Partiti e Movimenti Politici PDF

Summary

Questo documento analizza i partiti politici e i movimenti sociali, esaminando le loro caratteristiche, funzioni e origini. L'analisi include diverse prospettive teoriche, quali approccio strutturale, prospettiva genetica e prospettiva istituzionale, e propone esempi storici di partiti e movimenti in vari contesti. Il testo si concentra sulle funzioni dei partiti nella società, come l'integrazione dei cittadini e l'influenza sulle politiche pubbliche, e analizza i processi di formazione dei partiti attraverso le rivoluzioni e i conflitti sociali.

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PARTITI POLITICI E MOVIMENTI SOCIALI Marco Damiani 30/09/2024 I partiti costituiscono un passo avanti nella società moderna (fino a raggiungere la democrazia) perché i conflitti tra le diverse “parti” perdono il loro carattere di distruttività, non puntano all’annientamento del nemico, ma diventano...

PARTITI POLITICI E MOVIMENTI SOCIALI Marco Damiani 30/09/2024 I partiti costituiscono un passo avanti nella società moderna (fino a raggiungere la democrazia) perché i conflitti tra le diverse “parti” perdono il loro carattere di distruttività, non puntano all’annientamento del nemico, ma diventano espressione di diversi punti di vista per un’organizzazione competitiva e complessa della società. I partiti moderni sono quelli che gestiscono il conflitto attraverso la forza della migliore argomentazione ➔ capacità di convincere. Post WW2 nelle democrazie europee a suffragio universale i partiti presentano precise caratteristiche identificative: - Carattere associativo= org. libera - Presenza di un’organizzazione stabile (diff. Movimenti sociali) - Partecipazione volontaria - Condivisione di principi e valori - Finalità di conquistare cariche elettive “In tutti i tempi e sotto tutti i sistemi politici esistono dei raggruppamenti (più o meno) organizzati in vista della conquista e dell’esercizio del potere politico” -Maurice Duverger Alexis de Tocqueville in Francia l'aristocrazia si sta trasformando in un modello diverso, un passaggio era senza ritorno. Tocqueville va in America per capire cosa è la democrazia: “Io chiamo grandi partiti politici quelli che badano più ai principi che alle conseguenze, alle generalità più che ai casi particolari, alle idee più che agli uomini. Questi partiti hanno in genere lineamenti nobili, passioni più generose, convinzioni più salde e procedimenti più franchi e arditi degli altri. L’interesse particolare, che ha pur sempre la sua parte nelle passioni politiche, è in essi più abitualmente nascosto sotto il velo dell’interesse pubblico e talvolta riesce anche a celarsi alla vista di quelli stessi che agiscono sotto la sua spinta. I piccoli partiti, al contrario, sono in generale senza fede politica, non essendo sostenuti da grandi obiettivi, hanno un carattere egoistico che si manifesta in ogni loro azione: si entusiasmano a freddo, sono violenti nel linguaggio, timidi e incerti nell’azione; impiegano mezzi puerili come gli scopi che si propongono. Per questa ragione, quando un tempo di calma succede a una rivoluzione violenta, sembra che i grandi uomini scompaiano a un tratto e che le anime si rinchiudano in se stesse. I grandi partiti rovesciano la società, i piccoli l’agitano; gli uni la ravvivano, gli altri la depravano; i primi talvolta la salvano scuotendola, mentre i secondi la turbano sempre senza profitto.” - La democrazia in America Definire un partito oggi, 3 criteri: Criteri funzionalisti→ in relazione ad obiettivi specifici, ciò che permette di conseguire determinati obiettivi (ex: partito ambientalista programma la sua organizzazione in funzione della cura dell’ambiente) Criteri relativi al profilo organizzativo→ preminenza di tale variabile nell’articolazione delle tipologie Criterio della teoria della scelta razionale. Requisiti minimi: - Organizzare la partecipazione degli iscritti (che condividono valori e ideali) - Formulare un programma di politiche pubbliche - Dimostrare di avere una vita più lunga di un’unica tornata elettorale Ne rimarrebbero ovviamente esclusi movimenti sociali, gruppi politici e/o di pressione (, “partiti flash” che compaiono solo per la tornata elettorale. A cosa servono? 1) Integrazione e mobilitazione dei cittadini: fungono da canali per integrare individui e gruppi nell’ordine sociale esistente o, al contrario, strumento per modificare il medesimo ordine, i partiti cercano di organizzare il conflitto raggruppando gli interessi dei gruppi; 2) Strutturazione del voto: organizzano le campagne elettorali e tutte le attività genericamente definite electioneering; 3) Aggregazione degli interessi: esercitano il ruolo di gate keeper (di filtro) tra le istituzioni e la società; 4) Reclutamento dei leader e del personale politico: controllano i processi attraverso cui si assestano posizioni di autorità; 5) Organizzazione del potere di governo: si preoccupano di gestire la formazione e la strutturazione del potere esecutivo; 6) Influenza delle politiche pubbliche: sono attori titolari di capacità di problem-solving e, in particolare, di influenzare il processo decisionale. Giovanni Sartori individua una funzione minima (o definiente) = funzione elettoralistica. Alcune funzioni le possono svolgere anche altri soggetti o movimenti, purché si parli di partito si deve parlare di elezione= è un partito se speri di essere eletto.  Oggi il termine partito ha un’accezione negativa (da mani pulite). I partiti istituzionalizzano i conflitti= portano i conflitti (del popolo) alle istituzioni, li portano al parlamento per poterli trattare con gli strumenti della democrazia. 1/10/2024 COME NASCONO I PARTITI? Per spiegare la nascita si ricorre a: 1. Approccio strutturale 2. Prospettiva genetica 3. Prospettiva istituzionale Un partito può nascere dentro o fuori dell’istituzione, Duverger distingue: Partiti a origine interna, che nascono all’ interno dei Parlamenti, in una situazione di suffragio ancora ristretto (ex storici: partiti conservatori e liberali, ex Monti). Partiti a origine esterna, sono quelli che nascono nella società, fuori dai parlamenti. Storicamente si rivolgono a un elettorato che non ha ancora conquistato il suffragio. Normalmente sono il prodotto di una preesistente istituzione non pratica: sindacati (partiti socialisti), confessioni religiose (partiti cristiano-democratici), organizzazioni militari (partiti fascisti o nazisti), gruppi clandestini (partiti comunisti). In Italia nasce prima il partito comunista e dal partito si fonda poi il sindacato APPROCCIO STRUTTURALE➔ Partiti parlamentari, nascono all’interno del parlamento e, in genere, non sono altro che organizzazioni tra parlamentari. Partiti extra parlamentari, fanno leva su organizzazioni esterne al parlamento come la chiesa e i sindacati (part. Confessionali/socialisti). Partiti antiparlamentari, nascono nel momento in cui si manifestano critiche alla democrazia, incalzando il malcontento e insoddisfazione (comunisti, fascisti, nazisti). La politica è sempre in profonda e veloce trasformazione (perché ad oggi i partiti sono distanti al popolo?), perché le forme di organizzazione politica riflettono le forme di organizzazione della società. Rincorrere i cambiamenti sociali è difficile. Ex: i partiti di massa rispondevano ad un’esigenza della società di massa. ❖ Primi ‘800, formazioni di origini parlamentari, in condizioni di suffragio ristretto (partiti liberali e conservatori); ❖ Metà ‘800, rafforzamento delle strutture destinate a collegare partito e elettorato, in concomitanza con l’estensione del suffragio e ampliamento della propria influenza elettorale si tutto il territorio nazionale (partiti radicali); ❖ Fine ‘800, affermazione dei primi partiti di massa con l’ulteriore allargamento del suffragio (partiti socialisti e popolari); ❖ Primi ‘900, nascita dei partiti estremisti (partiti fascisti e nazisti, partiti comunisti). PROSPETTIVA GENETICA➔ Lipset e Rokkan ⟾ teoria dei cleavages I sistemi partitici tendono a riflettere l’evoluzione storica di alcuni conflitti (o fratture=cleavages) sociali Fratture che attraversano una comunità, caratterizzando conflitti particolarmente aspri e prolungati, radicati all’interno della società. Questi conflitti costituiscono fattori di aggregazione e di identificazione tra membri di una comunità, creano le condizioni per l’affermazione di un nuovo soggetto politico. L. e R. vedono due grandi rivoluzioni in età contemporanea→ due durante il proc. di costruzione dello stato nazione e due durante il proc. di costruzione del capitalismo industriale. I principali partiti europei corrispondono a 4 cleavages, a loro volta interpretati come prodotti delle maggiori rivoluzioni: Rivoluzione nazionale Rivoluzione industriale cleavages Centro-periferia Lavoro-Capitale Stato-Chiesa Urbano-Rurale RIVOLUZIONE NAZIONALE Processo fondativo degli Stati nazionali, che tenta di costruire la nazione contro le minoranze (linguistiche, etniche, religiose) e contro la Chiesa (che vuole conservare i privilegi): 1. frattura centro/periferia: conflitto tra un centro politico, culturale ed economico e le aree periferiche, progressivamente accorpate nelle strutture amministrative centrali. Questo conflitto esprime l'opposizione all'accentramento territoriale dello Stato, simbolicamente rappresentato dall'affermazione di una lingua nazionale, alla quale le regioni periferiche rispondono con la difesa della propria lingua autonoma; l’esistenza di conflitti tra centro e periferia è abbastanza costante, solo in alcuni stati queste tensioni vengono politicizzate. Es: Spagna tra Barcellona e Catalogna 2. frattura Stato/Chiesa: si verifica quando il processo di costituzione dello Stato nazionale passa attraverso un aspro confronto con la Chiesa cattolica. Alla base dello scontro vi è il controllo di competenze specifiche prima in capo alla Chiesa (anagrafe, istruzione, matrimonio, etc.). La Chiesa, infatti, sia cattolico-romana che luterana o riformata, aveva reclamato per secoli il diritto di rappresentare la condizione spirituale dell'uomo e di controllare l'educazione dei bambini nella fede religiosa. RIVOLUZIONE INDUSTRIALE Stimola il conflitto tra classi emergenti in merito alle forme di produzione e alla proprietà dei mezzi di produzione: 1. frattura urbano/rurale (o città/campagna): esprime il conflitto degli interessi tra agrari e nascente borghesia imprenditoriale. L'abbassamento delle barriere doganali favorisce il commercio nei centri urbani, danneggiando gli interessi dei proprietari terrieri (diminuendone i guadagni) e sfociando nella creazione di specifici partiti a difesa degli interessi delle campagne; 2. frattura capitale/lavoro: concerne il conflitto storico tra borghesi e proletari (imprenditori e operai). Le battaglie per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori si scontrano con le ambizioni di accumulazione capitalistica dei padroni. In tutte le democrazie europee, i lavoratori tentarono di superare il loro svantaggio nel mercato del lavoro fondando partiti, che lottavano per ridurre le diseguaglianze sociali ed economiche e i loro effetti nel sistema politico. L’evoluzione di questi partiti venne in buona misura influenzata dalle reazioni dell’élite verso le rivendicazioni operarie: tendenza delle classi dirigenti ad integrare portava a partiti di sinistra più moderati e viceversa. FRATTURE CONFLITTI PARTITI ESEMPI Centro/periferia Lingua, cultura, Etno-regionalisti Partiti federalisti, Lega economia nord Stato/Chiesa Istruzione, matrimonio Cristiano-demo e liberali DC, CDU, liberali inglesi Urbano/rurale Barriere doganali Conservatori e contadini Conservatori inglesi Capitale/lavoro Condizioni di lavoro e Operai e socialisti Socialisti, laburisti salari Da queste fratture la nascita di alcuni partiti come: conservatore, agrario, liberale, confessionale, socialista. Con la rivoluzione bolscevica nel 1917→ partito comunista (e per reazione i partiti fascisti). 