Regimi Patrimoniali - Separazione dei Beni - Lezione 17 - PDF
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These lecture notes cover the topic of the separation of assets in Italian family law. They delve into the legal framework, autonomy of spouses, and different types of matrimonial agreements, notably the importance of the contractual nature of the agreements themselves. The summary includes references to the Italian Civil Code (cod civ) and relevant articles, focusing on the regulation of assets during and after marriage within Italy.
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Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 17 Titolo: Regimi patrimoniali SEPARAZIONE DEI...
Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 17 Titolo: Regimi patrimoniali SEPARAZIONE DEI BENI Autonomia negoziale L’ordinamento lascia ai coniugi la libertà di scegliere tra la comunione dei beni ed altri regimi che sostituiscano o anche integrino quello legale. Peraltro, mentre l’assoggettamento al regime legale non necessita di una particolare attività da parte degli sposi, la scelta di un diverso assetto patrimoniale richiede la stipula di un accordo tra i coniugi da cui risulti la concreta disciplina pattizia cui gli stessi si riferiscono. È necessario cioè ricorrere allo strumento della convenzione matrimoniale. Dalla lettura delle norme del codice civile (artt 160 e ss. cod civ ) si ricava che i coniugi hanno la possibilità di regolare i loro rapporti patrimoniali facendo ricorso agli istituti: della comunione convenzionale della separazione dei beni, del fondo patrimoniale (questo quale sistema accessorio che si affianca alla comunione o alla separazione). I due peraltro possono anche decidere di assoggettarsi a norme straniere o ad usi. Convenzione matrimoniale La convenzione matrimoniale deve assumere sotto pena di nullità la forma dell’atto pubblico e ai fini dell’opponibilità ai terzi deve essere annotata a margine dell’atto di matrimonio, con indicazione della data della stipula, del notaio rogante e delle generalità dei contraenti ovvero della scelta del regime della separazione dei beni effettuata al momento della celebrazione (art 162 comma 4 cod civ). È altresì richiesta l’annotazione delle modifiche apportate dai coniugi alle preesistenti convenzioni. L’autonomia negoziale attribuita agli sposi incontra comunque dei limiti dettati dagli artt 160 - 166 bis cod civ che in particolare ai fini della validità delle convenzioni stabiliscono alcuni requisiti relativi al contenuto, alla capacità, alla forma nonché alla pubblicità. In particolare : ai sensi dell’art 160 cod civ le parti non possono derogare ai diritti e ai doveri nascenti dal matrimonio, ai sensi dell’art 161 cod civ nel caso in cui i coniugi decidano di rinviare a usi o a ordinamenti stranieri devono espressamente indicare la disciplina da adottare. Gli sposi non possono pattuire in modo generico che i loro rapporti patrimoniali siano in tutto o in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti o dagli usi, ma devono enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali intendono regolare questi loro rapporti. 1 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 17 Titolo: Regimi patrimoniali ai sensi dell’art 166 - bis cod civ è nulla ogni convenzione che tende alla costituzione di beni in dote. Comunione convenzionale (art 210 cod civ) I coniugi possono in particolare, mediante convenzione, modificare il regime della comunione legale dei beni alle seguenti condizioni: i patti non devono essere in contrasto con le disposizioni di cui all’art 161 cod civ i beni indicati alle lettere c), d) ed e) dell’articolo 179 cod civ non possono essere compresi nella comunione convenzionale, non sono derogabili le norme della comunione legale relative all’amministrazione dei beni della comunione e all’uguaglianza delle quote limitatamente ai beni che formerebbero oggetto della comunione legale. La disposizione mira ad impedire modificazioni della disciplina della comunione legale, imponendo requisiti di forma miranti a preservare la parità tra coniugi nei rapporti patrimoniali. 