Pedagogia e Scuola PDF

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pedagogia educazione scienze dell'educazione teorie dell'apprendimento

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Questo documento affronta i concetti di pedagogia e scienze dell'educazione. Vengono analizzati diversi approcci all'educazione, dalla pedagogia filosofica alle scienze dell'educazione, con particolare attenzione alle teorie dell'apprendimento e alla ricerca-azione. Sono presentati esempi di studiosi e scuole di pensiero.

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**PEDAGOGIA E SCUOLA** **1- Cosa studia la pedagogia?** Molti studiosi definiscono la pedagogia una *riflessione sull'educazione* e in particolare Laeng la definisce "lo studio dei fatti e dei processi inerenti all'educazione". **1.1- Pedagogia come riflessione filosofica: cenni storici** Solita...

**PEDAGOGIA E SCUOLA** **1- Cosa studia la pedagogia?** Molti studiosi definiscono la pedagogia una *riflessione sull'educazione* e in particolare Laeng la definisce "lo studio dei fatti e dei processi inerenti all'educazione". **1.1- Pedagogia come riflessione filosofica: cenni storici** Solitamente si fa risalire la nascita della pedagogia alla nascita della speculazione filosofica all'interno della civiltà greca: - secondo la maieutica socratica l'educazione non è il trasferimento di sapienza da una persona all'altra: l'educazione si trova dentro ognuno di noi ed occorre farla uscire attraverso una "gestazione" conoscitiva che dia spazio alla modestia, al dubbio e al dialogo; - l'impostazione pedagogica di Platone è invece un intreccio tra filosofia, scienza, politica e utopia: la pedagogia assume una connotazione sociale e l'educazione è prima di tutto una responsabilità dello stato; - dopo Aristotele si parla di una "pedagogia filosofica" che si limita ad indicare gli obiettivi dell'educazione e a fissarne i modelli invarianti e validi per tutti. Questa idee nasce dall'accento posto sui fini (filosofici e di formazione dell'uomo) e dallo sviluppo della concezione dell'uomo come persone educabile ai valori; - quando l'attenzione si è spostata, oltre che ai fini, anche ai mezzi, alle condizioni, ai processi e ai risultati dei fenomeni educativi, si è avviata un'emancipazione della pedagogia dalla filosofia: la pedagogia diventa finalmente una scienza autonoma con i suoi sottocampi e l'educabilità dell'uomo viene sostituita alla sua denotazione situazionale e relazionale; **1.2- Pedagogia e scienze dell'educazione** Con il positivismo, anche le scienze umane aderiscono ai modelli caratteristici della ricerca sperimentale: inizia la conversione della pedagogia in scienza. Dewey parla di una scienza dell'educazione (al singolare) per sottolineare il punto di vista unificante dei contributi di tutte quelle scienze che affrontano problemi educativi, dal momento che nessuna disciplina è in grado di farlo da sola; ritiene inoltre fondamentali la psicologia, la sociologia e la filosofia. Negli anni successivi si utilizza l'espressine al plurale ossia "scienze dell'educazione" per definire la pluralità delle discipline pedagogiche. Mialaret ci fornisce un quadro sistematico delle scienze dell'educazione, allo scopo di fornire indicazioni per la pratica educativa (sia a livello del singolo insegnante sia a livello della politica dell'educazione). +-----------------------+-----------------------+-----------------------+ | **1.** Scienze che | **2.** Scienze che | **3.** Scienze della | | studiano le | studiano il rapporto | riflessione e della | | condizioni generali e | pedagogico e lo | evoluzione | | locali | specifico atto | | | dell'istituzione | educativo | \- Filosofia | | scolastica | | dell'educazione | | | Scienze che studiano | | | -storia dell' | le condizioni | \- Pianificazione | | educazione | immediate dell'atto | dell'educazione e | | | educativo: | teoria dei modelli | | -sociologia | | | | scolastica | -Fisiologia | | | | dell'educazione | | | -demografia | | | | scolastica | -Psicologia | | | | dell'educazione | | | -economia | | | | dell'educazione | \- Scienze della | | | | comunicazione | | | -educazione comparata | | | | | \- Scienze della | | | | didattica delle | | | | differenti discipline | | | | | | | | \- Scienze dei metodi | | | | e delle tecniche | | | | | | | | \- Scienze della | | | | valutazione | | +-----------------------+-----------------------+-----------------------+ Mialaret inizia la sua riflessione esaminando l'estensione della nozione di educazione: - la prima estensione riguarda l'età dei soggetti: si assiste a un prolungamento verso il basso (educazione prescolare) e verso l'alto (educazione permanente); - la seconda estensione deriva dal fatto che l'educazione del soggetto non è il risultato unico dell'istruzione scolastica ma è importante considerare anche l'esperienza quotidiana del bambino nel suo ambiente e l'azione dei modelli di comunicazione (stampa, tv..); - il terzo ambito riguarda l'estensione della pedagogia a tutti campi umani: la formazione non è più rivolt, come nel passato, solo all'intelligenza, alla memoria e al fisico ma anche alle creatività, all'effettività e ad altri campilo scopo è formare una persona ricca, capace di adattarsi e di crescere autonomamente; Qualche anno dopo Visalberghi propone un modello circolare di enciclopedia pedagogica; al suo interno la pedagogia non ha una collocazione particolare ma rimane comunque un momento di riflessione sugli apporti scientifici che le scienze dell'educazione ci forniscono. Il processo di trasformazione della pedagogia in scienza non porta necessariamente alla morte della pedagogia: resta in vita come nesso problematico tra e dopo le scienze che vengono a comporre la circolarità delle conoscenze pedagogiche. Afferma inoltre che si assiste a un progressivo aumento della complessità delle conoscenze richieste a chi si occupa di pedagogia: per poter insegnare è necessario conoscere non solo la materia ma anche l'allievo (Rousseau), i metodi più efficaci per insegnarla (Pestalozzi) e i problemi della società (Dewey). Da qui l'articolazione in quattro settori, che non sono completamente divisi fra loro ma disposti all'interno di un quadro di circolarità e forte continuità: 1. dei contenuti (conoscere cose si insegna); 2. psicologico (conoscere l'alunno); 3. metodologico didattico (come insegnare); 4. sociologico (conoscere la società in cui si insegna); **1.3- La pedagogia sperimentale: alcuni ambiti e problematiche di ricerca** Da un eccessivo accento dato alla fine dell'800 alla "scientificita" e alla "misurazione", si è passati nei primi del '900 a una crisi del modello scientifico di stampo ottocentesco e a una maggiore consapevolezza della complessità dei fenomeni che si intendevano studiare, non più soltanto in laboratorio. Dalla seconda guerra mondiale in poi la pedagogia sperimentale si è affermata di più, mantenendo però alcuni dibattiti sul metodo e sull'oggetto della ricerca stessa. Nei primi anni del 900 all'interno della cultura anglosassone si è sviluppato un campo di ricerca relativo alla misurazione e valutazione (assessment) non solo del singolo allievo ma anche del sistema scolastico nel suo complesso, attraverso la raccolta di dati e statistiche messa in atto per valutare l'impatto delle innovazioni introdotte. Nel dopoguerra viene proposta anche in Italia la pratica educativa della valutazione scolastica tramite testing. Acquista così importanza fra le scienze pedagogiche la docimologia ossia quella scienza che si occupa proprio della valutazione svolta secondo criteri scientifici; il monitoraggio di sperimentazione attuate su larga scala è affidato invece all'INVALSI. Lo IEA si propone di misurare la prestazione scolastica degli alunni di paesi diversi e di determinate fasce di età attraverso delle prove scritte che comparano le competenze scientifiche, matematiche, di educazione civica e di alfabetizzazione. Pur consentendo di ottenere dati sull'andamento del processo di alfabetizzazione nel mondo, tali ricerche presentano alcuni limiti poiché intendono comparare culture fortemente diverse tra loro attraverso lo stesso tipo di prove scritte. Un altro modello di ricerca è quello definito *ricerca-azione* ossia un'indagine orientata all'azione e al cambiamento, condotta in modo collaborativo e partecipativo e che nasce dalla necessità da parte del gruppo di comprendere e possibilmente risolvere un problema. Richiede un lavoro di gruppo che valorizzi le diverse esperienze professionali e personali dei partecipanti e che permetta uno scambio di ruoli; l'esperto non è semplicemente un osservatore esterno ma partecipa al lavoro collegiale. Uno dei punti deboli della ricerca-azione è la mancanza di un rigore metodologico e un prevalere della logica del "lavorare bene insieme nel gruppo" e di "esperienza di cambiamento". Lucisano e Salerni sviluppano una struttura ciclica di ricerca-azione fondata su sei domande che aiutino le persone coinvolte a iniziare l'analisi del problema da affrontare: - qual è il tuo problema? - perché sei preoccupato? - cosa pensi di poter fare riguardo il tuo problema? - quali tipi di prove potresti raccogliere per riuscire a valutare quanto ti sta accadendo? - come pensi di raccogliere queste prove? - come puoi controllare che la tua valutazione di quanto sta accadendo è abbastanza corretta e accurata? **2- Come si insegna, come si impara: le teorie** Secondo Dewey l'educazione è un processo di trasmissione culturale dell'eredità culturale e in quanto tale è necessaria alla sopravvivenza dei gruppi: un gruppo per sopravvivere deve trasmettere alle generazioni future le proprie conoscenze e i propri valori (sia in contesti informali sia in istituzioni specifiche). **2.1- Modelli di apprendimento** Bruner riporta quattro concezioni della mente e dell'apprendimento umano che ancora oggi hanno una forte influenza sulle teorie e sulle pratiche di insegnamento e che si devono fondere in un'unità coerente. 