Medicina d'Urgenza PDF

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This document provides information on chest pain, outlining potential causes including heart attack, pulmonary embolism, and aortic dissection. It details various symptoms and diagnostic approaches, including ECG analysis and cardiac enzyme testing, for immediate medical intervention.

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DOLORE TORACICO Quando abbiamo un dolore toracico dobbiamo pensare ad un infarto, un’embolia polmonare e una dissecazione dell’aorta. Un dolore retrosternale ci fa pensare all’infarto. Se ho un’irradiazione al giugulo aumenta l’allarme che insieme al dolore toracico retrosternale ci sia uno di quei...

DOLORE TORACICO Quando abbiamo un dolore toracico dobbiamo pensare ad un infarto, un’embolia polmonare e una dissecazione dell’aorta. Un dolore retrosternale ci fa pensare all’infarto. Se ho un’irradiazione al giugulo aumenta l’allarme che insieme al dolore toracico retrosternale ci sia uno di quei problemi. Se il dolore è oppressivo abbiamo un’altra caratteristica che ci fa pensare ad un’ischemia. Altra caratteristica è il carattere costrittivo, il paziente sempre stringere, chiudere. Sempre dell’ischemia cardiaca è importante sapere se il dolore è insorto a riposo o sotto sforzo perché potrebbe essere confusa con un’angina da sforzo. Se c’è sforzo questo può fare circolare più sangue in corpo e questo preoccupa, ma se non ci fosse sforzo saremmo più preoccupati perché vuol dire che c’è qualcosa che è insorto nel circolo delle coronarie, e questo può portare all’infarto del miocardio. Altri sintomi di ischemia cardiaca, escluso il dolore toracico che non sempre può presentarsi, sono: il diabete che si presentano con sudorazione (segno di ipoperfusione periferica), cute pallida, dispnea acuta e infine la sincope (ipoperfusione cerebrale). Ai pazienti con infarto viene data la trinitrina, che è nitroglicerina. Si somministra sublinguale e se il dolore scompare allora si capisce che il motivo è un’ischemia. Importante è il tempo che ci vuole per far passare il dolore, che corrisponde a 2 minuti perché c’è un’altra causa di dolore toracico che corrisponde alla somministrazione di nitrati, e questa ha tempo superiore. Con questi pazienti dobbiamo avere chiari i fattori di rischio cardiovascolari, quindi se hanno diabete, se fumano, se hanno ipertensione, se hanno ipercolesterolemia. Deve essere chiaro se c’è familiarità per IMA, cioè se in famiglia ci sono parenti stretti (primo grado sia ascendente che discendente) che hanno avuto infarto. Nella familiarità conta anche l’età perché se ha avuto infarto il papà di 76 anni e ne aveva avuto pure a 41 anni. L’ambiente esterno pesa sull'infarto perché dopo una certa età sul nostro fattore genetico pesa molto. Se avesse avuto l’infarto solo a 76 anni dovevamo preoccuparti meno, ma avendone avuto uno a 31 allora dobbiamo preoccuparti. Dobbiamo tenere conto pure se questo tipo di sintomatologia si era già presentata oppure è la prima volta. Appena arrivano dobbiamo fare un ECG subito, con un tempo massimo di 10 minuti. Per questo motivo questo viene fatto in triage. Nell’ECG i segni di ischemia cardiaca che possiamo cercare è la T invertita. Importante fare esami ematochimici, che se sono nella norma allora non c’è un infarto. Dobbiamo valutare l’intensità, la durata, e la soglia in cui si presenta il dolore. Questo ovviamente dobbiamo farlo quando il paziente ha presentato questo dolore nel passato. Ad un paziente così possiamo fare una diagnosi, prescrivere una terapia. Dobbiamo capire se il paziente ha un’angina stabile, quindi se si è già presentata altre volte. Se abbiamo un’angina stabile diamo una terapia betabloccante che il paziente aveva sospeso. Se è un’angina instabile la ricoveriamo in UTIC, unità di terapia intensiva coronarica, in questo paziente non ha un infarto adesso ma tra 24 ore potrebbe presentarlo, quindi deve essere monitorizzato. Il dolore toracico da solo rappresenta 1/3 dei pazienti che arrivano in PS. Le cause di dolore toracico sono diverse, come dolore del muscolo scheletrico, cause polmonari, aortiche, gastrointestinali. Dissecazione aortica → classicamente ha una localizzazione interscapolare posteriore alta. Va dall’alto verso il basso e man mano progredisce. Solitamente si associa a dei deficit di perfusione d’organo ed è un dolore molto intenso descritto come se si rompesse qualcosa. Dolore polmonare → il polmone non ha terminazioni dolorose sensitive, quindi il dolore di una polmonite ad esempio si presenta come dolore toracico perché si infiamma la pleura. È un dolore che viene descritto come se si viene trafitti. Inoltre aumenta con gli atti respiratori. Ci sono casi in cui il paziente assume posizioni per alleviare il dolore. Da considerare i sintomi di accompagnamento come febbre, sudorazione. Dolore peropericardico → sempre un dolore trafittivo che aumenta con gli atti respiratori Dolore gastrointestinale → qui rientrano malattie come quella da reflusso, patologie della colecisti, delle vie biliari, pancreatite. A volte abbiamo delle variazioni caratteristiche: nel dolore della colecisti si irradia la spalla destra, dolore della pancreatite si irradia sempre la spalla. Il dolore gastrico ad esempio è esacerbato dall’assunzione di cibo. Dolore muscolo scheletrico → è la diagnosi con cui più spesso vengono dimessi i pazienti dal PS. È un dolore a cui si arriva una volta escluse tutte le altre cause. Spesso grazie alla digitopressione riusciamo ad aumentare questo dolore. Dolore da herpes zoster cutaneo → è un dolore di tipo nevralgico, molto fastidioso. Insorge 2 – 3 giorni prima che insorgano le manifestazioni cutanee. Dolore toracico anginoso Qui troviamo tutti i dolori di natura ischemica cardiaca. I sintomi di dispnea acuta, sincope e sudorazione fredda sono considerati equivalenti anginosi. Questo vuol dire che il famoso paziente diabetico che non ha dolore, se ha la sincope o gli altri, allora deve accendersi una luce nel nostro cervello e trattarlo con urgenza come se avesse dolore toracico. Può essere localizzato tipicamente nella mascella, nell’epigastrio, nel dorso, nel lato destro. Se una persona usa, per descrivere il tipo di dolore che ha, la mano aperta davanti al torace, il pugno chiuso o le due mani che spingono verso il torace, abbiamo il 77% di possibilità che quel dolore sia ischemico. Cardiopatia ischemica 1- Angina stabile, malattia coronarica stabile nel tempo non attiva. 2- Sindromi coronariche acute, che al suo interno contiene 2 patologie diverse, ossia l’angina instabile, infarto del miocardio acuto. Quest’ultimo si può presentare con ST elevato (STEMI) e con ST non elevato (NSTEMI). Questi due sono stati messi sono questo gruppo perché voleva essere un intento educativo per non far sottovalutare le diagnosi di angina instabile, ma anche perché nell’attesa di avere il risultato degli enzimi cardiaci, in base alla clinica e all’ECG, possiamo orientarci nel capire se ha una manifestazione acuta di ischemia cardiaca oppure no. In attesa degli enzimi potremmo non essere in grado di distinguere un’angina stabile da un NSTEMI, perché i segni elettrocardiografici e la presentazione clinica possono essere gli stessi. Fino ad allora possiamo dare una valutazione univoca per dare intanto un messaggio di gravità del paziente Questa patologia è una delle nostre più grandi preoccupazioni. Circa 2 milioni di pazienti l’anno vanno in PS per dolore toracico. Di questi 1.2 milioni venivano classificati con un dolore toracico ad eziologia cardiaca. Dentro questa patologia ci sono 80 mila pazienti che andavano in contro a morte improvvisa, 220 mila pazienti con diagnosi di infarto e 300 mila che avevano una diagnosi di sindrome coronarica acuta, mentre 6000 mila veniva considerata come una causa non cardiaca. Dei restanti 800 mila ce ne sono 10 mila che hanno un infarto miocardico acuto. Alterazioni dell’ECG → la T invertita è un segno di ischemia. O troviamo scritto T invertita o segno di ischemia è la stessa cosa. Altri segni sono: - Segno di lesione, è il sopraslivellamento del tratto ST. Se lo troviamo sopraslivellato è un segno di lesione. Questi termini ormai sono in disuso. Ormai si utilizza il termine di STEMI, quindi quando avremo un sopraslivellamento del tratto ST sarà una STEMI - Onde Q o onde di necrosi, che sono onde Q patologiche. L’onda Q è patologica quando è più larga di un quadratino piccolo, oppure quando è più profonda almeno un terzo dell’onda R in altezza - ST sottoslivellato Enzimi cardiaci → segni di necrosi miocardica. Ci dicono se il paziente ha avuto morte delle cellule cardiache (infarto). Il marcatore che usiamo sono le troponine che sono l’ultimo marcatore di necrosi cardiaca ad essere attivato. Il primo è l’LDH mentre altri sono il CK – MB e le mioglobine (piccola proteina presente nel muscolo scheletrico e cardiaco in grado di legare l'ossigeno). Le troponine sono piccole proteine che regolano il legame del calcio alle fibre cardiache. Negli ultimi anni sono disponibili in dosaggi detti ultrasensibili e questo ci permette di accelerare i tempi di aumento della troponina in circolo perché riusciamo a dosare quella piccola percentuale di troponina che è presente e libera nel citoplasma delle cellule cardiache. Ce ne sono due impiegate e usate ad uso clinico: - Troponina I - Troponina T Angina stabile → la placca aterosclerotica che si è accresciuta nel tempo fino a creare un ostacolo fisso all’interno del vaso coronarico. In condizioni di base, quando il cuore è a riposo, non abbiamo sintomi perché il flusso di sangue è normale e non ci sono eccessive richieste di ossigeno. Quando però la richiesta di ossigeno aumenta il flusso non riesce ad aumentare e possono insorgere i sintomi ischemici. Il danno si verifica quindi in condizioni aumento di richiesti. Considerare lo sforzo sempre con le stesse caratteristiche di intensità, durata e inducibilità perché a condizioni di riposo il cuore non soffrirà in senso ischemico quindi l’ECG sarà normale. In condizioni di sforzo l’ECG sarà alterato. Gli enzimi cardiaci devono essere negativi. I test di stimolo che usiamo nella diagnosi di angina da sforzo: - Test di sforzo → qui gli facciamo fare uno sforzo e gli facciamo un ECG. Dobbiamo dire di avvisare se ha dolore. A condizioni di sforzo compaiono tratti dove l’ST si sottoslivella ed è una prova da sforzo positiva. - ECG da sforzo - Scintigrafia miocardica → dopo sforzo o dopo uso di farmaci Lo sforzo lo consideriamo sempre come quello fisico ma invece tutte le condizioni che comportano