2 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 17 Titolo: Regimi patrimoniali LA SEPARAZIONE DEI BENI (art 215 cod civ) Il regime di separazione dei beni permette ai coniugi di mantenere separate sia la titolarità che la gestione dei beni. Ognuno dei due mantiene cioè la titolarità esclusiva non solo dei beni acquistati prima delle nozze, ma anche di quelli acquistati in costanza di matrimonio potendo inoltre amministrarli autonomamente. Prassi Il regime della separazione dei beni, tipico dell’esperienza anglo-americana, viene spesso consigliato anche in Italia dagli addetti ai lavori per le minori difficoltà che crea agli acquisti e per la snellezza degli atti di godimento e di amministrazione. Fra le ragioni della scelta si annoverano oltre a motivi di carattere fiscale anche la necessità di evitare quegli intralci alla libertà negoziale causati dal regime legale in virtù del fatto che i due coniugi nella comunione sono costantemente legati l’uno all’altro. Ciò avviene infatti nelle alienazioni, negli acquisti, nonché nell’amministrazione che, nel regime legale, se straordinaria, deve essere congiunta: senza contare la difficoltà, non rara, di distinguere tale amministrazione da quella ordinaria. La separazione dei beni viene soprattutto consigliata però in via preventiva, per rendere meno conflittuale un’eventuale crisi matrimoniale in quanto questo regime lasciando più chiare le rispettive situazioni patrimoniali rende più facile una separazione. Elimina infatti molti motivi di litigi e malintesi che si riflettono sullo stesso rapporto personale tra i due coniugi. Si ritiene poi essenziale l’adozione di tale regime nel caso in cui uno dei coniugi svolga attività commerciali o comunque imprenditoriali in quanto è fondamentale che le stesse non siano condizionate da alcun intralcio. La separazione dei beni lascia comunque ai coniugi la libertà di procedere ad acquisti congiunti che restano assoggettati alle regole sulla comunione ordinaria (es. casa familiare). Tale disciplina inoltre, si sottolinea, non è in contrasto con la natura del matrimonio, inteso come communio omnis vitae, perché in realtà restano intatti gli obblighi e i diritti reciproci nascenti dal rapporto matrimoniale ossia il regime patrimoniale primario. Costituzione Fonte di questo regime è una dichiarazione espressa al momento delle nozze risultante dall’atto di matrimonio (anche concordatario), o altrimenti una convenzione stipulata tra i coniugi nelle solenni forme dell’atto pubblico. Essenziale è in entrambi i casi il rispetto degli oneri di forma e di pubblicità richiesti dall’art 162 cod civ per le convenzioni matrimoniali. Il regime di separazione dei beni può anche essere costituito a seguito dello scioglimento della comunione legale, che come abbiamo visto si verifica in caso di: fallimento, sentenza di separazione personale, separazione giudiziale dei beni (si veda lezione su comunione dei beni 2). 3 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 17 Titolo: Regimi patrimoniali Ciascun coniuge ha il godimento e l’amministrazione dei beni di cui è esclusivo proprietario (art 217 cod civ). Peraltro ognuno dei due può affidare all’altro l’amministrazione dei propri beni. Si possono così verificare tre situazioni: procura con l’obbligo di rendiconto (art 217, comma 2 cod civ): se è stato previsto l’obbligo di rendiconto il coniuge amministratore risponde nel caso di cattiva amministrazione solo per dolo o colpa grave dei frutti percepiti e percepibili con l’ordinaria diligenza; procura senza l’obbligo di rendiconto (art 217, comma 3 cod civ): se non è stato previsto l’obbligo di rendiconto il coniuge dovrà restituire i soli frutti esistenti e non risponde invece per quelli consumati; opposizione: se invece l’amministrazione dei beni del coniuge è realizzata contro la sua volontà, manifestata attraverso opposizione, gli atti compiuti dall’amministratore sono validi ma questi risponde, secondo il normale criterio della colpa, dei danni e della mancata percezione dei frutti. L’art 218 cod civ regola poi il caso in cui uno dei due coniugi gode dei beni dell’altro coniuge. In quest’ipotesi la norma impone la soggezione alle obbligazioni gravanti sull’usufruttuario (art 1001 cod civ) e quindi il rispetto della destinazione del bene, la sua custodia, nonché il pagamento delle spese per la manutenzione ordinaria. La legge consente (art 219 cod civ) a ciascun coniuge di provare con ogni mezzo di essere proprietario esclusivo di un bene. Se ciò non è possibile i beni sono considerati di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi. Tale disposizione è dettata per il caso in cui sorgano contestazioni tra i due sulla titolarità dei beni stessi. La giurisprudenza precisa che la norma è applicabile solo ai beni mobili. 