Ordinamento Penitenziario PDF

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Dr.ssa Debora Mieli

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Italian Law Penitentiary System Correctional Practices Criminal Justice

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This PDF document on Italian law discusses the Italian penal system, including legal principles and regulations related to the treatment and organization of the penitentiary system within the context of the Italian legislation.

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ORDINAMENTO PENITENZIARIO legge 354/75 e DPR 230/2000 §1- Le fonti - La fonte giuridica da cui discendono i principi che governano l’intero sistema è la Carta Costituzionale ed in particolare l’art. 27 ove si legge: La responsabilità penale è pers...

ORDINAMENTO PENITENZIARIO legge 354/75 e DPR 230/2000 §1- Le fonti - La fonte giuridica da cui discendono i principi che governano l’intero sistema è la Carta Costituzionale ed in particolare l’art. 27 ove si legge: La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole fino alla sentenza definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato […]. L'ordinamento penitenziario vigente, introdotto dalla legge 354/1975 "Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà" e da successivi interventi normativi, è la legge fondamentale che regola il Trattamento e l’Organizzazione in materia penitenziaria, definendo dunque le modalità di esecuzione della pena, diritti e doveri delle persone recluse, nonché compiti e competenze degli organi amministrativi e giurisdizionali ed i connessi procedimenti. Il corpo normativo si avvale altresì della disciplina regolamentare dettata dal DPR 230/2000 Regolamento recante “norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà”. Ai sensi della legge 400/1988 (art. 17) il DPR è un atto normativo di rango immediatamente inferiore alla legge, emanato con decreto del Presidente della Repubblica, ed adottato su deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato, sottoposto al visto della Corte dei Conti e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Nel nostro caso il regolamento costituisce la fonte secondaria in cui sono meglio dettagliati tutti gli aspetti dell’ordinamento penitenziario già contenuti nella legge. Il nuovo regolamento di esecuzione si ispira espressamente alle “Regole minime per il trattamento dei detenuti” adottate dall’ONU nel 1955 e alle “Regole penitenziarie europee” del Consiglio d’Europa del 1987, che benchè successive all’ordinamento italiano ne propugnano gli stessi principi e valori. § 1.1 Principio di legalità, riserva di legge, principio di tassatività, riserva di giurisdizione Il Principio di legalità, di particolare importanza in materia penale, trova disciplina all’interno dell’art. 1 c.p. “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”, ed è riconosciuto e garantito anche dalla Costituzione che prevede all’art. 25 “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Esso implica una concezione formale del reato, cardine di tutti gli stati democratici e di diritto, secondo cui è reato solo il fatto previsto come tale dalla legge. La fattispecie di reato deve essere stata definita ed in vigore prima della commissione del fatto (irretroattività della legge penale). Sono corollari del principio di legalità i seguenti sotto-principi: 1) Riserva di legge La riserva di legge è principio previsto dalla Costituzione (ex art. 23) in forza del quale è imposto che determinate materie siano disciplinate da leggi ordinarie (o altre fonti di rango primario come decreti legge o decreti legislativi) Il principio di riserva di legge è un principio posto a garanzia delle libertà e diritti fondamentali nel senso che le norme che interessano questi ambiti siano emanate in base al procedimento legislativo più ampio e dialettico, rispettando così i principi democratici su cui si basa il nostro ordinamento. La Riserva di legge assume un valore e un significato sostanziale in ambito penale quale strumento tendenzialmente idoneo a realizzare l’aspirazione ad un diritto penale, inteso come extrema ratio. 1 (a cura della dr.ssa Debora Mieli) 2) Tassatività Il principio di tassatività o sufficiente determinatezza della fattispecie penale è un principio che regola il modo di scrivere le leggi imponendo al legislatore di formulare le fattispecie penali in modo preciso ed intellegibile così da rendere sempre chiaro quali condotte siano vietate e quali siano permesse, a garanzia degli abusi di potere 3) Riserva di giurisdizione La riserva di giurisdizione consiste nel principio secondo il quale i provvedimenti adottati in determinate materie (specialmente quelle riguardanti le restrizioni della libertà) debbano provenire dall’autorità giudiziaria (e non dall’autorità amministrativa)1. §2- Contenuti principali – il regime penitenziario L’ordinamento penitenziario vigente è stato concepito e voluto dal legislatore in funzione non della sola custodia del detenuto e neppure del mero riconoscimento del suo diritto elementare ad un trattamento conforme alla sua qualità di persona, ma - in ossequio all’art. 27 della Costituzione - in funzione del recupero sociale del condannato. Anche nelle norme regolamentari contenute nel DPR del 2000 si ritrova il superamento definitivo della mera finalità custodialistica, là dove si dispone che "la sicurezza, l’ordine e la disciplina degli istituti penitenziari costituiscono la condizione per la realizzazione delle finalità del trattamento" (art. 2). La privazione della libertà, aspetto afflittivo della pena, diventa in sostanza il mezzo per tendere al recupero sociale del condannato mediante il suo trattamento individualizzato (questo rappresenta il superamento del concetto retributivo della pena intesa come restituzione del male arrecato/vendetta; tuttavia non sfugge il paradosso che si sia di fronte ad una condizione quale è quella carceraria socializzante nel fine ma de-socializzante nel mezzo). L’insieme delle regole che presiedono lo svolgersi della vita intramuraria viene definito regime penitenziario, ed in esso sono individuabili sia le disposizioni inerenti al trattamento che alla sicurezza, così da formare un insieme di prescrizioni più o meno cogenti che interessano tutti i detenuti ma anche tutti gli operatori penitenziari, nell’agire comune verso lo scopo della rieducazione. Alla base del trattamento si rintracciano pertanto i valori dell’umanità e della dignità della persona, ai quali fa da corollario l’affermazione del principio della assoluta imparzialità nei riguardi di tutti i detenuti, “senza discriminazioni in ordine di nazionalità, razza, condizioni economiche e sociali, opinioni politiche e credenze religiose” (art. 1 OP). Ai detenuti viene assicurata parità di condizioni di vita negli istituti penitenziari (art. 3 OP) e nessuno fra essi “può avere, nei servizi dell’istituto, mansioni che comportino un potere disciplinare o consentano una posizione di preminenza sugli altri” (art. 32 OP.). Il rispetto per la persona si esprime anche nella previsione per cui “i detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome (art. 1 OP). Grande importanza (artt. 5 e ss OP) è stata accordata anche alle condizioni di vita, e dunque alla salubrità degli ambienti ed alla loro conformazione, al vestiario ed al corredo, alla cura dell’igiene personale, all’alimentazione, al servizio sanitario. Un momento sicuramente rilevante e dunque espressamente disciplinato – anche con circolari del DAP - è quello dell’ingresso in istituto, rispetto a cui è prevista l’organizzazione in ogni istituto del servizio per i nuovi giunti attivato sia per l’accertamento di eventuali maltrattamenti sia più specificatamente per conoscere le condizioni psicofisiche del soggetto al fine di intervenire sin da subito con specifici presidi e tutele e comunque predisporre la migliore allocazione. 