Infermieristica Sfera Biofisiologica -1 PDF
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Università degli Studi di Catania
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This document provides an overview of vital signs, including temperature, pain, respiration, and blood pressure. It also discusses how to measure and interpret these signs in healthcare settings, as well as various oxygen therapy devices.
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PARAMETRI VITALI Esprimono le condizioni generali della persona e sono: 1. Temperatura Corporea; 2. Dolore; 3. Frequenza Respiratoria; 4. Frequenza Cardiaca; 5. Pressione Arteriosa. L’accertamento dei segni vitali costituisce la prima parte dell’esame obiettivo, rappresentano una modalit...
PARAMETRI VITALI Esprimono le condizioni generali della persona e sono: 1. Temperatura Corporea; 2. Dolore; 3. Frequenza Respiratoria; 4. Frequenza Cardiaca; 5. Pressione Arteriosa. L’accertamento dei segni vitali costituisce la prima parte dell’esame obiettivo, rappresentano una modalità veloce ed efficace per monitorare le condizioni del paziente ed identificare la presenza di problemi o di valutare la risposta del paziente ad alcuni interventi. L’accertamento dei segni vitali è una componente fondamentale nella collaborazione tra medico ed infermiere, in modo che essi possano determinare lo stato di salute del paziente. Alla prima rilevazione dei parametri vitali del paziente, i valori sono confrontati con i limiti normali, mentre dopo varie rilevazioni i valori usuali del paziente rappresentano un riferimento di base da confrontare con reperti successivi. L’infermiere deve decidere la frequenza con cui rilevare i segni vitali sulla base delle condizioni del paziente e in collaborazione con il medico. I parametri vitali vanno misurati: 1. All’ammissione in una struttura sanitaria; 2. Prima e dopo un intervento chirurgico o una procedura diagnostica invasiva; 3. Prima, durante e dopo la somministrazione di farmaci che influenzano i segni vitali; 4. Quando le condizioni fisiche generali del paziente cambiano (perdita della coscienza, aumento del dolore, ecc.); 5. Quando un paziente riferisce sintomi specifici di malessere (nausea, vomito, vertigini, stanchezza, sentirsi strano, ecc.). Temperatura Corporea Esprime il livello di energia termica prodotta dal corpo umano, la cui produzione deriva principalmente dall'esercizio fisico e dal metabolismo alimentare. Il calore viene disperso poi attraverso la cute, i polmoni e le scorie metaboliche dell'organismo. La temperatura corporea periferica (calore presente sulla nostra cute) è generalmente inferiore alla temperatura centrale dell'organismo (calore contenuto in distretti corporei più profondi, come cuore e cervello), questa inoltre fornisce un valore più significativo rispetto alla temperatura periferica. Negli adulti sani, la temperatura periferica oscilla tra 35,8 e 37,4 °C, mentre la temperatura corporea centrale varia tra 36,4 e 37,3 °C. La temperatura interna del corpo umano rimane relativamente invece costante, intorno ai 37°C; inoltre la temperatura della superficie cutanea pu variare notevolmente in base alle condizioni ambientali e all’attività fisica. Le cellule e i tessuti sono in grado di funzionare solo in un intervallo relativamente ristretto di valori di temperatura (variazioni di qualche decimo di grado nelle 24 ore, minime nelle ore mattutine e massime nelle ore pomeridiane). Misurazione Temperatura: avviene tramite il termometro; quello italiano è graduato secondo la SCALA CELSIUS (in cui lo 0°C corrisponde alla temperatura di fusione del ghiaccio e 100°C alla temperatura di ebollizione dell’acqua). Il termometro clinico è graduato da 35°C a 42°C, ed ogni grado è diviso in dieci parti. Scopo di questa misurazione è : o Ottenere dei dati di base per confrontare le misurazioni successive; o Ricercare le alterazioni della temperatura; o Valutare la progressione della malattia; o Valutare i risultati della terapia prescritta. Dolore Il dolore è un’esperienza emozionale e sensoriale spiacevole associata ad un danno tissutale in atto, potenziale o percepito (descritto) in termini di danno. Dolore acuto: ad inizio recente e probabile durata limitata; Dolore cronico: persiste oltre il tempo normale di guarigione. Scale di Valutazione del dolore: 1. VAS (Scala analogica visiva); 2. VNS (Scala numerica verbale); 3. VRS (Scala valutazione verbale). Respirazione La respirazione è il processo di scambi gassosi che coinvolgono ossigeno anidride carbonica, e viene facilitata dalla ventilazione che consta di due fasi: l’inspirazione, processo attivo nel quale si ha l’introduzione di aria nel corpo; e l’espirazione, processo passivo nel quale si ha l’espulsione di aria. Caratteristiche del respiro sono: ♦ Frequenza Respiratoria: corrisponde al numero di ventilazioni al minuto, e cambia considerevolmente. Maggiore la frequenza cardiaca, maggiore sarà la frequenza respiratoria e viceversa. Negli adulti sani si osserva quasi il rapporto di un atto respiratorio per circa 4-5 battiti cardiaci. Varia con l’età: nei neonati a riposo è di 30-60 atti respiratori al minuto, e diminuisce con l’avanzare degli anni fino a 12-20 al minuto atti nel soggetto adulto. Al di sopra di 20 atti respiratori al minuto, nell’adulto, si parla di Tachipnea; al di sotto dei 12 atti respiratori al minuto si parla di Bradipnea, che può essere conseguente all’assunzione di alcuni farmaci, tipo la morfina solfato. L’assenza di atti respiratori viene denominata Apnea, che, se si prolunga per più di 4-6 minuti, pu provocare vari danni, tra cui danni cerebrali e morte, mentre brevi periodi di apnea causano delle anomalie a livello del ritmo cardiaco. Nel caso in cui si abbia sia un aumento della frequenza che della profondità respiratoria, si parla di Polipnea. ♦ Ritmo Respiratorio: descrive gli intervalli di tempo e di spazio che intercorrono tra un atto ventilatorio ed un altro. I neonati hanno un ritmo meno regolare degli adulti ed anche i bambini piccoli tendono a respirare lentamente per qualche secondo e poi all’improvviso respirare velocemente. Il ritmo respiratorio può dunque essere regolare o irregolare. L’alterazione del ritmo determina dei respiri cosiddetti periodici: o CHEYNE- STOKES: caratterizzato da periodi alternati di ipo/iperventilazione, seguiti da un periodo di apnea (tipico del coma epatico, renale o cerebrale); o BIOT: caratterizzato da periodi di respiri irregolari alternati a periodi di apnea (tipico delle meningiti o traumi cerebrali). ♦ Profondità: indica la quantità di aria che giunge negli alveoli e che verrà successivamente eliminata. Un aumento o riduzione del volume corrente ad ogni atto respiratorio determina un'escursione o movimento toracico più o meno osservabile. I movimenti ventilatori possono essere profondi, facili da osservare, normali o superficiali, difficili da osservare. ♦ Qualità: il respiro normalmente è automatico, e se è calmo e avviene senza sforzo viene definito Eupnoico. Le anomalie qualitative sono di solito caratterizzate dalla comparsa di rumori o di sforzo durante il respiro. In caso di respiro difficoltoso si parla di Dispnea. Misurazione del respiro La rilevazione del parametro del respiro stabilisce un valore base di riferimento per: 1. Ottenere dei dati di base per confrontarli con le successive misurazioni; 2. Ricercare le alterazioni del respiro; 3. Monitorare l’influenza dei farmaci e delle terapie sul respiro; Si devono considerare alcuni elementi prima di rilevare il respiro: Presenza di segni clinici e sintomi di alterazioni respiratorie (dispnea, dolore toracico, tosse, cianosi, ridotto livello di coscienza); Presenza di fattori che influenzano il respiro (età, esercizio fisico, altitudine, postura, dolore, ansia, farmaci, febbre, patologie, ecc.); Determinare la modalità più appropriata per la misurazione. Ossigenoterapia Per ossigenoterapia si riferisce ad una tecnica che consente di somministrare più ossigeno (tramite inalazione) rispetto a quello atmosferico, per prevenire o ridurre l’ipossia. Lo scopo è quello di far sì che la quantità di ossigeno sia adeguata all’organismo, per agevolare anche il trasporto di ossigeno nel sangue e nei tessuti, e viene effettuata quando i pazienti hanno una bassa concentrazione di ossigeno, nei casi si insufficienza acuta e cronica, affinché si riduca lo sforzo respiratorio, o sforzo cardiaco e si migliori l’ossigenazione nei tessuti. DEVICE RESPIRATORI Bombole di ossigeno: una bombola di ossigeno grande contiene 3000 lt di 02G. Le bombole vengono consegnate con capsula di protezione per prevenire gli urti accidentali contro le valvole della bambola, poiché un urto su una valvola aperta potrebbe causarne uno scoppio. Prima che l’ossigeno della bombola venga impiegato, è importante fare un “cracking” della valvola, togliendo polvere e detriti, e consiste nel lasciare leggermente la valvola, da permettere la fuoriuscita di ossigeno pressurizzato; Flussometro: indicatore utilizzato per regolare la quantità di ossigeno somministrata al paziente, collegato alla fonte di ossigeno. Il medico stabilisce la concentrazione di ossigeno da somministrare e l'infermiere ruota la manopola fino a quando non si trova in corrispondenza della quantità prescritta; Analizzatori dell’ossigeno: strumento che misura la percentuale di ossigeno somministrato; Umidificatore: dispositivo che produce piccole gocce d’acqua per evitare la secchezza delle mucose, dovute a flussi superiori ai 4 litri al minuto, o comunque per periodi prolungati, data dall’ossigeno terapia stessa; Occhialini nasali: costituiti da un tubo cavo e da una cannula dalla lunghezza di 2 cm posizionata a livello delle narici del paziente. Il tubo viene posizionato intorno alle orecchie. Consentono somministrazione di ossigeno basse, ideale per pazienti ipossemieci o affetti da patologia polmonare cronica. Le somministrazioni variano in base alle caratteristiche del paziente; Maschera semplice: posizionata sul naso e bocca, permette l'ingresso e la fuoriuscita dell'aria atmosferica dalle aperture nasali. È dotata di un elastico che la mantiene in sede, e permette la somministrazione di livelli di ossigeno più alti rispetto agli occhialini, e la sua efficienza dipende da quanto aderisce al volto, senza una buona aderenza l'ossigeno potrebbe fuoriuscire dalla maschera diminuendo così la sua concentrazione. Un problema con le maschere è determinato anche dalla interferenza con l'alimentazione, e con pazienti ansiosi o claustrofobici perché si sentono in una situazione di soffocamento; o Maschera a ri-respirazione parziale: sistema di somministrazione di ossigeno, tramite il quale un paziente inala una miscela