07/10/2024 Nel tempo queste fratture si sono (alcune) risolte o affievoliti, con il cambiamento della società si ha anche un mutamento delle fratture. Nuove fratture: - Globalizzazione - Ecologico-ambientale - Diritti civili - Pacifismo Queste nuove fratture sono determinate dalla diffusione di conflitti originati da issue post-materialiste, non più centrati sul concetto di eguaglianza/diseguaglianza ma ispirati a valori non materiali. Ciò determina la costruzione di nuovi partiti e movimenti sociali. Con la globalizzazione nasce una nuova frattura: populista. Una differenza tra chi della globalizzazione ci guadagna e chi ci perde= noi/loro (es: Italiani prima di Salvini; American first di Trump), amico/nemico, popolo/establishment. PROSPETTIVA ISTITUZIONALE➔ Criticando l’approccio strutturale e genetico dei modelli di conflitto sociale, la prospettiva istituzionale lega la nascita di nuovi partiti politici agli esistenti assetti istituzionali, e cioè all’insieme di regole, procedure, norme e valori incorporati nelle istituzioni. Così la formazione dei partiti politici sarebbe influenzata dallo sviluppo delle istituzioni statale moderne. Nella prospettiva istituzionale vengono individuate delle “soglie” (o “chiuse”) che vengono superate durante il processo di democratizzazione. 1) soglia della legittimazione: implica il riconoscimento da parte delle élite esistenti di libertà "negative" (di petizione, di apposizione di critica, di dimostrazione) e al regime politico esistente; 2) soglia dell'incorporazione: richiede la comparsa dei diritti della partecipazione politica (allargamento del suffragio). Posso avere diritto di pensiero e parola, ma ciò non assume pieno valore se non partecipo attivamente nel processo decisionale; 3) soglia di rappresentanza: implica la sostituzione di sistemi settoriali "chiusi” con sistemi "aperti"; (maggioritario-proporzionale-premio di maggioranza). 4) soglia del potere esecutive: riconoscimento della responsabilità di governo a tutti i partiti o coalizioni che controllano la maggioranza dei seggi parlamentari. (l’opposizione non è una minoranza esclusa dalle istituzioni, ma attore avente la possibilità di governare). 14/10/2024 TIPOLOGIE DEI PARTITI POLITICI Studiamo non la storia dei partiti ma i modelli che li caratterizzano -partiti di notabili -partiti di massa -partiti pigliatutti -partiti di cartello 1) Partiti di notabili (di élite, o di quadri): Seconda metà dell’Ottocento Max WEBER: «grandi organizzazioni di patronato degli uffici». Sigmund NEUMANN: partiti di «rappresentanza individuale», simile ad un comitato elettorale e che si attiva solo durante le elezioni. Sono, in genere, partiti conservatori e liberali: formatisi in un contesto di suffragio limitato, prima in G.B. e poi nel resto d'Europa; di "rappresentanza individuale", cioè rappresentativi soltanto di interesse di piccole élite; la partecipazione si risolve (quasi) esclusivamente nel voto; la membership è composta da ristretti gruppi di persone; le risorse economiche sono sostanzialmente personali; l'organizzazione è leggera e a "fisarmonica"→ un partito che rappresenta la società di élite del tempo, che si attiva quando ci sono le elezioni e si scioglie quando finiscono. l'obiettivo principale consiste nell'elezione del notabile di turno. Perché i partiti si organizzavano così? Perché era così la società che dovevano rappresentare= non serviva altro. 2) Partiti di massa (burocratico o organizzativo): Tra fine ‘800 e inizio ‘900, con la rivoluzione industriale le masse diventano partecipi e protagoniste della vita sociale e politica. In questo cambiamento della società cambiano anche tutti i partiti➔ se vogliono costruire un consenso all’interno della società in mutazione, devono cambiare. Nascono agli inizi del '900, dopo l'allargamento del suffragio elettorale: nasce la "democrazia dei partiti". Oltre alla variante democratica conobbero anche quella totalitaria dei partiti comunisti e nazi-fascisti. (Quando entrano in politica coloro che non hanno rendite proprie, si ha il bisogno di fare della politica una professione→partito burocratico di massa) Max WEBER: Forza Italia ecc Partito personale - Calise Costituito attorno ad un leader carismatico capace di conquistare un ampio elettorato Orientato alla valorizzazione della leadersip Si sostiene attraverso i detentori delle cariche elettive —> l’esito del partito è legato al comportamento del leader, sia in positivo che negativo. Modello non applicabile ai vecchi partiti perchè i vecchi leader non potevano esistere fuori dal loro partito (Togliatti non poteva esistere fuori dal pci) ora è il contrario (Italia viva non può vivere senza renzi) Partiti etneo-regionalisti Nascono dalla frattura centro-periferia. Principale caratteristica è rappresentare gruppi territoriali, con un’identità comune specifica basata sulla comunanza di lingua, culturale, territorio, storia. Possono essere molto diversi tra loro ma hanno caratteristiche comuni: - Origine - Obiettivo di difendere interessi di diversa natura che un gruppo mostra nei confronti dell’intera popolazione nazionale - Richiesta di autonomia (secessione o autonomia amministrativa) Attualmente stiamo vivendo un periodo di Crisi dei partiti Crisi degli iscritti, del consenso elettorale, della selezione del personale politico, della capacità di condizionare l’agenda politica. Comunque, resistono e sopravvivono perché svolgono funzioni essenziali non assolvibili da parte di altre organizzazioni —> Gatekeeper Differenza politica-amministrazione —> la politica è la sfera che dirige e prende le scelte, l’amministrazione mette in atto le scelte POPULISMO I nuovi partiti che hanno successo sono quelli populisti Populismo: contrapposizioni popolo vs élite 1) Organizzazione del conflitto tra noi e loro➔noi (popolo autentico) vs loro (elite corrotta); 2) Appello diretto al popolo (inteso come attore unico e invisibile); 3) Uso di uno stile di comunicazione aggressivo e caricaturale; 4) Elevata dose di semplificazione del linguaggio politico Esistono due populismi: Orizzontale: preso spesso dalla destra populista, in cui “noi” è inteso come popolazione omogenea (es. prima gli italiani, noi americani; chi ha abitudini e lingua diversa mette in pericolo la nostra storia) Verticale: noi popolo che perde dalle riforme del lavoro, dai cambiamenti sociali e pochi che guadagnano, es. movimenti no global di sinistra di opposizione alla globalizzazione neoliberista) Populismo non è solo ciò che non ci piace. è una nuova contrapposizione politica 22/10/2024 Esempi italiani di partiti populisti: Lega→ modello per eccellenza= dialettica voi-loro prima regionale e poi su scala nazionale Fratelli d’Italia Forza Italia→ Berlusconi il primo populista PD→ ad oggi meno collocabile in questo asset= Renzi con la “rottamazione”→ noi-loro= giovani contro vecchi del partito. AVS M5S→ “cittadini” Declinazioni di populismo o Ideologia “debole” Autore: Mudde (2007). Fa riferimento a una sorta di ideologia "debole", fondata sulla contrapposizione "popolo" puro Vs. "elites" immorali e corrotte. Il contenuto populista opera come una sorta di adattamento nei confronti delle ideologie "dure", dando luogo ad una combinazione politica ibrida che combina contenuti ideologici tradizionali e non. o Retorica politica Autori: Jagers e Walgrave (2007). Fa riferimento alla declinazione di populismo inteso come insieme di strumenti legati a una diversa modalità di comunicazione politica. Riarticolazione del linguaggio! I media rappresentano lo strumento privilegiato attraverso il quale alcuni leader emergono e si rafforzano nel corso del tempo. o Strategia di potere Autore: Weyland (2001). Fa riferimento alla declinazione di populismo inteso come apparato di strumenti in grado di raggiungere posizioni di potere politico altrimenti non raggiungibili. Concepisce il populismo come apparato strumentale volto al conseguimento del potere mediante strategie orientate al raggiungimento della vittoria finale. Il populismo, nasce in Russia (e negli stessi anni in USA) intorno alla metà del XIX secolo. Si proponeva l’emancipazione delle masse contadine, la fine dello zarismo e la creazione di una società di eguali. Negli Usa fu fondato il People’s Party nel 1891, animato dai lavoratori del cotone del sud, organizzava lotte radicali di agricoltori e contadini contro banche, grandi patrimoni ed élites (forma di rurarismo). Il populismo in Italia? 4 stagioni: 1) Non democratica (PNF, contro i liberali) 2) “prima” repubblica (UQ= uomo qualunque, partito polulista che si candida contro i partiti) 3) “seconda” repubblica (LN, FI, IdV) 4) “terza” repubblica (Lega, M5S, Fd’I…Renzi?) Oggi si parla di NEOPOPULISMI➔ Reazione alla globalizzazione. Creazione di un nuovo cleavage: contrapposizione winners/losers. Winners: accrescono le proprie possibilità di guadagno grazie alle opportunità concesse dal processo di "denazionalizzazione" e di apertura dei mercati internazionali. Losers: percepiscono un progressivo peggioramento del proprio stile di vita, scandito dai costi sociali che lo stesso processo di globalizzazione determina sull'equilibrio dei flussi occupazionali e sui meccanismi di redistribuzione del reddito. La divisione DX e SX (sebbene nasca in contrapposizione da entrambe le parti) Dimensione materiale Dimensione politica Dimensione simbolica Populismo Intende redistribuire, in termini Mira ad accrescere il Concepisce il concetto di inclusivo (di economici e monetari, le livello della popolo nella dimensione sinistra) risorse pubbliche a vantaggio di partecipazione e della estensiva del "noi", specifici gruppi sociali, in modo rappresentanza, includendo in esso tutti i da fornire loro gli strumenti atti accogliendo al proprio gruppi sociali che al superamento delle forme di interno gruppi sociali subiscono una qualche discriminazione a loro altrimenti esclusi. forma di discriminazione svantaggio. e/o vivono una situazione di subalternità politica. Populismo Si fonda sull'esclusione di tali Si qualifica per Presuppone una esclusivo (di gruppi dall'accesso alle l'esclusione consapevole definizione ristretta di destra) medesime risorse finanziarie. degli out-group dalla people che ammette una piena partecipazione e declinazione più rappresentanza al omogena del "noi", In sistema politico. quanto costituito da una popolazione che condivide gli stessi riferimenti culturali, linguistici e religiosi. 04/11/2024 SISTEMI POLITICI: CRITERIO DI DISTINZIONE DI DUVERGER ❖ La qualità e la complessità d’un sistema politico dipendono dal numero “aritmetico” dei suoi partiti. Esistono sistemi politici: 1) Monopartitici, tipico di sistemi non democratici, non c’è una logica di alleanze ma di monopolizzazione. (Fascismo, Cuba oggi) 2) Bipartitici, che D. predilige→ perfetto (Gran Bretagna) o imperfetto (Italia, prima Repubblica). La democrazia permette che ci siano almeno due partiti ad alternarsi al potere. Rendono il governo più stabile (es. in USA i presidenti restano per tutto il mandato) perché la maggioranza non è fondata su alleanze (che incrementano situazioni di sfiducia interne). 