1 Esempio di riserva di giurisdizione è l’art. 13 della Costituzione, il quale al secondo comma prevede che “In casi eccezionali di necessità e urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e se, questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.”. 2 (a cura della dr.ssa Debora Mieli) §3 L’osservazione scientifica della personalità e gli elementi del trattamento – Con la legge 354/75 è stato introdotto il concetto della individualizzazione del trattamento (art.13 OP), basata sulla osservazione scientifica della personalità da cui trarre quante più informazioni possibili per la corretta gestione dei reclusi e la redazione del loro programma individuale, e per consentire la loro più idonea assegnazione (tipo di istituto e sezione). Questa attività di osservazione si caratterizza per essere effettuata per tutta la durata della permanenza in carcere, al fine dell’aggiornamento costante degli interventi trattamentali secondo le esigenze che via via si prospettano nel corso dell'esecuzione, e mira dunque ad accertare i bisogni intimi e le cause della devianza criminale che ha condotto il soggetto a delinquere per poi attuare tutti gli interventi ritenuti idonei per rimuovere i motivi del disadattamento sociale. Tale attività di osservazione - che termina con la redazione della relazione di sintesi che è il documento in cui è descritta la proposta di programma trattamentale, da approvarsi con decreto dal magistrato di sorveglianza - è svolta, secondo quanto disposto dall'art. 28 DPR. 230/2000 dall’équipe di osservazione (art. 29 RE, comma 2), composta da funzionari giuridico pedagogici, funzionari di servizio sociale, personale di polizia penitenziaria e, se necessario, anche dai professionisti indicati nell'art. 80 dell'ordinamento penitenziario (esperti di psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica) sotto il coordinamento e la responsabilità del direttore dell'istituto. Il programma di trattamento consiste nell’insieme degli interventi rieducativi che gli operatori penitenziari propongono di attuare nei confronti del condannato o internato nel corso dell'esecuzione della pena. Dall’équipe di osservazione, si distingue il Gruppo di Osservazione e Trattamento (G.O.T.), definito dalla circolare 9 ottobre 2003 sulle Aree educative, e che rappresenta un “gruppo allargato” di cui fanno parte o possono essere chiamati a far parte, con il coordinamento del funzionario giuridico pedagogico, tutti coloro che (oltre ai componenti dell’équipe) interagiscono con il detenuto o che collaborano al trattamento dello stesso. Il G.O.T. si riunisce periodicamente – sempre coordinato dal responsabile dell’area educativa – sia prima che dopo l’osservazione, per verifiche ed aggiornamenti sulla situazione del detenuto. Gli strumenti attraverso cui si indirizza l’intervento risocializzante (art. 15 OP) sono il lavoro, sia all’esterno che all’interno del carcere, lo studio, le attività culturali ricreative e sportive, i rapporti con i familiari ed in generale con la società, la professione religiosa (art. 17, 18,19, 20 OP). Il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo e deve essere remunerato e la sua regolamentazione deve riflettere quella prevista per il lavoro nella società esterna (art. 20 commi 2 e 3) Corollario delle opportunità e dei diritti sono ovviamente i doveri dei detenuti, meglio declinati appresso quando si affronterà il regime disciplinare ed il sistema delle ricompense. § 3.1 Colloqui telefonate e corrispondenza – I detenuti hanno diritto di effettuare colloqui visivi e telefonici e utilizzare la corrispondenza epistolare quali strumenti del trattamento cui legislatore ha affidato la finalità di garantire il mantenimento dei legami anche affettivi con i familiari ed assicurare il diritto alla difesa tramite interlocuzione costante con il proprio difensore ed il garante. Colloqui – I detenuti hanno diritto a 6 colloqui al mese della durata di un’ora (per i reclusi per reati ostativi i colloqui scendono a 4 al mese) da poter spendere anche tutti lo stesso giorno purché non ostino con le esigenze organizzative (o di sicurezza) dell’istituto. Le modalità concrete di organizzazione del servizio colloqui sono di norma definite nel regolamento di istituto. 3 (a cura della dr.ssa Debora Mieli) Le persone che possono essere ammesse ai colloqui sono familiari, coniugi/conviventi, il garante dei diritti dei detenuti e il difensore. Il detenuto può chiedere di effettuare colloqui con terze persone, adducendo motivi specifici e le particolari esigenze per cui tale incontro viene richiesto, ed in questo caso vi è ampia discrezionalità per l’Amministrazione nel concedere o meno tali incontri (art. 37 RE).I colloqui si svolgono sotto il controllo visivo e mai auditivo del personale di polizia penitenziaria. I colloqui con il proprio difensore non sono sottoposti ad autorizzazioni o limiti temporali (a meno che non si applichino le restrizioni previste dall’isolamento giudiziario ai sensi dell’art. 104 c.p.p.) e avvengono -di regola- in locali diversi da quelli ove si tengono i colloqui con i familiari. Alla luce dell’evoluzione tecnologica che consente come noto l’effettuazione di videochiamate, è stata avviata nel 2019 (cfr circolare del 30 gennaio) una fase sperimentale, poi stabilmente adottata, rivolta ai soli detenuti di media sicurezza (successivamente estesa anche agli AS) per l’attivazione di videochiamate tramite piattaforma Skype for business o Teams. Tale modalità di contatto è stata equiparata ai colloqui visivi, come qualificazione giuridica e modalità esecutive. Il detenuto che intende fruire dei colloqui tramite connessione a distanza deve fornire attestazione circa l’esclusività della conversazione con i soli soggetti autorizzati. Si segnala solo per completezza che durante l’emergenza pandemica sono state autorizzate anche altre modalità di collegamento a fronte dei divieti di circolazione imposti a tutti i cittadini, tese a favorire comunque il mantenimento dei rapporti con i familiari (con whatsapp o rete unitaria giustizia - vedasi legislazione emergenziale, efficace fino al 31 dicembre 2022) Telefonate - Per quanto riguarda le telefonate esse possono essere autorizzate presso utenze fisse e preventivamente verificate intestate agli stessi familiari ammessi ai colloqui, con la frequenza di una telefonata di 10 minuti a settimana (secondo l’art. 39 RE le telefonate dei detenuti per reati di cui all’art. 4 bis sono solo due al mese e sono obbligatoriamente sottoposte a registrazione) Anche per le telefonate l’autorità giudiziaria può disporre l’ascolto e la registrazione. Le telefonate con terze persone sono soggette all’autorizzazione discrezionale sulla base dei ragionevoli motivi addotti dall’interessato 2. Con circolare del 2010 sono stati individuati i casi in cui è consentito al detenuto di chiamare telefoni cellulari (tale possibilità risulta però preclusa per le tipologie detentive di maggior pericolosità 41bis e alta sicurezza). - quando non sia stato effettuato da almeno 15 giorni alcun tipo di colloquio - quando non vi sia altra possibilità di contatto con i familiari/congiunti Il detenuto che intende chiamare una utenza mobile ricorrendo i suddetti presupposti deve autocertificare il rapporto di parentela, produrre una copia del contratto