di aria atmosferica e ossigeno dalla sorgente di somministrazione contenuti nel reservoir, questo permette di riciclare ossigeno e dare sfogo a tutta l'anidride carbonica della maschera durante l'espirazione; o Maschera senza ri-respirazione: sistema di somministrazione di ossigeno nel quale tutta l'area esalata viene eliminata dalla maschera. È dotata di valvole unidirezionali che permettono l'inalazione dell'ossigeno dalla sua fonte e viene utilizzata solo per pazienti critici; o Maschera di Venturi: maschera avente un tubo largo, che unisce una precisa quantità di ossigeno e di aria atmosferica grazie al cosiddetto effetto Venturi: si basa sul passaggio dell’Ossigeno attraverso un orifizio che porta un aumento della velocità delle particelle di O2 e una riduzione della pressione, determinando una pressione sub atmosferica che ispira l’aria ambiente dentro il sistema. Può essere usata con l’umidificatore e presenta dei raccordi che si differenziano per colore e percentuale di ossigeno erogabile; Tenda facciale: procura ossigeno al naso e alla bocca senza il fastidio di una maschera e quindi adatta per i pazienti che soffrono di claustrofobia, o che presentano traumi facciali o ustioni. Principalmente utilizzata per bambini piccoli, Incubatrice: la quantità di ossigeno varia, e viene utilizzata per i neonati per il controllo delle condizioni ambientali. Nasino per tracheotomia: serve per somministrare ossigeno in prossimità dell'apertura artificiale al collo. Esso fornisce i mezzi per l'ossigenazione l'umidificazione. L'umidità che raccoglie tende a bagnare la garza rendendo necessaria una sua frequente sostituzione; FATTORI CHE INFLUENZANO IL RESPIRO Età: con la crescita si ha un aumento della capacità polmonare e con il suo aumento è sufficiente una frequenza respiratoria più bassa per garantire gli scambi gassosi. Con l’età matura si riduce l’elasticità polmonare e di conseguenza la capacità polmonare, si ha quindi un aumento della frequenza respiratoria; Esercizio fisico: con l’esercizio fisico aumenta la necessità di ossigeno e di eliminare l’anidride carbonica, nonché di ridurre il calore prodotto. L’organismo risponde aumentando la frequenza e la profondità del respiro; Sesso: normalmente gli uomini hanno una capacità polmonare maggiore delle donne, quindi una frequenza respiratoria minore; Altitudine: l’ossigeno contenuto nell’aria a livello del mare (21%) diminuisce con l’aumentare dell’altitudine riducendo la quantità di emoglobina satura. Per compensare la rarefazione dell’ossigeno aumentano la frequenza e la profondità del respiro; Stress: l’ansia o lo stress stimolano il sistema nervoso simpatico e quindi si ha un aumento della frequenza e profondità del respiro; Farmaci: i narcotici diminuiscono la frequenza e la profondità del respiro. I broncodilatatori riducono la frequenza dilatando le vie respiratorie. Le anfetamine e la cocaina aumentano la frequenza e la profondità; Patologie: ridotti livelli di emoglobina come nell’anemia riducono la capacità del sangue a trasportare ossigeno, aumentando la frequenza e profondità del respiro. Danni del midollo allungato (traumi) influiscono sul centro del respiro e inibiscono la frequenza e il ritmo respiratorio. Le patologie polmonari croniche (enfisema, bronchite, asma) possono alterare il respiro; Postura: una postura eretta favorisce la piena espansione del torace. Una posizione curva o sdraiata impedisce la completa espansione del torace, ne consegue un aumento della frequenza e della profondità del respiro. o Drenaggio Posturale: consiste nel fare assumere al paziente una determinata posizione in modo da favorire il deflusso delle secrezioni dalle diverse aree del polmone. Le principali indicazioni al drenaggio posturale sono: ▪ Le bronchiectasie, caratterizzate da dilatazione patologica dei bronchi con ristagno di secrezioni purulente, causa di periodica reinfezione dei territori interessati e quindi della cronicizzazione della malattia; ▪ L'ascesso polmonare, dove il ristagno di materiali purulenti e necrotici ostacola i processi riparativi. Il drenaggio, associato alla vibrazione e alla percussione (colpi ritmici sulla parete toracica, con le mani a coppa, tenendo le dita e pollice uniti, per poi poggiarle sul torace del paziente), aumenta l’efficacia dell’intervento riabilitativo. Il trattamento dovrebbe essere applicato per la durata di 5 minuti per posizione ed eseguito in media 3 volte al giorno. Il paziente inoltre dovrebbe giacere nelle posizioni consigliate per un massimo di 30 minuti in modo da favorire il deflusso delle secrezioni, aiutandosi anche con esercizi di espansione toracica localizzati e con la tosse. Inoltre quando è presente ostruzione delle vie aeree o elevate densità delle secrezioni, è utile far precedere una seduta di aerosol umidificante e broncodilatatore. Principali controindicazioni al drenaggio sono: ▪ Fratture costali, in cui in particolare sono controindicate le percussioni; ▪ Emottisi, in cui il drenaggio posturale attivo potrebbe accentuare il fenomeno; ▪ Insufficienza respiratoria e cardiaca, in cui le posizioni spesso non sono tollerate dai pazienti; ▪ Pazienti che soffrono di osteoporosi. Esecuzione: ♦ Pianificare l'esecuzione del drenaggio posturale per 2-3 volte al giorno; ♦ Somministrare i farmaci inalatori prescritti prima di eseguire il drenaggio; ♦ Procurarsi fazzoletti di carta ed un contenitore impermeabile da tenere a portata di mano per raccogliere le secrezioni; ♦ Posizionare il paziente in modo di drenare le secrezioni dal polmone verso le vie aeree; ♦ Far tossire il paziente, in modo tale che le secrezioni vengono drenate nelle vie aeree superiori; ♦ Far rimanere il paziente per ogni posizione descritta, per un massimo di 30 minuti. Nel caso insorgesse stanchezza, un senso di testa leggera, tachicardia, interrompere immediatamente, e riprovare in seguito. Posizioni per il Drenaggio Posturale Per quanto riguarda il lobo superiore: Bronco Apicale: posizione seduta eretta, con modeste variazioni in rapporto alla sede della lesione, ovvero inclinandosi leggermente all’indietro, in avanti o di lato; Bronco Posteriore Destro: si giace distesi sul lato sinistro e si ruota successivamente di 45° verso la posizione supina, appoggiandosi su un cuscino, mentre un altro cuscino sostiene la testa; Bronco Anteriore: si giace supini con le ginocchia leggermente flesse sul tronco; Per quanto riguarda il lobo medio: Bronco Laterale e Mediale: si giace supini con il corpo ruotato di un quarto verso sinistra e mantenuto in posizione da un cuscino posto sotto il lato destro dalla spalla all’anca. Piedi del letto sollevati di 35 cm, in modo da inclinare il torace di 15°; Per quanto riguarda la Lingula sinistra: Bronco Superiore e Inferiore: come la posizione del bronco laterale e mediale, ma con il corpo ruotato verso destra; Per quanto riguarda il lobo inferiore: Bronco Apicale: si giace proni con un cuscino posto sotto l’addome; Bronco Medio-Basale: si giace sul lato destro con un cuscino posto sotto le anche. I piedi del letto sono sollevati di 45 cm, in modo da ottenere un’inclinazione del torace di 20°; Bronco Antero-Basale: si giace supini con le natiche poste su un cuscino e le ginocchia flesse. I piedi del letto sollevati di 45 cm, in modo da ottenere un’inclinazione del torace di 20°; Bronco Latero-Basale: si giace sul lato opposto con un cuscino posto sotto le anche. I piedi del letto sollevati di 45cm, in modo da ottenere l’inclinazione del torace di 20°; Bronco Postero-Basale: si giace proni con un cuscino sotto le anche. I piedi del letto sollevati di 45 cm, in modo da ottenere un’inclinazione del torace di 20°. Espettorato ed Aspirazioni Per effettuare la raccolta di un campione di espettorato è necessario: procurarsi un contenitore sterile, aiutare il paziente a mantenersi seduto, incoraggiarlo a sciacquare la bocca con acqua corrente, istruirlo ad eseguire alcuni respiri profondi, tentando la tosse forzata, poiché l'espettorato debba provenire dalle vie aeree inferiori; è inoltre meglio pianificare l’espettorazione subito dopo il risveglio del paziente o dopo aerosolterapia, in quanto permette di raccogliere più muco possibile; raccogliere quindi almeno 3 ml di campione nel contenitore sterile, chiuderlo e attaccare al campione un'etichetta e unire il modulo di richiesta al laboratorio. L’espettorato può essere: sieroso (filante), mucoso (biancastro), mucopurulento (denso e giallastro) o purulento (denso e verdastro). Inoltre, il paziente pu presentare: ♦ Emottisi: emissione di sangue dalla bocca proveniente dalle vie respiratorie inferiori; ♦ Dispnea: respirazione difficoltosa che pu essere dovuta a: patologie, come polmoniti o tubercolosi; o alla presenza di ostacoli all’introduzione di aria/alla fuoriuscita di aria; ♦ Cianosi: colorazione bluastra della cute e delle mucose visibili, dovuta ad un aumento dell’emoglobina ridotta nel sangue, causato da una cattiva ossigenazione del sangue. Espettorazione o Presentarsi, verificare l’identità del paziente e spiegargli cosa si sta facendo, perché e come pu collaborare. Inoltre, dare al paziente le seguenti informazioni e istruzioni: ▪ Non toccare la parte interna del contenitore di espettorato; ▪ Espettorare direttamente nel contenitore di raccolta evitando se possibile di sporcare l’esterno del contenitore; ▪ Raccogliere una quantità di espettorato sufficiente, tra i 4 e 10 ml. o Lavare le mani e osservare le procedure per il controllo delle infezioni. o Provvedere all’assistenza necessaria per la raccolta del campione: ▪ Assistere il paziente ad assumere la posizione seduta o semiseduta; ▪ Chiedere al paziente di respirare profondamente e di tossire per espettorare; ▪ Chiudere subito il contenitore dopo aver raccolto l’espettorato. Questo previene la contaminazione da parte di microrganismi esterni; ▪ Garantire comfort e sicurezza al paziente; ▪ Etichettare trasportare il campione al laboratorio; ▪ Documentare sulla cartella infermieristica tutte le informazioni utili. L'aspirazione delle secrezioni si basa sull'impiego di una pressione negativa per rimuovere le secrezioni fluide tramite un catetere, e si divide in tre tipi: ▪ Naso-tracheale: rimozione delle secrezioni dalla porzione superiore delle vie aeree attraverso l’inserzione nasale di un catetere; ▪ Orofaringea: rimozioni delle secrezioni della gola attraverso l’inserzione di un catetere nella bocca; ▪ Orale: rimozione della secrezione della bocca con un sistema di aspirazione chiamato catetere a punta di tonsilla. Frequenza Cardiaca È il numero di battiti cardiaci rilevati in 1 minuto (bpm), e si rileva posizionando i polpastrelli di 3 dita (indice, medio e anulare) sull’Arteria Radiale, oppure quella carotidea, esercitando una certa pressione per percepire l'onda pulsatoria che la sistole ventricolare trasmette alle arterie. Il valore normale della frequenza cardiaca in un soggetto adulto sano a riposo è da 60 a 100 battiti al minuto, mentre nei neonati è tra gli 80 e 180 bpm; varia comunque anche a seconda del momento della giornata (di notte ad esempio si abbassa, mentre si alza dopo mangiato), ma anche in seguito a stress. Auscultazione: l'ascolto dei battiti cardiaci per mezzo di uno stetoscopio è un metodo di misurazione più efficace della palpazione, così come l'elettrocardiogramma. o Bradicardia: frequenza cardiaca inferiore ai 60 battiti per minuto (bpm); o Tachicardia: frequenza dei battiti cardiaci e pulsazioni sopra i 100 battiti al minuto a riposo o senza alcuna forma di stress. Pressione Arteriosa Forza esercitata dal sangue contro le pareti elastiche dei vasi arteriosi. 