Lezione 32 (Convivenze di fatto) - Slide PDF

Summary

These lecture notes discuss the legal aspects of cohabitation in Italy, focusing on the 2016 law and its implications for couples and their children. The notes also cover the historical background and legal developments related to this topic.

Full Transcript

Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 32 Titolo: Convivenze di fatto CONVIVENZE DI FATTO La Legge 76 d...

Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 32 Titolo: Convivenze di fatto CONVIVENZE DI FATTO La Legge 76 del 2016 ( legge Cirinnà) Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze ha permesso alle coppie dello stesso sesso di stipulare delle unioni civili e alle coppie conviventi, a prescindere dal sesso dei loro componenti, di regolare formalmente la loro convivenza da un punto di vista economico (si veda lezione su unioni civili). Fino a questo momento l'unione stabile e duratura di una coppia, con o senza prole naturale che per scelta o per necessità decideva di non affidare la stabilità del rapporto ad un vicolo matrimoniale era fondata sulla libertà di scelta degli individui e trovava regolamentazione nei vari provvedimenti giurisprudenziali che di volta in volta hanno dettato soluzioni per i casi specifici presentati. Secondo gli ultimi dati Istat in Italia vi è una progressiva diffusione delle famiglie di fatto, che da circa 227 mila nei primi anni ’90 sono arrivate nel 2020 a più di un 1 milione. In particolare sono proprio le convivenze more uxorio tra partner celibi e nubili ad aver fatto registrare l’incremento più sostenuto. A questi si aggiungono le cosiddette famiglie ricostruite, i cui componenti provengono da precedenti matrimoni. La libera convivenza ha compiuto molta strada negli ultimi decenni, nel mondo sociale come anche in quello giuridico e ha posto di conseguenza nuovi problemi, spesso non previsti dalle varie legislazioni. Il costume prima e la stessa giurisprudenza poi, sono partiti da una considerazione del tutto negativa del fenomeno, qualificando come concubinato qualunque convivenza fuori dal matrimonio. Il termine, sottintendeva un giudizio nettamente negativo. Tecnicamente individuava ai sensi dell'art 560 cod pen un vero e proprio reato, costituito dalla pubblica relazione extra coniugale di un uomo legato in matrimonio. Nella prassi inoltre indicava tutte le ipotesi di convivenza senza vincolo coniugale. Col tempo si è passati ad una fase neutra testimoniata anche da un mutamento terminologico, non più concubinato ma convivenza more uxorio, utilizzato per indicare quella coabitazione senza matrimonio, caratterizzata da stabilità e durevolezza, ma non da certezza. Il mutato atteggiamento nei confronti di una convivenza stabile è dovuto all'esigenza, sempre più pressante, di tutelare il rapporto tra i conviventi, gli aspetti patrimoniali connessi e soprattutto la prole nata fuori dal matrimonio. Nel tempo la giurisprudenza ha cercato di individuare i caratteri fondamentali della convivenza di fatto insistendo sulla stabilità e sulla certezza. Si è sottolineato infatti 1 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 32 Titolo: Convivenze di fatto che non rileva tanto la durata (bastando che questa sia apprezzabile) del rapporto di fatto quanto la sua connotazione di stabilità tendenziale, così che esso sia suscettibile di determinare obblighi di solidarietà e di mutua assistenza. Si è così sostenuto che per parlare di famiglia di fatto non è sufficiente la semplice coabitazione, essendo necessario che ricorra una relazione interpersonale, con carattere di tendenziale stabilità, di natura affettiva e parafamiliare, che, come nell'ambito di qualsiasi famiglia, si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale. Soltanto infatti la prova della assimilabilità della convivenza di fatto a quella stabilita dal legislatore per i coniugi può legittimare la richiesta di analoga tutela nei confronti dei terzi. Filiazione Il primo intervento legislativo in materia riguarda proprio i figli naturali, ossi i figli nati da due persone non coniugate. In relazione alla prole infatti la riforma della filiazione e in particolare il DLgs 154 del 2013 hanno introdotto una condizione unitaria di figlio senza alcuna distinzione né nominale, né sostanziale tra le varie categorie di figli. Attualmente norme di riferimento in materia di affidamento dei figli anche nati da due conviventi di fatto sono gli artt. 337-bis ss cod civ (si veda lezioni sulla filiazione). La Legge 76 del 2016 La Legge 76 del 2016 ha introdotto una disciplina giuridica per le convivenze di fatto, che sono definite come: unioni stabili tra due persone maggiorenni, caratterizzate da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, matrimonio o unione civile. I conviventi pertanto devono essere due maggiorenni e possono essere anche dello stesso sesso. La disciplina non è applicabile alla convivenza instaurata da soggetti che siano ancora vincolati da un precedente matrimonio anche se separati. Le nuove norme attribuiscono ai conviventi diritti e doveri ope legis, prescindendo dalla volontà dei due soggetti i quali vengono dunque ad assumere un nuovo status anche nel caso in cui non lo vogliano. 