questo è stato chiamato il filtro attentivo tardivo, opposto a quello di Broadbent, che veniva chiamato collo di bottiglia o filtro attentivo precoce. Il filtro tardivo opera dopo, la nostra mente svolge una velocissima elaborazione inconsapevole di tutti gli stimoli che sono intorno a noi, questa elaborazione che potrebbe essere definita automatica e preconscia arriva fino al livello di codifica semantica anche se noi non ce ne accorgiamo. Successivamente all’elaborazione c’è una capacità del sistema cognitivo di ritagliare quegli stimoli che hanno quelle caratteristiche (analisi stimolo fatta prima in modo veloce e automatico) rilevanti per il compito, a tal proposito si parla di analisi della pertinenza. Il nostro sistema cognitivo tende ad analizzare in modo molto veloce e sommario gli stimoli e poi ritaglia quelli che sono rilevanti per il nostro compito. In questo modello l’elaborazione dell’informazione non rilevante supera il livello sensoriale e percettivo, arrivando a quello semantico. La dimostrazione di questo modello sono alcuni esperimenti come l’effetto Stroop (usato anche come sorta di gioco test) e l’effetto Navon. (figura 4 ) In questo grafico( vedi fig.4) c’è un riassunto di quello che è stato detto precedentemente. Nella prima riga si può osservare la selezione precoce secondo Broadbent, dove il filtro impedisce il passaggio nella memoria delle informazioni non selezionate. Poi quello di Treisman che fa sì che in modo attenuato le informazioni non selezionate entrino nella memoria e quello finale della selezione tardiva di Deutsch e Deutsch Norman che afferma che anche gli stimoli non selezionati sono elaborati fino al riconoscimento di tipo semantico, a quel punto si inserisce il filtro per cui alcuni di questi stimoli non vengono resi consapevoli ed utilizzati e gli altri, che sono resi consapevoli son usati per svolgere l’azione o il compito che viene proposto. (figura 5) Questa immagina( vedi fig. 5) è ancora una ripresa delle cose di cui si è già parlato , c’è il livello della registrazione, gli stimoli che colpiscono i sistemi nervosi, poi avviene un’analisi percettiva, semantica e successivamente a seconda che si è in un modello di selezione precoce, ci fermeremo fino a questo punto, oppure se fossimo in un modello di selezione tardiva ci fermeremo più avanti. Nella selezione tardiva tutti gli input che sono stati analizzati vanno ad influenzare le nostre funzioni esecutive, le decisioni e la memoria. Effetto Stroop: Questo effetto è una situazione sperimentale in cui si chiede alle persone di dire il colore. Vengono infatti mostrati degli stimoli, la persona non deve badare al tipo di stimolo proposto, deve solo dire di quale colore si tratta. Gli stimoli vengono presentati in sequenza veloce e il soggetto deve prestare attenzione solo al colore di esso, non deve guardare la forma o il significato. Vengono poi valutati i tempi di reazione e gli errori nelle risposte. ( figura 6) La professoressa mostra questa immagine e chiede di dirle il colore della prima colonna dopo aver fatto vedere gli stimoli, chiede se dare una risposta è facile o meno. Poi fa porre l’attenzione sulla seconda colonna e chiede ancora una volta di dire il colore. Ripropone la stessa domanda anche per la terza colonna e mette in evidenza il fatto che in questo esercizio dare una risposta è stato un po’ più difficile. Infine con l’ultima colonna è più facile rispondere che nel terzo caso. La professoressa sottolinea che il nostro compito è dire il colore, tutte le altre informazioni sono irrilevanti, ma quando noi dobbiamo notare la dimensione rilevante (dire il colore) se ci fossero state delle parole che avevano qualcosa a che fare con il compito, c’era maggiore difficoltà nel rispondere. La parte di nostro interesse è quella in cui noi dobbiamo dire il colore e se le informazioni non rilevanti potessero essere non elaborate , non si avrebbe nessun disturbo. L’insegnante chiede come mai allora si ha un disturbo quando ad esempio c’è scritto nero e si dovrebbe dire rosso. Questo esperimento dimostra che noi non possiamo prestare attenzione solo allo stimolo rilevante, ma che automaticamente si elaborano anche le altre dimensioni dello stimolo, noi elaboriamo tutto