4 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 17 Titolo: Regimi patrimoniali IL FONDO PATRIMONIALE (art 167 cod civ) L’istituto assolve alla funzione di costituire un patrimonio separato sia dai beni personali che da quelli della comunione legale, destinato al soddisfacimento dei bisogni della famiglia e assoggettato a una specifica disciplina giuridica finalizzata a vincolare i beni e i loro frutti al predetto interesse. Non si configura come un regime alternativo ma si affianca, vincolando solo beni determinati, al regime di comunione o di separazione di volta in volta adottato dai coniugi. La giurisprudenza sottolinea che i bisogni della famiglia vanno intesi in senso lato ossia volti non soltanto al soddisfacimento delle necessità essenziali o indispensabili della famiglia ma anche ad esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della medesima, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa ed al miglioramento del suo benessere economico, restando escluse ragioni voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi (Cass 2904 del 2021). Costituzione. Per la costituzione del fondo è necessaria la destinazione di alcuni beni che possono essere di proprietà di entrambi i coniugi, di proprietà esclusiva di uno di essi o addirittura anche di proprietà di un terzo estraneo ai rapporti di famiglia che può intervenire attraverso un atto inter vivos o un atto mortis causa. La costituzione del fondo effettuata dal terzo per atto tra vivi si perfeziona con l’accettazione dei coniugi. Il fondo può essere costituito sia tramite testamento che con convenzione matrimoniale (atto pubblico), parti necessarie della quale sono i coniugi e eventualmente il terzo. Ai fini dell’opponibilità ai terzi, il fondo patrimoniale è soggetto, come tutte le convenzioni matrimoniali, agli oneri pubblicitari dell’annotazione a margine dell’atto di matrimonio (art 162 cod civ). Inoltre, essendo prevalentemente costituito da beni immobili e mobili registrati, è assoggettato all’onere della trascrizione nei registri immobiliari ai sensi dell’art 2647 cod civ nonché ai sensi dell’art 2685 cod civ per quanto riguarda i mobili registrati. Oggetto. I beni oggetto del fondo patrimoniale possono essere immobili, mobili registrati e titoli di credito nominativi o resi tali con annotazione del vincolo (art 167 cod civ). Sono pertanto esclusi dal fondo tutti i beni mobili, i titoli di credito all’ordine e al portatore, nonché il denaro liquido. La ratio di tale limite è dettata dallo scopo stesso dell’istituto, destinato a essere vincolato alle esigenze familiari, e che pertanto non può essere costituito da beni che per loro natura sono rivolti a una circolazione rapida e sono inidonei a essere immobilizzati. Titolarità dei beni. Di regola titolari dei beni sono entrambi i coniugi per quote uguali, ma l’atto costitutivo può prevedere diversamente. I figli non hanno titolarità sui beni dei quali godono solo i vantaggi se non nel caso di cessazione del fondo momento in cui, se hanno raggiunto la maggiore età, possono ottenere che il giudice attribuisca loro parte dei beni stessi. I frutti prodotti dai beni 1 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 17 Titolo: Regimi patrimoniali oggetto del fondo spettano ai coniugi ma devono necessariamente essere spesi per i bisogni della famiglia. Amministrazione. L’art 168 cod civ rinvia per l’amministrazione dei beni destinati al fondo patrimoniale alle regole proprie della comunione legale, pertanto l’amministrazione ordinaria spetta disgiuntamente ad entrambi i coniugi, mentre quella straordinaria deve essere esercitata congiuntamente. Alienazione. I beni oggetto del fondo patrimoniale possono essere alienati, ipotecati, dati in pegno o comunque vincolati solo se c’è il consenso di entrambi i coniugi oppure se ciò è stato espressamente consentito nell’atto di costituzione (art 169 cod civ). In presenza poi di figli minori è necessaria un’autorizzazione giudiziale che viene concessa nei soli casi di necessità o di utilità evidente. Esecuzione. I beni così vincolati sono protetti da tutti quei debiti contratti per cause esterne ai bisogni della famiglia (art 170 cod civ). L’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi infatti non può aver luogo se il debitore è a conoscenza del fatto che le obbligazioni non sono state contratte per il sostentamento della famiglia. La giurisprudenza precisa che si tratta di un vincolo di inespropriabilità temperata che opera solo nei confronti dei creditori consapevoli proteggendo l’affidamento di quelli inconsapevoli. È a carico dei coniugi l’onere della prova volta a dimostrare il fatto che i creditori sapevano che le obbligazioni erano state contratte per cause esterne ai bisogni della famiglia. Cessazione. Il fondo patrimoniale viene meno, nel caso in cui si verifichino alcune ipotesi specificamente previste dal Codice civile. In particolare secondo l’art 171 cod civ l’annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio rendono