di telefonia mobile e inoltrare apposita domanda. Per gli stranieri si potrà ricorrere all’ausilio dell’Autorità consolare. Come già detto per i colloqui, anche per le telefonate la legislazione emergenziale legata all’evento pandemico ha introdotto alcune deroghe (per i detenuti comuni) favorendo l’estensione delle chiamate oltre i limiti stabiliti. Corrispondenza epistolare - La corrispondenza epistolare è libera e non soggetta a controlli preventivi (c.d. censura) a meno che ciò non sia imposto con provvedimento dell’autorità giudiziaria, che ove non ritenga di provvedere personalmente può delegare le verifiche al direttore dell’istituto o ad altra persona da 2 La normativa non fa riferimento alle telefonate col difensore, che secondo talune pronunce non dovrebbero subire limitazioni al pari dei colloqui, mentre secondo una interpretazione più restrittiva essendo salvaguardato appieno il diritto di difesa tramite l’effettuazione senza limiti dei colloqui visivi, sarebbe ragionevole fossero assimilate ai colloqui con terze persone, e dunque sarebbero assoggettate ad apposita autorizzazione preventiva. Secondo l’art 35 disp. att. c.p.p. tali telefonate non sono soggette a registrazione. 4 (a cura della dr.ssa Debora Mieli) questi individuata. Quando la corrispondenza sottoposta a censura non può essere inoltrata o consegnata al destinatario, il giudice ne dispone il trattenimento e ne dà notizia all’interessato (è ammesso ricorso tramite reclamo secondo la procedura indicata dall’art. 14 ter OP). La corrispondenza in entrata viene aperta davanti al detenuto che ne è il destinatario e controllata solo al fine di verificare che non via siano occultati oggetti non consentiti (es. denaro sostanze stupefacenti). L’art. 18 ter, indica espressamente che la sottoposizione a censura non deve riguardare la corrispondenza indirizzata alle autorità giudiziarie, ai membri del parlamento, al Presidente della Repubblica ed agli altri organi elencati al comma 2. La corrispondenza cui la normativa si riferisce è ovviamente quella epistolare benchè ormai sia diffuso l’uso della posta elettronica di cui – in attesa di futuri interventi regolatori - ad oggi il detenuto può fruire a sue spese solo tramite servizi offerti da enti esterni. §4 Le pene e le misure di sicurezza – Nel nostro ordinamento le pene si suddividono in pene principali ed accessorie (art. 17 c.p.). Delitti: pene principali sono l’ergastolo, la reclusione e la multa; Contravvenzioni: pene principali sono l’arresto e l’ammenda. L’ergastolo, la reclusione e l’arresto sono pene di natura detentiva mentre la multa e l’ammenda sono pene pecuniarie (art. 18 c.p.). Per concludere, l’articolo 20 precisa che le pene principali sono inflitte dal giudice con sentenza di condanna, mentre quelle accessorie conseguono di diritto alla condanna, in quanto effetti penali della stessa. Oltre alle pene sopra menzionate previste dal codice penale, il d. lgs.274/2000 ha introdotto due nuove pene principali che possono essere definite come sanzioni sostitutive di applicazione limitata ai soli reati di competenza del giudice di pace: la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità. Queste nuove sanzioni penali si applicano a numerosi reati, di tenue gravità e limitato allarme sociale tassativamente previsti dall’art. 4 del decreto citato. Il legislatore del 1930 ha inoltre previsto, accanto alla pene vere e proprie, irrogate al condannato per il reato commesso, le misure di sicurezza vale a dire un sistema sanzionatorio commisurato non alla condanna ma alla pericolosità del soggetto. Ed infatti mentre per l’irrogazione della pena si presuppone un accertamento della colpevolezza in ordine ad un fatto di reato, per la misura di sicurezza si presuppone l’accertamento della sola pericolosità sociale dell’autore del fatto stesso (che per definizione può anche essere non imputabile). Questa sistema (detto del doppio binario, perchè suddiviso tra colpevolezza cui segue la pena e pericolosità sociale cui segue la misura di sicurezza ) comporta che mentre la pena irrogata deve essere determinata nel suo massimo, per le misure di sicurezza la durata non è determinata nel massimo ma solo nel minimo essendo correlata al perdurare della pericolosità del soggetto (benchè una legge del 2014 abbia fissato la durata massima della misura di sicurezza nel massimo edittale della pena prevista per il reato commesso). Il sistema si avvale altresì delle misure cautelari personali (oltre che reali), che interessano gli imputati non ancora raggiunti da alcuna sentenza di condanna, per particolari tassative esigenze connesse al pericolo che l’elevata probabilità della sentenza a loro carico non possa essere eseguita ed indicate nel c.p.p. (art. 272, pericolo di fuga, pericolo di reiterazione del reato, pericolo di inquinamento delle prove). §5 Misure alternative (c.d. probation penitenziaria) – Un altro aspetto fortemente innovativo introdotto dalla legge del ‘75 riguarda la discontinuità della pena, che si esprime attraverso la concedibilità di permessi e altre misure (tese a consentire ai detenuti di riallacciare periodicamente i rapporti umani, a partire da quelli familiari), nonchè la 5 (a cura della dr.ssa Debora Mieli) flessibilità della pena, che trova applicazione con la previsione della liberazione anticipata (art. 54 OP, consente uno sconto di pena di 45 giorni ogni sei mesi). In base a quest’ultimo principio, il giudice di sorveglianza controlla il comportamento del detenuto, osserva il divenire della sua personalità, accertandone l’eventuale partecipazione al processo rieducativo, ed in base ai risultati di questa osservazione può poi concedere una riduzione della pena. Dunque il legislatore del ‘75 ma più ancora i successivi interventi riformatori (cd. Legge Gozzini del 1986) hanno introdotto e poi ampliato le misure alternative alla detenzione, vale a dire la possibilità di interrompere più o meno incisivamente il rapporto con l’ambiente carcerario, attraverso la previsione di alcuni istituti giuridici che consentono al detenuto di vivere e lavorare all’esterno. Tali istituti consistono nell’affidamento in prova al servizio sociale, nella semilibertà e nella detenzione domiciliare cui si accede di regola dopo aver scontato parte della pena. - L’affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 OP) - La semilibertà (art. 48) - La detenzione domiciliare (art. 47 ter) ordinaria ed i vari tipi speciali per le detenute madri (legge 8 marzo 2001, n. 40) ed i detenuti affetti da aids (l. 231 del 1999 - La liberazione condizionale (vera e propria forma di probation ex art. 176 c.p.). Con alcuni interventi speciali dettati dal costante problema del sovraffollamento (legge 199/2010 relativa alla detenzione presso il domicilio, la cui natura è sovrapponibile alla detenzione domiciliare) è stata poi introdotta la possibilità per alcuni tipi di reati e per pene definitive sotto i 18 mesi di accedere alla misura alternativa direttamente dallo stato libero evitando così il contatto con l’ambiente carcerario. Si devono aggiungere anche: Permessi premio (art. 30 ter OP) - oltre a quelli di necessità (art. 30 OP) - concessi a quei detenuti che non risultano di particolare pericolosità sociale. Essi hanno durata non superiore ogni volta ai quindici giorni, per consentire di curare interessi affettivi, culturali e di lavoro. La durata dei permessi non può comunque superare complessivamente i quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione, e possono essere concessi solo per tenui condanne anche se residuo di maggior pena. Tutti questi tipi di misure