1. [Apprendimento per imitazione]: il bambino apprende tramite l'imitazione di modelli di azione eseguiti con competenza che gli vengono forniti dall'adulto. Per farlo il bambino deve saper riconoscere gli obiettivi dell'azione compiuta dall'adulta, i mezzi usati e comprendere che l'azione mostrata lo porterà al raggiungimento dell'obiettivo (competenze che sono presenti già a partire dai 2 anni). La competenza deriva dalla pratica e si forma tramite la ripetizione di comportamenti. Però per apprendere non basta solamente l'imitazione ma è necessario unire alla pratica una spiegazione concettuale; 2. [Apprendimento per esposizione didattica]: è il modello che più ha influenzato e che ancora oggi influenza la scuola. Si devono presentare agli allievi fatti, principi e regole di azione che devono essere appresi, ricordati e poi applicati. La conoscenza procedurale deriverà poi necessariamente dalla conoscenza proposizionale (conoscenza di fatti e teorie). Questa concezione parte dall'assunto che la mente del bambino è una "tabula rasa" e che le conoscenze vi vengano messe in forma cumulativa, una dopo l'altra; a proposito Bruner afferma che non è utile conoscere i fatti se questi vengono solamente offerti in quantità eccessiva. 3. [Apprendimento attraverso lo scambio intersoggettivo]: secondo la pedagogia culturale l'apprendimento avviene attraverso l'interazione con altre persone e con gli artefatti della cultura. L'insegnamento non si limita a trasmettere conoscenza ma considera l'alunno un soggetto attivo che costruisce un proprio modello del mondo e capace di ragionare e costruire significati. Si parla di pedagogia della reciprocità: le menti umane possiedono idee e credenze e si può arrivare a un quadro di riferimento comune attraverso la discussione e l'interpretazione. Questo modello si propone di raggiungere comprensione e interpretazione (piuttosto che conoscenza proposizionale e procedurale). Secondo Bruner un punto debole di questo approccio è l'eccessiva relatività che si attribuisce alla conoscenza: non è detto che una credenza sia giusta solo perché condivisa e costruita all'interno di una comunità di persone. D'altro canto non si può tornare però a un meccanismo di giustificazione legato a una posizione scientifica ormai superata e secondo cui una conoscenza è tale solo quando è vera in modo da escludere ogni affermazione contraria; 4. [Gestione della conoscenza "obiettiva"]: dando importanza solamente al dialogo nella costruzione della conoscenza si rischia di sottovalutare l'importanza della conoscenza accumulata nel passato. L'insegnamento dovrebbe aiutare i bambini a cogliere la distinzione fra conoscenze personali da un lato e conoscenze che una cultura considera acquisite dall'altro; Questi quattro modelli sono collegati a famose teorie dell'apprendimento: approccio comportamentista (condizionamento operante), cognitivismo e costruttivismo. Secondo il costruttivismo la mente del bambino costruisce da sé strutture cognitive che le permettono di agire sulla realtà in modo efficace (apprendimento attivo) - costruttivismo interazionista di Piaget: il bambino apprende autonomamente attraverso la manipolazione di oggetti e l'azione nel "mondo fisico"; - costruttivismo socioculturale: si impara interagendo con gli altri attraverso la mediazione di simboli e gli artefatti della cultura cui si appartiene; **2.2- Vygotskij e la costruzione sociale della conoscenza** *Mediazione culturale* Gli esseri umani vivono in un ambiente trasformato dagli strumenti prodotti dalle generazioni precedenti: la sua relazione con l'ambiente è quindi mediata dalla cultura e dagli strumenti prodotti all'interno di essa: - strumenti tecnici che servono principalmente per modificare l'ambiente esterno; - strumenti psicologici (o segni) che sono orientati più verso l'interno e che aiutano l'individuo ad organizzare la propria attività mentale. Sono prodotti sociali in quanto sono prodotti dalla cultura cui ognuno appartiene e in quanto originariamente utilizzati in contesti di interazione sociale (es. linguaggio); *Relazione fra pensiero e linguaggio* Il linguaggio è fondamentalmente sociale e ha una funzione fondamentale nello sviluppo del pensiero. Il linguaggio non è l'"esternalizzazione del pensiero" poiché linguaggio e pensiero seguono linee diverse ma che a un certo punto si intersecano: - lo sviluppo del pensiero procede da una dimensione preverbale a una verbale, attraverso l'apprendimento sociale; - lo sviluppo del linguaggio precede da una dimensione "interpsichica" a una dimensione "intrapsichica", cognitiva ("interiorizzazione dei significati dell'attività svolta nell'interazione dialogica"); La rappresentazione di un concetto viene infatti prima elaborata a un livello condiviso con gli altri (livello interpsicologico) e di seguito interiorizzata (livello intrapsicologico). *Origine dei processi mentali superiori* Lo sviluppo cognitivo ha due matrici fondamentali ossia i processi cognitivi elementari e le funzioni psichiche superiori. I primi si sviluppano secondo una maturazione organica e sono direttamente risvegliati da stimoli esterni; le funzioni psichiche superiori si sviluppano invece attraverso l'interazione del soggetto con strumenti fisici e i simboli della propria cultura e attraverso il rapporto sociale con gli altri. Quindi, come per il linguaggio, si costituiscono prima sul piano interpsicologico e poi sul piano intrapsicologico (cioè elaborate a livello mentale e interiorizzate). *Importanza dei processi di socializzazione* L'interazione sociale permette l'interiorizzazione e l'apprendimento: quest'ultimo si attua nella relazione con l'altro e con gli strumenti e i segni della cultura e la relazione sociale che si crea viene interiorizzata e riprodotta a livello autonomo. Apprendimento e sviluppo sono in continua interazione. *Zona di sviluppo prossimo* L'unico insegnamento efficace deve precedere lo sviluppo, situandosi nella zona di sviluppo prossimale (che può essere arricchita attraverso l'interazione del bambino con gli adulti e i coetanei). Il sostegno offerto dall'insegnante o da un compagno più esperto è definito "scaffolding" e consiste nell'offrire aiuto all'attività che il bambino sta svolgendo. Questo aiuto decresce progressivamente fino a quando il bambino non interiorizza completamente il processo e non mostra di saper risolvere da solo il problema. **2.3- Bruner e la pedagogia culturale** L'approccio di Bruner è fin dal principio cognitivista: il suo interesse pedagogico nasce dallo studio dei processi cognitivi e dalla ricerca di un apprendimento ottimale. Riconosce dunque le ricerche di Piaget pur sostenendo però che quest'ultimo abbia fornito solamente una descrizione e non una spiegazione dei processi di sviluppo. Bruner sostiene che la causa della crisi della scuola statunitense negli anni '80 sia dovuta all'idea deweyna secondo la quale l'educazione sia solamente la trasmissione di cultura e il fine sia l'adattamento; in realtà è necessario invece rivolgere maggiore attenzione alle potenzialità intellettuali dell'educazione. Gli incontri educativi devono portare alla comprensione attraverso le discipline, intese come amplificatori che estendono le capacità di pensiero; si basano sulle "idee fondamentali" che secondo Bruner possono essere insegnate a qualsiasi età, tenendo conto però delle diverse fasi dello sviluppo cognitivo. L'obiettivo dell'istruzione non è tanto l'ampiezza quanto la profondità. Una teoria dell'istruzione: 1. definisce le esperienze adeguate a sviluppare le predisposizioni ad apprendere; 2. indica le "strutture ottimali" delle conoscenze, semplificando le informazioni e legandole in insiemi maneggevoli; 3. espone l'ordine di presentazione dei contenuti dell'apprendimento, tenendo conto della progressione dello sviluppo; 4. traccia il quadro di punizioni e ricompense (intrinseche e estrinseche); Le letture delle opere di Vygotskij e la constatazione che la riforma dell'educazione non toccava gli strati più poveri della società, hanno portato Bruner a studiare l'influenza della cultura sull'apprendimento (apprendimento situato). - la scuola è l'unico strumento a disposizione della cultura per insegnare ai giovani le regole della vita sociale; - l'educazione è fortemente influenzata dalla cultura cui appartiene, dalle scelte e dagli obiettivi della società; - la mente non può esistere al di fuori della cultura­ la cultura plasma la mente e ci fornisce l'insieme degli attrezzi mediante i quali costruiamo il nostro mondo e la nostra concezione di noi stessi e delle nostre capacità; - il sistema simbolico mediante il quale la cultura modella la mente è condiviso dai membri della comunità e viene conservato, elaborato e tramandato alle generazioni successive; - il soggetto collabora alla modificazione e alla crescita della cultura attraverso il processo di fare significato ossia attribuire significati alle cose in situazioni diverse e concrete. I significati non sono privati ma sono alla base dello scambio culturaleconoscere e comunicare sono interdipendenti; La teoria computazionale vuole descrivere il funzionamento di tutti quei sistemi che gestiscono il flusso di informazioni. Bruner, partendo dal presupposto che il processo di fare significato sia per sua natura ambiguo e legato al contesto, descrive un limite di questa teoria: l'input di un sistema computazionale deve necessariamente essere descritto da regole ben specificabili, esenti da ogni ambiguità. **2.3.1- Nove principi per una pedagogia culturale** Una pedagogia culturale deve interrogarsi su come la cultura possa favorire o ostacolare la realizzazione delle capacità del singolo. Bruner