Diritto e Procedura Penale - modulo I PDF
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This document presents an overview of Italian criminal law principles. It covers topics like legal principles, constitutional aspects, and penalities.
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Diritto e procedura penale – modulo I Principi costituzionali: a. Il principio di legalità sancito dalla Costituzione è inteso in senso formale e si articola in 4 corollari: 1. Principio di riserva di legge È espresso nella prima parte del secondo comma dell’art. 25: “Nessuno può es...
Diritto e procedura penale – modulo I Principi costituzionali: a. Il principio di legalità sancito dalla Costituzione è inteso in senso formale e si articola in 4 corollari: 1. Principio di riserva di legge È espresso nella prima parte del secondo comma dell’art. 25: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso”. La ratio è quella di garantire ai consociati che la loro libertà sia limitata solo dal parlamento in quanto unico organo nazionale direttamente eletto dal popolo. La legge va intesa in senso solo statale e non anche regionale, in quanto altrimenti ci sarebbero distinzioni di pene e di reati da regione a regione in violazione dell’unità politica all’art. 5 Cost. e del principio di uguaglianza art. 3 Cost. Va intesa in senso formale (delegata dal Parlamento), ma anche in senso materiale (con decreti legge e decreti legislativi delegati) perché, pur essendo atti del Governo, sono confermati nella validità dal Parlamento a posteriori o legittimati a priori. È una riserva tendenzialmente assoluta: la legge deve stabilire gli elementi essenziali del reato, ossia soggetto attivo, comportamento vietato, presupposti della condotta e la pena; fonti sublegislative possono stabilire la disciplina di dettaglio di natura tecnica. (norme penali in bianco) 2. Principio di irretroattività È espresso nella seconda parte del secondo comma dell’art. 25: “Nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso”. La ratio è quella di garantire l’autodeterminazione dei consociati, in quanto, rendendo conoscibile ciò che è vietato prima di agire, si dà loro la possibilità di scelta tra comportarsi in modo conforme o non conforme alla legge penale. Si applica alla legge penale che introduce nuovi reati, alla legge penale modificatrice della disciplina in modo più sfavorevole al reo, alle leggi temporanee e a quelle eccezionali. L’art, 2 c.p., oltre a garantire il principio di irretroattività, stabilisce in altre ipotesi di successione di leggi nel tempo il principio di retroattività quando più favore di quella vigente al tempo in cui il fatto era commesso. La ratio è garantire il favor rei e si applica alla legge penale che abroga un reato, alla legge penale modificatrice della disciplina in modo più favorevole al reo. La legge abrogatrice si applica anche a chi è già condannato e determina la cessazione dell’esecuzione della pena e l’estinzione degli effetti penali. La legge modificatrice favorevole non si applica a chi ha già avuto una condanna definitiva, salvo che gli si debba solo convertire la pena detentiva in pena pecuniaria. 3. Principio di determinatezza È rivolto al legislatore ed è la richiesta che la disposizione penale sia chiara nel suo significato, in modo da non dare problemi all’interprete in sede di applicazione. Non ha un’espressa previsione nella Costituzione, ma deve considerarsi un presupposto necessario del principio di irretroattività di cui all’art. 25 Cost.: se la norma non fosse chiara, il giudice, per interpretarla, le darebbe un proprio significato al momento dell’accertamento giudiziale, frustrano la garanzia dell’autodeterminazione dei consociati sottesa al principio di irretroattività. Il principio di determinatezza di desume dall’art. 1 c.p. “Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge”. La determinatezza è garantita dalla presenza nella norma di termini il cui significato sia delineato tra due confini chiari. I termini giuridici devono avere una definizione normativa. 4. Principio di tassatività o divieto di analogia È rivolto al giudice: egli deve applicare le norme penali nei limiti di quello che esse stabiliscono, senza andare oltre. Gli è fatto divieto, infatti, di estenderle a casi simili che, pur nella massima apertura interpretativa, non sono ricompresi nella portata della norma. È espresso all’art. 14 delle leggi preliminari al c.c.: “Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”. b. Principio costituzionale di personalità Art. 27 c1 Cost.: “La responsabilità penale è personale”. Dalla sentenza n. 364/1988 sull’art. 5 c.p. è stato inteso come espressione del principio di colpevolezza: la responsabilità penale è ammessa solo per fatto proprio colpevole, istituendo così il divieto di responsabilità oggettiva. c. Principi costituzionali relativi alle pene 1. Principio di legalità delle misure di sicurezza: art. 35 c3 Cost.: “Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”. 2. Principio di umanità delle pene: art. 27 c3,4 Cost.: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”; “Non è ammessa la pena di morte”. 3. Principio di rieducazione: art. 27 c3 Cost.: “Le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”. La funzione di rieducazione della pena è considerata dal costituente eventuale. d. Principio di offensività Il reato deve consistere in un fatto offensivo di un bene giuridico che il legislatore ritiene così importante da meritare la tutela più alta. Di regola si tratta di beni giuridici garantiti dalla costituzione. e. Principio di materialità L’ordinamento punisce solo i fatti offensivi di beni giuridici rilevanti, non invece il mero pensiero criminoso o opinione contraria a quella ritenuta giusta dal legislatore. Analisi del reato Il codice penale viene diviso in tre libri: 1. Diritto generale – principi che regolano la disciplina del reato, del reo e del sistema sanzionatorio; 2. Catalogo dei delitti; 3. Catalogo delle contravvenzioni. Struttura del reato: Il reato è considerato un fatto antigiuridico e colpevole previsto dalla legge e sanzionato con delle pene; la dottrina vuole considerare il reato come una struttura bipartita o tripartita. a. Teoria bipartita: elemento oggettivo: positivo -> condotta, evento, causalità negativo -> assenze di cause di giustificazione elemento soggettivo: colpevolezza -> dolo o colpa b. Teoria tripartita: elemento oggettivo: condotta, evento, causalità elemento soggettivo: colpevolezza (dolo o colpa) antigiuridicità: assenza di cause di giustificazione Condotta attiva: - Atti di un’unica azione Si ha pluralità di atti contestuali costituenti un solo reato quando è unico il soggetto passivo colpito e il bene giuridico offeso; oppure, pur essendo plurimi i soggetti passivi, i beni giuridici offesi non sono particolarmente importanti. - Pluralità di azioni Si ha pluralità di azioni contestuali costituenti più reati, quando plurimi sono i soggetti passivi colpiti e i beni giuridici sono di un certo rilievo. Condotta passiva - Reato omissivo proprio È reato di pura condotta; ha come presupposto un obbligo giuridico di agire entro un termine esplicito o implicito: quindi consiste nel mancato adempimento dell’obbligo giuridico nel termine dato. - Reato omissivo improprio È reato d’evento; presuppone una posizione di garanzia, da cui sorge un obbligo giuridico di protezione e/o di controllo: consiste nel mancato adempimento di un evento naturalistico di danno o pericolo. La posizione di garanzia può nascere dalla legge, dal contratto, dalla volontaria assunzione, da precedente attività pericolosa. Può essere originaria o derivata. Il reato nasce dalla combinazione di una norma incriminatrice commissiva di evento, incentrata nel “cagionare” e dell’art. 40 c2 c.p. (clausola di equivalenza: non impedire equivale a cagionare). Interpretazione formale: delinea l’obbligo individuando la fonte; teoria funzionale o sostanziale: guarda alla funzione che deve avere l’obbligo, al di là della fonte legale; Teoria mista: adottata dalla giurisprudenza, unisce le due. La funzione di garanzia ha duplice valenza: prende la fonte dalla teoria formale e il contenuto dalla teoria funzionale. Reati a condotta vincolata: la fattispecie incriminatrice legale è descritta. Reati a forma libera