un aumento del lavoro cardiaco sono tutte condizioni di sforzo e tra questi ci sono l’esposizione ad un ambiente freddo magari dopo un pasto abbondante, tutte le situazioni di stimolazione emotiva, una crisi ipertensiva, i rapporti sessuali. Possiamo avere altri casi in cui la placca non è stabile, ma viene lacerata. Questo espone il materiale contenuto all’interno e instaura un meccanismo di attivazione delle piastrine, di trombosi. Siamo allora all’interno del caso delle malattie trombotiche arteriose. Sono situazioni in cui abbiamo uno stop improvviso al flusso sanguigno dovuto all’instabilità della placca. Il dolore sarà un dolore nuovo, che non si è presentato prima, un dolore che si può manifestare per bassa soglia di dolore o a riposo. Tutti i dolori toracici che si presentano per la prima volta, per 60 giorni saranno per definizione un’angina instabile. L’ECG può essere alterato e gli enzimi cardiaci se sono aumentati allora siamo davanti ad un infarto. Faremo un ECG entro 10 minuti dal primo contatto col personale sanitario. Cercare subito ST sopraslivellato come primo segno. Se abbiamo questo abbiamo una diagnosi, che viene fatta quindi in triage. Il paziente ha lo STEMI. Non aspettiamo quindi il risultato degli enzimi cardiaci perché in quel tempo possiamo fare già dei provvedimenti terapeutici. Se abbiamo un paziente con dolore toracico con caratteristiche e sedi di irradiazione che mi fa pensare ad un’ischemia cardiaca e troviamo altri segni elettrocardiografici suggestivi per ischemia possiamo fare diagnosi? Potrebbe avere un NSTEMI ma ci servono gli enzimi cardiaci. Potrebbe avere l’angina instabile perché se gli enzimi sono negativi, quel paziente lì con quei problemi potrebbe averla. L’unica cosa certa che possiamo dire, l’unica diagnosi comune che possiamo fare è che ha una sindrome coronarica acuta, visto che ancora non abbiamo gli enzimi cardiaci. Possiamo avere una situazione diversa che viene chiamata angina variante. Abbiamo un ST sottoslivellato ma gli enzimi sono negativi. Qua stiamo contraddicendo noi stessi, ma può accadere che c’è una piccola percentuale di pazienti che possono avere il dolore tipico e l’ST sottoslivellato ma non l’infarto. L’ST sarà sottoslivellato perché le coronarie si chiudono completamente per uno spasmo fino a chiusura totale. Questi pazienti sono rari e le linee guida ci dicono che nel dubbio, per non far perdere tempo nel trattamento di pazienti che hanno lo STEMI anche questi pazienti li trattiamo nella stessa maniera. Il paziente lo mandiamo entro massimo un’ora in sala emodinamica a fare una coronarografia e avremo una piccola percentuale di pazienti che durante la coronarografia non avranno la malattia coronarica. Li trattiamo tutti alla stessa maniera perché non vogliamo ritardare il trattamento degli altri. Terapia angina stabile: A: antiaggreganti (aspirina, clopidogrel, ticagrelor) + altri farmaci antianginosi (nitroderivati e calcio antagonisti) B: beta bloccanti + controllo della pressione arteriosa (blood pressure) per prevenzione secondaria C: colesterolo + controllo del fumo D: dieta + diabete E: educazione + esercizio Terapia sindrome coronarica acuta = Infarto Miocardico Acuto: - ricovero in UTIC + coronarografia entro 1 ora - dopo le 2 ore, se non è stata fatta la coronarografia, si interviene con la fibrinolisi - approccio farmacologico uguale alla terapia per angina stabile - sul territorio si interviene con il metodo MANO (morfina + aspirina + nitroderivati + ossigeno): si somministrano tutti insieme nel minor tempo possibile - M: morfina, è l’unico farmaco efficace nel dolore acuto da infarto. Viene somministrata ev 2-4 mg fino a un max di 20 mg. Inoltre la morfina ha un effetto di vasodilatazione per aiutare a controllare il quadro emodinamico e fa diminuire i valori di pressione arteriosa; per questi motivi ha anche controindicazioni: overdose con arresto respiratorio. Controindicazioni: pz in shock e pz ipoteso - A: antiaggreganti (aspirina). Viene somministrata per sciogliere il blocco piastrinico e evitarne altri, per i blocchi arteriosi (gli anticoagulanti anche per i blocchi venosi). Se il pz ha già una terapia antiaggregante si somministrano 100 mg; se non prende antiaggreganti se ne dà un dosaggio più alto cioè 300-325 mg. Lo stesso concetto si usa anche con gli altri antiaggreganti che possono essere usati - N: nitrati. In fase acuta vengono somministrati per ev in infusione continua perché hanno un’emivita breve (sublinguale e transdermica sono per la terapia di mantenimento): vasodilatazione venosa riducendo il precarico + vasodilatazione delle arterie coronarie. Effetto collaterale: ipotensione. Controindicazioni: pz in shock + pz con ipotensione grave + pz con infarto al ventricolo dx perché con la riduzione del precarico non riuscirebbe più a pompare sangue e potrebbe andare incontro a shock cardiogeno + pz che hanno fatto uso recentemente di inibitori delle fosfodiesterasi (viagra) - O: ossigeno. Serve per aumentare la circolazione di ossigeno nel sangue, questo va a ridurre anche il dolore. Se però viene somministrato a pz che non ne hanno bisogno, cioè con saturazione superiore a 94%, si rischia di aumentare l'area dell’infarto. In acuto si utilizza la Venturi perché permette di sapere bene la quantità di ossigeno che viene somministrato; se il pz è molto grave si può ricorrere a CPAP o ventilazione invasiva - Eparina: può anche essere somministrata l’eparina non frazionata o a basso peso molecolare o fondaparinux. Non si utilizza il warfarin perché ha un’azione lenta mentre in acuto serve un’azione rapida. L’eparina non frazionata per essere efficace deve essere associata a due sali: sodio e calcio. L’eparina sodica ha effetto immediato, viene somministrata in bolo e poi in infusione continua; l’eparina calcica si fa sotto cute. Fondaparinux viene somministrata sotto cute. - Beta-bloccanti: riducono la funzione contrattile del cuore riducendo così la richiesta di ossigeno del cuore avendo azione terapeutica positiva nell’acuto; devono essere somministrati entro le 24 ore - angioplastica Si parla di golden hour: se si interviene entro la prima ora si riesce a mantenere vivo tutto il tessuto cardiaco UTIC: permette di monitorare in maniera intensiva il pz, per poter avere un intervento immediato Complicanze dell’IMA: - disfunzione acuta di pompa - edema polmonare - aritmie ipercinetiche: battiti prematuri, tachicardia, fibrillazione ventricolare, ritmo idioventricolare accelerato, aritmie sopraventricolari = terapia con antiaritmici + defibrillazione + pace-maker - aritmie ipocinetiche: bradicardia sinusale, blocchi atrioventricolari o intraventricolari = terapia con antiaritmici + defibrillazione + pace-maker - angina precoce post infartuale Complicanze meccaniche dell’IMA che richiedono terapia cardiochirurgica: rottura muscolo papillare, rottura ventricolo sx, rottura del setto interventricolare SCOMPENSO CARDIACO ACUTO “è uno stato fisiopatologico in cui il cuore è incapace di pompare una quantità di sangue sufficiente per soddisfare le esigenze metaboliche dei tessuti o può farlo solo a scapito di pressioni di riempimento elevate”. La funzione principale del cuore è quella di trasferire il sangue dal sistema venoso a quello arterioso in una quantità adeguata alle necessità periferiche di perfusione tessutale. L’apporto di ossigeno ai tessuti è la DO2 è determinata: - dalla quantità di ossigeno presente nel sangue che è a sua volta correlato all’emoglobina e alla saturazione arteriosa dell’ossigeno - dalla portata cardiaca che dipende dalla gittata e dalla frequenza cardiaca DO2 = O2 nel sangue ml/L x portata cardiaca L/m2 “lo scompenso cardiaco è una sindrome clinica caratterizzata da sintomi, segni e anomalie cardiache funzionali o strutturali” (Linee Guida, 2021). Dal punto di vista epidemiologico, lo scompenso cardiaco è una sindrome clinica che è sempre più in aumento, ma perché? Perché la cardiopatia ischemica è una delle cause più frequenti di scompenso; essendo migliorate le cure per la cardiopatia ischemica, quindi i pz con cardiopatie ischemiche sopravvivono di più e vanno pertanto incontro a complicanze correlate a questa patologia. Inoltre perché l'età media sta aumentando e con essa aumenta anche l'incidenza dello scompenso cardiaco. ! insufficienza cardiaca e scompenso sono due concetti diversi ! Quadro clinico lo scompenso cardiaco acuto è una situazione clinica caratterizzata da sintomi e segni rapidamente evolutivi conseguenti ad una funzionalità cardiaca anormale (il cuore diviene incapace di svolgere la sua funzione principale di “pompa” nell’arco di minuti, ore, giorni): - sintomi: dispnea a riposo o sotto sforzo, astenia, edemi declivi - segni: tachicardia, tachipnea, rantoli polmonari, versamento pleurico, aumentata pressione giugulare, edemi periferici, epatomegalia - anormalità funzionale o strutturale del cuore a riposo: cardiomegalia, soffi cardiaci, anormalità nell’ECG Lo scompenso cardiaco può essere di vari tipi: o scompenso sistolico: prevale il deficit di pompa del cuore, quindi un deficit nell’output di sangue nel sistema periferico o scompenso diastolico: prevale il deficit nel riempimento cardiaco che avviene appunto, soprattutto, nella fase diastolica o scompenso anterogrado: prevale il deficit di output cardiaco o scompenso retrogrado: prevale l’aumento delle pressioni a monte del sistema cardiaco o scompenso dx e sx: in base al ventricolo colpito. Se viene colpito il ventricolo dx si chiama cuore polmonare. o scompenso ad alta e a bassa portata: a seconda della compromissione o meno della portata cardiaca o scompenso cronico: è l’incapacità del cuore di pompare un adeguato flusso di sangue per mantenere un efficiente metabolismo degli organi e di tutti i tessuti dell’organismo o scompenso acuto propriamente detto: lo scompenso si manifesta ex novo in pz senza cardiopatie note o scompenso acuto in insufficienza cardiaca riacutizzata: un aggravamento improvviso in un pz con scompenso cronico = fase di rapida destabilizzazione Classificazione NYHA: è una classificazione dello scompenso cardiaco che ne identifica 4 classi, in rapporto alle attività che il pz è in grado di effettuare - I grado: l’attività fisica ordinaria non causa affaticamento, palpitazioni, dispnea, dolore anginoso = nessuna evidenza oggettiva - II grado: leggera limitazione dell’attività fisica con presenza di affaticamento, palpitazione, dispnea = evidenza oggettiva di una malattia cardiovascolare minima - III grado: marcata limitazione dell’attività fisica ma senza problemi a riposo = evidenza