Sviluppo del linguaggio e della comunicazione PDF

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Questo documento esplora lo sviluppo del linguaggio e della comunicazione, concentrandosi sui diversi approcci teorici, come la teoria innatista, interazionista e gli approcci funzionalisti. Analizza le diverse fasi dello sviluppo del linguaggio, con un focus particolare sulle acquisizioni linguistiche dei bambini.

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Capitolo V LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO E DELLA COMUNICAZIONE 5.1 Che cos’è il linguaggio? Imparare a parlare significa acquisire una capacità estremamente complessa in un tempo breve: di norma, i primi tre anni di vita. In seguito il linguaggio si specializza e si consolida fino all’inizio de...

Capitolo V LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO E DELLA COMUNICAZIONE 5.1 Che cos’è il linguaggio? Imparare a parlare significa acquisire una capacità estremamente complessa in un tempo breve: di norma, i primi tre anni di vita. In seguito il linguaggio si specializza e si consolida fino all’inizio dell’età scolare, che vede un altro progresso importante: la conquista della lingua scritta. I bambini imparano lingue diverse a seconda della cultura in cui crescono: con il termine linguaggio ci si riferisce agli aspetti comuni alle diverse lingue. Per imparare ad utilizzare efficacemente il linguaggio, il bambino deve:  analizzare i suoni linguistici che ascolta, per identificarne le unità costituenti (fonemi, morfemi, parole e frasi)  padroneggiare i pattern articolatori necessari a produrre i suoni della propria lingua madre  acquisire e ampliare un vocabolario con voci lessicali e relativi significati  padroneggiare le regole morfologiche e sintattiche per combinare le parole in frasi grammaticalmente corrette  imparare a conversare utilizzando le diverse funzioni del linguaggio in base al contesto e all’interlocutore. Lo sviluppo del linguaggio è solo un aspetto della capacità comunicativa, ma speciale, perché caratterizzato da due proprietà uniche: la creatività (= la possibilità di produrre innumerevoli messaggi combinando tra loro un numero limitato di unità-base, cioè fonemi e parole) e l’arbitrarietà (= la relazione tra suoni e significati è arbitraria: non potendo ricavare il significato dal suono è necessario apprendere e trasmettere i significati da una generazione all’altra). 5.2 Le più importanti teorie sull’acquisizione del linguaggio Esse hanno cercato di rispondere a tre quesiti fondamentali: 1) qual è il peso della componente innata e di quella appresa? 2) quali rapporti ha il linguaggio con le capacità cognitive e sociali dell’individuo? 3) quale relazione, se c’è, tra linguaggio e comunicazione? Tre le principali teorie:  La teoria innatista  La teoria interazionista  Gli approcci funzionalisti 44 5.2.1 La spiegazione innatista (Anni ’60) Noam Chomsky (1965) ipotizza l’esistenza di un dispositivo innato per l’acquisizione del linguaggio (LAD – Language Acquisition Device), un programma biologico per imparare a parlare, una sorta di grammatica universale (GU) contenente la descrizione degli aspetti strutturali condivisi da tutte le lingue naturali. L’acquisizione del linguaggio non consiste dunque nell’imitazione degli adulti, ma è un processo attivo di scoperta di regole e di verifica di ipotesi. Le ipotesi di partenza sono in numero limitato e già presenti nel LAD: questo spiega la rapidità con cui si impara a parlare e il fatto che le tappe dello sviluppo linguistico siano le stesse in tutte le culture e le classi sociali. Chomsky (1959) critica violentemente la posizione comportamentista di Skinner, secondo il quale sono fondamentali l’apprendimento per imitazione e l’insegnamento degli adulti: Infatti: il bambino è creativo nell’ il bambino produce un linguaggio usare il linguaggio, cioè è in più ricco di quello a cui è stato esposto grado di capire e produrre espressioni nuove Critiche: sotto accusa tre diversi aspetti della teoria:  considerare il linguaggio indipendente sia dall’intelligenza che dalla capacità comunicativa;  affermare che la competenza linguistica precede l’esecuzione (= il bambino possiede le regole prima di saperle usare)  ritenere irrilevanti i discorsi che il bambino ascolta nel suo ambiente. Anni ’70: va in crisi l’idea che il linguaggio si sviluppi indipendentemente dalle capacità cognitive e sociali. 5.2.2 La spiegazione interazionista (= il linguaggio in relazione alle capacità cognitive) Si ritiene che i bambini debbano sviluppare una sufficiente conoscenza del mondo prima di cominciare a parlare e che tale conoscenza consentirà loro di esprimere verbalmente concetti e relazioni: quindi, che la sintassi e la semantica derivino da altre forme di conoscenza. L’ipotesi cognitiva riprende le ipotesi di Piaget (1945) sui rapporti tra linguaggio e pensiero: il linguaggio è un aspetto della capacità simbolica (sesto stadio sensomotorio) e segna il passaggio dall’intelligenza sensoriale a quella rappresentativa. Sempre in quest’epoca (circa 18 mesi) i bambini acquisiscono altre capacità simboliche, come imitare e giocare a fare finta. Lo sviluppo cognitivo precede la comparsa del linguaggio e ne è l’origine. Piaget è in contrasto con Chomsky in quanto sostiene che l’esecuzione viene prima della competenza, cioè che il bambino impara facendo, agendo sulla realtà. 45 5.2.3 Gli approcci funzionalisti (= il linguaggio in relazione alle capacità sociali) Si parla di competenza comunicativa e non di competenza linguistica (Chomsky), ipotizzando che tra la comunicazione prelinguistica del bambino (vocalizzi, gesti) e lo sviluppo del linguaggio vi sia una relazione di continuità. Le prime espressioni verbali dei bambini sono “atti linguistici” (Austin e Searle), cioè frasi in cui il contenuto e il significato non coincidono (ad es. “Mamma calze”, nelle intenzioni di un bambino piccolo, può voler dire sia “le calze di mamma” che “mamma mette le calze”): diventa allora importante la relazione tra linguaggio e contesto sociale nelle prime fasi di sviluppo. Due le conseguenze pratiche: Si scopre che il linguaggio L’interazione precoce tra il che gli adulti usano con i bambino e la persona che lo bambini è adatto alle loro accudisce diviene una capacità limitate: matrice di significati e segnali frasi brevi, convenzionali, lessico concreto, che il bambino utilizzerà frequenti ripetizioni, per costruire il codice linguistico intonazione esagerata. e per comprenderlo adeguatamente nel contesto Favorisce l’apprendimento sociale. della lingua materna. Bruner (1983) definisce formati di “attenzione condivisa” e di “azione condivisa” le sequenze sociali più significative per imparare ad esprimere le proprie intenzioni e quelle altrui: sono formati di gioco o routine che madre e bambino producono ripetutamente nell’interazione quotidiana. Egli si ispira alla teoria dello sviluppo cognitivo e linguistico di Vygotskij e critica la posizione di Piaget sul ruolo marginale dell’esperienza sociale nell’apprendimento. Secondo Bruner, si può ipotizzare che oltre al LAD (il dispositivo innato per l’acquisizione del linguaggio di Chomsky) debba esistere anche un LASS (Language Acquisition Support System), un sistema di supporto per l’acquisizione del linguaggio, corrispondente al ruolo dell’adulto e del contesto sociale nell’accompagnare il bambino nel mondo del linguaggio. Il periodo critico per imparare la lingua materna è considerato quello tra i due anni e la pubertà: non potendo realizzare esperimenti al riguardo, si sono analizzati casi di “ragazzi selvaggi”, che hanno dimostrato come sia possibile apprendere a parlare anche dopo quest’epoca, raggiungendo però la competenza linguistica di un bambino di 3-4 anni. 5.3 La fase prelinguistica (dalla nascita ai 9-10 mesi) I primi suoni prodotti dal neonato sono di natura vegetativa (sbadigli, ruttini, ecc.) o compaiono legati al pianto, che svolge un importante ruolo nel regolare l’interazione tra il bambino e gli adulti che lo allevano. Wolff (1969) ha individuato diversi tipi di pianto: di fame, di dolore, di “irritazione” (esso compare verso la terza settimana ed esprime il desiderio di attenzione del neonato: si placa solo se qualcuno interviene a intrattenere il bambino). Gradualmente, le cause del pianto e i mezzi capaci di inibirlo acquistano una natura sociale o psicologica. 