1. Pressione Sistolica: pressione che si crea nelle arterie nel momento in cui il sangue viene espulso dal Cuore; 2. Pressione diastolica: pressione presente nel circolo arterioso durante la fase rilassamento del muscolo cardiaco. Per rientrare nella norma, la pressione arteriosa deve essere inferiore a 140/90 mmHg; valori pressori inferiori a 120/80 mmHg sono da considerarsi ottimali purché la pressione arteriosa massima sia superiore a 100, altrimenti si ha ipotensione. Invece quando la pressione arteriosa è superiore a 139/89 mmHg si ha l'ipertensione. Lo strumento da utilizzare si chiama sfigmomanometro: strumento costituito da un bracciale che viene avvolto attorno al braccio del soggetto e mantenuto all'altezza del cuore; il bracciale deve essere avvolto tra l’ascella e la piega del gomito ed in corrispondenza di quest’ultima va appoggiato il fonendoscopio, nel punto in cui appoggiando le dita si sente pulsare l’arteria del braccio (arteria omerale). Misurazione del Polso I polsi più comunemente accertati sono: Temporale: l’arteria temporale decorre in prossimità dell’osso temporale, sopra e lateralmente all’orecchio (sito utilizzato nei bambini); Carotideo: l’arteria carotidea decorre lungo il margine mediale del muscolo sternocleidomastoideo, nella metà inferiore del collo, evitare la parte alta del collo per non stimolare i seni carotidei e conseguente bradicardia (sito utilizzato quando gli altri non sono palpabili: shock, arresto cardiaco); Apicale: la contrazione del ventricolo cardiaco sinistro corrisponde al 5° spazio intercostale lungo la linea emiclaveare sinistra (sito utilizzato nell’aritmia) Brachiale: l’arteria brachiale decorre fra il solco dei muscoli bicipite e tricipite, nella parte interna del braccio nella fossa antedecubitale (sito utilizzato per rilevare la pressione arteriosa o per accertare la circolazione dell’avambraccio); Radiale: l’arteria radiale decorre in prossimità dell’articolazione del polso dal lato del pollice (sito comunemente utilizzato in ambito clinico per rilevare il polso periferico o per accertare la circolazione della mano); Femorale: l’arteria femorale decorre subito sotto il legamento inguinale, a metà tra la spina iliaca antero-superiore e la sinfisi pubica, è necessario una palpazione profonda (sito utilizzato per rilevare il polso periferico in caso di shock o per accertare la circolazione dell’arto inferiore); Popliteo: l’arteria poplitea decorre dietro il ginocchio nella fossa poplitea (sito utilizzato per accertare la circolazione della gamba); Tibiale Posteriore: l’arteria tibiale posteriore decorre nel lato interno della caviglia, al di sotto del malleolo posteriore (sito utilizzato per accertare la circolazione del piede); Pedidio Dorsale: arteria pedidia dorsale decorre sul dorso del piede tra i tendini estensivi dell'alluce e del primo dito (sito utilizzato per accertare la circolazione del piede). o Rilevazioni senza strumenti Si utilizza il metodo palpatorio nel polso periferico, se in quel punto non si riesce a rilevarlo vuol dire che la pressione è al di sotto dei 50 mmHg, quindi si va a rilevarla a livello del polso carotideo, qui si riuscirà a sentirlo in quanto quest’ultimo è il primo a comparire e l’ultimo a scomparire. Ampiezza del Polso: la qualità delle pulsazioni percepite, generalmente correlata con la quantità di sangue del cuore espelle a ogni battito. Un polso normale è forte quando viene percepito facendo una lieve pressione sull’arteria. Il polso è flebile, debole o filiforme quando viene percepito con difficoltà. Un polso rapido e filiforme è un segno grave e deve essere prontamente segnalato. Un polso pieno e scoccante produce una pulsazione marcata. I metodi più utilizzati per la misurazione del polso sono: 1. Palpatorio: consiste nell’uso delle dita per esaminare o rilevare alcune regioni del corpo. È la modalità per la rilevazione dei polsi periferici: il polso è palpato con tre dita, indice, medio e anulare, esercitando una moderata pressione sulla sede di rilevazione dove la pulsazione è più forte. Il numero delle pulsazioni viene contato per 30 secondi e moltiplicato per due se ritmico, se aritmico contare per un minuto intero. Il battito iniziale è contato come zero. Come strumento si utilizza un orologio dotato di lancetta dei secondi. 2. Auscultatorio: consiste nell’uso dello stetoscopio per ascoltare dei rumori o suoni in alcune regioni del corpo. È la modalità per la rilevazione del polso apicale, auscultato ponendo il diaframma dello stetoscopio sopra l’apice del cuore esercitando una pressione. Il suono udibile è dovuto alle vibrazioni causate dall’apertura o chiusura delle valvole cardiache. Ogni battito ha due suoni: il primo è causato dalla chiusura delle valvole mitrale e tricuspide che separano gli atri dai ventricoli, il secondo dalla chiusura delle valvole polmonare e aortica. Insieme i due suoni costituiscono un battito cardiaco. Per determinare la frequenza apicale è necessario contare i battiti per un minuto intero. Come strumento si utilizza il fonendoscopio e l’orologio dotato di lancetta dei secondi. a. TONI DI KOROTKOFF: suoni derivati dalle vibrazioni che il sangue genera sulla parete arteriosa o da alterazioni del flusso ematico: i. FASE I: toni scoccanti, alla comparsa dei toni corrisponde il valore della pressione arteriosa sistolica; ii. FASE II: toni soffianti (un fruscio o un sibilo), in questa fase l’arteria si espande; iii. FASE III: i suoni sono più battenti e secchi, il sangue fluisce dentro l’arteria; iv. FASE IV: toni affievoliti (un soffio che sfuma), corrisponde al primo valore della pressione diastolica; v. FASE V: scomparsa dei toni (silenzio), corrisponde al secondo valore della pressione diastolica. Elettrocardiogramma L’elettrocardiogramma è la registrazione grafica dell'attività elettrica del Cuore e delle variazioni che si verificano durante la contrazione cardiaca (sistole) e di rilasciamento (diastole). Costituisce il metodo diagnostico per eccellenza di tutte le aritmie, si tratta di un test assolutamente indolore e per il quale non esistono complicanze. Il principio sul quale si basa è prettamente fisiologico: gli impulsi nel miocardio portano alla generazione di differenze di potenziale, che variano nello spazio e nel tempo e che possono essere registrate tramite degli elettrodi. Il tracciato elettrocardiografico rappresenta il metodo più facile e più pratico per osservare se l'attività elettrica del cuore è normale oppure se sono presenti patologie di natura meccanica o bioelettrica. I problemi cardiaci nei quali il ruolo dell’elettrocardiogramma risulta fondamentale sono: ▪ Angina pectoris; ▪ Aritmie; ▪ Infarto miocardico; ▪ Malattie delle valvole cardiache; ▪ Scompenso cardiaco. Posizione degli Elettrodi Posiziona le derivazioni precordiali: V1 nel quarto spazio intercostale di destra; V2 nel quarto spazio intercostale di sinistra; V4 nel quinto spazio intercostale nell’emiclaveare di sinistra; V3 nello spazio fra V2 e V4; V5 nel quinto spazio intercostale nell’ascellare anteriore di sinistra; V6 nel quinto spazio intercostale nell’ascellare media di sinistra. Utilizzando il colore degli elettrodi delle periferiche, partendo da sotto la clavicola destra con il Giallo e procedendo in senso antiorario abbiamo il famoso GI-RO-NE-VE (GIallo, ROsso, NEro VErde): ♦ ROSSO: braccio di destra (lineare); ♦ GIALLO: braccio di sinistra (lineare); ♦ NERO: gamba di destra (lineare); ♦ VERDE: gamba di sinistra (lineare). L’ECG registra l’attività elettrica del cuore su carta millimetrata, che scorre alla velocità di 25 mm/secondo. Ciascun quadratino rappresenta 0,04 secondi; cinque quadratini formano la base di un blocco più grande, delimitato da linee più spesse, che invece rappresenta 0,20 secondi. La durata di un'onda, di un segmento o intervallo è determinata contando il numero di quadratini dall’inizio alla fine dell’onda, del segmento o dell’intervallo. LE ONDE DELL’ECG Il tracciato è costituto dall'andamento di 5 onde indicate con le lettere: P, Q, R, S, T. Dalla P alla T vi è un ciclo elettrico del cuore. o Onda P: piccola onda positiva, indica la depolarizzazione atriale (attivazione elettrica degli atri); o Intervallo PR: distanza fra l’inizio dell’onda P e l’inizio del complesso QRS, rappresenta l’intervallo necessario perché la depolarizzazione atriale raggiunga i ventricoli; o Complesso QRS: rappresenta la depolarizzazione ventricolare; o Onda Q: prima deflessione negativa; o Onda R: prima deflessione positiva; o Onda S: seconda deflessione negativa; o Tratto ST: distanza fra l’onda S e l’inizio dell’onda T, rappresenta l’intervallo fra la depolarizzazione ventricolare e l’inizio della ripolarizzazione ventricolare; o Onda T: prima onda positiva successiva al complesso QRS, rappresenta la ripolarizzazione ventricolare; o Intervallo QT: distanza fra l’inizio del QRS e la fine dell’onda T, rappresenta l’intera attività elettrica ventricolare; o Onda U: onda positiva successiva all’onda T, non sempre presente, rappresenta la ripolarizzazione delle fibre del Purkinje; Aritmie Brachicardia Sinusale: presenta una frequenza minore ai 60 bpm e regolarità normale; Tachicardia Sinusale: presenta una frequenza superiore ai 100 bpm e regolarità normale; Tachicardia Ventricolare: frequenza fra 140-220 bpm, nessuna onda P e complessi QRS molto ampi; Fibrillazione Ventricolare: impulso completamente anormale con ritmo caotico; Asistolia: non vi è alcun impulso elettrico. Trasfusione Infusione, in urgenza o in elezione, di sangue, o di alcuni componenti, come risposta a esigenze cliniche specifiche, e pu essere di due tipi: 1. Omologa: donatore e ricevente sono 2 persone diverse; 2. Autologa: donatore e ricevente sono la stessa persona. Una volta raccolto, il sangue donato viene testato per identificare la presenza di