o causalmente orientati: in questi reati il legislatore non individua la condotta ma solo il risultato offensivo, l’evento: il reato non richiede una condotta specifica. Rapporto di causalità Di fronte a un reato di evento, il giudice non solo deve accertare l’esistenza della condotta antigiuridica tenuta o non tenuta dall’imputato, ma deve verificare che l’evento che si è verificato sia la conseguenza di quella condotta. La causalità trova disciplina all’art. 40 c.p., che afferma che “nessuno può essere punito se l’evento che si è verificato non è conseguenza dell’azione o dell’omissione”. Ad occuparsi della causalità è anche l’art. 41, che si riferisce alle cosiddette concause, cioè all’ipotesi in cui un l’evento non sia la conseguenza di un unico fattore causale (la condotta), ma di un concorso di fattori causali. La regola all’art. stabilisce che il concorso di altri fattori – oltre la condotta dell’imputato – siano essi precedenti, concomitanti o successivi, non esclude la responsabilità penale. L’unico caso in cui è escluda è l’ipotesi in cui le concause siano state successive e da sole determinanti. Mancando nella legge l’indicazione di criteri per stabilire la causalità, si sono formulate diverse teorie: - Teoria della condicio sine qua non: condotta come una condizione necessaria, accertabile con l’eliminazione mentale (nella causalità attiva) o con l’aggiunta mentale della condotta doverosa (nella causalità omissiva). - Teoria della causalità adeguata: oltre a dover essere la condotta una condizione necessaria, occorre anche che l’evento sia prevedibile nella normalità dei casi. - Teoria della causalità scientifica: la prevedibilità dell’evento non va valutata secondo il parametro della normalità, delle conoscenze dell’uomo medio, ma secondo il parametro delle leggi scientifiche universali, che danno la certezza della conoscenza. Non basta la legge statistica di probabilità. - Sezioni Unite 10.02.2002 sentenza Franzese: la causalità si accerta allo stesso modo per condotte attive ed omissive, usando il criterio dell’alta probabilità logica o certezza processuale. Basta che l’evento sia prevedibile anche in base a una legge statistica, purché nelle condizion concrete della realizzazione non ci siano stati fattori causali alternativi che insinuino il ragionevole dubbio. Cause di giustificazione o scriminanti Sono attribuite oggettivamente, per il solo verificarsi, anche se l’agente non ne è consapevole. Se la scriminante non si verifica, ma l’agente crede di agire in sua presenza, a questo manca il dolo del reato: se l’errore è colposo e il reato previsto nella forma colposa, risponde di questo. Se la scriminante c’è, ma se ne superano i limiti stabiliti dalla legge in modo colposo, si risponde del reato colposo se previsto. Sono tassativamente stabilite dalla legge agli artt. 50-54 c.p. - Consenso dell’avente diritto (50): solo su diritti disponibili. (es integrità fisica) - Esercizio di un diritto (51) Adempimento di un dovere derivante da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità gerarchicamente sovraordinata. - Legittima difesa (52) Il reato è commesso in reazione a un’offesa altrui ingiusta, purché la reazione sia proporzionata all’offesa. La proporzione è presunta nella legittima difesa domiciliare e nei locali commerciali purché realizzata con armi legalmente detenute e sempre che sia in pericolo anche l’incolumità personale e non solo patrimoniale. - Uso legittimo delle armi (53) Superfluo visto che esiste già l’adempimento del dovere. - Stato di necessità (54) Simile alla legittima difesa ma la reazione non è a un’offesa ingiusta bensì a una situazione di pericolo per beni personali non dipendente dalla vittima del reato commesso in stato di necessità. Suitas Tra la condotta e il soggetto deve sussistere un legame psichico, richiesto dall’art. 42 c1 c.p.: “nessuno può essere punito per un’azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà”. La condotta deve cioè essere riconducibile alla sfera cosciente dell’agente o a quella sub-cosciente ma dominabile dal soggetto con la propria volontà e capacità di attenzione e controllo. Subcoscienti e dominabili sono gli atti abituali, automatici, istintivi. Atti subcoscienti non dominabili sono quelli del sonnambulo, del soggetto sotto effetto di convulsione. Per aversi la responsabilità penale, la condotta deve innanzi tutto essere cosciente e volontaria. Dolo e colpa permeano tutto il fatto di reato (condotta, evento, nesso causale); la suitas invece solo la condotta umana. La volontarietà consiste nella possibilità del soggetto di controllare i propri atti. Elemento soggettivo 1. Il dolo È la forma tipica di imputazione dei delitti e consiste nella rappresentazione e volontà di tutto il fatto descritto nella norma incriminatrice e dell’assenza di scriminanti. In base all’intensità si distinguono: - Dolo intenzionale: il reato rappresenta lo scopo per il quale il soggetto attivo agisce. - Dolo diretto: rappresentazione dell’evento offensivo in termini di certezza o alta probabilità e accettazione del medesimo - Dolo eventuale: rappresentazione della possibilità di verificazione dell’evento e commissione del fatto ciò nonostante con indifferenza verso il risultato. In base alla formulazione legislativa: - Dolo generico: rappresentazione e volontà di tutti gli elementi costitutivi del fatto. - Dolo specifico: realizzato del fatto per un determinato fine indicato nella norma incriminatrice. L’errore in fase ideativa (errore motivo) esclude il dolo se è errore sul fatto, cioè se ricade su un elemento costitutivo della fattispecie, perché in tal caso il soggetto si rappresenta un fatto diverso da quello descritto nella norma (art. 47 c.p.). L’errore sul fatto può dipendere da una falsa percezione sensoriale (errore di fatto) o da ignoranza o erronea interpretazione di una disposizione extrapenale richiamata da un elemento costitutivo giuridico (errore di diritto). L’errore sul precetto non scusa perché non ricade sugli elementi costitutivi ma sulla qualifica penale del fatto, salvo che l’errore o ignoranza sia evitabile. Il dolo è consapevolezza e volontà di agire anche in assenza di cause di giustificazione. Strutturalmente, il dolo è formato da un momento rappresentativo iniziale e da un successivo momento volitivo, in cui quel qualcosa che era stato rappresentato si realizza. Si distinguono dolo d’impeto e dolo di proposito a livello temporale. 2. La colpa È prevedibilità ed evitabilità di un evento offensivo non voluto. Può dipendere da inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (colpa specifica), o da imprudenza, negligenza, imperizia (cola generica). Nei delitti è criterio di imputazione soggettiva eccezionale, cioè solo se espressamente previsto dalla legge. Nelle contravvenzioni invece è criterio ordinario, alternativamente al dolo. Requisiti della colpa: a. Assenza di volontà; b. Violazione di una regola cautelare scritta o d’uso; c. Corrispondenza tra l’evento che la regola vuole prevenire e l’evento effettivamente verificatosi; d. Esigibilità d’osservanza della regola cautelare. Nella colpa generica, mancando la regola scritta, il giudice estrapola la regola con il criterio dell’agente modello, cioè colui che risponde a quella categoria di soggetti in cui si trova l’imputato, chiedendosi se il comportamento è stato conforme a quello dell’agente modello. Forme di colpa: a. Colpa specifica o generica; b. Colpa incosciente o cosciente o con previsione (circostanza aggaravante); c. Colpa comune o colpa speciale/professionale. La colpa, che strutturalmente è un elemento soggettivo, ha al suo interno un elemento oggettivo, che consiste nella violazione di una regola cautelare. La regola cautelare è una regola di comportamento volta a prevenire ed evitare situazioni di danno o pericolo. Può essere una regola formale, deliberata (colpa specifica), o una regola non scritta, che nasce da prassi e usi (colpa generica). Un altro aspetto oggettivo, è quello della cosiddetta causalità colposa, chiamata dalla giurisprudenza “concretizzazione del rischio”, che è la corrispondenza tra l’evento che la regola vuole prevenire e l’evento che effettivamente si è verificato. Se manca la corrispondenza, manca la dimensione oggettiva della colpa. 