Dispense di Storia Greca 2024/2025 - Università di Parma - PDF

Summary

These lecture notes from the University of Parma cover Greek History, focusing on spatial coordinates, periodization, and a brief look into the Bronze Age. The document outlines various aspects of the classical period, including geography and political organization, along with the significant impact of Alexander the Great's conquests. The provided content is useful for students.

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Università di Parma Corso di Studi Filosofici Dipartimento di Discipline Umanistiche, Sociali e delle Imprese Culturali DISPENSE DI STORIA GRECA a. a. 2024/2025 Prof. Luca Iori 1. Introduzione all...

Università di Parma Corso di Studi Filosofici Dipartimento di Discipline Umanistiche, Sociali e delle Imprese Culturali DISPENSE DI STORIA GRECA a. a. 2024/2025 Prof. Luca Iori 1. Introduzione alla storia greca In questa LEZIONE tratteremo: 1) le coordinate spaziali del mondo greco; 2) la periodizzazione della storia del mondo greco; 3) un conciso profilo della protostoria del mondo greco nella Tarda Età del Bronzo. 1) Coordinate spaziali del mondo greco Lo svolgimento della storia greca ha avuto come principale cornice geografica la Grecia continentale e insulare e il bacino egeo. Più precisamente, tale cornice comprende le seguenti regioni: la parte meridionale della penisola balcanica, dalla Macedonia e dall’Epiro a nord fino al Peloponneso a sud; la costa settentrionale del Mar Egeo, dalla penisola della Calcidica a ovest fino all’Ellesponto a est; la costa occidentale dell’Asia Minore; le isole del Mar Egeo, compresa l’isola di Creta a sud. Com’è noto nell’antichità i Greci non costituirono mai uno stato nazionale unitario. Il mondo greco era infatti caratterizzato dalla presenza di un numero molto elevato di piccole città-stato (poleis), una forma di organizzazione statale che, come vedremo [UD 3], si sviluppò a partire dall’VIII secolo a.C. e rimase estremamente vitale per tutta l’Età ellenistica e durante il periodo romano imperiale. Alcune aree del mondo greco, ritenute più arretrate e meno urbanizzate, videro invece lo sviluppo di una forma differente di organizzazione politica, chiamata stato etnico (da ethnos, “stirpe”). Tra di esse si annoverano alcune regioni della Grecia settentrionale (per es. la Tessaglia), della Grecia centrale (per es. l’Etolia) e del Peloponneso (per es. l’Acaia e l’Arcadia). Lo spazio geografico dove la civiltà greca ha avuto origine, cioè la parte meridionale della penisola balcanica e il bacino egeo, è caratterizzato da una conformazione morfologica che dà luogo alla frammentazione del territorio in una serie di piccoli cantoni e distretti, separati gli uni dagli altri dal mare o dalle montagne. Questa frammentazione geografica può aver favorito anche la frammentazione politica (senza naturalmente esserne l’unica o principale causa). È stato calcolato che in Età classica vi fossero nel mondo greco ca. 1000 poleis, di cui solo il 10% doveva avere il territorio più vasto di 500 km². Nel periodo compreso fra l’VIII e il V secolo a.C., gruppi provenienti dalle aree già abitate da Greci arrivarono a occupare, in seguito al fenomeno noto come ‘colonizzazione greca arcaica’, vaste aree costiere del Mar Mediterraneo [UD 5]. Il fenomeno ha interessato in particolare: le coste dell’Italia meridionale e della Sicilia, la costa meridionale della Francia fino alla Catalogna; la regione degli Stretti (Ellesponto, Propontide, Bosforo) e le coste occidentale, settentrionale e meridionale del Mar Nero; la costa settentrionale dell’Africa nel tratto compreso fra la Cirenaica a ovest e il Delta del Nilo a est. Proprio l’esistenza di questa fascia di insediamenti lungo buona parte del contorno del Mediterraneo ha permesso a Platone di scrivere, all’inizio del IV secolo, che i Greci sono disseminati nella regione tra le colonne d’Eracle (cioè lo Stretto di Gibilterra) e il fiume Fasi (nella Colchide, a est del Mar Nero) «come formiche o rane intorno a uno stagno» (Fedone 109b). 1 In Età arcaica e classica la maggior parte degli insediamenti greci si trovavano in prossimità del litorale ed anche nei pochi casi in cui mancava un accesso diretto al mare la distanza da esso era piuttosto ridotta. Questa prossimità al litorale consentì alla maggior parte degli insediamenti greci di sfruttare il mare come forte elemento di ‘connettività’ con il resto del Mediterraneo. Come detto, infatti, a partire dall’Età arcaica i Greci solcarono intensamente i mari come navigatori, mercanti, mercenari e colonizzatori [UD 5], da una parte entrando in contatto con altre culture e dall’altra mantenendo fitte reti di relazioni con le altre comunità greche. Questo permise anche agli insediamenti apparentemente più lontani dalla madrepatria di rimanere in stretto contatto con essa e di sviluppare caratteristiche politiche, religiose e culturali omogene al resto del mondo greco. Successivamente anche il Vicino e il Medio Oriente furono interessati dall’espansione dei Greci. Fra il 334 e il 323 a.C. Alessandro III di Macedonia (Alessandro Magno) conquistò l’impero persiano. Dopo la sua morte iniziò un graduale processo di disgregazione del suo impero che, nell’arco di circa mezzo secolo, portò alla nascita dei Regni ellenistici, retti dai re della dinastia degli Antigonidi (Macedonia), dei Seleucidi (Asia Minore, Siria e Mesopotamia), dei Tolemei (Egitto e Cirenaica) e – in una fase di poco successiva – degli Attalidi (Pergamo e parte dell’Asia Minore) [UD 15]. In queste regioni l’elemento greco era numericamente in minoranza rispetto alle popolazioni indigene; ma le case regnanti e le centinaia di nuovi insediamenti greci disseminati in queste aree furono potentissimi fattori di acculturazione, contribuendo alla capillare diffusione della lingua e dello stile di vita greco. 2) Periodizzazione della storia del mondo greco La storia del mondo greco è tradizionalmente divisa in cinque periodi: (1) Tarda Età del Bronzo, ca. 1600-1200 a.C.; (2) i Secoli Bui (“Dark Ages”, Età oscura o Medioevo ellenico), ca. 1200-800 a.C.; (3) Età arcaica: ca. 800-479 a.C. (quest’ultima è la data della battaglia di Platea che pone fine alla seconda guerra persiana); (4) Età classica: 479-323 a.C. (quest’ultima è la data di morte di Alessandro il Grande); (5) Età ellenistica: 323-31 a.C. (data della battaglia di Azio, nella quale Ottaviano, non ancora Augusto, sconfigge Antonio e Cleopatra). Cosa si intende per età classica? – Classico = ‘di realizzazione spirituale e culturale degna di studio ed elevata a modello; esemplare’ A proposito dell’aggettivo ‘classico’, va osservato che esso viene usato in due sensi da tenere distinti. Da un lato, l’espressione ‘antichità classiche’ designa l’insieme delle discipline relative all'antichità greco-romana, da distinguere dalle altre ‘antichità’ (quella ebraica, quella egizia, e così via). Tuttavia, all'interno della cultura del mondo greco fu progressivamente ritagliato uno spazio privilegiato per la Grecia, e in particolare per l'Atene, del V secolo a.C., individuata come il momento per eccellenza ‘classico’ nella storia del mondo antico. Questo slittamento ha a che fare con l’affermarsi di una periodizzazione in campo storico-artistico. Già nell’antichità qualcuno pensava che il culmine, la piena maturità dell’arte antica fosse stata raggiunta nell'età di Pericle, all'epoca di grandi artisti come Fidia. Questo punto di vista fu ripreso da J. J. Winckelmann in un’opera del 1764, dedicata alla storia 2 dell'arte antica (Geschichte der Kunst des Altertums), che ha goduto di notevole fortuna e ha esercitato una grande influenza. Winckelmann, in più, istituì una stretta connessione fra l’arte e la storia della Grecia antica: i Greci hanno raggiunto il primato artistico grazie, in particolare, alla libertà che informava la loro vita politica. Il culmine dell'arte coincide con il culmine della libertà politica nel V secolo a.C., mentre la sua decadenza rispecchia il progressivo asservimento delle poleis della Grecia ad opera di altre potenze e poi di Roma. Vi è dunque, all'interno dell’antichità classica, un momento in un certo senso più ‘classico’ degli altri, che vede la coincidenza fra l'acme delle espressioni artistiche e il punto più alto dell'esperienza storico-politica. Quale senso assegnare alle cesure cronologiche individuate da questa periodizzazione? Alcune di esse corrispondono a reali momenti di rottura. Ad esempio, il crollo dei ‘palazzi’ micenei, fra 1200 e 1100 a.C., segnò la traumatica scomparsa di una civiltà dalle caratteristiche ben definite e il passaggio a una situazione completamente nuova. La fine della seconda guerra persiana segnò uno spartiacque nella storia del mondo greco per le conseguenze che essa ebbe sul piano storico-politico (da lì partì l’ascesa di Atene come grande potenza ed ebbe inizio la lotta fra Stati greci per l’egemonia sul mondo greco, che terminò con l’affermazione del primato della Macedonia nel 337 a.C.) sia dal punto di vista storico-culturale (il trionfo contro i Persiani accelerò la formazione di una ‘identità nazionale’ dei Greci e la definizione del concetto di ‘barbaro’, mentre la grande storiografia nacque, con Erodoto, dal racconto della sorprendente e inaspettata vittoria dei Greci contro il colosso persiano [UD 3]). Analogamente, la conquista dell’impero persiano ad opera di Alessandro Magno pose le basi di un cambiamento epocale nella storia del mondo greco, che ebbe profonde ripercussioni sulla storia politica e culturale del Mediterraneo orientale e del Vicino Oriente. Con essa ha inizio la storia che chiamiamo ‘ellenistica’: il termine ‘ellenismo’, come vedremo [UD 15], designa il periodo che vide una grande diffusione della lingua e della cultura greche nelle terre dell’ex-impero persiano conquistato da Alessandro, la loro parziale fusione con le culture orientali e la fondazione di numerose poleis, che furono il principale veicolo dell’affermazione dello stile di vita greco. Altre cesure, nella periodizzazione proposta, sono invece più problematiche. Se il passaggio dai Secoli Bui all’Età arcaica è generalmente collocato intorno all’800 a.C., è perché fra 800 e 700 ca. assistiamo a diversi fenomeni (oltre alla colonizzazione, l’introduzione dell’alfabeto e la nascita della polis) che hanno fatto parlare dell’VIII secolo come il periodo della “Greek Renaissance” (il “Rinascimento greco” [UD 4]). Tuttavia, sta diventando sempre più chiaro che si trattò di un lento processo di cambiamento, le cui radici affondano nell’ultimo periodo dei Secoli Bui e che si completò, in molti casi, ben addentro l’Età arcaica. La cesura più problematica è però il limite inferiore della storia ellenistica, la cui fase terminale ricade, nella manualistica tradizionale, nell’ambito della storia romana. Con la vittoria di Azio (31 a.C.), Ottaviano pose fine alla vita indipendente del regno d’Egitto, in mano da tre secoli alla dinastia greco-macedone dei Tolemei. L’Egitto tolemaico era tuttavia solo l’ultimo a cadere sotto il dominio romano dei regni ellenistici, nati con la dissoluzione dell’impero di Alessandro. Il regno degli Antigonidi di Macedonia fu infatti cancellato già nel 148 a.C., quando la Macedonia diventò provincia romana; quello dei Seleucidi di Siria scomparve nel 63 a.C. con la creazione ad opera di Pompeo della provincia di Siria; quello degli Attalidi, che si era formato gradualmente a partire dal III secolo a.C. intorno a Pergamo, in Asia Minore, venne infine a cessare nel 133 a.C., quando l’ultimo re della dinastia lo lasciò in eredità ai Romani. Altri preferiscono indicare come termine della vera e propria storia greca il 146 a.C., quando alla fine della cosiddetta guerra acaica, l’ultima combattuta da Stati 3 greci contro Roma, Corinto fu presa e saccheggiata dalle legioni romane (è questo il termine adottato in molti dei manuali correnti). La periodizzazione di cui abbiamo parlato ha un significato soprattutto politico-militare; le cose cambiano se ci collochiamo in una prospettiva di storia culturale. Quando possiamo collocare la fine della civiltà greca? Anche se già intorno al 300 a.C. il baricentro della politica internazionale si era spostato a est della Grecia propria, la polis rimase per molti secoli ancora, per la maggior parte dei Greci, sia la sede materiale di vita che il quadro di riferimento primario della vita politica, dell’organizzazione sociale e delle attività produttive e di scambio. Inoltre, la cultura greca conobbe uno splendido revival nel II secolo d.C. grazie agli imperatori della dinastia degli Antonini (117- 180 d.C.), in particolare Adriano, imperatore ‘filelleno’ (“amico dei Greci”) per eccellenza. Il poderoso sviluppo dell’urbanizzazione e la capillare diffusione dello stile di vita cittadino, fenomeni tipici di questo periodo nella metà orientale dell’Impero romano, permettono di affermare che la civiltà ellenistica raggiunse qui il suo culmine quasi due secoli dopo la fine convenzionale dell’Età ellenistica. Se quindi andiamo in cerca di una soglia cronologica particolarmente significativa per determinare una cesura che segnali il definitivo declino delle forme di vita materiale, sociale e culturale storicamente associabili alla grecità, possiamo indicare: a) il 313 d.C., l’anno dell’editto di Costantino, che, proclamando la tolleranza della religione cristiana, segnalava la crisi di quella cultura ellenica di tradizione pagana su cui si reggeva la vitalità della polis; b) il 393 d.C., anno dell’editto di Teodosio I che, abolendo le feste olimpiche e i giochi panellenici ad esse legati, cancellò uno dei simboli più vitali della Grecità. 