ciò che arriva ai nostri sensi senza che ce ne accorgiamo. Nell’esercizio di prima ad esempio quando si doveva dire il colore di una parola che non c’entrava nulla con l’ambito dei colori, quella parola non creava disturbo, questo perchè si presta attenzione ad un elemento irrilevante, ma per fortuna questo elemento ha una natura tale per cui non crea interferenza, è come se non ci si accorgesse dell’elemento. Noi per questo motivo spesso abbiamo l’impressione di elaborare solo gli stimoli a cui diamo attenzione e a non elaborare il resto, perché noi il resto lo stiamo elaborando, ma non crea interferenza, non ha un’associazione particolare con il materiale che stiamo elaborando e quindi non crea disturbo. Stroop è riuscito a trovare l’esperimento che ha dimostrato cosa succede quando la dimensione rilevante dello stimolo e la sua elaborazione può crearci un ostacolo. Nel nostro cervello la memoria semantica ha una strutturazione molto complessa, ma anche una caratteristica (homunculus motorio): c’è una struttura somatotopica, per esempio è presente l’homunculus che è rappresentato nella corteccia cerebrale e si può stimolare con un elettrodo la parte della mano che a sua volta riceve una stimolazione. Allo stesso modo nella nostra memoria semantica, le categorie dei concetti che abbiamo appreso sono sedimentate in modo preciso, per cui la categoria dei colori ha depositato le tracce mnestiche dei concetti e dei nomi dei colori una vicino all’altra, in una sorta di classe discreta che è in un certo luogo nel sistema nervoso. Anche le categorie concettuali delle parole sono sedimentate in una classe discreta e associata alle classi simili, per questo motivo il nome del colore è automaticamente in grado di attivare per associazione diretta la parola che si riferisce a quel colore. Se si deve dire il colore, ma la parola con cui è scritto il colore è un colore stesso, si tratta dello stesso distretto (stesso campo semantico) che si attiva, quindi se sono uguali non si ha nessun problema (se ad esempio si deve dire rosso e la parola scritta è rosso, si ha un vantaggio) le due dimensioni, quella rilevante e non rilevante coincidono e quindi l’elaborazione della dimensione rilevante non crea disturbo. Nel terzo caso (grafico precedente)la risposta era più complicata, infatti se l’elaborazione della dimensione non rilevante è sempre un nome di colore, ma il nome di colore diverso dal nome che si deve pronunciare per individuare correttamente il colore dell’inchiostro, quindi quando una persona sta per rispondere, è come se in parallelo ci fossero due risposte, una che viene dall’aver visto il colore e una che viene dalla lettura automatica del nome del colore( se ad esempio il colore è nero e il nome del colore è rosso). Una risposta è quella che bisognava dare e quindi si è preparati per darla, l’altra è automaticamente innescata dall’associazione tra il colore e il suo nome e dalla lettura. Una persona si trova quindi nella condizione di avere due risposte che stanno per essere dette, ma è necessario fornire una, è questa la causa della difficoltà nel dare una risposta velocemente. Se ci venissero presentate delle opzioni in modo veloce saremmo più propensi a fare degli errori, a leggere la parola invece di dire il colore che vediamo. In poche parole l’effetto Stroop ci parla di diverse cose: di come l’attenzione lavora, per cui monitora le operazioni cognitive essendo capace di bloccare una risposta quando non è quella adeguata (questa è una funzione molto importante dell’attenzione). L’attenzione non è solo selezionare gli stimoli che ci interessano, ma anche monitorare l’andamento dell’azione e saper inibire le informazioni o azioni che non sono utili o che sono dannose. L’effetto stroop quindi sottolinea che l’informazione non rilevante non va persa, ma viene elaborata fino a livello semantico e per questo crea interferenza. Esiste anche uno stroop differente, lo stroop numerico. ( figura 7) La professoressa sottolinea che se ci presentassimo questi stimoli in maniera veloce, uno per volta, si potrebbe sbagliare facilmente. L’informazione rilevante in questo compito è dire quanti stimoli ci sono in ogni cartellina, la risposta che deve essere data interferisce