3. La preterintenzione È una forma di imputazione soggettiva eccezionale, solo per i delitti e solo nei casi espressamente previsti dalla legge. Consiste nella volizione di un evento offensivo meno grave dal quale scaturisce, non voluto, un evento offensivo più grave. L’imputazione nasce come un’imputazione mista di dolo e responsabilità oggettiva. Si ha un atteggiamento doloso rispetto al fatto meno grave e una mera responsabilità oggettiva basata sulla materialità. La persona non dev’essersi rappresentata in alcun modo l’evento e sarà la dinamica dell’evento che consentirà al giudice di capire se c’è dolo o preterintenzione. Tesi sulla struttura della preterintenzione: 1. Dolo per evento meno grave + resp. Ogg. Per evento più grave 2. Dolo per evento meno grave + colpa generica per evento più grave 3. Il dolo dell’evento meno grave assorbe anche quello dell’evento più grave (resp. Ogg. Mascherata) Il c.p. prevede solo l’omicidio preterintenzionale (art. 584): dalle percosse o lesioni volute scaturisce la morte non voluta. Imputazione per responsabilità oggettiva È la quarta forma di imputazione, oggi non consentita perché la responsabilità non basta che sia per fatto proprio materiale, ma occorre che sia per un fatto proprio colpevole. L’art. 42 c.p., dopo aver stabilito che: 1. Il delitto deve considerarsi sempre doloso, salvo che la legge espressamente lo punisca a titolo colposo o preterintenzionale; 2. La contravvenzione è punibile indifferentemente per dolo o colpa; aggiunge che la legge stabilisce i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente. “altrimenti” significa in base al solo rapporto di causalità tra la condotta e l’evento offensivo, cioè per responsabilità oggettiva. Ipotesi esistenti di responsabilità oggettiva: concorso nel reato proprio, abberratio ictus bilesiva. Errore inabilità (diverso da errore motivo, che è l’errore che ricade nel momento ideativo del reato) L’errore in fase esecutiva è detto errore inabilità o aberratio. “per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione o per altra causa) - Aberratio ictus (art. 82 c1): quando per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione o per altra causa, si commette il reato a danno di persona diversa, si risponde comunque di fatto doloso, perché il dolo è volontà del fatto astratto descritto dalla norma, non del fatto concreto. - Aberratio ictus bilesiva (art. 82 c2): offesa recata a due soggetti, anziché solo alla vittima destinata, sempre per errore in fase esecutiva: è ipotesi di imputazione oggettiva in quanto punita con la pena prevista per il reato più grave (anziché per quello voluto) aumentata fino alla metà. - Aberratio delicti (art. 83): quando per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione o per altra causa, si commette un reato diverso da quello voluto, si risponde di questo a titolo di colpa. In caso di realizzazione del reato voluto e di altro diverso, si applicano le regole del concorso di reati. Forme di manifestazione del reato 1. Circostanze Sono situazioni, condizioni o fattori che incidono sul fatto di reato nel senso di renderlo maggiormente offensivo (aggravanti) o nel senso di renderlo meno offensivo (attenuanti) e comportano rispettivamente un aumento o una diminuzione di pena al di fuori dei limiti edittali (extradittale). Le circostanze aggravanti sono attribuite solo se conosciute o ignorate per colpa, in base al principio di colpevolezza (imputazione soggettiva); le circostanze attenuanti, essendo a favore del reo, sono imputate oggettivamente, per il fatto di verificarsi, a prescindere dalla colpevolezza da parte dell’autore. Se concorrono più circostanze dello stesso segno, si procede a tanti aumenti o diminuzioni quante sono le circostanze; se concorrono di segno opposto (concorso eterogeneo), il giudice effettua un giudizio di valore detto bilanciamento, che può sfociare nella prevalenza di un tipo e soccombenza dell’altro, oppure nell’equivalenza. Le circostanze oggettive attengono alla condotta o a condizioni di luogo, tempo e mezzi usati; le circostanze soggettive attengono alla sfera psichica dell’agente, a sue caratteristiche o qualifiche, ai rapporti con la vittima (es. infraquattordicenne o persona affetta da vizio parziale di mente). L’aumento o la diminuzione possono essere di natura quantitativa quando viene semplicemente aumentata/diminuita la pena prevista per quel reato. Per alcune circostanze speciali a volte si ha la previsione di un’autonoma cornice edittale o di una diversa pena. Se si ha una cornice edittale autonoma si parla di circostanze ad efficacia autonoma. In altri casi si cambia proprio la tipologia di pena. Se è un’attenuante si potrebbe passare dalla cornice edittale che prevede la reclusione a una cornice edittale meramente pecuniaria. 2. Tentativo Ai sensi dell’art. 56 c1 c.p. è punibile per tentativo chi compie atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto, se l’azione non si compie o l’evento non si verifica. Con prognosi postuma a base parziale, il giudice si riporta al momento del compimento degli atti e, tenendo conto delle circostanze esistenti al momento e conosciute e conoscibili all’agente, si chiede se tali atti avevano la probabilità di sfociare nel delitto consumato. Gli atti, per il rapporto che li lega e il numero degli stessi, devono lasciar trasparire il delitto che si intende commettere. Si ha come elemento soggettivo il dolo intenzionale. Causa di non punibilità è la desistenza; mentre circostanza attenuante il recesso attivo. Nel primo caso è sufficiente interrompere la condotta, nel secondo occorre tenere una controcondotta per impedire l’offesa. Negli ordinamenti di carattere democratico la scelta è quella di ispirarsi al principio di materialità e offensività, oltre che di colpevolezza: non basta che ci sia una manifestazione esteriore per rendere il soggetto penalmente responsabile, non basta pensare di realizzare un fatto. Il principio di offensività permette di capire quando gli atti diventano penalmente rilevanti, ovvero offensivi e pericolosi. Bisogna fare una distinzione tra atti preparatori (non pericolosi e non punibili) e atti esecutivi (pericolosi e punibili). L’Italia, invece, utilizza un nuovo criterio: il criterio dell’idoneità e univocità degli atti. Il tentativo è punibile solo per i delitti dolosi commessi con dolo intenzionale (non per le contravvenzioni). Il tentativo è un’autonoma fattispecie delittuosa, e, pertanto, deve avere tutti gli elementi: elemento oggettivo (idoneità e univocità degli atti), elemento soggettivo (dolo intenzionale) e assenze di causa di giustificazione. L’idoneità è un giudizio di accertamento che viene detto prognosi postuma a base parziale (perché non si deve tener conto dei fattori impeditivi). Univocità significa che non deve esserci dubbio su quello che è il progetto del soggetto. Il tentativo inidoneo è diverso dal reato impossibile, che si ha quando l’azione è inidonea per cui l’evento offensivo è impossibile. Nel tentativo inidoneo non si realizza tutta la fattispecie ma solo una parte; il reato impossibile, invece, è gi+ tutto consumato ma l’inidoneità dell’azione o l’inesistenza dell’oggetto impedisce l’offesa. L’art. 56 c1 indica i requisiti per avere la punibilità del tentativo inidoneo, che si punisce con una pena ridotta dalla metà ai due terzi rispetto al delitto che si voleva compiere. Il c2-3 prevedono rispettivamente una causa di non punibilità del tentativo e una circostanza attenuante: la desistenza e il recesso. La prima si ha quando il soggetto ha compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto ma si è fermato, si è astenuto volontariamente dal continuare. Il secondo si ha quando il soggetto ha già creato una situazione di pericolo e decide di astenersi dal proseguire l’azione e mettere in atto una contro condotta. 