2 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 32 Titolo: Convivenze di fatto Accertamento Ai fini dell’accertamento della convivenza è necessaria la dichiarazione anagrafica prevista dall’articolo 13, lettera b) del Dpr 30 maggio 1989 n 223 : tale dichiarazione assolve solamente a funzioni di attestazione e di prova dell’inizio e della durata della convivenza. La giurisprudenza ha chiarito che la dichiarazione anagrafica è richiesta ai fini dell’accertamento della stabile convivenza, ossia solamente sul piano probatorio, ma non anche per appurarne l’effettiva esistenza. Pertanto avendo la convivenza una natura fattuale, e cioè traducendosi in una formazione sociale non esternata dai partners a mezzo di un vincolo civile formale, la dichiarazione anagrafica è strumento privilegiato di prova e non anche elemento costitutivo della convivenza medesima. Regolamentazione Ai conviventi la legge attribuisce la facoltà di stipulare un contratto di convivenza per regolamentare la loro unione. A prescindere comunque da tale contratto alle convivenze sono applicabili varie disposizioni. Le norme applicabili a tutte le unioni di fatto prevedono: l’estensione ai conviventi dei diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario; l’estensione ai conviventi, in caso di malattia o di ricovero, del diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, previste per i coniugi e i familiari; la possibilità per il convivente di designare l'altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati, in caso di malattia che comporti incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute nonché in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie; il diritto del convivente in caso di morte dell’altro proprietario della casa di comune residenza, di continuare ad abitarvi per due anni (se la convivenza ha avuto durata inferiore a due anni), oppure per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni ma comunque entro il limite di cinque anni. Se nella casa coabitano figli minori o figli disabili del convivente superstite lo stesso ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni. il diritto per il convivente di subentrare nel contratto di locazione in caso di morte o recesso del conduttore. 3 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 32 Titolo: Convivenze di fatto La legge stabilisce inoltre che il convivente di fatto può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l'altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui all'articolo 404 cod civ. Si evidenzia in proposito che la domanda di interdizione, inabilitazione nonché il ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno possono essere proposti tra l’altro dalla persona stabilmente convivente con l’incapace (art 417 cod civ). Inoltre i conviventi sono equiparati alle coppie sposate anche in relazione alle graduatorie relative all’assegnazione di alloggi di edilizia popolare. Il Legislatore del 2016 non ha previsto per i conviventi more uxorio alcun diritto successorio (a differenza di quanto stabilito per le parti delle unioni civili), né è stata prevista alcuna agevolazione fiscale per le donazioni o i lasciti compiuti l’uno a favore dell’altro. Scioglimento della convivenza Dallo scioglimento della convivenza deriva un dovere giuridico di natura alimentare. Il convivente che versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento potrà al momento della fine del rapporto chiedere gli alimenti. L’obbligo alimentare in questione si pone successivamente a quello a carico del suocero e della suocera (art 433 n 5 cod civ), ma prima di quello a carico dei fratelli e sorelle dell’alimentando (art 433 n 6 cod civ). Tali alimenti devono essere liquidati dal giudice per un periodo proporzionale alla durata della convivenza, devono essere proporzionati al bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli e non devono, tuttavia superare quanto sia necessario per la vita dell’alimentando, avuto riguardo alla sua posizione sociale (art 438 cod civ). Contratto di convivenza La legge stabilisce che i conviventi di fatto possono disciplinare i loro rapporti patrimoniali relativi alla vita in comune, con la sottoscrizione di un contratto di convivenza. Tale contratto, cui non possono essere apposti termini o condizioni