malattie ed evitare che queste ultime possono essere trasmesse al paziente che riceve la trasfusione. Affinché avvenga la trasfusione è necessario verificare la compatibilità di sangue. Sono svariate centinaia le differenze fra le proteine presenti nel sangue del donatore e quelle di ricevente ed esse possono causare reazioni diffusionali minori o maggiori, una delle maggiori, ed anche pericolose, differenze riguarda la struttura delle proteine presenti sulle membrane dei globuli rossi, ovvero gli antigeni, i quali determinano le caratteristiche del gruppo sanguigno ed il fattore Rh. Scopi principali della trasfusione sono: ▪ Intervenire in caso di anemia per mantenere il trasporto dei gas respiratori; ▪ Correggere disturbi della coagulazione o le emorragie; ▪ Curare una deficienza del sistema immunitario; ▪ Mantenere la volemia. Esistono diversi tipi di trasfusioni: Emazie Concentrate: indicate per aumentare rapidamente l’apporto di ossigeno ai tessuti. Il valore soglia dell’Emoglobina (Hb), che giustifica la trasfusione di globuli rossi nel paziente adulto, è in genere di 6-7 g/dl, ad eccezione di quei casi che presentano marcata diminuzione della ossigenazione tissutale, in tali pazienti la soglia pu essere innalzata fino a 9-10 g/dl a seconda delle condizioni cliniche. Plasma Fresco Congelato: o Deficit coagulativo o di vitamina K; o TTP (porpora trombotica trombocitopenica) e HUS (sindrome uremicoemolitica); o Deficit di singoli fattori della coagulazione, qualora non siano disponibili i concentrati. Concentrati Piastrinici: o Piastrinopenia; o Sanguinamenti associati a trombocitopenia o deficit qualitativo delle piastrine; o Prima di intervento chirurgico in pazienti piastrinopenici. Vengono utilizzati delle strumentazioni specifiche: ♦ Catetere o Ago: il sangue viene infuso attraverso un catetere o un ago avente una dimensione di 18-20 gauge, se si utilizza una misura più piccola aumenta la probabilità di durata della trasfusione. ♦ Deflussore a Y: i due estremi superiori vengono utilizzati, uno per somministrare la soluzione fisiologica e l'altro per somministrare il sangue; i due rami Y si riuniscono confluendo in un filtro che rimuove coaguli e frammenti di cellule morte. Fasi del Processo di Trasfusione 1. Prelievo del campione di sangue per l’esecuzione dei prelievi pretrasfusionali (gruppo e prove di compatibilità, emocromo possibilmente senza laccio emostatico); 2. Richiesta degli emocomponenti; 3. Accettazione, registrazione, esecuzione dei test ed erogazione da parte del servizio trasfusionale; 4. Trasfusione in reparto, sala operatoria, terapia intensiva, ambulatorio, domicilio o strutture assistite. Il campione di sangue che viene inviato al centro trasfusionale deve contenere una congrua quantità di sangue e sull’etichetta devono essere perfettamente identificabili, i dati indispensabili: Nome, cognome e data di nascita del paziente; La data e l’ora del prelievo; La firma dell’Infermiere che ha effettuato il prelievo e che ha provveduto ad una corretta identificazione del paziente (senza abbreviazioni o cancellature). Provette: Il SIT (sistema informativo territoriale) richiede: o 2 provette, da 7ml con EDTA (tappo viola lunghe), per pazienti mai trasfusi; o 1 sola provetta per pazienti già trasfusi; Le provette devono sempre essere raccolte entro le 72 ore precedenti la trasfusione. Modulo Richiesta Il modulo di richiesta deve correttamente e chiaramente compilato in tutte le sue parti e deve riportare: ♦ Data di prelievo e reparto di provenienza; ♦ Cognome, nome, data di nascita e sesso del paziente; ♦ Diagnosi, indicazioni trasfusionali ed ultimi dati di laboratorio pertinenti alla richiesta; ♦ Tipo e quantità di emocomponente richiesto; ♦ Nome in stampatello e firma del medico richiedente; ♦ Firma della persona che effettua il prelievo per controllo di gruppo e numero telefonico del reparto o del medico richiedente. Indagini Pretrasfusionali Analisi della compatibilità donatore-ricevente (presso il Laboratorio): Consultazione Data Base SIT, determinazione dell’AB0 e del fenotipo Rh; Ricerca degli anticorpi irregolari e selezione del prodotto compatibile; Crossmatch tra siero paziente ed emazie donatore; Etichettatura e distribuzione dell’emocomponente. Trasporto, Consegna ed eventuale Restituzione delle Unità Il sangue deve essere conservato in frigoriferi idonei, provvisti di termometro, e portato a temperatura di trasfusione, e poi per il tempo indispensabile a temperatura ambiente. La trasfusione di emazie deve essere completata di norma entro 4 ore dalla consegna, per evitare il rischio di contaminazione batterica. Plasma e piastrine devono essere infusi immediatamente dopo la consegna. Tutte le unità non trasfuse devono essere restituite al Centro trasfusionale nel più breve tempo possibile, unitamente al modulo di accompagnamento firmato dal medico che garantisce l’adeguata conservazione e la mancata apertura dell’unità durante la permanenza al di fuori del S.I.T. Una volta che la sacca è arrivata bisogna attenzionare: Consenso Informato: ▪ Se il ricevente non pu firmare è necessaria la firma di un parente o di un tutore. ▪ L’unica eccezione all’obbligo di ottenere il consenso è il pericolo di vita imminente, per il quale il medico è autorizzato a trasfondere sangue anche senza il consenso dell’ammalato. Effettuare una Trasfusione Prima di trasfondere bisogna verificare i dati di identificazione del paziente da parte di due operatori sanitari, registrare il numero di identificazione e il tipo di emocomponente trasfuso, data della trasfusione, eventuali segnalazioni, verificare che il paziente abbia firmato il consenso informato. Non è necessario tenere il paziente digiuno prima della trasfusione, e la febbre non sembra essere una controindicazione, anche se pu mascherare una reazione trasfusionale. Inoltre è importante accertarsi che il paziente non abbia assunto ACE inibitori, in quanto le possibili reazioni sono: ipotensione, rossore, sapore metallico in bocca, shock ipotensivo ecc. L’ACE inibitore inibisce il funzionamento dell’enzima di conversione dell’angiotensina. ♦ Velocità di Infusione: varia a seconda della volemia e delle condizioni emodinamiche del paziente: o Emazie concentrate: i primi 15 minuti a goccia lenta (10-15 gtt/min); o A regime: non meno di 1 ora e non più di due ore (2 ml/min che equivale a circa40 gtt/min); o Piastrine: nei primi 15 minuti infondere 25-30 ml. Poi aumentare la velocità in modo da trasfondere l’unità in circa 40 minuti (circa 100 gtt/min). Al termine della trasfusione devono essere registrati l’ora, le condizioni cliniche e i parametri vitali del paziente. ♦ Responsabili di Reparto o Responsabilità del medico; o Responsabilità dell’infermiere: ▪ Compilazione della parte anagrafica della richiesta; ▪ Esecuzione del prelievo dei campioni, compilazione delle etichette e firma delle provette e della richiesta; ▪ Invio delle richieste e dei campioni al Servizio Trasfusionale; ▪ Gestione delle unità fino al momento della trasfusione; ▪ Sorveglianza del paziente (insieme al medico); ▪ Registrazione dell’ora di termine della trasfusione ed eliminazione della sacca; ▪ Invio al Servizio Trasfusionale del modulo di assegnazione della trasfusione e della sacca vuota in caso di trasfusione domiciliare. o Corresponsabilità del medico e dell’infermiere: ▪ Identificazione del paziente al momento dei prelievi del sangue e della trasfusione; ▪ Verifica dell’identità tra il paziente che deve ricevere la trasfusione e i dati riportati sull’unità; ▪ Esecuzione della trasfusione e sorveglianza del paziente; ▪ Registrazione dei dati. Trasfusione a Domicilio: si applica a tutti i pazienti che, a giudizio del curante, presentino contemporaneamente le seguenti tre condizioni: 1. Necessità di essere trasfusi con sangue o emocomponenti; 2. Non differibilità della terapia trasfusionale; 3. Non trasportabilità del paziente. Anche a domicilio devono essere rispettate le stesse norme igieniche e di sterilità, devono essere usati i presidi di protezione (occhiali, guanti ecc.). I rifiuti speciali devono essere smaltiti secondo norma di legge e non nei rifiuti domestici. Il SIT richiede la consegna della sacca vuota in caso di Trasfusione Domiciliare, vista la difficoltà di smaltimento dei rifiuti speciali, ma permette anche un controllo più accurato della distribuzione e del consumo del sangue. Materiali e farmaci da tenere al domicilio del paziente trasfuso: ♦ Soluzione fisiologica 0,9% 500 cc, fiale NaCl da 10 cc e siringhe da 10 e 20 cc con dispositivi per infusioni ev; ♦ 2 provette sterili da 5 ml; ♦ Dopamina (diluita in 50 ml di fisiologica ev. lenta); ♦ Antibiotico a largo spettro per via im. o ev.; ♦ Antistaminico (Prometazina fiale da 50 mg). Reazioni Trasfusionali: si possono dividere in base a: o TEMPO DI INSORGENZA (in reazioni precoci e in reazioni tardive) o MECCANISMO PATOGENETICO (in reazioni immunologiche e in reazioni non immunologiche). Le reazioni di trasfusionali gravi si manifestano già dopo l’infusione delle prime gocce di sangue, pertanto è opportuno attuare un accurato follow up sia durante che dopo la trasfusione, in particolare bisogna rimanere con il paziente per i primi 10-15 minuti della trasfusione, passato tale intervallo devono essere valutate le condizioni cliniche del paziente e nel caso non ci siano segni di reazione, la velocità pu essere gradualmente aumentata. 1. Reazioni acute immunologiche: a. Emolitica i. Cause: incompatibilità ABO/Rh; ii. Segni Clinici: freddo, febbre, cefalea, dispnea, cianosi, dolore toracico, tachicardia, ipotensione; iii. Intervento: si sospende immediatamente la trasfusione, si avvisa il medico, si rilevano i parametri vitali e si conserva la sacca per controlli. b. Febbrile non Emolitica i. Cause: paziente sensibile a proteine del sangue trasfuso; ii. Segni e sintomi: febbre, brividi di freddo, pallore, sudorazione, emicrania, ansia, dolore muscolare, vomito; iii. Intervento: sospendere immediatamente la trasfusione, mantenere la vena pervia con soluzione fisiologica ed avvisare il medico, quindi rilevare i parametri vitali ed infine inviare il paziente al pronto soccorso o al medico curante. c. Allergica Orticariode i. Cause: ab diretti contro le proteine del plasma del donatore. ii. Sintomi: arrossamento, calore, prurito, ponfi, sintomi simil asma bronchiale: broncocostrizione. iii. Intervento: sospendere la trasfusione, avvisare il medico e somministrare soluzione fisiologica, rilevare quindi i parametri vitali e se i sintomi continuano o peggiorano inviare al pronto soccorso o al medico curante. d. Anafilattica i. Cause: ab diretti contro le proteine del plasma del donatore. ii. Sintomi: Dispnea, dolore toracico, collasso cardiocircolatorio, sibili respiratori, edema locale, arresto cardiaco. iii. Intervento: sospendere immediatamente la trasfusione, mantenere accesso venoso pervio con fisiologica ed eventualmente prendere un accesso di calibro superiore, avvisare il medico ed eventualmente il rianimatore e rilevare i parametri vitali. 