3) Conciso profilo della protostoria del mondo greco nella tarda Età del Bronzo L’“arrivo” o il “divenire” dei Greci? Nella Grecia continentale l’inizio della Media Età del Bronzo (ca. 2100-1600 a.C.) appare caratterizzato da distruzioni ed abbandoni di abitati e dall’emergere di elementi di cultura materiale che fanno pensare ad una cesura col periodo precedente, come la comparsa di un nuovo tipo di ceramica (grigia monocroma, detta ‘minia’, lavorata al tornio) e di diverse pratiche funerarie (la diffusione di tombe a fossa e a cista). Secondo una ricostruzione a lungo dominante, questi cambiamenti sarebbero il risultato dell’arrivo nella Grecia continentale di un popolo indoeuropeo parlante una forma di protogreco, che si sarebbe sostituito ad un sostrato anellenico (la cui lingua avrebbe lasciato delle tracce in numerosi nomi di luoghi, piante e animali). Tuttavia, la specificità di una cultura materiale, con elementi innovativi rispetto alla fase precedente, non sempre è dovuta all’arrivo di un nuovo gruppo etnico. Inoltre, col progresso degli studi, le testimonianze materiali che sono state addotte come prova dell’arrivo dei Greci nella penisola balcanica appaiono ora meno nette e univoche di un tempo. Perciò di recente ha preso piede una diversa ricostruzione, secondo la quale i cambiamenti della cultura materiale non sarebbero il risultato dell’arrivo di un nuovo popolo indoeuropeo, ma l’esito di un processo in divenire, di una progressiva fusione di vari gruppi etnici, alcuni stanziati sulle coste e nelle isole del Mediterraneo dalla remota preistoria, altri sopraggiunti nel corso del III e del II millennio a.C. (the becoming of Greeks invece che the coming of Greeks). 4 La civiltà micenea (XVI-XII secolo a.C.) La civiltà micenea prende il nome dalla città di Micene, in Argolide, dove l’archeologo dilettante Heinrich Schliemann portò alla luce i primi resti di questa civiltà. Le ricche tombe a fossa scoperte da Schliemann nel 1879 all'interno del cosiddetto Circolo A sull'acropoli di Micene risalgono al XVI secolo ed insieme alle tombe del cosiddetto Circolo B, più antiche di circa un secolo, rappresentano le più antiche testimonianze di questa civiltà. Quello che colpisce maggiormente è la ricchezza dei corredi funerari di queste tombe, con armi in bronzo (spade, pugnali, lance e coltelli), vasellame e gioielli d’oro (tra cui le famose maschere funebri) ed altri oggetti di lusso importati da Creta, dall'Egitto, dall'Asia Minore e persino dall'Europa centrale. Questi corredi funebri parlano chiaramente di un’aristocrazia molto ricca, caratterizzata in senso militare dalla presenza di armi e da rappresentazioni guerresche con carri e assedi, e al centro di importanti relazioni commerciali con il resto del Mediterraneo. La presenza stessa del bronzo, una lega di rame e stagno – materie prime che non sono reperibili sul continente greco -, implica l’esistenza di contatti con Cipro e la Sardegna e con il Vicino oriente. È possibile che le classi aristocratiche di questa nuova civiltà abbiano dapprima affermato il proprio dominio sulla pianura argiva attraverso guerre di confine per poi estendere il proprio potere su Cnosso, sostituendosi progressivamente ai Cretesi come ponte dei traffici commerciali nell'Egeo. Nei secoli successivi si moltiplicano, soprattutto in Argolide e Messenia, le monumentali sepolture delle tombe a tholos (ne è un esempio l’imponente ‘tomba di Atreo’ a Micene, con una cupola di 15 m di diametro), chiaro segno dell’esistenza di famiglie in netta posizione di predominio. Si moltiplicano anche gli insediamenti, molti dei quali dotati di mura di considerevoli dimensioni. La maggior parte delle testimonianze riguardanti la civiltà micenea risale al periodo compreso tra il 1400 ed il 1100 circa, quando sorgono in Grecia centrale e meridionale almeno una quindicina di piccoli stati (tra i più importanti, oltre a Micene, Pilo, Tirinto, Tebe, Atene e Iolco). Anche nel caso dei Micenei il centro di ogni piccolo stato è il 'palazzo', che appare però diverso da quello minoico, di solito più piccolo, in posizione elevata e fortificato. Al centro del palazzo si trova il megaron, un salone rettangolare con al centro un focolare rotondo circondato da quattro colonne. Il palazzo contiene ambienti residenziali, altri riservati al culto, allo stoccaggio e conservazione di beni ed altri ancora destinati alla funzione di archivio. Siamo informati delle molte operazioni amministrative e contabili di cui la burocrazia palaziale si occupava grazie alla tavolette in Lineare B, rinvenute negli scavi dei principali palazzi (la maggior parte risalenti al XIII secolo a. C.). La Lineare B, pur essendo una scrittura di tipo sillabico derivata dalla Lineare A, fu usata per trascrivere una forma di greco arcaico ed è stata decifrata nel 1952 da Michael Ventris e John Chadwick. Insediamenti ed avamposti commerciali micenei erano presenti sulla costa occidentale dell’Asia Minore (Mileto) e nelle isole dell’Egeo (Rodi). Manufatti micenei sono diffusi non solo nel Mediterraneo orientale ma anche in quello occidentale (costa ionica dell’Italia meridionale, Sicilia orientale, Eolie, Sardegna). Questi ritrovamenti indicano semplicemente un’ampia rete di contatti commerciali piuttosto che una serie di insediamenti stabili. Probabilmente le aristocrazie micenee erano molte attive nell'esportazione di prodotti agricoli, manufatti di bronzo e tessuti, in cambio di materie prime, pietre preziose, spezie ed altri oggetti di lusso. Non mancano i contatti con i grandi imperi del Vicino Oriente, in particolare gli Ittiti, che nei loro testi menzionano una potenza straniera chiamata Ahhijawa, un termine nel quale molti studiosi vedono la resa del nome degli “Achei”, che è quello usato in prevalenza da Omero per indicare i Greci. Se la guerra di Troia (condotta sotto la guida del re di Micene Agamennone) ha un nucleo storico, cosa di cui gli antichi Greci non hanno 5 mai dubitato, essa va collocata in questo contesto cronologico, nella parte finale della civiltà micenea (tra la prima metà del XIII e l’inizio del XII secolo a.C.). Grazie alle informazioni provenienti dalle tavolette in Lineare B conosciamo a grandi linee l’organizzazione politica e sociale degli stati micenei. Al vertice del potere vi era il wanax (in greco classico ἄναξ, “sovrano”), affiancato da un’aristocrazia di dignitari. Il principale sembra essere il lawagetas, probabilmente un capo militare. Questi era destinatario di un notevole appezzamento di terra, il temenos, che però non raggiungeva l’estensione di quello del wanax, che era il principale proprietario terriero all’interno della società micena. Al di sotto vi erano i telestai, detentori di appezzamenti caratterizzati dalla presenza di colture arboricole e cerealicole. Vi erano poi i qasireue (in greco classico βασιλεῖς, “re”), figure che esercitavano un qualche tipo di potere, ma solo di rilevanza locale. Il termine damos (corrispondente al greco δῆμος, “popolo”) indica sia un distretto territoriale che la comunità che vi risiede. Non mancano gli schiavi, designati con la forma micenea doero, antecedente del termine che designa lo schiavo in greco classico (δοῦλος); ma nelle tavolette in Lineare B essi sono associati ad una divinità, in un tipo di relazione che non siamo in grado di precisare. La burocrazia palaziale esercitava un forte controllo sulle attività economiche del territorio, in particolare l’agricoltura (cereali, vite, olivo, legumi, ortaggi), l’allevamento del bestiame (bovini, ovini), l’artigianato tessile (lana) e del bronzo e la produzione di oli profumati. Siamo pertanto di fronte a una società che ha una struttura politica e sociale di tipo piramidale, fortemente centralizzata e gerarchizzata, più simile alle società del Vicino Oriente che a quelle della Grecia successiva. Quanto alla sfera religiosa, vi sono nelle tavolette molte divinità del pantheon greco d’età storica: Zeus, Era, Atena, Poseidone, Artemide, Ares, Dioniso, Ermes, Potnia. Ma esistono anche divinità, alcune delle quali di probabile origine minoica, che in seguito sarebbero scomparse. In ogni caso, si ha l’impressione che nella religione micenea non vi fosse un sistema divinità organizzate gerarchicamente intorno alla figura di Zeus, come avviene nella Grecia di età storica. Il culto prevedeva offerte e sacrifici alle divinità. Il crollo della civiltà micenea avvenne in due fasi. La prima, intorno al 1250-1200 a.C., colpì diversi palazzi (Micene, Tirinto, Pilo, Tebe, ecc.), che non si risollevarono più come sistema socio-politico, ma vissero una vita instabile per circa un secolo o poco più, con una migrazione di gruppi micenei nel Dodecaneso e a Cipro. La seconda alla fine del XII secolo, quando si verificò una nuova serie di distruzioni e abbandoni, seguiti da uno spopolamento pressoché totale nel continente e nelle isole, con qualche nucleo di tradizione micenea che resistette ancora per poi spegnersi, definitivamente, nell’XI secolo a.C. Non si trattò dunque di un evento puntuale, ma di un processo che occupò circa un paio di secoli. Quali ne furono le cause? Sono in campo diverse ipotesi, che vanno dalla catastrofe naturale (terremoti più incendi, siccità prolungata) alle guerre fratricide, all’invasione dall’esterno. Probabilmente concorsero tutti e tre questi elementi, inseriti entro un fenomeno storico più ampio, che riguarda violenti movimenti migratori nello spazio del Mediterraneo orientale. Non va dimenticato, ad esempio, che i dati paleobotanici e la dendrocronologia confermano che sul finire del XIII secolo sia in Africa settentrionale che in Anatolia vi fu un ciclo di pronunciata aridità con effetti immaginabili sulla regolarità e il livello dei raccolti. Inoltre, ciò che emerge dalle tavolette di Pilo è che, nella fase finale della sua vita, il locale regno fu esposto a una minaccia che proveniva dal mare e che vi era scarsità di metalli. Come dicevamo, è probabile che tutte queste 6 difficoltà vadano considerate all’interno di un contesto più vasto: il movimento di popolazioni che interessò in questo periodo il Mediterraneo orientale. Un aspetto di questo fenomeno su vasta scala fu l’invasione dei cosiddetti ‘popoli del mare’, documentata in Egitto intorno al 1220 a.C.; nello