46 2-6 mesi 6-7 mesi 10-12 mesi Vocalizzazioni non di pianto Lallazione canonica Lallazione variata Il bambino produce sequenze Si osservano delle Il bambino produce sequenze sillabiche complesse (“bada”, “protoconversazioni” in cui il ripetute di sillabe consonante- “dadu”), o proto-parole (tata, bambino risponde vocalizzando vocale (es.:”dadada”): in questa papa) che assumono un all’adulto che gli parla. fase compare la prosodia della significato speciale quando lingua materna e la scelta delle sono utilizzate in determinati sillabe si concentra sui suoni contesti abituali. della lingua madre (30 x Da questo momento lo sviluppo l’italiano) fonologico interagisce con quello lessicale e grammaticale 5.3.2 Gesti comunicativi (9-12 mesi) A questa età il bambino comincia ad utilizzare gesti performativi o deittici (indicare, offrire, mostrare), che esprimono un’intenzione comunicativa e si riferiscono ad un oggetto/evento esterno facilmente individuabile. Non sono azioni che permettano di raggiungere un obiettivo, ma comunicano ad altri tale obiettivo, e sono solitamente accompagnati dallo sguardo al destinatario del gesto. (Ad es.: indicare per chiedere all’adulto un giocattolo) Di solito sono distali, cioè prodotti a distanza, e non implicano contatti col destinatario. Vengono usati per:  chiedere l’aiuto dell’adulto (richiesta)  attirare l’attenzione dell’adulto e condividere con lui l’interesse per un oggetto o evento esterno (dichiarazione) A partire dagli 11-12 mesi compaiono: i gesti referenziali o rappresentativi, le prime parole, anch’esse inizialmente appresi per imitazione all’interno di routine legate a contesti molto specifici. sociali o giochi. Oltre ad esprimere Quando il linguaggio verbale si consolida e il un’intenzione comunicativa, rappresentano vocabolario raggiunge le 50 parole, l’uso dei un referente specifico, dato che il loro gesti referenziali diminuisce fino a significato non varia secondo il contesto (fare scomparire. “ciao” con la mano, scuotere la testa per “no”, agitare le mani per significare “uccello”, ecc.). Sono schemi gestuali tipici del primo sviluppo linguistico, che consentono al bambino di comunicare quando ancora non padroneggia l’uso delle parole. 47 Exp. di Volterra e collaboratori (1993) su 23 bambini: a 12 mesi  uso di gesti referenziali a 16 mesi  gesti e parole in uguale numero in seguito  progress. decremento dei gesti ed aumento dell’uso delle parole 5.4 Le prime parole (dagli 11 ai 13 mesi) Le prime parole del bambino indicano persone della famiglia, oggetti quotidiani (piccoli e manipolabili, oppure che si muovono), azioni consuete. Inizialmente sono usate in contesti specifici: sono perciò legate a situazioni particolari (es.: chiamare ”mamma” in determinati contesti di necessità = uso non-referenziale delle parole), ma in seguito si assiste ad una progressiva decontestualizzazione, per cui il bambino comprende la relazione tra il suono (la parola) e il suo significato (= uso referenziale delle parole). Lo stesso processo di decontestualizzazione ha luogo nella comprensione del linguaggio, che precede e influenza la produzione verbale: il bambino inizialmente comprende semplici frasi dell’adulto solo in specifici contesti, ed in seguito sarà capace di produrne spontaneamente. La comprensione aumenta rapidamente ed è sempre più avanzata rispetto alla produzione. Studio di Fenson e coll. su 1600 bambini: a 10 mesi a 13 mesi a 16 mesi media delle 58 128 210 parole comprese media delle 3 12 79 parole prodotte 5.4.1 L’esplosione del vocabolario (il 2° anno) Il secondo anno di vita si divide in due fasi:  fase iniziale (12-16 mesi): ampiezza del vocabolario mediamente sulle 50 parole  2a fase (17-24 mesi): il ritmo di apprendimento di nuove parole accelera notevolmente, assumendo la forma di esplosione del vocabolario (da 5 a 40 nuove parole/settimana, 300/600 parole alla fine del 2° anno) Il passaggio dalla prima alla seconda fase ha luogo quando il bambino è in grado di attribuire uno status simbolico alle parole, comprendendo che tutte le cose hanno un nome e che c’è un nome per qualsiasi cosa. 48 Quando il vocabolario del bambino è al di sotto delle 50 parole, si tratta per lo più di nomi (persone, animali e oggetti); oltre le 100 parole la composizione del vocabolario si arricchisce grammaticalmente (verbi, aggettivi, pronomi, articoli, preposizioni), segnando il passaggio dalla referenza alla predicazione, cioè dall’uso delle parole singole alla combinazione di frasi. Critiche: secondo gli studiosi tale esplosione non è una tappa universale: è stata riscontrata specialmente nei bambini di lingua inglese e inoltre può verificarsi in tempi e fasi diverse da bambino a bambino. 5.4.2 L’evoluzione del significato delle parole Il bambino attribuisce al significato delle parole aspetti diversi da quelli che vi associa l’adulto, e commette frequentemente: errori di sovraestensione (inizialm. + frequenti): definisce “cane” ogni animale a 4 zampe errori di sottoestensione (in seguito + frequenti): chiama “bambola” solo la sua errori di sovrapposizione: dice “aprire” anche per accendere la luce Ma in che modo il bambino attribuisce il significato di una parola ad una categoria? Diverse teorie: Ipotesi del Clark 1973 Nelson 1974 Barrett 1989 nucleo funzionale (Katherine Nelson) sulla base delle sulla base delle inizialmente dipende dai casi: somiglianze somiglianze sulla base delle alcune parole percettive e funzionali somiglianze nascono legate al formali funzionali, ma in contesto, altre seguito vengono “decontestualizzate”, aggiunti a questo cioè usate in modo nucleo funzionale gli flessibile in diversi attributi percettivi contesti una palla sarà una palla sarà definita in base alla qualcosa che sua forma sferica rimbalza e rotola Il bambino impara inizialmente nomi categorizzabili ad un livello-base di generalità (es.: fiore), e soltanto in seguito apprende nomi più specifici (categorie subordinate: rosa, tulipano) o nomi più generali e astratti (categorie sovraordinate: piante, per indicare sia fiori che alberi). Ciò dipende spesso dalla consuetudine degli adulti di semplificare i concetti parlando con i piccoli. L’evoluzione del linguaggio infantile tende verso la progressiva convenzionalizzazione nell’uso delle categorie concettuali, cioè tende ad avvicinarsi al modello adulto. Già tra i 6 e gli 8 anni il bambino sa utilizzare termini sovraordinati e descrivere oggetti in modo complesso tenendo conto di diversi aspetti percettivi e funzionali: si avvia ad una conoscenza più astratta e condivisa della realtà. 