propone nove principi che secondo lui caratterizzano l'approccio educativo del culturalismo. [Principio della prospettiva] Il significato di qualsiasi fatto, di qualsiasi proposizione è relativo alla prospettiva o al quadro di riferimento all'interno del quale esso viene interpretato. Egli non vuole però entrare nel totale relativismo: non tutte le interpretazioni di un fatto sono accettabili in quanto, per essere vere, devono obbedire a determinati criteri o regole logiche che la possono giustificare. All'interno della cultura esiste una certa "comunanza" delle interpretazioni di un ma non si può parlare di uniformità in quanto sono presenti anche interpretazioni proprio di un individuo; l'interazione tra le due costituisce l'interpretazione del significatosi formano così gli "stili culturali". Ogni cultura ha una certa tolleranza verso le interpretazioni diverse date dai suoi membri, purché non costituiscano un pericolo per la comunità stessa. L'educazione deve trovare un equilibrio tra la volontà di trasmettere modalità di interpretazione del mondo che sono proprie della cultura dominante e quella di aiutare i giovani ad assumere una propria prospettiva. Se la scuola si limita alla prima si rischia di fossilizzare la cultura stessa e di non farla crescere; se educa invece i giovani a considerare diverse interpretazioni, la scuola corre il rischio di offendere gli interessi (soprattutto se affronta aspetti che secondo quella cultura sono ritenuti "proibiti"). [Principio delle limitazioni] In ogni cultura il fare significato è soggetto a due tipi di limitazioni: 1. la limitazione imposta dalla natura del funzionamento della mentea causa dell'evoluzione la nostra specie ha sviluppato certi modi caratteristici e specializzati di conoscere, pensare, sentire e percepire; nonostante siano comuni a tutta la specie, non è detto siano immutabili. 2. la limitazione imposta dal sistema simbolica (in particolar modo il linguaggio)il pensiero prende forma dal linguaggio in cui viene formulato e di conseguenza è influenzato da esso (Whorf-Sapir). La capacità metalinguistica cioè di riflettere sulla propria lingua, può essere insegnata a chiunque. [Principio del costruttivismo] La realtà che noi attribuiamo ai mondi che abitiamo è costruita da noi stessi nell'interazione con gli altri. L'educazione deve aiutare i giovani a usare gli strumenti del fare significato e della costruzione della realtà in modo che possano adattarsi meglio al mondo in cui si trovano e, se necessario, cambiarlo. [Principio dell'interazione] Deriva dal pensiero di Vygotskij: la trasmissione di conoscenza avviene attraverso l'interazione all'interno di una sottocultura composta da un insegnante (anche virtuale) e un allievo. L'insegnamento intenzionale è proprio della specie umano ed è dovuto sia al dono del linguaggio sia alla predisposizione degli esseri umani per l'intersoggettività (capacità di capire gli altri attraverso linguaggio, gesti e contesto). La tradizione pedagogiche occidentale si basa su un "apprendimento per esposizione didattica", non tenendo dunque conto dell'importanza dell'intersoggettività. Implicazioni pedagogiche: - privilegiare momenti di interazione degli studenti tra loro, preferibilmente in piccoli gruppi - stimolare gli studenti ad assumere qualche volta il ruolo di insegnante [Principio dell'esternalizzazione] Secondo Ignace Meyer la funzione principale di ogni attività culturale collettiva è produrre opere che abbiano un'esistenza propria, intese in pedagogia con la concretizzazione in un oggetto di attività svolte insieme. Vantaggi delle opere (es: cartellone): - produrre e sostenere la solidarietà in un gruppo, contribuendo a creare una comunità:ì; - promuovere il senso della divisione del lavoro e quindi esaltare le abilità di ciascun membro; - creare modi di pensare condivisi e negoziabili; - produrre il vantaggio di esternalizzare un pensiero e quindi poterci riflettere sopra (metacognizione: riflettere sui nostri stessi pensieri); [Principio dello strumentalismo] L'educazione non è mai neutrale ma ha conseguenze sociali ed economiche; è politica. Per spiegare questo principio è necessario introdurre il concetto di "talento" e "occasioni". Esistono diverse attitudini naturali e ogni cultura ne attribuisce diverse importanze. Queste capacità vengono dunque "tipizzate" e consolidate attraverso l'istruzione, l'esercizio e le occasioni. La prassi educativa compie delle ingiustizie poiché fornisce occasioni diverse in base alle presunte diversità di talento, al sesso e alla classa sociale. [Principio istituzionale] Nel mondo sviluppato la scuola è istituzionalizzata e in particolare prepara i membri più giovani a prendere parte attivamente alle altre istituzioni della cultura (che definiscono il ruolo dei membri e gli forniscono status, rispetto e protezione). Ogni individuo appartiene a più istituzioni. Le istituzioni sono spesso in conflitto tra loro per la conquista di privilegi e poteri e impongono la propria volontà attraverso sistemi coercitivi e di incentivazione; in questa lotta è impegnata anche l'educazione. Nei paesi sviluppati si assiste a un'evoluzione della consapevolezza del ruolo politico dell'educazione e anche negli ambienti politici avvengono dei dibattiti intorno a questo tema. Bruner auspica il costituirsi di nuove istituzioni che considerino il ruolo che l'educazione ha nella società, che si chiedano come l'educazione possa affrontare i problemi critici (es. razzismo) e che siano incaricate alla presa di decisioni e scelte politiche in relazione all'educazione stessa. E' indispensabile inoltre il coinvolgimento degli insegnanti, i quali dovrebbero credere nei miglioramenti progettati affinché avvengano. [Principio dell'identità e dell'autostima] L'educazione è fondamentale per la formazione del sé e della propria autostima di conseguenza la scuola ha un compito importante: consentire ai soggetti di costruire un concetto di sé positivo. Le culture attribuiscono forme diverse al sé e ne stabiliscono i limiti ma nonostante ciò, secondo Bruner, esistono due aspetti del sé universali: la capacità di azione e la valutazione. In base alla valutazione che ricevono a scuola, i bambini rispondono valutando se stessi come persone che hanno avuto successo o che hanno fallito. Se la scuola è poco attenta all'autostima, rischia di provocare grossi danni spingendo i ragazzi a cercare la propria affermazione in altri luoghi. [Principio narrativo] Il pensiero narrativo (vs. pensiero logico scientifico): - stimola la fantasia; - è una modalità di pensiero che aiuta le persone a creare una versione personale del mondo in cui possono immaginare un posto per sé; - è il modo in cui i ragazzi creano significati e li collegano alla loro vita in una cultura; - ha importanza sia per la coesione della cultura sia per la costruzione della propria identità all'interno di essa; E' importante dunque che il bambino abbia dimestichezza con i miti, le storie, le fiabe e i racconti tradizionali della sua cultura per creare e sostenere il proprio senso di identità. **2.3.2- La complessità degli obiettivi educativi: le antinomie educative** Secondo Bruner le verità educative sono afflitte da tre antinomie; non ci si può basare su una o sull'altra, in quanto entrambi presentano aspetti di verità. 1. [Realizzazione individuale/conservazione della cultura] Se da un lato la funzione dell'educazione è consentire alle persone di realizzarsi e di sfruttare al massimo le proprie capacità e le proprie passioni, è vero anche che è importante riprodurre la cultura e preparare le persone ad inserirsi nella cultura perpetuandone istituzione e valori. E' difficile trovare un compromesso: se si privilegia l'individuo, si rischia di provocare una disgregazione della società; se si privilegia la riproduzione della cultura, si cade in un eccessivo tradizionalismo e la cultura non cresce. 2. [Centralità del talento/centralità degli strumenti] Bisogna sfruttare al meglio le qualità dei più dotati o dare a tutti l'opportunità di accedere alle risorse? Se pensiamo che tutto dipenda dal talento, concepiamo l'apprendimento come un qualcosa che avviene all'interno della nostra testa e che dipende unicamente dalla nostra intelligenza; se pensiamo invece che siano importanti gli strumenti, concepiamo l'apprendimento come un processo interpersonale che avviene all'interno di un ambiente culturale che comporta scambi simbolici con i pari e con gli adulti. 