stesso periodo anche Ugarit e Cipro furono devastate. Sotto il faraone Ramesse III, agli inizi del XII secolo, una nuova ondata di invasioni mosse dalla Siria e dalla Palestina, in Anatolia il regno ittita sembra disintegrarsi, la costa orientale del Mediterraneo fu devastata. In questo periodo, dunque, non furono soltanto i palazzi micenei a crollare, ma l’intera organizzazione statale della Tarda Età del Bronzo nel Mediterraneo orientale (impero ittita, i regni di Cipro e quelli della Siria; perfino l’Egitto, che pure riuscì a respingere gli invasori, perse buona parte dell’impero del periodo precedente). Ciò – come detto – pare attivato da violenti movimenti migratori, forse causati da forti e ripetute carestie. La memoria di questi movimenti migratori sembra essersi conservata nella tradizione storica greca di Età classica, che riferisce di una serie di migrazioni all’interno del mondo greco nelle generazioni seguenti alla guerra di Troia. Per Tucidide, i Dori erano scesi nel Peloponneso 80 anni dopo la caduta di Troia – una datazione che ci riporterebbe proprio alla fine del XII secolo [UD 2]. Non è facile capire quello che successe; ma è certo che gli equilibri precedenti furono sconvolti nell’intero Mediterraneo orientale, con le immaginabili conseguenze sui traffici commerciali e sui rifornimenti di materie prime. Molto probabilmente le difficoltà originate dai problemi esterni, furono poi sensibilmente aggravate da fattori di crisi interni al mondo miceneo, la cui organizzazione non aveva mai superato uno stadio primitivo di appropriazione di ricchezze e di sfruttamento di strati dipendenti. In ogni caso quanto avvenne cambiò radicalmente gli assetti politici: sulle ceneri dei grandi Stati dell’Età del Bronzo nacque in molte regioni – per esempio in Grecia, nella Siria settentrionale e sulla costa siro-palestinese – una nuova forma di organizzazione al cui centro vi era la città. Ma prima di giungere alla città, trascorsero almeno tre/quattro secoli per noi molto difficili da ricostruire, i cosiddetti ‘Secoli Bui’, ai quali sarà dedicata la lezione di domani. 7 2. La Grecia dei Secoli Bui In questa LEZIONE tratteremo: 1) i principali caratteri del mondo greco durante i Secoli Bui; 2) i poemi omerici come fonte storica; 3) l’invasione dei Dori e la cosiddetta ‘prima colonizzazione’. 1) I principali caratteri del mondo greco durante i Secoli Bui Il periodo che separa la caduta dei palazzi micenei dall’VIII secolo è tradizionalmente noto come Medioevo ellenico, Età Oscura, o periodo dei Secoli Bui (“Dark Ages”). Questa denominazione deriva dall’impoverimento di tutte le regioni della Grecia, dalla diminuzione della popolazione e, soprattutto, dalla scarsità di documentazione archeologica e dall’assenza totale di fonti scritte. Tuttavia è nel corso di questi secoli, ritenuti di stagnazione culturale, che vanno ricercate le origini della civiltà greca come la conosciamo. Essa fu l’esito di un lungo e complesso processo di trasformazione che giunse a compimento nell’VIII secolo, ma le cui premesse ed i cui fondamenti vanno ricercati proprio nell’Età Oscura. Nel lungo periodo di transizione fra la civiltà micenea e la civiltà greca, la cesura nelle forme di gestione del potere fu netta e fu accompagnata da una radicale trasformazione della società. Anche se singoli elementi dell’organizzazione politica precedente sopravvissero nei secoli seguenti, essi subirono un processo di profonda trasformazione e si trovarono inseriti in un sistema politico-sociale radicalmente diverso. Se la distruzione dei palazzi micenei segnò una netta discontinuità nella storia politica ed economica del mondo greco, in altri ambiti, come quello delle credenze religiose, i tempi del cambiamento furono meno rapidi e si riscontrano fenomeni di persistenza nel lungo periodo. Si tenga tuttavia presente che i più recenti risultati della ricerca archeologica hanno portato a riconsiderare in maniera più articolata il periodo in questione, evidenziando come tra un secolo e l’altro, così come tra una regione e l’altra del mondo greco, la transizione si svolse in tempi e modi diversi, con differenze tutt’altro che trascurabili. I segni materiali dei cambiamenti intervenuti nella penisola greca dopo il crollo degli stati micenei sono molteplici, soprattutto nella prima parte dei Secoli Bui (XII-XI secolo). Assistiamo in primo luogo ad una grande rarefazione della modalità insediativa: i pochi insediamenti rimasti sono tutti di piccole dimensioni ed isolati gli uni dagli altri. Le abitazioni sono modeste: scompare del tutto l’architettura monumentale, sostituita da edifici poco appariscenti costruiti con pietre di piccole dimensioni e mattoni di fango. Probabilmente la pastorizia e non l’agricoltura costituisce in questa fase la principale attività produttiva. Questo mondo demograficamente impoverito è privo, almeno inizialmente, di segni visibili di una centralizzazione del potere o di una stratificazione sociale. Se in precedenza i membri delle famiglie dominanti erano sepolti in grandi tombe a tholos, mentre i sudditi erano ospitati in tombe a camera 1 scavate nella roccia, ora invece si diffondono varie forme di sepoltura individuali senza distinzione di status (con il prevalere dell’incinerazione). La cultura materiale si impoverisce notevolmente. Scompaiono tutte le espressioni artistiche legate al palazzo, come la pittura parietale, e le forme di artigianato altamente specializzate, come l’oreficeria e la lavorazione dell’avorio, sono del tutto assenti o attraversano una grave recessione. Per quanto riguarda la ceramica, si registrano un impoverimento della cultura figurativa ed una regionalizzazione degli stili ceramici: a dominare è la cosiddetta barbarian ware (“ceramica barbara”), vasellame fatto a mano, di stile molto povero. Scompare inoltre qualsiasi forma di scrittura (con l’unica eccezione di Cipro, l’isola in cui si insediarono gruppi micenei in fuga dal continente, in cui sopravvive una scrittura sillabica detta “ciprominoica”). È un mondo, infine, in cui le relazioni con l’esterno subiscono un brusco e netto calo. La scomparsa della metallurgia del bronzo, che era stata così preminente in epoca micenea, segnala che in questa fase sono venute meno le correnti di traffico che avevano rifornito la Grecia micenea di rame e stagno. Tuttavia, questo fatto portò allo sviluppo ed alla diffusione, durante i Secoli bui, della metallurgia del ferro, che rappresenta di per sé un progresso tecnico, dato che la lavorazione di questo metallo richiede temperature di fusione più alte ed una maggiore abilità artigianale. Il ferro, a differenza del rame e dello stagno, si ritrova in molte località della Grecia e la sua diffusione rese le comunità locali autonome nel settore dell’approvvigionamento dei metalli. Per quanto riguarda l’organizzazione politica, si ha l’impressione che le comunità di villaggio sopravvissute al crollo della civiltà micenea si siano presto ristrutturate su nuove basi, probabilmente con il progressivo prevalere di capi locali che discendevano dal qasireu miceneo. Quello che nel periodo precedente era un dignitario locale, in Età Oscura sembra essere sopravvissuto come l’unica autorità in grado di esercitare una qualche forma di potere nel proprio ambito di riferimento. Che sia avvenuto un processo di questo tipo lo deduciamo dal fatto che il termine qasireu ha dato origine in greco alla parola basileus, “re”, il quale costituisce nei poemi omerici il capo di una comunità. Le caratteristiche dei basileis (plurale di basileus) che vediamo all’opera nei poemi omerici sono però molto diverse, come diremo a breve, da quelle del sovrano miceneo (non a caso la parola wanax sopravvive nell’epica solo come epiteto onorifico o divino). Ovviamente non dobbiamo immaginare questa lunga fase di riorganizzazione politica come un processo lineare che caratterizzò tutti i nuovi insediamenti in egual misura, ed è anzi probabile che le comunità che emersero durante i Secoli Bui non abbiano avuto tutte la stessa struttura sociale o la stessa forma di gestione del potere, anche se alle soglie dell’Età arcaica sembrano generalmente prevalere élites composte da gruppi familiari aristocratici. In questo contesto, già a partire dalla metà del X secolo si registrano importanti segni di ripresa, soprattutto in alcune aree della penisola greca. I corredi funerari tendono a diventare più ricchi e segnalano non solo una maggiore prosperità, ma anche l’emergere, a livello sociale, di quelle élites aristocratiche a cui abbiamo fatto cenno. Si riattivano anche i contatti commerciali con il bacino orientale del Mediterraneo e si assiste, in generale, ad una certa crescita demografica. Tra le aree più interessate da questi fenomeni possiamo citare qui sia l’Eubea che l’Attica. Ad Atene non si registrano tracce di distruzione nel XII e nell’IX secolo e l’acropoli sembra essere stata abitata già in epoca submicenea. Ciò sembra indicare che non vi furono minacce esterne e può aiutare a spiegare la precoce crescita economica di quest’area nel X e IX secolo. Atene fu anche il più antico centro di produzione della ceramica di stile Protogeometrico (ca. 1000-900 a.C.), che da lì si diffuse in altre aree, soprattutto nell’istmo di Corinto, nell’Argolide, in Eubea e nelle isole Cicladi. Questo stile è caratterizzato da nuovi motivi decorativi, da un’argilla di migliore qualità e 2 dall’adozione di due innovazioni tecniche: il tornio veloce e l’uso combinato di compasso e pennello multiplo. Il Protogeometrico evolverà poi nello stile Geometrico (900-700 a.C.), che segna un ulteriore progresso dal punto di vista artigianale e sostituisce definitivamente i meandri ai cerchi e semicerchi come principale motivo ornamentale. Intorno al 750 a.C. irrompe poi nel repertorio figurativo la figura umana, con scene di varia natura – processioni di carri, navi, scene di battaglie, esposizione di defunti – che danno luogo a rappresentazioni di una certa complessità su numerosi grandi vasi di eccellente fattura venuti alla luce nel cimitero ateniese del Dipylon, destinato a diventare in età storica la principale area necropolica della città. Questi vasi monumentali erano usati come segnacoli delle sepolture di membri dell’aristocrazia, una classe sociale che in Attica sembra aver raggiunto prima che altrove una grande ricchezza. Per quanto riguarda l’Eubea, lo scavo dell’abitato e della necropoli di Lefkandi è stata una delle scoperte archeologiche più sorprendenti degli ultimi decenni ed ha contribuito in maniera determinante a modificare la ricostruzione storica dell’Età Oscura. Il sito moderno di Lefkandi si trova sulla costa occidentale dell'isola di Eubea, al centro della ricca pianura di Lelanto, a metà strada fra Calcide ed Eretria, due città che avranno un ruolo di grande rilievo nella prima fase dell’Età arcaica. In questo sito, precisamente nella località di Toumba, è stato portato alla luce nel 1981 un notevole edificio, lungo 45 m e largo 10 m, absidato, databile alla prima metà del X sec. a.C., che ha pochi paralleli nel mondo greco (uno pressappoco contemporaneo, ma su scala molto minore, è stato scoperto a Nichoria in Messenia). Esso non ha niente in comune con i palazzi micenei e adopera una tecnica inedita, con muri di mattoni crudi su uno zoccolo in pietra e una colonnata esterna di pilastri di legno. Al centro c'era una tomba divisa in due parti. Nell’una, all’interno di un contenitore di bronzo di fattura cipriota e decorato con scene di caccia, vi erano le ossa cremate di un uomo avvolte nella stoffa e con accanto delle armi, e una sepoltura femminile con un ricco corredo di oggetti, anche in metalli preziosi, alcuni dei quali di provenienza vicino-orientale. Nell’altra vi erano gli scheletri di quattro cavalli, due con i morsi in bocca. Il fatto che l’edificio sia stato volutamente sepolto sotto un tumulo di terra accuratamente sistemato lascia aperta la questione se si trattasse di una dimora principesca trasformata in tomba dopo la morte della coppia oppure di un vero e proprio heroon (cioè un monumento funerario che ospita le spoglie di un individuo innalzato al rango di eroe) edificato a somiglianza di una dimora principesca. Dopo la sepoltura dell’edificio nell’area circostante cominciano a sorgere altre tombe, forse appartenenti al seguito del capo sepolto nell’edificio principale o agli individui che presero il potere dopo di lui, contenenti ricchi corredi fatti di armi, gioielli, contenitori di bronzo importati da molte località del Mediterraneo orientale e ceramica di alta qualità. Si tratta di oggetti che parlano di importanti contatti con il mondo esterno, soprattutto con l’Oriente, contatti che si rafforzeranno nel corso del IX sec. a.C. Non è un caso che a partire dall'825 a.C. ca., nell'emporio di Al Mina, sulla costa della Siria alla foce del fiume Oronte, cominci ad apparire ceramica greca di fattura attica ed euboica: evidentemente è proprio questa comunità, che sarà soppiantata successivamente da Calcide ed Eretria, la protagonista della ripresa dei contatti commerciali a lunga distanza che si erano interrotti con il crollo dei palazzi micenei. In ogni caso, il sito di Lefkandi rivela l’esistenza di un processo di stratificazione sociale e politica, in cui, dopo la morte dell’individuo eccezionale a cui venne riservata una sepoltura del tutto peculiare, non emerse una figura simile ma piuttosto un gruppo di élite che in qualche modo si rifaceva a tale personaggio, la cui ricchezza era sicuramente legata al controllo degli scambi con l’Egeo e con il bacino orientale del Mediterraneo. 