alternative sono riconducibili al concetto di probation penitenziaria (secondo la scelta dal legislatore del 1975) concetto che individua istituti di diversa natura, aventi per denominatore comune il fatto di favorire la fuoriuscita dal carcere sulla base della buona condotta. A completamento del sistema degli interventi di messa alla prova occorre menzionare le sanzioni sostitutive (ad es. lavori di pubblica utilità), applicabili già con la sentenza di condanna, e una forma di probation giudiziale, innovativa nel settore del processo penale per gli adulti, consistente nella sospensione del procedimento penale sin nella fase decisoria di primo grado per reati di minore allarme sociale. Questi istituti si caratterizzano per consentire di evitare al soggetto sin dall’inizio l’ingresso in carcere. §6 Istituti penitenziari e circuiti penitenziari – Le strutture detentive gestite dall’Amministrazione Penitenziaria nelle quali trovano esecuzione le pene detentive e le misure cautelari detentive si distinguono in: - case circondariali: per i soggetti in custodia cautelare o condannati alla reclusione per pene inferiori ai 5 anni; - case di reclusione: per i condannati in via definitiva con pene superiori ai 5 anni - istituti per l’esecuzione delle misure di sicurezza: case di lavoro, colonie agricole ed ex ospedali psichiatrici giudiziali oggi definitivamente chiusi per effetto della riforma introdotta con legge del 2012 (più volte prorogata, sino alla chiusura definitiva avvenuta nel 2015) che li ha 6 (a cura della dr.ssa Debora Mieli) trasformati in REMS (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) interamente gestite dal servizio sanitario nazionale. Le suddette separazioni (di cui all’art. 60 OP) possono trovare delle deroghe, ma è tuttavia importante sottolineare il principio di civiltà cui si ispirano – proprio anche delle regole penitenziarie europee – relativo alla esigenza di evitare che la promiscuità fra condannati ed imputati, o fra condannati di diverso spessore criminale, possa favorire la diffusione del cd contagio criminale. La medesima necessità di impedire influenze nocive fra diversi tipi di detenuti, è alla base della scelta (art. 14 OP) di far sì che la popolazione detenuta sia distribuita in appositi istituti o parte di essi (le sezioni), differenziate per caratterizzazione criminale, e denominati circuiti. Tale separazione discende dalla circolare 3359/5809 del 1993 che ha distinto: Circuito di Alta Sicurezza, per gli appartenenti alla criminalità organizzata; con circolare 3619/6069 del 2009 il circuito di Alta sicurezza è stato poi ulteriormente definito: in: - AS1 riservato ai soggetti non più sottoposti al regime speciale del 41bis - AS2 per i soggetti che hanno commesso reati con finalità eversive o terroristiche, anche internazionali; - AS3 per i detenuti genericamente appartenenti ad associazioni mafiose. Circuito Media Sicurezza, per la detenzione comune, tra cui i c.d. protetti; Circuito a custodia attenuata per soggetti di scarsa pericolosità e che necessitano di particolari interventi trattamentali. Si sono poi aggiunti: Circuito speciale del 41bis destinato ai soggetti cui è applicato con decreto del Ministro, il regime speciale; Circuito per collaboratori di giustizia e loro congiunti; §8 Circuiti e Regimi – E’ importante non confondere il concetto di Circuito, che individua una sistema di distribuzione e allocazione dei detenuti nei vari istituti di pena ove si applicano le ordinarie regole penitenziarie, con quello di Regime, che individua invece un sistema in cui le ordinarie regole penitenziarie sono fortemente limitate addirittura sospese (è il caso del 41bis e del regime della sorveglianza particolare, di cui si dirà appresso). §9 Regolamento interno di Istituto (art. 36 DPR 230/2000) – Ogni Istituto penitenziario deve disporre del proprio regolamento interno in cui devono essere meglio dettagliate in modo concreto e puntuale le modalità di svolgimento delle attività trattamentali, culturali, ricreative, sportive, dei servizi e della vita quotidiana in generale, tenuto conto della concreta realtà di ciascuna sede penitenziaria. Attesa la sua importanza tale documento deve essere redatto da una Commissione composta dal magistrato di sorveglianza, quale presidente, dal direttore dell’istituto, dal medico, dal cappellano dall’educatore e dall’assistente sociale (più eventualmente gli esperti ex art. 80 OP). Il regolamento è approvato dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (e non più dal Ministro per effetto del Dlgs 165/2001). §10 Art. 14 bis OP – Sorveglianza particolare – Il legislatore ha introdotto con la riforma del 1986 (legge Gozzini) questo istituto quale strumento di gestione dei soggetti che con il loro comportamento particolarmente violento o riottoso alle regole possono mettere in pericolo l’ordine e la sicurezza interni della struttura penitenziaria. Esso si applica ai condannati, agli imputati ed agli internati I casi in cui si può sottoporre un detenuto al regime della sorveglianza particolare sono quelli indicati all’articolo in questione comma 1 lett. a), b) 7 (a cura della dr.ssa Debora Mieli) e c), vale a dire per aver compromesso la sicurezza dell’istituto, per atti di violenza o minaccia tesi ad impedire le attività intramurarie, per atti di sopraffazione. La descrizione delle condotte non è determinata in modo dettagliato per cui l’Amministrazione ha un ampio margine di discrezionalità nell’individuazione dei comportamenti turbativi ascrivibili alla fattispecie. Il consiglio di disciplina (di cui all’art. 40 comma 2 O.P.) integrato da due esperti fra quelli indicati dall’art. 80 O.P. esprime il proprio parere motivato in ordine all’applicazione del regime in questione (per gli imputati deve essere acquisito anche il nulla osta dell’Autorità Giudiziaria che procede), mentre il provvedimento (decreto) è emesso dal DAP. In esso oltre alle motivazioni sono nel dettaglio descritte le limitazioni imposte al soggetto (alcuni diritti fondamentali indicati dall’art. 14 quater comma 4 non possono subire restrizioni per effetto del decreto medesimo). Il provvedimento è immediatamente esecutivo e deve essere notificato all’interessato che può proporre reclamo, ai sensi dell’art. 14 ter, entro dieci giorni, e viene comunicato al Magistrato di Sorveglianza, in quanto organo genericamente preposto alla tutela dei diritti dei detenuti. Il regime della sorveglianza particolare ha durata massima, in prima applicazione, di 6 mesi prorogabili di 3 mesi in 3 mesi. La differenza sostanziale fra questo regime e quello previsto dall’art. 41 bis O.P. sta nel fatto che il primo risponde all’esigenza di arginare la pericolosità interna dei ristretti, mentre il secondo trova le sue motivazioni nella necessità di recidere i collegamenti degli esponenti di spicco della criminalità organizzata con gli associati in libertà e dunque attiene alla c.d. pericolosità esterna. §10.1 Reclamo (art. 14 ter) – Avverso il decreto di sottoposizione alla sorveglianza particolare, il detenuto può proporre reclamo al Tribunale di Sorveglianza entro 10 giorni dalla notifica del provvedimento stesso a pena di decadenza (termine perentorio). Il Tribunale decide entro 10 giorni dalla ricezione del reclamo stesso. Questo termine tuttavia non è perentorio ma solo ordinatorio, per cui può accadere, di fatto, che trascorra un considerevole lasso di tempo senza che la posizione del detenuto sia effettivamente oggetto di tutela da parte dell’A.G. Ai sensi dell’art. 71 ter le decisioni del Tribunale e del Magistrato di Sorveglianza che assumono la forma dell’ordinanza