il fondo patrimoniale privo di utilità e per tale ragione determinano la cessazione del vincolo di destinazione dei beni. Nel caso in cui però vi siano figli minori il vincolo permane fino al compimento della maggiore età del figlio più piccolo (art 171 secondo comma cod civ). La ratio di questa disposizione, che determina il differimento dell’effetto estintivo causato dalla cessazione del rapporto matrimoniale, viene ravvisata nel fatto che, nonostante la fine del legame coniugale, in presenza di prole la famiglia continua a esistere e con essa sopravvivono anche bisogni ed esigenze. In quest'ipotesi spetta al giudice, stabilire, su istanza di chi vi abbia interesse, come debba essere assicurata l’amministrazione del fondo. Con uno sguardo generale alla giurisprudenza si può notare come la problematica inerente all’istituto, forse più discussa, e che più si pone all’attenzione della magistratura è quella relativa allo scioglimento del fondo patrimoniale. Sorge cioè la questione di capire se, al di là delle ipotesi legali di scioglimento del fondo, i coniugi abbiano la possibilità di alienare i beni oggetto del fondo o addirittura di scioglierlo convenzionalmente, in virtù di una deroga inserita dai coniugi stessi nell’atto 2 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 17 Titolo: Regimi patrimoniali di costituzione, al fine di procedere senza autorizzazione giudiziale o anche in virtù di un accordo successivo. Si evidenzia che in seguito alla Legge 76 del 2016, che ha regolamentato le unioni civili tra persone dello stesso sesso, le disposizioni sono applicabili anche a dette unioni. COSA DICE LA GIURISPRUDENZA (da leggere) Corte di Cassazione Ordinanza 7 giugno 2021 n 15741 In tema di fondo patrimoniale, nel concetto di debiti contratti per soddisfare i “bisogni della famiglia” non rientrano tutti gli obblighi assunti da un coniuge per incrementare la ricchezza familiare, ma solo quelli inerenti all’attività di lavoro dei coniugi, se da tale attività la famiglia trae i mezzi di mantenimento. Corte di Cassazione 8 febbraio 2021 n 2904 Il debitore che contesti il diritto del creditore di agire esecutivamente sui beni costituiti in fondo patrimoniale deve dimostrare, anche a mezzo di presunzioni semplici, che il medesimo creditore era consapevole, al momento del perfezionamento dell'atto dal quale deriva l'obbligazione, che questa era contratta per scopi estranei ai bisogni della famiglia ancorché intesi in senso lato ovvero volti non soltanto al soddisfacimento delle necessità essenziali o indispensabili della famiglia ma anche ad esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della medesima, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa ed al miglioramento del suo benessere economico, restando escluse ragioni voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi. In relazione ai debiti assunti nell'esercizio dell'attività d'impresa o a quella professionale, essi non assolvono di norma a tali bisogni, ma può essere fornita la prova che siano eccezionalmente destinati a soddisfarli in via diretta ed immediata, avuto riguardo alle specificità del caso concreto (Nella specie, la S C ha cassato la decisione di appello la quale aveva presunto, in assenza di prova di una diversa fonte di sostentamento della famiglia, che i mezzi per il soddisfacimento dei bisogni di questa derivassero dall'attività d'impresa dell'opponente). Corte di Cassazione 31 ottobre 2014, n 23163 In tema di esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui frutti di essi, il disposto dell'articolo 170 cod. civ. per il quale detta esecuzione non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia, va inteso non in senso restrittivo, come riferentesi cioè alla necessità di soddisfare l'indispensabile per l'esistenza della famiglia, bensì nel senso di ricomprendere in detti bisogni anche quelle esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse solo le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi. 3 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 17 Titolo: Regimi patrimoniali IMPRESA FAMILIARE Con l’introduzione dell’art 230 bis cod civ la riforma del 1975 ha dato una concreta rilevanza all’attività lavorativa prestata in modo continuativo da uno o più familiari di un imprenditore nell’ambito dell’impresa, sempre che la natura della prestazione non sia regolata diversamente, per esempio con un contratto di lavoro subordinato o nelle forme della società o dell’associazione in partecipazione. La giurisprudenza ha infatti da tempo sottolineato la natura residuale dell’istituto che costituisce una tutela minima e inderogabile del lavoro