oggettiva di una malattia cardiovascolare moderata - IV grado: incapacità di svolgere qualsiasi attività fisica senza provare disagio, i sintomi possono essere presenti anche a riposo = evidenza oggettiva di una malattia cardiovascolare severa Classificazione di Killip: è un sistema usato in pz con infarto acuto del miocardio per la stratificazione del rischio; rappresenta un fattore prognostico, cioè i pz con una classe Killip bassa hanno meno probabilità di morire entro i 30 gg dall’evento acuto rispetto a pz con classe Killip alta - classe I: nessun segno di scompenso cardiaco - classe II: segni di scompenso cardiaco (rantoli alle basi, congestione ilare, rinforzo del III tono) - classe III: scompenso cardiaco grave con quadro di edema polmonare - classe IV: shock cardiogeno (ipotensione e ipoperfusione periferica, oligura, cianosi, sudorazione) Un cuore danneggiato con una riduzione della portata è l’inizio del processo, che porta a meccanismi di adattamento (di compenso). Quando questo meccanismo adattativo si esaurisce, si parla di scompenso, ed il meccanismo adattativo diventa esso stesso nocivo. Eventi fisiopatologici principali dello scompenso cardiaco acuto: aumento pressione capillare polmonare: aumento delle pressioni a monte del sistema cardiaco, diminuzione della portata cardiaca Classificazione Forrester: nelle ascisse si ha la pressione polmonare, nelle ordinate la perfusione. Triade cardiovascolare: volume, pompa, frequenza. In caso di sospetto scompenso cardiaco è necessario ricercare: cause cardiache -cardiopatia ischemica / ipertensiva / congenita - cardiomiopatia dilatativa / ipertrofica / restrittiva - valvulopatie - malattie pericardiche - ipertensione polmonare Cause extracardiache -aumento richieste metaboliche (ipertiroidismo…) - diminuzione riempimento (shock…) Eventuali patologie -alterazioni dirette -sovraccarichi di pressione/volume -ostacoli all’efflusso atrio/ventricolare Fattori precipitanti -ischemia miocardica (IMA) -aritmie cardiache -disfunzione valvolare acuta -eccessiva riduzione del precarico (diuretici) -scarsa compliance alla terapia o terapia non ottimale - disordini dietetici - ipertensione non controllata - infezioni - sovradosaggio di liquidi - anemia - complicanze emboliche - patologie renali o polmonari Shock cardiogeno È un disordine causato dalla riduzione della gittata cardiaca in presenza di un adeguato volume circolante intra- vascolare, con conseguente ipossia tessutale. PAOS < 90 mmHg per ≥ 1 h - Non responsiva alla sola somministrazione di fluidi - Secondaria a disfunzione cardiaca - Associata a segni di ipoperfusione (oliguria, vasocostrizione, obnubilamento del sensorio, SvO2 < 60%, lattati elevati) o indice cardiaco < 2.2 L/min/m2 e pressione di incuneamento capillare > 18 mmHg Approccio iniziale ❖ rilevazione parametri vitali ❖ monitoraggio ECG continuo ❖ accesso venoso stabile ❖ ossigenoterapia ❖ pulsiossimetria ❖ anamnesi ❖ esame obiettibo ❖ esami bioumorali: emocromo completo, coagulazione e D-dimero, glicemia, funzionalità renale, elettroliti, enzimi cardiaci, enzimi epatici e bilirubina, EGA, digoxinemia, ormoni tiroidei. ❖ Rx torace: per accertare la presenza o meno di cardiomegalia, ridistribuzione del flusso vascolare agli apici e congestione dei vasi ilari; verificare presenza di edemi interstiziali, alveolari e versamenti pleurici. ❖ Ecocardiogramma Segni e sintomi Sintomi da congestione -dispnea da sforzo/ parossistica notturna -ortopnea -rumori da stasi polmonare - nicturia/oliguria -tensione addominale -fegato da stasi -edemi declivi -turgore giugulare -versamento pleurico/Ascite Sintomi da bassa portata -stanchezza e facile affaticabilità -pallore/segni di ipoperfusione periferica -confusione mentale negli anziani -dimagrimento Segni -PAO -tachicardia, tachipnea -galoppo T3, T4 -diaforesi -rantoli polmonari -turgore giugulare -edemi declivi -epatomegalia -reflusso epato-giugulare Diagnosi differenziale dallo scompenso cardiaco acuto -cardiovascolari: IMA, angina instabile, dissezione aortica, aritmie, stenosi aortica critica, endocardite/miocardite, crisi ipertensiva, tamponamento/versamento pericardico. -polmonari: TEP, polmonite multilobare, ARDS -altre: puro sovraccarico di volume, insufficienza renale, iatrogeno, sepsi. Approccio e gestione in emergenza Gestione iniziale -rilevamento dei parametri vitali -accesso venoso stabile -ECG -EGA arteriosa -avvio di monitoraggio continuo ECG, PAO, SpO2 Obiettivi della terapia: Miglioramento dei sintomi, dell’ossigenazione, della perfusione Riduzione della congestione Trattamento delle cause/fattori scatenanti ipossia Ossigenazione→target SpO2 95% (90% in BPCO), utilizzando cpap/niv o iot. CPAP nell’edema polmonare: -effetti respiratori→aumenta la capacità funzionale residua e la compliance polmonare, riduce la quota di shunt. Quindi aumenta l’ossigenazione e diminuisce il lavoro respiratorio. -effetti emodinamici→diminuisce precarico e pressione transmurale del ventricolo sinistro migliorando la performance. sovraccarico volemico -diuretici: Indicati in caso di scompenso cardiaco acuto ed EPA associati a segni e sintomi di ritenzione di liquidi. Precoce effetto di aumento della capacitanza venosa, con riduzione della PCWP. Dose: 20-40 mg ev in bolo, seguiti da 5-40 mg/h in infusione (< 100 mg nelle prime 6 h e < 240 mg nelle prime 24 h). Congestione centrale -vasodilatatori: Terapia di prima scelta dell’EPA. Indicati quando i segni di ipoperfusione e/o congestione centrale sono associati ad un’adeguata pressione arteriosa sistemica. Riduce le resistenze vascolari periferiche e dilata i vasi venosi di “capacitanza”. -nitroglicerina Dose : 0,25 mcg/kg/min con aumenti di 0,25 mcg/kg/min ogni 5 min sino a mcg/kg/min se tollerati Obiettivo: ↓ PAO max 30% se paziente iperteso; 10% se paziente normoteso ATTENZIONE in caso di ipotensione, IMA destro, recente uso di Sildenafil o analoghi -nitroprussiato di sodio: Solo se EPA non responsivo a nitroglicerina o dovuto a prevalente aumento postcarico (crisi ipertensiva) o con IM. Dose: 0,3 mcg/kg/min fino a 5 mcg/kg/ min ATTENZIONE in caso SCA Ipoperfusione -inotropi positivi: Indicati nello scompenso cardiaco acuto in presenza di ipoperfusione periferica, con o senza congestione polmonare, non responsiva alla terapia di supporto volemico (quando indicata), diuretica e vasodilatatoria ottimale. -vasopressori: Quando la terapia con inotropi non è sufficiente a mantenere la perfusione di organi e tessuti o si instaura una severa e durevole ipotensione, una volta assicurato il ripristino volemico, possono essere usati in emergenza. Attenzione in caso di shock cardiogeno ad aumentare le resistenze periferiche! Morfina Determina vasodilatazione venosa, lieve dilatazione arteriosa e riduce la FC. Inoltre possiede effetto sedativo. AHF severo accompagnato da agitazione, dispnea, dolore toracico. Dose: boli e.v. di 2-4 mg, ripetibili (max 20 mg) ATTENZIONE! Lo shock è una controindicazione assoluta all’utilizzo della morfina; l’ipotensione è una controindicazione relativa. Attenzione alla depressione del “drive respiratorio” Β-bloccanti - Nei pazienti con scompenso cardiaco acuto e congestione polmonare devono essere usati con estrema cautela. Se sono presenti ischemia e/o tachicardia può essere preso in considerazione il metoprololo. - Nei pazienti con IMA e scompenso acuto, la terapia va iniziata il più precocemente possibile, una volta superata la fase acuta - Nei pazienti con riacutizzazione di scompenso cronico, la terapia va iniziata una volta raggiunta la stabilizzazione emodinamica (in genere 4 giorni) - Per i pazienti già in terapia cronica che accedono al DEA per scompenso acuto, la terapia non andrebbe interrotta (a meno che abbiano necessità di un supporto inotropo); comunque è consigliata una dose ridotta. Edema polmonare acuto L'edema polmonare acuto cardiogeno è una delle manifestazioni dell'insufficienza cardiaca acuta. Essa è caratterizzata da una gittata cardiaca ridotta, un'ipoperfusione tissutale più o meno importante, un incremento della pressione capillare polmonare e una congestione tissutale. Embolia polmonare malattia tromboembolica venosa è un’ostruzione acuta, ricorrente o cronica di uno o più vasi polmonari, determinata dalla presenza di coaguli ematici provenienti da trombosi a sede periferica nel sistema venoso profondo (tromboembolia). Più raramente da fenomeni di trombosi locale (trombosi cardiaca o polmonare) oppure da emboli esterni alla normale composizione del sangue (embolie polmonari non trombotiche). Ventricolo dx + circolo polmonare = sangue che arriva dalle vene del circolo sistemico ! è una malattia di natura vascolare ! È una malattia molto frequente con mortalità alta nonostante il miglioramento della terapia, problemi di diagnosi (1 su 30) e di trattamento. In Italia: 65 mila casi all’anno. Fattori di rischio: - allettamento: stasi del circolo venoso - intervento chirurgico - danno endoteliale: aumenta la coagulabilità del sangue - ipercoagulabilità - neoplasie - traumi o fratture - contraccettivi orali - fumo di sigaretta - gavidanza - ictus - obesità - flogosi - problemi nella cascata di coagulazione: resistenza alla proteina C attivata, deficit di proteina C o S, deficit di antitrombina III, deficit di attivatore tissutale del fibrinogeno eparina a basso peso molecolare: anticoagulante di scelta nella patologia tromboembolica cancro-correlata ! Classificazione: - in base all’insorgenza degli interventi: acuta o cronica - in base alla compromissione emodinamica: massiva o non-massiva Origine del trombo: - trombosi venosa profonda: vena poplitea, vena femorale, vene cave, vene pelviche (nell’uomo si controlla il plesso periprostatico e nella donna si controlla il plesso periuterino) Potrebbe anche non essere di natura ematica e comportare comunque un’ostruzione delle arterie polmonari: - tessuto adiposo in caso di fratture di ossa lunghe: l’adipe entra nel circolo venoso arrivando così poi al circolo polmonare = embolia polmonare grassosa - gas in caso di oscillazione pressoria (es. sommozzatori che non rispettano i corretti tempi comportando lo scioglimento di questi gas all’interno del sistema) = embolia polmonare gassosa. Come terapia qui si utilizza la camera iperbarica: la pressione esterna aumenta in modo che i gas possono essere eliminati tramite i polmoni - cellule neoplastiche - cateteri venosi - liquido amniotico - talco nei tossicodipendenti, usato per tagliare le sostanze emboli settici in caso di ascessi, possono rompere la parete venosa e entrare in circolo Fisiopatologia: è una modificazione