3 Un altro fenomeno importante riguardante l’Età Oscura è rappresentato dall’interesse che gli abitanti del mondo greco di questi secoli mostrano verso le testimonianze del loro passato – un passato ormai molto diverso dal loro presente ed in gran parte sconosciuto. Essi vivono in un paesaggio profondamente segnato dalle vestigia di tale passato, come mura poderose e tombe monumentali, che dovevano suscitare stupore e ammirazione. Tutto ciò deve aver contribuito ad alimentare in loro l’idea di una gloriosa civiltà che aveva preceduto i tempi presenti ed al quale si sentiva la necessità di riallacciarsi. A partire dall’Età Oscura le rovine delle strutture dell’Età del Bronzo vengono investite di significati nuovi ed integrate nella cultura contemporanea. Ad esempio, un luogo di culto comunitario sorge sui resti del megaron di Micene (la sala che costituiva il cuore del palazzo miceneo) e la stessa cosa probabilmente accade con l’Heraion di Argo e con il Telesterion di Eleusi. In generale, gli scavi archeologici hanno portato alla luce molte aree santuariali verso la fine dei Secoli Bui, non necessariamente in zone dove sorgevano in precedenza palazzi o luoghi di culto micenei. All’inizio tali aree sono prive di strutture architettoniche e si segnalano solamente per la presenza di tracce di offerte e pratiche sacrificali, mentre le prime strutture cominceranno a sorgere all’inizio dell’Età arcaica [UD 3]. I santuari si trovano talora al centro di quella che diventerà una città o sulla sua acropoli, oppure ai suoi confini, quasi a sancire l’occupazione di un determinato territorio: è uno dei segnali più vistosi dell’esistenza di comunità stabili che si identificano in un dio e si radicano in un determinato territorio. Un altro esempio di rifunzionalizzazione delle vestigia del passato è quello della diffusione dei culti eroici. I grandi tumuli funerari micenei diventano anch’essi luoghi di devozione e di culto, come rivelano le tracce di offerte e di sacrifici e i resti materiali, come ceramiche o figurine di terracotta. Essi sono reinterpretati come le sepolture degli antichi eroi protagonisti del patrimonio di miti e leggende che circolavano in Età Oscura riguardo al passato glorioso del continente greco. Un esempio per tutti: a Olimpia, nell’Elide, un tumulo di età micenea viene identificato con la tomba dell’eroe Pelope e diventa il fulcro del santuario che sorgerà progressivamente in quest’area, dove, a partire dal 776 a.C., si terranno i celebri Giochi Olimpici (nel mito l’istituzione dei giochi è legata alla figura di Pelope). Il santuario olimpico costituisce un esempio di quei luoghi di culto extra urbani che iniziano a sorgere in aree non direttamente dipendenti da un abitato, ma piuttosto all’incrocio di assi viarie e che tendono a divenire luoghi di raccolta e di scambio per le popolazioni circostanti, prima a livello regionale e poi, in alcuni casi, anche a livello interregionale. In questa rivitalizzazione di luoghi connessi a un passato eroico, ebbe un ruolo decisivo la diffusione dell’epopea omerica; o meglio: la diffusione dell’epica e quella dei culti eroici sono fenomeni che appartengono allo stesso clima socio-culturale. È durante i Secoli Bui, infatti, che si crea il patrimonio di miti e leggende riguardanti una generazione di eroi che troverà in Omero il proprio cantore ed in cui sopravvive e viene ricreato il glorioso passato perduto delle epoche precedenti. 2) I poemi omerici come fonte storica I poemi che oggi conosciamo con il nome di Iliade e Odissea sono le opere più antiche e più celebri dell’intera letteratura greca e traggono entrambi origine dal complesso di miti sorto attorno alla guerra di Troia, vale a dire la spedizione condotta da una coalizione di eserciti greci guidata da Agamennone, re di Micene, contro una città fortificata dell’Asia Minore nordoccidentale che, a partire dalle scoperte archeologiche di Heinrich Schliemann (1872-1874), è stata identificata con la collina di Hissarlık. L’Iliade, che conta ca. 15.000 versi, è dedicata ad un episodio – l’ira di Achille – che cade nel decimo anno del conflitto; l’Odissea, di ca. 12.000 versi, narra invece il lungo e faticoso rientro in patria di 4 Odisseo, uno dei re partiti dalla Grecia alla volta dell’Asia Minore. I due poemi, giunti sino a noi dopo un lungo processo di assestamento del testo, sono gli unici superstiti di un più vasto ciclo epico troiano, che comprendeva opere per noi perdute come le Ciprie (che ripercorrevano le origini e lo svolgimento della guerra di Troia) e i Nostoi (i “ritorni” in patria di altri protagonisti della guerra troiana). Il dibattito sulla storicità della guerra di Troia non si è mai spento e probabilmente non si spegnerà mai; ma c’è accordo sul fatto che uno degli strati di distruzione documentati sull’altura fortificata di Hissarlik, che domina la pianura dei fiumi omerici dello Scamandro e del Simoenta (precisamente lo strato indicato come VIIa), corrisponde a un incendio che avrebbe distrutto la rocca di Troia intorno al 1200 a.C. Questo è anche il periodo nel quale gli eruditi greci di età ellenistica collocavano la guerra cantata dall’epica in base ai loro calcoli cronologici. In questa prospettiva, si tratterebbe dunque di un evento dell’ultima fase della storia della Grecia micenea. Ciò che possiamo dire riguardo ai poemi omerici è che uno o due aedi (“cantori”) vissuti nell’VIII sec. a.C., originari della grecità ionica (la tradizione più diffusa vuole che Omero fosse nato nell’isola ionica di Chio), raccolsero una ricchissima tradizione di miti e leggende formatasi su un nucleo risalente all’Età micenea e trasmessa alle generazioni successive per via esclusivamente orale. I materiali epici confluiti nell’Iliade e nell’Odissea furono dunque messi per iscritto in una forma molto simile a quella che noi leggiamo non più tardi del 700 a.C. (quando, come vedremo più avanti, la scrittura alfabetica si era diffusa nel mondo greco [UD 3]), al termine di una lunga fase in cui la loro circolazione era stata puramente orale, affidata cioè alle performances di aedi nel palazzo di un principe o in presenza di un’intera comunità. La Grecia in cui i poemi circolavano in forma orale era perciò quella dei Secoli Bui: quanto di quel mondo è rispecchiato nella sfera della vita quotidiana che emerge dai due poemi omerici? È chiaro che in molti casi il poeta rievoca un passato ormai tramontato rispetto al periodo nel quale i poemi sono stati fissati per iscritto; per esempio quando parla di armi e altri manufatti di bronzo (il ferro quasi non esiste nei poemi omerici) o quando descrive i guerrieri che vanno in battaglia a bordo di veicoli, i carri da guerra, che erano scomparsi dall'orizzonte greco alla fine dell’Età micenea. Al di là di questi lontani echi del passato miceneo, tuttavia, la società descritta nell'Iliade e nell'Odissea è sostanzialmente la società dell’ultima parte dei Secoli Bui, popolata di basileis che gareggiano fra loro per primeggiare, che si arricchiscono con il bottino della guerra e delle razzie, che hanno uno spiccato senso dell'onore e che sono ciascuno a capo di una grande casata (oikos). La parola basileus, che deriva dal miceneo qasireu, come detto, si traduce comunemente con “re”. Non si tratta tuttavia di un sovrano assoluto, ma di un primus inter pares, un capo preminente tra altri capi, chiamati anch’essi basileis. Il suo seguito è costituto dagli altri basileis o capi aristocratici che lo riconoscono come guida e dal demos, la gente comune che vive nel territorio sul quale il basileus preminente e gli altri capi esercitano la loro autorità. Nel prendere le decisioni il basileus consulta spesso un consiglio di cui fanno parte i capi delle famiglie aristocratiche. C’è anche un’assemblea del demos, ovvero degli uomini in armi, che viene convocata per capire quale sia l’orientamento del popolo e che può essere chiamata ad approvare proposte per acclamazione o ad esprimere il dissenso con silenzi e mormorii, anche se la decisione finale spetta sempre al basileus. Il basileus è l’elemento intorno al quale ruota non solo il governo della comunità e l’amministrazione della giustizia, ma anche la vita religiosa, dato che a lui spetta presiedere, a nome di tutta la comunità, i riti ed i sacrifici pubblici in onore degli dei. Il basileus preminente è chiamato costantemente a dimostrare la propria eccellenza, sia in pace che in guerra (nel guidare i suoi uomini in battaglia così come nel prendere le decisioni più giuste), e la sua autorità può essere messa in discussione se egli non si dimostra all’altezza. Guerre e razzie sono le principali attività del basileus e del suo seguito, in cui il basileus dimostra le proprie 5 doti di capo combattendo sempre in prima linea ed in cui tutti si arricchiscono in proporzione al proprio ruolo. Le relazioni sociali sono basate sulla reciprocità. In cambio dei vantaggi che la sua leadership porta a tutto il suo seguito, gli altri capi ed il demos garantiscono al basileus sia onore che beni materiali. Se la sua leadership non si dimostra più all’altezza o il basileus non ripartisce i vantaggi materiali nella giusta proporzione, il suo seguito può abbandonarlo ed egli può essere sfidato e rimpiazzato da un capo più adeguato. Il codice di valori degli eroi omerici è quello tipico di una società di guerrieri. Onore, gloria e ricchezza sono il risultato dell’audacia e della bravura in battaglia ed i guerrieri competono l’uno con l’altro per accaparrarseli in misura maggiore degli altri. Lo spirito di competizione permea ogni aspetto della vita sociale, al di là dei generi e delle classi sociali (si compete in battaglia o nelle competizioni atletiche così come nell’esercitare il proprio mestiere e nell’esibire le proprie doti domestiche), e lo scopo di ogni competizione è quello di riuscire primi e guadagnare il riconoscimento pubblico dei propri meriti (timé, in greco), spesso rappresentato da un premio tangibile, come una maggiore porzione di bottino, un posto d’onore, ricchi doni, schiavi, donne o terra. La ricchezza è un segno materiale dell’onore e del rispetto che ci si è guadagnati in base alle proprie doti ed è sia esibita, per esprimere il proprio potere, sia ‘spesa’ per guadagnare maggiore influenza e prestigio grazie allo scambio di doni. Si vedano alcuni passi del'Iliade ad illustrazione