5.5 Lo sviluppo della grammatica (dalla fine del 2° anno ai 9 – 10 anni) 49 Tale sviluppo si distingue in due componenti: 1. la morfologia (le regole che guidano la formazione delle parole: suffissi e prefissi per formare femminile/maschile, singolare/plurale, coniugazione dei verbi, ecc.) 2. la sintassi (le regole che guidano la formazione delle frasi: l’ordine delle parole, ecc.) Per entrambe le componenti lo sviluppo inizia alla fine del 2° anno e procede fino ai 9-10 anni. 5.5.1 Dalle prime frasi al linguaggio complesso In media i bambini producono le prime combinazioni di parole a 20 mesi di età. La precocità o il ritardo con cui ciò avviene non dipende dall’età cronologica, ma dall’ampiezza del vocabolario, che deve superare le 50 parole. Quali regole nella grammatica del primo linguaggio infantile? Secondo gli studiosi che si ispirano a Chomsky sono regole universali valide per tutte le lingue: infatti i bambini usano ipercorrettismi (“leggiato”, “romputo”) che non hanno mai sentito in precedenza. Secondo altri (Brown e Fraser 1964) le parole utilizzate dai bambini in questo periodo si distinguono in due classi: la classe perno, piccolo gruppo di parole di uso frequente, poste regolarmente all’inizio della frase la classe aperta, tutte le altre parole Critiche: nelle lingue diverse dall’inglese non sono state trovate conferme della presenza di queste classi. Inoltre, questa teoria considera solo la struttura sintattica del linguaggio, dimenticando la dimensione semantica (= il significato che i bambini vogliono esprimere). In Italia Antinucci e Parisi (1973) hanno individuato due stadi di sviluppo: nel primo stadio i bambini producono espressioni di due o più parole che contengono la struttura nucleare minima: un predicato verbale con i suoi argomenti (soggetto dell’azione, oggetto dell’azione, altri complementi) e l’intenzione della frase (richiesta, commento, ecc.). Spesso i bambini in questo stadio non riescono a verbalizzare tutti gli argomenti del predicato, per cui ne esprimono soltanto uno, lasciando gli altri sottintesi (es.: dà mamma = la bambina chiede una palla, ma esprime solo un argomento del predicato) nel secondo stadio, alla struttura nucleare minima vengono aggiunte le strutture facoltative: inizialmente avverbi e frasi secondarie implicite, dal terzo anno anche pronomi, aggettivi e frasi secondarie esplicite. Tali strutture vengono acquisite più o meno alla stessa età da tutti i bambini, ma negli anni successivi le utilizzeranno con maggiore o minore complessità a seconda dell’ambiente socioeconomico di provenienza. 50 Per valutare la crescente complessità morfosintattica delle espressioni infantili, si usa la lunghezza media dell’enunciato (LME, Roger Brown 1973), basata sul numero degli elementi che compongono la frase. Per i bambini di lingua inglese la LME si ricava sommando il numero dei morfemi, per i bambini italiani si considera il numero delle parole per enunciato (LMEp). Questo strumento, tuttavia, è adatto per analizzare lo sviluppo linguistico dei primi soli tre anni di vita. 5.5.2 Lo sviluppo morfosintattico (bambini di lingua italiana ~ dai 2-3 anni) Ogni lingua madre pone al bambino problemi differenti: egli acquisirà per primi gli aspetti morfosintattici più chiari e salienti, tardando ad imparare le forme linguistiche più ambigue. La lingua italiana è flessiva, cioè una lingua in cui il ruolo del nome nella frase è evidenziato da un complesso sistema di accordo con articolo, aggettivi e –soprattutto- verbo. L’accordo verbo-nome è l’informazione morfosintattica più rilevante nella comprensione delle frasi italiane. I bambini italiani utilizzano tale accordo entro i tre anni di età, così come buona parte della morfologia verbale (forme al singolare dei verbi, le forme plurali tardano di più); ma pur possedendo tali informazioni morfologiche, sapranno utilizzarle pienamente solo tra i 7 e i 9 anni. La morfologia nominale (forme del genere = femm/masch e forme del numero = sing/plur) è acquisita intorno ai tre anni; il sistema degli articoli a quest’età è ancora incompleto (particolarmente difficile l’acquisizione degli articoli il e gli). La morfologia pronominale è invece acquisita entro i 3-4 anni: per primi vengono usati i pronomi io/tu, me/te. Soltanto a 6-7 anni i bambini padroneggiano gli “accordi a lunga distanza” nell’intera frase. Secondo alcuni autori (Karmiloff-Smith 1979) tra i 4 e i 6 anni si verifica una riorganizzazione del sistema linguistico con il passaggio da una grammatica intrafrasale a quella interfrasale: il bambino utilizza le regole applicate all’interno della frase per collegare le frasi tra loro e ottenere la coesione del discorso. Fondamentale, in questa momento, l’ingresso nella scuola. 5.6 /5.6.1 Le differenze individuali nello sviluppo del linguaggio Ogni bambino, pur condividendo le stesse tappe evolutive degli altri, impara con un ritmo diverso ed utilizza strategie differenti. Ad esempio, l’età di comparsa delle prime parole (mediamente tra gli 11 e i 13 mesi) può essere molto precoce (8 mesi) o ritardare fino ai 18 mesi. 5.6.2 Differenze nello stile (gli stili di acquisizione) Katherine Nelson (1973) ha distinto due diversi stili di acquisizione del linguaggio:  lo stile referenziale, caratterizzato da una produzione maggiore di nomi (oltre il 50% delle parole) e dalla rapidità dello sviluppo lessicale (vocabolario)  lo stile espressivo, caratterizzato dalla predominanza di pronomi, nomi propri e formule di interazione sociale (“va via”, “non si tocca”, ecc.) e dalla rapidità dello sviluppo sintattico (formazione delle frasi) Oggi questi due stili vengono caratterizzati non solo come referenziale-espressivo, ma anche nominale-pronominale o analitico-olistico. Secondo quest’ultima proposta (Peters 1977) il bambino impara a parlare ricorrendo a due diversi approcci, entrambi presenti: 51 uno analitico, che gli permette di segmentare il linguaggio nelle sue unità minime, le parole; e uno olistico, che gli permette di usare unità linguistiche più ampie (le frasi) senza averle analizzate. I bambini differiscono a seconda del grado in cui ricorrono all’uno o all’altro. Gli autori hanno osservato che gli stili di acquisizione sono correlati rispettivamente a stili cognitivi (Nelson 1986), a variabili sociali (McCabe 1989) e a particolari caratteristiche dell’interazione tra madre e bambino (Furrow e Nelson 1984):  i bambini referenziali sono più interessati agli oggetti, tendono ad essere più riflessivi, hanno una buona articolazione linguistica; inoltre sono più frequentemente primogeniti, di sesso femminile e di livello socioeconomico alto. Le loro madri tendono a fare commenti sugli oggetti e a nominarli.  i bambini espressivi sono più interessati alle relazioni sociali, parlano per esprimere i propri sentimenti, tendono ad essere più impulsivi, hanno scarsa articolazione linguistica; inoltre sono più frequentemente di sesso maschile, non primogeniti, di livello socioeconomico basso. Le loro madri preferiscono coinvolgere i figli in giochi e routine, privilegiando le interazioni. L’iniziale prevalenza dei nomi nel primo linguaggio infantile non è una caratteristica universale, ma dipende dalla lingua considerata: in quella coreana e cinese, ad esempio, la prevalenza è dei verbi. Quali stili di acquisizione utilizzano i bambini italiani? Secondo Camaioni e Longobardi (1995), che hanno esaminato bambini di 16 e 20 mesi, solo il 17% di essi utilizza uno stile specifico, referenziale o espressivo: l’83% acquisisce un lessico bilanciato. 