sono sempre ricorribili per cassazione. Occorre accennare brevemente al fatto che il procedimento delineato dall’art. 14 ter era stato individuato dalla giurisprudenza come lo strumento utilizzabile per garantire la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi dei detenuti in attesa di un intervento del legislatore che si è poi avuto nel 20133. § 10.2 Il reclamo giurisdizionale e risarcitorio (art. 35 bis e 35 ter) - Nel 2013 sono state introdotte alcune innovazioni alla legge penitenziaria tese a rendere più efficace la tutela dei diritti delle persone detenute. Si tratta del reclamo giurisdizionale dell’art. 35 bis O.P. e del reclamo come rimedio risarcitorio dell’art. 35 ter O.P. Il reclamo giurisdizionale può essere esperito nei casi previsti dall’art. 69 OP comma 6 lett. a) e b) quindi avverso i provvedimenti dell’Amministrazione che riguardano sia il potere disciplinare (consentendo in particolare al Magistrato di sorveglianza di sindacare per le sanzioni più gravi non solo la legittimità dell’azione amministrativa ma anche il merito) sia più in generale l’inosservanza di norme da cui derivi al detenuto un grave pregiudizio nell’esercizio di diritti. I diritti tutelabili sono quelli che attengono a beni essenziali della persona ed a diritti fondamentali dell’essere umano, oltre a tutti quelli codificati come tali nella legge penitenziaria. 3 La Corte Costituzionale con sentenza n. 26/1999 aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 35 e 69 della legge penitenziaria nella parte in cui non prevedevano una tutela giurisdizionale contro gli atti dell’Amministrazione lesivi di diritti soggettivi dei detenuti. Successivamente per rendere efficace la decisone del Magistrato di sorveglianza sul reclamo proposto la stessa Corte (sent. 266/99) aveva altresì affermato il carattere vincolante ed obbligatorio per l’Amministrazione delle decisioni assunte in sede di reclamo dal citato giudice. 8 (a cura della dr.ssa Debora Mieli) La decisone del magistrato di sorveglianza può essere di rigetto o di accoglimento. Se accoglie può annullare il provvedimento impugnato (come nel caso della sanzione disciplinare) ovvero può ordinare all’amministrazione come provvedere. Il giudice decide con ordinanza ricorribile in Cassazione. Qualora l’amministrazione non attui quanto deciso dal giudice il detenuto può attivare il giudizio di ottemperanza secondo le disposizioni che regolano il processo amministrativo. Il reclamo può in un caso specifico giungere al riconoscimento a favore del detenuto di una detrazione di giorni di pena ancora da espiare ed anche di una somma di denaro a titolo risarcitorio. Ciò è previsto nel caso in cui il soggetto abbia subito un pregiudizio per il sovraffollamento e dunque per un periodo di carcerazione patito in condizioni incompatibili con i requisiti fissati dalla CEDU a seguito della famosa sentenza Torreggiani (Corte europea diritti dell’uomo del gennaio 2013). §11 Regime disciplinare e ricompense - Come già detto, la vita intramuraria è disciplinata nei suoi vari aspetti, allo scopo di garantire il mantenimento dell’ordine interno, secondo un quadro di regole come riassunto nell’art. 70 RE: 1. I detenuti e gli internati hanno l’obbligo di osservare le norme che regolano la vita penitenziaria e le disposizioni impartite dal personale; devono tenere un contegno rispettoso nei confronti degli operatori penitenziari e di coloro che visitano l’istituto. 2. I detenuti e gli internati, nei reciproci contatti, devono tenere un comportamento corretto. 3. Nei rapporti reciproci degli operatori penitenziari con i detenuti e gli internati deve essere usato il “lei”. Seguendo questo impianto normativo, il legislatore del ’75 ha dunque introdotto un vero e proprio sistema disciplinare (art. 36 O.P.) fatto di punizioni (art.38 O.P.) e ricompense (art. 37 O.P.). A garanzia dei diritti dei ristretti l’intero dettato normativo è ispirato al principio di legalità e tassatività in forza dei quali: - le infrazioni disciplinari, e le sanzioni applicabili sono previste dalla legge - le infrazioni disciplinari e le sanzioni applicabili sono solo quelle espressamente descritte (art. 77 Reg. esec.). L’art. 39 O.P. elenca in modo tassativo le sanzioni applicabili: le più lievi (richiamo ed ammonizione) sono comminate dal Direttore dell’Istituto, le altre più gravi (esclusione dalle attività ricreative, isolamento durante la permanenza all’aperto, esclusione dalle attività in comune) dal Consiglio di disciplina (composto da un esperto ex art.80, dall’educatore e presieduto dal direttore). Il procedimento (art. 81 Reg. esec) verte in una prima fase consistente nella redazione di un verbale da parte dell’operatore che rileva o comunque viene a conoscenza del fatto; il verbale viene poi portato all’attenzione del direttore per via gerarchica. Il direttore provvede alla contestazione entro 10 giorni. Se il direttore dopo aver condotto eventuali accertamenti, ritiene di irrogare una sanzione di sua competenza procede, altrimenti convoca il consiglio di disciplina, sempre entro 10 giorni dalla contestazione. Avanti il Consiglio di Disciplina convocato nei termini previsti il detenuto può esporre le sue ragioni. All’esito dell’audizione viene presa la decisione che può essere anche di archiviazione. Qualora si irroghi la sanzione dell’isolamento (per un massimo di 15 giorni alla volta) il sanitario deve certificare che il detenuto può sopportarlo. L’isolamento deve essere eseguito in cella singola e durante tale periodo il detenuto non può avere contatti con gli altri ristretti né partecipare alle attività trattamentali. Sono però ammessi colloqui e telefonate con i familiari, e gli incontri con gli operatori penitenziari. Anche per le ricompense il regolamento (art. 76) prevede una descrizione dei comportamenti rilevanti ai fini dell’attribuzione dei benefici, che compete al direttore ovvero dal consiglio di disciplina, previa consultazione del gruppo di osservazione4. 4 Il Gruppo di osservazione (GOT) definito dalla circolare 9 ottobre 2003 è formato dal personale educativo, di polizia penitenziaria e da tutte le figure anche esterne che interagiscono col detenuto e si distingue dall’Equipe (art. 28 RE) che 9 (a cura della dr.ssa Debora Mieli) §12 L’isolamento – L’isolamento previsto dalle norme penitenziarie (art.33 OP) non è solo quello disciplinare. Ad esso si aggiunge: l’isolamento per ragioni sanitarie e l’isolamento giudiziario nel periodo di custodia cautelare (in quest’ultimo caso il provvedimento emesso dall’Autorità giudiziaria indica durata, ragioni e modalità dell’isolamento). § 13 La legislazione emergenziale – il regime detentivo speciale del 41 bis OP – Il regime detentivo speciale introdotto con la previsione di cui all’art. 41 bis nasce all’indomani delle stragi di Capaci e di via D’Amelio (con il d.l. 8.6.1992, n. 306, conv. in l. 7.8.1992, n. 356), per rispondere alla esigenza di neutralizzare la pericolosità dei detenuti che, in virtù dei legami con le associazioni criminali di appartenenza, continuavano dal carcere ad esercitare il loro ruolo di comando, impartendo ordini e direttive agli associati in libertà e per i quali dunque le ordinarie regole di detenzione erano risultate prive di effetti. Il regime speciale non costituisce pertanto una forma di detenzione con cui si vogliono introdurre ulteriori misure afflittive rispetto alla pena in esecuzione, ed in questo senso il modo corrente di riferirsi al 41 bis come al carcere duro risulta in effetti fuorviante5. Tuttavia la costruzione pratica delle limitazione ai contatti con l’esterno e con il resto