3. Concorso di persone nel reato Si può avere concorso necessario o reato plurisoggettivo nel caso in cui la pluralità di soggetti attivi è requisito necessario; o concorso eventuale nel caso il reato sia commissibile anche da una sola persona. Il concorso eventuale, rispetto a coloro che tengono condotte atipiche o solo parzialmente tipiche, ha funzione incriminatrice (estende la responsabilità); rispetto a coloro che realizzano l’intera fattispecie tipica, ha funzione di disciplina (applica circostanze del concorso). Gli elementi oggettivi sono la pluralità di soggetti (non necessariamente punibili); la realizzazione di un reato o tentativo e la realizzazione di un contributo (morale o materiale) da parte di ciascuno. L’elemento soggettivo è che tutti devono avere la colpevolezza richiesta per il reato commesso, mentre è invece sufficiente che uno solo abbia consapevolezza di agire insieme ad altri. Ai sensi dell’art. 116 c.p. se un concorrente realizza un altro reato rispetto a quello concordato, anche il concorrente consapevole ne risponde se ha dato contributo materiale (responsabilità oggettiva). La Corte Costituzionale ha aggiunto in via interpretativa il requisito della prevedibilità del reato diverso (responsabilità colposa per fatto doloso, quindi anomala). La prevedibilità è intesa dalla giurisprudenza in concreto. Se un concorrente non è a conoscenza della qualifica di un altro concorrente, che fa passare il reato da comune a proprio, quello risponde oggettivamente di reato proprio anziché comune. Il contributo può essere causale o agevolatore. La giurisprudenza li punisce entrambi. L’art. 113 fa chiarezza in merito al fatto che nel nostro sistema penale viene punita anche la cooperazione colposa. Per avere cooperazione colposa è innanzitutto necessaria la conoscenza e la volontà di concorrere con altri alla condotta violatrice di regole cautelari e vi dev’essere la previsione o quantomeno prevedibilità dell’evento. La differenza fra una cooperazione in un delitto colposo e un concorso di fattori indipendenti sta nel fatto che la condotta che porta alla realizzazione del fatto dannoso o pericolo colposo parte da una condotta unitaria o comunque concertata. Per quanto riguarda il concorso anomalo, la rubrica è “reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti”. Si rimane nell’ambito di delitto doloso perché c’è accordo per commettere un reato. La Corte Costituzionale ha reinterpretato questa norma in conformità del principio di colpevolezza e ha stabilito che non basta che il reato diverso sia conseguenza materiale del contributo del soggetto ignaro, ma occorre che il reato diverso sia anche uno sviluppo logicamente prevedibile del reato pattuito. Si deve, quindi, accertare non solo la causalità, ma anche la sussistenza di un elemento soggettivo di colpevolezza che è la colpa. L’anomalia sta nel fatto di attribuire un fatto doloso accertando la sussistenza di un atteggiamento colposo. 4. Concorso di reati - Concorso formale di reati Con una sola condotta si compiono due o più reati dello stesso tipo (concorso omogeno) o di tipo diverso (concorso eterogeneo). È punito con il cumulo giuridico delle pene (pena del reato più grave aumentata fino al triplo). - Concorso materiale di reati Con più condotte si compiono più reati dello stesso tipo o di tipo diverso. È punito con il cumulo materiale delle pene (somma delle pene). - Reato continuato Se i reati commessi con più condotte sono attuativi di un medesimo criminoso (cioè hanno un nesso teleologico), si applica il cumulo giuridico delle pene. (si applica la pena prevista per il reato più grave e poi il giudice dovrà prevedere un aumento di pena per i reati satellite) Il soggetto attivo del reato Imputabilità Ai sensi dell’art. 85 c.p. è la capacità di intendere e di volere al momento della realizzazione della condotta incriminata ed è la condizione per essere assoggettati a pena. Occorrono entrambe le capacità, anche la mancanza di una sola esclude l’imputabilità. La capacità di intendere è la capacità di comprendere il disvalore del proprio agire. La capacità di volere è la capacità di autodeterminarsi, di dominare i propri comportamenti. Cause che, a determinate condizioni, escludono o diminuiscono l’imputabilità: minore età, vizio di mente, sordomutismo, alterazione da alcool o stupefacenti. - Minore età Minore di 14 anni: ai sensi dell’art. 97 c.p. non è imputabile il soggetto che al momento della commissione del reato non aveva ancora compiuto 14 anni. Il legislatore pone una presunzione assoluta di immaturità del minore. Infraquattordicenne: ai sensi dell’art. 98 c.p. se il reato è commesso quando il soggetto aveva già compiuto 14 anni ma non ancora 18, il giudice deve accertare se aveva in quel momento capacità di intendere e volere e, in caso positivo, lo condanna a una pena diminuita fino a 1/3. Non può essere punito con l’ergastolo. Tale ipotesi è detta semi imputabilità ed una circostanza attenuante soggettiva. Maggiorenne: il soggetto che ha commesso il fatto dopo il compimento dei 18 anni è ritenuto imputabile, salvo prova contraria (presunzione relativa) in ragione di vizio di mente, sordomutismo o alterazione da sostanze. Il minore non imputabile, anche se non può essere punito, può essere assoggettato a misura di sicurezza in funzione di risocializzazione, se dichiarato socialmente pericoloso. - Vizio di mente Vizio totale di mente: ai sensi dell’art. 88 c.p. non è punibile il soggetto che, al momento della commissione del fatto era, per infermità, in stato di mente tale da escludere la capacità di intendere e di volere. Vizio parziale di mente: ai sensi dell’art. 89 c.p. è punibile ocn una pena diminuita fino a 1/3 (semimputabilità) il soggetto attivo che, al momento della commissione del fatto er, per infermità, in stato di mente tale da non escludere ma scemare grandemente la capacità di intendere e di volere. Per la giurisprudenza, perché il soggetto attivo sia dichiarato non imputabile, occorre che il vizio di mente abbia determinato o comunque influito sulla commissione del fatto: il reato deve essere manifestazione del disturbo/malattia. Ai sensi dell’art. 90 c.p., a meno che non siano manifestazione di infermità mentale, gli stati emotivi e passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità. Nel 2005 le Sezioni Unite hanno accolto l’orientamento integrato e hanno, quindi, ritenuto che il vizio di mente possa avere carattere multifattoriale, ossia che, oltre a dipendere da malattie mentali o di carattere organico, ci possono essere influenze di natura sociale che minano la capacità di autodeterminazione e possono andare a incidere sulla capacità di intendere e su quella di volere. Le Sezioni Unite introducono anche il cosiddetto doppio grado di valutazione, che vuol dire che non basta accertare il vizio di mente per rendere il soggetto non imputabile, ma occorre che il reato commesso sia espressione di questi vizio, che ci sia quindi un rapporto di causalità. - Alterazione da alcool/stupefacenti Alterazione incolpevole: il soggetto che, al momento della commissione del fatto, non aveva capacità di intendere e volere per ubriachezza (91) o alterazione da stupefacenti (93) dovuta a caso fortuito o forza maggiore, non è imputabile. Alterazione volontaria o colposa: se lo stato di ubriachezza in cui commette il fatto non è accidentale ma colposo o volontario, il soggetto è considerato imputabile. Alterazione preordinata: se l’ubriachezza o alterazione da stupefacenti è preordinata a commettere il reato o a crearsi una scusa, si ha un aumento di pena. Alterazione abituale: in caso di abitualità (stato frequente ma con intervalli di lucidità) si applica un aumento della pena. Cronica intossicazione da alcool/stupefacenti: in tal caso il soggetto è trattato come se fosse affetto da infermità di mente. La recidiva è quello stato personale che consiste nell’aver già avuto una condanna per un reato e, successivamente, essere condannato nuovamente per un reato della stessa indole (recidiva specifica) oppure per un reato di natura totalmente diversa. È rimesso alla discrezione del giudice tenere conto di questa reiterazione di condanna come circostanza aggravante. La recidiva deve riguardare il delitto e non le contravvenzioni. La recidiva reiterata è quando la persona, trovandosi già in stato di recidiva aggravata, viene nuovamente condannata. Gli aumenti di pena saranno sempre più elevati. Il sistema sanzionatorio La pena 1. Funzioni - Funzione retributiva: la pena mira a punire e, in tale prospettiva, si ispira al principio di proporzionalità, cioè è determinata in proporzione all’offesa arrecata e alla colpevolezza manifestata. - Funzione general-preventiva: la pena viene minacciata in funzione dissuasiva nei confronti di tutti i