dell'emodinamica polmonare che porta a sofferenza cardiaca. Si ha una condizione di ipotensione e tachicardia, pertanto si può andare incontro a shock ostruttivo e ipoperfusione Quadro clinico embolia polmonare massiva alterazione dello stato neurologico, sincope ipertensione capillare: vasocostrizione e broncocostrizione, per riduzione del letto capillare modificazioni del flusso sanguigno alterazioni nel rapporto ventilazione/perfusione: dispnea, tachipnea sviluppo di circoli collaterali: anastomosi arteriose e shunt polmonari artero-venosi ipotensione In embolie di minori dimensioni non si avranno le stesse manifestazioni cliniche Quadro clinico embolia polmonare non-massiva (infarto polmonare) o tosse data da irritazione senza escreato o dolore toracico con caratteristica pleuritica: dolore dato dall’irritazione della pleura →dolore trafittivo che aumenta con gli atti respiratori o emottisi: diagnosi differenziale con tumore o tubercolosi. In caso di embolia è dovuto al fatto che una parte del parenchima polmonare muore: c’è un 20% di sangue arterioso che arriva dalle arterie bronchiali fino al polmone, nelle regioni periferiche del polmone le arterie bronchiali ricevono sangue principalmente dalle vene, quindi se il circolo venoso polmonare viene chiuso per un embolo queste regioni vanno incontro a morte Esame obiettivo - si possono trovare dei segni o dei rantoli, ma nessuno è tipico per la diagnosi di embolia polmonare, quindi spesso l’esame obiettivo è spesso negativo - segni più comuni: tachipnea, tachicardia, febbricola - segni di TVP: dolore, dolorabilità, edema, arrossamento cutaneo - a livello cardiaco si può notare un aumento di distensione delle vene giugulari perché se il cuore dx è in difficoltà aumenta la pressione delle cavità di dx + un rinforzo nel II tono cardiaco Segni e sintomi: Tachipnea. tachicardia, febbre, quarto tono cardiaco e dolore toracico, onda T negativa (da T1 a T4) L’ 80/90% dei pazienti presenta un ECG normale con piccole alterazioni aspecifiche Altro esame importante per la diagnosi è l’RX torace da cui possiamo vedere delle alterazioni tipiche come segno di Palla e segno di Westermark ipodiapania, segni ostruzione dell-arteria polmonare, oppure segni di Hampton (versamento pleurico, innalzamento emidiaframma) diagnosi ▪ EGA: IPOSSIEMIA associata a IPOCAPNIA, è un forte sospetto di embolia polmonare ▪ Esame del D-dimero: è alterato quando c'è un'alterazione della fibrinolisi ad esempio in processi infiammatori cronici. Solo una piccola quota avrà un embolia polmonare mentre la maggior parte avrà un tumore molto probabilmente. Se trovo il di d’impero negativo ci aiuta per escludere la diagnosi di embolia ▪ Scintigrafia, si esegue in medicina nucleare, andiamo a vedere come si distribuisce l’albumina, nei punti in cui non arriva e sarà negativo il tracciato, capirò che c'è un’occlusione. Da una diagnosi di probabilità. ▪ Definitiva con TC a spirale, ha dei vantaggi: più accessibile in più ospedali. Ci mette meno tempo per l’esecuzione, svantaggi, espone il paziente ai raggi x. ▪ Esame gold standard → Angiografia polmonare ▪ Ecocardiografia: non invasiva, vado a cercare segni di scompenso come la dilatazione del ventricolo destro maggiormente rispetto al destro. ▪ Dosaggio della troponina: segno di necrosi cardiaca, il problema in è che aumenta in modo aspecifico anche per altre condizioni di sofferenza del cuore. ▪ Peptide natriuretico cerebrale: ci serve per capire quantitativamente la sofferenza del cuore ▪ Cerco la causa dell'embolia con ecodoppler Il discrimine per far intraprendere al paziente questo percorso diagnostico è lo score di wells: all’interno sono compresi i segni e i sintomi di embolia, diagnosi meno probabili, la prima valutazione clinica e del profilo di rischio (storia di embolia, allettamenti, tumore ecc), Lo score si dividerà in tre livelli. Idem il Ginevra score, da vedere Linea guida: Si applica a stabili emodinamicamente, bisogna valutare se è ad alto rischio, in quelli ad alto rischio dovrò indirizzare il paziente verso la TC. Nei pazienti a basso rischio si userà il D dimero (basso) per escludere l’ embolia polmonare mentre se invece è positivo si fa la TC Quelli non stabili: si fa subito ecocardio bedside, (c’è una disfunzione del ventricolo sx ? ), se non vedo disfunzioni, fa pensare ad una causa che non è l’embolia. Trattamento d’elezione: farmaci trombolitici Il cardine è la terapia anticoagulante: eparine non frazionate 2 volte al giorno, anticoagulante (fondaparinux) e successivamente dicumarolici perché impiegano più tempo NAO: Dabigatran (agisce sulla trombina) Rivaroxaban, Apixaban, edoxaban (agiscono sul fattore X) vantaggio che c'è minor rischio di emorragia. Terapia trombolitica ❖ streptochinasi, urochinasi e attivatore tissutale del plasminogeno ricombinante (r-TPA) ❖ farmaci tromboselettivi che inducono uno stato fibrinolitico generalizzato, caratterizzato da un’estesa degradazione della fibrina ❖ indicazioni: EP massiva con manifestazioni di shock cardiogeno/ipotensione ❖ controindicazioni assolute: emorragia interna in atto, emorragia intracranica spontanea recente ❖ complicazioni: alto rischio emorragico terapia chirurgica - embolectomia chirurgica (a cielo aperto o percutanea) indicazioni: EP acuta e massiva in pazienti con controindicazioni alla trombolisi, assenza di risposta alla terapia medica e trombolitica, tromboembolismo cronico da trombi in arteria polmonare filtri venosi cavali (permanenti o temporanei) indicazioni: controindicazione assoluta alla terapia anticoagulante e/o trombolitica, EP ricorrente nonostante trattamento anticoagulante o trombolitico, gravi emorragie in corso di terapia anticoagulante PANCREATITE ACUTA Processo infiammatorio acuto del pancreas che può coinvolgere tessuti a distanza: spesso il decesso è legato alle complicanze Pancreatite acuta. La pancreatite acuta è un processo infiammatorio acuto del pancreas, che può coinvolgere in modo variabile altri tessuti vicini od organi remoti Pancreatite acuta lieve. La pancreatite acuta lieve è associata ad una minima disfunzione d’organo ed alla guarigione senza complicazioni. La caratteristica patologica dominante è l’edema interstiziale della ghiandola. Pancreatite acuta grave. La pancreatite acuta grave è associata ad insufficienza d’organo (shock, insufficienza respiratoria, insufficienza renale, ecc.) e/o a complicazioni locali come la necrosi (con o senza infezione), la pseudocisti o l’ascesso. Sebbene pazienti con pancreatite edematosa possano manifestare le caratteristiche cliniche di un attacco grave, nella maggior parte dei casi, la pancreatite grave è un’espressione dello sviluppo della necrosi pancreatica. Raccolta liquida acuta. La formazione di raccolte liquide acute avviene precocemente nel decorso della pancreatite acuta; esse sono localizzate dentro o vicino al pancreas e non hanno mai una parete di tessuto di granulazione o fibroso. Complicanze locali ❖ necrosi: interessa il parenchima pancreatico non vitale, di solito associate a steato-necrosi peripancreatica. La necrosi può essere sterile o infetta. ❖ Ascesso: raccolte purulente intra-addominale circoscritta, risultante da una flogosi acuta (derivante anche da un trauma pancreatico) Pseudocisti: raccolta di secreto pancreatico, racchiusa da una parete non epitelizzata (derivante anche da un trauma pancreatico). Quando la pseudocisti è infetta viene definita ascesso pancreatico Compromissione multi sistemica: Interessa vari apparati, per ogni insufficienza d’organo possiamo valutare la gravità. Diagnosi dolore addominale acuto, irradiato a cintura sull’addome, in associazione con nausea e vomito elevazione delle amilasi o lipasi (più di 3 volte superiore del limite). L’elevazione della lipasi è più specifica (es: macroamilasemie). L’amilasi e la lipasi non correlano con la severità. Non è necessario dopo la diagnosi valutarle giornalmente in quanto hanno limitato valore nella progressione della malattia TC addome con contrasto, se prima di 72h dall’inizio della malattia può sottostimare la quantità di necrosi. Le cause sono: Colelitiasi, coledocolitiasi 45% Microlitiasi 7,6% Alcool 35% Post-ERCP 2,8% Farmaci 1,4% Cause metaboliche, infettive, post-traumatiche, post-operatorie (1%) Condizioni associate emergenti: infezioni HIV, trapianto cuore, rene e fegato, dialisi peritoneale (11%) Diagnosi differenziale -Forme lievi: colica biliare o colecistite acuta, ulcera peptica complicata, patologie acute epatiche, sub-occlusione intestinale, malattie renali, malattie polmonari (es: polmoniti, pleuriti) -forme severe: perforazione o ischemia intestinale, rottura di aneurisma aortico, IMA Fattori di rischio di gravità al momento del ricovero -età >55 anni -obesità (BMI >30) -insufficienza d’organo: progressione a MODS, durata >48 ore -versamento pleurico e/o infiltrati polmonari (rx torace eseguita nelle prime 24 ore) -Panc 3 score: HCT > 44%, BMI >30 kg/m 2 e versamento pleurico all’Rx torace In presenza di uno o più di questi fattori di rischio, prendere in considerazione il ricovero in medicina d’urgenza o ICU. -Apache II: Acute Physiology and Cronic Health Evaluation. Punteggio eseguire all’admissione e ogni giorno per 3 giorni. Apache II>8: pancreatite grave, apache II-O: aggiungere 1 punto per BMI fra 26 e 30, 2 punti per BMI>30 punteggio A valuta: TC, PAO, FC, FR, pO2, pH arterioso, sodiemia, potassiemia, creatinemia, ematocrito, globuli bianchi, carbonati. Punteggio B valuta l’età Punteggio C valuta la gravità della patologia cronica -Ematocrito: eseguire all’ingresso, a 12 e a 24 ore, assenza di emoconcentrazione (Ht 55 anni Riduzione ematocrito >10% Globuli bianchi >16000 Aumento BUN (Blood Urea Nitrogen)>5 Glicemia >200 mg/dl Calcemia 350 UI/l PO2 250 UI/l Deficit di base > 4 mEq/l Sequestro di liquidi stimato >6000 ml Punteggio Da 0 a 2→mortalità minima Da 3 a 5→mortalità dal 10 al 20% >5→mortalità >50 e ad alto rischio di complicazioni sistemiche. Determinazione della gravità durante l’ospedalizzazione o Necrosi pancreatica→TC addome con mdc, classificazione Balthazar-Ranson, RMN o Insufficienza d’organo→MODS, durata >48h Pancreatite acuta severa: segni prognostici precoci (punteggio Ranson >3, punteggio APACHE II>8), compromissione multisistemica e/o complicanze locali. Diagnosi -Esami di laboratorio: ▪ Emocromo + formula ▪ Glicemia ▪ Urea, creatinina ▪ Elettroliti: Na+, K+, Cl-, HCO3, Ca++ ▪ amilasi e/o lipasi ▪ emogasanalisi ▪ test di funzionalità epatica: AST, ALT, bilirubina, LDH, γGT, fosfatasi alcalina ▪ Profilo della coagulazione: INR, PTT, fibrinogeno ▪ Gruppo sanguigno e prove crociate, se si ritiene probabile una trasfusione di sangue Insorgenza di ipocalcemia, perché si formano depositi di calcio, quindi dal circolo si deposita. Esami strumentali Ecografia addome -sarebbe meglio eseguire una preparazione intestinale 3 giorni prima. -Deve essere effettuato entro le prime ore di osservazione -Assume particolare rilevanza nei pazienti con episodi recidivanti, per cogliere l’eventuale eziologia biliare. TC addome con MDC Bisogna cercare di farla non troppo presto per non sottovalutare la condizione. Si esegue nei pazienti con: diagnosi dubbia, punteggio Ranson >3 o APACHE-II score >8, senza miglioramento clinico entro 72 ore dall’inizio della terapia medica conservativa, grave quadro clinico, pazienti che mostrano un iniziale e transitorio miglioramento clinico seguito da un successivo rapido peggioramento del quadro. Grading radiologico: A. Pancreas di aspetto normale. B. Ingrandimento focale o diffuso del pancreas. C. Anormalità della ghiandola pancreatica associate a lievi alterazioni infiammatorie peripancreatiche. D. Raccolta liquida in una singola localizzazione, di solito lo spazio pararenale anteriore. E. Due o più raccolte liquide vicino al pancreas (nello spazio pararenale anteriore e nel sacco inferiore) e/o la presenza di gas dentro o vicino al pancreas. Indice di gravità alla TC Grading TC score Necrosi Score A 0 No 0 B 1 50% 6 E 4 Grado TC (0-4) + necrosi (0-6)= score totale. I pazienti con uno score di 7- 10 hanno una morbilità e una mortalità più alta di quelli che hanno uno score inferiore a 7. Risonanza magnetica nucleare La RMN consente di visualizzare meglio le raccolte fluide intraparenchimali e i focolai flogistici di piccole dimensioni. La Colangio-RMN consente uno studio accurato del sistema duttale bilio-pancreatico senza ricorrere a metodiche invasive ed all’utilizzo di mezzi di contrasto (ERCP). ERCP nella pancreatite biliare Consulto del gastroenterologo endoscopista ERCP urgente entro 24 ore dalla diagnosi (con sfinterotomia endoscopica) se la pancreatite è grave ed è presente colangite ERCP precoce entro 72 ore dalla diagnosi (con sfinterotomia endoscopica) se la pancreatite è grave ed è presente alto sospetto di calcolo persistente nel coledoco -Calcolo persistente visualizzabile nel coledoco con imaging non invasiva -Dilatazione delle vie biliari -Ittero ostruttivo o persistente aumento di bilirubina e/o ALT ERCP precoce entro 48-72 ore in pancreatite biliare grave senza i precedenti: argomento controverso (consulta l’endoscopista) ERCP e sfinterotomia endoscopica indicata in pazienti con pancreatite biliare non candidati alla colecistectomia laparoscopica L’Ecoendoscopia e la colangio RMN sono più sensibili dell’Eco addome superiore nel rilevamento di calcoli biliari. Possono essere impiegate per selezionare i pazienti con pancreatite acuta che necessitano dell’ERCP terapeutica, evitando così l’ERCP diagnostica e le sue potenziali complicazioni. ERCP: nella PA. È un esame endoscopico anche fatto in urgenza per disostruire le vie biliari Colecistectomia: da fare non oltre 2/4 settimane dopo la fase acuta. Trattamento In pronto soccorso -alleviare dolore e vomito -somministrare liquidi endovena per trattare o prevenire l’ipotensione e l’ipoperfusione del pancreas. Pancreatite lieve Ricovero in reparto di Medicina Generale o Med Urg Monitoraggio clinico (il 10% delle forme lievi può virare verso la forma grave): temperatura, polso, pressione arteriosa, diuresi Sedazione del dolore. Evitare l’ipovolemia e l’ipoperfusione del pancreas: fluid resuscitation (SF 100-150 ml/h nelle prime 24-48 ore nei pazienti) Accesso venoso periferico per infusione di liquidi: soluzioni elettrolitiche e glucosate. Sondino naso-gastrico in caso di vomito, gastroparesi, ileo “Messa a riposo” del pancreas: digiuno per almeno 48 – 72 ore; ripresa della nutrizione orale quando il dolore è scomparso e sono ricomparsi i borborigmi (evidenze dicono di no) Antibiotici: non somministrare di routine Pancreatite grave Ricovero in Medicina d’Urgenza o Unità di terapia Intensiva Accesso venoso periferico e cannula venosa centrale per la misurazione della PVC, l’infusione di liquidi e la TPN Catetere urinario Sondino naso – gastrico per vomito, gastroparesi, ileo Fluid resuscitation: cristalloidi 250-300 ml/h per le prime 24-48 ore. Controllo seriato (ogni 6 ore) dell’Hct. Monitoraggio di: polso, pressione, FR, SaO2, PVC, diuresi, temperatura con accurata registrazione dei dati. Calcolo cumulativo del bilancio idrico. Profilassi antibiotica: non raccomandata o non raccomandazioni Nutrizione enterale con sondino naso–digiunale o naso-gastrico* Sedazione del dolore. Riequilibrio idro – elettrolitico e nutrizionale: soluzione glucosata 10% 500 ml + NaCl 1 fiala + KCl 1 fiala x 3 nelle 24 h. Emulsioni lipidiche (tranne nel caso di trigliceridemia >500 mg/dl). Soluzione elettrolitica bilanciata 500 ml. Se ipocalcemia ionizzata, calcio gluconato ev 10 ml di soluzione al 10% ogni 6 ore. Se ipomagnesemia, Mg - solfato 4-6gr ev al dì “Messa a riposo” del pancreas: digiuno almeno per le prime 72 ore; ripresa graduale dell’alimentazione dopo la Farmaci la cui efficacia non è documentata: antiacidi e H2 antagonisti (possono però essere utili per la prevenzione dell’ulcera da stress), anticolinergici, aprotinino, glucagone, calcitonina, acido ε - aminocaproico, gabexate mesilato, somatostatina, octreotide. In caso di shock: -monitoraggio di: PA, FC, FR, PVC, SpO2, diuresi oraria. -Mantenere la PVC fra 6 e 10 mmHg. -Infusione di emazie concentrate e/o di plasma (come necessario), plasma expander o albumina (Talora si devono infondere fino a 6 – 8 litri di liquidi al giorno) In caso di oligo–anuria: liquidi, dopamina a dosi renali, eventualmente furosemide e/o mannitolo dopo aver ripristinato la volemia. Consulenza nefrologica (ultrafiltrazione, dialisi) In caso di insufficienza respiratoria acuta: ossigeno ad alto flusso, ventilazione meccanica non invasiva, intubazione e ventilazione meccanica invasiva In caso di CID: plasma nella quantità necessaria a normalizzare i parametri della coagulazione (monitoraggio INR, PTT, piastrine, fibrinogeno e D-dimero) Terapia antalgica Meperidina (50-100 mg), ripetibile ogni 6-8 ore Ketorolac (30 mg) ogni 4-6 ore (dosaggio massimo: 90 mg/die ) Tramadolo (in infusione a 12-24 mg/h) Patient-controlled Anesthesia (PCA) Supporto Prevenire l’ipossiemia Adeguata “fluid resuscitation”: o Prevenire l’ischemia intestinale, translocazione batterica, infezione pancreatica, insufficienza d’organo o Segni vitali, SaO2, diuresi ogni 4 ore nelle prime 24 ore e Ht ogni 12 ore o Cristalloidi preferiti o EC se HCT 2 mmol. Farmaci vasopressori (agiscono aumentando il tono delle cellule muscolari lisce delle arterie quindi aumentano le resistenze): adrenalina, noradrenalina, vasopressina. Se ne parla perché è un problema comune, ha un’incidenza maggiore di quella dello scompenso cardiaco, di alcuni tumori, dell’aids. I decessi sono correlati alle insufficienze d’organo: il trattamento delle prime ore e la diagnosi precoce sono fondamentali. Se i nostri meccanismi di difesa trovano un nuovo equilibrio abbiamo la guarigione, se c’è uno squilibrio si creano dei problemi o in termini di esagerata risposta infiammatoria o al contrario se prevalgono i meccanismi di compenso abbiamo immunosoppressione acquisita quindi questi pazienti avranno il rischio di sviluppare infezioni successive. Trattamento La sepsi è un’emergenza che è tempo dipendente. Le indicazioni di terapia vengono dalla surviving sepsis campaign. Bundle (insieme di misure) → gestione iniziale che arriva fino alle prime 6 ore, il paziente non è ancora in terapia intensiva. 1. recognition: nelle prime 3-6 ore, diagnosi 2. resuscitation: fase iniziale cruciale di trattamento Recognition - resuscitation → ci sono due grandi obiettivi cioè il controllo dell’infezione perchè è la causa scatenante e poi trattare e/o prevenire il danno d’organo che è legata ad un’ipoperfusione dei tessuti indotta dalla sepsi. Sulla prima fase che è la recognition abbiamo tra misure da prendere in considerazione: una terapia antibiotica appropriata e precoce, la diagnosi della sede di infezione e del microrganismo e poi in alcuni casi il controllo della fonte infettiva perchè ci sono alcune sedi di infezione che anche se diamo antibiotici questi non si diffondono e quindi bisogna intervenire in maniera chirurgica (esempio classico sono le infezioni del CVC).Nella fase di prevenzione o trattamento del danno d’organo invece abbiamo la fase di resuscitation quindi di supporto emodinamico che ha l’obiettivo di stabilire una perfusione ottimale. Importantissimo è far partire tutti gli esami appropriati quindi emocolture associate alle colture di eventuali altri liquidi organici che sospettiamo essere la sede di infezione. Le emocolture dovrebbero essere fatte prima dell’inizio della terapia antibiotica a meno che fare emocolture ritardi la terapia. La terapia antibiotica deve essere più tempestiva possibile perché per ogni ora di ritardo (quando il paziente è già ipoteso) la mortalità aumenta del 7,6%. L’attesa degli esami ematochimici non deve ritardare l’erogazione della terapia antibiotica. La terapia antibiotica è da iniziare entro 1h dalla diagnosi per paziente con shock settico, mentre entro 3 h per paziente con sepsi, idealmente però tutti entro un’ora. L’intervallo delle tre ore dovrebbe essere utilizzato per approfondire la diagnosi e fare ulteriori accertamenti. Controllo della fonte infettiva (source control) → alcune sedi di infezioni non raggiungibili dagli antibiotici: vie biliari (disostruzione), ascessi addominali, empiema pleurico, CVC (da rimuovere in caso di infezione del presidio stesso o del sito). Trattare/gestire l’ipoperfusione → è stato creato l’EGDT (Early goal-directed therapy) cioè un protocollo standardizzato che ha incrementato la percentuale di sopravvivenza nello shock settico: si basava sulla misurazione della PVC (obiettivo mantenerla sopra 8 mmHg) e la MAP (sopra 65 mmHg). Molti punti dell’EGDT fanno parte della terapia attuale, ad esempio l’infusione di liquidi. Ora le linee guida mantengono come indicazioni cardine: - mantenimento della pressione arteriosa media e i lattati. - raccomandazione a non usare solo il qSofa come unico strumento di screening. - misurare i lattati perchè servono anche come indice di perfusione tissutale oltre che come risposta alla terapia - sepsi e shock settico sono emergenze mediche quindi bisogna intervenire subito - primo elemento della resuscitation è