Il Concetto di Musica: Contributi e Prospettive PDF

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Università di Roma "La Sapienza"

Francesco Giannattasio

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etnomusicologia musica studi musicali antropologia musicale

Summary

Il libro 'Il concetto di musica' esplora i contributi e le prospettive della ricerca etnomusicologica. L'autore affronta le questioni centrali nel dibattito musicologico, presentando indicazioni sulla disciplina e sui suoi fondamenti. Il testo si concentra sulle trasformazioni del concetto occidentale di musica e lo analizza con un approccio antropologico.

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FRANCESCO GJANNATTASIO IL CONCETTO DI MUSICA Contributi e prospettive della ricerca etnomusicologica BULlONI EDITORE ETNOMUSICOLOGIA Questo volume è la ristampa, per i tipi della Bulzoni Editore, di quello pubblicato nel 1 992 dalla Nuova Italia Scientifica e oggi esa...

FRANCESCO GJANNATTASIO IL CONCETTO DI MUSICA Contributi e prospettive della ricerca etnomusicologica BULlONI EDITORE ETNOMUSICOLOGIA Questo volume è la ristampa, per i tipi della Bulzoni Editore, di quello pubblicato nel 1 992 dalla Nuova Italia Scientifica e oggi esaurito. In attesa di dare mano a una nuova edizione, è sembrato opportuno ren­ derlo nuovamente disponibile, nella sua forma originaria, a un uso didattico per il quale sembra mantenere tuttora la sua utilità. D'altra parte, le questioni affrontate ne Il concetto di musica risultano, a sei anni di distanza, ancora attuali e centrali nel dibattito musicologico. Francesco Giannattasio IL CONCETTO DI MUSICA Contributi e prospettive della ricerca etnomusicologica BULZONI EDITORE Prima edizione: La Nuova Italia Scientifica TUTTI I DIRITTI RISERVATI È vietata la traduzione, la memorizzazione elettronica, la riproduzione cotale o parziale, con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Lillecito sarà penalmente perseguibile a norma dell'art. 171 della Legge n. 633 del22/04/1941 ISBN 88-8319-191-9 © 1998 by Bulzoni Editore 00185 Roma, via dei Liburni, 14 http://www.airweb.it/bulzoni e-mail: [email protected] Trascodifica. impaginazione e grafica: PAIMAPAGINA·Roma· 06/27.45.52 e-mail: primapagina@airweb il Pellicole e Foto: COMPUTER SEAVICES- Roma - 06/27.45.55 e-mail: [email protected] Indice Premessa................................................................. p. 11 Pane prima I suoni del mondo e il mondo dei suoni l. I.: etnomusicologia............................................. » 17 l. l. Etnomusicologia e musicologia: le ragioni di un'autono- mia di campo................................................... » 19 1.2. Etnomusicologia e antropologia: le ragioni di una con­ vergenza di metodi............................................ » 23 1.2.1. I settori d'indagine - 1.2.2. Le fasi, le tecniche e i meto- di di lavoro- 1.2.3. I prodotti della ricerca 2. Gli universalia e la trasformazione del concetto occi­ dentale di musica.............................................. » 31 2.1. [inganno delle forme......................................... » 32 2.2. Dalla musica alle musiche..................................... » 38 3. Le tappe di evoluzione del progetto etnomusicologico >> 45 3. 1. La musicologia comparata................................... ». 49 3.2. [etnomusicologia propriamente detta e l'abbandono delle generalizzazioni.......................................... » 53 3.3. Sistemi e culture musicali..................................... » 56 3.4. L antropologia della musica e l'opposizione etico/emico ».. 59 3.5. Un problema attuale: la trasformazione dell'oggetto di studio »............................................................ 62 7 4. C etnomusicologia in Italia.................................. p. 67 4.1. La fase attuale degli studi..................................... )) 79 Parte seconda C organizzazione dei suoni 5. Per una tipologia del suono musicale...................... )) 89 5.1. Copposizione suono/rumore................................. )) 90 5.2. La voce........................................................... )) 93 5.3. Gli strumenti musicali........................................ )) 100 6. Tempo e ritmo................................................. )) l05 6.1. Il tempo musicale.............................................. )) l06 6.2. Il ritmo: periodicità, organizzazione delle durate, accen- ti, metro......................................................... )) l08 6.3. Ritmo e metro nelle diverse culture musicali.............. )) 111 6.3.1. La ritmica 'quadrata' del Sud-Est asiatico - 6.3.2. La 'bicronia' dei ritmi aksak - 6.3.3. La metrica non accentata delle musiche africane e la poliritmia- 6.3.4. Le ambiguità rit- miche nella musica di danza dell'Italia meridionale 7. Il sistema di regole............................................ )) 129 7;1. Le etnoteorie musicali........................................ )) 133 8. Teoria musicale e trasmissione del sapere................ )) 145 8.1. Il caso delle launeddas sarde: organologia, repertori, modalità di apprendimento ed esecuzione................. )) 145 8.2. Alcuni elementi teorici della musica delle launeddas.... )) 150 8.3. Due riflessioni sul primato della pratica................... )) 160 9. Il progetto musicale e l'espressione estemporanea...... )) 165 9.1. Comporre in tempo reale: l'improvvisazione.............. )) 166 9.2. [improvvisazione a partire dal testo verbale.............. )) 171 9.3. [improvvisazione strumentale come 'gioco' della forma e 'rigenerazione' dei repertori................................ )) 189 8 Parte terza Il potere dei suoni: interazioni, significati, emozioni l O. Le funzioni della musica..................................... p. 207 l0.1. Ritmi di produzione e produzione di ritmi: la musica 'di lavoro'............................................................ » 218 11. Musica, rito, terapia e stati alterati di coscienza......... >> 231 11.1. La musica come tecnica della trance: le pratiche sciama- niche del Nepal................................................. >> 241 11.2. Musica e trance in un culto di possessione della Somalia >> 245 11.2.1. Gli oggetti del rito 11.2.2. La disposizione dei parte- - cipanti - 1 1.2.3. La musica e i 'convassegni' musicali - 11.2.4. La distribuzione dei ruoli musicali- 11.2.5. La danza- 11.2.6. Le funzioni della musica nel rituale del Mingis 12. Cogito, ergo sono............................................... >> 265 12.1. I.:elaborazione dell'informazione musicale................. >> 266 12.2. Emozione e significato........................................ >> 268 12.3. La musica come 'universo del discorso'..................... >> 273 Bibliografia.............................................................. >> 277 Indice degli esempi musicali......................................... >> 30 l Indice dei nomi e degli argomenti.................................. >> 305 9 Premessa Sulla base dei miei ricordi di studente (ma anche, perché no, dei miei purtroppo lontani trascorsi di pescatore dilettante o di giocatore di carte), non ho una grande opinione di quei manuali che sono con­ cepiti come guida pratica, come 'tutto ciò che il buon etnomusicologo (o pescatore o giocatore di carte) deve sapere'. Sono convinto della loro sostanziale inutilità, per lo meno in un ambito quale è quello delle scienze antropologiche, dove la ricerca porta innanzitutto a stabilire e intrattenere rapporti con persone e comunità di cui si studiano i com­ portamenti, le abitudini, la cultura, e molti dei risultati dell'indagine sono condizionati dalla natura e dalla qualità di tali rapporti umani che nessun prontuario, per quanto completo, potrà mai codificare. Certo, in un manuale di etnologia o di demologia si troveranno infor­ mazioni utili a chi voglia cimentarsi con tali campi di studi; tuttavia, la percezione esatta della complessità di aspetti, problemi e dinamiche che animano un terreno di ricerca può derivare soltanto dall'esperienza diretta: da quella di chi vi si accosta di persona, magari per la prima volta, ma anche da quella desumibile, libris interpositis, dai resoconti e dagli studi specifici dei suoi cultori. Solo dai risultati di un'esperienza vissuta possono scaturire idee, nuovi spunti e curiosità, conoscenza. D'altra parte, un manuale (o una Introduzione a ) finisce sempre... con l'essere una replica, per quanto aggiornata ed ampliata, di altri manuali (e introduzioni) scritti in precedenza sullo stesso tema. Certo, la diversità di scuola, d'impostazione, di stile letterario, di confezione ecc. porterà ogni autore a differenziarsi dai suoi predecessori, e in alcu­ ni casi anche a essere sostanzialmente innovativo. Ma la sensazione che sempre si ricava dall'insieme della manualistica su un determinato argomento è quella di un'ipostatizzazione dell'oggetto di studio e di una inesorabile meccanicità delle relative procedure di approccio. Tali limiti sarebbero, a mio avviso, insostenibili per una disciplina, tutto sommato, recente e ancora in progress come l'etnomusicologia. Pertanto ho cercato, in questo volume, di far emergere 'per contrasto' la II IL CONCETTO DI MUSICA sua fisionomia, i suoi metodi e i suoi risultati, tentando di mostrare come in oltre cent.;> anni di esistenza la ricerca etnomusicale abbia rivo­ luzionato il concetto occidentale di