consociati; mira a prevenire la commissione di reati da parte di tutti. La pena, quindi, può non essere necessariamente fissata in proporzione all’offesa ma può essere più dura, per dare un esempio ai consociati (pena esemplare). - Funzione special-preventiva: la pena mira a risocializzare, rieducare, recuperare il soggetto che ha commesso il reato, quindi non va proporzionata all’offesa, ma personalizzata, cioè indeterminata in astratto e valutata in base alla situazione concreta, finché il soggetto non si sia risocializzato. Il nostro sistema sanzionatorio è definito sistema a doppio binario perché prevede due tipologie di sanzioni penali: pene e misure di sicurezza. Il presupposto che coincide con entrambi è la commissione di un reato, che sia esso una contravvenzione o un delitto. La pena La pena ha funzione retributiva, ossia punitiva, e si basa sulla proporzionalità. Il nostro ordinamento non prevede pene fissa in quanto andrebbe contro il principio di personalità della responsabilità penale, poiché non si terrebbe conto delle differenze da persona a persona e da fatto a fatto. Nell’ambito della previsione legislativa di un minimo e di un massimo edittale è lasciata al giudice la previsione discrezionale della pena da erogare nel caso concreto: c’è una previsione legale di una cornice edittale che va da un minimo a un massimo e poi c’è la commisurazione giudiziaria della pena, cioè che durante il processo il giudice decide concretamente quale pena attribuire a quel soggetto. Si parla di discrezionalità vincolata dalla legge ed esistono 3 vincoli alla commisurazione della pena da parte del giudice. 1. È la legge a stabilire la tipologia di pena e i minimi e i massimi edittali; 2. Ogni qual volta che il giudice decide discrezionalmente, lo fa sulla base di una serie di indici indicati all’art. 113; 3. L’obbligo di motivazione all’art. 132. I presupposti sono la commissione di un reato e la condizione soggettiva di imputabilità o semi imputabilità. Il giudice stabilisce la pena in concreto e con una discrezionalità non libera, ma vincolata dai limiti edittali legislativi, da una serie di indici elencati all’art. 133 c.p., dai quali egli deve inferire la gravità del fatto e la capacità di delinquere del soggetto, dall’obbligo di motivazione della scelta della pena. Le pene possono essere: 1. Principali – inflitte dal giudice con sentenza Accessorie – conseguono di diritto alla condanna come effetti di essa; 2. Detentive – ergastolo e reclusione per i delitti; arresto per le contravvenzioni Patrimoniali – multe per i delitti; ammenda per le contravvenzioni Interdittive di diritti, qualifiche e attività – solo pene accessorie Alternative alla detenzione – affidamento in prova ai servizi sociali, detenzione domiciliare, semilibertà, liberazione anticipata Sostitutive delle pene detentive brevi – semidetenzione, libertà controllata, pena pecuniaria. L’applicazione della pena è soggetta a delle eccezioni. Ci sono situazioni personali che rendono il soggetto non punibile anche se ha commesso il reato in tutti i suoi elementi ed era una persona imputabile (ad es. l’immunità). Un’altra causa di non punibilità è il particolare rapporto di parentela espressamente indicato all’art. 649 nei reati non violenti contro il patrimonio. Esistono poi le c.d. condizioni obiettive di punibilità, che sono circostanze che possono avere natura oggettiva o soggettiva e vengono inserite all’interno della fattispecie penale come situazioni che rendono il reato abbastanza grave o comunque tale da ritenere opportuna la sua punibilità. Ci sono particolari situazioni, tassativamente disciplinate dal c.p., che determinano l’estinzione del reato, se intervengono prima della sentenza definitiva di condanna; l’estinzione della pena se intervengono dopo la sentenza definitiva di condanna. - Sospensione condizionale della pena È causa di estinzione del reato, prevista agli artt. 163 e ss. c.p. Si applica ai soggetti condannati a pena detentiva che, sola o insieme a pena pecuniaria ragguagliata, non superi 2 anni (2 e mezzo per chi ha 18-21 e 60+), sempre che non si debba applicare una misura di sicurezza detentiva e che il giudice ritenga che in futuro non commetterà altri reati. il giudice può imporre adempimenti, come restituzione, eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose, pubblicazione della sentenza, lavoro di pubblica utilità e, qualora conceda per la seconda e ultima volta la sospensione, deve necessariamente imporre uno dei suddetti adempimenti. La seconda sospensione è subordinata al fatto che la pena, se sommata a quella per la quale il soggetto ha usufruito di una prima sospensione non superi il limite di 2 anni (o 2 e mezzo o 3). Per alcuni reati violenti gravi la sospensione è subordinata alla partecipazione di percorsi di recupero. Se per un periodo di tempo non viene commesso un nuovo reato della stessa indole o non si viene condannati per reto precedente, il reato si estingue. - Perdono giudiziale Si applica al minore semi imputabile che il giudice condanni per un reato per il quale la legge stabilisca il massimo edittale di 2 anni, sempre che ritenga che in futuro si asterrà da commettere nuovi reati. Il reato si estingue subito. Le misure di sicurezza La misura di sicurezza ha una funzione rieducativa e non può essere commisurata. Presupposti sono la commissione di un reato o di un quasi reato, se si tratta di un adulto, oppure di delitti non colposi punibili con l’ergastolo o comunque gravi se si tratta di un minore e la condizione soggettiva di pericolosità sociale. È applicabile a imputabili, semi imputabili e non imputabili. La pericolosità sociale è per gli adulti la probabilità di ricommettere un reato (art. 202 c.p.); per i minori il pericolo concreto di commettere in futuro delitti con uso di armi o altri mezzi violenti o contro la sicurezza collettiva o di criminalità organizzata (artt. 37 e 38 dPR 448/1988). Il giudice applica il tipo di misura di sicurezza stabilito dalla legge in base al tipo di soggetto e di reato. Per ciascuna misura la legge stabilisce solo il minimo edittale perché non può sapersi in astratto quanto tempo occorre per risocializzare il soggetto. Al termine del minimo, il giudice effettua il riesame della pericolosità sociale, con l’aiuto di esperti, che può avere alternativamente come esito: la cessazione della misura, se il soggetto è rieducato; il cambiamento con una misura diversa più idonea allo stato attuale e mutuato di pericolosità; il rinnovo della misura nel termine minimo. Il riesame si ripete fino a che la pericolosità sociale non cessi, ma non può durare oltre il massimo edittale della pena detentiva prevista per il reato commesso (l. 81/2014). Tipi di misure: 1. Personali (detentive e non detentive); patrimoniali (confisca e cauzione di buona condotta); 2. Personali detentive (variano a seconda che il soggetto sia imputabile, o affetto da vizio di mente o alcool/tossicodipendente o minore); personali non detentive (es libertà vigilata). - Misure di sicurezza per i minori Nei confronti dei minori, così come non è applicabile la pena dell’ergastolo, perché impeditiva del recupero del minore, la cui personalità è ancora in via di sviluppo, le misure detentive si applicano solo in casi eccezionali, quando il minore abbia commesso gravi reati e vi sia in concreto pericolo di ricommetterli. La misura di sicurezza detentiva prevista specificamente per i minori pericolosi, sia imputabili che non imputabili, è il riformatorio giudiziario che, in origine era un vero e proprio carcere ma il d.P.R. n. 448/1988 ne ha modificato l’impostazione, la struttura e il modo di esecuzione, facendola diventare di tipo comunitario familiare, con non più di 10 minori per struttura e con un’équipe di professionisti volta a recuperare il minore. - Misure di sicurezza per infermi di mente e soggetti equiparati Per i soggetti dichiarati non imputabili per vizio totale di mente e dichiarati socialmente pericolosi, il c.p. prevede la misura di sicurezza dell’ospedale psichiatrico giudiziario, mentre per quelli dichiarati semi imputabili per vizio parziale di mente la casa di cura e di custodia. L’OPG era concepito come struttura per isolare e neutralizzare l’infermo di mente, in quanto considerato soggetto da cui la società doveva difendersi e