di quanto detto. Iliade VI, 441-446: "Donna, anch’io, sì, penso a tutto questo; ma ho troppo rossore dei Teucri, delle Troiane lungo peplo, se resto come un vile lontano dalla guerra. Né lo vuole il mio cuore, perché ho appreso a esser forte sempre, a combattere in mezzo ai primi Troiani, al padre procurando grande gloria e a me stesso". Iliade XII, 310-321: "Glauco, perché noi due siamo tanto onorati con seggi, con carni, con coppe numerose in Licia e tutti guardano a noi come dèi, e gran tenuta abitiamo in riva allo Xanto, bella d’alberata e arativo ricco di grano? Ora bisogna che noi, se siamo fra i primi dei Lici, stiamo saldi e affrontiamo la battaglia bruciante, perché qualcuno dei Lici forti corazze dica così: «Non ingloriosi davvero comandano in Licia i re nostri e grasse greggi si mangiano e vino scelto, dolce come il miele; ma han forza grande, perché tra i primi dei Lici combattono!»". Iliade II, 225-242: "Atride, di che ti lamenti? Che brami ancora? Piene di bronzo hai le tende, e molte donne sono nelle tue tende, scelte, ché a te noi Achei le diamo per primo, quando abbiam preso una rocca; e ancora hai sete d’oro … o vuoi giovane donna … ? Ma non è giusto che un capo immerga nei mali i figli degli Achei. Ah poltroni, brutti vigliacchi, Achee non Achei, a casa, sì, sulle navi torniamo, lasciamo costui qui, a Troia, a digerirsi i suoi onori, che veda se tutti noi lo aiutavamo o no. Egli che adesso anche Achille, un uomo migliore di lui, ha offeso; ha preso e si tiene il suo dono, gliel’ha strappato! Davvero ira non v’è nel cuore d’Achille, è longanime, se no, Atride, ora per l’ultima volta offendevi!". L’organizzazione sociale e politica della società omerica si distingue da quella micenea per una struttura più orizzontale del potere, dove prestigio sociale e potere politico sono condivisi dalle famiglia aristocratiche di cui fa parte il basileus. Rispetto a quanto osserveremo in ambito poleico, tuttavia, le strutture politiche come il consiglio e l’assemblea sono ancora fluide e non si riscontra il senso di appartenenza ad una comunità. Nello stesso tempo, il mondo omerico presenta, talora in forma ancora embrionale, molti aspetti che caratterizzeranno anche in seguito la civiltà greca, soprattutto nell’ambito della religione, dell’assetto economico e sociale e del sistema di valori. Ciò spiega come i poemi omerici siano rimasti a lungo per i Greci una sorta di enciclopedia in cui essi 6 trovavano le ragioni della loro specifica identità e le radici della loro visione del mondo, dell’individuo e delle relazioni interpersonali. 3) L’invasione dei Dori e la cosiddetta ‘prima colonizzazione’ L’Età Oscura è anche il periodo in cui si colloca la migrazione di genti dal continente greco verso le coste dell’Asia Minore. Tale fenomeno, noto convenzionalmente (ma non del tutto correttamente) come ‘prima colonizzazione’, ebbe probabilmente luogo intorno all’XI-X secolo a.C. e portò al popolamento, da parte dei Greci, della fascia costiera occidentale della penisola anatolica. All’inizio dell’Età arcaica, a seguito di tale migrazione, il mondo greco appare diviso in tre gruppi etnici, ognuno parlante un diverso dialetto della lingua greca: il dorico, lo ionico e l’eolico. In particolare, i Dori – coloro che parlavano il dialetto dorico – risultano stanziati nella Grecia nord- occidentale, in buona parte del Peloponneso (Argolide, Laconia, Messenia, Corinto, Megara), nelle isole di Citera, Melo, Tera, Creta, Rodi, Cos e Calimno, e nella sezione meridionale della costa occidentale dell’Asia Minore. Gli Ioni – parlanti il dialetto ionico – risultano stanziati in Attica, in Eubea, nelle isole Cicladi e nella sezione centrale della costa occidentale dell’Asia Minore (nota, non a caso, come Ionia). Gli Eoli – parlanti il dialetto eolico – risultano stanziato nella Tessaglia, in Beozia e nella sezione settentrionale della costa occidentale dell’Asia Minore. Il dato della distribuzione dei dialetti, ed in particolare la collocazione dei Dori, ha indotto molti studiosi a ritenere che dopo la caduta dei regni micenei, o in concomitanza con essa, vi sia stato un movimento da nord a sud di popolazioni doriche che, partendo dalla Grecia nord-occidentale, si insediarono progressivamente in alcune aree del Peloponneso e poi nelle isole, sino alla sezione meridionale della costa microasiatica. Fanno eccezione l’Arcadia, nel cuore del Peloponneso, dove si è conservato un dialetto molto simile al greco documentato dalle tavolette in Lineare B, e l’isola di Cipro nel Mediterraneo orientale (l’isolamento dell’Arcadia si spiega per la sua natura di bacino chiuso interamente circondato da montagne, mentre Cipro potrebbe essere stata raggiunta da Micenei in fuga dal Peloponneso). Tale movimento avrebbe a sua volta innescato la migrazione di parte degli Ioni dall’Attica e dall’Eubea verso la costa centrale dell’Asia Minore e di una parte degli Eoli della Tessaglia e della Beozia, che, passando per Lesbo, raggiunsero la costa settentrionale dell’Asia Minore. Come detto in precedenza, anche i Greci di età storica ritenevano che il periodo successivo alla guerra di Troia fosse stato caratterizzato da una serie di migrazioni e turbolenze all’interno del mondo greco, che sarebbero culminate, ottanta anni dopo la caduta di Troia, nella discesa dei Dori nel Peloponneso insieme agli Eraclidi (Tucidide I, 12.1-3) – una datazione che ci riporterebbe, allineando la cronologia antica con la nostra, alla fine del XII secolo. Secondo la leggenda, Eracle, vissuto nella generazione precedente la guerra di Troia, vantava un diritto di possesso su tre regioni del Peloponneso: Messenia, Laconia e Argolide. Dopo la morte di Eracle, trascorsi ottanta anni dalla guerra di Troia, i suoi successori, gli Eraclidi, che nel frattempo erano stati espulsi dal Peloponneso, cercarono di far valere questi diritti. I Dori, abitanti di una piccola regione della Grecia centrale, vennero in loro aiuto fornendo loro l’esercito. Dopo una serie di peripezie, i tre Eraclidi (cioè discendenti di Eracle) Temeno, Cresfonte e Aristodemo, riuscirono nel loro intento e si insediarono nel Peloponneso. Con l’esclusione dell’Arcadia, in cui continuarono a vivere gli abitanti originari rimasti neutrali, e dell'Elide, che fu data a un certo Ossilo in cambio dell’aiuto prestato agli Eraclidi, i tre si spartirono il resto: Temeno ottenne Argo e l’Argolide, Cresfonte (che secondo una tradizione ostile avrebbe truccato il sorteggio) ottenne la Messenia, ed Euristene e Procle, i figli di Aristodemo succeduti al padre che nel frattempo era morto, ebbero la 7 Laconia, la regione al cui centro vi era la città di Sparta (una città che fu retta in tutta la sua storia da due re, rappresentanti delle dinastie degli Agiadi e degli Euripontidi, che risalivano appunto ai figli di Aristodemo, rispettivamente Euristene e Procle). Il mito del ritorno degli Eraclidi fu creato sicuramente in un’età molto antica dagli stati dorici del Peloponneso, Sparta e Argo soprattutto, che avevano interesse ad ancorare in un lontano passato la supremazia che essi esercitavano sulla Laconia e la Messenia (Sparta) e sull'intero distretto dell’Argolide (Argo). Nel caso di Sparta tale supremazia si basava sulla conquista violenta (il dettaglio del sorteggio truccato da parte di Cresfonte fu chiaramente inventato per giustificare l’annessione della Messenia da parte di Sparta, avvenuta già nel VII sec. a.C.) [UD 7], mentre la presa di Argo sul resto dell’Argolide era soggetta a contestazione da parte di altre città. In entrambi i casi era dunque utile una ‘giustificazione’ mitica per legittimare le rispettive supremazie. Secondo una tradizione analoga, riguardante Atene e gli Ioni, una parte di coloro che abitavano l’Attica e l’Eubea, ai quali si unirono gruppi provenienti dal Peloponneso, forse in fuga davanti agli invasori, partirono da Atene e, attraversato l'Egeo, fondarono una serie di insediamenti sulla costa dell’Asia Minore (tra i quali il principale era la città di Mileto). Anche in questo caso la tradizione può essere stata alimentata da precisi interessi politici e propagandistici. Per esempio, quando nel 499 a.C. gli Ioni d’Asia si ribellarono alla Persia e chiesero l’aiuto militare degli Ateniesi, avevano tutto l’interesse a chiamare in causa l’affinità di stirpe che li legava a loro [UD 10]. Anche Atene, quando, nel V secolo, attraverso la Lega delio-attica, arrivò ad esercitare il proprio dominio sugli Ioni d’Asia, poteva legittimare sulla base di tale tradizione, che ne faceva la madrepatria degli Ioni, la propria supremazia [UD 11]. Per noi è interessante notare come il mito del ritorno degli Eraclidi e le altre tradizioni collegate, benché contengano senza dubbio elementi aneddotici e propagandistici, vengano a coincidere, nel nucleo essenziale del racconto, con la tesi della migrazione dorica. È vero che la presunta invasione dei Dori non sembra aver lasciato tracce evidenti nella documentazione archeologica – ragione per cui molti studiosi dubitano che tale migrazione sia effettivamente avvenuta. Tuttavia, altri studiosi, ed in particolare i linguisti, ritengono invece che la migrazione dorica sia la spiegazione più plausibile per dare conto della dislocazione dei dialetti greci del primo millennio, anche se si preferisce pensare non tanto ad una migrazione di massa o ad un’invasione, ma piuttosto ad un processo durato a lungo, quasi una sorta di infiltrazione, durante la quale i nuovi arrivati (cioè i Dori) ebbero tutto il tempo di assimilarsi ai sopravvissuti e fondersi con essi (ragione per cui il loro arrivo non avrebbe lasciato tracce rilevanti a livello archeologico). 8 3. Il ‘rinascimento greco’ e la nascita della polis In questa LEZIONE tratteremo: 1) il ‘rinascimento greco’; 2) l’introduzione dell’alfabeto; 3) la polis: nascita e caratteristiche. 1) Il ‘rinascimento greco’ L’VIII secolo – dal quale facciamo convenzionalmente iniziare l’Età arcaica (ca. 800 – 479 a.C.) – è un periodo di importanti sviluppi nel mondo greco ed è per questo che si parla impropriamente di un ‘rinascimento greco’ (che segue il periodo dei Secoli Bui, così come il Rinascimento italiano segue il Medioevo nella tradizionale periodizzazione storica). In realtà è più corretto dire che nell’VIII secolo giungono a maturazione una serie di processi già avviati nei secoli precedenti. 1) In varie regioni della Grecia si assiste ad un aumento del numero degli insediamenti e ad un grande incremento delle necropoli, elementi che fanno pensare ad una decisa crescita demografica. 2) L’agricoltura prende il sopravvento sulla pastorizia e si assiste ad una sempre maggiore diffusione della messa a coltura di terre prima incolte. Ciò è confermato anche dalla presenza di modellini di granai in terracotta nelle tombe ateniesi e dai resti di granai rinvenuti in alcuni siti. È difficile dire se sia stata la messa a coltura di nuove terre a favorire lo sviluppo demografico o, al contrario, lo sviluppo demografico a causare la messa a colture di nuove terre. In ogni caso, è chiaro che i due fenomeni vanno di pari passo. È importante anche notare che a beneficiare dell’incremento delle terre coltivabili devono essere state soprattutto le aristocrazie locali. La crescente disparità nella distribuzione della terra tra aristocratici e classi meno agiate è, come vedremo, una delle cause della ricerca di nuove terre che, insieme con altri fattori, ha messo in moto il fenomeno della colonizzazione arcaica [UD 5]. 3) I contatti ed i commerci via mare con il Vicino Oriente e poi con il Mediterraneo occidentale, che già erano ripresi durante i Secoli Bui, si ampliarono notevolmente a partire dall’VIII secolo. Come vedremo, la mobilità umana non riguardò soltanto i commerci, ma anche il mercenariato e la fondazione di colonie lontano dalla madrepatria [UD 5]. 