musica, suggerendone uno di più universale portata, e di come quindi abbia inciso a vari livelli- da quello del senso comune fino alla nuova circolazione e interazione di 'lingue' e generi musicali cui oggi assistiamo - nell'esperienza di tutti e non solo in quella ristretta, e spesso maniacalmente angusta, degli addetti ai lavori. Ciò non significa che in questo libro non si troveranno indicazioni puntuali sulla disciplina e sui suoi fondamenti, a partire dalla stessa definizione di etnomusicologia cui il primo capitolo è necessariamente e doverosamente dedicato. Ma nulla- o almeno questo è il proposito - sarà dato per scontato o per definitivo; nulla, perciò, dovrà esser preso per tale. Molti cambiamenti stanno infatti verificandosi nel variegato campo dell'espressività musicale contemporanea e anche in quello, meno variegato ma ancora suddiviso in comparti stagni, dello studio della musica. I tradizionali oggetti di studio della musicologia e del­ l'antropologia musicale sono totalmente diversi da come si presentava­ no solo mezzo secolo fa. Omnia mutant; e non c'è nulla di più avvin­ cente che comprendere, anche per la musica, le ragioni e le dinamiche di tali trasformazioni. Tuttavia, per rendersi conto del nuovo bisogna conoscere i fondamentali moventi, e le costanti, del comportamento musicale umano. Ed è questo forse il contributo più consistente che l'etnomusicologia può portare già oggi e nel prossimo futuro. La stesura di questo libro mi ha fornito inoltre l'occasione di rimettere mano e cercare di dare ordine e coerenza alle mie.personali ricerche, condotte finora essenzialmente in tre campi diversi, anche se fra loro compatibili - quello delle strutture ritmiche; quello delle prati­ che esecutive e improvvisative strumentali; quello dei rapporti fra musica e trance nei rituali tradizionali - e in tre aree fra loro molto lontane: italiana, con una predilezione per la musica sarda; est-africa­ na, in particolare della Somalia, dove in anni recenti ho condotto una prolungata ricerca sul campo i cui risultati complessivi presto, spero, verranno alla luce; nepalese, rispetto alla quale invece la ricerca è anco­ ra in una fase iniziale. La maggior parte delle esemplificazioni conte­ nute nel testo sarà dunque tratta da questi studi, sempre nella convin­ zione che sia più opportuno, anche in un'opera di carattere generale, fornire, quando ciò è possibile, testimonianze di prima mano 1 Questo spiega anche perché alcuni degli argomenti che, nelle tre parti in cui è 1 Alcune parti del testo (i PARR. 2.2; 5. 1 e 5.3; le pagine inrrodunive dei CAPP. 6, 7, 9 e 1 0; il CAP. 12) riprendono questioni già trattate nel saggio Homo I2 PREMESSA organizzato il volume, si succedono secondo un ordine che vuol essere consequenziale, saranno presentati con maggiore dovizia di dettagli o con un riferimento privilegiato a circoscritti ambiti di ricerca. È quan­ to avviene, ad esempio, per le relazioni fra teoria e pratica musicale illustrate attraverso le esperienze dei suonatori di launeddas della Sardegna (CAP. 8) o per i rapporti fra musica e stati alterati di coscien­ za analizzati soprattutto a partire dai fenomeni sciamanici nepalesi (PAR. 11.1) e da un culto di possessione della Somalia (PAR. 11.2). Il peso che tali questioni, e tali realtà, assumono nell'economia della trat­ tazione non deriva dall'intenzione di attribuire loro una maggiore importanza rispetto ad altre, quanto piuttosto da quella di mostrare, sulla base di dati acquisiti, come qualsiasi argomento possa trovare nella ricerca concrete possibilità di approfondimento e di verifica. Ma da ciò mi sia consentito trarre un ultimo suggerimento di cau­ tela. Le convinzioni manifestate in queste pagine, cosi come le propen­ sioni per determinate attuali tendenze dell'etnomusicologia, sono in gran parte il prodotto della mia personale esperienza, del mio partico­ lare modo (da ex-musicista) di accostarmi alla ricerca, dei miei convin­ cimenti di fondo. Al lettore, eventualmente, il compito di scoprire quali essi siano; a me, necessariamente, il dovere di ricordare che esi­ stono anche altri e diversi punti di vista. Personalmente, sono molto sensibile al punto di vista delle persone che stimo. Per questo, senza voler attenuare le mie responsabilità, devo riconoscere che questo libro deve molto ai suggerimenti, ai consigli, alle sollecitazioni e alle critiche, spesso determinanti, di numerosi amici e colleghi che, con grande disponibilità, hanno voluto in vari modi compartecipare alla sua realizzazione. In primo luogo debbo ringraziare Andrea Milano che, con l'affet­ tuoso ottimismo che gli appartiene, mi invitò, quando ancora insegna­ va Storia del Cristianesimo