non da curare. La prospettiva è mutata con la riforma Basaglia (l. 180/1978), che ha adottato un approccio di tipo terapeutico e risocializzante. Prima con la legge 9/2012 e poi con la legge 81/2015 è stata imposta la chiusura degli OPG entro il 1/04/2015 (in realtà slittata al 2017). Questi sono stati sostituiti dalle REMS (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), strutture che accolgono pochi internati (al massimo 20),, in funzione terapeutica e che fanno parte del servizio sanitario e non dell’amministrazione penitenziaria. Peraltro, in base alla legge 81/2014, le REMS devono essere imposte dal giudice solo in via eccezionale e con carattere transitorio, dovendosi sempre privilegiare misure di sicurezza non detentive. Il tossicodipendente cronico, se ha pericolosità sociale collegata al suo stato di dipendenza, esegue la misura di sicurezza in comunità terapeutiche di recupero per tossicodipendenti, nei casi più gravi in cui si richieda la misura detentiva; altrimenti la misura di sicurezza non detentiva della presa in carico da parte dei SERD. Delitti contro la famiglia – Titolo XI, Libro II c.p. Abuso dei mezzi di correzione o disciplina – art. 571 Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorita', o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte, e' punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi. Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni. Abuso presuppone un uso legittimo di poteri di correzione o disciplina (ius corrigendi), che poi trascende e si trasforma in uno illecito. L’uso in funzione educativa del mezzo astrattamente lecito, sia esso di natura fisica, psicologica o morale, può trasformarsi in abuso sia in ragione dell’arbitrarietà o intempestività nella sua applicazione, sia in ragione dell’eccesso della misura. Non costituiscono mezzi di correzione o di disciplina tutti i mezzi, di qualsiasi specie, che vengano utilizzati per tale scopo, ma solo quelli che, per loro natura, sono a ciò destinati. L’uso della violenza, anche quando volto a scopi educativi, non può considerarsi un abuso di mezzo di correzione ma rientra in altri delitti quali percosse, lesioni personali e maltrattamenti. Lo ius corrigendi espressione della potestà genitoriale viene meno al compimento della maggiore età del figlio, anche se convivente, per cui non è configurabile abuso di mezzi di correzione nei confronti del figlio maggiorenne, ma eventualmente, altri reati come violenza privata o percosse. Maltrattamenti contro familiari – art. 572 Chiunque, fuori dei casi di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni. In mancanza di una definizione legislativa, la giurisprudenza delinea il concetto di maltrattamenti come aggressione all’altrui personalità, imposizione di un sistema vessatorio e caratterizzato da sofferenze, afflizioni, fisiche e morali, che, isolatamente considerate, possono anche non costituire reato, purché il comportamento sia reiterato, protratto nel tempo, anche se per un periodo limitato, e con la consapevolezza e volontà di persistere in esso. Per la giurisprudenza, si ha maltrattamenti mediante omissione nel caso di c.d. violenza assistita o percepita, ossia quando il figlio minore, non direttamente vittima di violenze o vessazioni, sia costretto ad assistere in modo sistematico a violenze fisiche e/o psicologiche di un genitore o convivente del genitore nei confronti dell’altro genitore, tali da indurre nel minore gravi sofferenze morali, come il timore per la vita e l’incolumità della madre e il sentirsi necessitati a difenderla. Il minore che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato. Il concorso nel reato di maltrattamenti in famiglia può configurarsi anche nell’ipotesi in cui un soggetto, investito da una posizione di garanzia nei confronti di un altro, non denunci i maltrattamenti posti in essere da un terzo. Si richiede il dolo generico, consistente nella coscienza e nella volontà di sottoporre la persona di famiglia ad una serie di sofferenze fisiche o morali in modo continuato ed abituale. Non occorre un programma criminoso diretto a ledere l’integrità morale e psichica del soggetto. Non implica l’intenzione di sottoporre la vittima, in modo continuo e abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza di persistere in un’attività vessatoria. La sospensione condizionale della pena è comunque subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati. Ai soggetti indiziati del delitto di maltrattamenti contro familiari, quando siano considerati pericolosi per la pubblica sicurezza, può essere applicata dal tribunale la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, eventualmente con l’aggiunta del divieto di soggiorno in uno o più comuni o regione o con l’obbligo di soggiorno in un determinato comune. L’uso sistematico di violenza o comunque di atti costituenti illecito, quale ordinario trattamento del minore affidato, non configura abuso ma maltrattamenti, anche ove sorretto da animus corrigendi. L’abuso di mezzi di correzione è un reato istantaneo, i maltrattamenti sono un reato abituale. Sottrazione consensuale di minorenni – art. 573 Chiunque sottrae un minore, che abbia compiuto gli anni 14, col consenso di esso, al genitore esercente la potestà dei genitori o al tutore, ovvero lo ritiene contro la volontà del medesimo genitore o tutore, è punito, a querela di questo, con la reclusione fino a 2 anni. La pena è diminuita, se il fatto è commesso per fine di matrimonio; è aumentata, se è commesso per fine di libidine. Sottrazione di persone incapaci – art. 574 Chiunque sottrae un minore degli anni 14, o un infermo di mente, al genitore esercente la potestà dei genitori, al tutore, o al curatore, o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la potestà dei genitori, del tutore o del curatore, con la reclusione da 1 a 3 anni. Alla stessa pena soggiace, a querela delle stesse persone, chi sottrae o ritiene un minore che abbia compiuto gli anni 14, senza il consenso di esso, per fine diverso da quello di libidine o di matrimonio. Della sottrazione di possono avere due interpretazioni. Si ha l’interpretazione restrittiva, abductio de loco in locum, cioè allontanamento fisico della persona dal luogo in cui si trova, ovvero trasferimento del minore in un luogo sconosciuto, lontano o inaccessibile al genitore; e l’interpretazione lata, quella accolta dalla giurisprudenza, nel quale anche i comportamenti che infrangono il rapporto personale, formativo e psico-pedagogico tra il minore ed i suoi genitori, ostacolando o impedendo l’esercizio dei poteri/doveri inerenti la responsabilità genitoriale vengono considerati. Affinché la condotta possa integrare l’ipotesi di cui agli artt. 573-574 c.p., è necessario che il comportamento dell’agente porti ad una globale sottrazione del minore alla vigilanza del/dei genitori, così da impedire a questi la funzione educativa e i poteri inerenti all’affidamento, rendendo impossibile l’ufficio che gli è stato conferito dall’ordinamento nell’interesse del minore stesso e della società. Si ha ritenzione quando al minore che, per cause diverse dalla sottrazione, già si trova nella sfera di dominio dell’agente, viene impedito di allontanarsi. Al contrario, della sottrazione, non presuppone necessariamente un dissenso da parte del genitore, ma può anche essere da questi consentita: pertanto, il legislatore ha dovuto espressamente specificare che essa deve avvenire contro la volontà del genitore. L’elemento soggettivo consiste nella coscienza e volontà di sottrarre il minore, nel senso che l’agente deve avere la consapevolezza che il suo comportamento realizza una situazione antigiuridica mediante il trattenimento del minore, attuato con un comportamento sempre attivo, diretto a mantenere l’esclusivo suo controllo sullo stesso. Nella sottrazione non consensuale occorre la consapevolezza della mancanza di detto consenso. Sottrazione e trattenimento del minore all’estero – art. 574 bis Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque sottrae un minore al genitore esercente la potestà dei genitori o al tutore, conducendolo o trattenendolo all’estero contro la volontà del medesimo genitore o tutore, impedendo in tutto o in parte allo stesso l’esercizio della potestà genitoriale, è punito con la reclusione da 