in campo semantico (la categoria del numero e il nome del numero) con gli stimoli che si possono leggere. Se ad esempio io vedessi tre stimoli la risposta è tre, però se questi stimoli venissero presentati in maniera veloce, sarebbe molto alta la probabilità di sbagliare. Sempre nell’immagine mostrata dalla docente compaiono dei quatto e nel vedere i quattro non bisogna farsi distrarre dall’informazione non rilevante, ma si deve rispondere cinque. L’attenzione viene messa in crisi da due compiti che sono competitivi, in questo caso infatti le due informazioni competono e si attivano molto velocemente, ma bisogna sceglierne una. (figura 8) Un altro effetto analogo è quello in cui si chiede alle persone di dire quali lettere vedono nella configurazione presentata. In questo caso ad esempio ci sono delle s all’interno di una grossa lettera S, ci sono poi delle h presentate sempre all’interno della S. In questo esperimento è stato dimostrato che se la dimensione rilevante e irrilevante che insistono nello stesso campo semantico sono coerenti tra di loro la persona a cui è stato posto il quesito è molto veloce nella risposta, infatti ritornando all’esempio dell’immagine se si deve dire s nella S grande si è tempestivi nel dare la risposta, se si deve dire h nella S grande si è più lenti e si possono fare degli errori. In questo caso non c’è una condizione di neutralità, c’è solo una condizione coerente o conflittuale. Se al soggetto viene chiesto di porre attenzione alla lettera locale o a quella globale si rallentano i tempi di reazione. Effetto Simon: Infine l’ultimo effetto particolare della nostra attenzione che ci dimostra che l’informazione non rilevante per il compito viene comunque elaborata e ha un’influenza sui risultati dell’azione è l’effetto Simon. Con l’effetto Simon noi possiamo chiedere ai soggetti di fissare un punto all’interno dello schermo e successivamente viene dato un determinato compito: se compare un cerchio (a destra o a sinistra) bisogna rispondere con il pulsante a sinistra, se compare un quadrato si deve rispondere con il pulsante di destra, quindi la riposta è una risposta di tipo motorio. L’informazione rilevante è : che forma ha lo stimolo, se è un cerchio si risponde con il pulsante a sinistra, se è un quadrato si risponde con il pulsante destro. C’è un elemento che dovrebbe essere un’informazione non rilevante ovvero la posizione nello spazio: se io non lavorassi tutte le informazioni in modo che mi creino delle difficoltà, delle conflittualità o delle competizioni nella risposta, non dovrebbe essere rilevante se ad esempio il quadrato compare a destra o a sinistra, cioè se lo stimolo compare nella stessa area del pulsante della risposta. Tuttavia non è così, infatti è evidente che se le persone vedono lo stimolo coerente con la posizione con cui si deve schiacciare il pulsante per riconoscerlo sono più veloci, quindi vedere il cerchio a sinistra implica più velocemente schiacciare il pulsante sinistro che vedere il cerchio a destra. Se io dovessi vedere il cerchio a destra probabilmente è come se fosse spinta la risposta nella stessa area, infatti la posizione nello spazio influenza e si avrebbe un momento d’incertezza perché invece si dovrebbe rispondere con il pulsante sinistro. Quando la posizione dello stimolo che non è la dimensione rilevante, poiché è la forma dello stimolo a essere rilevante, coincide con quella della risposta (sinistra sinistra/destra destra) i tempi di risposta sono più brevi. (figura effetto simon) Tutti questi esperimenti ci hanno permesso di vedere come l’elaborazione dell’informazione non si limiti solo all’informazione che si decide di elaborare, ma comprende anche le altre. Anche il paradigma della simulazione dicotica è in questa direzione. A tal proposito sono stati fatti diversi esperimenti chiedendo a dei soggetti di indossare delle cuffie e facendo arrivare ad un orecchio una serie di parole e all’altro orecchio una serie di termini differenti, si chiede ai soggetti di non prestare attenzione al messaggio che viene inviato all’orecchio sinistro e di fare attenzione solo all’orecchio destro. Per evitare che ci siano delle problematiche di presentazione dello stimolo bisognerebbe fare che per cinquanta