5.7 Gli usi del linguaggio Non è sufficiente che il bambino acquisisca le regole sintattiche e semantiche della propria lingua: deve anche utilizzarle adeguatamente nel contesto sociale. E’ la competenza pragmatica, che include: la capacità di conversare la capacità di tener conto del punto di vista e dei bisogni comunicativi altrui 5.7.1 Imparare a conversare I bambini imparano rapidamente a conversare, utilizzando l’intonazione adeguata e un numero ristretto di frasi fatte. Le madri li aiutano a sviluppare queste capacità, conversando fin dall’inizio con loro in modo proporzionato alle loro capacità: nel dialogo prendono spunto dagli interessi del bambino. La madre preferisce rivolgersi al bambino di due anni utilizzando richieste implicite (“penso che ci laveremo le mani”) piuttosto che ordini (“lavati le mani!”). 52 Già a 4 anni, il piccolo sa adattare il proprio stile conversazionale in funzione dell’interlocutore, a seconda che si tratti di un adulto, di un coetaneo o di un bimbo di 2 anni: Exp. di Shatz e Gelman (1973): a 4 anni, per parlare ai più piccoli  frasi brevi e semplici espressioni che catturano l’attenzione ordini espliciti Exp. di Camaioni, 1980 Exp. di Pellegrino Morra et al., (coppie di bambini coetanei e non, 1987 (dialoghi a 3-5 anni, nido e durante il gioco): materna) al nido, con i coetanei: i grandi rivolgono ai piccoli richieste in forma di comando soprattutto espressioni di possesso dimostrazioni e disconferme (= richieste di conferma giudizi di negatività su azioni o conversazione incentrata sulle attività risposte) in corso.  atteggiamento di controllo e di poca alla materna, con i coetanei: disponibilità, che cambia se è un richieste più cortesi adulto a chiederlo molte richieste di informazione dialogo che comprende eventi passati e futuri mentre tra coetanei prevalgono la 5.7.2 Imparare a comunicare efficacemente Piaget riteneva che fino a 7 anni il bambino è incapace di considerare il punto di vista dell’interlocutore: nella produzione verbale spontanea dai 2 ai 7 anni il linguaggio egocentrico è presente per il 40-70%. Ma come abbiamo visto, già a 3-5 anni il bambino è in grado di comunicare in modo differenziato a seconda che parli con adulti o coetanei, dunque è assai più consapevole delle caratteristiche e dei bisogni dell’interlocutore di quanto ritenesse Piaget. La comunicazione, tuttavia, è più efficace quando il compito richiesto è semplice: se si chiede a bambini di 5-8 anni di descrivere verbalmente una serie di figure insolite, perché un coetaneo possa identificarle in mezzo ad altre, si ottengono descrizioni insufficienti e ambigue. La riuscita della comunicazione dipende da molti fattori, tra cui la capacità di comprendere quando i messaggi sono ambigui, quella di comprendere che i messaggi ambigui non possono condurre a scelte adeguate, quella di chiedere ulteriori informazioni per risolvere le proprie incertezze, operazioni che i bambini svolgono difficilmente: tendono a prendere per buoni i messaggi ambigui piuttosto che chiedere altre indicazioni, e anche di fronte al fallimento comunicativo tendono a scusare il parlante, perché non sanno riconoscere che la fonte del problema è il messaggio. Ciò può dipendere anche dal fatto che nelle 53 conversazioni in famiglia i bambini raramente ricevono informazioni esplicite sul successo o il fallimento dei propri messaggi. Fino circa a 8 anni i bambini hanno prestazioni scarse nei compiti di comunicazione referenziale, vale a dire che producono messaggi raramente informativi e per lo più ambigui. L’informatività dei messaggi varia in funzione della semplicità/complessità dei referenti da descrivere. 5.8 La consapevolezza metalinguistica Le forme del linguaggio sono trasparenti, poiché ci fanno guardare –al di là di esse- ai significati che trasmettono: diventano opache quando il linguaggio non viene utilizzato per comunicare, ma diviene oggetto di analisi (= consapevolezza metalinguistica). Come acquisisce il bambino la consapevolezza metalinguistica? Già a 2 anni e mezzo il bambino utilizza il linguaggio anche per giocare, cioè in assenza di intenzioni comunicative (Weir, 1962): in questo caso egli si concentra sulla forma, trascurando il contenuto. Quando deve occuparsi contemporaneamente sia di forma che di contenuto, in età prescolare, si trova in difficoltà. Fino a 5-6 anni il bambino privilegia quel che si vuol dire (significato intenzionale), sottovalutando ciò che si dice effettivamente (significato letterale). Inoltre, prima dell’ingresso nella scuola ha difficoltà a comprendere il significato dei termini che appartengono al metalinguaggio:  verbi che esprimono stati mentali (es. sapere, credere, immaginare, dubitare)  verbi che si riferiscono a diversi atti linguistici (es.pregare, maledire, promettere)  termini che definiscono le parti del codice linguistico (es. parola frase, sillaba, lettera) 5.8.1 L’apprendimento della lingua scritta I bambini che possiedono un’alta consapevolezza metalinguistica imparano più rapidamente la lettura. Imparare a leggere e a scrivere è un processo conoscitivo (Ferreiro e Teberosky 1979) in cui il bambino fa delle ipotesi che vengono vagliate ed eventualmente abbandonate, fino all’acquisizione delle regole del sistema convenzionale adulto. Le sue fasi sono 4: 54 5.9 Conclusioni In sintesi, nei primi 3 anni di vita il bambino impara a parlare, padroneggiando la competenza sintattica e semantica di base. Ma come abbiamo visto, importanti cambiamenti si verificano dai 5 anni in avanti, proseguendo fino all’adolescenza: l’uso di regole morfosintattiche via via più complesse il passaggio dalla grammatica intrafrasale a quella interfrasale la capacità di individuare e risolvere l’ambiguità dei messaggi la capacità di riflettere sul linguaggio (consapevolezza metalinguistica) l’apprendimento della lettura e della scrittura. Capitolo VI LO SVILUPPO SOCIALE 6.1 L’ambito di studio Il bambino vive immerso nelle relazioni sociali, fin dalla nascita a contatto con gli altri: il mondo delle interazioni che lo circondano è strettamente connesso ai processi che guidano il suo sviluppo sociale. Questo termine ha soppiantato quello di “socializzazione”, che implicava la concezione del bambino come una tabula rasa da plasmare attraverso le pratiche educative. Il termine sviluppo sociale evidenzia che il neonato è un essere sociale fin dal principio, che diventa sempre più consapevole grazie a processi bidirezionali di interazione: l’adulto, perduta la funzione di modellatore, diviene il mediatore o l’interlocutore che aiuta il piccolo a organizzare competenze e capacità; il bambino, d’altro canto, è considerato dotato di predisposizioni, i prerequisiti biologici, e di proprie risorse ( processi mentali specifici, capacità affettive e comportamenti socialmente espressivi con cui influenza l’adulto). fase presillabica il bambino non differenzia la scrittura dal disegno e ritiene che entrambi rappresentino un significato. Si aspetta che la scrittura conservi alcune proprietà dell’oggetto che rappresenta (il segno per “treno” dovrà essere più lungo del segno per “automobile”) il bambino impara che il segno scritto non esprime un fase sillabica oggetto ma un suono (il nome dell’oggetto) e formula l’ipotesi sillabica, secondo cui la parola scritta ha parti che corrispondono alle sillabe del parlato fase sillabico- alfabetica il bambino dovrà imparare a riconoscere acusticamente fase alfabetica anche le lettere e non solo le sillabe Tali relazioni sono la base per lo sviluppo del sé. 55 6.2 Comprensione di sé e degli altri Per diventare competente sul piano sociale il bambino deve sviluppare la conoscenza di sé e quella degli altri: queste conoscenze procedono parallele, perché man mano che il bambino impara a riconoscere le emozioni e i sentimenti degli altri, riesce anche a capire se stesso, e viceversa. Mentre è difficile stabilire se compaia prima la conoscenza di sé o quella degli altri, è certo che la comprensione sociale nasce nel momento in cui il bambino sviluppa la distinzione tra sé e gli altri. 