1 a 4 anni. Se il fatto di cui al 1° comma è commesso nei confronti di un minore che abbia compiuto gli anni 14 e con il suo consenso, si applica la pena della reclusione da 6 mesi a 3 anni. Se i fatti di cui al 1° e 2° comma sono commessi da un genitore in danno del figlio minore, la condanna comporta la sospensione dall’esercizio della potestà dei genitori. A differenza degli artt. 573 e 574, è procedibile d’ufficio e non a querela; prevede espressamente che la sottrazione deve comportare l’impedimento dell’esercizio della responsabilità genitoriale; prevede espressamente l’ipotesi che la sottrazione sia compiuta da un genitore ai danni dell’altro, con pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale. Delitti contro la persona – Titolo XII, Libro II c.p. Delitti contro l’incolumità personale Percosse – art. 581 Chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a 6 mesi o con la multa fino a euro 309. Il delitto non si applica quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un altro reato: ad esempio la rapina o i maltrattamenti contro familiari. Percuotere è inteso dalla giurisprudenza in senso più lato rispetto all’accezione comune e comprende ogni forma di energia fisica esercitata con violenza che provochi una sensazione di dolore. Non lo sono le violenze che provochino una anche lieve alterazione fisica: esse costituiscono malattia e quindi lesioni personali. È necessario un contatto fisico diretto fra il soggetto agente e la vittima. Lesione personale – art. 582 Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, e' punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Si procede d’ufficio in caso di: lesione grave-issima (art. 583); aggravata da una delle circostanze speciali previste all’art. 585; aggravata dall’essere commessa contro chi esercita una professione sanitaria; la malattia ha una durata superiore a 20 giorni e il fatto è commesso contro persona incapace, per età o per infermità. La lesione è un atto di violenza fisica contro l’incolumità di una persona, da cui consegue una malattia. Sul piano della consapevolezza occorre che l’agente abbia coscienza e volontà di ledere l’incolumità fisica altrui, anche in forma di dolo eventuale, ossia di previsione che il proprio comportamento può arrecare un pregiudizio all’integrità fisica di una persona, e ciò nonostante agisca. La giurisprudenza intende la malattia, evento derivante dalla lesione, come alterazione/riduzione delle funzioni organiche dovuta ad un fatto morboso in evoluzione. Non ha come presupposto necessario un’alterazione anatomica. La malattia può essere senza nessuna alterazione anatomica, così come l’alterazione anatomica non è definibile malattia se non ha incidenza sulla normale funzionalità dell’organismo e non innesta un processo morboso/patologico. (art. 583 c1) La lesione personale è grave e si applica la reclusione da 3 a 7 anni se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore a 40 giorni; se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo. (art. 583 c2) La lesione personale è gravissima e si applica la reclusione da 6 a 12 anni se dal fatto deriva una malattia certamente o probabilmente insanabile; la perdita di un senso; la perdita di un arto, una mutilazione che renda l’arto inservibile, la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare, una permanente e grave difficoltà della favella. La giurisprudenza è unanime nel considerare le lesioni gravi e gravissime circostanze aggravanti delle lesioni personali. Ne consegue che si applicano solo se conosciute o conoscibili e sono assoggettate al giudizio di bilanciamento in caso di concorso con circostanze attenuanti. La legge 69/2019 introduce l’art. 583-quinquies, ai sensi del quale chiunque cagiona ad alcuno lesione personale dalla quale deriva la deformazione o lo sfregio permanente del viso, è punito con la reclusione da 8 a 14 anni. La condanna comporta l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno. Per effetto dalla legge, detta codice rosso, la deformazione o lo sfregio permanente del viso non è più considerata una circostanza aggravante, ma reato autonomo. Non è più, quindi, soggetta a bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti; non è più imputabile anche per colpa ma solo per dolo; comporta la pena accessoria dell’interdizione perpetua; la pena è da 8 a 14 anni e non da 6 a 12 come per lesione gravissima. Delitti contro la libertà individuale Violenza sessuale – art. 609-bis Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorita', costringe taluno a compiere o subire atti sessuali e' punito con la reclusione da sei a dodici anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di inferiorita' fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravita' la pena e' diminuita in misura non eccedente i due terzi. La giurisprudenza intende il concetto di atto sessuale in modo molto esteso, non solo come congiunzione carnale, ma più in generale come tutti gli atti che esprimono l’impulso sessuale dell’agente con invasione della sfera sessuale del soggetto passivo. Sono inclusi toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime delle vittime, suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale anche in modo non completo e/o di breve durata. Atti sessuali con minorenne – art 609-quater Soggiace alla pena stabilita dall'articolo 609-bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici; 2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore e' affidato o che abbia, con quest'ultimo, una relazione di convivenza. Fuori dei casi previsti dall'articolo 609-bis, l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore e' affidato, o che abbia con quest'ultimo una relazione di convivenza, che, con l'abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici, e' punito con la reclusione da tre a sei anni. Immunità per soggetto attivo minore Non e' punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste nell'articolo 609-bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di eta' tra i soggetti non e' superiore a quattro anni. Violenza sessuale di gruppo – art. 609-octies Chiunque commette atti di violenza sessuale di gruppo è punito con la reclusione da 8 a 14 anni. La pena è diminuita per il partecipante la cui opera abbia avuto minima importanza nella preparazione o nella esecuzione del reato. La pena è altresì diminuita per chi sia stato determinato a commettere il reato. È reato autonomo rispetto alla violenza sessuale e non circostanza aggravante. È un reato plurisoggettivo o concorso necessario di persone in un reato. Ignoranza dell’età della persona offesa – art. 609-sexies Quando i delitti previsti negli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-octies e 609-undecies sono commessi in danno di un minore degli anni diciotto, e quando e' commesso il delitto di cui all'articolo 609-quinquies, il colpevole non puo' invocare a propria scusa l'ignoranza dell'eta' della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile. Comunicazione al tribunale dei minorenni – art. 609-decies Quando si procede per delitti contro la libertà individuale a danno di minori (riduzione in schiavitù, tratta, prostituzione minorile, pedopornografia, violenza sessuale, atti sessuali con minori, corruzione di minorenne, atti persecutori) e maltrattamenti, il procuratore della Repubblica ne dà notizia al tribunale per i minorenni. L’assistenza affettiva e psicologica del minore offeso è assicurata, in ogni stato e grado di procedimento, dalla presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minore, nonché di gruppi, fondazioni, associazioni od organizzazioni non governative di comprovata esperienza nel settore dell’assistenza e del supporto alle vittime dei reati sopra citati e iscritti in apposito elenco dei soggetti legittimati a tale scopo, con il consenso del minore, e ammessi dall’autorità giudiziaria che procede. Atti persecutori - art. 612-bis Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da 1 a 6 anni e 6 mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa o se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità, o con armi o da persona travisata. La condotta è costituita dalla reiterazione di minacce o molestie che determinino un’alterazione del normale equilibrio psico-fisico della persona