3. [Particolarismo/universalismo] Si ritiene che la conoscenza locale è legittima di per sé e che i tentativi di imporre verità universali sono solo tentativi di predominio di altre esperienze sull'esperienza locale; d'altra parte si ritiene che l'esperienza e la conoscenza, nonostante siano costruite dall'interazione all'interno di un determinato contesto, facciamo parte di una cultura più vasta. Come superare le antinomie nella scuola: - elaborare un equilibrio fra individualità ed efficacia del gruppo; - salvaguardare sia le identità etniche e raziali sia il senso di comunità più vasta di cui fanno parte; - mettere in atto forme di divisione del lavoro Il programma *Head Start* inizia negli anni Stati Uniti alla fine degli anni'60 e si propone di offrire una buona partenza ai bambini dei ghetti neri e ispanici, offrendo loro attività e materiali stimolanti in luoghi adatti. Poco prima era nata l'ipotesi della deprivazione (sensoriale), secondo cui la mancanza di una buona partenza fosse la causa del fallimento: per crescere è necessario un ambiente che offra opportunità; i bambini provenienti da un ambiente economicamente e culturalmente svantaggiato regredivano ancora di più quando cominciavano la scuola. Dopo essersi accorti che i neonati erano molto attenti al mondo sociale (più di quello che si pensava) si arrivò alla conclusione che, oltre ad aver bisogno di contatto con le persone, avevano il bisogno di agire sull'ambiente per capire le reazione dell'ambiente stesso su di loro. Questa tipo di deprivazione chiamata "culturale" venne giudicata usando come standard la classe media americana: le culture nere e ispaniche erano carenti e bisognava insegnare alle madri come comportarsi con i figli allo stesso modo delle madri americane. Head Start non affrontò però il problema della discriminazione e della terza antinomia, provocando un'egemonia della cultura della classe media statunitense su quella nera e ispanica. Il programma sopravvisse ma non crebbe poiché i costi erano eccessivi rispetto ai vantaggi; si accorsero inoltre che il guadagno in QI dei bambini scompariva nel giro di qualche anno. Solamente dopo 25 anni si notò che Head Start aveva avuto un impatto notevole (ma non un miracolo): era positivo per la società anche se non funzionava con tutti i bambini; si era inoltre raggiunto un compromesso sulla prima antinomia (ma non sulle altre due). Purtroppo la società stessa e tutti quegli aspetti politici e sociali vanificavano gli sforzi del programma. **2.3.3- Le comunità di apprendimento** Questo tipo di scuola è stato sviluppato da Ann Brown e Joe Campione in una scuola in un ghetto di Oskland in California, con il tentativo di superare la crisi della scala americana e una visione della scuola in cui chi sa trasmette conoscenza a colui che non sa. La classe si trasforma in una comunità di scienziati che produce conoscenza nuova e significativa. La conoscenza non è patrimonio dell'insegnante ma è distribuita nelle persone e negli artefatti della cultura, e può essere costruita nell'interazione tra essi. Per farlo è necessario favorire momenti di discussione a piccolo e grande gruppo. La comunità di apprendimento è anche un centro di costruzione dell'identità personale, promuove la consapevolezza e la metacognizione dei partecipanti e aumenta l'autostima. Principi - [Apprendimento attivo e collaborativo]: quest'ultimo è possibile attraverso la negoziazione degli obiettivi, la condivisione delle conoscenze e la riflessione collettiva. Per quanto riguarda questo ultimo aspetto, le comunità di apprendimento usano il discorso in classe per riflettere insieme su ciò che è stato fatto o su ciò che si sta progettando, promuovendo anche la metacognizione; - [Sviluppo metacognitivo]: per prendere coscienza delle proprie strategie ed eventualmente migliorarle; - [Zone multiple di sviluppo prossimale]: la presenza di molteplicità di competenze arricchisce la comunità (ognuno può imparare dagli altri e insegnare qualcosa agli altri); - [Base dialogica]: la classe ha una natura discorsiva in quanto si realizza attraverso la discussione in piccoli gruppi. Con l'uso di un computer la discussione si amplia e si sposta al di fuori delle mura della classe; - [Legittimazione delle differenze]: le diversità vengono considerate una risorsa perché aumentano così le zone di sviluppo prossimale e le conoscenze che circolano nella classe. Per diversità si intendono le capacità, le diversità legate alla cultura di appartenenza ma anche le diverse modalità di partecipazione al progetto: va valorizzato anche il contributo di chi decide di partecipare in modo marginale alle attività affinché possa raggiungere la partecipazione verso il "centro" (partecipazione periferica legittimata); - [Sviluppo di pratiche comuni]: le pratiche nascono e sono condivise all'interno della comunità, contribuendo a sostenere il senso di appartenenza alla comunità stessa. I ruoli di insegnante, ricercatore e studente non appartengono sempre alle stesse persone ma sono intercambiabili; - [Apprendimento contestualizzato e situato]: le attività svolte sono dotate di un senso culturale e sono collegate sia al contesto culturale che alla vita personale degli studenti; L'ambiente allestito per avviare una comunità di apprendimento presenta alcune differenze rispetto a una classe tradizionale. - Partecipanti: entrano a far parte della classe agenti diversi (osservatori, ricercatori, esperti e anche persone virtuali); - Strumenti: la comunità non utilizza solo libri per apprendere, ma anche tutti quegli strumenti che la cultura gli mette a disposizione (cartelloni, computer, taccuini..); Nelle comunità di apprendimento si lavora per progetti che hanno uno scopo condiviso e concreto per cui il tema deve essere motivante per gli allievi. L'obiettivo è realizzare un prodotto finito (principio dell'esternalizzazione di Bruner). La tecnologia assume un ruolo importante in quanto non è solo una fonte di informazione ma anche uno strumento di comunicazione. I progetti "Euroland" e "Il nostro castello" hanno delle caratteristiche comuni: 1. sono state inizialmente definite alcune linee guida e ogni classe è stata lasciata libera di individuare il proprio percorso; 2. il contenuto di entrambi i progetti è stato specificato sulla base di un brainstorming collettivo, consentendo ai ragazzi di essere maggiormente partecipi; 3. i due progetti mirano alla costruzione di un prodotto concreto, sia pure di natura diversa; 4. i gruppi di lavoro nelle classi non sono rigidamente separati ma collaborano alla costruzione comune e chi partecipa a un gruppo può collaborare anche con altri gruppi; 5. i compiti sono disegnati in modo da forzare la collaborazione fra i diversi gruppi di lavoro 6. il contenuto dei progetti non rispetta le divisioni disciplinari ed è collegato anche alla vita fuori dalla scuola; La valutazione è differente rispetto a quella tradizionale (legata solamente alla misurazione quantitativa delle conoscenze iniziali e finali). Si parla di una valutazione dinamica poiché è centrata sia sul percorso che sul prodotto e si presenta sotto forma di autovalutazione oppure valutazione reciproca e collettiva. Nelle discussioni in cui si valuta il lavoro collettivi e il personale apporto di ciascuno, anche gli adulti sono invitati a dare conto del proprio operato. **3- Come si insegna, come si impara: le condizioni** Fondamentale importanza assume il contesto all'interno del quale si svolge l'azione educativa (costituito da ambienti, parsone, relazioni, attività...) Oltre ad un ambiente accogliente, stimolante e orientato verso il fare e il fare insieme, è importante promuovere un clima sociale positivo all'interno del quale avvengono gli scambi relazionali. I diversi approcci inizialmente ponevano l'accento sugli aspetti contenutistici e poi, nell'ultimo quarto del secolo, su quelli cognitivi; nel tentativo di comprendere come avveniva l'apprendimento, gli studiosi si concentrarono solamente sulla "testa del soggetto che apprende" escludendo dunque anche il ruolo e le responsabilità dell'insegnante. Solamente alla fine degli anni '60 ci fu un primo riconoscimento della realtà psicologica dell'individuo non riconducibile solamente alle funzioni intellettuali: viene preso in considerazione il "vissuto" del bambino e la sua esperienza pregressa. Le emozioni e i sentimenti vennero finalmente riconosciuti ma separatamente dall'aspetto cognitivo; in realtà lo sviluppo cognitivo e lo sviluppo emotivo sono in un rapporto di reciproca interdipendenza e ansia, timori, incertezze e desideri incidono profondamente sull'apprendimento. Anche gli insegnanti sono "persone intere" con emozioni e sentimenti, e devono esserne consapevoli. **3.1.1- A scuola per stare bene e quindi imparare** "A scuola si va per imparare, ma si impara solamente se si sta bene"lo stare bene dipende, oltre che dalle condizioni esterne, soprattutto da quelle interne: il nostro stato interno, la consapevolezza di noi, l'immagine che le persone di riferimenti ci rimandano di noi stessi, quello che ci viene proposto e cosa gli altri si aspettano da noi. "Normalità": - tranquillità dei ragazzi e dell'insegnante; - organizzazione esterna consolidata e accurata: non c'è ansia degli imprevisti, dei tempi morti..; - professionalità dell'insegnante: egli non improvvisa e non entra in classe senza sapere cosa fare; Tre aspetti fondamentali: 1. il piacere dell'apprendere: si apprende quando si prova piacere per quello che si sta facendo, anche quando non è previsto dal programma; 2. il gruppo, il rapporto, l'affetto: si vive bene nella scuola quando si condividono con gli altri le cose che si sta facendo o che si vorrebbero fare 3. la scuola come habitat: si sta bene se l'ambiente, l'organizzazione dei tempi, degli spazi ecc. sono curati e fonte di stimolo **3.2- Ricerche ed esempi** **3.2.1- Discutendo si impara** E' il titolo di un testo scritto nel 1991 del quale è stata pubblicata lo scorso anno una nuova edizione. In questo libro vi sono esempi di costruzione di conoscenza in ambiti diversi (scientifici, storici, linguistici...), realizzata nell'interazione fra piccoli gruppi di bambini e quindi in una situazione diversa dalla classica lezione frontale. *La lezione frontale* La lezione frontale è per molti insegnanti l'unica forma di didattica proponibile e consiste nello studio individuale e poi nella verifica sempre individuale (orale o scritta).Per quanto riguarda i vantaggi, è una lezione economica in termini di tempo e non sottopone l'insegnante a imprevisti e incertezza: egli può programmare il tempo e la durata e l'eventuale ripetizione dei concetti per gli alunni più lenti o distratti. La preferenza verso la lezione frontale parte dall'idea che tutti gli alunni siano uguali e si appoggia al modello di apprendimento per esposizione didattica: basta ascoltare per imparare. *La discussione* La lezione frontale e la discussione hanno radici in due modelli teorici relativi all'apprendimento/insegnamento opposti. Permettendo agli alunni di discutere, l'insegnante "rischia" di dover affrontare diverse incertezze (dove andranno a finire? Come farò a ricondurli verso la giusta definizione del