l’infusione di liquidi (30 ml/kg di cristalloidi nelle prime tre ore: ringer acetato/lattato, fisiologica), i colloidi sono controindicati perché sovraccaricano l'apparato renale. L’unico colloide ammesso è l’albumina nei pazienti in cui per ristabilire il volume è necessario somministrare altissimi volumi di fluidi. È stato dimostrato però che un'eccessiva somministrazione di liquidi aumenta la mortalità quindi bisognerebbe sempre somministrare la dose giusta, questo però è complicato. Quindi è suggerito utilizzare delle misure dinamiche per capire qual è il fabbisogno del paziente. Tra queste abbiamo il passive leg raising: si sollevano le gambe del paziente e questo artificialmente riproduce l’effetto di un bolo di liquidi e serve a valutare il ritorno venoso. Un’altra misura è il tempo di refill capillare. Se l’infusione di liquidi non è sufficiente per ristabilire il circolo si usano i vasopressori. Vasopressorio indicato è la noradrenalina e non più dopamina per via degli effetti eccitatori sul miocardio quindi aritmie ipercinetiche come la tachicardia ventricolare o la fibrillazione ventricolare. Se la noradrenalina non basta si può usare la vasopressina oppure l’adrenalina. I vasopressori danno necrosi dei tessuti cutanei dato da stravaso, soprattutto in accessi cvp, ma è preferibile comunque iniziare la somministrazione anche da cvp piuttosto che ritardare perché non si ha cvc. Ai vasopressori si possono associare inotropi come la dobutamina per aumentare la contrattilità cardiaca. I reparti dovrebbero avere un programma di miglioramento nella cura dei pazienti con sepsi per trattare in maniera standardizzata e corretta questi pazienti. SHOCK ANAFILATTICO Deve essere riconosciuto per essere trattato. La mortalità è sottostimata in quanto dopo una morte molte volte non si pensa che possa essere stato uno shock anafilattico. Inoltre bisogna fare una corretta diagnosi per riconoscerlo. Bisogna metterlo in correlazione con altre ipotesi diagnostiche. Ci deve essere una corretta gestione della dimissione del paziente sia in pronto che in reparto- È una reazione sistemica importante in cui la cute può anche non essere interessata e quindi sarà difficile da diagnosticare. Può avere diverse presentazioni cliniche di gravità. Ha una mortalità che può arrivare fino al 2%, può arrivare ad una mortalità più bassa se diagnosticata subito (0.3%) e possiamo avere anche una mortalità perioperatoria che può arrivare anche al 6%. Inoltre la reazione può essere fatale in pochi minuti (5 – 10 minuti). Dal punto di vista epidemiologico ha una prevalenza stimata tra lo 0.3 e il 5.1% spesso giovani e sani. Non c’è una differenza di razza e genere. Nei giovani è più il cibo a scatenare shock, negli uomini di età media le punture di imenotteri e negli anziani i farmaci. I meccanismi a portare shock possono essere diversi: - Possono essere degli allergeni con un meccanismo immunologico che vede la presenza di IgE - Ci può essere un meccanismo immunologico che è legato alle IgG, al sistema del complemento e ai pathway della coagulazione - Possono ancora essere dei trigger che non sono immunologici, ad esempio quando si assiste ad un’attivazione diretta da parte delle mast – cellule e dei basofili che liberano istamina e mediatori responsabili dello sviluppo dell’anafilassi - Per ultima l’anafilassi idiopatica dove la causa non si riesce a trovare In tutte queste cause, qualunque essa sia, c’è sempre un rilascio di mediatori da parte delle mast - cellule e dei basofili. Alcuni meccanismi immunologici sono IgE dipendenti. Tra le cause di questi meccanismi abbiamo gli arachidi, le noccioline, il pesce, il mezzo di contrasto. Abbiamo sostanze che possono causare anafilassi attraverso IgE indipendenti, sostanze che causano meccanismi che non sono immunologici perché causano una completa attivazione delle mast – cellule, ad esempio l’alcol, l’attività fisica, l’esposizione al freddo e alcuni farmaci come gli oppiacei. La reazione anafilattica si caratterizza da una distinzione in: - anafilassi unimodale è il tipo più comune. Da 30 minuti a un’ora dal contatto con l’allergene abbiamo la comparsa dei sintomi ma potrebbe capitare che i sintomi si risolvano spontaneamente - anafilassi bifasica ha un’incidenza del 21% e nei bambini 15%. È quella che temiamo di più perché è quella in cui dopo un picco di comparsa dei sintomi a distanza di 12-72 in assenza del contatto dell’allergene che ha presentato il sintomo - anafilassi protratta che vede la persistenza dei sintomi per giorni - anafilassi ritardata dove i sintomi compaiono dopo ore che si è entrati a contatto con l’allergene Parliamo di una malattia sistemica perché i sintomi variano da paziente a paziente e possono colpire qualsiasi organo. Solitamente l’organo più colpito è la cute ma ci sono dei casi in cui non è colpita Sintomi cute, sottocute e mucose Cute: rossore, prurito, orticaria, angioedema, rush morbiliforme, erezione dei peli Volto: prurito labiale, cavo orale o canale uditivo esterno, edema labiale, lingua, ugola Occhio: prurito periorbitale, edema, eritema congiuntivale, lacrimazione Altro: prurito genitale, palmi e piante, sapore metallico in bocca. Da prendere in considerazione comparsa di sapore metallico in bocca, il prurito delle zone genitali o del palmo della mano. Sintomi respiratori o Naso→prurito nasale, congestione, rinorrea, starnuto o Gola→prurito, costrizione al giugulo, disfonia, raucedine, stridore, tosse stizzosa o Basse vie respiratorie→tachipnea, dispnea, oppressione toracica, broncospasmo, ridotto picco di flusso espiratorio, cianosi, arresto respiratorio Sintomi gastrointestinali ▪ Dolore addominale ▪ Nausea, vomito (muco viscoso) ▪ Diarrea ▪ disfagia sintomi cardiovascolari ❖ dolore toracico, fino a ischemia miocardica (sindrome di Kounis) ❖ tachicardia, bradicardia (meno comune), aritmie, cardiopalmo ❖ ipotensione, astenia, incontinenza urinaria o fecale, stato di shock ❖ arresto cardiaco Il paziente con anafilassi può avere dolore toracico perché ci può essere una causa patogenetica insita nello shock stesso. I mediatori che vengono rilasciati (di cui abbiamo parlato prima) sono in grado di andare a complicare delle placche già esistenti o di determinare vasospasmo. Da qua può nascere il dolore toracico e questa è quella che viene chiamata sindrome di Kounis. Altra causa per cui può sviluppare dolore toracico può essere l’angina allergica ma anche perché ci si può ipotendere durante lo shock e quindi avere un pressione tanto bassa da far fare uno sforzo eccessivo. In questo caso parliamo di dolore toracico da discrepanza. Tutto questo fino all’arresto cardiaco. Lo shock che interviene nello shock anafilattico è uno shock multiplo: - distributivo: vi è una riduzione del ritorno venoso conseguente ad una vasodilatazione importante per cui buona parte del liquido che sta dentro i vasi viene shiftato all’interno del compartimento extravascolare - ipovolemico: sarà un’ipovolemia relativa perché non perdo i liquidi all’esterno - cardiogeno: depressione della funzione miocardica Sintomi neurologici stato ansioso e sensazione di morte imminente disagio e alterazioni comortamentali (lattanti e bambini) cefalea alterazione dello stato mentale confusione potenziali segni e sintomi durante la gravidanza fetal distress dolori uterini crampiformi prurito vulvare o vaginale travaglio precoce dolore lombare Vi è un ritorno venoso nel paziente con shock anafilattico a seguito della ipotensione e della vasodilatazione generalizzata, la donna in gravidanza bisogna metterla in decubito laterale sinistro per evitare che l’utero vada ad impattare sulla vena cava superiore comprimendola e andando a ridurre ancora il ritorno venoso. Sintomi e segni dell’anafilassi del lattante generali Cambi di comportamento non specifici Cute e mucose Dal rossore fino a orticaria e angioedema respiratorio Dispnea, disfonia, scialorrea, tosse fino a ostruzione laringea, stridore, sibili, cianosi gastrointestinale Espettorazione/rigurgito, perdita di feci, coliche addominali, vomito profuso Cardiovascolare Ipotensione, tachicardia, perdita degli sfinteri, diaforesi, sudorazione, perdita di coscienza SNC Torpore, sonnolenza fino a letargia, ipotonia e convulsioni Nell’adulto e nel bambino l’anafilassi non è semplice da riconoscere, la nostra accortezza deve essere quella di fare una giusta diagnosi, che è comunque difficile. La presentazione dell’anafilassi può cambiare da soggetto a soggetto infatti dobbiamo essere molto bravi. La prima cosa che bisogna fare se si riconosce l’anafilassi è allontanare il trigger che si pensa essere la causa dello shock. L’evoluzione dell’anafilassi è imprevedibile e può portare alla morte in tempi molto rapidi. La diagnosi è importante perché se non pensiamo a qualcosa difficilmente possiamo trattare il tutto in modo idoneo. Le linee guida hanno cercato di semplificare la questione cercando di aiutarci ad ottenere un unico metodo che ci possa condurre ad una ipotesi diagnostica di shock anafilattico ai fini di poterlo trattare tempestivamente. L’efficacia della terapia è proporzionale alla rapidità con cui viene effettuata. Se agisco tardivamente possono incorrere a quella che si chiama anafilassi fatale perché la terapia che faccio non ha più effetto anche se corretta. La diagnosi di anafilassi è possibile quando è soddisfatto 1 dei seguenti 3 criteri: 1. insorgenza acuta di una sintomatologia (minuti o alcune ore) con coinvolgimento cutaneo, delle mucose o entrambe + almeno uno dei seguenti: compromissione respiratoria, compromissione cardiovascolare 2. due o più seguenti sintomi, che insorgono rapidamente dopo l’esposizione ad un allergene probabile a. coinvolgimento di cute e/o mucose b. compromissione respiratoria c. compromissione cardiovascolare d. sintomi gastrointestinali persistenti 3. ipotensione che insorge (minuti o alcune ore) dopo esposizione ad un allergene certo. Fascia età Valori pressione sistolica Da 1 mese a 1 anno < 70 mmHg Da 1 a 10 anni < 70 mmHg + (età x 2) Da 11 a 17 anni < 90 mmHg Adulti 30% rispetto ai valori basali La diagnosi di anafilassi è altamente probabile quando è soddisfatto 1 dei 2 criteri (WAO) Criterio 1 Insorgenza acuta di sintomatologia (da minuti a diverse ore) con simultaneo coinvolgimento cutaneo, delle mucose o entrambe + almeno 1 dei seguenti: a. compromissione respiratoria (dispnea, broncospasmo, stridore, ridotto PEF, ipossiemia) b. compromissione circolatoria: riduzione pressione sanguigna o sintomi da disfunzione d’organo (sincope, collasso, incontinenza) c. sintomi gastrointestinali severi (crampi addominali gravi, vomito continuo) soprattutto dopo esposizione ad allergeni differenti dal cibo criterio 2 Esordio acuto (da minuti a ore) di ipotensione o broncospasmo (Escludendo il broncospasmo indotto dai comuni allergeni inalati) o coinvolgimento laringeo (Stridore, cambiamenti vocali, odinofagia) dopo esposizione ad allergene conosciuto o altamente probabile per quel paziente, anche in assenza del tipico coinvolgimento cutaneo La diagnosi è esclusivamente clinica però la difficoltà sta nel fatto che possono comparire 40 tra segni e sintomi. Esistono test di laboratorio come quello della triptasi. È un esame poco utile, che in urgenza non si fa visti i tempi che sono impiegati per farlo. Piuttosto è un esame che può essere di aiuto in tutti quei casi di morte improvvisa. se la triptasi è molto alta è un segno che il paziente è morto di shock anafilattico. Un altro esame riguarda la misura dell’istamina che serve a poco perché ha un’emivita molto breve quindi il suo dosaggio non sarebbe significativo. Ci sono delle difficoltà perché esistono delle situazioni in cui non è facile diagnosticare shock perchè se il paziente ha dei problemi neurologici già di suo e lo shock si presenta con sintomi neurologici o il paziente non riesce ad esprimere a pieno i suoi sintomi, può essere difficile da riconoscere. Chiaramente ci sono tutte quelle sostanze e trattamenti concomitanti che possono aggiungersi come alcol, sedativi, ipnotici. Per questa ragione bisogna pensare ad una diagnosi differenziale: -disordini comuni: asma acuto, sincope vasovagale, attacco di panico, aspirazione di corpo estraneo -stati di shock: ipovolemico, cardiogenico, distributivo/settico -eccessiva produzione endogena di istamina: sindrome da attivazione mast-cellule, leucemia basofila Mastocitosi malattia secondaria a eccessiva proliferazione e accumulo di mast cell a livello cutaneo (mastocitosi cutanea) o può coinvolgere il midollo osseo o altri tessuti (mastocitosi sistemica) Epidemiologia: bambini sono solitamente colpiti dalle forme cutanee, con possibile risoluzione nell’adolescenza adulti hanno forme sistemiche, spesso più aggressive CLASSIFICAZIONE Mastocitosi cutanea mastocitosi cutanea maculopapulare (orticaria pigmentosa*), mastocitosi cutanea diffusa mastocitoma solitario della cute Mastocitosi sistemica (coinvolge st midollo osseo e tratto GI) mastocitosi sistemica indolente mastocitosi sistemica con malattie ematologiche associate leucemia basofila -flush syndrome: perimenopausale, sindrome carcinoide, alcol, carcinoma midollare della tiroide, tumori GI (vipomi) -sindromi post-prandiali: sindrome sgombroide, anisakiasi, sindrome da allergia cibo/pollini, solfiti, avvelenamento da cibo -altre: angioedema ereditario tipo I-II-III, angioedema associato a ACE-I, systemic capillary leak syndrome red man syndrome, feocromocitoma. Angioedema ereditario DEFINIZIONE: edema temporaneo dovuto all’insufficiente controllo della produzione di bradichinina Meccanismo: mediato bradichinine (differenza forme allergiche istamino-mediate) Clinica (cute, mucose, st volto e tratto GI): edema cute o mucose, asimmetrico, non pruriginoso, senza orticaria; frequenti crampi addominali , nausea, vomito, diarrea. Prodromi: 50% eritema marginato Durata: giorni (differenza forma istamino mediate durata inferiore a 12ore) Trigger: estrazioni dentarie, farmaci, stress, infezioni, ciclo mestruale, assunzione estrogeni Storia familiare Esordio: precoce infanzia Laboratorio: dosaggio C4, C1 esterase sia quantitativa che funzionale Terapia: mancata risposta a adrenalina, steroidi e antistaminici ( differenza forma allergica) fase acuta C1 INH plasma derivati o ricombinanti profilassi LANADULUMAB La diagnosi è difficile e deve essere precoce. Abbiamo una patologia in cui dobbiamo agire tempestivamente ma soprattutto la terapia deve essere adeguata. Trattamento L’anafilassi è variabile e imprevedibile. Il trattamento e la valutazione dello shock anafilattico devono essere immediati e sono critici. L’arresto cardio-respiratorio ed il decesso possono subentrare in pochi minuti. La risposta al trattamento è direttamente proporzionale alla tempestività con cui viene iniziato. Importante sapere che il ritardo nel trattamento può condurre all’anafilassi fatale. Il trattamento salvavita dello shock anafilattico è l’adrenalina. Questo è un farmaco di emergenza, bisogna saperla usare correttamente. La troviamo in fiale e in ogni fiala troviamo 1 ml di liquido. 1 ml contiene 1 mg di adrenalina. Essa possiamo usarla in situazioni come arresto cardiaco. L’adrenalina così costituita nella fiala è già una diluizione precostituita di 1:1000. Questa è quella che troviamo già pronta nella fiala. Nell’arresto cardiaco l’aspiriamo tutta e la somministriamo endovena al paziente, ma se facciamo la stessa cosa al paziente con anafilassi lo ammazziamo. In bolo si somministra solo in caso di rianimazione cardiaca. Come deve essere somministrata l’adrenalina nello shock anafilattico? Partendo dalla base dobbiamo dire che bisogna allontanare il fattore trigger e chiedere aiuto (chiamare 2222). Poi somministrare l’adrenalina intramuscolo, prediligendo la faccia laterale e superiore della coscia perché ha un rapido assorbimento. Il paziente va posizionato in decubito supino con gli arti inferiori sollevati per favorire il ritorno venoso. Somministrare ossigeno se è necessario. Le allerte devono essere a carico delle vie aeree, del respiro e del circolo e dello stato mentale. Sarebbe meglio aspirare l’adrenalina con una siringa da insulina per poi cambiare l’ago. Ottenere 2 accessi venosi, monitor ECG e in caso di stridor o di arresto respiratorio occorre predisporre il paziente per l’intubazione. Dopo la somministrazione di adrenalina possiamo dare pure dei fluidi se la risposta all’adrenalina non è stata completa o se permane ipotensione. I liquidi si somministrano alla quantità di 10 ml/Kg. Attenzione! In pochi minuti dall’anafilassi il 35% del volume intravascolare passa nel compartimento extravascolare a causa dell’aumentata permeabilità vascolare per cui è inutile che vado a riempire di liquidi il paziente perché tanto poi finiranno tutti fuori. Questo è il motivo per cui prima diamo adrenalina e poi i liquidi. Quanta adrenalina si somministra? Diciamo che se ne somministra da 0.3 a 0.5 mg, quindi mezza fiala. Esiste uno strumento che possono usare coloro che hanno già avuto questo shock chiamato auto iniettore che contiene 0.30 mg o.50 mg se il peso corporeo è superiore a 60kg. In genere bisognerebbe avere 2 auto iniettori per fare in modo di poter somministrare una seconda dose qualora la prima non sia sufficiente. Infatti l’adrenalina può essere ripetuta ad intervalli di 5 – 15 minuti, massimo 3 volte. Importante è alternare le cosce nella somministrazione. In caso di mancata risposta e dopo la somministrazione di fluidi, preparare la somministrazione di adrenalina per via endovenosa. In questo ultimo caso, in endovena, deve essere fatta diluendola (diventerà una soluzione 1: 10000). L’adrenalina per via aerosolica non è approvata, nelle linee guida non compare. Nel bambini possiamo usarla nell’infezione dell’epiglottide ma negli adulti no. Perché usiamo l’adrenalina? L’adrenalina ha tante proprietà: nel caso dell’arresto migliora l’efficacia della rianimazione cardio – polmonare. La uso nell’anafilassi per i suoi effetti terapeutici: - attraverso gli effetti agonisti alfa - 1 ha un effetto di vasocostrizione, di aumento delle resistenze vascolari periferiche, aumenta la pressione arteriosa e riduce l’edema della mucosa. - Attraverso gli effetti agonisti beta - 1 ha un effetto inotropo e cronotropo positivo. - Attraverso gli effetti agonisti beta - 2 ha un effetto di broncodilatazione e di ridotto rilascio di mediatori delle mast - cellule e dei basofili. Può avere degli effetti collaterali, ma se viene utilizzata in maniera corretta non ne avremo. Gravi effetti collaterali si possono manifestare solo in caso in cui effettuo un bolo endovenoso con dose elevata in maniera non corretta. Per tale farmaco non esistono controindicazioni assolute all’uso dell’adrenalina nell’anafilassi. Ci sono delle particolari condizioni che richiedono cautela come nel caso di un paziente anziano. Dobbiamo chiedere al paziente se assume antidepressivi triciclici perché questi prolungano il tempo d’azione dell’adrenalina, oppure considerare gli inibitori delle monoamino – ossidasi che ne bloccano il metabolismo. L’adrenalina è il trattamento first – line per l’anafilassi e non vi sono trattamenti riconosciuti sostitutivi. Esistono dei fattori che possono influire sulla gravità e sul trattamento. Alcuni di questi sono l’esercizio fisico, le infezioni acute, lo stress emotivo, lo stato premestruale e il ritardo nella somministrazione della terapia oltre i 30 minuti. Questi possono agire in maniera negativa. Possiamo avere pure trattamenti concomitanti, ad esempio pazienti in età avanzata, pazienti che sono allergici a determinati cibi, che hanno asma, malattie cardiovascolari. I pazienti che assumono beta – bloccanti possono andare incontro ad una situazione di refrattarietà alla somministrazione di adrenalina, quindi non rispondere ad essi. In questi casi l’antidoto da dare è il glucagone. Per sapere ciò che prende il paziente a livello di farmaci, per sapere cos’ha mangiato e per sapere cos’è successo è molto importante fare il SAMPLE. Se vedo che, dopo aver dato adrenalina, il paziente non risponde faccio il SAMPLE e magari da questo mi rendo conto che prende beta – bloccanti. Bene in questo caso prendo il glucagone, sempre 1 fiala da 1 mg sia intramuscolo che endovena, ma lentamente. Il glucagone ha lo stesso effetto dell’adrenalina perché agisce senza prendere in considerazione i recettori beta (cosa che invece fa l’adrenalina). Se il paziente a seguito dello shock fosse bronco – ostruito saremmo portati a bronco – dilatarlo, ma anche in questo caso non trattiamo con broncodilatatori prima di aver trattato con l’insulina, perché rischiamo di peggiorare ancora di più l’ipotensione. Antistaminici e cortisone sono farmaci di seconda linea che rappresentano una terapia aggiuntiva che si fa contemporaneamente perché hanno un tempo di azione più ritardato. Proprio perché agiscono tardivamente, quanto prima li faccio meglio è (devo comunque darli dopo l’adrenalina). Riguardo gli antistaminici devo somministrare la clorfenamina 10 mg per via intramuscolo. Poi si fanno pure i glucocorticoidi, in particolare il metilprednisolone 1 mg/Kg. La massima dose singola di esso 1 125 mg. In alternativa