soggetti è importante l’orecchio destro e non il sinistro, (infatti noi abbiamo una lateralizzazione per il linguaggio) mentre con l’altro gruppo di soggetti bisognerebbe fare il contrario, prestare attenzione all’orecchio sinistro e non al destro. Quello che risulta interessante è che nonostante le persone si siano impegnate ad ascoltare solo quanto arrivava all’orecchio designato, quando poi dovevo riferire le parole che avevano ascoltato, quindi recuperare nella loro memoria le parole a cui era stato chiesto loro di prestare attenzione, ne recuperavano anche altre che facevano parte dell’altro elenco. E’ evidente come anche in questo caso il materiale non selezionato influenza la prestazione. ( paradigma della simulazione dicotica) Tutti questi esperimenti, molto conosciuti e dei grandi classici, ci dicono come funziona la nostra attenzione, in particolare quella selettiva. Shallice ha ipotizzato che esistesse il sistema supervisore attenzionale. Tale sistema permette di essere efficienti con l’elaborazione degli stimoli. Vengono attivate le categorie attentive che possono essere utili per lo stimolo che viene selezionato all’interno di altri stimoli al fine di non essere soggetto ad interferenze, inoltre avviene un monitoraggio dei diversi passaggi, è importante anche la decisionalità, quindi la pianificazione dei passaggi. Organizza, implementa, mantiene attivi o blocca gli schemi di azione finalizzati, infatti come abbiamo detto con l’ingresso dell’ informazione si attivano una serie di schemi, ovvero rappresentazioni fissate nella memoria. Il sistema supervisore attenzionale deve decidere nella competizione di questi schemi per arrivare alla consapevolezza, quali sono quelli utili per il compito, inoltre svolge una selezione dell’informazione pertinente per l’attività da compiere, inibisce poi i distrattori (aspetto molto importante) e anticipa, definisce, distribuisce per importanza, ovvero gerarchizzare le sequenze di azioni per la risoluzione di problemi o di compiti ed è sensibile al feedback, monitora perciò il processo. ( effetto Shallice) La professoressa dopo aver chiesto alla classe cosa pensa del multitasking, sottolinea che esso provoca un enorme dispendio di energia, più di quella che noi potremmo pensare di consumare, infatti noi non ce ne rendiamo conto fino a quando si inizia a sentire la stanchezza. La docente concorda con gli studenti sul fatto che il multitasking permette di fare più azioni contemporaneamente, ma che allo stesso tempo aumenta il tempo che sarebbe stato impiegato per fare le azioni singolarmente. A volte si pensa che fare tutto insieme sia meglio, che faccia risparmiare tempo, in realtà non è così. Il multitasking aumenta la probabilità di errore, infatti i processi attentivi sono molto delicati e sensibili a tutti gli stimoli come distrattori e componenti semantiche. Il multitasking diminuisce la capacità di fare attenzione ad una cosa per volta, alle volte si finisce per aver sempre bisogno di tanti stimoli per rimanere concentrati su quello che si sta facendo. La professoressa a partire dalla risposta di una ragazza secondo la quale facendo multitasking non si stanno realmente facendo più cose contemporaneamente, ma si passa semplicemente da una cosa ad un’altra andando a disperdere energia, sottolinea che questo aspetto è stato studiato dal punto di vista neuropsicologico. Gli studiosi quando lavoravano sul doppio compito si chiedevano cosa facesse la nostra attenzione e se davvero essa potesse dividersi avendone metà da una parte e metà dall’altra o se continuasse a saltare in modo veloce da un compito all’altro con una velocità tale che neanche ci accorgiamo, in realtà anche se non ce ne rendiamo conto continua a farlo andando a perdere delle micro sequenze di ognuno dei compiti oltre che al dispendio energetico. Muoversi quindi da un compito all’altro continuamente fa correre il rischio di non riuscire più a svolgere almeno uno fino in fondo e la cosa più triste è che se questo messaggio passa ai bambini, nel loro sviluppo viene trascurata una capacità fondamentale che è quella di allenare prima l’attenzione a focalizzarsi in maniera attenta e solo successivamente, quando si è più grandi permettersi di fare più