4) Nei luoghi di culto e santuari che stavano già emergendo durante i Secoli Bui [UD 2] comincia progressivamente a diffondersi la struttura architettonica del tempio, inteso come luogo di residenza della divinità. Il primo esempio in ordine di tempo è, intorno all’800 a.C., il santuario della dea Hera (Heraîon) nell’isola di Samo, una grande struttura rettangolare di 37x9 m con portico e colonnato (oltre ad esso, si possono ricordare anche il tempio di Artemide Orthia a Sparta, di Apollo ad Eretria e di Zeus ad Olimpia). 5) L’VIII secolo vede anche l’emergere di santuari e feste religiose che attiravano non solo la comunità locale, ma fedeli da tutto il mondo greco. I santuari panellenici (da pan, “tutto”) ebbero un ruolo molto importante nel rafforzare il nascente senso di identità comune dei Greci (di cui si è 1 detto in precedenza [UD 2]). L’importanza crescente di tali culti, avvenuta in concomitanza con la ripresa dei contatti con il mondo esterno, deve aver reso i Greci sempre più consapevoli delle differenze culturali tra loro ed i non Greci. Oltre al già menzionato santuario di Zeus ad Olimpia [UD 2], che a partire dal 776 ospitava ogni quattro anni i Giochi Olimpici, un altro santuario panellenico che acquistò grande importanza in età arcaica fu il santuario di Apollo a Delfi, nella Focide, sede di un oracolo frequentato sia da Greci che non Greci. Il santuario era gestito da una lega sacra, chiamata anfizionia (gli amphiktiones sono “coloro che abitano intorno”), costituita da dodici popoli, ognuno rappresentato da due delegati nel sinedrio che amministrava il santuario e che organizzava, ogni quattro anni, i relativi agoni (i Giochi Pitici). Le varie comunità greche (e non) che frequentavano il santuario nel tempo deposero numerose offerte votive al suo interno, soprattutto in occasione di vittorie militari o di altri successi, ed in molti casi eressero apposite strutture chiamate thesauroi in cui esporre e conservare tali offerte. L’oracolo delfico fu particolarmente attivo ed influente in epoca arcaica, soprattutto in relazione al fenomeno della colonizzazione [UD 5], ma non fu in grado di svolgere un ruolo di primo piano nel ridurre la conflittualità tra gli stati greci o nell’indurli a fare fronte comune contro minacce esterne come i Persiani. 2) L’introduzione dell’alfabeto I sempre più fitti contatti con il mondo orientale ebbero come conseguenza anche l’adozione di una importante innovazione culturale: la scrittura alfabetica. Il mondo miceneo aveva già fatto uso di una scrittura chiamata convenzionalmente Lineare B, diretta discendente di un’altra scrittura cretese detta Lineare A [UD 1]. Questi due sistemi di scrittura (Lineare A e B) facevano uso di un gran numero di segni, che sono in parte ideogrammi di forma pittografica (simboli grafici che non hanno un valore fonologico, ma riproducono un oggetto o un concetto) e in parte sillabogrammi, segni cioè aventi un valore fonologico sillabico. Data la complessità, l’uso della Lineare B, impiegata (a differenza della Lineare A) per trascrivere una forma arcaica di greco, era riservato a scribi specializzati che lavoravano per conto del palazzo. Con il crollo dei regni micenei si estingue qualsiasi forma di scrittura. Quando essa ricompare, è avvenuto un cambiamento epocale, che attraverso la mediazione degli Etruschi e poi dei Romani ha fornito la forma di scrittura più largamente utilizzata nel mondo occidentale. Non si fa più ricorso a sistemi sillabici (fa eccezione l’isola di Cipro, nella quale il greco locale continuò ad essere scritto in un sillabario apparentato con le scritture ‘egee’), ma ad un vero e proprio alfabeto derivato da un sistema grafico-simbolico di area semitica nord-occidentale, comunemente indicato come fenicio, che comprendeva 22 segni. Essi riproducevano in maniera stabile e senza ambiguità i fonemi, o suoni distintivi, della lingua parlata, e non più, come avveniva nella Lineare B, la loro combinazione in sillabe. L’adattamento non fu così semplice e immediato. Il modello fenicio è un cosiddetto alfabeto ‘consonantico’, cioè un alfabeto che di una sequenza fonica rappresenta graficamente solo le consonanti, perché nelle lingue semitiche le vocali sono soggette ad alternanza per rappresentare le diverse funzioni morfo-sintattiche. Si rese pertanto necessaria una ristrutturazione che portò ad adoperare alcuni segni consonantici dell’alfabeto fenicio per destinarli ai cinque timbri vocalici del greco. Inoltre, alcuni segni che nell’alfabeto fenicio erano utilizzati per fonemi estranei al greco furono utilizzati per esprimere fonemi familiari alla lingua greca e sconosciuti all’idioma fenicio. Il prodotto finale di questa trasformazione non è un unico alfabeto per tutti i Greci: per tutta l’Età arcaica, e per parte dell’Età classica, il mondo greco è caratterizzato da numerosi alfabeti locali, che 2 differiscono gli uni dagli altri per la diversa forma di alcune lettere. Solo a partire dall’età classica inoltrata si diffuse progressivamente l’uso di un unico alfabeto, che corrisponde a quello da noi comunemente definito “alfabeto greco”. Grazie alla facilità con cui poteva essere appreso ed usato, l’alfabeto si rivelò uno strumento infinitamente più duttile e più semplice di quanto non fosse il poco maneggevole sistema ideografico-sillabico della Lineare B. Ciò permetterà al mondo greco di raggiungere con una certa rapidità livelli di alfabetizzazione non più superati sino all’età moderna. Quando e dove, e in risposta a quali esigenze, l’alfabeto greco ha visto la luce? 1) Fino a pochi anni fa si riteneva che il più antico esempio di iscrizione alfabetica greca, l’unico databile a prima del 750 a.C., fossero le poche lettere, di controversa interpretazione, graffite su un vaso proveniente dall’Italia centrale (nel sito dell’antica Gabii) e datato al 775 a.C. ca. Ora si sono aggiunti un altro documento, probabilmente della stessa epoca, proveniente da Gordio in Asia Minore e numerose iscrizioni venute alla luce negli scavi condotti in anni recenti nel santuario di Apollo Daphnephóros a Eretria (sull’isola di Eubea). Altre iscrizioni sono state rinvenute a Methone, nel nord della Grecia, in un insediamento coloniale di Eretriesi dell’VIII sec. Quindi, allo stato attuale delle conoscenze, l’alfabeto fu introdotto nel mondo greco poco dopo l’800 a.C. 2) Quanto al luogo di origine, per lungo tempo il candidato più credibile per l’introduzione dell’alfabeto è stata considerata l’isola di Creta, per via della precocità e della continuità dei suoi rapporti con il Vicino Oriente. Ma non c’è dubbio che i ritrovamenti più recenti, di cui abbiamo appena parlato, accreditino l’ipotesi, già formulata in passato sulla base dei contatti che nei Secoli bui hanno intrattenuto i Greci dell’Eubea con il Levante, che la trasmissione del nuovo strumento di scrittura dal mondo fenicio a quello greco sia avvenuto in ambito euboico. 3) Dal momento che le più antiche testimonianze dell’uso dell’alfabeto in ambito greco riguardano citazioni poetiche ed iscrizioni metriche incise su vasi ed oggetti votivi, mentre i primi esempi dell’uso della scrittura a fini commerciali sono decisamente più tardi, molto studiosi ritengono che l’alfabeto sia stato inizialmente introdotto proprio allo scopo di trascrivere i poemi epici come l’Iliade e l’Odissea. Tuttavia, l’assenza per il periodo più antico di documenti privati di carattere affaristico e commerciale può essere spiegata in altro modo: i partners di uno scambio commerciale adoperavano per i loro scopi supporti non durevoli, come il papiro o pellami o tavolette di legno (di queste ultime si parla nei poemi omerici) o ancora sottili lamine metalliche, che corrono un rischio più elevato di non essere conservati perché spesso fuse e riutilizzate per altri scopi. Al contrario, supporti durevoli come vasi ed altri oggetti posti come dediche votive nei santuari o deposti in tombe si sono preservati molto più facilmente, dando così l’impressione che i primi usi della scrittura fossero di carattere poetico piuttosto che pratico. Tra le più antiche iscrizioni greche, che, come detto, sono soprattutto citazioni poetiche, iscrizioni metriche, segni di proprietà (per lo più sotto forma dei cosiddetti ‘oggetti parlanti’: “io sono di…”, “appartengo a…”), dediche votive, iscrizioni di maledizione, alfabetari ecc., è necessario citare l’esempio certamente più famoso, la cosiddetta ‘coppa di Nestore’. Si tratta di una coppa di fattura rodia trovata a Pithecusse (l’isola di Ischia), non a caso sede di una colonia euboica, risalente al 725 a.C. circa, sul cui bordo è stata graffita un’iscrizione retrograda (ogni riga procede cioè da destra verso sinistra) in alfabeto calcidese (euboico). Essa contiene un’allusione giocosa, a sfondo erotico, alla coppa di Nestore, di cui leggiamo nell’Iliade (XI, 632 sgg.), e rappresenta uno splendido documento della circolazione dell’epos omerico nell’VIII secolo. In seguito, verso la fine del VII secolo, si sviluppa anche l’uso pubblico della scrittura. Il più antico testo legislativo a noi noto, risalente al periodo 650-600 a.C., proviene dalla città di Dreros, a Creta, ed è un decreto della città che vieta l’iterazione della più importante carica pubblica. Si tratta di 3 un’iscrizione ‘bustrofedica’, nella quale la direzione della scrittura cambia da una riga all’altra (esattamente come un bue, gr. boûs, inverte il senso di marcia, gr. stréphei, dopo aver tracciato un solco durante l’aratura di un campo). L’uso pubblico della scrittura si diffuse abbastanza rapidamente e molto presto varie poleis iniziarono a incidere su pietra quei documenti di carattere ed interesse pubblico che si voleva rendere noti e preservare nel tempo, come leggi, trattati interstatali, liste di magistrati e così via. 3) La polis: nascita e caratteristiche Che cos’è la polis greca? Nell’uso comune il termine polis incorpora due diverse accezioni, che in linea di principio devono rimanere distinte. La prima accezione è quella urbanistica: polis indica un insediamento dotato di certe caratteristiche materiali, di solito una cittadella fortificata ed un circuito murario, un’agorá (luogo di raduno del popolo e più tardi anche mercato), santuari, case private, eventuale porto per le città costiere. Ma questi elementi non erano sempre tutti presenti: per esempio Sparta, una delle più grandi potenze greche d’età arcaica e classica, rimase senza mura per buona parte della sua storia. Più importante è perciò l’accezione socio-politica del termine. Da questo punto di vista la polis è una comunità di uomini che si autogoverna, scegliendo in piena autonomia l’ordinamento politico e le leggi che ne regolano la convivenza, perlopiù indipendente (anche se non sempre) da qualsiasi potere esterno. Il nostro termine “città” non è sufficiente per tradurre il greco polis, perché esso pone in primo piano l’aspetto materiale e urbanistico, mentre la polis si identifica, in primo luogo, con i suoi cittadini. Già all’inizio del VI secolo a.C. il poeta Alceo affermava che i cittadini sono il «bastione possente della città»; vale a dire, una polis può in teoria continuare ad esistere fino a quando esistono i suoi cittadini, anche se essi sono stati momentaneamente privati della loro città o ne sono fisicamente lontani. Non solo: quando parlano della polis in quanto comunità politica (per esempio quando riportano una sua deliberazione), le fonti antiche non la designano mai con il toponimo, bensì con l’etnico: non scrivono “Atene ha deciso che…”, ma “gli Ateniesi hanno deciso che...”