3) Multipartitici, costituiti da più partiti. (Italia oggi?) Critiche a Duverger: la classificazione numerica non regge all’accertamento empirico: non tutti i regimi non democratici hanno un solo partito (Russia), i regimi bipartiti sono rari (UK ad esempio hanno anche i liberali), il multipartitismo ha molte varianti→ inefficaci, ma non solo (ad esempio in Svezia). In particolare: - Non è vero che il bipartitismo è l’unico sistema partitico funzionante: ci sono esempi di democrazie multipartitiche (Olanda, Svizzera…) - La classificazione di Duverger non chiarisce bene come si contano i partiti→ (Conti tutti? Solo quelli che salgono al governo?... )  LA CLASSIFICAZIONE DI SARTORI Per una giusta classificazione dei sistemi politici, al criterio numerico Sartori aggiunge altri tre criteri: potenziale di rilevanza (o di coalizione): per poter essere contato un partito deve dimostrare di avere una certa rilevanza nella formazione della maggioranza di governo (indipendentemente dalla sua partecipazione diretta o indiretta) (Es. Italia dei valori) → un partito come M5S di Beppe Grillo non verrebbe incluso in questo criterio perché puntava ad una maggioranza senza coalizione; potenziale di ricatto (o di intimidazione): un partito che non ha affinità coalizionali può essere contato se dimostra una rilevante capacità di ricatto nell'identificazione della linea politica e nella formazione delle politiche pubbliche (Es. Rifondazione comunista) → di chi dice “o mi stai a sentire e metti nel programma quello che dico anche io o il governo non si fa”; potenziale di polarizzazione (o di distanza ideologica): si riferisce alla distanza ideologica di certi partiti che, in alcuni sistemi politici, vengono regolarmente scartati nella formazione delle maggioranze di governo (Es. partiti dell'estrema destra). Sartori quindi, combinando questi criteri, individua 7 sistemi politici: Non competitivi: Competitivi: 1) monopartitici 3) a partito predominante 2) egemonici 4) bipartitici 5) multipartitici limitati 6) multipartitici estremi 7) atomizzati Monopartitici: esiste un solo partito che a seconda dei casi può essere ideologico (fascisti, nazisti…) o pragmatico (stati africani, che garantivano continuità, es. Guinea o Tanzania) Egemonici: Tollerano la presenza di partiti minori che possono conquistare seggi in Parlamento, ma ai quali non verrà consentito di diventare maggioranza, né di acquistare il governo del Paese. Alcuni esempi: o partito operaio unificato della Polonia, che consentì la presenza di partiti inferiori, ai quali venivano accreditate minoranze parlamentare; o partito rivoluzionario istituzionale del Messico che, pur riconoscendo la presenza di partiti inferiori, contava sul fatto che questi mai avrebbero raggiunto la Presidenza del Paese. A partito predominante: Esiste un partito che per un lungo periodo di elezioni democratiche ottiene un numero abbastanza elevato di seggi (a volte senza conquistare la maggioranza assoluta) sufficiente per farlo governare da solo. Alcuni esempi: partito socialdemocratico in Svezia→ per 20 anni ha governato come partito di minoranza perché considerato il male minore partito laburista in Norvegia; partito del Congresso in India; partito liberaldemocratico in Giappone. In tutti i casi: Se utilizzassimo il criterio numerico sarebbe sistema politico multipartitico (da 3 a 7, no perché è sempre lo stesso al governo) = con il criterio di rilevanza: sistema a partito predominante. La Dc non è mai stato un partito "predominante", ma al max "dominante", nel senso che era il principale di una coalizione. Bipartitici: Seppure dal punto di vista numerico potenzialmente catalogabili come sistemi multipartitici, potranno definirsi bipartitici soltanto se contemporaneamente si verificheranno tali ipotesi: 1. soltanto due partiti, sempre gli stessi, possono alternativamente contendersi il governo del Paese; 2. uno di questi ottiene effettivamente la maggioranza parlamentare dei seggi; 3. il partito vittorioso decide di governare da solo; 4. l'alternanza al governo tra i due partiti considerati risulta un’ipotesi attendibile, verificabile e "periodicamente" soddisfatta. Esempi: USA e Gran Bretagna; Australia; Canada. Multipartitici: multipartitismo secondo Sartori può essere: o limitato→ 3-5 partiti rilevanti (per la formazione di governo), es. Germania. Funzionano con logica moderata e centripeta (convergono verso il centro), producono alternanze di governo, con la possibilità di accesso fornita a tutti i partiti rilevanti. o estremo→ >5 partiti rilevanti, es. Italia della prima Repubblica/Rep. Weimar Funzionano con logica centrifuga nel senso che i partiti estremi cercano di crescere svuotando il centro. Le opposizioni sono politicamente irresponsabili, in quanto possono formulare programmi o manifestare comportamenti rispetto ai quali sono chiamati a rispondere di fronte al proprio elettorato. (politica dell’annuncio→ sapendo che un partito non salirà mai al governo tenderà a “rilanciare” soluzioni irrealizzabili) Funzionano a bassi tassi di rendimento, con forti tensioni al collasso. Atomizzati: quelli in cui nessun partito conquista percentuali consistenti di voto o mostra una consistente longevità. TRASFORMAZIONI DEI SISTEMI POLITICI Più in generale i sistemi di partito sono caratterizzati da: 1. sostanziale stabilità, successiva alla loro comparsa e al conseguente consolidamento: una volta strutturatisi i partiti continueranno ad occupare il medesimo spazio, godendo dei rispettivi vantaggi di posizione; 2. (più raramente) significativi cambiamenti, riguardo ai principali attori e alle dinamiche di funzionamento, a seconda del cambiamento delle regole elettorali. Ora si parla di crisi dei partiti. Vero solo in parte - i partiti sono sostanzialmente sempre gli stessi dagli ultimi 30 anni (eccezione: italia) - l’asse destra-sinistra continua ad essere la principale strutturazione 05/11/2024 I GOVERNI: sono espressione della maggioranza del parlamento (nei regimi parlamentari) Governo→ dal greco “timone”, il governo guida la nave del sistema politico. È l’organo a cui compete l’esercizio del potere esecutivo. Prima di Montesquieu il potere era monistico e risiedeva interamente nelle mani del monarca, DOPO si assiste alla separazione dei poteri: perché potesse ancora governare il Re doveva andare in Parlamento→alle leggi del parlamento è sottoposto anche il potere giudiziario. I governi si distinguono: - esecutivi nati dal seguito di un’investitura popolare diretta; - esecutivi nati da maggioranze parlamentari, solo indirettamente eletti dal popolo. Da ciò: forme di governo presidenziali (USA), parlamentari (IT) o semipresidenziali (FR, con esecutivo duale: Presidente e Primo Ministro→ possono appartenere a due partiti di colore diverso con l’obiettivo di non eliminare il dualismo della rappresentanza= cohabitation). Con l'elezione diretta del capo dell'esecutivo, chi vince diventa automaticamente detentore del potere esecutivo, senza mediazioni, né particolari contrattazioni politiche. Come viene scelto il candidato: attraverso elezioni primarie (Usa); senza precedenti legittimazioni elettorali, ma con forti sostegni partitici (es. Italia); attraverso l'aiuto di modalità alternativa di mobilitazione politica (raccolte di firme, sostegno di comitati appositamente costituiti, etc.). Con sistema politico strutturato, il capo dell'esecutivo è espressione di un singolo partito o di una coalizione di partiti. Con sistema politico non strutturato, la selezione del candidato è più problematica, potrebbe essere la coalizione stessa che si forma attorno ad un leader forte. VARIABILE CONGIUNTURALE Nei sistemi parlamentari, la selezione del capo dell'esecutivo è più problematica. Generalmente: nei sistemi bipartitici: la candidatura è tutta interna al singolo partito. Il leader di partito è generalmente il candidato prescelto (Es.: Gran Bretagna)→ non sempre. Es: Trump e Harris sono candidati rappresentanti di una parte politica, ma non sono leader di un partito. nei sistemi multipartito: la selezione del capo dell'esecutivo dovrebbe premiare il leader del partito con la maggioranza relativa all'interno della coalizione:  se la coalizione è composta da un partito con la maggioranza assoluta, allora sarà il leader di quel partito a diventare candidato (Es.: Svezia, Norvegia, Giappone);  se la coalizione è più composita, allora la scelta diventa più difficile: se c'è accordo può diventare candidato il leader del partito maggiore, o colui che riceve maggiore apprezzamento tra gli alleati, o quello del partito che riesce a giocare il miglior ruolo di mediatore della coalizione. TEORIA DELLE COALIZIONI La costituzione delle coalizioni di governo dipende da numerosi fattori: uno di questi è dato dal principio della minima maggioranza vincente➔ concerne il conseguimento del minor numero possibile di seggi in grado di sostenere la maggioranza assoluta in Parlamento. GOVERNI DI MINORANZA➔ In Svezia: governi Sx di minoranza sono stati la norma per molti anni; - gli ex comunisti, generalmente non apprezzati dai Sa, non hanno propensione a mettere in crisi un governo di minoranza quando è ciò che più si avvicina di più alle loro aspettative; una "grande coalizione" contro i Sd è improbabile. A queste condizioni è stato possibile costituire governi Sd di minoranza, dove Verdi ed ex comunisti, con la loro astensione, potevano garantire la solidità della maggioranza. minority government diverso da minimun winning governo di minoranza diverso da coalizione minima vincente Italia (1960/90): numerosi governi democristiani di minoranza (detti monocolore o balneari), nati in situazioni di emergenza e destinati a durar soltanto per il tempo dell'ordinaria amministrazione. GOVERNI DI PARTITO Sono coalizioni di governo in cui i partiti politici rappresentano gli attori principali, all'interno delle cui compagini esercitano un ruolo fondamentale, a volte esclusivo. Quasi sempre i governi delle democrazie contemporanee sono "governi di partito" (party-government).  CONDIZIONI DEL PARTY-GOVERNMENT Le decisioni di governo vengono assunte da parti direttamente appartenenti al partito; l'approvazione (o non approvazione di determinate tipologie di politiche pubbliche viene decisa all'interno del partito; le cariche di governo vengono scelte tra gli esponenti del partito(i) vincente(i). Es. Italia, prima Repubblica (e non solo...) COSA FA IL GOVERNO Negli ultimi decenni i compiti del governo sono notevolmente aumentati, conferendo un peso politico maggiore al ruolo del potere esecutivo, intervenendo massicciamente nella società e nell'economica. Nasce lo stato sociale (Welfare State) e l'intervento dello Stato in economia, che attraverso le tasse finanzia servizi ai cittadini: John Maynard KEYNES, con investimenti pubblici, intende stimolare la domanda dei beni, contenendo la disoccupazione. FORME DI GOVERNO Si distinguono varie forme di governo, a seconda dei rapporti esistenti tra governo e parlamento: PRESIDENZIALI; SEMIPRESIDENZIALI; PARLAMENTARI, a cui si deve aggiungere una quarta categoria: DIRETTORIALE, formata da esecutivi collegiali sul modello della Svizzera e della ex Jugoslavia comunista. FORMA DI GOVERNO PRESIDENZIALE CARATTERISTICA FONDAMENTALE: il capo dell'esecutivo viene direttamente eletto dai cittadini, senza alcuna forma di legittimazione parlamentare. Anche il Parlamento (spesso denominato "Congresso") viene eletto direttamente dal popolo, con leggi elettorali diverse, a seconda del caso: con sistema maggioritario in circoscrizioni uninominali (Usa); o con vari sistemi proporzionali, o misti (alcuni Paesi Sud-americani). POSSIBILI PROBLEMI: il Presidente non ha la fiducia di uno dei due rami del Parlamento: in questo caso nasce un «governo diviso»; il Presidente gode di una così vasta maggioranza parlamentare da costituire un rischio per la sopravvivenza dell'opposizione politica. Il «governo diviso»: potrebbe portare ad una competizione e/o collaborazione tra il Presidente e il Parlamento; potrebbe generare confusione nell'identificazione tra responsabili del buongoverno e quelli del malgoverno. FORMA DI GOVERNO SEMIPRESIDENZIALE Per Giovanni Sartori, il semipresidenzialismo non è un "presidenzialismo temperato", né un "parlamentarismo potenziato": è una forma di governo