può essere redatto con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da notaio o anche da avvocato. Ai fini dell’opponibilità ai terzi, il professionista che ha ricevuto l’atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione deve provvedere entro i 4 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 32 Titolo: Convivenze di fatto successivi dieci giorni a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del D P R 223 del 1989. Il contratto può contenere: la scelta della residenza, le modalità con cui i componenti della coppia intendono contribuire alle necessità della vita in comune secondo le sostanze e la capacità di lavoro professionale o casalinga di ogni convivente, la scelta del regime patrimoniale della comunione legale. In qualunque momento della convivenza comunque le parti possono scegliere di modificare il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza. Il contratto di convivenza si può risolvere per accordo delle parti, per recesso unilaterale, per matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente e un’altra persona, o per morte di uno dei contraenti. Dalla risoluzione del contratto di convivenza deriva fondamentalmente il problema relativo al momento in cui può ritenersi sciolto il regime patrimoniale eventualmente adottato, in particolare quello della comunione legale. Al di là del contratto di convivenza i conviventi possono, come è sempre stato, nell’esercizio della loro autonomia negoziale stipulare altri accordi nel rispetto però dei limiti inderogabili previsti dalla nuova legge. 5 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 32 Titolo: Convivenze di fatto ULTERIORI DIRITTI Familiari con handicap La Corte Costituzionale (Sentenza 23 settembre 2016, n 213) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art 33, Legge 104 del 92, nella parte in cui non estende al convivente more uxorio il diritto di fruire del permesso mensile retribuito per l'assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in quanto concretizza un'ipotesi di violazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost, risolvendosi in un inammissibile impedimento all'effettività dell'assistenza e dell'integrazione ed in una conseguente mancata tutela della salute psicofisica del disabile. Si evidenzia inoltre la circolare dell’INPS 38 del 2017 che estende ai conviventi di fatto la possibilità di richiedere i permessi regolati dalla Legge 104 del 92 in caso di disabilità del partner ma non per assistere i parenti del compagno. Orfani per crimini domestici In materia penale si evidenzia la legge 11 gennaio 2018 n 4 in tema di orfani per crimini domestici che parifica l’omicidio del convivente di fatto all’omicidio del coniuge (che comporta, in seguito a tali modifiche, la pena dell’ergastolo). Impresa familiare La Legge 76 del 2016 ha inserito nel codice civile l'art 230 ter che disciplina i diritti del convivente all'interno dell'impresa familiare. Il nuovo articolo recita: al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato. L'introduzione di questa norma si è resa necessaria per attribuire una tutela effettiva ai conviventi di fatto che collaborino in un’attività d'impresa. Si è così risolto il contrasto formatosi in dottrina e in giurisprudenza circa l'applicabilità della disciplina dell'impresa familiare di cui all'art 230 bis cod civ , alla convivenza more uxorio. Al fine di godere dei diritti riconosciuti dalla norma in commento occorre che il convivente di fatto presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente. 1 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 32 Titolo: Convivenze di fatto Dalla lettura della norma, si evidenziano immediatamente le differenze rispetto alla disciplina contenuta nell’art 230 bis cod civ. In quest'ultima disposizione, infatti, si tutela il familiare che presta in modo continuativo la propria attività lavorativa nella famiglia o nell'impresa familiare. In relazione al convivente invece si richiede che lo stesso presti la propria attività professionale con carattere di stabilità. Tale attività deve essere prestata all'interno dell'impresa dell'altro convivente, escludendo così rilievo al lavoro domestico o casalingo svolto all'interno della famiglia, ancorché finalizzato all'attività d'impresa. In materia peraltro la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art 230 bis, terzo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede come familiare anche il convivente di fatto e come impresa familiare quella cui collabora anche il convivente di fatto, diversamente da quanto avviene con il componente dell’unione civile. Conseguentemente è illegittimo l’art 230 ter del codice civile che attribuisce al convivente di fatto una tutela ingiustificatamente discriminata