della popolazione detenuta ha comportato l’applicazione di alcuni accorgimenti custodiali ed organizzativi più rigorosi, (oltre a prevedere la sospensione dei benefici penitenziari e delle misure alternative), cui sono destinati gli autori di reati in materia di criminalità organizzata (reati previsti dall’art.4 bis O.P., primo comma, ovvero avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis c.p.) che abbiano posizioni di preminenza all’interno dell’associazione mafiosa, e nei confronti dei quali sia stata inoltre accertata la permanenza dei collegamenti con la consorteria di appartenenza6. Poiché lo scopo del 41bis è proprio quello di interrompere i collegamenti del detenuto al vertice dell’associazione criminale con gli associati in libertà, si parla di funzione specialpreventiva. Nella sua originaria fisionomia, il regime detentivo speciale si configurava come una misura di carattere emergenziale, e questa sua natura aveva però determinato anche numeroso critiche per la mancanza di tutela giurisdizionale e per la (presunta) carenza di legalità in ordine ai presupposti applicativi, ai contenuti, alla durata. Al fine di superare una volta per tutte queste critiche l’intero sistema è stato reso stabile ed è stato ridisciplinato in tutti i suoi aspetti con la legge n. 279/2002 e poi con legge n. 94/2009. Si coglie l’occasione per segnalare che ovviamente maggiore è la durata di applicazione maggiore sarà la probabilità di riuscire ad interrompere effettivamente i collegamenti con l’esterno: tuttavia anche in questo caso si registra il paradosso per cui proprio il successo della misura specialpreventiva (cioè l’effettiva rescissione dei legami con gli associati in libertà) viene utilizzata conduce l’osservazione scientifica della personalità e redige il programma trattamentale in quanto questo organo è formato solo dai professionisti dipendenti dall’amministrazione (direttore, educatori, psicologi, assistenti sociali, polizia penitenziaria ed eventualmente esperti ex art. 80OP). 5 Per maggior chiarezza si rammentano alcune decisioni della Corte Costituzionale (n. 349/93 e n. 351/96) in cui è stato affermato che con l’adozione del 41bis non possono essere introdotte misure incidenti “sulla qualità e quantità della pena” o sul “grado di libertà personale del detenuto”, di modo che queste prescrizioni costituiscono il limite esterno al potere ministeriale, ed è stato altresì fissato il principio per cui non possono esser imposte limitazioni ultronee rispetto a quelle strettamente necessarie al mantenimento dell’ordine e sicurezza dell’istituto penitenziario (limite interno). 6 Anche se non espressamente previsto dalla legge, il presupposto della sussistenza dei collegamenti non potrà considerarsi integrato nel caso di collaborazione con la giustizia poiché «la collaborazione con la giustizia …. assume la diversa valenza di criterio di accertamento della rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata» (cfr. C. cost., 20.7.2001, n. 273). 10 (a cura della dr.ssa Debora Mieli) per motivare l’eventuale revoca del decreto applicativo, in quanto si è spinti a ritenere il venir meno di uno dei presupposti necessari (il collegamento con l’esterno). Inoltre occorre tenere presente che il regime di rigore ha rappresentato negli anni di applicazione una potente leva che ha spesso sollecitato le scelte collaborative di molti detenuti. § 13.1 Presupposti e Contenuti del regime speciale – In base alla attuale legislazione possono essere sottoposti al regime del 41bis: - I condannati o imputati per reati previsti dall’art. 4 bis OP primo comma; - I condannati o imputati per reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis codice penale o per reati commessi per agevolare le associazioni; - Sussistenza dei collegamenti con l’esterno (desunta dalla pericolosità del soggetto, dal suo ruolo di vertice all’interno dell’organizzazione) - Motivi di sicurezza Le restrizioni applicabili attengono da un lato, alla limitazione delle comunicazioni tra i detenuti e l’esterno, dall’altro, incidono sui rapporti tra i detenuti all’interno dell’istituto. L’applicazione del regime speciale avviene con Decreto ministeriale (a firma del Ministro della Giustizia) secondo le indicazioni che pervengono dall’autorità giudiziaria, dalla Direzione nazionale antimafia e dagli organi investigativi. Il decreto, oltre ad imporre maggiori attenzioni custodiali e di sicurezza, disciplina in modo più restrittivo i diritti previsti dall’ordinamento penitenziario e le ordinarie regole del trattamento: esso ha inizialmente durata di 4 anni prorogabile di due anni in due anni. Il decreto impone dunque limitazioni nei colloqui, nelle telefonate e nella corrispondenza. Per quanto riguarda i colloqui con i familiari, i detenuti in 41bis possono fruire di un solo colloquio al mese con i familiari della durata di un’ora (ciò a fronte della disciplina ordinaria che contempla per i detenuti ‘comuni’ il diritto a sei colloqui al mese, più eventuali altri colloqui che possono essere richiesti in presenza di particolari circostanze familiari). Ai colloqui sono ammessi familiari e conviventi, mentre soggetti diversi possono essere autorizzati solo in casi eccezionali. Per quanto riguarda poi le modalità, se nel regime ordinario il colloquio avviene sotto il controllo visivo, e mai auditivo del personale di custodia, e comunque senza mezzi divisori, per i detenuti in 41 bis esso si svolge in appositi locali muniti di vetro a tutt’altezza, per impedire il passaggio di oggetti di qualsiasi natura ed è sottoposto a controllo auditivo e videoregistrazione (previa la necessità di un’autorizzazione del giudice). La rigidità di tali previsioni è attenuata in presenza di figli o nipoti infra-dodicenni, con i quali il detenuto può avere il colloquio senza vetro divisorio, anche se solo per un lasso di tempo assai ridotto (cfr. le circolari DAP n. 3592 del 9.10.2002 e n. 0101491 del 12.3.2012). Quanto ai colloqui telefonici, il detenuto in 41 bis ha diritto ad una sola telefonata al mese della durata di dieci minuti, che viene comunque registrata, ma solo in sostituzione del colloquio personale e comunque dopo i primi sei mesi di permanenza nel regime. A seguito della sentenza della Corte Cost., 17.6.2013, n. 143 è stata dichiarata incostituzionale la disposizione che limitava il numero dei colloqui e delle telefonate con il difensore, che dunque ora non sono più soggetti a restrizione, al pari di tutti gli altri detenuti. Sempre con riguardo alle comunicazioni con l’esterno, un’altra limitazione riguarda la corrispondenza, sia in partenza, sia in arrivo che, previa autorizzazione giudiziale, è sottoposta a visto di controllo (c.d. censura), «salvo quella con i membri del Parlamento o con autorità europee o nazionali aventi competenza in materia di giustizia». Ulteriori limitazioni attengono alla ricezione di beni e somme di denaro e nella permanenza all’aperto (massimo due ore al giorno) ed in gruppi non superiori a quattro detenuti, divieto di partecipazione alle rappresentanze dei detenuti, divieto di avere qualsiasi tipo di rapporto con detenuti 41bis appartenenti ad altri gruppi di socialità. 