autonoma, teoricamente adottata per cercare di perseguire alcuni dei pregi del presidenzialismo, evitando al contempo i difetti più evidenti del parlamentarismo. CARATTERISTICHE FONDAMENTALI: - il Presidente della Repubblica viene direttamente eletto dai cittadini, senza alcuna forma di legittimazione parlamentare; o anche il Parlamento viene direttamente eletto dal popolo; - il Parlamento non può sfiduciare il Presidente, salvo la messa in stato d'accusa per alto tradimento della Costituzione; - il Presidente non è il titolare del potere esecutivo, pur condividendo con il Primo Ministro l'esercizio del potere su alcune materie costituzionalmente regolate; - il Primo Ministro viene nominato dal Presidente della Repubblica, seppure chiamato ad ottenere la maggioranza parlamentare. RAPPORTI TRA PRESIDENTE E PRIMO MINISTRO: il Primo Ministro ha una doppia responsabilità, sia di fronte al Parlamento che di fronte al Presidente; il Primo Ministro può chiedere lo scioglimento del governo, ma non per questo automaticamente ottenerlo; lo scioglimento del Parlamento spetta, in ultima istanza, al Presidente che può anche decidere di nominare un altro Primo Ministro. La compresenza di Presidente e Primo Ministro espressione di maggioranze politiche diverse prende il nome di «coabitazione» (in francese: cohabitation). La cohabitation si autogoverna mediante il rispetto di due fattori fondamentali: 1. fattore personale: costituito dalle ambizioni dei due leader. Né l'uno né l'altro forzerà la mano per timore di conseguenze politiche irrimediabili. I desideri (politici e personali) di entrambi si contempereranno a vicenda evitando la paralisi istituzionale; 2. fattore politico: il Primo Ministro potrà proseguire la sua azione anche soltanto con Primo ministro potrebbe addirittura dare il sopravvento sul Presidente. FORMA DI GOVERNO PARLAMENTARE CARATTERISTICA FONDAMENTALE: il capo del potere esecutivo viene nominato dal Presidente della Repubblica e votato dal Parlamento. Non vi è alcuna investitura popolare. PROBLEMA PRINCIPALE: stabilità ed efficacia del governo nei governi formati da un solo partito risolvibile; nei governi multipartitici molto problematica. Il problema endemico legato alla stabilità e all'efficacia dell'azione esecutiva nelle forme di governo parlamentare viene in genere risolto con l'approvazione: LEGGE ELETTORALE che incentiva la formazione di un sistema politico bipolare; VOTO DI SFIDUCIA COSTRUTTIVO: es. Germania e Spagna (votato solo 2 volte): - deterrente nei confronti dei piccoli partiti che rincorrono crisi di governo con l'obiettivo di ottenere vantaggi personali, in termini di cariche ministeriali o di politiche pubbliche. 11/11/2024 I MOVIMENTI SOCIALI PARTECIPAZIONE POLITICA ISTITUZIONALIZZATA E NON La partecipazione politica si divide in due categorie: 1) partecipazione politica meno istituzionalizzata: fatta di azioni di protesta, di rivendicazioni e manifestazioni organizzate da movimenti politici di diversa natura (es. '68, "movimento dei movimenti", etc.); ➔ poco istituzionalizzata vuol dire che non ci sono regole precise. Per aderire ai movimenti (es. ambientalista, dei diritti…) non ci sono requisiti “scritti”. 2) partecipazione politica più istituzionalizzata: fatta da gruppi d'interesse e di pressione (es. lobbying). Entrambi sono tentativi per influenzare le scelte e i comportamenti politici, financo le politiche pubbliche. ANALISI DEI GRUPPI. La pluralità e la competizione dei (e tra i) gruppi costituiscono le fondamenta della loro esistenza (nonché il sale della democrazia) All’interno dei processi democratici gli studiosi dei gruppi distinguono: OVERLAPPING MEMBERSHIP (membership sovrapposta) = "Affiliazione multipla degli individui ai gruppi", gli individui possono appartenere a più gruppi e allora, vista la complessità degli interessi diversamente rappresentati, gli attori coinvolti dovranno necessariamente pervenire ad una loro sintesi piuttosto che andare allo scontro frontale. CROSS-CUTTING MEMBERSHIP (membership trasversale) = "Affiliazione di individui tra loro diversi all'interno di una medesima organizzazione", in questo caso soggetti provenienti da una diversa estrazione sociale, di status socioeconomico differente o appartenenti a varie confessioni religiose dovranno pervenire ad una pacifica convivenza interna. ALMOND E POWELL GRUPPI DI INTERESSE ISTITUZIONALIZZATI 1) GRUPPI DI INTERESSE ANOMICO ANOMIA: deficienza o assenza di norme atte a regolare il comportamento sociale di individui o collettività (gruppi, organizzazioni, associazioni). I gruppi di interesse anomico emergono fuori dalle regole costituite perché: - esprimono interessi "nuovi" non veicolabili in canali precostituiti; - le classi dirigenti al potere dimostrano ripetutamente di eludere i loro bisogni ed esigenze. Sono considerati tipici della fase premoderna MA compaiono spesso anche all’interno dei conflitti politici contemporanei. Assumono forme di partecipazione non convenzionali ed a volte illegali (tumulti, sommosse, etc.). Appaiono come ineliminabili anche nelle più moderne forme della partecipazione politica. 2) GRUPPI DI INTERESSE NON ASSOCIATIVI Sono basati sulla comunanza etnica, religiosa, geografica o familiare: questa comune appartenenza può aggregare gli individui attorno ad interessi condivisi che assumono un'importanza particolare soprattutto nella fase della mobilitazione sociale. Anch'essi sono tipici della fase premoderna, seppure molto presenti anche in epoca contemporanea, soprattutto quelli legati ad interessi etnici, linguistici e regionali. 3) GRUPPI DI INTERESSE ISTITUZIONALI Sono tipici di quei gruppi di individui tenuti insieme da una forte comunanza e stabilità degli interessi. Possono essere militari, burocrati, ma anche categorie più ristrette, le cui organizzazioni riescono a tutelarne le prerogative e a difenderne gli interessi e i privilegi. Gli individui sono tenuti insieme da una forte convergenza di interessi. 4) GRUPPI DI INTERESSE ASSOCIATIVI Sono quelli che sorgono attorno ad una pluralità d'interessi (economici, sociali, culturali), che emergono dai processi di modernizzazione e frammentazione sociale. Alcuni esempi: organizzazioni professionali, associazioni culturali, sindacati, etc. Si mobilitano per difendere e promuovere i loro interessi, organizzandosi in strutture che si pongono l'obiettivo di perseguire i bisogni dei liberi associati. Su organizzano per difendere gli interessi di un gruppo particolare --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- L'AZIONE DI LOBBYING: quando un gruppo di interesse diventa un gruppo di pressione? Quando cerca di condizionare le scelte pubbliche o politiche. La modalità di azione che distingue i gruppi di persone accomunate semplicemente da interessi condivisi dai gruppi organizzati, in grado di influenzare le scelte e le "politiche pubbliche" sta nella capacità di fare PRESSIONE. Il lobbying ha oggi un’accezione negativa, ma il termine lobbista non designa altro che una persona che cerca di far capire al decisore pubblico un punto di vista, e l'impatto che una politica pubblica potrebbe avere. In che modo il lobbying può essere considerato un elemento positivo per la regolamentazione dei processi democratici? AZIONE FONDAMENTALE DEI GRUPPI DI PRESSIONE: mettere in sintonia i loro interessi particolari con quelli d'interesse generale... I lobbisti possono interessarsi al mondo degli affari, ma non solo: in via di principio sono gruppi di pressione i sindacati, confessioni religiose, associazioni professionali, culturali, ambientali, etc. Studiare i gruppi di pressione significa capire meglio i processi decisionali ed individuare chi ha maggiore potere e su quale politica. Ogni gruppo cercherà di massimizzare i propri obiettivi. Come? Attingendo alle proprie risorse; utilizzando i canali di comunicazione più consoni alla propria organizzazione; facendo "pressione" sui diversi soggetti interessati. LA PARTECIPAZIONE POLITICA MENO ISTITUZIONALIZZATA Tra le forme di partecipazione politica meno istituzionalizzata troviamo i MOVIMENTI COLLETTIVI Cos'è un movimento? Da cosa si differenziano dai gruppi, dai partiti, dai sindacati? Risposta: Un movimento è un insieme di persone che, per qualsiasi motivazione decide di mobilitarsi differenziandosi in modo evidente dalle altre forme di organizzazione sociale preesistente. Detto in altri termini, un movimento collettivo prende vita quando nasce un nuovo "noi" collettivo e un soggetto nuovo con caratteristiche specifiche. (Le donne esistono come persone fisiche ma non come persone politiche, fino a quando non si riuniscono in un “noi” volenteroso di ottenere diritti politici) In letteratura si evidenzia lo stretto legame esistente tra movimento e mutamento. Il movimento nasce da una dinamica sociale che si innesca lo stato nascente Alberoni (1981): «stato nascente»: «rappresenta un momento di discontinuità sia sotto l'aspetto istituzionale sia sotto l'aspetto della vita quotidiana. Lo stato nascente ha una certa durata: col suo inizio si interrompono le caratteristiche delle relazioni sociali istituzionali e le forme della vita quotidiana e il sistema sociale che ne è coinvolto entra in un nuovo stato con proprietà particolari. Ad un certo punto lo stato nascente cessa e il sistema sociale ritorna nell'ambito della vita quotidiana e delle forme istituzionali, però, dopo aver subito una trasformazione». Ovviamente, le trasformazioni sociali non sono dovute soltanto all'azione dei movimenti collettivi, essendo possibile anche ad opera di decisioni politiche, conseguenze economiche, etc., tuttavia i movimenti collettivi rappresentano uno dei possibili fattori di mutamento sociale. I MOVIMENTI SOCIALI si distinguono da partiti politici e gruppi. GRUPPI DI INTERESSE: attori che condividono interessi (giocatori di scacchi), diventano gruppo di PRESSIONE quando fanno pressione sulle istituzioni mobilitandosi per scelte relative ai propri obiettivi, questi ultimi sono articolati con il lobbying. Ogni gdp è gdi ma non tutti i gdi sono gdp. Come nascono movimenti sociali/collettivi: 1. alcuni attribuiscono un comportamento irrazionale alle masse (teoria del contagio); 2. altri attribuiscono ai movimenti collettivi un ruolo importante nella mobilitazione sociale (teoria del collective behavior); 3. Alberoni distingue tra fenomeni collettivi di gruppo e fenomeni collettivi di aggregato. MOVIMENTI COLLETTIVI Un movimento collettivo è un insieme di persone che, per qualsiasi motivazione, decide di mobilitarsi differenziandosi in modo evidente dalle altre forme di organizzazione sociale preesistente. Detto in altri termini, un movimento collettivo prende vita quando nasce un nuovo "noi" e un soggetto nuovo con caratteristiche specifiche. Può trasformarsi in movimento: ▪ una classe sociale: il movimento operaio; ▪ una generazione: i sessantottini; ▪ una categoria professionale: i quadri ▪ un popolo senza Stato: i palestinesi; aziendali; ▪ una categoria sociale: gli emigrati o le donne; ▪ una minoranza etnica: gli afroamericani; ▪ una comunità religiosa: i protestanti; etc. LA TEORIA SOCIOLOGICA. In letteratura si forma una separazione tra gli autori: alcuni attribuiscono un comportamento irrazionale alle masse (teoria del contagio); altri attribuiscono ai movimenti collettivi un ruolo importante nella mobilitazione sociale (teoria del collective behavior). 1) LA TEORIA DEL CONTAGIO Per questi autori (tra cui Gustave LE BON) la folla è il luogo in cui confluiscono contemporaneamente emozioni, sentimenti, istinti che si producono e si sviluppano grazie a una sorta di deterioramento delle condotte individuali. In tali situazioni l'uomo non è più se stesso: l'anonimato che gli è garantito dalla folla lo fa credere quasi onnipotente e lo convince a dar vita a comportamenti che, in altri contesti, mai si sarebbe sognato di assumere. 