familiare prestato nell’impresa che di regola si presume svolto per ragioni di solidarietà familiare. Si sottolinea in proposito che “il Legislatore ha inteso dare attuazione ad interessi di rilievo costituzionale in relazione al principio di solidarietà nell’ambito familiare, alla valorizzazione del lavoro femminile, al superamento della presunzione di gratuità delle prestazioni rese dal familiare, approntando una disciplina suppletiva di carattere residuale in quanto diretta ad apprestare una tutela "minima ed inderogabile" ai rapporti lavorativi che si svolgono negli aggregati familiari” (Cass 1401 del 2021). Non si tratta di un regime patrimoniale ma si affianca al regime prescelto. In particolare, secondo la Cassazione ai fini del riconoscimento dell’istituto residuale della impresa familiare è necessario che concorrano due condizioni, e cioè, che sia fornita la prova sia dello svolgimento, da parte del partecipante, di una attività di lavoro continuativa (nel senso di attività non saltuaria, ma regolare e costante anche se non necessariamente a tempo pieno), sia dell’accrescimento della produttività dell’impresa (Cass 18298 del 2009). La giurisprudenza comunque sottolinea come la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato debba risultare da contratti la cui prova grava su colui che contesta la costituzione dell’impresa familiare. Natura. L’orientamento maggioritario considera l’impresa familiare un’impresa individuale. Imprenditore è, secondo tale corrente, solo colui che è effettivamente titolare dell’impresa e che perciò ha la qualifica di imprenditore ai sensi dell’art 2082 cod civ. Solo lui è pertanto responsabile nei confronti dei terzi e soggetto al rischio di fallimento. In questo modo i rapporti con gli altri familiari che lavorano all’interno dell’azienda sono meri rapporti interni in relazione ai quali sorge la responsabilità dell’imprenditore nel caso in cui non adempia agli obblighi verso di loro o non esegua le delibere concertate. Corollario di tale orientamento è la legittimazione esclusiva dell’imprenditore ad agire nell’interesse dell’impresa sia sul piano sostanziale (conclusione di contratti), sia sul piano processuale (legittimazione ad agire e resistere in giudizio). Partecipanti 1 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 17 Titolo: Regimi patrimoniali L’impresa familiare è costituita dall’imprenditore, che mantiene la titolarità dell’attività e da tutti i familiari che prestano attività lavorativa nella stessa e in particolare: il coniuge, il convivente (art 230 ter cod civ), i figli, i parenti entro il terzo grado (fratelli, zii, nipoti), gli affini entro il secondo grado (suoceri, genero e nuora, cognati, ecc.). Non è necessario che tali soggetti convivano con l’imprenditore. È evidente come la configurazione dell’impresa familiare non esclude che terzi estranei prestino in essa la loro attività lavorativa. Questi resteranno comunque tutelati da un regolare rapporto di lavoro subordinato, o di collaborazione e così via. In particolare in relazione al coniuge è problematico sia in giurisprudenza che in dottrina il rapporto tra l’impresa familiare e quella coniugale. Nel primo caso, come già specificato, la fattispecie è regolata dall’art 230 bis cod civ e comporta la mera collaborazione di un coniuge all’impresa gestita dall’altro con irrilevanza del regime patrimoniale prescelto e un'applicazione residuale rispetto a eventuali altri rapporti disciplinati tra i coniugi. L’impresa coniugale invece, regolata dall’art 177 cod civ, presuppone la gestione comune dei coniugi sull’azienda appartenente alla comunione. La Legge 76 del 2016 stabilisce inoltre che la disciplina in esame è applicabile alle unioni civili ossia alle coppie formate da due persone maggiorenni dello stesso sesso che presentano dichiarazione di fronte all’ufficiale dello stato civile (si veda lezione su unioni civili). Sempre in relazione ai partecipanti all’impresa a lungo discussa in giurisprudenza è stata la possibilità di considerare partecipante all’impresa familiare il convivente more uxorio. I contrasti giurisprudenziali erano stati in un primo tempo superati dalla Legge 76 del 2016 (art 1 comma 46) che, mercé l’introduzione dell’art 230 ter cod civ, ha reso applicabile la disciplina dell’impresa familiare anche al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera in un’impresa familiare (Si veda lezione su convivenze di fatto). In materia peraltro la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell’art 230 bis, terzo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede come familiare anche il convivente di fatto e come