rispetto a quella riconosciuta ai familiari ed al componente dell’unione civile. In particolare la Corte specifica che la protezione del lavoro del convivente prevista dall’art 230 ter cod civ non è la stessa di quella del coniuge ed è inferiore a quella riconosciuta finanche all’affine di secondo grado che presti la sua attività lavorativa nell’impresa familiare. Pari tutela va invece garantita al convivente more uxorio la cui prestazione lavorativa rischia di essere inesorabilmente attratta nell’orbita del lavoro gratuito come per chi è legato all’imprenditore da un rapporto di coniugio, parentela o affinità (C Cost 148 del 2024). Morte del convivente La legge recependo orientamenti giurisprudenziali in materia sancisce inoltre il pieno diritto al risarcimento nel caso di morte del partner causata da fatto illecito di terzi. Si precisa in particolare che in caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell'individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite (comma 49). Godimento della casa familiare Come già accennato la legge del 2016 stabilisce: 2 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 32 Titolo: Convivenze di fatto il diritto del convivente in caso di morte dell’altro proprietario della casa di comune residenza, di continuare ad abitarvi per due anni (se la convivenza ha avuto durata inferiore a due anni), oppure per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni ma comunque entro il limite di cinque anni. Se nella casa coabitano figli minori o figli disabili del convivente superstite lo stesso ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni. il diritto per il convivente di subentrare nel contratto di locazione in caso di morte o recesso del conduttore. Si possono pertanto in sintesi presentare varie situazioni. Cessazione della convivenza PER CRISI FAMILIARE, IN PRESENZA DI FIGLI minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti. In tale ipotesi si applica l’istituto dell’assegnazione della casa familiare. Per cui il genitore con cui prevalentemente vivono i figli, potrà rimanere ad abitare nell’immobile finché i figli siano maggiorenni ed economicamente autosufficienti. Ciò anche nel caso in cui l’immobile sia di proprietà dell’altro. Inoltre se la casa è oggetto di un contratto di locazione, il genitore assegnatario avrà il diritto di subentrare nel contratto di locazione (art 6, Legge 392 del 1978 e Corte Costituzionale, 404 del 1988); Cessazione della convivenza PER CRISI FAMILIARE, SENZA FIGLI minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti Nel caso in cui i conviventi che si separano non abbiano figli, la sorte dell’immobile seguirà le norme di diritto civile ordinarie. La casa, per quanto destinata ad abitazione familiare, andrà restituita al legittimo proprietario. Pertanto, ove uno dei conviventi sia proprietario esclusivo, egli sarà l’unico a poter rimanere a vivere all’interno dell’abitazione. 3 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 32 Titolo: Convivenze di fatto Se la casa è condotta in locazione, si seguiranno tempi e clausole del contratto di locazione, senza diritto alcuno di subentro dell’ex convivente che non figura nel contratto. Se poi entrambi i conviventi sono proprietari dell’immobile, gli stessi avranno la possibilità o di concordare l’uso da parte di uno dei due a fronte della corresponsione di un’indennità, o di decidere di vendere a terzi, o di rimanere comproprietari. Cessazione della convivenza PER MORTE di uno dei conviventi Qualora la convivenza cessi per morte del convivente proprietario dell’immobile, il convivente superstite ha il diritto di rimanere ad abitare nell’immobile per un periodo pari alla durata della convivenza, comunque non inferiore a due anni e non superiore a cinque. Il limite minimo dei due anni viene portato a tre nel caso in cui il convivente superstite abbia figli minori o disabili. Questo diritto viene meno nel caso in cui non venga esercitato o nel caso in cui il convivente superstite intraprenda una nuova convivenza di fatto o contragga un’unione civile o un matrimonio. Se poi la casa è condotta in locazione, il convivente superstite ha il diritto di subentrare nel contratto di locazione. Analogo diritto al subentro nella locazione viene riconosciuto quando il convivente firmatario del contratto comunichi il recesso dal contratto di locazione. 