2) LA TEORIA DEL COLLECTIVE BEHAVIOR La Scuola di Chicago (fondatore: Robert Park) conia il termine "comportamento collettivo" conia questa espressione oltre alla comprendendo in folla, anche un vasto insieme di comportamento e conferendo a questo termine dignità di comportamento né patologico né irrazionale, configurandolo bensì come una forma di azione collettiva creativa attraverso cui una società innova se stessa. FENOMENI COLLETTIVI DI GRUPPO E DI AGGREGATO Riguardo alla partecipazione politica Francesco ALBERONI distingue tra: fenomeni collettivi di aggregato: una molteplicità di persone, pur comportandosi allo stesso modo, agisce in realtà soltanto per sé, non avendo la consapevolezza di essere un "noi" collettivo (es, moda, panico, etc.); fenomeni collettivi di gruppo: ciascuno dei partecipanti ha coscienza di costruire unitá con la quale sente una comunità con la quale si sente di condividere qualcosa: nasce la consapevolezza di un "noi" collettivo (es. movimenti sociali). Lo stato può reprimere (o tentare di) i movimenti, in quanto potere legittimato. 19/11/2024 Secondo Alberoni, un movimento sociale si forma sullo Stato nascente; quest’ultimo è un momento di discontinuità istituzionale e della vita quotidiana; esso cessa ritornando all’ambito precedente ma porta delle trasformazioni. Sempre secondo il sociologo ci sono 4 possibili esiti di un movimento sociale: fiammata (contenuta nel tempo), repressione, istituzionalizzazione (partito politico), estinzione. Fase ciclica dell’azione dei movimenti collettivi: Squilibrio di potere→ mobilitazione delle risorse→ azione collettiva→ riequilibrio del potere Es. movimento degli Indignados: richiesta di rinnovamento politico→Acampadas→manifestazioni in importanti città spagnole→in corso… (nascita e affermazione di Podemos) Con Podemos avviene un’istituzionalizzazione del movimento... Qual è il fenomeno che portò un popolo a contrapporsi alle élite? Populismo I sindacati sono gruppi di interesse e pressione. Alla domanda “chi è che si mobilita a creare un movimento sociale?” CHI SI MOBILITA PER PRIMO Tesi prevalente nel passato: a mobilitarsi per primo sono gli "ultimi" perché più disposti a ribellarsi contro lo stato delle cose esistenti. (es. gli operai) Tuttavia, non sempre la volontà di mobilitazione caratterizza lo strato sociale più emarginato. Tesi più recenti: gli emarginati (gli "ultimi") mancano delle risorse necessarie (è più facile che questi si aggreghino successivamente o che rimangano estranei a qualsiasi forma di mobilitazione); a mobilitarsi per primo sono coloro che sperimentano una contraddizione intollerabile dei rapporti di forza esistenti.  Alessandro PIZZORNO (autunno caldo 68/69): il ciclo di lotta non è iniziato dagli operai comuni, meridionali, giovani: le lotte iniziano dagli operai specializzati, spesso sindacalizzati o iscritti a partiti; gli operai comuni sono protagonisti della fase successiva, a movimento iniziato. È in quel momento che essi apportano i loro contenuti rivendicativi. Alain TOURAINE «La società non è chiusa, non è completamente integrata né dai valori né dal potere [...]. L'ordine non regna mai senza limiti. La società è sempre attraversata dal rifiuto, dalle rivolte e dai conflitti: essa è costantemente rimessa in causa [...]. La società non è solo riproduzione e adattamento; essa è anche creazione, produzione di se». CLASSIFICAZIONE DEI MOVIMENTI SOCIALI Alberto MELUCCI distingue i movimenti a seconda del loro obiettivo: 1. movimenti rivendicativi. Obiettivo: modificare i criteri di assegnazione delle risorse socioeconomiche; (o rivendicazione diritti) 2. movimenti politici. Obiettivo: allargare la partecipazione politica e modificare i rapporti di forza; 3. movimenti di classe. Obiettivo: capovolgere l'assetto sociale, trasformare il modo di produzione e capovolgere i rapporti di classe. I MOVIMENTI "NO/NEW GOLBAL" Sono cambiati i terreni di scontro: dalla società e Stati nazionali ad uno spazio sovranazionale. I movimenti "no" o "new-global" sommano richieste di risorse, redistribuzione del potere, capovolgimenti degli assetti sociali e internazionali. Quale futuro al "movimento dei movimenti". LIBRO MOVIMENTI SOCIALI E AZIONI DI PROTESTA CAP.1 MOVIMENTI SOCIALI, RIVOLUZIONI, RIOTS Le azioni collettive di protesta sono azioni che rappresentano gli sforzi di un gruppo. Sono azioni svolte da un insieme di individui e attori collettivi che si riconoscono come membri appartenenti a un gruppo. Individui e gruppi sociali, ad esempio associazioni di volontariato e comitati di coordinamento, agiscono unitariamente in quanto si sentono di appartenere ad una stessa comunità o a uno stesso gruppo sociale, ciò che caratterizza l'azione collettiva rispetto ad altre forme di aggregazione sociale e la natura intenzionale delle azioni. In quanto svolto da gruppi, le azioni collettive di protesta implicano la presenza di attori individuali e collettivi coordinati tra loro. Gli attori coinvolti in azioni collettive riconoscono e perseguono un obiettivo comune. Ehi, essendo orientate a un cambiamento OA resistere a un cambiamento, le azioni collettive di protesta implicano un conflitto. Ehm, il cambiamento auspicato e il tipo di conflitto generato possono essere di natura politica? Orientati quindi alle élite e alle istituzioni politiche, oppure di natura culturale, orientati a generare trasformazioni riguardanti la dimensione simbolica e la modalità dominanti di un'interpretazione della realtà. I movimenti sociali si sviluppano con l'emergere della società moderna in concomitanza con la rivoluzione industriale e con la Rivoluzione francese, prima le mobilitazioni erano strettamente locali, appoggiate da élite e notabili. Nel quindicesimo e sedicesimo secolo, le rivendicazioni tendono a essere orientate al controllo. Delle risorse e sono identificate come rivendicazione di tipo competitivo. Dal diciassettesimo al diciannovesimo secolo prevalgono le Rivendicazioni di tipo reattivo, tese a ristabilire o rivendicare i diritti, offesi da specifici gruppi sociali. In questo periodo, mentre i legami tradizionali di comunità e famiglia si indeboliscono, emergono nuove forme di associazione, si assiste a una crescita del senso di appartenenza e della coscienza nazionale da parte di coloro che iniziano a diventare e sentirsi cittadini. Dal diciannovesimo al ventesimo secolo prevalgono le rivendicazioni di tipo proattivo, attraverso le quali i gruppi chiedono nuovi diritti e risorse di cui non hanno mai goduto. I movimenti sociali sono dinamiche conflittuali caratterizzate dalla presenza di forme di azioni non istituzionali, le proteste. Ehi, in alcune fasi del ciclo di vita di un movimento sociale, le proteste possono diventare marginali. Nei casi di istituzionalizzazione di un movimento le azioni sono infatti meno dirompenti. I movimenti sociali sono rappresentati da gruppi che si definiscono come appartenenti alla stessa collettività, grazie alla presenza di sentimenti di appartenenza condivisi = Identità collettiva. La presenza di un'identità collettiva in un gruppo può essere anche assente. Le coalizioni, infatti, si possono formare anche in seguito all'interesse comune su un tema specifico. Al contrario, il livello di condivisione di identità collettiva nei movimenti sociale è elevato. Il coordinamento delle azioni collettive di protesta è possibile soprattutto grazie alla presenza delle organizzazioni di movimento sociale ➔SMO Queste permettono l'aggregazione di risorse utili per l'azione collettiva. Nonostante la presenza di organizzazioni formali, le reti che sostengono i movimenti sociali sono anche composte da gruppi poco strutturati. Concetto di rivoluzione: Le rivoluzioni sono manifestazioni più imponenti del cambiamento sociale, segnano profonde rotture del processo storico, possono coinvolgere un gran numero di azioni collettive di protesta, come scioperi, manifestazioni in piazza, Petizioni, assemblee e comprendere dinamiche quali rivolte, movimenti sociali, colpi di Stato etc. Con le rivoluzioni i cambiamenti sono eccezionalmente rapidi, in quanto le trasformazioni delle strutture statali e di classe di una società. Avvengono in un breve lasso temporale. CAP.2 I CLASSICI: ALCUNE LINEE DI INTERPRETAZIONE MARX Marx è interessato a un'analisi strutturale: sarebbe la struttura sociale del capitalismo a generare il conflitto (endemico e irrisolvibile) che dà luogo alla lotta di classe. Le due classi in lotta hanno interessi inconciliabili e reciprocamente esclusivi. In queste condizioni, la rivoluzione è lo strumento inevitabile concepito per immettere il cambiamento nelle fasi di cedimento strutturale del sistema. PRESUPPOSTO DI PARTENZA: Marx crede che gli individui siano per natura liberi e felici, e che sono costretti a vivere una condizione individuale e collettiva opposta. J.J. Rousseau: «l'uomo nasce libero e ovunque è in catene» (Il contratto sociale, 1762). MARX PRECURSORE DELL'ANALISI DELLA PARTECIPAZIONE ΑΙ MOVIMENTI SOCIALI COME ATTO RAZIONALE E INTENZIONALE. Vs. partecipazione a movimenti sociali come collasso sociale (Gustave Le Bon, Psicologia della folla, 1895). Attraverso la formazione della classe per sé, i proletari diventano consapevoli della propria appartenenza di classe, contro la borghesia. In questo modo, acquisiscono coscienza di classe, e perciò si rendono capaci di agire unitariamente, in difesa dei propri interessi collettivi. CAP.9 IL CONFLITTO CAPITALE-LAVORO Si tratta di un conflitto che pone al centro dell'interesse il miglioramento delle condizioni del lavoro e dei lavoratori. La remunerazione/il salario diventa il centro delle rivendicazioni collettive. Questo conflitto viene associato a uno strumento di azione collettiva molto noto, quale lo sciopero! SCIOPERO: strumento di lotta economica in difesa degli interessi classe lavoratrice, contro l'élite detentrice del capitale economico. Tuttavia, lo sciopero può trasformarsi anche in strumento di lotta politica, quando sfida l'autorità dei governi e dello Stato. I SINDACATI sono i soggetti che organizzano lo sciopero a favore dei lavoratori e contro gli interessi dei «capitalisti». Lo sciopero non è un'azione spontanea dei lavoratori, ma organizzata dai sindacati, che possono agire attraverso: - scioperi: attivando azioni apertamente conflittuali; - negoziazioni: attivando azioni fondate sulla logica contrattuale. Ricerche dimostrano che lotte sindacali migliorano le condizioni delle classi lavoratrici... che per questo motivo potrebbero anche mobilitarsi autonomamente, prima di aderire a forme di azioni collettive (scioperi/adesioni sindacali) TRASFORMAZIONE DELLA COMPOSIZIONE DELLA FORZA LAVORO: cambiamento delle azioni collettive di protesta, legato (a partire dalla a fine degli anni '70 del '900) al declino della classe operaia... Trasformazione del modello di produzione capitalistico: frammentazione dei rapporti di lavoro, moltiplicazione e precarizzazione dei contratti... Questo incide criticamente sui processi di costruzione del sentimento della solidarietà condivisa e incide nella divisione del mondo del lavoro, tra lavoratori «garantiti» e «non-garantiti». I PRINCIPALI CAMBIAMENTI CONTEMPORANEI: Anni Settanta: si indeboliscono gli effetti del cleavage capitale/lavoro ed emergono nuovi interessi post- materialisti (diritti individuali, autorealizzazione, formazione e scuola, qualità della vita) (Inglehart, 1977). Inizia a perdere centralità l'azione collettiva basata sulle proteste articolate attorno al conflitto capitale- lavoro; Anni Ottanta: diminuiscono le iscrizioni ai sindacati e si affievolisce la loro Influenza politica. Incapacità dei sindacati di organizzare le forme di protesta dei lavoratori «precari». Avanza un processo di