2. Reazioni acute non immunologiche: a. Sepsi i. Cause: contaminazione batterica durante la raccolta; ii. Sintomi: febbre alta, vomito, diarrea, ipotensione; iii. Intervento: se precoce sospendere trasfusione, avvisare il medico, fare un’emocoltura e su OM iniziare terapia ATB ad ampio spettro. b. Ipotermia; 3. Reazioni ritardate immunologiche: a. Allo-immunizzazione eritrocitaria i. Sintomi: febbre, dolori muscolari, prurito, orticaria. b. Emolisi ritardata i. Cause: risposta anamnestica ad Ag eritrocitari; ii. Sintomi: lieve ittero, febbre. 4. Reazioni non immunologiche ritardate: sovraccarico marziale; Complicanze Rare Emolisi non immunologica: distruzione fisica o chimica delle cellule ematiche, (per calore,congelamento, aggiunta di soluzioni o farmaci emolizzanti); Embolia gassosa: grandi quantità di aria nelle vene; Ipotermia: causata da infusione rapida di sangue freddo; Attenzione: le reazioni trasfusionali non sono sempre causate da errori trasfusionali, ma spesso si verificano per errori umani a seguito di una trasfusione sbagliata. Puntura Venosa È una metodica di accesso al sistema venoso che si attua pungendo una con un ago, ed un lavoro prettamente di competenza infermieristica. Dispositivi che vengono utilizzati sono : Ago Butterfly; Abocath; Ago cannula; Guanti puliti; Laccio emostatico; Tampone antisettico per detergere la pelle; Medicazione trasparente per coprire l’accesso venoso. Le vene più comunemente utilizzate, per inserire un dispositivo per puntura venosa, sono quelle della mano o dell’avambraccio, ma è importante comunque: 1. Scegliere una grossa vena se necessario posizionare un ago o un catetere di grandi dimensioni; 2. Non utilizzare vene dal lato dominante; 3. Non utilizzare le vene dei piedi e delle gambe perché aumenta la possibilità di coaguli ematici; 4. Cercare una vena non tortuosa e evitare l'uso di vene poste sulla superficie più interna del polso; 5. Importante che alla fine il polso radiale sia sempre percepibile. Dopo aver effettuato la puntura venosa l'infermiere deve essere in grado di regolare la velocita di infusione (che varia in base al dispositivo di infusione che si utilizzerà), si deve prendere cura della zona (poiché deve annotare nella cartella clinica lo stato del tipo di ferita), deve valutare le varie complicanze che potrebbero insorgere: ♦ Sovraccarico intravascolare in circolo; ♦ Infiltrazione; ♦ Flebite; ♦ Formazione di un trombo; ♦ Infezioni; ♦ Embolia gassosa (bolla d'aria che viaggia attraverso il sistema vascolare). Esistono casi in cui viene inserito un dispositivo intermittente per l'accesso venoso, importante per la periodica somministrazione di soluzioni endovenose a farmaci, il quale viene lavato con soluzione salina sterile e riempito. Viene utilizzato quando il paziente non ha bisogno di infusione liquide continue. EMOGASANALISI L’EGA è la valutazione del gas nel sangue arterioso, un test di laboratorio che impiega sangue arterioso per valutare principalmente: L'ossigenazione; La ventilazione; Il bilancio acido-base. Misura inoltre: la pressione parziale di ossigeno ed anidride carbonica disciolta nel plasma, la percentuale di emoglobina satura dell'ossigeno, il pH del sangue ed il livello di ioni bicarbonato. La tecnica del prelievo arterioso per emogasanalisi è considerata attività del medico per prassi, comunque eseguibile anche dall’infermiere e di sua competenza in molti reparti (terapia intensiva, rianimazione e pneumologia). L’infermiere, nella fase di preparazione del prelievo per l'EGA: 1. Effettua l’igiene delle mani, garantisce la privacy del paziente e procede alla sua identificazione, spiegando le fasi e l’utilità della terapia in modo da aumentarne la collaborazione; 2. Accerta l’integrità cutanea nel sito di prelievo arterioso (arteria radiale) attraverso il: a. Test di Allen: serve per valutare se la mano del paziente ha un adeguato flusso arterioso ulnare in grado di sopperire un danno, e si basa sulla ricolorazione della mano. Il tempo di ricolorazione della mano è normalmente di 5-7 secondi, se entro questo tempo la mano si ricolora normalmente il test è negativo, l'apporto di sangue alla mano da parte della arteria ulnare è sufficiente, ed è pertanto possibile e ragionevolmente sicuro eseguire l’EGA; se invece il colore della mano non ritorna alla normalità nel giro di 7-10 secondi il test è considerato positivo e ci significa che l'apporto di sangue alla mano da parte dell'arteria ulnare non è sufficiente. Siti alternativi sono l'arteria brachiale, femorale o pedidia dorsale. 3. Accerta se il paziente: riceve ossigenoterapia, i relativi dosaggi, l’eventuale presenza di allergie e l’eventuale terapia in corso con anticoagulanti; 4. Prepara il materiale occorrente: a. Kit per EGA; b. Guanti monouso; c. Siringhe per Emogasanalisi; d. Etichette identificative; e. Tamponi sterili e antisettico; f. Cerotto e Telino pulito; g. Contenitore per rifiuti a rischio biologico. 5. Rileva la temperatura corporea, la FiO2 (frazione di ossigeno ispirata dal paziente) al momento dell’esecuzione dell’indagine e lo stato del paziente. Procedura: 1. Posizionare il paziente seduto o steso, con il bracco in estensione e la mano in dorsiflessione, e mantenere il paziente prima dell’esecuzione del test 30 minuti a riposo; 2. Effettuare l’igiene delle mani, indossare i DPI, predisporsi del materiale necessario, eseguire quindi il Test di Allen; 3. Disinfettare in senso centrifugo un'area di almeno 10 cm sopra la piega del polso, recependo poi il polso radiale con indice e medio; 4. Inserire l’ago, una siringa eparinata, con angolazione di circa 30°-45° dirigendo verso la pulsazione; 5. Alla comparsa di sangue ci si ferma e si attende il riempimento spontaneo (1 ml circa di sangue); 6. Si estrae ago e immediatamente si comprime la sede di prelievo per alcuni minuti con tamponi sterili per almeno 5 minuti, nel caso invece avessimo un paziente sotto terapia anticoagulante dobbiamo comprimere per più di 10 minuti; 7. Preservare il campione prelevato in anaerobiosi in un apposito cubetto di gomma, eliminando eventuali bolle d’ aria e chiudendo campione con apposito tappino Luer Lock; 8. Miscelare sangue con eparina per evitare formazione di coaguli e procedere alla lettura del campione entro 15 min, o conservare in ghiaccio per massimo un’ora; 9. Smaltire i rifiuti e, una volta avuti i risultati, fornirli al medico prescrittore; Interpretazione EGA: ▪ Valuta il pH: considera se il paziente è in acidosi o alcalosi; ▪ Valuta la PaCO2, bisogna confrontarla con il pH, se si muovono in direzione opposta vuol dire che il problema è di natura respiratoria; ▪ Valuta il HCO3, bisogna poi confrontarlo con il pH, se si muovono nella stessa direzione vuol dire che il problema è di natura metabolica. Nutrizione Parenterale Metodo di somministrazione, di nutrienti o farmaci in alternativa alla via orale o enterale, direttamente nel sangue attraverso specifici dispositivi quali i cateteri venosi centrali che arrivano in una vena centrale vicino al cuore, attraverso un’iniezione, preferita a quelle periferiche perché queste non tollererebbero elevate concentrazioni delle soluzioni utilizzati, in quanto hanno capacità osmotiche e PH differenti. Rispetto alla nutrizione enterale questo metodo: Non accede al tratto gastro-enterico; Potrebbe causare stati occlusivi, sub-occlusivi, diarrea intrattabile e gravi problemi dell’assorbimento. La nutrizione parenterale si distingue in: ♦ Nutrizione Parenterale Periferica: soluzione isotonica o ipotonica di nutrimenti somministrata per via endovenosa in una vena distante dal cuore, che fornisce un supporto nutrizionale temporaneo approssimativamente di 2000-2500 cal. al giorno. ♦ Nutrizione Parenterale Totale: soluzione ipertonica di nutrimenti designata a venire incontro a quasi tutte le necessità caloriche nutrizionali del paziente, preferita per i pazienti gravemente malnutriti o che non sono in grado di consumare cibo per lungo periodo. Queste soluzioni vengono infuse attraverso un catetere, detto catetere venoso centrale, inserito nella vena succlavia o giugulare, con la punta che termina nella vena cava superiore. Per eseguire la somministrazione della nutrizione parenterale totale bisogna: o Pesare il paziente quotidianamente, in modo da monitorare la risposta al trattamento; o Utilizzare un deflussore dotato di filtro, poiché i filtri assorbono aria e batteri; o Necessario cambiare deflussore della somministrazione totale quotidianamente. ♦ Per via parenterale, inoltre, vengono anche somministrate le emulsioni: miscele di due liquidi, uno dei quali insolubile nell'altro. Dispositivi Vascolari o Cateteri Venosi Periferici: dispositivi la cui punta non raggiunge la prossimità della giunzione tra vena cava superiore ed atrio destro, utilizzabili con: ▪ Soluzioni con pH 5/9; ▪ Farmaci non vescicanti e non flebitogeni. o Cateteri Venosi Centrali: dispositivi, inseriti in una vena cosiddetta centrale, succlavia, femorale o giugulare interna, la cui punta viene posizionata in prossimità della giunzione tra vena cava superiore ed atrio destro, utilizzati con: ▪ Farmaci basici o acidi; ▪ Farmaci vescicanti o irritanti su endotelio venoso. A seconda del tempo di permanenza in sede del catetere si distinguono CVC a breve, medio e lungo termine (rispettivamente della durata di: circa 3 settimane, circa 3 mesi e più di 3 mesi). Vengono raggruppati in: Cateteri Venosi Centrali Totalmente Impiantabili (PORT-A-CATH): un sistema, tunnellizzato, impiantabile costituito da un contenitore chiamato reservoir impiantao nel sottocute ed il catetere posizionato in vena; Cateteri Venosi Centrali non Tunnellizzati ad Inserzione Periferica (FICC o PICC): vengono inseriti attraverso una vena periferica (la basilica, la cefalica o la brachiale) fino alla vena cava superiore. Per lo più utilizzati per la somministrazione di terapia a medio termine; Midline: usati in ambito ospedaliero ed extraospedaliero con un tempo di permanenza di 4 settimane, si utilizzano le stesse vene indicate per il PICC. Gestione del catetere venoso centrale: o Valutazione, cura e sostituzione delle medicazioni del sito di inserzione, utile per: individuare eventuali arrossamenti, edema, secrezioni e sintomi segnalati dal paziente; o Disinfezione superfici di connessione (connettori senza ago, porte di accesso alla linea infusionale) con clorexidina 2%; o Sostituzione