. Può sembrare un dettaglio trascurabile; in realtà questa è la conseguenza del fatto che l’accezione socio-politica del concetto di polis è nettamente prevalente su quella territoriale. In italiano, per rendere le diverse accezioni della parola polis, si è dunque imposto il termine città- stato. Esso ha il merito di distinguere chiaramente questo tipo di formazione politica da altre tipologie, come lo Stato-nazione o i sistemi feudali, e di avvicinarlo a istituzioni affini, come il Comune medievale, anche se non coglie appieno l’aspetto della polis come comunità di cittadini. In effetti, i cittadini di una polis, a differenza di quanto facciamo noi oggi, non concepivano lo ‘Stato’ come un’istanza di sovranità collocata ad un livello superiore rispetto all’insieme dei cittadini. Ciò è in parte la conseguenza delle dimensioni molto più ridotte che ha la polis rispetto a uno Stato nazionale moderno, cosa che consente una maggiore partecipazione diretta dei cittadini alla vita politica e determina una struttura organizzativa più semplice e snella dal punto di vista burocratico e amministrativo. Ma la prevalenza dell’idea di ‘comunità’ si spiega anche con la riluttanza del cittadino della polis a riconoscere l’esistenza di una fonte di potere e autorità permanente che non nasca dalla volontà dei cittadini (che è invece la nostra visione dello Stato), tanto che alcuni studiosi, portando all’estremo questa posizione, sono arrivati a definire la polis «a Stateless society» (M. Berent), una «società senza Stato». In definitiva, per essere più precisi ed evitare di commettere anacronismi dovremmo usare la parola polis ogniqualvolta ci riferiamo ad una città della Grecia antica in quanto entità politica, anche 4 se nell’uso comune è inevitabile continuare ad adoperare i termini italiani ‘città’ o ‘città-stato’, purché si sia consapevoli delle differenze. La polis greca: le caratteristiche generali I tratti caratteristici della polis possono essere fissati nei seguenti punti, che, proiettati su un orizzonte cronologico non limitato all’Età arcaica, aiutano a capire meglio alcuni aspetti della politica e della società del mondo greco. 1) In ogni polis il centro urbano (gr. asty), dove risiede una parte degli abitanti, e il territorio rurale (gr. chora) sono profondamente integrati fra loro; a differenza del Comune medievale, che distingueva dal punto di vista politico e sociale fra città e contado, in Grecia non vi è alcuna differenza giuridica e istituzionale fra centro e periferia; i cittadini di una polis potevano risiedere indifferentemente nel centro urbano o nella campagna circostante avendo esattamente gli stessi diritti e le stesse prerogative. 2) Non tutti gli abitanti della polis sono polîtai, cioè “cittadini”: i cittadini, in quanto maschi adulti che possiedono determinati requisiti (di discendenza, di censo ecc.), variabili a seconda dei casi, sono una piccola minoranza degli abitanti. Anche quando il concetto di cittadinanza si precisa e si amplia sino ad includere tutti i maschi adulti autoctoni, vi sono comunque gruppi sociali – donne, schiavi, residenti di origine straniera – che pur vivendo nella polis sono esclusi dalla cittadinanza e dalla partecipazione alla sfera politica. Anche la proprietà della terra e delle case, la principale forma di ricchezza, è riservata in via esclusiva ai cittadini. 3) L’esistenza della polis non è legata ad una precisa costituzione, ma è compatibile con tutti i tipi di regime politico: la democrazia, cioè il governo del dêmos, il “popolo”; la tirannide; il regime aristocratico od oligarchico, in cui a governare sono, rispettivamente, gli áristoi, i “migliori”, cioè le famiglie che appartengono alle élites di antico lignaggio, oppure gli olígoi, i “pochi” (solitamente i più abbienti, che sono numericamente inferiori ai meno abbienti, i “molti”). Questi regimi si distinguono per il loro carattere più o meno inclusivo. La democrazia, come nell’Atene di Età classica, è caratterizzata dal fatto che la cittadinanza e l’esercizio dei diritti politici attivi (cioè la partecipazione all’assemblea) e passivi (la possibilità di essere eletti alla maggior parte delle cariche pubbliche) sono estesi a tutti i maschi adulti di condizione libera nati da genitori ateniesi, senza alcuna distinzione in termini di ricchezza. Invece, là dove i diritti politici sono riservati solo alle famiglie di antico lignaggio od a coloro che hanno un determinato censo, solo la parte più nobile o ricca dei maschi adulti partecipa al governo della città, mentre le classi disagiate ne sono escluse. 4) Un tratto comune a tutte le poleis è la loro riluttanza a estendere la cittadinanza al di fuori della cerchia degli autoctoni: la polis è una sorta di club molto esclusivo che non ammette estranei al suo interno. La concessione della cittadinanza ad un residente straniero è un fenomeno rarissimo, legato a particolari benemerenze che un individuo può essersi guadagnato, e talora è di tipo puramente onorario; si tratta cioè di un privilegio di cui l’insignito può fregiarsi, ma privo di effetti pratici. Da questo punto di vista, Roma antica, che per molti tratti della sua storia repubblicana può essere assimilata a una polis greca, si differenzia nettamente dalle poleis: uno dei segreti dell’affermazione della potenza romana, prima in Italia e poi fuori della Penisola, è la disponibilità a inglobare nella civitas individui e comunità stranieri, legandoli a sé con un vincolo più forte di quello derivante dalla semplice conquista. 5 5) Dal punto di vista religioso, le poleis condividono i tratti essenziali delle pratiche cultuali e dei riti comuni a tutti i Greci, ma ciascuna di esse stabilisce un legame privilegiato con una delle divinità che fanno parte del pantheon olimpico, la cosiddetta divinità “poliade”, alla quale è dedicato il santuario principale della polis: Atene è legata in particolare alla dea Atena, Corinto ad Apollo, Argo a Era, e così via. Questo culto religioso è molto importante nel processo di formazione della polis perché, come detto, il santuario principale simboleggia e rafforza il senso di identità e appartenenza dei cittadini alla propria comunità. 6) Infine: la polis è senza dubbio una comunità dotata di una forte identità collettiva e di uno spiccato senso di solidarietà; ma ciò non significa che essa agisca sempre come un’entità compatta o sia totalmente priva di tensioni interne. Al contrario, molto spesso si creano linee di potenziale frattura che nascono dalle tensioni tra gruppi portatori di interessi diversi e che possono arrivare a minare la coesione della polis. Quando tali tensioni assumono i contorni di una contrapposizione radicale tra fazioni, in lotta fra loro per la conquista del potere, si parla di stasis, ovvero di una vera e propria guerra civile, che i Greci consideravano come il peggiore flagello che potesse colpire una comunità. Si rimane colpiti dalla frequenza con cui la stasis si presenta nella storia greca, assumendo i contorni di un fenomeno endemico di cui non è sempre facile individuare le cause. In Età arcaica essa affonda le sue radici prima nell’aspra competizione per il potere fra le élites aristocratiche e poi nei conflitti politici e sociali innescati dal tentativo dei ceti inferiori di accedere alla cittadinanza e alla proprietà della terra. In Età classica si riscontrano spesso tensioni di carattere sociale ed economico: anche se non possiamo parlare di una vera e propria ‘lotta di classe’ nella polis greca, esistono linee di frattura fra ricchi e poveri, fra contadini e proprietari, fra chi è legato al mondo della terra e chi lavora nella sfera dell’economia urbana (artigianato e commercio). Tali tensioni tendono a trasferirsi al campo della politica, concretizzandosi in duri scontri tra sostenitori di regimi politici diversi (ad es. democrazia contro oligarchia), e spesso al campo delle relazioni interstatali, chiamando in causa soggetti esterni (ad esempio, durante la guerra del Peloponneso, Sparta e Atene, per sostenere, rispettivamente, l’instaurazione di regimi oligarchici o democratici). Come nasce una polis? Occorre distinguere fra poleis di nuova fondazione e poleis che si formano, attraverso un processo di trasformazione, su un territorio in cui vi sia continuità d’insediamento. Il primo caso è ben esemplificato dalla fondazione delle colonie, di cui parleremo [UD 5]. Per le seconde abbiamo scarsissima documentazione, situazione che ha da sempre alimentato un vivace dibattito fra gli studiosi. Dal punto di vista archeologico, è stato notato che la nascita, nel corso dei Secoli Bui, dei centri urbani di alcune poleis, come Argo, Atene e Corinto, sembra essere avvenuta attraverso la progressiva fusione di piccoli nuclei insediativi distinti, di tipo villaggio, posti a una certa distanza gli uni dagli altri all’interno di un territorio omogeneo. Questo fenomeno, che i Greci chiamavano sinecismo (gr. synoikismós, dal verbo synoikízein, “unire in un insediamento”), deve essere inteso non come un semplice processo di fusione urbanistica, ma come un parallelo processo di fusione politica, in cui i vari nuclei insediativi si riconoscevano parte della stessa comunità e si dotavano di organi di governo comuni. Naturalmente questo modello non può essere applicato a tutte le poleis: abbiamo documentazione del fatto che alcune poleis si formarono attraverso una graduale espansione a partire da un nucleo insediativo compatto. In alcuni casi questi processi saranno avvenuti pacificamente e progressivamente, mentre in altri avranno comportato anche forme di coercizione violenta di un insediamento a scapito degli altri. 6 Quando nasce la polis in Grecia? Un’autorevole tradizione di studi, ben rappresentata dallo studioso tedesco V. Ehrenberg (autore di un’opera intitolata Lo Stato dei Greci, la cui prima edizione apparve nel 1932), ha collocato la formazione della polis nell’VIII secolo a.C., e in particolare fra i Greci dell’Asia Minore. Esistono poi indizi archeologici del fatto che, intorno al 700 a.C., in molte località della Grecia continentale e insulare dei piccoli insediamenti furono abbandonati a favore di un sito centrale più esteso e popoloso. Ora però si tende a credere che la formazione della polis sia stato un fenomeno processuale che si è prodotto in tempi diversi, e con modalità differenti, nelle varie regioni della Grecia, e in un arco cronologico relativamente lungo, che va dalla parte finale dei Secoli Bui alle soglie dell’Età classica. Ma un momento molto importante per la diffusione del modello della polis dev’essere stato la fondazione di colonie, che riproducevano, in un contesto quanto mai favorevole dal punto di vista sia urbanistico che socio-politico, una tipologia di insediamento già esistente nella Grecia propria. In qualche caso esse probabilmente anticiparono degli sviluppi che la madrepatria non aveva ancora raggiunto. La colonizzazione, in altri termini, può aver prodotto un fenomeno di ‘rimbalzo’ sui Greci della madrepatria. Perché in Grecia si afferma la polis come tipo di formazione politica? È la domanda a cui è più difficile rispondere. La geografia ha avuto il suo ruolo, perché l’accentuata frammentazione politica della Grecia ha sicuramente a che fare con la sua peculiare morfologia: il paesaggio greco si caratterizza per una divisione in un’infinità di cantoni e distretti separati gli uni dagli altri dal mare o dalle montagne. Ma la geografia non spiega tutto. Per esempio, l’Attica, la cui morfologia si presenta molto articolata e che avrebbe potuto favorire la nascita di una serie di poleis distinte, era invece uno stato unitario già nei Secoli Bui. Una delle ragioni dell’affermazione della polis in Grecia risiede certamente nelle particolari circostanze in cui il suo assetto politico si è venuto definendo dopo la caduta dei palazzi micenei. In mancanza di una forte istanza politica centralizzatrice (presente invece in buona parte del Vicino Oriente, come l’Egitto e la Mesopotamia), le comunità greche che emersero dai Secoli bui si trovarono libere di svilupparsi in piena autonomia. In un contesto in cui la popolazione stava aumentando, determinando un più vasto sfruttamento del territorio e delle sue risorse e più frequenti scontri tra comunità vicine, era evidentemente sentita la necessità di una organizzazione più complessa che permettesse di mobilitare in modo efficiente gli uomini e le risorse necessarie per fare fronte a minacce esterne e di rendere più stabile la comunità a livello interno. Questo può