4 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 32 Titolo: Convivenze di fatto IL CASO La tutela del convivente di fatto e il comodato dell’abitazione familiare 19 novembre 2018 Sabina Anna Rita Galluzzo – Avvocato LA MASSIMA Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Ordinanza 30 ottobre 2018, n 27437 Qualora il comodato sia stato convenuto, o si sia successivamente consolidato per il soddisfacimento delle esigenze abitative della famiglia, dovendosi contemperare le ragioni del proprietario comodante con quelle del comodatario, il rilascio dell’immobile è possibile esclusivamente nell’ipotesi in cui ricorra un urgente e imprevisto bisogno del comodante secondo quanto previsto dalla norma di cui all’art 1809, co. 2 cod civ La vicenda Il proprietario di un appartamento proponeva ricorso ex articolo 447 bis cod proc civ per il rilascio del suo immobile, concesso in comodato anni addietro al figlio il quale ne aveva fatto la residenza familiare sua, della convivente more uxorio e della bambina nata dalla relazione. La richiesta era motivata dal fatto che, in seguito alla cessazione della convivenza, l’abitazione era rimasta nella disponibilità della donna che vi abitava con la figlia. Il Tribunale adito e successivamente la Corte d’appello rigettavano la domanda di rilascio accertando la destinazione ad uso familiare dell’immobile. In questa stessa linea di pensiero si inserisce la Corte di Cassazione che con l’ordinanza in esame respinge a sua volta il ricorso. La questione La questione merita particolare attenzione stante la frequenza con la quale i genitori concedono in comodato ai propri figli immobili di proprietà affinché siano adibiti a residenza della famiglia da questi formata. Il problema sorge quando il genitore, nella maggior parte dei casi in seguito alla separazione del figlio, desidera riottenere la piena disponibilità dell’immobile assegnato in sede giudiziale all’ex nuora o all’ex genero affidatario dei minori. Si hanno qui opposti interessi: da una parte quello del proprietario che desidera rientrare nella piena disponibilità dell’immobile che aveva volentieri concesso al figlio e che ora viene abitato dall’ex; dall’altra l’interesse dei minori nati da quella relazione a conservare il loro habitat familiare. Per anni in materia vi è stato un forte contrasto in dottrina e in giurisprudenza circa i poteri di revoca del beneficio da parte del comodante, poi risolto da vari interventi delle sezioni unite della Corte di Cassazione. Nella specie inoltre rilevante è la questione dell’applicabilità della disciplina del comodato familiare alla famiglia di fatto. Le soluzioni giuridiche 1 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 32 Titolo: Convivenze di fatto La Corte nell’ordinanza in esame ribadisce principi già affermati in materia dalle Sezioni unite. In particolare in un’importante sentenza del 2004 la Cassazione, soffermandosi sull'utilizzo del bene come casa familiare, sottolineava che il soggetto che formalmente assume la qualità di comodatario riceve il bene non solo o non tanto a titolo personale, quanto piuttosto quale esponente della comunità familiare. Per tale motivo l’abitazione resta al coniuge al quale è stata assegnata anche se concessa in comodato da un terzo, ciò in quanto il provvedimento di assegnazione, non modifica la natura e il contenuto del titolo di godimento sull'immobile, ma determina una concentrazione, nella persona dell'assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta regolato dalla disciplina del comodato. In tal senso pertanto l’assegnatario può contrastare il recesso del comodante in quanto non è ancora cessato l’uso al quale l’abitazione era stata destinata (Cass sez un 21 luglio 2004, n 13603). In altre parole fino al momento in cui nella residenza familiare vi saranno figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti il comodante non potrà riavere il possesso dell’appartamento, tranne nel caso di sopravvenienza di un bisogno urgente e imprevedibile. Ulteriori delucidazioni sono poi state fornite da un ulteriore intervento a sezioni unite, dovuto alla permanenza di un contrasto giurisprudenziale in materia. La Cassazione, in particolare in quell’occasione ha evidenziato come nel nostro ordinamento siano previste due differenti forme di comodato: quello propriamente detto, regolato dagli articoli 1803 e 1809 cod civ , e quello cosiddetto precario senza determinazione di durata (di cui all’art 1810 cod civ ). Nel primo caso il comodante può recedere solo in ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno, nel caso di comodato precario invece il comodante può richiedere la restituzione del bene ad nutum, con una semplice richiesta, in qualunque momento. Fatta questa precisazione la Cassazione stabilisce che il comodato di immobile concesso al fine di soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario rientra nella fattispecie di comodato sorto per un uso determinato di cui all’art 1803 cod civ. Pertanto, specifica la giurisprudenza, anche se le parti non hanno fissato un termine esplicito di durata non può affermarsi che si tratti di contratto senza determinazione