set di somministrazione ogni 24 h; o Irrigazione periodica, o lavaggio; o Eparinizzazione: somministrazione di eparina, un anticoagulante. Complicanze o Precoci: pneumatorace o emotorace, sanguinamento ed ematoma; o Tardive: dislocazione parziale o totale, occlusione extra-luminare o endoluminare e lesioni cutanee nell’aerea di medicazione secondarie; o Segni di Infezione Locale: rossore e edema sul punto di emergenza cutanea del CVC, presenza di secrezioni, dolore, resistenza o impossibilità ad infondere; o Segni di Infezione Sistemica: febbre o brividi in concomitanza con infusione o lavaggio del catetere, astenia o malessere; Nutrizione Enterale Metodo di somministrazione di nutrienti direttamente nello stomaco o nell’intestino mediante delle sonde, utilizzata quando un paziente non è in grado di deglutire farmaci o alimenti per via orale e viene mantenuta anche a domicilio previa informazione e formazione dei familiari. Rispetto alla nutrizione parenterale i nutrienti introdotti dalla nutrizione enterale possono essere facilmente lavorati dalla mucosa gastrica prima di andare in circolo. La nutrizione enterale inoltre mantiene il trofismo e l’integrità anatomica e funzionale della barriera intestinale, abbassando il rischio di traslocazione batterica e di infezioni. Se è possibile associare degli alimenti essa viene definita Parziale, se questo non è possibile viene definita Totale, e va usata in caso di controindicazioni alla alimentazione per via orale conseguente a: 1. Disfagia Ostruttiva: patologie neoplastiche in fase terapeutica e non (tumori dell’esofago, stomaco o duodeno); 2. Disfagia Funzionale: patologie neurologiche (traumi cerebrali, malattie croniche progressive: demenze, Alzheimer, Parkinson) ed alterazioni della motilità delle prime vie digestive (acalasia); 3. In caso di integrazione alla alimentazione per via orale conseguente a: a. Anoressia o iporessia da qualsiasi causa; b. Patologie croniche catabolizzanti; c. Postumi di gravi patologie (es. Malaria di Crohn). Dispositivi o Sondino Nasogastrico: un tubicino lungo e flessibile che, inserito nel naso e portato fino allo stomaco attraverso la faringe e l'esofago, pu servire principalmente alla somministrazione di sostanze nutritive e all'eliminazione di un determinato contenuto gastrico indesiderato. ▫ Posizionamento: prima del posizionamento un infermiere esegue una valutazione mirata del paziente, controllandone il peso corporeo, la distensione addominale, il livello di coscienza, se vi sono presenti rumori intestinali, se presenta nausea o vomito. È inoltre necessario controllare la pervietà delle vie nasali, poiché la presenza di alcuni polipi pu ostacolare l'introduzione del sondino. Prima di introdurre un sondino l’infermiere deve eseguire la misurazione NEX (dal naso al lobo dell'orecchio al processo xifoideo), in modo da capire le misure adatte per il paziente, per poi segnare le misure della sonda: il primo segno viene posto alla distanza misurata tra il naso e il lobo dell'orecchio, un secondo segno viene posizionato nel punto in cui il sondino raggiunge il processo xifoideo. I metodi di valutazione utilizzabili per determinare il posizionamento distale del sondino naso gastrico sono: Aspirazione di liquido, se di colore chiaro, giallo brunastro o verde l’infermiere può presumere che sia proveniente dallo stomaco; Ascoltazione dell'addome (attraverso stetoscopio poggiato sull’addome); Verifica del PH del liquido aspirato. o Sonde Transaddominali ▫ PEG (Percutaneus Endoscopic Gastrostomy): sonda inserita nello stomaco mediante un piccolo intervento chirurgico, costituita da un sistema di bloccaggio esterno, che impedisce la migrazione della sonda nella cavità gastrica, ed un dispositivo di bloccaggio interno, un palloncino, che ne impedisce la fuoriuscita. Questa sonda permette la nutrizione in assenza della funzione di deglutizione, oppure funge da supplemento alla normale alimentazione. È possibile somministrare farmaci attraverso la PEG seguendo alcuni accorgimenti : Prima di somministrare il farmaco, occorre sospendere momentaneamente la nutrizione per evitare il rischio di precipitazione degli alimenti o dei farmaci; Se possibile preferire forme farmaceutiche liquide. Nel caso in cui si necessita la somministrazione di compresse, queste andranno frantumate finemente; Somministrare un farmaco alla volta, irrigando la sonda dopo ogni somministrazione. Medicazione Va cambiata giornalmente per la prima settimana, a giorni alterni per i successivi 8/10 giorni, ed in seguito andranno effettuate settimanalmente. Nei primi giorni viene eseguita con clorexidina in soluzione acquosa per rimuovere eventuali incrostazioni sotto la flangia con l’ausilio di una garza, effettuando movimenti circolari dal centro verso l’esterno. Per completare la medicazione della stomia basta applicare una garza parzialmente tagliata intorno alla sonda e coprire con una seconda garza intera, evitando di creare spessore tra la cute e la flangia. Dopo 10 giorni circa la stomia non necessita più di medicazione e basta lavare quotidianamente la cute peristomale con acqua e sapone liquido. Somministrazione Le modalità di somministrazione più comunemente usate sono: 1. In modo continuo durante la giornata, somministrata all'incirca ad una velocità approssimativa di 60-90, l/h., per mantenere regolare la velocità di infusione si dirige una pompa nutrizionale, alla quale è stata collegata il flacone di miscela nutrizionale. 2. Intermittente con somministrazione frazionata e limitata ad alcune ore della giornata: infusione graduale di dieta liquida 4-6 volte al giorno, somministrata all'incirca per 30-60 minuti. Questo tipo di alimentazione viene generata mediante gocciolature per gravità o tramite pompa per alimentazione. 3. A “bolo”, simulando i tempi e le quantità di un’alimentazione tradizionale, e consiste nell’infusione liquida in meno di 30 minuti per 4-6 volte al giorno, è per meno indicato perché distende lo stomaco rapidamente causando disagio gastrico. Miscele Nutrizionali: di norma contengono proteine, carboidrati, grassi, vitamine, sali minerali ed acqua. Attuazione: o Igiene mani, preparazione del piano di lavoro e di tutto il materiale: ▪ Prodotto nutrizionale (controllarne la data di scadenza, l’integrità della confezione e lo stato di conservazione); ▪ Set di infusione monouso; ▪ Siringa da ml 50\100; ▪ Nutri-pompa; ▪ Tazza di acqua potabile. o Posizionare il paziente in posizione semi-seduta (30°); o Verificare: ▪ Esatta posizione (tacca di riferimento); ▪ Ristagno gastrico; ▪ Pervietà della sonda. o Agitare la miscela nutrizionale e metterla in corso; o Irrigazione (lavaggio che limita le ostruzioni) a termine somministrazione, prima di chiudere la sonda; o Verificare le condizioni cliniche del paziente (nausea, vomito, diarrea, dispnea): in caso di vomito bisogna rivedere le quantità delle miscele nutrienti. Conservazione dei Farmaci Per assicurare la somministrazione di farmici stabili, dal punto di vista chimico-fisico, è necessario che questi siano correttamente conservati, e gli elementi sui quali bisogna porre attenzione per la conservazione sono: 1. Documentazione (contenente le azioni che possono condizionare la qualità dei prodotti o la gestione dei farmaci); 2. Luogo di conservazione (pulizia, igiene, contenitori danneggiati, temperature); 3. Condizioni di conservazione (temperatura, luce, umidità). Vi sono poi i cosiddetti farmaci personali i quali, apportati dall’assistito o da familiari, possono essere impiegati solo a seguito di prudente valutazione del medico responsabile, e possono essere presi in carico, qualora prosieguo di utilizzo, solo se provvisti di specifica prescrizione. Devono essere ben identificati, tenuti separati dalle confezioni ospedaliere ed al momento della dimissione devono essere restituiti all’assistito o, se ciò non fosse possibile, eliminati secondo le regole che presiedono allo smaltimento dei prodotti farmaceutici. All’eventuale esaurimento del prodotto fornito dall’assistito, l’approvvigionamento dello stesso deve essere garantito dall’azienda. La somministrazione, e tutte le informazioni del caso riguardante i farmaci, deve essere documentata sul foglio unico di terapia (FUT). Vie di Somministrazione Indicano le modalità secondo la quale il farmaco viene somministrato e possono essere: naturali e artificiali (parenterale). Quelle naturali comprendono: ♦ Via Orale: è la via più naturale, comoda e confortevole per il paziente, e che rende possibile l’assorbimento del farmaco attraverso il tratto gastrointestinale. I farmaci somministrati per questa via possono essere in forma solida (compresse o capsule) o in forma liquida (sciroppo o elisir). È controindicata nei pazienti: non coscienti, con vomito, disfagici, o con patologie del tratto gastrointestinale. Inoltre con questa via di somministrazione soltanto una minima parte del farmaco arriva all'assorbimento e al sito d'azione, in quanto subirà notevoli disgregazioni a partire dalla bocca, per poi proseguire nello stomaco e intestino, ed infine verrà assorbito dal fegato dove subirà delle metabolizzazioni a causa del primo passaggio epatico. Un modo per ovviare a questa cosa pu essere la via Sublinguale, nella quale un farmaco viene posizionato sotto la lingua, qui si scioglie, viene assorbito nei vasi sanguigni lì presenti e quindi si evita il primo passaggio epatico. Nei pazienti che non possono assumere nulla per bocca si possono usare o un sondino nasogastrico o un sondino per gastrostomia. Il sondino nasogastrico (SNG) viene inserito attraverso la via nasofaringea o orofaringea fino allo stomaco per drenare le secrezioni gastriche o alimentare il paziente. Il sondino per gastrostomia prevede il posizionamento chirurgico di un catetere direttamente nello stomaco del paziente ♦ Via Inalatoria: somministrazione di farmaci direttamente nelle vie respiratorie per il trattamento di numerose patologie che colpiscono naso, bronchi e polmoni, attraverso l’uso dell’aerosol: una sospensione di particelle solide o gocce di liquido che attraverso la bocca e il naso penetrano nelle vie respiratorie, dove vengono a contatto con laringe, faringe e trachea, per arrivare fino ai polmoni, dove si depositano nella mucosa bronchiale e sugli alveoli. Il semplice metodo di somministrazione in aerosol è rappresentato dall’uso dell’inalatore: un dispositivo manuale, costituito da un contenitore al cui interno si trova il farmaco e da un astuccio munito di boccaglio che ne permette l’inalazione. Si distinguono due principali tipologie di inalatori: i. Inalatore a polvere secca: apparecchio azionato da un propellente (miscela combustibile che genera gas a elevata velocità che imprimono