cose contemporaneamente. Il rischio è quello di cercare continuamente una stimolazione, di muoversi da un compito all’altro senza portare a termine interamente una determinata cosa, ma è come se sentissimo il bisogno di tenerci iperattività, questo dal punto di vista dei giovani e dei bambini è una cosa che va monitorata attentamente. I bambini devono imparare, devono essere aiutati dall’adulto attraverso i feedback ad orientare la loro attenzione, devono imparare a sviluppare le capacità di attenzione selettiva, quindi di focalizzare e concentrare e solo dopo si apprendono gli automatismi. Il rischio di saltare continuamente da un compito all’altro o di non focalizzarsi in un compito è quello di non approfondire e non svolgere fino in fondo il compito che ci si è proposti. (figura 9 ) Questa frase (vedi fig. 9) indica la capacità di fermarsi e di sviluppare un aspetto preciso. Ultimi aspetti dell’attenzione Neglect : La sindrome definita Emineglicenza spaziale unilaterale (neglect) ha suscitato molto interesse dal punto di vista della neurologia. Questo perché alcuni pazienti che subiscono delle lesioni particolari, le quali colpiscono prevalentemente l’emisfero destro (lobo parietale) evidenziano un disturbo dell’attenzione molto significativo: queste persone tendono ad ignorare la parte controlaterale alla lesione del loro corpo o dello spazio. In questo caso il paziente non può elaborare questa parte dello spazio, si ritiene che sia un problema attentivo, perché una delle ipotesi è che sia andato perso il meccanismo che permette di orientare l’attenzione nel campo visivo controlaterale, non si tratta però di un problema della visione, i pazienti infatti vedono bene, ma non riescono a orientare la loro attenzione per elaborare quello che c’è nell’emicampo controlaterale. (figura 10) Questo è il disegno di un orologio, (vedi fig. 10) il paziente ha messo tutti i numeri nella parte destra e ignora selettivamente la parte sinistra del foglio. È presente anche una distribuzione diversa a seconda delle lesioni a destra e a sinistra (a sinistra sembra meno grave). Il Neglect ha permesso di riflettere anche su quella che è da noi definita come conoscenza implicita, c’è un esperimento abbastanza famoso in cui gli sperimentatori mostravano a dei pazienti con il Neglect delle cartoline che raffigurano dei disegni con delle case e delle abitazioni. Dall’esperimento ci si aspettava che il paziente con il disturbo non elaborasse la parte destra della cartolina, queste cartoline erano fatte in modo tale da essere per metà normali e nell’altra metà, la parte sinistra della casa presentava delle anomalie: l’abitazione poteva essere diroccata, potevano esserci degli aspetti di casa pericolante, la metà della casa nel campo ignorato dal paziente era quindi una casa pericolosa, dove una persona non avrebbe voluto abitare. A questi pazienti veniva poi chiesto in quale di queste case raffigurate avrebbero voluto abitare e in quali no se fosse considerato tutto il mazzo, la cosa interessante era che i pazienti con il Neglect mettevano tra le case in cui avrebbero voluto stare le cartoline con le case integre mentre le cartoline con le abitazioni bruciate o diroccate nell’emicampo ignorato venivano messe in un gruppo dove il paziente diceva di non voler abitare. Questo sottolinea come le persone senza saperlo, avevano elaborato la parte sinistra dell’illustrazione, avevano visto bene gli aspetti pericolosi di quelle case, ma non potevano dirlo, infatti lo sperimentatore poi chiedeva ai pazienti se le case fossero diverse o no e loro rispondevano che le case erano piuttosto simili, non indicavano che c’erano delle differenze. Nel momento in cui però i pazienti dovevano dire dove avrebbero voluto abitare sceglievano tutte quelle integre. Tutti gli studi sulla conoscenza implicita riguardano il fatto che il cervello può elaborare una serie di stimoli senza saperlo e quindi implicitamente modificare il comportamento. Noi siamo in grado di accorgerci che queste persone hanno elaborato e hanno appreso degli stimoli solo dal loro comportamento e non dalla loro risposta mentale, infatti se noi chiedessimo a questi soggetti il motivo per cui non vorrebbero abitare in quelle case, loro non