di durata. Il termine infatti esiste anche se non è stato stabilito ma è ricavabile dalla finalità del comodato che è quella della soddisfazione delle esigenze della famiglia, intesa anche nelle sue potenzialità di espansione (Cass 20448 del 2014). Quando si ravvisa quest’ipotesi pertanto il comodante può richiedere la restituzione dell’immobile solamente qualora sopravvenga un urgente e imprevisto bisogno, così come stabilito dall’art 1809 cod civ Si sottolinea comunque che la giurisprudenza, anche al fine di contemperare le diverse esigenze ha più volte sottolineato come non sia sufficiente che l’immobile sia destinato alle esigenze della famiglia al fine di identificare il tipo di comodato. L’organo giudicante infatti deve sempre effettuare una rigorosa indagine in ordine all'apposizione di un diverso termine finale di godimento, nonché circa l’effettiva intenzione delle parti di dare e ricevere il bene allo specifico fine della sua destinazione a casa familiare. Nella specie, la Cassazione richiamando i principi esposti, riconduce l’accordo concluso tra il ricorrente e il figlio nell’ambito del comodato previsto dall’art 1809 cod civ in relazione al quale, precisa il Collegio, la restituzione anticipata si può avere solo in caso di urgente ed imprevedibile bisogno sopravvenuto del comodante, fatto che invece, non era stato nel corso del giudizio né allegato, né provato. 2 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 32 Titolo: Convivenze di fatto Questo assunto risulta corretto, prosegue la Corte, dichiarando pertanto infondati i motivi di ricorso anche se si tratta di rottura di una convivenza di fatto. A fondamento della sua affermazione la Cassazione richiama la giurisprudenza costituzionale che equipara, ai fini della tutela e del mantenimento della destinazione a residenza della famiglia dell’immobile, la cessazione di una stabile convivenza di fatto, in presenza di figli, ad una separazione giudiziale. La Consulta sosteneva in particolare, (n 166 del 1998), che ai fini dell'applicazione dell'istituto dell'assegnazione della casa familiare nell'ambito di una separazione tra conviventi di fatto, non sia necessaria una specifica norma, in quanto la tutela del figlio naturale è immanente nell'ordinamento. La condizione dei figli deve infatti essere considerata come unica, senza che abbiano influenza le circostanze della nascita. In altri termini il fatto che i genitori siano o meno legati da un vincolo coniugale non può determinare una condizione deteriore per i figli, ciò in forza dell'art 30 Cost. Si consideri che attualmente la c.d. riforma sulla filiazione (Legge 219 del 2012, e decreto legislativo 154 del 2013) ha realizzato una completa equiparazione giuridica tra i figli nati nel matrimonio e i figli nati fuori dal matrimonio con la conseguenza che anche nella crisi genitoriale non è proponibile alcuna differenziazione di tutela. La disciplina dell’assegnazione della casa coniugale è attualmente contenuta nell’art 337-octies applicabile in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e anche in relazione ai procedimenti relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio. Si evidenzia inoltre che la Legge 76 del 2016 in materia di unioni civili e convivenze ha stabilito che, indipendentemente dall’esistenza di figli, nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha diritto di succedergli nel contratto (art 44). È noto altresì come quanto previsto per la locazione è stato ritenuto applicabile anche al comodato ricorrendo la medesima ratio dell’interesse della prole a non abbandonare la casa familiare (Cass 4 marzo 1998, n 2407). Nei medesimi termini comunque si era già espressa in passato la Cassazione, in relazione alla famiglia di fatto specificando che il comodato, di un immobile adibito per inequivoca e comune volontà delle parti contraenti, ad abitazione di un nucleo familiare di fatto, costituito dai conviventi e dai fagli, non può essere risolto in virtù della mera manifestazione di volontà ad nutum espressa dal comodante dal momento che deve ritenersi impresso al contratto un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all'uso cui la cosa è destinata il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi familiare tra i conviventi. Ne consegue che il rilascio dell'immobile, finché non cessano le esigenze abitative familiari cui esso è stato destinato, può essere richiesto, solamente nell'ipotesi di un bisogno contrassegnato dall'urgenza e dall'imprevedibilità (Cass 13592 del 2011). Caso tratto da: Giuffré, Ilfamiliarista.it, 4 dicembre 2018, giurisprudenza commentata Autore: Galluzzo Sabina Anna Rita La tutela del convivente di fatto e il comodato dell’abitazione familiare 3

Use Quizgecko on...
Browser
Browser