concetto?); l'imprevedibilità dei tempi, dei ritmi, del coinvolgimento, del contenuto e del lessico rende questa pratica didattica difficilmente accettabile. La discussione richiede agli insegnanti di formarsi e di concentrarsi su vari aspetti: la chiarezza dell'impostazione del tema, la scelta dell'argomento, la previsione dei tempi e l'assortimento del gruppo. La discussione è un momento privilegiato per la costruzione di conoscenza. In un'indagine condotta nel '91 gli insegnanti dichiaravano di accettare il lavoro di gruppo solo per attività espressive e non per "conoscere", considerando quindi la conoscenza come non costruibile ma "patrimonio di chi sa" e vedendo tentativi, dubbi e incertezze degli alunni come errori e non come "segnali" di un lavoro in atto. Vantaggi della discussione: - porta ad un maggiore efficacia nell'attività di costruzione di conoscenza da parte del gruppo; - diminuiscono gli interventi organizzativi e le dispute per la presa di turno; - aumentano i contributi di ideazione, valutazione e metacognizione; - aumenta la qualità del rapporto sociale, di collaborazione e di scambio; La capacità dei bambini di lavorare in gruppo non si sviluppa automaticamente ed è necessario un attento lavoro degli insegnanti che devono: - fornire prima di tutto le occasioni; - favorire un clima tranquillo, di calma e di rispetto; - possedere una sicurezza interna e coerenza non improvvisata; In una ricerca condotta in una scuola dell'infanzia, durante un'attività in cui l'insegnante scrive i testi dettati dai bambini, sono stati individuati 23 tipi di interventi raggruppati poi in tre grandi gruppi: 1. interventi generali rivolti alla gestione dell'attività (interventi organizzativo-procedurali, particolarmente importante per i bambini che sono alle prime armi); 2. Interventi relativi al contenuto (richiesta di conferma); 3. Interventi relativi ad aspetti formali; In uno studio successivo (in cui l'insegnante assume sempre il ruolo di "scriba") è stato constatato che gli effetti sulle risposte dei bambini variavano in base ai diversi tipi di interventi dell'insegnante: ad esempio i bambini spiegano di più il proprio testo se sollecitati da "richieste di conferma" e "richieste di chiarimento", che servono all'insegnante stesso per assicurarsi di aver compreso bene per poter poi scrivere correttamente il testo. In questo caso l'insegnante sembra assumere il ruolo del lettore e di mediatore fra scrivente e destinatario, aiutando i bambini a mettersi nella prospettiva di chi legge. E' importante sottolineare che gli interventi degli insegnanti sono diversamente funzionali in base del fine dell'attività di produzione di testo: ad esempio il fine di un testo di regole è quello di "comunicare per spiegare". **3.2.2- Come si insegna, come si impara a scrivere e a leggere** Ogni insegnante è convinto che a scrivere si impari a scuola perché si riceve un insegnamento diretto, esplicito e sistematico. I segni che i bambini producono prima di frequentare la scuola sono definiti "scarabocchi"; nel migliore dei casi sono visti come un tentativo o un'imitazione, ma sempre troppo inadeguata rispetto al modello del sistema di scrittura convenzionale. Ferreiro e Teberosky condussero una ricerca sulle fasce di età non ancora alfabetizzate, intervistando bambini piccoli (dai 3 ai 6 anni) provenienti principalmente da ambienti sociali svantaggiati in cui la probabilità di contatti anche indiretti con pratiche di scrittura e lettura adulta fosse minima. L'intento è quello di comprendere cosa succede nella mente dei bambini nel momento in cui cercano di capire "come si scrive e come si legge". Nel 1979 le due autrici mettono a punto un modello teorico relativo alle modalità e sequenze di sviluppo della concettualizzazione della lingua scritta e descrivono il processo che conduce i bambini, senza un insegnamento specifico, da un'iniziale indifferenziazione fra produzioni grafiche di disegno e di scrittura fino alla padronanza della corrispondenza fra fonema e grafema. Elementi costanti: - i processi non sono vincolati all'età cronologica del bambino (tempi e modi individuali) e all'insegnamento ufficiale scolastico; - i processi non richiedono una consapevolezza delle operazioni mentali compiute; - comparsa di modalità di soluzione e costruzione progressivamente più elaborate anche se non necessariamente lineari; Vengono identificati tre periodi: - nel [primo periodo] il bambino ricerca una qualche differenziazione fra "marche grafiche figurative" e "marche grafiche non figurative"; - il [secondo periodo] è caratterizzato dalla ricerca di condizioni formali di "leggibilità". Il bambino rispetta la "regola della quantità minima": secondo lui una lettera isolata non è leggibile e ne servono almeno tre perché possa dire qualcosa; allo stesso modo non può essere letta una stringa di segni tutti uguali tra loro. In questo periodo il significato è dato inizialmente dalla prossimità all'oggetto e gradualmente il bambino elabora un nuovo criterio: per poter leggere scritte relative a oggetti differenti è necessario che le scritte siano effettivamente differenti; - nel [terzo periodo] ha inizio e si sviluppa il processo di fonetizzazione della scrittura, il comprendere che ad un determinato suono corrisponde un determinato segno. E' un processo di natura concettuale, non riconducibile ad un apprendimento meccanico è un processo complesso, non lineare e segnato da soste e apparenti regressioni. All'interno di questo ultimo periodo di possono identificare livelli diversi nelle ipotesi che i bambini formulano: - *livello sillabico*: ogni segno rappresenta una parte del nome pronunciato (circa una sillaba) ed il nome è una sequenza di suoni così come la scritta è una sequenza di segni.In questo periodo il bambino ricerca soluzioni diverse per problemi che gli si presentano (parole monosillabe e bisillabe): ad esempio se perdura la regola della minima quantità, per scrivere una parola monosillabica si aggiungerà una lettera; - *livello sillabico-alfabetico*: il bambino si confronta costantemente con la "lettura adulta" e ciò provoca in lui dei conflitti che lo portano ad abbandonare via via l'ipotesi sillabica, aggiungendo altre lettere e cercano soluzioni che lo soddisfino di più; - *livello alfabetico*: il bambino raggiunge la consapevolezza che ad ogni suono (fonema) corrisponde un segno (grafema). A questo punto rimane solo da imparare la "convenzione di scrittura", ossia la corrispondenza fra un determinato suono e quel determinato segno. Altri problemi devono essere poi affrontati (come ad esempio la correttezza ortografica); Considerazioni pedagogiche - bisogna sostituire i classici esercizi "per sciogliere la mano" a quelli psicomotori, poiché ritenuti preparatori e pregiudiziali per un corretto apprendimento della lettura e della scrittura; - bisogna rifiutare le classiche paginette di lettere o sillabe o parole isolate, in quanto prive di senso e significato; - promuovere attività che spingono al confronto a all'analisi delle stesse scritture spontanee prodotte dai bambini in piccoli gruppi; - bisogna evitare i metodi "uguali per tutti" che non prendono in considerazione il livello di sviluppo del bambino; - importanza data ad un uso della lingua scritta che sia motivante e dotata di senso; **4- La scuola** La scuola è l'istituzione principale dedicata alla formazione delle nuove generazioni nata a livello nazionale nel XIX secolo. Il secolo XX è stato considerato il "secolo della scuola" poiché assistiamo alla diffusione di massa in quasi tutti gli stati e in quasi tutti gli strati della popolazione, nel tentativo di trasmettere il patrimonio delle conoscenze necessarie alla sopravvivenza stessa della società. **4.1- La scuola in Italia** L'esigenza di una scuola pubblica nasce nell'800 come espressione di un desiderio di emancipazione sociale, ma anche come esigenza economica di avere dei lavoratori preparati. Nel '900 si ridimensiona questo atteggiamento positivo verso la scuola: la scuola non fa altro che riprodurre la stratificazione sociale e secondo alcune correnti, è un elemento negativo in quanto funzionale alla pianificazione delle coscienze e all'affermazione del conformismo. Ancora oggi le origini sociali della famiglia pesano sulle opportunità formative della persona e sulle possibilità di accesso a livelli più alti di istruzione; nonostante ciò l'istruzione è comunque una e forse l'unica possibilità offerta per migliorare la propria condizione sociale e dunque costituisce in parte un mezzo per la mobilità sociale. **4.1.2- Dall'Unità d'Italia alla seconda guerra mondiale** Cerchiamo di analizzare i cambiamenti dal 1859 a oggi nell'idea di scuola e di bambino, attraverso un percorso segnato da leggi di riforma e programmi ministeriali. *Dall'asilo infantile alla scuola dell'infanzia* Nelle istituzioni dedicate alla prima infanzia, funzione sociale e funzione educativa erano presenti fin dall'inizio anche se veniva data netta prevalenza alla prima: offrire custodia e assistenza ai bambini delle famiglie dei lavoratori, nelle quali entrambi i genitori erano occupati. Ancora oggi queste due funzioni sono strettamente interrelate ma nel corso degli anni si è assistito a un progressivo affermarsi e prevalere delle istanze pedagogiche rispetto a quelle puramente assistenziali. Le istanze pedagogiche sono fortemente presenti nei modelli di scuola proposti dai seguenti pedagogisti: - Froebel: grande attenzione viene rivolta al gioco e all'ambiente e ai materiali che vengono forniti al bambino. E' presente inoltre l'aspetto religioso rivolto più a una religiosità interiore (piuttosto che alla conoscenza di una dottrina); - Rosa e Carolina Agazzi: propongono la realizzazione di un forte legame fra la vita scolastica e l'esperienza che i bambini svolgono nell'ambiente familiare, attraverso