6.2.1 La coscienza di sé All’inizio della vita il bambino non ha una consapevolezza emotiva e cognitiva di sé e degli altri: essa nascerà nelle interazioni affettive ed evolverà nel tempo. Lewis e colleghi distinguono: Sé esistenziale (= componente implicita del sé che organizza l’esperienza) si sviluppa gradualmente nel primo anno di vita  a 3 mesi il bambino comincia a distinguere se stesso dagli altri, a 9 mesi percepisce il senso della propria continuità. Altri autori lo definiscono consapevolezza primaria, essenzialmente fisica e interpersonale. Sé categorico (= componente esplicita del sé che deriva dall’autoconsapevolezza) la sua comparsa intorno ai 2 anni coincide con l’autoriconoscimento e con la capacità di utilizzare semplici categorie (sesso, età, aspetto fisico) per identificarsi.  consapevolezza secondaria, rappresentativa e riflessiva Quando avviene il passaggio dal Sé esistenziale al Sé categorico? Si ritiene che esso sia segnalato dall’uso di termini verbali (es.: me, tu, noi, nomi propri) con i quali il bambino distingue esplicitamente se stesso dagli altri, ma non si può escludere una conoscenza di sé preverbale, espressa dal comportamento: in questo senso, è considerato un buon indicatore l’autoriconoscimento allo specchio. Per riconoscere la propria immagine riflessa nello specchio, il bambino deve aver sviluppato competenze mentali complesse e simboliche: deve percepire la propria immagine fisica, riconoscendola stabile nel tempo. Ciò è possibile intorno ai 12-18 mesi. Exp. Lewis e Brooks-Gunn: applicata una macchia rossa sul naso del bambino senza che se ne accorga, si controlla come reagisce alla sua immagine allo specchio. Se si tocca il naso e cerca di cancellare la macchia 56 significa che è consapevole che il viso riflesso è il suo e che la macchia altera lo schema del suo volto mentalmente rappresentato. Risultati: a 9-12 mesi i bambini si osservano soltanto a 15-18 mesi il 19% - 25% dei bimbi si tocca il naso cercando di ripulirlo a 21-24 mesi lo fanno quasi tutti i bambini Concludendo, la consapevolezza di sé compare intorno ai 15 mesi ed è acquisita dalla gran parte dei bambini intorno al 2° anno di vita; è legata alla percezione stabile della propria identità fisica. 6.2.2 La coscienza degli altri Come si può seguire il processo di comprensione degli altri nel bambino? Attraverso indicazioni indirette: Familiarità il riconoscimento dell’estraneo come diverso da sé e dalle persone familiari (6-8 mesi di età) Nella sua teoria dell’attaccamento, Bowlby sostiene che la paura dell’estraneo nasce dall’attivarsi di un segnale di pericolo e spinge ad avvicinarsi alla madre per cercare protezione. Critiche: le reazioni agli estranei non sono sempre caratterizzate da evitamento o paura. Numerosi studi hanno dimostrato che i bambini reagiscono diversamente a seconda delle circostanze (presenza o assenza della madre) e delle caratteristiche dell’estraneo (aspetto fisico, altezza, qualità vocali, modi più o meno bruschi). Secondo Lewis e Brooks i bambini utilizzano gli schemi di conoscenza relativi al Sé per comprendere gli altri: Exp. I bambini di 7 mesi vengono posti di fronte a tre estranei: un bambino, un adulto e un nano. Mostrano interesse e affetto verso il bambino, disagio verso l’adulto e risposte più confuse verso il nano. Gli autori ipotizzano che il bambino, nell’organizzare la propria risposta, valuti gli altri come “simile a me” o “non simile a me”. Comparsa di altri indicatori la conoscenza degli altri richiede l’elaborazione di una immagine mentale che comprenda: 1. la stabilità spazio-temporale di oggetti e persone 2. la comprensione delle emozioni 3. la consapevolezza del punto di vista altrui Osservando l’epoca di comparsa degli indicatori di questi processi, si può seguire lo sviluppo della coscienza degli altri nel bambino: 57 1. Il bambino deve percepire che oggetti e persone sono stabili nel tempo e nello spazio: ciò gli permette di identificarli, riconoscerli e cercarli quando non siano percettivamente presenti (periodo sensomotorio, 12-18 mesi) 2. Intorno ai 18 mesi compaiono le emozioni sociali, indicatrici della coscienza di sè: colpa, vergogna e imbarazzo. Sono espressioni emotive che nascono dalla socializzazione e dall’educazione, e presuppongono la valutazione di sé, degli altri e delle aspettative sociali. Per sentirsi in colpa il bambino deve saper valutare il proprio comportamento in base alle norme poste dall’adulto; la vergogna non è relativa al comportamento, ma al sé nella sua totalità: nasce dal giudizio negativo altrui e dalla percezione di un sé difettoso o mortificato, visto con gli occhi degli altri. 3. Grazie allo sviluppo cognitivo, il bambino diventa anche in grado di rappresentarsi il punto di vista attraverso cui gli altri vedono e sentono la realtà. Gli studi più attuali hanno ridimensionato la tesi di Piaget secondo cui fino a 5-6 anni il bambino è guidato da un pensiero egocentrico, incapace di considerare punti di vista diversi dal proprio. Mentre a 2 anni il bambino sa riferirsi agli altri descrivendone le caratteristiche fisiche e i comportamenti, a 3 anni riesce anche a identificarne i sentimenti e gli stati d’animo, utilizzando anche termini come piacere, dolore, ecc. 6.2.3 Evoluzione del concetto di sé e degli altri Le elaborazioni sul sé e sugli altri sono aspetti dinamici, soggetti a continue ristrutturazioni. Tra le componenti più rilevanti:  il senso della identità personale  Dopo la prima infanzia è caratterizzato dall’acquisizione di spirito d’iniziativa, autonomia, industriosità e superamento del senso di inferiorità. Il bambino teme il giudizio degli altri, è sensibile alle opinioni degli adulti; nei giochi tende ad impersonarli, imparando a padroneggiare i diversi ruoli. Verso i 7-8 anni compare il gioco con regole, o gioco sociale, che segnala l’attenzione alle norme.  le dinamiche affettive  Secondo la teoria dell’attaccamento, la relazione primaria con la figura di attaccamento influenza negli anni successivi la percezione del mondo, dell’esperienza e delle persone: dunque, anche la capacità di monitoraggio metacognitivo, cioè la consapevolezza dei meccanismi di pensiero e l’abilità di immaginare stati mentali in se stessi e negli altri. Se il bambino ha costruito un’immagine di sé e degli altri caratterizzata da insicurezza e se le circostanze ambientali restano sfavorevoli, le idee su di sé e sugli altri saranno dominate da sfiducia, incertezza e tendenza ad interpretare in modo negativo i segnali provenienti dagli altri e dall’ambiente. L’esigenza di essere accettati è fortemente sentita nell’infanzia, la percezione di sé come indegno di ricevere stima e affetto rende vulnerabili 58  il role-taking come capacità di distinguere sé dagli altri  Selman ha individuato diversi stadi nello sviluppo delle abilità di role-taking (= capacità di cogliere il punto di vista dell’altro). Dopo uno stadio O egocentrico che si protrae fino ai 5 anni, il bambino di 6-8 anni (stadio 1 oggettivo) comprende la soggettività degli altri ma non sa ancora mettere in relazione i vari punti di vista; dovrà prima imparare a riflettere sul proprio comportamento, cogliendo i diversi punti di vista (stadio 2 auto-riflessivo, 9 anni) e solo negli ultimi due stadi (3 reciproco, 11 anni; 4 sociale e convenzionale, 12 anni e mezzo) sarà capace di differenziare le diverse prospettive individuali e di gruppo.  