spiegare cosa spinse i gruppi dominanti all’interno di ciascuna comunità a “mettere in mezzo” una parte delle prerogative dei singoli individui e delle famiglie più influenti ed a condividere il potere politico e l’amministrazione della giustizia, neutralizzando il più possibile gli effetti negativi della competizione interna, ma nello stesso tempo facendo fronte comune contro qualsiasi ingerenza nella loro vita politica. L’assetto della polis nei primi secoli di vita Prima della fine del VII secolo a.C., quando i primi documenti cominciano ad illuminare l’organizzazione politica della polis, è difficile farsi un’idea della sua articolazione interna. Secondo la tradizione antica, in origine le poleis erano rette da una monarchia ereditaria, che avrebbe 7 gradualmente perso i suoi poteri a vantaggio di una cerchia di famiglie aristocratiche, i cui capi ricoprivano a turno la principale carica politica. Le caratteristiche di questa regalità delle origini vanno eventualmente accostate a quelle di un basileus omerico, il quale, come detto [UD 2], non è un vero e proprio re, bensì un personaggio, a capo di un ricco oîkos, che ha momentaneamente guadagnato una posizione di preminenza all’interno di un gruppo di suoi pari. La base di questo primato è tuttavia instabile: essa è fondata non su un privilegio di carattere dinastico, ma su una posizione di forza e di prestigio che è apparentemente giustificata solo dalla capacità di garantire il successo e il benessere dei sudditi. Come tale il suo potere è condizionato dal controllo aristocratico, quando addirittura non limitato nel tempo. Comunque sia, secondo alcuni ci sarebbero tracce di una monarchia originaria a Corinto, dove il gruppo di famiglie dei Bacchiadi sarebbe subentrato a una monarchia ereditaria e si sarebbe accaparrata la magistratura suprema, quella del basileus ovvero del prìtane, assegnata a turno a uno dei suoi membri. Forse qualcosa di analogo è avvenuto ad Atene, dove il posto dei re sarebbe stato preso dalla carica di arconte, una magistratura prima ricoperta a vita, poi per dieci anni ed infine annualmente. Non solo, con il passare del tempo la massima carica cittadina fu esercitata non più da un solo magistrato ma da un collegio di arconti. In questa presunta evoluzione si osservano tre importanti fenomeni. Innanzi tutto l’istituzionalizzazione delle funzioni di governo, che non appartengono più ad una certa persona o famiglia in quanto tali, ma ad una carica, che può essere ricoperta a turno da diversi individui secondo regole decise di comune accordo e che possiede prerogative anch’esse decise di comune accordo (ed è appunto la carica, indipendentemente dagli individui che la ricoprono, a detenere le funzioni di governo). Non meno importante è la limitazione temporale della carica (per es. un anno), spesso accompagnata dal divieto di reiterazione (come nel caso di Dreros), misure che avevano probabilmente lo scopo di impedire l’accumulo di potere nelle mani della stessa persona e di favorire l’avvicendamento al potere delle famiglie dominanti. Infine, è altrettanto importante la collettivizzazione delle funzioni di governo, che sono progressivamente esercitate non più da un solo magistrato supremo, ma da un collegio di magistrati, sempre allo scopo di limitare l’eccessivo potere dei singoli individui o delle singole famiglie. Accanto alla magistratura suprema si deve poi ipotizzare l’esistenza di un consiglio e di un’assemblea, che non avranno funzionato in maniera molto diversa dalle analoghe istituzioni attestate nei poemi omerici. Naturalmente a quest’altezza cronologica l’esercizio delle cariche pubbliche (magistrature supreme e consiglio) era appannaggio esclusivo delle famiglie aristocratiche. È per questo che si suole caratterizzare questa fase della storia del mondo greco come quella delle ‘aristocrazie’. È probabile che i criteri in base ai quali le élites aristocratiche rivendicavano l’esercizio del potere fossero la possibilità di tracciare la loro discendenza da antenati illustri, la capacità di distinguersi dagli altri per qualità morali (come il valore in guerra) e la ricchezza (soprattutto fondiaria, ma anche in beni mobili acquisiti tramite le attività di scambio). Non sappiamo nemmeno quando si è precisato il concetto di ‘cittadinanza’ per coloro che non erano parte di questo gruppo di famiglie aristocratiche. Nel mondo omerico la posizione dei singoli individui, in particolare dei personaggi di basso rango, è definita non dall’appartenenza a una comunità politica, ma dal rapporto che li lega agli oîkoi del re e dei suoi pari. In questa fase di vita della polis sono un certo numero di capifamiglia aristocratici che decidono di condividere gli uni con gli altri certe prerogative come il potere politico-militare o l’amministrazione della giustizia, probabilmente allo scopo di difendere più efficacemente i loro interessi comuni da nemici esterni ed interni (e cercando di attuare le misure necessarie per neutralizzare gli effetti negativi della competizione endogena). Per il momento sono i membri di queste famiglie che si riconoscono come una comunità di ‘cittadini’ fra loro solidali, dalla quale dovevano essere esclusi sia i membri 8 di comunità esterne che gli individui liberi ma di bassa estrazione sociale (lavoratori a giornata, contadini affittuari, ecc.). Due esempi: la legge di Dreros e l’unificazione dell’Attica ad opera di Teseo I processi sin qui descritti possono essere osservati in due testimonianze di diversa natura e provenienti da due contesti cronologici lontani l’uno dall’altro. La legge di Dreros costituisce il più antico decreto che ci sia pervenuto (ca. 650-600). Esso proibisce l’iterazione, nell'arco di un periodo di dieci anni, della magistratura più importante della città, quella del collegio dei kósmoi. Nel caso che la legge venga violata, è prevista una pesante sanzione economica per il kosmos; i suoi atti sono dichiarati nulli e, soprattutto, egli perderà la sua condizione di membro di pieno diritto della polis. Nel decreto i dámioi sono probabilmente i proprietari terrieri, che a questo livello cronologico coincidono con l’insieme dei cittadini, mentre i «venti della città», sono quasi certamente il Consiglio ristretto o Consiglio degli anziani. Ritroviamo così in questo testo così antico tutte le componenti essenziali delle istituzioni della polis: un’assemblea che riunisce i cittadini di pieno diritto, in questo caso definiti come proprietari della terra; il Consiglio ristretto (l’assemblea e il Consiglio sono gli organi a cui compete la deliberazione politica) e, accanto ad essi, i magistrati, depositari del potere esecutivo e detentori del potere giudiziario (i kósmoi). Scopo della legge è impedire che uno stesso cittadino acquisti troppo potere ricoprendo più volte la magistratura suprema in un arco di tempo relativamente breve: probabilmente, come detto sopra, si vuole rispettare un certo equilibrio tra le famiglie aristocratiche dominanti attraverso una rotazione nelle cariche. La descrizione dell’unificazione dell’Attica è tratta dalla Vita di Teseo di Plutarco, autore greco vissuto a cavallo tra il I ed il II secolo d.C. Egli, seguendo una ben nota tradizione ateniese (si veda anche Tucidide II, 15.2), attribuisce il sinecismo dell’Attica al mitico re Teseo, l’eroe ateniese per eccellenza (come Eracle lo era per i Dori). "Dopo la morte di Egeo, avendo in mente di compiere un’impresa grande e meravigliosa, Teseo riunì tutti gli abitanti dell’Attica in una sola città, e li rese un popolo unico di un’unica città, essi che fino ad allora erano stati divisi e difficili da ricondurre al bene comune di tutti, e che talvolta litigavano tra loro e si facevano guerra. Recandosi dunque presso ogni comunità e ogni famiglia, cercava di convincerli. La gente comune e i poveri accoglievano subito il suo invito; ai potenti proponeva un regime politico senza re e una democrazia, dove ci sarebbe stata per tutti uguaglianza di diritti. Alcuni si convinsero, altri, temendo il suo potere che era già grande e la sua audacia, finirono per assecondarlo, piuttosto che essere costretti con la forza. Abolì dunque i Pritanei, i consigli e le magistrature che esistevano presso ciascuno e istituì in comune per tutti un unico Pritaneo e un unico consiglio, là dove ora sorge la città." Pur facendo uso di termini e concetti chiaramente anacronistici per l’epoca antichissima in cui l’unificazione dell’Attica viene proiettata (Teseo apparteneva alla generazione precedente la guerra di Troia), come “democrazia” ed “uguaglianza di diritti”, la tradizione riportata da Plutarco descrive il processo politico attraverso cui il sinecismo e la nascita di una polis si attuavano (rinunciando cioè alle prerogative locali/individuali per creare istituzioni comuni – si noti che la nascita della polis non comporta il trasferimento degli abitanti dell’Attica nel centro urbano bensì la centralizzazione delle funzioni di governo). Nel passo si esprime anche l’idea che la nascita della polis ateniese sia avvenuta superando i conflitti interni in nome del ‘bene comune’ e ricercando 9 un equilibrio tra i potenti attraverso l’abolizione della monarchia e la creazione di un regime politico che assicurava loro gli stessi diritti. Non solo poleis: lo stato etnico Come è stato accennato in precedenza, nonostante la prevalenza delle città-stato, alcune aree del mondo greco, di solito considerate più arretrate e meno urbanizzate, videro lo sviluppo di una forma differente di organizzazione politica, chiamata stato etnico (da ethnos, “stirpe”). Tra di esse si annoverano alcune regioni della Grecia settentrionale (per es. la Tessaglia), della Grecia centrale (per es. l’Etolia) e del Peloponneso (per es. l’Acaia e l’Arcadia). Si tratta di aree occupate da comunità di villaggio che non si uniscono in un sinecismo, ma che, ritenendo di appartenere allo stesso ethnos, continuano a riunirsi per scopi cultuali intorno ad un santuario comune e danno spesso luogo a forme di cooperazione militare. Col passare del tempo, alcuni di questi stati etnici si sono poi evoluti in stati federali (koinà), dotati di istituzioni politiche centralizzate (come un consiglio e magistrati federali) che si pongono al di sopra delle entità locali, con competenza in politica estera ed altre questioni comuni. In epoca classica avremo modo di parlare della Lega beotica [UD 13]. Il modello dello stato federale, tuttavia, conoscerà una più ampia diffusione ed acquisirà una maggiore centralità sulla scena politica in Età ellenistica [UD 15]. 10 4. Colonizzazione arcaica e introduzione della tattica oplitica In questa LEZIONE tratteremo: 1) la colonizzazione arcaica; 2) l’introduzione della tattica oplitica. 1) Colonizzazione arcaica Il fenomeno della colonizzazione greca (o ‘arcaica’) è naturalmente ben distinto dalla cosiddetta ‘prima colonizzazione’, che riguardò i movimenti di popoli tra le sponde dell’Egeo seguiti al crollo della civiltà micenea. La colonizzazione greca di età arcaica prende avvio nell’VIII secolo e prosegue per gran parte dell’età arcaica, fino al VI seolo. Con questo termine si indica l’insediamento di gruppi di Greci, sia dalla Grecia continentale ed insulare che dall’Asia Minore, in varie regioni del Mediterraneo e del Mar Nero, che danno vita a nuove fondazioni cittadine. Questo fenomeno è solitamente diviso in due fasi, la prima tra la metà dell’VIII e la metà del VII secolo, con destinazione soprattutto l’Italia meridionale e la Sicilia, e la seconda dalla metà del VII alla fine del VI secolo, con destinazione soprattutto l’area del nord Egeo ed il Mar Nero. Colonia/apoikía Il nostro termine “colonia” deriva dal latino colonia (colere = “coltivare”). Le colonie romane e latine erano insediamenti agricoli e militari che, pur dotati di una certa autonomia, facevano parte integrante dello Stato romano, fornivano milizie agli eserciti romani e seguivano la poli

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