attività tipiche della vita domestica e un rapporto affettivo con l'insegnante (simile alla figura materna). L'interesse di coltivare un sentimento religioso nei bambini si tradusse però in un atteggiamento moralistico e di connotazione dottrinale che ha fortemente influenzato la scuola materna italiana; - Montessori: crea le "case dei bambini", la prima nel 1907 nel quartiere di San Lorenzo, alle quali attribuisce una funzione sociale all'interno dei contesti in cui sono inseriti (spesso degradati e poveri). L'importanza è data alle capacità senso-percettive del bambino, ai materiali e alla cura dell'ambiente, che deve proporgli la possibilità di compiere attività autonome dotate di significato. L'insegnante assume un ruolo diverso da quello tradizionale: è organizza l'ambiente, propone i materiali e guida il bambino alla scoperta. La scuola dell'infanzia non è considerata come propedeutica alla scuola elementare, ma ha una propria dignità e delle sue caratteristiche particolari; Nel 1914 attraverso i Programmi per gli asili infantili e per i giardini di infanzia si sancisce la netta differenziazione fra asilo infantile e scuola elementare: lo scopo è quello di dare una configurazione propria al metodo educativo degli asili dell'infanzia, prendendo le distanze dai tentativi di quel periodo di allestire delle vere e proprie scuole per i bambini più piccoli con lezioni simili a quelle svolte alle elementari. Prendendo spunto dalle sorelle Agazzi e da Froebel, si sottolinea la necessità del bambino di questa età di "fare" e apprendere facendo (piuttosto che insegnargli la lettura o la scrittura). Si riconosce inoltre l'importanza delle attività spontanee dei bambini e del rapporto fra coetanei. Non è prevista l'educazione religiosa ma si pone molta enfasi sull'educazione morale. Un aspetto critico è la visione del bambino tutto "sensi" e "fantasia" (oggi superata da quella di un bambino "competente" e "protagonista del proprio personale processo di crescita"). Con la Riforma Gentile del 1923 si compie un passo indietro: gli istituti di educazione dell'infanzia vengono considerati "propedeutici alla scuola" e non obbligatori. Grande rilievo viene dato all'insegnamento della religione cattolica e vengono inoltre elencate le attività "didattiche" da proporre, limitando dunque la libera attività dei bambini. Nel 1940 per la prima volta si parlò di scuola materna obbligatoria per i bambini dai 4 ai 6 anni; obbligo che però non si concretizzò a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale. Nel dopoguerra la scuola per i bambini dai 3 ai 6 anni non subisce grandi cambiamenti ma rimane ancorata al modello educativo della famiglia con inspirazione moralistica e confessione; nell'immagine del bambino prevalgono affettività impulso e sentimento rispetto al raziocinio. La legge 444 del 1968 si proponeva di modificare quest'impostazione familiare-religiosa della scuola materna: l'educazione religiosa rimaneva importante ma non era più legata a una confessione. Si cercava inoltre di integrare la funzione educativa propria della scuola materna con la finalità di preparare l'individuo alla scuola elementare, senza però riuscire ad arrivare a una vera e propria continuità tra queste due scuole. Per la prima volta si tentava di rispondere all'esigenze della società contemporanea: la scuola ha il compito di compensare eventuali carenze della famiglia e offrire al bambino un'esperienza educativa più varia di quella vissuta in famiglia. Le indicazioni pedagogiche continuavano però a considerare lo sviluppo del bambino legato a fattori naturale e spontanei e la scuola come un mezzo che facilita l'autosviluppo del bambino. Una vera e propria rivoluzione ebbe luogo con gli Orientamenti del 1991: il bambino veniva considerato un protagonista del proprio personale percorso di crescita, un soggetto attivo impegnato nell'interazione con i pari, gli adulti, l'ambiente e la cultura. Le finalità della scuola erano la maturazione dell'identità personale del bambino, la conquista dell'autonomia e lo sviluppo della competenza. Il gioco diventa una risorsa privilegiata di apprendimento e relazioni, quest'ultime considerate occasioni di crescita sociale e intellettiva. Si poneva inoltre attenzione al tema della diversità nel tentativo di integrare tutti i bambini, inclusi quelli che presentano difficoltà di adattamento e di apprendimento. La continuità educativa assume un ruolo importante: sia in relazione alle diversità di esperienze che il bambino compie nei suoi vari ambiti di vita, sia riguardo la continuità e la coerenza di stili educativi e di apprendimento fra il nido, la scuola materna e la scuola elementare. *Dalla scuola elementare alla scuola secondaria* In Europa, con l'avvento della rivoluzione industriale, era necessaria l'alfabetizzazione di massa affinché la società potesse svilupparsi. Nel 1861 si registra in Italia un grave stato di analfabetismo (81%), a differenza dei paesi dell'Europa del Nord in cui l'analfabetismo era fortemente contenuto anche a causa della riforma protestante. Durante quel percorso che portò all'Unità di Italia, si assiste a un processo di scolarizzazione di massa che inizia attraverso la legge Casati del 1859 che sancisce l'obbligatorietà dell'istruzione, vieta di compiere delle differenze, a livello elementare, fra chi continuava gli studi e chi li avrebbe interrotti e istituisce scuole separate fra maschi e femmine. La scuola elementare era divisa in due bienni (classe prima e classe seconda), di cui solo il primo era obbligatorio. L'istruzione era gratuita ed affidata ai comuni che contavano, nella popolazione infantile, 50 bambini e 50 bambine di età scolare. Le classi erano costituite da 50-70 bambini e alcune volte addirittura 100. Uno dei punti deboli era la scarsa preparazione degli insegnanti e le molte deleghe che gli venivano affidate: nei primi anni di avvio dell'istruzione obbligatoria di massa spesso gli insegnanti non erano abilitati e successivamente bastava un attestato di moralità e una "patente di idoneità". Quest'ultima si otteneva svolgendo un esame al termine di una scuola normale della durata di tre anni cui si poteva accedere a 15/16 anni; per insegnare invece nel corso inferiore bastava frequentare i due anni di questa scuola. Nel 1877 la legge Coppino sottolinea l'obbligatorietà dall'istruzione elementare inferiore dai 6 ai 9 anni, la sua gratuità e la sua aconfessionalità: per i genitori dei bambini che non rispettavano quest'obbligo erano previste delle ammende. L'inadempienza dell'obbligo era presente soprattutto nel Sud e nelle Isole a causa della questione sociale e nulla si faceva per aiutare queste famiglie povere che avevano bisogno che i figli lavorassero per sopravvivere. Nel 1904 la legge Orlando estende l'obbligo di frequenza scolastica fino ai 12 anni. Dopo la quarta classe elementare, chi intendeva proseguire gli studi poteva sostenere un "esame di maturità" per l'ammissione alla scuola secondaria. Venne poi istituita nei grandi comuni una sesta classe elementare (che insieme alla quinta) costituita la scuola popolare e venne inoltre prevista la formazione di classi miste. Questa legge portò anche ad altri benefici poiché istituiva dei corsi serali e festivi per gli adulti analfabeti, prevedeva un miglioramento dello stipendio dei docenti e proponeva un'assistenza scolastica per i bambini di famiglie disagiate. Nel 1923 vengono emanati una serie di decreti sotto il nome di riforma Gentile, che riguardavano l'obbligatorietà della scuola elementare e della scuola secondaria. Vengono inoltre definiti i programmi di ciascun ciclo di studi e di ciascun indirizzo. La scuola elementare viene divisa in tre gradi: preparatorio (dai 3 ai 6 anni), inferiore (della durata di tre anni) e superiore (della durata di due anni); dalla quinta elementare si trattava di un corso di avanzamento professionale della durata di tre anni. Dopo la scuola elementare si poteva scegliere se seguire un'istruzione professionale di tre anni oppure iniziare la scuola secondaria, divisa rigidamente per tipologia (istituto tecnico, istituto magistrale e ginnasio) con esami di ammissione e istituti con numero chiuso (numero massimo di 35 allievi per classe e numero massimo di classi per scuola). L'istruzione si completava frequentando i gradi superiori di questi istituti. Con questa riforma si privilegiava la selezione piuttosto che la diffusione della scuola, distinguendo fra chi continuava gli studi e chi li avrebbe conclusi subito dopo la scuola professionale. Viene inoltre dato rilievo alla cultura umanistica nella sua tradizione classica (latino). I Programmi didattici per la scuola elementare del 1955 riflettono l'egemonia democristiana del periodo, proponendo una scuola che si ispira alla "nostra tradizione umanistica e cristiana". Cives definisce questi programmi ambigui: se da una parte vi è un'apertura alla psicologia e una proposta didattica sulle scuole nuove, d'altra parte rimane una certa confessionalità e una visione del bambino come "tutto intuizione, fantasia e sentimento". La legge n.1859 del 1962 istituisce una scuola media unica, obbligatoria e gratuita che si ispira ai principi della Costituzione: la funzione della scuola è promuovere la formazione dell'uomo e del cittadino secondo i principi della Costituzione; venne inoltre istituito un doposcuola statale. Il processo di unificazione fu perfezionato eliminando il principio della facoltatività nel 1977 e definendo i programmi della scuola media unificata nel 1979 (e che tutt'oggi sono ancora applicati). Nel 1971 avviene l'avvio della scuola integrata o a tempo pieno, dopo i giudizi negativi nei confronti dei doposcuola: non si propone semplicemente una scuola più lunga ma una scuola di qualità pedagogica diversa, più aperta e collaborativa. Nel 1974 