la nascita dell’autostima  L’esigenza di essere accettati è fortemente sentita nell’infanzia e rende vulnerabili al giudizio degli altri, specie degli adulti: esso ha forti ripercussioni sull’immagine di sé. L’autostima del bambino nasce congiuntamente dalla coscienza delle proprie competenze e dalle opinioni degli adulti. I questionari sull’autostima (più noto quello di Harter) sono utili a partire dagli 8 anni, età in cui il bambino è in grado di autovalutare le sue qualità e capacità personali.  le descrizioni verbali  Attraverso le descrizioni verbali di sé e degli altri utilizzate dai bambini, si può seguire il loro sviluppo cognitivo: Fino a 6-7 anni il bambino si riferisce alle caratteristiche fisiche ed esteriori, specie comportamentali, di se stesso e degli altri; dai 7 anni considera le caratteristiche interiori, personali e psicologiche; nell’adolescenza procede alla revisione della propria identità, spinto dalle trasformazioni puberali e da una diversa consapevolezza della dimensione temporale, che proietta la sua immagine nel futuro. 6.2.4 Identità e tipizzazione sessuale Una delle più evidenti categorie per distinguere gli individui è quella relativa al genere sessuale e il bambino impara ad utilizzarla rapidamente. 59 Infatti già a 9 mesi il piccolo capisce che le persone si dividono in maschi e femmine e reagisce in modi diversi a fotografie di sconosciuti in base alle loro differenze sessuali; ad 1 anno presta più attenzione ai coetanei dello stesso sesso. Tale abilità precoce è dovuta al fatto che i bambini identificano inizialmente alcune caratteristiche fisiche simili a sé e alle persone familiari, cominciando a organizzare categorie mentali con cui distinguere tra maschi e femmine. Non c’è ancora un’evidenza sperimentale dell’esistenza di tratti di personalità, strategie cognitive o comportamenti che dipendano dal genere sessuale. Nei decenni passati, ad esempio, alcuni studi sembravano evidenziare nelle bambine competenze linguistiche superiori e punteggi più alti nelle aree della socievolezza, dell’ansia, della paura dell’insuccesso; mentre nei maschietti si riscontravano maggiori competenze spaziali e punteggi superiori nell’aggressività, nell’autostima e nella spinta al successo. Ma si è appurato che gli studi sulle differenze sessuali sono stati fortemente influenzati dagli stereotipi sociali. Le ricerche effettuate in seguito, utilizzando metodologie più rigorose, hanno mostrato che le somiglianze sono decisamente più forti delle differenze. Queste ultime derivano dagli stereotipi sessuali e si manifestano in tre aree: La scelta di giochi e La scelta dei giocattoli compagni I maschi si impegnano in giochi di movimento e I bambini preferiscono con giocattoli giocare con compagni “maschili”, le femmine dello stesso sesso: riproducono mansioni questa separazione femminili e utilizzano comincia a 3 anni e bambole e colori diviene più marcata negli anni successivi Lo stile relazionale I maschi tendono a stabilire interazioni basate su forme di gerarchia e dominanza, le bambine sono più collaborative, sensibili e disposte ad attuare comportamenti prosociali 60 La tipizzazione sessuale è il risultato di diversi fattori di natura: 1) biologica 2) sociale ed educativa 3) cognitiva. 1) Gli studi sulle variabili biologiche evidenziano una certa influenza degli ormoni sessuali maschili nell’incrementare l’attività fisica, però non tale da giustificare le differenze tra bambini e bambine: essa sembra piuttosto dipendere dalle influenze educative. 2) Psicoanalisi e teoria dell’apprendimento sociale attribuiscono un peso fondamentale al ruolo socializzante degli adulti: i modelli che essi trasmettono influenzano l’identità sessuale e l’assunzione del ruolo sessuale dei bambini. La psicoanalisi descrive le fasi dello sviluppo psicosessuale e delinea la tendenza del piccolo ad identificarsi con il genitore dello stesso sesso. La teoria dell’apprendimento sociale (specie Bandura) assegna un ruolo determinante ai meccanismi di imitazione, che derivano dall’esposizione a modelli sociali e dall’osservazione dei comportamenti degli adulti. Fin dalla nascita i bambini e le bambine vengono trattati in modo diverso, incoraggiate le une sul piano verbale, gli altri sul piano fisico ed esplorativo; per di più, anche i modelli trasmessi dai media sono fortemente stereotipati e concorrono a rafforzare le aspettative di genere. 3) Kohlberg vede la tipizzazione sessuale come un processo essenzialmente cognitivo che deriva dalla tendenza infantile a pensare per categorie e che implica l’acquisizione di tre concetti universali (riscontrati in tutte le culture): 61 Intorno ai 3 anni il bambino differenzia le due categorie di appartenenza sociale di maschi e femmine e stabilisce la propria identità di genere. Le chiare preferenze identità di genere orientate sessualmente (verso giochi e attività maschili o femminili) non si spiegano con il meccanismo di identificazione con il genitore, perché a questa età i piccoli si identificano ancora con la madre. Verso i 4 anni il bambino comprende il concetto di stabilità di genere, cioè si rende conto che le differenze sessuali non stabilità di genere cambiano nel tempo e che appartenere ad un genere sessuale significa diventare donna o uomo, madre o padre. A circa 6-7 anni il bambino diventa consapevole che la differenza di genere è una caratteristica biologica immodificabile, congruenza di genere pur variando aspetto esteriore o abbigliamento, e che alle caratteristiche fisiche si accompagnano peculiarità psicologiche e comportamentali. 6.3 Relazioni tra pari Il bambino sperimenta due diverse tipologie di relazione: 62  la relazione sociale asimmetrica con l’adulto (relazione verticale), basata su rispetto ed obbedienza: offre cure e protezione, garantisce apprendimento e sviluppo  la relazione simmetrica con i coetanei (relazione orizzontale), paritaria, basata sulla condivisione e sulla reciprocità: in essa il bambino acquisisce capacità di negoziazione, cooperazione e gestione dei conflitti. Gli autori (cominciando da Piaget) assegnano al confronto con i pari un ruolo importante nello sviluppo, che aumenta progressivamente col crescere dell’età. Già a 2-3 anni i bambini preferiscono interagire con i coetanei e il ruolo dei pari acquista rilevanza nel tempo, fino a diventare (nella preadolescenza e nell’adolescenza) una fonte di vicinanza e sostegno affettivo equivalente a quella degli adulti. Dalle interazioni con i coetanei spesso nascono e si sviluppano le relazioni amicali, i legami più forti, che permettono al bambino di vedere se stesso attraverso gli occhi di un altro, di sperimentare la vera intimità e di promuovere autoconsapevolezza e socializzazione. 