11 (a cura della dr.ssa Debora Mieli) Per rispettare quest’ultimo limite, per il circuito del 41 bis sono stati individuati appositi istituti o sezioni di istituto dove i detenuti vengono custoditi in assoluta separatezza dalla restante popolazione detenuta e per gruppi di socialità limitati a massimo 4 persone, ed in una composizione determinata dall’amministrazione penitenziaria. A seguito dell’entrata in vigore della legge nr.11/1998 e successive modificazioni, i detenuti sottoposti al regime speciale di cui sopra partecipano a distanza a tutti gli incombenti di giustizia che li riguardano da appositi locali attrezzati situati all’interno della sezione detentiva o nelle immediate vicinanze di questa. Ciò ha contribuito a rendere più efficaci le restrizioni poste con il decreto ex art.41 bis O.P. che limitando, se non addirittura escludendo, le possibilità del detenuto di essere tradotto all’esterno, anche temporaneamente, presso i luoghi dove più forte è l’influenza criminale dell’associazione di appartenenza. § 13.2 Impugnazioni - Contro i provvedimenti di applicazione e di proroga del regime detentivo speciale, il detenuto o il suo difensore, possono proporre reclamo al Tribunale di sorveglianza di Roma entro venti giorni dalla notifica del decreto, per contestare la sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento. La scelta del legislatore di individuare nel Tribunale di Sorveglianza di Roma il foro competente per tutti i ricorsi, a prescindere dunque dalla sede ove i soggetti sono ristretti, è stata dettata dall’esigenza (da più parti criticata) di confrontarsi con la stessa Autorità giudiziaria in modo da poter prevedibilmente ricevere sentenze dal medesimo orientamento giurisprudenziale che consentano la parità di trattamento di tutti i soggetti del circuito speciale. Il tribunale di sorveglianza decide con ordinanza emessa all’esito del procedimento in contraddittorio delineato dagli articoli 666 e 678 c.p.p. (procedimento di sorveglianza). Contro l’ordinanza del Tribunale il detenuto, il suo difensore nonché il pubblico ministero possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge. Il ricorso avverso il decreto del 41bis non ne sospende l’esecuzione. Ove il ricorso venga accolto, il decreto perde efficacia ma il Ministro può riproporlo solo tenendo conto di quanto motivato dal Tribunale di Sorveglianza e semprechè vengano presi in considerazione elementi nuovi o sconosciuti in precedenza. § 14 I collaboratori di giustizia – Secondo la previsione dell’art. 58 ter O.P. sono considerati collaboratori di giustizia i detenuti che con le loro dichiarazioni hanno aiutato concretamente l’autorità giudiziaria o investigativa per la ricostruzione di fatti reati e per la cattura dei loro autori. Sotto il profilo strettamente penitenziario la collaborazione – accertata dal Tribunale di Sorveglianza - avviata dai detenuti per reati ostativi (art. 4 bis O.P.), fa venir meno la preclusione all’accesso ai benefici ed alle misure alternative. Infatti, come già accennato, nei confronti dei detenuti che hanno commesso reati ostativi l’unica condotta che testimonia una loro presa di distanza dall’associazione stessa è rappresentata dalla scelta collaborativa. Alla norma del 58 ter si affianca la legislazione specifica (D. legge n. 8/91 e successive modifiche) che ha introdotto la possibilità di applicare al detenuto collaboratore speciali misure di protezione (art. 13) finalizzate a tutelarne l’incolumità, se ricorrono tre presupposti: - Rendere dichiarazioni con carattere di attendibilità, novità e completezza - Pericolo di subire ritorsioni a causa delle dichiarazioni rese - Redazione entro 180 giorni del verbale illustrativo (art. 16 quater) ove sono riassunte le notizie fornite e viene confermato l’impegno a collaborare 12 (a cura della dr.ssa Debora Mieli) La normativa speciale ha poi introdotto, al fine di incentivare la scelta collaborativa, la possibilità di accedere ai benefici penitenziari (permessi premio e misure alternative) con modalità diverse rispetto a quelle previste dall’ordinamento penitenziario. In ambito penitenziario, prima dell’applicazione delle misure tutorie di cui sopra, il detenuto che ha avviato la collaborazione deve ovviamente esser custodito in sezioni dedicate per ovvie ragioni di tutela della sua incolumità, ed a tal fine la legge indica alcuni principi tassativi da osservare, per garantirne la sicurezza e riservatezza e la genuinità delle dichiarazioni (con isolamento, divieti di incontro e divieti di comunicazione con l’esterno). § 15 Carcere aperto e sorveglianza dinamica - Abbiamo già affrontato il tema della distribuzione della popolazione detenuta in circuiti penitenziari modalità che consente da un lato di evitare il cd contagio criminale dall’altro di predisporre interventi mirati alla medesima tipologia di detenuti, così da calibrare in modo omogeneo le attività trattamentali ed i presidi di sicurezza. Un importante momento di innovazione si è registrato con l’adozione della circolare del 24 novembre 2011 che ha segnato l’introduzione del c.d. carcere aperto vale a dire la possibilità di ridefinire gli spazi detentivi spostandone la limitazione fisica al di là ed al di fuori della camera di pernottamento. Questa riperimetrazione degli ambienti aveva consentito l’introduzione anche in Italia dei regimi aperti già diffusi in molti Stati europei, ove di fatto ai soggetti meno pericolosi e più impegnati nelle attività di reinserimento veniva consentito di trascorrere fuori dalla cella l’intera giornata. L’intendimento della circolare era da un lato quello di offrire una modalità detentiva più favorevole ai soggetti più meritevoli, dall’altra era quello di introdurre la possibilità di accedere a sistemi aperti via via che il soggetto - sottoposto a costante osservazione – aderisse in maniera sempre più convinta e responsabile al percorso di reinserimento. Tuttavia con provvedimenti successivi l’Amministrazione (nota del 30 maggio 2012),pur mantenendo il concetto di carcere aperto, rinunciava a tutte quelle attività che erano state previste e prescritte per attuarlo, in particolare eliminando la parte relativa alla valutazione dei reclusi e dei presupposti, con la conseguenza che venuta meno la struttura centralizzata, ogni realtà territoriale si mosse da sola (vuoi abolendo il regime aperto, vuoi aprendo indiscriminatamente con ripercussioni sull’ordine e la sicurezza). Successivamente per riportare ordine nelle varie esperienze territoriali e ricondurre ad unità l’azione dell’Amministrazione, è stata adottata la circolare del 23 ottobre 2015, che pur mutando la denominazione dei criteri valutativi, ha reintrodotto il principio della proporzionalità tra pericolosità del detenuto ed opportunità offerte in termini di spazi di libertà. La sorveglianza dinamica costituisce il corollario dei principi sopra esposti, nel senso che anche le modalità del controllo devono essere rideterminate in ragione della maggiore mobilità/flessibilità interna accordata ai reclusi, con posti di servizio all’esterno delle sezioni e nei punti nevralgici, fatti salvi tutti gli interventi preventivi connessi al coretto governo delle sezioni stesse (perquisizioni, ispezioni, conta numerica, passaggi notturni difronte alle celle, utilizzo della videosorveglianza). Quando si cominciò a tentare di meglio definire il concetto di sorveglianza dinamica si fece riferimento ad un cambio prima di tutto culturale che avrebbe dovuto passare dal concetto di sorveglianza-custodia a quello di sorveglianza –conoscenza. La scelta, non si può tacere, ha preso le mosse dalle urgenze dettate dalla sentenza Torreggiani che sollecitato una rivisitazione della concezione della pena, sempre meno retributiva e sempre più finalizzata alla rieducazione ed al reinserimento del reo, filosofia che ha ispirato gli Stati Generali dell’Esecuzione Penale. Il tentativo tuttavia ancora oggi si scontra con le carenze organizzative e trattamentali che non sempre sono sufficienti per scongiurare che i detenuti siano “preda dell’ozio” e