lo saprebbero dire, saprebbero solo rispondere di preferire abitare nelle altre case. Questo è un aspetto molto interessante che avvicina il campo delle neuroscienze cognitive (scienze sperimentali) alle ipotesi psicoanalitiche, le quali sottolineano che è presente una parte inconsapevole molto significativa nel nostro funzionamento, è evidente come alla fine ci siano delle convergenze a livello delle discipline che studiano la psiche. Un’altra cosa importante che è stata riscontrata è che nel Neglect sono state evidenziate delle componenti particolari, infatti il Neglect può riguardare lo spazio personale, il paziente può non vestirsi nella parte sinistra (non indossa vestiti nella parte sinistra del corpo) oppure dimentica ad esempio di pettinarsi o lavarsi in quella determinata parte del corpo. Nel Neglect peripersonale i pazienti ignorano la presenza di oggetti nella parte sinistra dell’ambiente, tutto ciò che è a sinistra viene ignorato. Esiste anche il Neglect extrapersonale che riguarda sia lo spazio lontano sia lo spazio immaginato. A tal proposito c’è un esperimento molto famoso di Bisiach(studioso neuropsicologo): veniva chiesto a dei pazienti milanesi che soffrivano di Neglect di immaginare di essere davanti alla facciata del duomo di Milano e si domandava a questi soggetti cosa vedessero alla loro destra( cioè alla sinistra del duomo di Milano) e alla loro sinistra. Le persone descrivevano solo quello che vedevano alla loro destra e a sinistra non osservavano nulla, a questo punto si chiedeva loro di girarsi dando le spalle al duomo e si proponeva la stessa domanda, ora vedevano tutto quello che prima non avevano visto e non potevano più descrivere quello che un attimo prima avevano detto di aver visto( nella parte destra). Questo tipo di disturbo che è acquisito perché avviene in seguito a lesioni cerebrali, emorragie e ad aspetti tumorali(non riguarda una degenerazione, ma un fattore traumatico) ha suscitato molto interesse perché si è scoperto che c’è negazione dell’elaborazione dello spazio controlaterale alla lesione, ma c’è però una elaborazione implicita. La professoressa dopo aver raccontato l’aneddoto del suo gatto che dopo un’emorragia ha sviluppato una sorta di Neglect e ora mangia solo dalla parte sinistra del piatto, evidenzia come anche negli animali possa verificarsi questo disturbo. Trattamenti per il Neglect: Il trattamento possibile del Neglect potrebbe essere quello dell’utilizzo di lenti prismatiche in modo tale da orientare forzatamente l’attenzione visiva nell’area che vuole essere negletta oppure attuare una rieducazione dell’attenzione, cercare quindi di aiutare il paziente a riorientare l’attenzione (sembra infatti che sia un disturbo dell’orientamento dell’attenzione). Processi Top down e Bottom up Ci sono altri tipi di processi attentivi che noi utilizziamo, oltre che ai processi in serie e in parallelo, controllati e automatici, ci sono i processi Top down e Bottom up. I processi Top down sono spesso dei processi automatizzati e sono guidati dalle nostre conoscenze, in particolare facendo riferimento all’esempio(vedi fig. 11) è quell’effetto per cui tutti noi guardando una determinata cosa nella percezione nei principi di Wertheimer(serie di leggi che guidano l’organizzazione percettiva) abbiamo detto di vedere una E. Questo perché si è imposto un processo top down, quello che noi conosciamo ha guidato la nostra percezione dell’oggetto. (figura 12) Il processo Botton up è guidato dallo stimolo, quando noi abbiamo visto in questa griglia (vedi fig. 13) i puntini bianchi e neri, non abbiamo utilizzato delle preconoscenze, è stato lo stimolo che ha indotto i nostri neuroni ad elaborare queste configurazioni indipendentemente dalla nostra volontà. Nel modo di elaborare la realtà si hanno fondamentalmente queste due modalità. Inoltre, il processo top down è a capo di moltissimi processi mentali, ad esempio è alla base del pregiudizio: quando noi guardiamo qualcosa, spesso lo guardiamo con la lente delle nostre conoscenze precedenti in base a quello che ci hanno detto e come siamo stati influenzati. Perciò anche nel categorizzare la nostra esperienza, siamo molto influenzati da quella passata e spesso dal pregiudizio. (figura 13)