6.3.1 Il rapporto con i coetanei Nei primi 2 anni le interazioni tra pari hanno il carattere dell’ unidirezionalità: all’azione del primo bambino non corrisponde l’azione coordinata del secondo. I bambini tendono a fare le stesse cose contemporaneamente (interazione speculare contemporanea) o subito dopo avervi assistito (interazione speculare differita) Tuttavia tra i 2 e i 3 anni cominciano ad affinarsi le competenze sociali del bambino, che passa dall’imitazione speculare all’interazione complementare (alternanza dei turni tra i bambini) e interazione reciproca (ruoli complementari tra i bambini). Infatti nella fase dai 2 ai 4 anni si osserva il passaggio dalle attività parallele (che si svolgono da soli, sebbene vicini fisicamente ai compagni) ai giochi cooperativi (che comportano interazioni di scambio per il raggiungimento di uno scopo comune). Nel periodo prescolare fioriscono le attività di gruppo, favorite sia dalla capacità di comunicare verbalmente desideri e aspettative, che dallo sviluppo di attività simboliche: i gruppi si dividono spontaneamente e rigidamente in base alle differenze di genere (fenomeno della segregazione sessuale). Le eccezioni sono rare: di solito sono le bambine a permettere più facilmentediad Processi un coetaneo maschio accettazione di giocare con loro, anche o rifiuto in attività femminili. Vi svolge un ruolo preminente il comportamento non verbale La segregazione sessuale (Montagner caratterizza  ricerca i rapporti longitudinale tra coetanei su nido, materna, per fino elementari, tutta a 8l’infanzia, anni) specie nelle attività di gioco. Intorno bambini ai 6-7“leader” sono i relazioni anni compaiono anche più popolaritra ed accettati pari caratterizzate da rifiuto ed esclusione ( vedi schema) manifestano precocemente comportamenti rassicuranti (sorriso, leggera inclinazione della testa, gesti di sfioramento) sanno mediare i conflitti intervengono in difesa dei bambini aggrediti bambini “dominanti aggressivi” sono i più rifiutati manifestano comportamenti di minaccia (gesti bruschi e disordinati, instabilità, interventi che disorganizzano le attività altrui, aggressioni fisiche) 63 competenze sociali ridotte e predittive di disadattamento e di futuri comportamenti antisociali Nella preadolescenza e nell’adolescenza le relazioni con i coetanei (specie all’interno di gruppi formali e informali) risentono delle esperienze pregresse, ma sono un importante stimolo al confronto, fonte di sostegno e supporto all’autostima. 6.3.2 Le relazioni amicali La relazione di amicizia è un legame preferenziale selettivo, stabile nel tempo, reciproco e intimo. Si è a lungo pensato che il bambino fosse incapace di stabilirlo, ma adottando metodi di ricerca basati sull’osservazione, si sono osservati precocemente (8-10 mesi) i segni della sua comparsa. Intorno ai 2-3 anni il bambino manifesta già le proprie simpatie e antipatie, sa chiedere e ricambiare l’attenzione, prova piacere nello stare insieme, sa difendere l’esclusività del legame e manifestare interesse per gli stati affettivi dell’altro, è dunque in grado di creare un mondo comune condiviso. Una ricerca longitudinale di Howes su bambini dai 10 ai 42 mesi ha evidenziato che mentre i più piccoli preferiscono un rapporto di amicizia affettivamente pregnante, a 3-4 anni la curiosità per gli altri spinge a stringere un numero più elevato di relazioni. Nei primi anni di vita, le relazioni amicali sono legami affiliativi caratterizzati da affettività, ricerca di prossimità e contatto fisico (baci, carezze, ecc) e reciprocità nella rispondenza ai segnali. Durante l’età prescolare assumono forme diverse, diventando meno esclusive e più flessibili: a partire dai 4-5 anni le interazioni si fanno complesse e si basano sullo scambio verbale più che sul contatto fisico. L’amicizia incrementa la competenza sociale: facilita la cooperazione, aiuta ad appianare le incomprensioni in caso di conflitto e favorisce i comportamenti prosociali in genere. Il bambino indirizza solo agli amici degli specifici pattern comportamentali (condividere, donare, cercare l’intimità) ma è anche in grado di prestare aiuto ai non amici quando la loro necessità e il loro disagio sono evidenti. Tuttavia, quando per aiutare un coetaneo è necessario superare emozioni negative di paura o rabbia, la relazione d’amicizia è una potente spinta che favorisce solidarietà e aiuto, incrementando le risposte empatiche, la prontezza nell’intervento, la ricerca di soluzioni efficaci. Questo non significa che le relazioni tra amici siano esenti da dispute o conflitti. Essi sono funzionali alla relazione in tutte le sue fasi, e rappresentano un’occasione di confronto utile a rafforzare l’identità. Ma gli amici riescono ad appianare le divergenze più rapidamente e meglio; già in età prescolare i bambini sanno mettere in atto efficaci strategie di gestione del conflitto: compromesso, controproposta, giustificazione e riconciliazione (ad es. attraverso il dono di oggetti o l’espressione di affetto). 64 Le coppie di amici mostrano maggiore capacità di collaborare e maggiori competenze sia nelle prove che richiedono abilità mentali sia nei giochi di fantasia nei quali comunicazione e fiducia reciproca siano essenziali; inoltre, ottengono un grado di soddisfazione più intenso. 6.3.2.1 Il concetto di amicizia Le ricerche sulla consapevolezza del concetto di amicizia sono connesse a quelle sulle abilità di role-taking (capacità di cogliere il punto di vista altrui) e sono ancorate alle fasi dello sviluppo cognitivo di Piaget e alla social perspective-taking di Selman. Selman ha intervistato un alto numero di soggetti tra i 3 e i 34 anni, utilizzando dilemmi e domande semistrutturate. Ha così individuato 4 stadi di consapevolezza dell’amicizia, dalla sequenza invariante: è momentanei e e in di di gli amici sono contatto fisico corrispondente allo stadio 0 egocentrico (3-5 anni) Stadio 0 (stadi di role-taking) compagni concepita vicinanza l’amicizia chiave gioco Stadio 1 (6-8 anni) l’amicizia è concepita in termini di aiuto Stadio 3 unilaterale che si pensa (dai 12 anni) di ricevere dall’amico, ritenuto capace di l’amicizia è intesa come intuire i desideri e condivisione soddisfare le aspettative Stadio 2 mutualistica: è una (9-10 anni) relazione solida e duratura caratterizzata emerge una maggiore da intimità, sostegno, consapevolezza della com- prensione e fiducia reciprocità del rapporto reciproca. Perché possa (dare e ricevere); formarsi un legame è l’amicizia è intesa come necessaria compatibilità cooperazione in psicologica e circostanze favorevoli. consuetudine nel tempo. In caso di conflitto Il legame resta stabile l’amicizia rischia di anche in caso di conflitti. rompersi perché il mutuo equilibrio non è 65 consolidato. Secondo altri autori nelle aspettative di amicizia si possono individuare tre stadi:  stadio costi-benefici (7-8 anni) in cui i bambini desiderano svolgere insieme le attività, in vista di un obiettivo comune  stadio normativo (9-10 anni) in cui si condividono valori, regole e sanzioni  stadio empatico (11-12 anni) in cui domina comprensione, apertura e condivisione di interessi. Concludendo, la comprensione dell’amicizia dipende dalla progressiva acquisizione di tre abilità: la capacità di assumere il punto di vista altrui la percezione delle persone come entità psicologiche oltre che fisiche la capacità di sperimentare rapporti sociali duraturi e non incontri occasionali Prima dell’età scolare il bambino non riesce a comprendere le caratteristiche psicologiche dell’amico, né a riflettere sul significato dell’amicizia; successivamente viene compreso il punto di vista altrui e acquista significato la condivisione; nella preadolescenza e adolescenza la comprensione delle specifiche caratteristiche dell’altro fornisce la base per l’instaurarsi di un rapporto solido caratterizzato da fiducia, reciprocità e intimità. 