istituzionalizzazione dei sindacati (tavoli di concertazione) e diminuzione della capacità di mobilitazione sociale. DURKHEIM → Marx: il conflitto è il motore della storia → Durkheim: - il conflitto è disfunzionale all'equilibrio sociale e sintomo di problemi legati all'integrazione sociale; - la pace sociale è frutto dell'approvazione di regole, norme e valori condivisi. Per Durkheim le regole sono essenziali, svolgono un ruolo strategico per la costruzione della pace sociale. (per questo è un grande studioso della religione). Tuttavia: esistono condizioni e circostanze storiche dove le regole, le norme e i valori condivisi perdono la capacità e la forza di tenere uniti e legati tra loro gli individui di una medesima comunità politica. ANOMIA: situazione nella quale gli individui si trovano senza regole, senza guida, senza direzione valoriale... mancanza di norme sociali, di regole atte a mantenere il controllo dei comportamenti individuali. Quando prevale l'anomia saltano le regole della solidarietà tra i membri dei gruppi sociali. La società risulta frammentata e composta da individui e gruppi che tendono all'isolamento o allo scontro. Le proteste vengono viste come comportamenti collettivi devianti, che si manifestano in condizioni di assenza di norme condivise. Secondo Durkheim gli eventi di protesta e i movimenti sociali sarebbero azioni introdotte da folle s-regolate al solo scopo di destabilizzar l'ordine sociale. Allo stesso modo, le teorie del collasso sociale concepiscono i movimenti sociali come forme atipiche di espressione di azioni collettive non-istituzionali prive di contenuti di azione razionale. Tutto questo si rende possibile grazie a forme di vera e propria EFFERVESCENZA COLLETTIVA. EFFERVESCENZA COLLETTIVA (una sorta di STATO NASCENTE): Secondo Durkheim rappresentare l'eccitazione emotiva condivisa che le persone provano durante le cerimonie religiose; lo stesso concetto può essere rapportato alle emozioni vissute in sintonia con gli altri durante un evento sportivo o anche un concerto o una manifestazione politica, vale a dire in tutte quelle occasioni in cui ci si rende conto di far parte di qualcosa di più grande rispetto alla propria individualità e di sperimentare sentimenti spirituali a forte impronta collettiva. Qui nascono i movimenti sociali! L’effervescenza collettiva è condizione capace di travolgere gli individui inducendoli a compiere comportamenti inattesi, violenti e devianti. Durante la manifestazione di effetti legati all’effervescenza collettiva, i comportamenti individuali influenzano i comportamenti collettivi. MAX WEBER La riflessione di Weber è preziosa quando applicata allo studio dei movimenti sociali. In particolare, egli evidenzia l'importanza della dimensione soggettiva collegata ai significanti dell'azione collettiva. “Le azioni sociali dell'uomo sono una sequenza intenzionale di atti che un soggetto compie scegliendo tra varie alternative possibili sulla base di un progetto concepito in precedenza, ma che può evolversi nel corso dell'azione stessa.” (diverso da Marx dove le azioni degli individui sono determinati dalla struttura) CAP.3 LE ANALISI DEL COMPORTAMENTO COLLETTIVO I comportamenti collettivi riguardano fenomeni sociali di varia natura quali il panico, le manie e le mode, le correnti di opinioni e il comportamento che ha destato più attenzione tra i sociologi, LA FOLLA. I primi eventi collegati alla presenza della folla sono gli eventi di protesta del 1848 e l’esperienza della Commune di Parigi del 1871, questi due casi sconvolgono la società francese durante il XIX sec., il “secolo ribelle”. Da questi fenomeni viene elaborata da LeBon la teoria della psicologia delle folle: identifica i partecipanti a queste proteste come una massa omogenea, amorale e facilmente manipolabile, una marmaglia di individui senza leadership, guidati dall’istinto e senza alcuna coscienza. Secondo LeBon la Commune è stata un tentativo da parte della folla di distruggere la società regredendola ad uno stadio primordiale precedente a quello evoluto dell’ordine e della gerarchia sociale, l’élite si rende quindi fondamentale per contrastare il despotismo delle masse. Le teorie di LeBon sono state contraddette dall’evidenza empirica: - Tilly sottolinea che gli eventi discussi da LeBon sono trattati in maniera isolata rispetto al contesto storico in cui si sviluppano: ignorando la crescita del livello di ricchezza e di potere della borghesia, l’urbanizzazione e la marginalizzazione delle fasce più povere della società, la presenza di conflitti tra Stato e vari gruppi locali. I dati empirici su questi eventi dimostrano che le proteste erano mosse dalla consapevolezza che la crescita dei mercati nazionali diventava prioritaria rispetto alle necessità locali, favorendo il guadagno di pochi al benessere della collettività; - Stott e Drury dimostrano la presenza di solidarietà condivise dagli attori coinvolti nelle proteste, che si riconoscono e che agiscono consapevolmente in quanto gruppi sociali contro le posizioni e le azioni delle élite, queste caratteristiche sono elementi costitutivi delle azioni collettive di protesta, ben lontani dal concetto di comportamento collettivo che la visione di LeBon attribuisce alla folla; Le teorie del collasso sociale (Le social breakdown theories) sono accomunate da una visione che concepisce i movimenti sociali come forme di comportamento collettivo accanto ad altri comportamenti come: il panico, le mode, i tumulti, i culti religiosi [Smelser 1976]. Queste teorie percepiscono i conflitti come disfunzionali all’equilibrio sociale, come azioni devianti e irrazionali derivanti dal cattivo funzionamento delle istituzioni sociali, fenomeni da marginalizzare per riportare la società al suo equilibrio. Le teorie del collasso sociale pongono al centro delle spiegazioni l’individuo atomizzato, isolato ed escluso. Secondo Turner e Killian il comportamento collettivo non istituzionale deve essere analizzato attraverso lo stesso modello utilizzato per esaminare le forme di comportamento istituzionale, criticano la teoria del contagio di LeBon adducendo che, nella folla, gli individui sono guidati da stati emotivi irrazionali , tendendo ad agire seguendo linee guida appropriate alla situazione vissuta. Durante gli eventi collettivi di protesta, l’ordine sociale tende ad essere percepito in maniera vaga, ambigua e confusa, tale condizione facilita l’emergere di comportamenti collettivi non istituzionali. Il cambiamento di un dato ordine normativo che prevale in un certo contesto facilita quindi l’emergere di comportamenti extraistituzionali. Secondo Smelser , i comportamenti collettivi sono attività attraverso le quali gli individui tentano di ricostruire il loro ambiente socioculturale, sulla base di ciò che è definita credenza generalizzata. Smelser studia questi movimenti insieme ad altri tipi di comportamento collettivo, come: le risposte al panico, le mode, le esplosioni di ostilità e il culto religioso, sottolineando che a differenza di quest’ultimi, i movimenti collettivi sono tesi a modificare norme e valori. Ad esempio, il movimento femminista era teso a stabilire l’eguaglianza nell’accesso al sistema educativo per le donne, il risultato dei movimenti è quindi collegato, secondo Smelser, ad un elevato livello di innovazione normativa. L’approccio di Smelser, detto approccio del valore aggiunto, implica una strutturazione logica delle determinanti sociali che contribuiscono con il loro “valore” alla spiegazione del comportamento collettivo. La partecipazione ai movimenti è una risposta non istituzionalizzata a una situazione di crisi da parte di individui che soffrono di condizioni di deprivazione e di tensione. Il ruolo delle frustrazioni: la teoria della deprivazione relativa Sviluppata da Gurr si focalizza sulla violenza politica definita come “attacchi, all’interno di una comunità politica, da parte di una collettività contro un regime politico” , esaminando fenomeni violenti come: colpi di Stato, rivoluzioni, riots e ribellioni, enfatizzando il ruolo delle percezioni collegate alla deprivazione relativa legata agli stati mentali di rabbia e aggressività che portano a questo tipo di azioni. Il concetto di deprivazione relativa equivale alla discrepanza percepita tra le aspettative degli individui rispetto ad un valore (value expectations) e le possibilità e condizioni reali (value capabilities) di ottenere o mantenere tali valori. Può essere drastica (soppressione dei partiti politici in un regime autoritario, innalzamento improvviso dell’inflazione), o lenta (declino progressivo dello status socioeconomico), in ogni caso subentra quando gli individui mettono in discussione le proprie condizioni rispetto a ciò che si aspettano di poter, o dover avere. Secondo Gurr tale condizione, è molto simile alla percezione di ingiustizia, che pervade la coscienza sociale e porta allo sviluppo di eventi violenti, inducendo gli individui all’azione. Maggiore è l’intensità dello scontento, tanto più probabile sarà la sua partecipazione ad atti violenti. La teoria si sviluppa in un momento storico in cui gli osservatori occidentali erano preoccupati per la violenza politica che si diffuse durante gli anni ’60 negli Stati postcoloniali, in seguito ai movimenti di liberazione. Gurr sostiene l’esistenza di un nesso tra le condizioni di frustrazione (uno stato mentale patologico sofferto dai singoli individui) e l’emergere della violenza politica (atteggiamenti individuali e collettivi di aggressività), la violenza delle proteste sarebbe quindi causata da una sindrome mentale che accomuna gli individui. Forti pressioni demografiche, marginalità sociale o stati di disorganizzazione sociale portano all’accumularsi di frustrazioni e insicurezze che esplodono in episodi di violenza collettiva e disordini [Oberschall, 1978]. Un fenomeno collettivo come la violenza politica viene quindi visto come la sommatoria di attributi individuali collegati a stati mentali di frustrazione e aggressività. LO SVILUPPO DELLA FRUSTRAZIONE Gurr sviluppa tre possibili sviluppi storici capaci di portare gli individui a stati di deprivazione relativa: I. aspirational deprivation →frustrazioni che emergono in seguito ad aspirazioni crescenti che si allontanano sempre più dalle condizioni vissute realmente dagli individui: questo può succedere in seguito all’influenza da parte di nuove ideologie oppure in seguito al confronto con gli standard di vita di alcuni individui più privilegiati; II. decremental deprivation → le aspirazioni rimangono costanti, ma c’è un’improvvisa caduta negli standard di vita: in questo caso la frustrazione è strettamente collegata alla degenerazione delle condizioni vissute dagli individui (crisi fiscali o economiche, declino dell’efficienza statale, chiusura dell’opportunità di partecipazione politica, declino dello status socioeconomico); III. progressive deprivation → crescita parallela delle condizioni vissute e delle aspettative bruscamente interrotta con l’allontanamento, ad un certo punto, delle condizioni vissute rispetto alle aspettative: questo avviene quando le aspirazioni continuano ad aumentare, mentre le condizioni di vita rimangono costanti (depressione economica in cui l’economia era in costante crescita da anni); La presenza di uno di questi tre percorsi provoca un crescente stato di rabbia negli individui che sfoca inesorabilmente in sommosse e violenza politica. Tuttavia, le evidenze empiriche successive a Gurr, evidenziano che non sussiste un legame tra il livello di deprivazione oggettiva, la percezione di deprivazione relativa a livello soggettivo e l’emergere di movimenti sociali (sia violenti che non). Critiche alle teorie del collasso sociale e della deprivazione relativa Una delle maggiori critiche indirizzata alla teoria