in grado di assicurare 13 (a cura della dr.ssa Debora Mieli) attività lavorative, culturali, ricreative e sportive, sotto la costante guida di personale qualificato e specializzato, quale educatori, psicologi e assistenti sociali e poliziotti penitenziari che invece scarseggiano. § 16 La magistratura di sorveglianza La magistratura di sorveglianza nell’ordinamento giudiziario italiano, individua una parte della magistratura che funzionalmente interviene nella fase dell’esecuzione della pena, ed è stata introdotta con la riforma del 1975. In sostanza il legislatore ha inteso far si che la fase dell’esecuzione della pena non avesse natura semplicemente amministrativa, ritenendo necessaria la sua piena giurisdizionalizzazione. La magistratura di sorveglianza ha numerose competenze che riguardano le questioni relative ai diritti dei detenuti, ma anche la concessione e la gestione delle pene alternative alla detenzione, Si compone di due organi giurisdizionali, il Magistrato di Sorveglianza, organo monocratico, e il Tribunale di Sorveglianza, organo collegiale di cui entrano a volte a far parte anche esperti non togati (in psicologia, servizi sociali, pedagogia, psichiatria e criminologia, nonché docenti di scienze criminalistiche). La magistratura di sorveglianza ha il compito di vigilare sull’esecuzione della pena nel rispetto dei diritti dei detenuti e degli internati. Svolge la sua funzione in materia di applicazione di pene alternative alla detenzione, di esecuzione di sanzioni sostitutive, di applicazione ed esecuzione delle misure di sicurezza. In particolare, il magistrato di sorveglianza ha il compito di vigilare sulla organizzazione degli Istituti penitenziari, segnalare al ministero della Giustizia le esigenze dei servizi, approvare il programma di trattamento individualizzato per ogni singolo detenuto e i provvedimenti di ammissione al lavoro all’esterno, provvede sulla remissione del debito e sulla situazione dei condannati per infermità psichica, decide sulle concessioni dei permessi, sulle misure di sicurezza e sui reclami disciplinari e in materia di lavoro dei detenuti e degli internati. In particolare: - approva il programma di trattamento del detenuto - decide sulla concessione di permessi, liberazione anticipata, remissione del debito, sulle sospensioni e i differimenti nell’esecuzione della pena, sulle espulsioni di detenuti stranieri e sulle prescrizioni relative alla libertà controllata - autorizza ricoveri ospedalieri e visite specialistiche - autorizza, su parere della direzione dell’istituto, l’ingresso di persone estranee all’amministrazione penitenziaria (ad esempio volontari, formatori) - sovrintende all’esecuzione delle misure alternative alla detenzione carceraria - provvede al riesame della pericolosità sociale e alla conseguente applicazione, esecuzione e revoca, delle misure di sicurezza disposte dal tribunale ordinario - determina in merito alle richieste di conversione o rateizzazione delle pene pecuniarie - esprime un parere sulle domande o le proposte di grazia A questo scopo la legge pone al magistrato l’obbligo di recarsi di frequente in carcere e di sentire i detenuti che chiedono di conferire. Il Tribunale si occupa della concessione e revoca delle misure o pene alternative alla detenzione in carcere (affidamento in prova ordinario e particolare, semilibertà, liberazione anticipata, detenzione domiciliare, liberazione condizionale, differimento della esecuzione delle pene). Il Tribunale di sorveglianza svolge la sua attività sia come giudice di primo grado sia come giudice di secondo grado rispetto al Magistrato di sorveglianza. Come giudice di appello, il Tribunale decide le impugnazioni proposte contro alcuni provvedimenti del Magistrato di sorveglianza. § 17 Sanità Penitenziaria – 14 (a cura della dr.ssa Debora Mieli) le Fonti : - D.P.C.M. 1° aprile 2008 «Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria», e allegate Linee di indirizzo - Allegato A – «Linee di indirizzo per gli interventi del Servizio Sanitario nazionale a tutela della salute dei detenuti e degli internati negli istituti penitenziari, e dei minorenni sottoposti a provvedimento penale» - Allegato C – «Linee di indirizzo per gli interventi negli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) e nelle case di cura e custodia» - legge n. 9 del 17 febbraio 2012 di conversione del D.L. n.211 del 22 dicembre 2011. Dopo molti anni di acceso dibattito nel 2008, il legislatore, nell’intento di migliorare la tutela del fondamentale diritto alla salute per le persone detenute, riconosciuto come tale già con lo stesso Ordinamento penitenziario, ha disposto, con una scelta dirompente e molto discussa (i cui effetti si sono rivelati in parte contrastanti rispetto alle aspettative) il trasferimento al Servizio sanitario nazionale dell’organizzazione sanitaria ed i connessi interventi, prima alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria, L’obiettivo era quello di restituire piena autonomia all’esercizio della professione sanitaria (che aveva agito fino ad allora in una dimensione organizzativa predisposta per garantire anche altri interessi pubblici, quali quelli di sicurezza), ribadendo la priorità della tutela della salute anche in carcere. Dunque, una scelta radicale che ribaltava il sistema precedente mettendo l’organizzazione penitenziaria al servizio funzionale delle finalità di tutela della salute della persona, curato dal Sistema sanitario pubblico, di non facile e, soprattutto, rapida realizzabilità, di cui dopo quasi 15 anni ancora non si raccolgono i frutti sperati (anzi il dibattito è aperto). In particolare i principi ispiratori della riforma che nelle intenzioni del legislatore avrebbero dovuto determinare un deciso innalzamento dei livelli di intervento possono essere così riassunti: - uguaglianza in materia di assistenza sanitaria tra detenuti/internati e cittadini liberi - Dignità della persona (condizioni ambientali e di vita rispondenti ai criteri di rispetto della) - globalità dell'intervento sulle cause di pregiudizio della salute - Unitarietà dei servizi e delle prestazioni - Complementarietà dell'assistenza sociale e sanitaria - Continuità terapeutica (all'ingresso, nei trasferimenti e dopo la scarcerazione e immissione in libertà) - Integrazione tra servizi sanitari (SS penitenziario e SS regionale) - Leale collaborazione interistituzionale tra SSN e Amministrazione penitenziari Nella realtà molto è restato inattuato, ed il Sistema sanitario pubblico anziché rafforzare le strutture esterne per rispondere ai bisogni di assistenza sanitaria specialistica, si è invece orientato a confermare il modello organizzativo già esistente, palesando alcune criticità che qui si riassumono: Disomogeneità delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione Carenze significative nell’offerta di alcuni servizi socio-sanitari (es. salute mentale) Rimpallo di responsabilità per detenuti «disturbanti» e rischio di medicalizzazione (abuso di psicofarmaci) o ghettizzazione (circuitazione informale del sistema) del disagio psichico e sociale Farraginosità, obsolescenza e lentezza delle procedure per l’erogazione delle prestazioni sanitarie Inesistenza di un sistema informatico omogeneo a livello nazionale di raccolta e conservazione digitale dei dati clinici dei pazienti e di dati statistici sui fabbisogni Ineffettività del diritto alla riservatezza sanitaria (es. visite e farmaci) Inefficiente programmazione della spesa sanitaria, Ambiguità nel riparto di competenze 15 (a cura della dr.ssa Debora Mieli)

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