vennero introdotti gli organi collegiali (costituiti da docenti, personale non docente, genitori e studenti) nel tentativo di realizzare una partecipazione attiva alla gestione della scuola. Questo fu un primo passo verso l'autonomia della scuola: gli organi collegiali avevano competenze decisionali e si occupavano della programmazione e della valutazione dell'efficacia dell'azione educativa. Nel 1985 con il D.P.R n.104 sono stati emanati i Nuovi programmi della scuola elementare, il cui completamento si è avuto con la legge 148/1990, Riforma dell'ordinamento della scuola elementare. Le finalità erano l'alfabetizzazione culturale e l'educazione alla convivenza democratica (tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge). I nuovi programmi si ispiravano a Bruner e la visione del bambino è quella di un individuo competente il quale, attraverso un clima sociale positivo della scuola, può maturare le proprie capacità di azione diretta; la creatività non è solamente una capacità espressiva, ma è necessario cogliere il "potere produttivo". Questi programmi per essere attuati necessitavano di un ampliamento del tempo a scuola, ottenuto poi dalla legge 148/1990: da 24 ore settimanali si passò a 27 o 30 ore (e si introdusse l'insegnamento di una lingua straniera), consentendo comunque la scuola piena con un massimo di 40 ore. Nonostante gli insegnanti erano ormai abituati a lavorare da soli, si cercò di superare la figura del docente unico attraverso la realizzazione di un lavoro in équipe da parte dei docenti della stessa classe. Si rafforzò anche il principio dell'integrazione degli handicappati nelle classi normali. Un aspetto cruciale di questa riforma era la preparazione degli insegnanti, affidata a un piano pluriennale di aggiornamento rivelatosi però inadeguato. La legge n.341 del 1990, Riforma degli ordinamenti didattici e universitari, stabilisce una specifico corso di laurea articolato in due indirizzi (per la scuola materna e per la scuola elementare). Si è dovuto aspettare però qualche anno prima che entrassero in vigore, e ancora di più per la realizzazione di scuole di specializzazione per gli insegnanti della scuola secondaria. Ancora oggi non sono chiare le indicazioni sulla formazione degli insegnanti. Attraverso la legge n.59 del 1997, alle istituzione scolastiche viene riconosciuta personalità giuridica, autonomia organizzativa, finanziaria, di ricerca e di sviluppo: le singole scuole possono progettare percorsi formativi adeguandoli al contesto territoriale, economico e sociale così come il calendario scolastico, la flessibilità dell'orario e l'articolazione della durata delle lezioni (sempre però rispettando il monte ore annuali). Nel 1997, con il Piano per lo sviluppo delle tecnologie didattiche, viene introdotta la multimedialità e ancora oggi, attraverso il piano FOR TIC per la formazione degli insegnanti, si sta cercando di perseguire quest'obiettivo non ancora del tutto realizzato (malgrado i finanziamenti attuati). **4.2- Il dibattito attuale** Temi condivisi dalla maggior parte degli studiosi: - didattica attiva; - lavoro collaborativo; - interdisciplinarietà; - integrazione; - multimedialità; **6- Tecnologie a scuola: quale rapporto?** **6.1- Qualche numero** Negli ultimi anni abbiamo assistito a una grande rivoluzione, sia per quanto riguarda la diffusione delle tecnologie informatiche sia riguardo il modo di utilizzarle. Nel 1997 è stato avviato il *Programma ministeriale di sviluppo delle tecnologie didattiche* che ha consentito alla maggioranza delle scuole italiane di allestire aule mutimediali e di avviare attività di formazione per gli insegnanti. Confronto Italia-Unione europea nel 2001 Unione europea Italia ------------------------------------------------------- ---------------- -------- Numero di studenti per computer 12 18 Numero di studenti per computer collegato ad Internet 24 46 Scuole collegate a Internet 89% 89% Scuole in cui gli studenti hanno accesso a Internet 80% 80% Scuole con un indirizzo di posta elettronica 91% 91% Scuole con una pagina Web 49% 42% Scuole con una rete interna (Intranet) 53% 67% Computer con meno di 3 anni di età 51% 59% Computer donati alle scuole da privati 15% 8% Confronto Italia-Unione europea nel 2002 Il rapporto numero studenti-computer risulta migliorato (15), ma la diffusione dei computer presenta grandi differenze fra i diversi ordini della scuola e la situazione appare critica soprattutto per quanto riguarda la scuola elementare; allo stesso tempo però la condivisione dei computer ha incentivato il lavoro di gruppo. Anche l'accesso degli studenti a Internet è ancora basso: nonostante la maggior parte delle scuole abbiano un collegamento a Internet, solo il 20% possiede delle connessioni a larga banda. Il computer non è necessario solamente durante l'ora di informatica ma viene usato anche per altre attività di conseguenza la sua presenza è importante, non solo nei laboratori di informatica, ma soprattutto nelle classi; nel 2002 solo il 3% delle scuole era dotato di un computer per classe. Nelle scuole di livelli inferiori i computer sono utilizzati per la produzione di prodotti testuali, ipertesti e per le attività collaborative; nella scuola superiore si privilegia invece per le attività individuali come per esempio l'elaborazione dei dati e la programmazione. **6.2- Cenni storici** Il modo di utilizzare il computer nelle scuole è cambiato soprattutto a causa dei cambianti nei paradigmi scientifici e nelle teorie pedagogiche di riferimento (oltre che a causa dello sviluppo tecnologico). Il primo software didattico/programmi CAI (Computer Assisted Instruction) si ispirava al paradigma comportamentista di Skinner e alle teorie stimolo-risposta: è impossibile indurre un apprendimento fornendo determinati stimoli e rafforzando poi le risposte positive dello studente. **6.2.2- Il computer come ambiente di apprendimento: il linguaggio Logo e i micromondi** Il *linguaggio Logo* fu sviluppato da Seymour Papert: facendo riferimento al costruttivismo di stampo piagettiano, egli afferma che non deve essere il computer a programmare il bambino ma il bambino a programmare il computer. Il computer diventa un mezzo per allestire degli "ambienti di apprendimento", delle palestre cognitive in cui il bambino esercita la metacognizione: Logo propone una serie di *micromondi* in cui esplorare concetti logico-geometrici e/o linguistici. Il più importante è quello della "geometria della tartaruga": in esso il bambino può disegnare sullo schermo figure geometriche dando semplici comandi (avanti, indietro, sinistra, destra) a una "tartaruga", rappresentata da un triangolino luminoso che si muove sullo schermo. Un\'altra caratteristica di Logo è la modularità: possiede un vocabolario di base ma può imparare nuovi vocaboli e diventare via via sempre più esperto. L'utilizzo di un linguaggio di programmazione ha avuto molte implicazioni per i ricercatori; si tratta di imparare un linguaggio di comunicazione con la macchina, rigoroso dal punto di vista ortografico e sintattico: ordini dati in forma diversa o in sequenze diverse producono risultati diversi. I software di *simulazione* imitano il comportamento di fenomeni fisici, chimici, biologici, socioeconomici e anche mondi di fantasia allo scopo di far acquisire allo studente confidenza con il fenomeno e con le leggi che lo regolano; i software orientati invece al *problem solving* pongono gli studenti in una situazione (generalmente ludica) nella quale occore risolvere problemi. **6.2.2- Il computer come strumento per scrivere, compiere ricerche, presentare materiali** Negli anni '80, parallelamente all'introduzione di Logo, l'uso del computer comincia ad estendersi: diventa uno strumento flessibile al servizio della didattica quotidiana che permette di scrivere e pubblicare un testo, costruire il giornalino scolastico, comunicare con gli studenti di altre scuole, compiere ricerche, organizzare e archiviare i dati raccolti e costruire un libro ipermediale. Anche qui si adotta una prospettiva costruttivista, nella quale gli studenti sono gli "autori" e non semplice i "fruitori"di un prodotto e una prospettiva socio-costruttivista che promuove l'interazione sociale. **6.2.3- Multimedialità, ipermedialità, la rete Internet** Tra gli anni '80 e gli anni '90 nella scuola si afferma l'uso della multimedialità e in particolare dell'ipermedialità, per le attività di studio e per permettere agli studenti di costruire libri ipermediali. **6.3- Quale uso a scuola** Caratteristiche fondamentali del computer: - interattività; - programmabilità; - multimedialità; - dimensione sociale; Il "come" usare un computer dipende da una serie di scelte pedagogiche che non si limitano al semplice uso delle tecnologie: esse incidono profondamente sul modo di impostare la didattica stessa, portando verso una pedagogia del fare e del lavorare insieme. **6.3.1- Videoscritture e giornalino scolastico** Da molto tempo nella scuola c'è la necessità di sviluppare e diversificare le pratiche di scrittura, allontanandosi dal tradizionale "tema" scritto per mezzo di una penna e un foglio. Le pratiche di scrittura sono tantissime e possono trarre vantaggio dall'uso di programmi di programmi di *videoscrittura* come ad esempio Wordprocessor. In origine questi programmi non avevano nulla a che fare con l'apprendimento ma venivano usati per rendere più agevole e veloce il lavoro in segreteria. Ora non è più così: consentono di scrivere diversamente in quanto modificano il concetto stesso di scrittura. Vantaggi della videoscrittura: - favorisce il carattere "pubblico" dell'attività dello scrivere; - maggiore facilità con cui si possono compiere le revisioni di un testo; - maggiore leggibilità del testo e quindi più facilità nel riconoscere gli errori ortografici; - consente di smontare e