ad esso possiamo utilizzare l’idrocortisone 200 mg endovena. Errori principali: - non riconoscere i sintomi - non riconoscere la rapidità di evoluzione - non somministrare o somministrare in ritardo l’adrenalina - non rispettare i tempi di osservazione / monitoraggio Le azioni successive sono quelle di una creazione di emergency action plan, quindi di un piano di azione per l’anafilassi. Tutti i pazienti che hanno avuto anafilassi devono essere indirizzati da un allergologo che prescrive un auto – iniettore. Importante è informare sull’anafilassi e sul trattamento. Deve essere sempre presente un follow – up. L’anafilassi fatale rappresenta lo 0.7 – 2% dei casi di anafilassi. Fatale significa che in 30-60 minuti dall’esposizione all’agente di assiste al decesso a causa di un arresto respiratorio o shock con arresto cardiaco. Quali sono i fattori di rischio? Sicuramente i soggetti che hanno già avuto uno shock o sono soggetti già allergici, atopici, asmatici. Un altro fattore è il ritardo della somministrazione di adrenalina. Ancora abbiamo altre comorbidità cardiovascolari (SAMPLE), non aver fatto assumere le posizione supina (laterale sinistra per le gravide) al paziente. A rischio è pure chi soffre di mastocitosi sistemica. Dimissioni e trattamento successivo Un buon piano di dimissioni prevede una corretta osservazione, una valutazione della prescrizione di auto-iniettore. È giusto educare su come riconoscere i sintomi e gestire gli episodi ricorrenti e suggerire di evitare i trigger sospetti. Molto importante è ridurre i cofattori. L’allergologo ha il compito di confermare il trigger sospetto, pianifica eventuali terapia di immunomodulazione (veleni di insetti). Con l’allergologo si può intraprendere una strategia di evitamento dei trigger. ICTUS Improvvisa comparsa di segni e sintomi riferibili a deficit focale/globale delle funzioni cerebrali. Di durata > 24 ore o ad esito infausto (morte), non attribuibile ad altra causa apparente se non a un disturbo circolatorio a livello encefalico. Questa definizione comprende sulla base dei dati morfologici l’infarto ischemico, l’infarto emorragico, l’emorragia cerebrale primaria e alcuni casi di emorragia sub-aracnoidea. Tipi di ictus: - ictus in evoluzione → ictus con peggioramento del deficit neurologico iniziale attribuibile ad estensione della lesione cerebrale nell’arco di ore/giorni. - minor stroke → ictus con esiti di minima o nessuna compromissione dell’autonomia della vita quotidiana - attacco ischemico transitorio (TIA) → improvvisa comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focale cerebrale o visivo attribuibile ad insufficiente apporto ematico, di durata 400 mg/di o 200-220 mmHg, P.A. diastolica > 120 mmHg. obiettivo: 180/100 mmHg (ipertesi noti), 160-180/90-100 mmHg(non ipertesi). L'ipertensione arteriosa va inoltre trattata prontamente in caso di emorragia cerebrale (per valori > 140/90), scompenso cardiaco, sindrome coronarica acuta, dissezione aortica, encefalopatia ipertensiva, insufficienza renale acuta. Nei pazienti da sottoporre a trombolisi la P.A. sistolica va mantenuta < 180 mmHg. I valori pressori vanno ottimizzati in maniera controllata - non aggressiva. Farmaci da utilizzare: - Labetalolo 5-20 mg e.v. Urapidil 10-50 mg e. v. - In caso di ipertensione diastolica isolata: Nitroglicerina (5-100 Mg/Kg/m' o Nitroprussiato di sodio (0.25-10 mg/Kg/m). - Evitare l'impiego di nifedipina sublinguale! IPOTENSIONE ARTERIOSA → è rara, se presente considerare uno stroke esteso, una insufficienza cardiaca, un infarto miocardico, una sepsi, una ipovolemia. Va trattata con cristalloidi o farmaci inotropi in caso di scompenso cardiaco. FUNZIONE RESPIRATORIA → un'adeguata ossigenazione è importante per preservare il metabolismo della penombra. È opportuno un monitoraggio con pulsi-ossimetro. La somministrazione di ossigeno è indicata nei pazienti con ipossiemia (satO, < 92%). Va prestata attenzione al rischio di aspirazione in pazienti con stroke estesi o del tronco encefalico e con stato di coscienza alterato. Una protezione meccanica delle vie aeree va attuata in caso di rischio di ostruzione (vomito, ipotonia orofaringea). In caso di insufficienza respiratoria marcata potenzialmente reversibile è indicata l'intubazione O. T. METABOLISMO GLICIDICO → la glicemia va controllata regolarmente nei pazienti colpiti da stroke e monitorata attentamente nei pazienti diabetici. L'iperglicemia può peggiorare la prognosi. L'ipoglicemia è altresì dannosa e alcune volte può mimare uno stroke. Va trattata la glicemia > 200 ma/di con cauta titolazione di insulina s.C. Va trattata la glicemia < 50 mg/dl con sol. glucosata al 10%. TEMPERATURA CORPOREA → la febbre influenza negativamente il decorso dello stroke. Va trattata se > 37.5%, con paracetamolo. L'impiego precoce di antibiotico-terapia è giustificato nel sospetto di infezione batterica, non come profilassi in pazienti immuno-competenti. FLUIDOTERAPIA → va controllato il bilancio idrico, soprattutto per gli effetti negativi della disidratazione. La correzione della volemia deve avvenire con l'impiego di Soluzione Fisiologica. Controindicate le soluzioni ipotoniche (NaCI 0.45% e glucosata 5%), che peggiorano l'edema cerebrale. Prevenzione e trattamento complicanze EDEMA CEREBRALE → si manifesta nelle prime 24-48 ore dall'ischemia acuta. In pazienti più giovani o con stroke esteso può causare aumento della pressione intracranica con rischio di erniazione, deterioramento dello stato di coscienza e compromissione delle funzioni vitali. Deve essere trattato con misure generali (sollevamento del capo a 30°, terapia del dolore e blanda sedazione, ossigenoterapia, trattamento dell'ipertermia). Osmoterapia: mannitolo 25-50 gr ogni 3-6 ore in 20' o glicerolo 10% 4 x 250cc in 30-60' Terapia chirurgica: è giustificato un intervento di derivazione liquorale in caso di idrocefalo secondario o di decompressione per stroke cerebellari estesi con compressione sul tronco o stroke emisferici estesi. CRISI EPILETTICHE → possono presentarsi nelle prime fasi dello stroke nel 3-4% dei casi, perlopiù come crisi parziali secondariamente generalizzate. Non è raccomandato in ogni caso un trattamento profilattico. In caso di crisi ricorrenti o stato di male è opportuno un trattamento con farmaci anticonvulsivanti p.o, o e. v. secondo i protocolli in uso. INFARCIMENTO EMORRAGICO → si verifica spontaneamente nel 5% degli stroke ischemici. È spesso causato da trattamenti antitrombotici o anticoagulanti. Il trattamento è in relazione alla sintomatologia. POLMONITE AB INGESTIS → può essere prevenuta con frequenti cambi di postura e con un attento monitoraggio della funzione deglutitoria. Vanno trattate con adeguata antibiotico-terapia. INFEZIONE DELLE VIE URINARIE → è una evenienza frequente, spesso iatrogena. Il ricorso al cateterismo vescicale deve essere riservato solo a pazienti con grave disfunzione vescicale. Può rendersi utile un cateterismo sterile intermittente in caso di residuo post-minzionale. L'incontinenza urinaria può essere gestita in gran parte dei casi con l'impiego di pannoloni o dispositivi "condom". Vanno trattate con antibiotico-terapia mirata. LESIONI DA DECUBITO → devono essere prevenute con frequenti cambi di postura, impiego di materassi ad acqua, attenta igiene cutanea. Può rendersi necessaria una toilette chirurgica e un trattamento antibiotico prolungato. DISFAGIA → è presente in circa un terzo dei pazienti. È causa di polmoniti ab ingestis e malnutrizione. Ha ricadute negative in termini prognostici, anche se frequentemente è spontaneamente reversibile. Va valutata dal punto di vista obiettivo e con il test della deglutizione. - Se parziale, al paziente andrà somministrata una dieta appropriata per disfagici. - Se totale è indicata una valutazione ORL ed il posizionamento di sondino naso-gastrico. - Se persistente è indicata una gastrostomia percutanea endoscopica (PEG). La nutrizione parenterale è un'opzione di seconda scelta. Dal punto di vista nutrizionale è corretto somministrare 25/Kcal/kg/die + 1 ml H,0 pro Kcal. Test della deglutizione: - Paziente seduto o sostenuto da cuscini - Far deglutire 10 ml acqua in 3- 4 volte con un cucchiaino (valutare se stringe le labbra per trattenere, se deglutisce e in quanto tempo, se vi è tosse, se vi è espirazione rumorosa umida) - Ripetere il test con aquagel con cucchiaino (o cannuccia se paresi facciale) - Se supera test con acqua gel proseguire con ghiaccio tritato e poi con alimenti solidi TROMBOSI VENOSA PROFONDA - EMBOLIA POLMONARE → l'embolia polmonare è causa di circa il 10-25% dei decessi di pazienti colpiti da stroke. L'incidenza di embolia polmonare sintomatica e trombosi venosa profonda è tuttavia inferiore al 5% dei casi. Fattori di rischio sono: età avanzata, immobilità e paresi agli arti inferiori, paralisi completa, fibrillazione atriale. La mobilizzazione precoce e la compressione elastica sono misure preventive efficaci. In pazienti a rischio e sintomatici è indicato il trattamento con eparina non frazionata o eparine a basso peso molecolare s.c. Prevenzione secondaria MODIFICAZIONE DEI FATTORI DI RISCHIO - Ipertensione arteriosa → dopo uno stroke o TIA la P.A. va stabilizzata con l'impiego di farmaci diuretici e/o ACE inibitori (perindopril, indapamide, ramipril) - Ipercolesterolemia → va considerata la terapia con statine, specialmente se vi è concomitanza di cardiopatia ischemica. - Fumo → va assolutamente proscritto. TERAPIA ANTITROMBOTICA-ANTICOAGULANTE → nello stroke non cardio-embolico è indicato il trattamento con ASA 100 mg/die; altresì efficace è la terapia con ASA 50 mg+dipiridamolo 200 mg x 2. Nei casi di intolleranza ad ASA è possibile impiegare ticlopidina 250 mg x 2 o clopidogrel 75 mg. La coesistenza di stroke ischemico/TIA e angina instabile/I.M. non giustifica l'associazione ASA 75 mg+clopidogrel 75 mg. Nei pazienti in cui coesiste fibrillazione atriale non valvolare è indicata la terapia anticoagulante orale (TAO) con INR tra 2.0-3.0 o nao salvo controindicazioni (epilessia, demenza, emorragie digestive). La TAO è inoltre indicata in caso di forame ovale pervio + aneurisma del setto e nel caso di protesi valvolari cardiache (INR tra 2.5-3.5). Altre indicazioni: ateromi aortici, aneurisma della basilare, cardiomiopatia dilatativa isolata, dissecazione carotidea. Terapia chirurgica La Trombo-endo-arteriectomia carotidea (TEA) è indicata in pazienti sintomatici con stenosi carotidea congrua > 70%, senza deficit neurologico rilevante ed evento ischemico recente (

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