della deprivazione relative è collegata al bias psicologico, in particolare alla mancata considerazione del ruolo delle variabili strutturali. Le rivoluzioni, ad esempio, vengono descritte come manifestazione di frustrazioni incontrollabili, piuttosto che come un insieme di eventi conseguenti alle condizioni di diseguaglianza strutturale dovute alla distribuzione asimmetrica di risorse (ricchezza, potere e status) tra differenti gruppi sociali. Nella teoria del collasso sociale di Gurr manca completamente un’analisi dei fattori che politicizzano lo scontento portando all’azione collettiva piuttosto che a qualche altro tipo di risposta (isolamento sociale o comportamenti antisociali). Le condizioni di frustrazioni non sono quindi sufficienti per mobilitare gli individui in attività di protesta. La seconda critica riguarda il livello di analisi: la teoria di Gurr ha basi psicologiche e la sua unità di analisi è l’individuo, il comportamento collettivo invece è percepito come il risultato della sommatoria dei comportamenti individuali. Gurr porta quindi avanti un’idea individualista e psicologica mentre altri autori, come Tilly considerano le azioni collettive come azioni che derivano da ampie solidarietà condivise e che il gruppo sia caratterizzato da alcune proprietà che trascendono i singoli individui. La terza critica riguarda l’assenza di analisi delle strutture sociali intermedie collegate all’organizzazione dei gruppi. Secondo Tilly le azioni collettive non sono connesse direttamente alla miseria e alle deprivazioni economiche, esse sono azioni intenzionali e politiche. Inoltre, contrariamente alle teorie del collasso sociale, nel breve periodo rapidi cambiamenti sociali diminuiscono il livello di conflitto sociale indebolendo i mezzi a disposizione. Gli elementi principali per l’emergere dell’azione collettiva di protesta sono la mobilitazione delle risorse, le rivendicazioni dei singoli gruppi e le contro-rivendicazioni della classe politica, molto più importanti del livello di soddisfazione o di frustrazione vissuto dai gruppi che si mobilitano (purtroppo!!). Comportamenti collettivi e azioni collettive: quale differenza? 1. Il comportamento collettivo è caratterizzato dalla presenza di aggregati sociali di individui, mentre l’azione collettiva è una caratteristica dei gruppi sociali. Gli individui che formano aggregati sociali, come le folle, non hanno un’identità comune, al contrario gli individui che partecipano ad azioni collettive sono accomunati da forti interessi identitari comuni; 2. Gli individui protagonisti di azioni collettive partecipano intenzionalmente e in modo organizzato alle proteste, mentre gli individui che si aggregano in comportamenti collettivi agiscono in maniera spontanea; 3. I fenomeni di comportamento collettivo sono caratterizzati da un’interazione tra individui: sporadica e circoscritta, mentre i gruppi sociali che sostengono azioni collettive tendono a essere sostenuti da relazioni continuative e durevoli che alimentano identità e interessi condivisi; 4. Un gruppo sociale tende ad avere confini netti che delimitano la membership che dipendono dalla stabilità e dal grado di formazione dei gruppi (organizzazioni, gruppi informali); 5. Le azioni collettive di protesta presuppongono la definizione chiara degli antagonisti e degli attori in competizione tra loro, implicano un conflitto contro un nemico a cui sono indirizzate le azioni che tendono ad un obiettivo di cambiamento sociale e/o politico; CAP.4 LA TEORIA DELLA MOBILITAZIONE DELLE RISORSE (RMT) In base agli assunti della RAT (Rational Action Theory), che presuppone che un individuo abbia preferenze e interessi che guidano le sue scelte, per la RMT, i movimenti sociali sono un insieme di opinioni e credenze che rappresentano le preferenze dei gruppi sociali orientate al cambiamento di alcuni elementi della struttura sociale. Gli studi che contribuiscono all’emergere della teoria della mobilitazione delle risorse Mancur Olson ne La logica dell’azione collettiva anticipa alcuni assunti della RMT esplorando le implicazioni collegate all’assunto della razionalità degli individui in relazione alle dinamiche dell’azione collettiva, in particolare quelle che coinvolgono gruppi sociali come le organizzazioni. Secondo Olson le persone perseguono obiettivi privati spinte dall’interesse personale, lasciando in secondo piano gli obiettivi pubblici come l’aria pulita o la salvaguardia dell’ambiente. Essendo l’accesso ai beni pubblici esteso a tutte le persone, anche coloro che non subiscono i costi dell’impegno necessario per partecipare alle azioni collettive che rendono disponibili questi beni possono riceverne i benefici. Si manifesta quindi il problema del freerider: ogni individuo è consapevole che non ci sarà un effetto visibile del suo contributo al raggiungimento di un bene e che nel caso di mancata partecipazione all’azione collettiva per ottenerlo potrà comunque beneficiarne. Il dilemma dell’azione collettiva si manifesta quando dato un obiettivo come bene pubblico, diventa razionale per ogni singolo individuo non partecipare all’azione collettiva visto che questo imporrebbe un costo che però non esclude la possibilità di beneficiare del bene in caso di esito positivo. In altre parole, se posso non impegnarmi e godere comunque di quel beneficio tanto vale non farlo e farlo fare a chi si accolla quel costo ulteriore. Paradossalmente però, se tutti si comportassero nel modo più razionale, nessuno parteciperebbe alle azioni collettive, non ottenendo il bene pubblico. Per questo per superare questo paradosso vi è la necessità di presentare agli individui incentivi diversi da quelli collegati strettamente all’interesse comune (possibilità di avanzare la carriera all’interno dell’organizzazione, sanzioni a coloro che non partecipano alle azioni collettive). In questo modo l’analisi di Olson precede la RMT nel porre al centro del problema dell’azione collettiva la capacità di mobilitare le risorse da parte delle organizzazioni per agevolare lo svolgimento delle azioni collettive. ORGANIZZAZIONI E MOBILITAZIONI DELLE RISORSE Tilly in From mobilization to revolution analizza il processo di mobilitazione delle risorse, in particolare pone alcune riflessioni sui processi collegati alla mobilitazione e sul ruolo delle organizzazioni in tali processi. Tilly esamina gli attori in quanto collettività, in modo da superare le spiegazioni che si basano sulle caratteristiche individuali, dando alle azioni collettive caratteristiche proprie e specifiche. Mette poi in evidenza il ruolo delle organizzazioni come attori collettivi in grado di mobilitare le risorse verso un’azione collettiva. In terzo luogo, orienta l’interpretazione dello sviluppo delle azioni collettive dall’analisi delle radici psicologiche tipiche delle teorie del collasso sociale all’analisi di queste azioni come processi politici. Secondo Tilly il processo di mobilitazione delle risorse agevola il passaggio dalla presenza di individui passivi alla presenza di individui che partecipano attivamente alla vita pubblica. La capacità, da parte di un gruppo, di mobilitare le risorse è definita dalla quantità delle risorse che può controllare e dalla possibilità che queste possano essere utilizzate attivamente per l’azione collettiva. Questo processo riguarda soprattutto la possibilità da parte dei challengers di aumentare le risorse a loro disposizione, il loro obiettivo è quello di accumulare più risorse possibili in modo da massimizzare le possibili azioni collettive di protesta e di ridurre, contemporaneamente, la differenza con le risorse a disposizione degli avversari. L’elemento innovativo di questa teoria è la possibilità che tutti gli individui possano partecipare alle azioni collettive, indipendentemente dalle loro condizioni socioeconomiche o dal livello di frustrazione vissuta. Gli individui però non possono agire in azioni collettive a meno che non siano affiliati ad un gruppo minimamente organizzato, in grado di mobilitare le risorse, di conseguenza le risorse collegate alle organizzazioni sono un elemento cruciale per lo sviluppo delle azioni collettive dei challengers. La mobilitazione, infatti, dipende soprattutto dal livello di catnet, la rete relazionale che permette il passaggio da una categoria osciale ad un gruppo sociale capace di agire intenzionalmente sulla base di solidarietà comuni. Questa teoria è detta anche teoria della solidarietà. Lo sviluppo della teoria McCarthy e Zald partono dall’assunto che i lavori sull’azione collettiva elaborati fino ad ora dalle teorie del collasso sociale non riescano a rispondere ad alcuni problemi fondamentali posti storicamente dai partecipanti ai movimenti sociali. L’articolo si sviluppa in contrapposizione in particolare alle teorie di Turner e Killian sul ruolo delle credenze, quella di Smelser sul ruolo delle tensioni sociali e contro la teoria della deprivazione relativa sviluppata da Gurr sul ruolo delle frustrazioni. I punti critici di questi approcci sono numerosi e riguardano: la natura degli attori (esaminati come attori razionali nel nuovo approccio, e non come individui in preda all’irrazionalità); i fattori associati allo sviluppo delle proteste (non sono riconducibili allo stato mentale degli individui, ma alla disponibilità delle risorse collettive); l’unità di analisi (non è l’individuo, ma i gruppi sociali e le organizzazioni); la spiegazione adottata per chiarire lo sviluppo dei movimenti (i membri dei movimenti non sono attori che soffrono di frustrazione a cui mancano certezze o che agiscono in seguito a tensioni sociali); Secondo McCarthy e Zald quindi il livello di frustrazione presente in una società è sempre sufficiente per innesscare delle azioni collettive, rimane il fatto che gli attori devono avere a disposizione delle risorse che gli permettano di impegnarsi in tali azioni. Gli attori esaminati nell’RMT includono anche le élite e gli attori che non hanno apparentemente nessun legame con i movimenti sociali, come supporter esterni grazie alla fornitura di risorse come: servizi, denaro, attrezzature ed infrastrutture. ATTORI DOTATI DI RISORSE. La base dei movimenti sociali non è costituita solamente da coloro che beneficiano delle eventuali azioni dei movimenti sociali che si concludono con successo, esistono anche attori esterni che appoggiano le cause dei movimenti. Ad esempio, il movimento per i diritti civili americano sviluppatosi dal 1955, diventa un movimento nazionale quando anche gli studenti bianchi si uniscono al movimento partito dagli afroamericani apportando risorse importanti. Le azioni dei movimenti degli anni ’60 e ’70, invece, sono associate alla sempre maggiore disponibilità degli individui di occuparsi in modo professionale di tali attività e dalla disponibilità di risorse messe in gioco da fondazioni, associazioni religiose e enti privati che sostennero finanziariamente le azioni dei movimenti. In tale prospettiva i leader dei movimenti diventano imprenditori orientati alla mobilitazione delle risorse e l’organizzazione diventa l’unità di analisi principale. L’UNITA’ DI ANALISI: L’ORGANIZZAZIONE DI MOVIMENTO SOCIALE (SMO) In contrapposizione alle teorie della deprivazione relativa, McCarthy e Zald privilegiano l’osservazione dell’organizzazione, la Social Movement Organization (SMO), per cui le popolazioni con elevati livelli di organizzazione interna hanno più probabilità di produrre forme organizzate che possono prender parte attiva in dinamiche di azione collettiva e di movimento sociale. Le SMO svolgono determinati compiti come: la scelta delle tattiche da utilizzare, la gestione delle difficoltà, il reclutamento di nuovi membri, la mobilitazione del supporto esterno, la competizione e la collaborazione con altre organizzazioni. Teorizzano