rimontare un testo come se si trattasse di un materiale plastico; - offrono un aiuto alla pianificazione del testo; - i testi possono essere archiviati, trasformati e duplicati; Attraverso la redazione di un *giornalino scolastico* si vuole rendere i ragazzi protagonisti di un'attività motivante e finalizzata alla comunicazione. Ha quindi un carattere sociale, non solo perché è destinato a essere letto da altri ma anche perché per produrlo è necessaria la collaborazione di molti. Attraverso il computer, tutto il lavoro diventa più facile e veloce perché, avendo tutto memorizzato, molti passaggi ripetitivi vengono eliminati. Inoltre la grafica è molto più gradevole e l'uso delle immagini permette di avviare una riflessione sul rapporto tra illustrazione e testo scritto. Bisogna dedicare attenzione alla scelta del formato e all'impaginazione, che sono rilevanti non solo dal punto di vista estetico ma anche cognitivo. La diffusione delle connessioni ad Internet, ha spinto molte scuole a realizzare giornalini consultabili online che si staccano dalla materialità della carta e della penna e che sono organizzati non in maniera sequenziale ma secondo una logica ipertestuale. I vantaggi del giornalino scolastico sono all'incirca gli stessi della videoscrittura (che abbiamo elencato prima), tra cui il più importante è quello di favorire la collaborazione tra gli alunni. **6.3.2- Multimedialità e ipermedialità** Una didattica multimediale, che utilizza quindi diversi tipi di media e di linguaggi, può aiutare a sviluppare aspetti diversi della mente. Con il termine *multimedialità* si indica la possibilità di utilizzare linguaggi diversi (lingua scritta o parlata, immagini, animazioni..) in un unico strumento. L'ipertesto è un testo non lineare che riprende il modello associativo della memoria umana: le informazioni non vengono date sequenzialmente ma sono collegate fra loro attraverso una serie di legami; il lettore può quindi passare da un'informazione all'altra seguendo un proprio percorso. L'*ipermedia* è un sistema che applica metodi e tecniche ipertestuali alle informazioni di natura multimediale. E' costituito da una serie di piccole unità informative dotate di un'autosufficienza comunicativa (nodi) collegate fra loro attraverso dei legami (links) che definiscono le relazioni logiche che esistono tra i nodi. Attivando il links attraverso il bottone del mouse si può approfondire un determinato argomento, vedere la versione semplificata di un testo, saltare da una parte all'altra dell'ipermedia, attivare tabelle, grafici e filmati, prendere appunti e utilizzare un vocabolario. Presentare e rendere facilmente accessibile agli studenti una grande quantità di materiale diverso permette di sollecitare e soddisfare molte curiosità e molte richieste di apprendimenti. Dal momento che lo studente può decidere il proprio percorso di studi, ha una responsabilità attiva del proprio apprendimento: non apprende solo contenuti ma anche strategie di ricerca dell'informazione e di costruzione di competenze. I primi usi dell'ipermedia hanno individuato alcuni problemi, tra cui la difficoltà degli studenti di comprendere l'organizzazione generale del materiale proposto. Secondo alcuni autori, lo studio attraverso questa tipologia di documenti causa nello studente un sovraccarico cognitivo: egli deve compiere uno sforzo di concentrazione maggiore per fronteggiare contemporaneamente più compiti, per tenere a mente i collegamenti compiuti e per creare una mappa cognitiva del materiale; inoltre la forma attraente del materiale può costituire una fonte di distrazione per l'utente. E' possibile infatti fornire agli studenti delle linee guida per la progettazione dell'ipermedia, per far fronte alla distrazione e per motivarli ad esplorare l'ipermedia stesso attraverso un sostegno alla motivazione ad apprendere (esterno o interno all'ipermedia) e una guida procedurale non troppo rigida. Costruire e progettare un ipermedia ha una forte valenza educativa sia dal punto di vista cognitivo (poiché sollecita le abilità di costruzione di concetti e la capacità di creare collegamenti) e sia dal punto di vista sociale (poiché significa imparare a negoziare e a condividere i significati e imparare a costruire qualcosa insieme che sia interessante anche per gli altri). Allievi e insegnanti assumono dei ruoli flessibili e quest'ultimi non devono lasciarsi preoccupare dal prodotto ma programmare e monitorare i processi del lavoro comune e di ricerca del significato. La struttura dell'ipermedia non deve essere troppo "libera" e piena di collegamenti associativi poiché rischia di confondere l'utente; allo stesso tempo non deve essere troppo rigida e gerarchica perché limiterebbe quei vantaggi che si ottengono studiando per mezzo dell'ipermedia. *Telecomunicando* Ha avuto inizio nel 1993 per sperimentare forme di comunicazione e collaborazione tra 15 scuole di ordine diverso situate in 5 diverse città. Lo scopo era raccogliere informazioni riguardo un bene culturale della propria città e costruire un ipermedia per presentarlo e discuterlo con i compagni delle altre città. Al termine del lavoro, è stata fatta un prova finale che consisteva nel costruire in piccoli gruppi di 4-5 persone un cartellone riguardante i castelli medioevali a partire dal materiale fornito dai ricercatori: si è visto che i partecipanti del progetto avevano più capacità nel coordinare il gruppo e nell'organizzare le informazioni rispetto agli altri. Il nostro mondo E' un sito Web dove gli studenti della scuola elementare e media proponevano condividevano osservazioni e elaborazioni nell'ambito di tematiche legate all'educazione ambientale. Propone quattro spazi di lavoro che consentono di : - esplorare il mondo fuori e dentro la scuola attraverso una banca dati; - produrre informazioni da sottoporre al Comitato di Redazione che decide se offrire commenti critici o suggerimenti oppure pubblicarli all'interno dell'archivio; - discutere con gli altri attraverso un forum; - cercare indirizzi utili; *Il nostro castello* E' un progetto degli anni 1999-2000 che prevedeva la costruzione collaborativa di un ipertesto sui castelli medioevali fra classi elementari e medie di 3 città diverse. Nel sito sono presenti: - un forum di discussione per gli studenti; - un forum per l'attività collaborativa fra insegnanti e ricercatori; - pagine organizzate in forma di database dove gli studenti inseriscono i propri contributi per la creazione dell'ipertesto; Sono state realizzate anche delle riunioni periodiche che hanno contribuito a sostenere la comunicazione in rete. Benché l'argomento generale fosse condiviso da tutti gli studenti, le attività in classe si sono svolte in modo diverso tra loro ma tutte accomunate dal fatto che erano interdisciplinari (e non circoscritte nel curricolo di storia). L'iniziale incomprensione delle caratteristiche del forum ha costretto le classi a lavorare in parallelo, pubblicando sul sito i prodotti finiti e accompagnati da una descrizione; la reale collaborazione iniziò solamente in un secondo momento, attraverso lo scambio di prodotti abbozzati. *Euroland* Si proponeva di mettere in contatto studenti olandesi e italiani con lo scopo di costruire un mondo virtuale che illustrasse le caratteristiche culturali dei due paesi. La metodologia si ispirava al modello della Comunità di apprendimento: proporre un compito sufficientemente generico e richiedere ai partecipanti una definizione più puntuale. Dopo un brainstorming iniziale condotto prima in ciascuna classe e poi online, la comunità virtuale ha deciso di costruire una serie di case private, culturali e sociali. Per realizzare il principio dell'interdipendenza fra i gruppi, ai partecipanti italiani è stato assegnato il compito di costruire le casi culturali olandesi (e viceversa), promuovendo così lo scambio di informazioni; lo studente di nazionalità diversa non era considerato solamente un semplice "visitatore" del proprio paese ma un esperto cui chiedere una revisione del lavoro fatto. *ITCOLE* Dopo alcuni anni sono stati progettati degli ambienti informatici predisposti per l'apprendimento collaborativo a distanza chiamati CSCL. Uno di questi programmi è Synergeia: fu usato in modi differenti (in base alla cultura, all'età degli studenti e alla dotazione hardware) nel progetto ITCOLE che ha coinvolto 120 scuole in 4 paesi europei diversi. Il programma fu creato per supportare la costruzione collaborativa a distanza, secondo il modello della costruzione collaborativa di conoscenza e in particolare secondo il modello dell'indagine progressiva. Quest'ultimo è un modello circolare e ricorsivo nel quale la "comunità di scienziati" ripercorre a più riprese alcune tappe del percorso di indagine. Il primo passo è allestire il contesto per un determinato progetto e inquadrare il tema; i partecipanti presentano poi i problemi di ricerca e creano delle teorie anche di tipo "ingenuo" (personali), utilizzando le conoscenze pregresse e facendo inferenze; le teorie vengono sottoposte a una valutazione critica per sostenere o confutare le proprie teorie attraverso la ricerca di informazioni scientifiche; le teorie si affinano e si producono problemi più specifici da sottoporre nuovamente al processo di indagine. Gli insegnanti hanno commentato positivamente il lavoro svolto dai ragazzi, lamentando però carenze tecniche e difficoltà nell'organizzazione di tempi e spazi a scuola. Sostengono inoltre che: gli studenti hanno espresso in modo più libero le loro idee senza la paura di essere giudicati; si è sviluppata una buona collaborazione tra le classi e all'interno di esse; si è realizzata una maggiore metacognizione e una maggiore responsabilizzazione degli studenti; gli studenti accettano di più i punti di vista altrui.

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