offesa, anche senza sfociare in una vera e propria patologia conclamata. Non è necessaria la presenza fisica. La condotta deve provocare alternativamente, 3 eventi: perdurante e grave stato di ansia o di paura; fondato timore per l’incolumità propria o di un caro; alterazione delle abitudini di vita. Il persecutore deve avere consapevolezza di ciò che sta provocando con i suoi comportamenti e deve essere consapevole di tenere comportamenti reiterati. La reiterazione è espressamente richiesta come requisito della condotta e rende il reato abituale. D.P.R. 390/1990 e succ. modif. – testo unico degli stupefacenti Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti – art. 73 Comma 1: Chiunque senza autorizzazione produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’art. 14, è punito con la reclusione da 6 a 20 anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000. comma 5: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da 6 mesi a 4 anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329. Comma 5-bis: se il fatto di lieve entità è commesso da tossicodipendente, il giudice, con la sentenza di condanna, su richiesta dell'imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità, per una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata. Il giudice incarica l'ufficio locale di esecuzione penale esterna (UEPE) di verificare l'effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità il quale gli riferisce periodicamente. Uso personale – art. 75 Chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope è sottoposto, per un periodo da 2 mesi a 1 anno, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle I e III previste dall'articolo 14, e per un periodo da 1 a 3 mesi, se si tratta di sostanze stupefacenti o psicotrope comprese nelle tabelle II e IV previste dallo stesso articolo, a una o più delle seguenti sanzioni amministrative: Sospensione della patente Sospensione del porto d’armi Sospensione del passaporto Sospensione del permesso di soggiorno Programma terapeutico Art. 75 comma 2: L'interessato, ricorrendone i presupposti, è invitato a seguire il programma terapeutico e socio-riabilitativo di cui all’art. 122 o ad altro programma educativo e informativo personalizzato in relazione alle proprie specifiche esigenze, predisposto dal servizio pubblico per le tossicodipendenze (SERD) competente per territorio. Terapia volontaria e anonimato – art. 120 Chiunque fa uso di sostanze stupefacenti e di sostanze psicotrope può chiedere al servizio pubblico per le dipendenze o ad una struttura privata autorizzata di essere sottoposto ad accertamenti diagnostici e di eseguire un programma terapeutico e socio-riabilitativo. Qualora si tratti di persona minore di età o incapace di intendere e di volere la richiesta di intervento può essere fatta, oltre che personalmente dall'interessato, da coloro che esercitano su di lui la potestà parentale o la tutela. Gli interessati, a loro richiesta, possono beneficiare dell'anonimato nei rapporti con i servizi, i presidi e le strutture delle aziende unità sanitarie locali. Gli esercenti la professione medica che assistono persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti e di sostanze psicotrope possono, in ogni tempo, avvalersi dell'ausilio del servizio pubblico per le dipendenze. comma 7: Gli operatori del servizio pubblico per le dipendenze e delle strutture private autorizzate non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione della propria professione, né davanti all'autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità. Agli stessi si applicano le disposizioni dell’art. 200 c.p.p. e si estendono le garanzie previste per il difensore. Segnalazioni al servizio pubblico per le tossicodipendenze – art. 121 L'autorità giudiziaria o il prefetto nel corso del procedimento, quando venga a conoscenza di persone che facciano uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, deve farne segnalazione al servizio pubblico per le tossicodipendenze competente per territorio. Il servizio pubblico per le tossicodipendenze ha l'obbligo di chiamare la persona segnalata per la definizione di un programma terapeutico e socio-riabilitativo. Definizione del programma terapeutico e socio-riabilitativo – art. 122 Il servizio pubblico per le dipendenze e le strutture private autorizzate, compiuti i necessari accertamenti e sentito l'interessato, che può farsi assistere da un medico di fiducia autorizzato a presenziare anche agli accertamenti necessari, definiscono un programma terapeutico e socio-riabilitativo personalizzato che può prevedere, ove le condizioni psicofisiche del tossicodipendente lo consentano, in collaborazione con i centri di cui all'articolo 114 e avvalendosi delle cooperative di solidarietà sociale e delle associazioni di cui all'articolo 115, iniziative volte ad un pieno inserimento sociale attraverso l'orientamento e la formazione professionale, attività di pubblica utilità o di solidarietà sociale. Nell'àmbito dei programmi terapeutici che lo prevedono, possono adottare metodologie di disassuefazione, nonché trattamenti psico-sociali e farmacologici adeguati. Il servizio pubblico per le dipendenze verifica l'efficacia del trattamento e la risposta del paziente al programma. Il programma viene formulato nel rispetto della dignità della persona, tenendo conto in ogni caso delle esigenze di lavoro e di studio e delle condizioni di vita familiare e sociale dell’assuntore. Il programma è attuato presso strutture del servizio pubblico o presso strutture private autorizzate o, in alternativa, con l'assistenza del medico di fiducia. Il servizio pubblico per le tossicodipendenze, destinatario delle segnalazioni previste nell’art. 121 ovvero del provvedimento di cui all’art. 75, comma 9, definisce, entro dieci giorni decorrenti dalla data di ricezione della segnalazione o del provvedimento suindicato, il programma terapeutico e socio-riabilitativo. Tutela penale del segreto professionale Il segreto professionale è l’obbligo di non rivelare le informazioni aventi natura di segreto, apprese all’interno del rapporto fiduciario col paziente/cliente. Il segreto ha un fondamento: - Deontologico all’art. 23 La riservatezza ed il segreto professionale costituiscono diritto primario dell’utente e del cliente e dovere dell’assistente sociale, nei limiti della normativa vigente. - Giuridico nella legge 3.4.2001 n. 119 “Disposizioni concernenti l’obbligo del segreto professionale per gli assistenti sociali” Gli assistenti sociali iscritti all'albo professionale istituito con legge 23 marzo 1993, n. 84, hanno l'obbligo del segreto professionale su quanto hanno conosciuto per ragione della loro professione esercitata sia in regime di lavoro dipendente, pubblico o privato, sia in regime di lavoro autonomo libero-professionale. L’assistente sociale deve serbare il segreto su tutto ciò che gli è confidato o che può conoscere in ragione della sua professione, nonché sulle prestazioni effettuate o da effettuare. Deve tutelare la riservatezza della documentazione in suo possesso riguardante gli utenti e, nella compilazione e trasmissione di ogni atto, deve garantire la tutela della segretezza. La violazione del segreto professionale è disciplinata all’art. 622 c.p. Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a 1 anno o con la multa da euro 30 a euro 516. Il reato è punibile a querela. Sono previste alternativamente due condotte: rivelazione senza giusta causa e impiego della notizia segreta a proprio o altrui profitto. Non basta la condotta ma occorre che da essa derivi il pericolo di nocumento. Il reato di violazione del segreto professionale richiede che la rivelazione sia senza giusta causa: non devono sussistere interessi maggiori rispetto a quello tutelato dal segreto (diritto alla riservatezza). La violazione è però doverosa quando l’assistente sociale sia un pubblico funzionario e la notizia di cui è venuto a conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni è la commissione di un reato. Se non ne fa denuncia all’autorità giudiziaria o di p.s., egli commette il reato di omissione di denuncia (art. 361 c.p.). Occorre la consapevolezza di violare un segreto professionale. In caso di impiego della notizia, occorre anche la consapevolezza di agire per propria o altrui utilità.