6.4 Lo sviluppo morale Un’importante tappa di sviluppo consiste nell’acquisire i valori su cui si fondano le norme sociali, che consentono di distinguere il bene dal male. L’acquisizione di una norma morale è un processo che comprende tre dimensioni:  la norma assume un significato affettivo-emotivo: le sensazioni morali che derivano dal trasgredire la norma (colpa, vergogna, paura) o dall’aderirvi (orgoglio, soddisfazione, autostima). Secondo la teoria psicoanalitica, il bambino dominato inizialmente dal principio di piacere sviluppa gradualmente la capacità di aderire alla realtà e di controllare le pulsioni. Dalla dinamica della conflittualità edipica nasce il Super-Io, che ha un ruolo di giudice interno: esso fa proprie le norme e i divieti parentali e genera, in caso di trasgressione, stati affettivi di disagio che confluiscono nel senso di colpa. Quanto più è coerente e saldo il Super-Io (coscienza), tanto più forte sarà l’adesione alle norme morali. 66  la norma rappresenta una guida per la condotta, esigendo comportamenti socialmente desiderabili. Della condotta morale si sono occupati i comportamentismi e le teorie dell’apprendimento sociale (Bandura), secondo cui i bambini acquisiscono le regole attraverso l’osservazione e l’imitazione dei modelli familiari e sociali: approvazione o disapprovazione, punizioni o rinforzo, interagiscono con le caratteristiche individuali e determinano il comportamento.  la norma va conosciuta e compresa nei suoi aspetti espliciti ed impliciti. 6.4.1 Il ragionamento morale Secondo Piaget e Kohlberg, ogni azione può essere rilevante se l’individuo la intende in senso morale, e nessuna lo è se tale senso morale manca. La moralità dipende perciò dalla cognizione, che costruisce gli stessi significati morali, discriminando ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Ma il giudizio su un’azione non corrisponde al comportamento effettivo, e i due autori hanno posizioni distinte. 6.4.1.1 Lo sviluppo morale secondo Piaget Piaget ha utilizzato il metodo clinico ponendo a bambini di 6-12 anni alcuni problemi quotidiani su cui dare un giudizio (dire le bugie, assegnare premi e punizioni, ecc.) e attraverso l’osservazione diretta ha studiato il modo in cui i bambini di 4-13 anni affrontano un gioco che presenti delle regole (biglie): da questi studi ha ricavato in quale modo la norma morale viene compresa durante lo sviluppo. 3-4 anni periodo premorale è caratterizzato da assenza di regole. In seguito si svilupperanno due forme distinte di moralità: 4-5 anni / 8-9 anni dopo gli 8 anni realismo morale relativismo morale Il punto di vista è egocentrico, Le regole sono considerate meno le conseguenze pratiche delle azioni rigidamente e concepite come (i danni reali, la responsabilità frutto di accordo, dunque oggettiva) sono valutate più modificabili. importanti delle intenzioni di chi le La morale è autonoma, la compie (responsabilità soggettiva) responsabilità soggettiva La morale è eteronoma, perché la (intenzionalità) diviene rilevante. Le validità della norma dipende: aspettative e il benessere degli altri sono considerati più importanti del  dall’autorità che la sancisce rispetto dell’autorità.  dalla forza con cui viene fatta Si impone la convinzione che rispettare (sanzioni, premi, ecc.) ciascuno abbia diritto alla giustizia. 67 Da ciò, due differenti concezioni della giustizia:   giustizia retributiva giustizia distributiva legata alla morale eteronoma legata alla morale autonoma si fonda sull’idea che esista una si basa sulla necessità proporzione tra meriti e vantaggi, dell’uguaglianza tra individui così come tra trasgressioni e punizioni (es.: la mamma non deve fare (es.: la mamma fa bene a preferire la preferenze tra i figli, il bambino ha figlia buona, se si è sbadati è giusto diritto alla merenda restare senza merenda) malgrado i suoi sbagli Riguardo al concetto di sanzione, Piaget ritiene che si sviluppi secondo tre fasi: fino ai 6-7 anni 7-10 anni dagli 11-12 anni sanzione sanzione per equità espiatoria reciprocità la pena materiale alla trasgressione dal rispetto reci- è secondaria deve seguire una proco  necessità rispetto alla punizione di riparare rottura del legame sociale Lo sviluppo della morale presenta due aspetti ulteriori: PRATICA DELLA REGOLA il bambino imita le regole che riceve dall’esterno, ma nel gioco è solitario I stadio: abitudini motorie III stadio: cooperazione incipiente II stadio: egocentrismo (2-5 anni) (6-11 anni) 68 compare l’agonismo e diventa necessario I livello: la regola viene subita codificare le regole in base a cui definire vincitori e vinti II livello: 3-8 anni la regola è considerata sacra ed inviolabile: IV stadio: codificazione delle regole poiché imposta dagli adulti, è valida (dagli 11 anni) le regole assumono un significato collettivo e III livello: dai 9 anni per cambiarle serve l’accordo di tutti le regole nascono dal consenso collettivo e dunque sono modificabili COSCIENZA DELLA REGOLA 6.4.2 Lo sviluppo morale secondo Kohlberg Kohlberg riprende negli anni ’60 le posizioni di Piaget, in opposizione alle teorie comportamentiste: è infatti convinto che sia il pensiero a guidare la condotta morale. Per le sue ricerche utilizza vari dilemmi in forma di storie: i risultati ottenuti lo portano a delineare una sequenza di sviluppo della coscienza morale costituita da tre livelli di giudizio, ciascuno articolato in due stadi. 6.4.2.1 I livelli di giudizio morale I tre livelli ruotano attorno al concetto di “convenzionale” conformato alle regole e alle aspettative della società. Primo stadio: analogo a quello della morale eteronoma di Piaget: si attribuisce più importanza all’autorità che ha livello I, prima dei 9 emanato le norme che alle intenzioni dell’agente. anni: PRECONVENZIONAL E Secondo stadio: il bene o il male viene individualismo: il bambino giudica utile osservare le giudicato sulla base delle regole quando da esse deriva un vantaggio conseguenze immediato per sé. Ciò prevede il riconoscimento della diversità tra gli individui e origina lo scambio alla pari, l’accordo. Terzo stadio: lo scopo principale è quello di vivere livello II, conformemente alle aspettative della propria preadolescenza/ tarda cerchia sociale, senza deludere gli altri. Le relazioni adolescenza: cominciano a fondarsi su fiducia, rispetto e CONVENZIONALE gratitudine; l’approvazione sociale soddisfa i bisogni valori sociali e rapporti di affetto e appartenenza. interpersonali prevalgono sull’individualismo Quarto stadio: si considera giusto adempiere ai propri impegni, sostenere l’ordine sociale e dare il proprio contributo ai gruppi e alle istituzioni. 69 Quinto stadio: emerge la consapevolezza che le norme sono relative, nate da negoziazione: devono essere rispettate e preservate. livello III: POSTCONVENZIONA LE Sesto stadio: emergono giudizi morali l’individuo comprende che le leggi sono valide solo basati su principi etici se basate su principi universali: in caso di conflitto astratti, condivisi o meno tra norme e principi etici prevalgono questi ultimi, perché l’umanità presente in ogni uomo è un fine e non un mezzo. 6.4.2.2 Validità degli stadi di Kohlberg Le ricerche successive a Kohlberg hanno confermato molti aspetti della sua teoria. E’ emersa la validità della sequenza studiale: il ragionamento preconvenzionale decresce con l’età, mentre aumenta quello convenzionale. I risultati sono analoghi nelle varie culture. 6.4.2.3 Regole morali e convenzionali Oltre alle regole morali, di cui è essenziale l’interiorizzazione (= vanno rispettate per il loro valore intrinseco, non per paura delle punizioni), l’interazione sociale favorisce lo sviluppo delle regole convenzionali (come salutare, come stare a tavola, come comportarsi a scuola, ecc.). Secondo Turiel, già verso i 4 anni il bambino è in grado di distinguere tra morale e convenzione, ritenendo più grave la trasgressione della prima. 70

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