inoltre, le Social Movement Industry (SMI), ovvero l’insieme delle SMO attive in un certo movimento che condividono obiettivi e interessi. Ad esempio il movimento NOGLOBAL emerso alla fine degli anni ’90 può essere considerato un SMI, all’interno del quale alcuni SMO erano orientate all’abbattimento del debito pubblico nei Paesi del Sud del mondo, altre alla difesa dei diritti umani, altre nella cooperazione per agevolare lo sviluppo nei paesi del Sud del mondo. l’insieme delle SMI è definito Social Movement Sector (SMS), comprende varie SMI che rappresentano tutte le strutture delle preferenze presenti in una certa società. ALCUNE IPOTESI= Come per Tilly il problema delle riflessioni di McCarthy e Zald sta nella capacità di mobilitazione delle risorse da parte delle SMO. Le risorse necessarie sono molteplici: la legittimazione, il denaro, le infrastrutture per poter coordinare le attività e il lavoro da parte dello staff. Le SMO variano quindi molto rispetto alla capacità di mobilitare queste tipologie diverse di risorse, e visto che tendenzialmente sono le élite a poter mobilitare il maggior numero di queste risorse e non le masse, le SMO devono competere tra di loro per ottenere le limitate risorse e una volta ottenute deciderne i criteri di allocazione. Queste risorse sono soprattutto il tempo e il denaro, l’evidenza empirica dimostra che maggiore è il reddito di una popolazione, maggiore è l’ammontare delle donazioni verso le organizzazioni attive nelle azioni collettive. Si ipotizza anche che maggiore è il livello educativo, maggiore è la probabilità che essi abbiamo tempo disponibile da dedicare agli SMO. E’ evidente come queste ipotesi sottolineino l’importanza delle risorse esterne infatti: maggiore è l’ammontare delle risorse di coloro che sostengono un movimento sociale, maggiore è la probabilità che si sviluppino e si diffondano nuove SMO e SMI, vista la natura che spinge gli individui a non agire solamente secondo i propri interessi, ma anche perché credono in una causa. L’RMT si concentra quindi su coloro che sono dotati di risorse, quindi meno frustrati dalla deprivazione relativa, rendendo così il fattore critico per le attività di movimento la disponibilità delle risorse. 3. Critiche alla teoria della mobilitazione delle risorse. Le critiche più esplicite arrivano da McAdam , prima di elaborare il modello del processo politico, in particolare l’autore dapprima credito alla RMT di aver cambiato lo status ontologico dei movimenti sociali iniziando a concepirli come attori razionali ed espressioni politiche di un gruppo sociale. Da, inoltre, credito a questa teoria di aver riconosciuto il ruolo dei gruppi esterni e delle iterazioni tra gruppi formali e informali nel garantire le risorse necessarie per l’azione collettiva, tuttavia ne identifica alcune debolezze: difficoltà nel distinguere le organizzazioni di movimenti sociali dai gruppi di interesse > la RMT non è utile per comprendere le dinamiche di azione collettiva svolte dai gruppi che contestano le élite in maniera aperta e dichiarata, non distinguendo tra i gruppi esclusi dai canali istituzionali e i challengers; l’ipotesi che il supporto esterno da parte delle élite sia fondamentale non considera che i gruppi attivi possono avere obiettivi orientati al cambiamento sociale e politico > i cambiamenti collegati alle azioni dei movimenti sociali sono spesso rivolti al rovesciamento e alla revisione delle strutture dominanti, di conseguenza è difficile che le élite possano investire risorse visto che i cambiamenti sarebbero contrari alle élite stesse; la RMT minimizza le modalità attraverso le quali le élite possono contribuire allo smantellamento dei movimenti sociali ignorando il ruolo della base dei movimenti sociali > focalizzandosi sul ruolo delle élite nel sostegno ai movimenti non si è considerato il ruolo della base dei movimenti e dei settori della popolazione che beneficeranno direttamente della loro attività (la c.d. popolazione indigena); il concetto di risorsa perde il suo significato > ogni tipo di azione necessità di risorse, di conseguenza il concetto risulta essere vago e perde di significato; la marginalizzazione del ruolo della frustrazione > le frustrazioni sono alla base di un processo soggettivo, anche se non c’è un legame diretto tra queste e l’azione collettiva la percezione di tali condizioni da parte dei singoli individui non può non essere considerato nell’analisi di questi fenomeni; McAdam conclude quindi che la RMT è utile per analizzare fenomeni di protesta organizzata, i cui obiettivi sono moderati e i cui protagonisti sono individui che hanno accesso a canali politici istituzionali. CAP.5 IL RUOLO DELLE ORGANIZZAZIONI Risorse collegate all’organizzazione=Secondo Knoke , le organizzazioni che si impegnano in azioni collettive (collective action organization) sono gruppi sociali caratterizzati da alcune specificità: - la presenza di confini stabiliti da alcuni criteri che determinano le possibilità degli individui di poterne fare parte o esserne esclusi; - la membership è su base volontaria; - possono impiegare personale remunerato per lo svolgimento delle proprie attività; - i membri contribuiscono al funzionamento dell’organizzazione sia attraverso finanziamenti in denaro, sia attraverso il tempo che dedicano all’organizzazione; - rispetto ai gruppi informali, implicano la presenza di regole da applicare in determinate situazioni, di scelte su chi possa fare parte dell’organizzazione di che debba essere incentivato e chi invece sanzionato; Le organizzazioni sono state studiate in relazione a varie dimensioni sociali, sono state analizzate: per la loro funzione sociale → esaminando le modalità attraverso le quali gli individui socializzano in quanto membri di organizzazioni sociali e come i gruppi sociali sono integrati nella società; per comprendere come gli individui riescano ad agire unitariamente e in maniera ordinata; in relazione alla partecipazione al processo di policy making= o facilitano il coordinamento delle azioni collettive; o abbassando i costi associati alla possibilità di svolgere azioni collettive; o agevolano le interazioni stabili e durevoli, i flussi e lo scambio delle informazioni; o permettono di mobilitare risorse di denaro, offrono infrastrutture, dispongono di personale; o favoriscono la legittimazione sociale e politica degli attori che ne fanno parte; o consentono la cooperazione tra attori e la costruzione di legami tra le organizzazioni stesse; o favoriscono il coordinamento delle azioni collettive da parte di coalizioni e movimenti sociali. Tilly aggiunge che sono luoghi favorevoli per le relazioni sociali che sostengono l’emergere di solidarietà condivise, tramite un meccanismo chiamato catnet: sintesi dei concetti di catness e di netness. Il primo indica la presenza di un aggregato di individui che condivide tratti categoriali esterni (giovani, donne, immigrati), il secondo indica la presenza di relazioni sociali. Grazie alla presenza di relazioni intense e durevoli tra individui catnet la categoria sociale può trasformarsi in gruppo sociale i cui membri condividono interessi e identità, che sulla base di ciò agiscono collettivamente. Verban, Schlozman e Brady hanno inoltre mostrato come il coinvolgimento in organizzazioni permette agli individui di aumentare il proprio capitale sociale, di migliorare le proprie abilità comunicative, le proprie capacità organizzative e l’abilità di gestione dei gruppi. Studi organizzativi e movimenti sociali Durante gli anni ’50 gli studi organizzativi si sono orientati ad analizzare le dinamiche più istituzionali dell’organizzazione, mentre i movimenti sociali sono stati esaminati in quanto comportamenti collettivi, non istituzionali, e in antitesi alla presenza di organizzazioni capaci di coordinare la protesta. Gli studi organizzativi si concentrano sulla comprensione delle organizzazioni formali in quanto strutture che derivano dalla presenza di regole razionali e di gerarchie burocratiche. I meccanismi osservati riguardano l’analisi delle relazioni gerarchiche, delle autorità, dei processi alla base delle dinamiche di integrazione dell’individuo. Fino agli anni ’70 le ricerche sui movimenti sociali erano dominate da un’analisi che enfatizzava: la spontaneità, la disorganizzazione e la mancanza di struttura nei movimenti che venivano concepiti come comportamenti collettivi sviluppatosi in seguito alla presenza di individui che agiscono sostenuti da forti stati emotivi, adottando comportamenti devianti. Nella fase di sviluppo quindi, studi organizzativi e movimenti sociali si concentrano su oggetti diversi: l’oggetto delle analisi dei primi è l’organizzazione formale caratterizzata da una struttura permanente, funzionale alla stabilità e alla coesione sociale; i secondi sono concepiti come comportamenti collettivi devianti in cui manca una forma organizzata. Durante gli anni ’70, grazie alla RMT gli studiosi di movimento sociale spostano l’attenzione sulle strutture e sui processi organizzativi, e si focalizzano sui calcoli strategici dei movimenti e delle organizzazioni ad esempio: sui calcoli relativi alla possibilità di ottimizzare il reclutamento dei nuovi membri, o di ottenere risultati positivi rispetto agli obiettivi scelti; sullo studio degli incentivi per la mobilitazione; sui costi associati all’azione collettiva; sull’importanza della leadership. Verso la metà degli anni ’70 emergono altri punti di contatto, come la teoria della contingenza di Davis , che studia l’adattamento delle organizzazioni ai loro ambienti. Altre teorie pongono la loro attenzione su dinamiche esterne all’organizzazione stessa, esaminando: il contesto in cui operano le organizzazioni; le modalità attraverso le quali le dimensioni normative e cognitive delle istituzioni influenzano lo sviluppo delle organizzazioni; la diffusione delle pratiche all’interno delle popolazioni organizzative. LE DIVERGENZE TRA I DUE APPROCCI 1. l’oggetto d’analisi > seppur entrambi orientati a studiare le organizzazioni, gli autori che fanno riferimento agli studi organizzativi tendono a concentrarsi sulla stabilità delle strutture organizzative (esistenti), mentre gli studiosi dei movimenti sociali sono orientati a studiare le dinamiche associate alle strutture organizzative emergenti e concepiscono le organizzazioni (in divenire) come attori orientati al cambiamento sociale, politico o culturale; 2. la relazione con la sfera politica > gli studi organizzativi si concentrano sull’analisi delle organizzazioni in relazione alla politica istituzionale, la letteratura dei movimenti sociali esamina l’organizzazione in relazione alle attività collettive di protesta non-istituzionali; 3. il potere > nella prospettiva dei movimenti sociali la dimensione del potere delle élite e delle autorità politiche è centrale (per misurarne la repressività), gli studi organizzativi esaminano le dinamiche interne del potere riconoscendo che l’organizzazione è un sistema di dominazione trattando soprattutto temi di decision-making; 4. il “raggio d’azione” > lo studio dei movimenti sociali privilegia l’analisi di movimenti i cui obiettivi sono legati a questioni sociali che si rivolgono ad un ampio pubblico, gli studi organizzativi tendono ad essere orientati a specifici settori o a singoli attori. ALCUNI APPROCCI RECENTI➔ Fligstein e McAdam sottolineano che l’oggetto di ricerca comune ad entrambi i filoni sia l’azione collettiva strategica che si svolge nei campi d’azione strategici (Strategic Action Field), questo campo d’azione è identificato nel livello in cui si svolgono le interazioni tra gli attori, individuali o collettivi, che si riconoscono reciprocamente e che hanno una visione condivisa sugli obiettivi. Gli attori

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