una spinta al dispositivo dove avviene la reazione) che centrifuga e sospende un farmaco finemente polverizzato; ii. Inalatore pre-dosato: più diffuso, consta di una bomboletta contenente il farmaco sotto pressione. L’inalatore viene inserito in un astuccio munito di boccaglio; comprimendo la bomboletta viene rilasciato un volume predeterminato (predosato) di farmaco aerosolizzato. I pazienti con difficoltà di coordinazione tra l’atto inspiratorio e l’uso dell’inalatore possono trovare utile l’utilizzo di un distanziatore, che funge da riserva di farmaco. ♦ Via Topica: somministrazione attraverso cute o mucose, impiegati per uso esterno o interno. I farmaci ad applicazione cutanea vengono spalmati sulla cute o posti a contatto con essa tramite: unguenti o pomate, cerotti transdermici e paste. o Applicazioni Oftalmiche: applicazione del farmaco sulla mucosa congiuntivale di uno o entrambi gli occhi. I farmaci sono disponibili in forma liquida e vengono somministrati tramite gocce o unguenti; o Applicazioni Otologiche: somministrazione di un farmaco nell’orecchio esterno, utilizzato solitamente per ammorbidire il tappo di cerume o in caso di infezioni batteriche o micotiche locali. Prima dell’instillazione l’infermiere deve muovere il padiglione auricolare allo scopo di rettilineizzare il condotto uditivo, quindi inclinando di lato la testa del paziente, instilla nell’orecchio il numero di gocce prescritte; o Applicazioni Rinologiche: farmaci topici da instillare o spruzzare nel naso in modo appropriato per evitare che possa defluire un strutture limitrofe come la faringe; o Applicazioni Vaginali: utilizzate per trattare infezioni in sede locale, condizione generalmente conseguente alla colonizzazione del tessuto vaginale da parte di microrganismi presenti in abbondanza nelle feci (per esempio i miceti). Molti farmaci da banco sono disponibili in forma di candeletta, ovuli, compressa e crema; o Applicazioni Rettali: i farmaci possono essere sottoforma di supposte, creme e pomate. ♦ Via Parenterale: costituisce un metodo di somministrazione di farmaci in alternativa alla via orale o alla via enterale. Esistono vari dispositivi necessari per somministrare farmaci per via enterali: o Siringa: costituita da un cilindro graduato (ml o cc), da uno stantuffo e da un cono. o Aghi: forniti in diverse lunghezze calibro, la cui cannula o asta dipende dalla profondità alla quale il farmaco deve essere iniettato. Ad oggi vi sono alcuni presidi dotati di protezione plastificata per ricoprire l’ago dopo l'uso, in modo da diminuire il rischio di malattie virali acquisite attraverso il contatto con sangue infetto. Le vie di somministrazione artificiale comprendono: a. Iniezioni Intradermica: comunemente utilizzate a scopo diagnostico, test per la tubercolosi o per le allergie. Essendo lo spazio tissutale per l’iniezione molto piccolo, verranno iniettati volumi compresi tra 0,01 e 0,05 ml. I comuni siti di iniezione sono: i. Superficie anteriore dell’avambraccio; ii. Schiena; iii. Parte superiore del torace. Il materiale per l’iniezione prevede: ago di calibro 25-27G lungo 1.2 cm. La tecnica utilizzata consiste nell’iniettare il farmaco poco in profondità con un’inclinazione dell’ago di 10°-15° rispetto al punto di accesso. b. Iniezioni Sottocutanee: effettuata più in profondità rispetto a quella intradermica, ed il farmaco iniettato viene assorbito rapidamente, infatti il suo effetto sembra manifestarsi 15-30 minuti dopo l’iniezione, con un volume compreso tra 0,5 e 1 ml. Quest’iniezione è comunemente impiegata per la somministrazione di insulina ed eparina. I siti di iniezione possono essere: i. Addome (preferibile per insulina ed eparina); ii. Muscolo deltoide; iii. Zona del muscolo vasto-laterale; iv. Zona del muscolo dorso-gluteale; v. Zona sopra e sotto scapolare. La velocità di assorbimento nei diversi siti di inserzione varia in senso decrescente, da addome, braccia, cosce e glutei. Viene utilizzato un ago di calibro 25G poiché i farmaci introdotti nella sottocute non sono viscosi e la sua lunghezza varia tra 1.27 e 1.58 cm. La tecnica utilizzata consiste nell’inserire l’ago con un’inclinazione di 90° (in caso di pazienti robusti o obesi) o di 45° (in caso di pazienti magri). c. Iniezioni Intramuscolari: consiste nella somministrazione di una quantità che va da 0,5 ml a 5 ml di farmaco in un muscolo o in un gruppo di muscoli, dove l’assorbimento avviene più velocemente in quanto i farmaci accedono direttamente nel flusso sanguigno. I cinque comuni siti prendono il nome dal muscolo nei quali il farmaco viene iniettato: i. Regione Dorsogluteale: si trova nel quadrante superiore del gluteo e costituisce un comune sito d’iniezione intramuscolare, tuttavia, si tratta di un sito prossimo al nervo sciatico e al nervo e all’arteria glutei superiori, di conseguenza se l’infermiere inietta un farmaco vicino o all’interno del nervo sciatico, compaiono complicazioni come intorpidimento, dolore e paralisi. Il punto di iniezione si identifica ponendo la mano sulla cresta iliaca per ricercare la spina iliaca, dal quale far decorrere una linea immaginaria che ci conduce al grande trocantere (testa del femore); ii. Regione Ventro-Gluteale: si localizza ponendo il palmo della mano opposta sul grande trocantere del femore, con l’indice della stessa mano sulla spina iliaca antero-superiore ed il dito medio aperto vero la cresta iliaca. La zona compresa tra indice e medio è quella più idonea all’iniezione (utilizzata anche nei bambini); iii. Regione del vasto laterale: si utilizza uno dei muscoli dei quadricipiti nella parte esterna della coscia (non ci sono grossi nervi o vasi sanguigni). La zona precisa di iniezione è localizzata a livello del terzo medio della coscia tra il grande trocantere del femore e il condilo laterale del ginocchio: l’ago viene inserito nella zona laterale della coscia (utilizzato nei bambini molto piccoli e in soggetti magri). iv. Regione del Retto Femorale: si localizza a livello della zona medioanteriore della coscia tra la rotula e la cresta iliaca antero- superiore. L’iniezione viene effettuato con il paziente supino o seduto, nel terzo medio della coscia (utilizzata anche nei bambini). v. Regione Deltoidea: si trova sotto la parte superiore della scapola, nella parte centrale della faccia laterale del braccio. Per identificare correttamente il sito è necessario far stendere o sedere il paziente, identificare quindi la parte distale dell’acromion e disegnare una linea ascellare immaginaria per poi effettuare l’iniezione sulla base di questi due riferimenti. Il materiale generalmente utilizzato per l’iniezione sono siringhe da 3 e 5 ml, tranne nel deltoide nel quale il massimo somministrabile è 1 ml, con un ago di calibro 22G e lungo 3,8 cm-5 cm per iniettare il farmaco. Diversi fattori indicano però la misura e la lunghezza dell’ago da utilizzare: 1. Muscolo; 2. Tipo di soluzione; 3. Quantità di tessuto adiposo; 4. Età del paziente. Si possono somministrare farmaci irritanti negli strati superiori del tessuto muscolare impiegando la tecnica del tratto Z: consiste nell'utilizzare la mano non dominante per tirare, di circa 3-4 centimetri, la cute ed il tessuto sottocutaneo da un lato rispetto al punto di inserzione; nel frattempo la mano dominante introduce l'ago tenendolo a 90° rispetto la cute. Terminata la somministrazione del farmaco, estrarre l'ago velocemente rilasciare il tessuto ed esercitare una leggera pressione (senza eseguire il massaggio post-iniezione). Questa tecnica permette di creare un percorso non rettilineo impedendo così al liquido di risalire nei tessuti sottocutanei. Il movimento deciso anche in questo caso permette di minimizzare il dolore. b. Iniezioni Endovenose: somministrazione del farmaco direttamente nella circolazione sanguigna, permette un’azione terapeutica diffusa in tutto l’organismo, che risulta più intensa e rapida di quella ottenibile per altre vie. Vi si fa ricorso anche quando i prodotti prescritti sono irritanti, e quindi poco adatti all’iniezione intramuscolare. Prima di procedere si disinfetta il punto scelto per l’iniezione, la piega del gomito, in cui le vene sono più visibili, ma anche l’avambraccio o la parte superiore della mano. L’iniezione endovenosa va praticata molto lentamente utilizzando siringhe da 5-10 ml e aghi lunghi 4-5 cm, con bisello corto; estratto l’ago, al termine della procedura, è bene esercitare per 3-4 minuti una pressione nel punto d’iniezione, per evitare che si formi un’ecchimosi. Le soluzioni disponibili per la somministrazione endovenosa si definiscono cristalloidi o colloidi a seconda del loro contenuto e producono effetti diversi quando vengono infuse: i. Cristalloidi: soluzioni che vengono classificate in isotoniche, ipotoniche e ipertoniche, in base alla concentrazione delle sostanze disciolte rispetto al plasma. Non contengono proteine e altri soluti ad alto peso molecolare, rimangono nello spazio intravascolare solo per un breve periodo prima di diffondersi attraverso la parete dei capillari nei tessuti. A causa di questa azione è necessario somministrare 3 litri di soluzione cristalloide per ogni litro di perdita di sangue. Sono esempi di soluzioni cristalloidi: la soluzione fisiologica, il ringer lattato e il destrosio. ii. Colloidi: sono utilizzate per sostituire il volume di sangue circolante, poiché le molecole in sospensione attraggono liquido da altri compartimenti. Contengono molecole di grandi dimensioni, come le proteine, che non passano facilmente la membrana capillare, pertanto, restano nello spazio intravascolare per lunghi periodi ed aumentano la pressione osmotica nello spazio intravascolare provocando in tal modo il passaggio del fluido dallo spazio interstiziale e intracellulare allo spazio intravascolare. Per questo motivo i colloidi sono spesso indicati come espansori del volume ematico. I colloidi sono costosi, hanno un’emivita breve e richiedono refrigerazione; per queste ragioni non sono comunemente utilizzati in ambito pre-ospedaliero. Sono esempi di soluzioni colloidi: l’albumina al 5% e al 20% e i sostituti del plasma. Terapia Infusionale Endovenosa Le soluzioni sono comunemente conservate in sacchi di plastica contenenti 1000 ml, 500 ml, 250 ml, 100 ml e 50 ml. Per ridurre il rischio di infezioni le soluzioni endovenose vengono sostituite ogni 24 ore anche se il volume in esse non è stato completamente infuso. È necessario per prima di somministrare la soluzione controllare: Se quest'ultima è scaduta; Se si ha la soluzione prescritta dal medico; Identificare i vari componenti nel caso il paziente fosse allergico. Ad oggi per la somministrazione di flebo vengono utilizzati i deflussori, poiché, grazie a quest'ultimi, possiamo