impresa familiare quella cui collabora anche il convivente di fatto, diversamente da quanto avviene con il componente dell’unione civile. Conseguentemente è illegittimo l’art 230 ter del codice civile che attribuisce al convivente di fatto una tutela ingiustificatamente discriminata rispetto a quella riconosciuta ai familiari ed al componente dell’unione civile. In particolare la Corte specifica che la protezione del lavoro del convivente prevista dall’art 230 ter cod civ non è la stessa di quella del coniuge ed è inferiore a quella riconosciuta finanche all’affine di secondo grado che presti la sua attività lavorativa nell’impresa familiare. Pari tutela va invece garantita al convivente more uxorio la cui prestazione lavorativa rischia di essere inesorabilmente attratta nell’orbita del lavoro gratuito come per chi è legato all’imprenditore da un rapporto di coniugio, parentela o affinità (C Cost 148 del 2024). Tipo di lavoro 2 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 17 Titolo: Regimi patrimoniali Si sottolinea come le prestazioni di lavoro fornite dai familiari possono essere di qualunque tipo, sia manuali che intellettuali, a tempo pieno e non, sufficiente è che siano continuative e funzionali all’attività dell’impresa. A tal proposito separazioni e divorzi hanno anche portato all’attenzione della giurisprudenza la rilevanza dello svolgimento di attività prettamente casalinghe in relazione alle quali esiste un contrasto sulla possibilità di far rientrare tali mansioni nell’ambito della disciplina dell’impresa familiare. L’orientamento maggioritario ha più volte considerato titolo idoneo alla partecipazione all’impresa lo svolgimento di attività prettamente casalinghe purché non limitate all’assolvimento dei doveri nascenti dal matrimonio. Il lavoro domestico deve essere comunque funzionale e strumentale all’obiettivo dell’impresa e tale è sicuramente il lavoro proprio dell’impresa svolto in parte a domicilio, come ad esempio l’occuparsi della corrispondenza e tenere i rapporti con i fornitori. Diverso è il mero svolgimento dei lavori domestici, che comunque è stato ritenuto sufficiente a configurare la partecipazione all’impresa con la sola precisazione, fornita dalla Cassazione, che tale attività sia svolta sulla base di un preciso accordo con l’imprenditore e sia finalizzata a una ripartizione dei compiti: condizione questa necessaria affinché l’altro familiare possa svolgere al meglio la sua attività di imprenditore. Anche l’attività domestica deve tradursi infatti in una quota di partecipazione agli utili e agli incrementi dell’azienda e tale quota è determinata in relazione all’accrescimento della produttività dell’impresa procurato dall’apporto dell’attività del partecipante. Diritti del partecipante all’impresa Ai familiari che lavorano nell’impresa spettano i seguenti diritti: diritto al mantenimento, proporzionato alla condizione patrimoniale della famiglia; diritto agli utili, ai beni con essi acquistati e agli incrementi dell’azienda anche in ordine all’avviamento in proporzione alla quantità e qualità di lavoro prestato; diritto di partecipazione alle decisioni rilevanti per l’impresa. Oltre a questi diritti la giurisprudenza ha specificato come, in conseguenza dell’attività di lavoro svolta, spettino anche i diritti previdenziali, e quelli all’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro o per malattie professionali, invalidità, vecchiaia, superstiti. Scioglimento L’impresa familiare può essere sciolta per varie cause: - morte dell’imprenditore, - fallimento dell’imprenditore (se all’impresa si attribuisce la natura di impresa individuale), - sopravvenuta impossibilità di proseguire l’attività, - venir meno della pluralità di familiari, - delibera della maggioranza. Discussa è, l’estinzione dell’impresa a seguito del venir meno del vincolo matrimoniale, mentre la separazione non produce lo stesso effetto. È possibile anche che venga meno solo la partecipazione di un familiare quando il compartecipe non sia più, per varie cause (invalidità) in grado di fornire attività lavorativa, oppure quando intenda recedere, o sia escluso dall’impresa con decisione della maggioranza, decisione che deve comunque essere assistita da una giusta causa. A pena di nullità, il diritto di partecipazione può essere trasferito 3 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 17 Titolo: Regimi patrimoniali soltanto a un altro familiare che sia già membro dell’impresa o che comunque abbia i requisiti per diventarlo. Nel caso di trasferimento dell’azienda o di divisione ereditaria della stessa ai compartecipi spetta un diritto di prelazione. 4