regolare la velocità della somministrazione della soluzione. Esiste il deflussore primario e secondario, il deflussore con e senza prese d’aria. I deflussori a prese d'aria sono importanti per la somministrazione di soluzioni confezionate in contenitori rigidi di vetro. Oltre a questo, il deflussore è dotato di un micro-gocciolatore o un macro-gocciolatore, importante per la velocità di somministrazione. Le infusioni endovenose sono somministrate per gravità o con un dispositivo per infusione: Infusione per Gravità: fattore importante è l'altezza della soluzione endovenosa, infatti per superare la pressione all'interno della vena del paziente la soluzione viene alzata di almeno 45-60 cm al di sopra del sito di infusione. Infusione con Dispositivi Elettronici: o Pompe di infusione: necessita di un deflussore speciale che contiene un dispositivo simile a una cassetta che serve per creare una pressione sufficiente a spingere il liquido in vena. o Pompa volumetrica: comprime meccanicamente il deflussore ad una certa frequenza per infondere la soluzione a una velocità precisa e predeterminata. Quando si parla di deflussori è importante parlare anche dei filtri, poiché eliminano bolle di aria, sostanze non disciolte, batteri e sostanze di grandi dimensioni. Un deflussore con filtro in genere si utilizza per somministrare sangue concentrati cellulari, per la nutrizione parenterale o quando il paziente è ad alto rischio di infezione. In linea generale, sono numerosi i rischi correlati alla terapia endovenosa, anche se più che di rischi, si parla di effetti collaterali, i più frequenti sono: 1. Flebite: infiammazione della tonaca intima della vena, provocata dal movimento dell'accesso vascolare nell'endotelio (flebite meccanica), dal pH della soluzione (flebite chimica), o dalla contaminazione del catetere da Staphylococcus epidermidis e Staphylococcus aureus (flebite batterica); 2. Infiltrazione: complicanza che pu verificarsi durante l'inserimento del CVP o mentre questo è in sede, e consiste nella fuoriuscita di liquido nel tessuto sottocutaneo. I sintomi sono dolore, edema dell'arto, gonfiore, pallore del sito di inserimento; 3. Stravaso: complicanza caratterizzata dalla fuoriuscita accidentale di farmaci vescicanti o di soluzioni dal letto vascolare nel tessuto sottocutaneo circostante. I sintomi sono simili a quelli dell'infiltrazione, ma sono associati dolore e arrossamento. La somministrazione di farmaci per via endovenosa avviene per via continua o intermittente: 1. Somministrazione Continua: prevede che il farmaco prescritto venga diluito in una soluzione in quantità diversificata in relazione alle caratteristiche del preparato stesso e in considerazione delle condizioni cliniche del paziente. 2. Somministrazione Intermittente: somministrazione che ha breve durata, utilizzata quando il farmaco deve essere somministrato in bolo o quando devono essere effettuati soluzioni secondarie. 3. Infusione secondaria: consiste nell’ infusione costituita da un farmaco diluito in un volume contenuto di soluzione, in genere 50-100 ml. Quest'ultima viene indicata come l'infusione parallela in quanto viene somministrata parallelamente ad una infusione primaria. Rianimazione Cardiopolmonare BLS-D è un acronimo di Basic Life Support Defibrillation, ovvero le manovre di primo soccorso con l’impiego di defibrillatore. L’obiettivo principale del BLS-D è di attuare manovre tempestive nei confronti di arresto cardiaco e di ritardare ed evitare il danno anossico cerebrale in una persona che non è cosciente e non respira. Se la perdita di coscienza di una determinata persona e dovuta ad un arresto cardiaco, i soccorritori mettono in atto un processo del nome “catena della sopravvivenza”, formato da quattro fasi, nelle quali il soccorritore deve: 1. Riconoscere la situazione di emergenza e attivare tempestivamente il sistema di emergenza; 2. RCP veloce; 3. Defibrillazione precoce; 4. ALS (supporto vitale avanzato precoce). La prima cosa che i soccorritori devono fare è accertarsi dello stato di salute della persona, se è cosciente o meno, è necessario chiamarla a voce alta e scuoterla energicamente. Se non vi è risposta è necessario posizionarlo in una posizione supina su una superficie asciutta, rigida, scoprendo il torace e rimuovendo eventuali cerotti trasndermici presenti sul torace. Successivamente viene valutata l’attività respiratoria e cardiaca. È importante essere tempestivi e cauti in queste situazioni, poiché ovviamente possono avvenire sia all’esterno che interno di strutture ospedaliere. Nel caso avvengano all’esterno è necessario comporre immediatamente il numero del 112 e fornire tutte le informazioni adeguate all’intervento. Nel caso questo evento capitasse all’interno della struttura ospedaliera interviene la squadra d’emergenza. I soccorritori devono mettere in atto la cosiddetta “ABCD” della RCP: ♦ Airway (Pervietà delle Vie Aeree): i soccorritori pongono la vittima in posizione supina su una superficie rigida e asciutta, viene poi utilizzata la manovra di iperstensione del capo: si pone una mano sulla fronte della vittima spingendo la testa all’indietro, poi con il secondo e terzo dito dell’altra mano si aggancia la mandibola e si solleva verso l’alto. È importante poi verificare la presenza o meno di corpi estranei tramite l’ispezione visiva del cavo orale ed allontanarli con le dita ad uncino, se solidi, con un fazzoletto o altro (aspiratore manuale) se liquidi. Se il capo non viene esteso correttamente, la lingua potrebbe otturare le vie aeree e causare uno gonfiamento dello stomaco provocando una sensazione di vomito, causando quindi una polmonite. ♦ Breathing-Circulation (Respirazione-Circolo e segni vitali): in questa fase è necessario valutare la presenza di attività respiratorio e circolatoria. Per l'attività respiratoria il soccorso effettua la valutazione GAS: Guardo il torace e noto i suoi movimenti; Ascolto se respira e come respira; e Sento la presenza di aria dalle vie respiratorie. Il tutto deve essere eseguito nei 10 secondi. Se vi è la presenza di attività respiratoria e circolatoria, metterlo in posizione laterale di sicurezza in modo che le vie aeree siano pervie. Se il paziente non respira normalmente nonostante tutte le manovre eseguite ma ha attività circolatoria, bisogna mantenere la vittima in posizione supina ed eseguire le ventilazioni artificiali insufflando aria nei polmoni attraverso il naso, la bocca o lo stoma della vittima ed è possibile sia utilizzare maschere unidirezionali che schermi protettivi. Se gli aspetti sopra citati non vengono rivelati entro i 10 secondi, si effettuano due minuti di Rianimazione Cardio-Polmonare (RCP) iniziando con 30 compressioni toraciche e 2 ventilazioni della durata di circa 1 secondo l’una. Nel mentre bisogna richiedere nuovamente un defibrillatore ed attivare il sistema di emergenza, sia che si trovi all’interno o all’esterno di strutture sanitarie: è possibile ottenere assistenza componendo il 112 e fornendo all’operatore della centrale operativa le informazioni sulle circostanze dell’evento. Se il paziente ha un'età inferiore ad 1 anno il rapporto adeguato è 15:2. ♦ Defibrillation (Defibrillazione): fase in cui si hanno due possibilità: o Disponibilità del defibrillatore: dispositivo portatile dotato di batteria il quale rileva l’assenza del ritmo ed è in grado di erogare una scarica elettrica in grado di ripristinare il battito, e attuo a segnalare eventuali danni. I più diffusi sono i DAE a due tasti nei quali l’analisi del ritmo cardiaco viene attivata automaticamente all’accensione dell’apparecchio. Durante le fasi di analisi ed erogazione degli shock, nessuno deve essere a contatto con il paziente. Per cercare di mantenere questa sicurezza si è diffusa una filastrocca di sicurezza, che permette l’assunzione di un controllo visivo prima di erogare lo shock: IO SONO VIA, VOI SIETE VIA, TUTTI SONO VIA. Inoltre: ▪ Non bisogna agire in ambienti bagnati; ▪ Bisogna mantenere la distanza di un metro e verificare che il paziente non abbia dei cerotti trans-dermici perché a contatto con gli elettrodi possono creare archi voltaici o ustioni. L’efficacia dipende da: La corretta posizione delle piastre, che avviene in corrispondenza: ♦ Sotto-claveare destra; ♦ ascellare media sinistra; ♦ Antero-posteriore; ♦ Bi-ascellare media destra e sinistra. Torace asciutto e depilato; Non porre gli elettrodi sul tessuto mammario femminile. o Non disponibilità del defibrillatore: si effettua la RCP (in rapporto 30:2) fino all’arrivo del DAE. Il soccorritore deve posizionarsi perpendicolarmente alla posizione delle mani, per effettuare un movimento verticale ad ogni compressione, i gomiti devono essere rigidi, ed ovviamente il soccorritore deve essere di lato alla vittima con le ginocchia all’altezza del torace. Eseguire una corretta tecnica di compressione e rilasciamento: i. Si comprime il torace di circa 4-5 cm; ii. Si rilascia completamente la pressione per consentire al cuore di riempirsi nuovamente; iii. Compressione e rilasciamento devono avere la stessa durata (rapporto di 1:1); iv. Fondamentale è il movimento ritmico; v. La frequenza deve essere di circa 100/minuto fino a quando non è disponibile il DAE. Ostruzione delle vie aeree da corpo estraneo L’ostruzione delle vie aeree da corpo estraneo può essere: a. Parziale: la vittima respira male, ma respira, tossisce debolmente, ma tossisce, parla male, ma parla. Il flusso respiratorio è ridotto ma è sufficiente a non determinare la perdita di coscienza. In questo caso il soccorritore deve soltanto incoraggiare l’infortunato a tossire, fornire supporto psicologico, e se non vi è una risoluzione spontanea del problema, allertare il Sistema di Emergenza Medica, b. Completa: la vittima non respira, non parla, non tossisce, e se non si pone velocemente rimedio questa evenienza porta rapidamente alla perdita di coscienza e successivamente all’Arresto cardio-circolatorio. i. In caso di Coscienza, bisogna posizionarsi al fianco del paziente, lo si fa piegare in avanti, sostenendo il torace con una mano e con l’altra si colpisce in modo deciso il dorso tra le scapole della vittima fino a 5 volte. Se i colpi dorsali non sortiscono alcun effetto si esegue la manovra di Heimlich: delle compressioni addominali (fino a 5); e si alternano 5 colpi dorsali a 5 colpi addominali fino alla risoluzione del problema o fino alla perdita di coscienza; ii. In caso di Incoscienza, si pone il paziente in posizione supina, si estende il capo e si solleva il mento, ispezionando poi il cavo orale per eventuali corpi estranei visibili. Si eseguono 2 insufflazioni e, se inefficaci (cioè all’insufflazione non segue il sollevamento del torace), si i