all'Università della Basilicata, a sviluppare nella forma più estesa del volume il percorso e gli argomenti del mio saggio Homo musicus. Ma nel clima di solidarietà di Potenza, altri musicus (Giannattasio, 1987a), che ha fornito in qualche modo la traccia per l'organizzazione degli argomenti. Upa versione largamente ampliata del CAP. 6, con esemplificazioni didattiche delle varie questioni trattate, è pubblicata nelle dispense Grammatica della musica etnica (Agamennone, Facci, Giannattasio, Giuriati, 1991) Il CAP. 8 è una versione parziale e riveduta del saggio Suonare a bocca. Elementi di 'teoria e solfeggio' dei suonatori di launeddas sarde (Giannattasio 1 985b). Il PAR. 1 1.2 è una versione ampiamente riveduta del saggio Somalia: la terapia coreutico-musicak del Mingis (Giannattasio, 1 983). 13 IL CONCETTO DI MUSICA amici e colleghi mi hanno in seguito espresso il loro avviso su vari aspetti del testo: in particolare, Ferdinando Mirizzi, Loredana Lazzari, Paolo Di Giovine e Piero Innocenti, il quale, oltre al sostegno della sua amicizia, non mi ha negato, dopo aver letto la prima stesura completa r del libro, il suo prezioso avviso di bibliologo. Di moltissimi suggerimenti e appunti più 'interni' allo specifico della materia sono debitore a Maurizio Agamennone, Andrea Carpi, Serena Facci, Giovanni Giuriati, Bernard Lortat-Jacob, Pierluigi Petrobelli, Antonello Ricci, Carlo Siliotto, Tran Quang Hai, Roberta Tucci e Agostino Ziino, per il versante musicale e musicologico (più o meno -etno); e, per quello antropologico, a Pietro Clemente, Romano Mastromattei, Elio Sena e specialmente a Laura Faranda, la cui affet­ tuosa partecipazione traspare quasi da ogni pagina del volume. Altrettanto si può dire, soprattutto per gli aspetti grafici del testo, a proposito di altri due cari amici: Mauro Geraci e Sergio Sammarone, a cui debbo fra l'altro la realizzazione di alcune figure (quelle più difficili e meglio riuscite). Uguale gratitudine va ad alcuni amici linguisti: a Giogio Banti, Cadballa Cumar Mansuur e Aweys Maxamed Waasuge (che ha costantemente collaborato con me nella ricerca in Somalia) per la loro consulenza circa i testi somali, e a Carlo Colombo per i suoi consigli sulla trascrizione del dialetto barbaricino. I.:unico rammarico è quello di non aver potuto sottoporre anche questo mio scritto, come tutti gli altri, al vaglio inflessibile e sempre rivoluzionario di Diego Carpitella. Ho cercato di immaginarmele le sue critiche ironiche e pungenti e le sue illuminanti digressioni, ma mi mancano. Per cui, se questo libro avesse la dignità che giustifica una dedica, essa sarebbe per Diego e per mio padre: miei primi ideali letto­ n e censon. Roma, gennaio 1992 I4 Parte prima I suoni del mondo e il mondo dei suoni Quando si pensa che di tutti i popoli della terra i quali hanno tutti una musica e un canto, gli Europei sono i soli che abbiano un'armonia, degli accordi e che trovino questo insieme piacevole; quando si pensa che il mondo è durato tanti secoli senza che, di tutte le nazioni che hanno coltivato le belle arti, nessuna abbia conosciuto questa armonia, che nessun animale, nessun uccello, nessun essere nella natura produce altro accordo che l'u­ nisono, né altra musica che la melodia: che le lingue orientali cosi sonore, che le orecchie greche cosi delicate e sensibili, esercitate con tanta arte, non hanno mai gui­ dato questi popoli voluttuosi e appassionati verso la nostra armonia, che senza di essa la loro musica aveva effetti tanto prodigiosi, che con essa la nostra ne ha di cosi deboli; che, infine, era riservato ai popoli del Nord, i cui organi duri e grossolani sono più sensibili al frago­ re delle voci che alla dolcezza degli accenti e alla melo­ dia delle inflessioni, fare questa grande scoperta e darla per principio a tutte le regole dell'arte: quando, dico, si fa attenzione a tutto ciò, è molto difficile non sospettare che tutta la nostra armonia non sia che una invenzione gotica e barbara, che non ci sarebbe mai venuta in mente se fossimo più sensibili alle vere bellezze dell'arte e della musica veramente naturale. Jean-Jacques Rousseau, voce Annonia, in Dictionnaire de la musique, 1 767 l L etnomusicologia Se è buona norma, quando ci si addentra in un ambito disciplina­ re, partire dalla sua definizione, tanto più lo è nel caso dell'etnomusi­ cologia, visto che, a oltre cento anni dalla sua nascita come campo di studi e a quasi cinquanta da quando ha adottato ufficialmente tale nome, obbliga ancora i suoi cultori a una scansione lenta e sillabata, quando qualche incauto pone loro la fatidica domanda: «Scusi, lei di cosa si occupa?)), Nove volte su dieci, alla risposta di rito - «Di et-no­ mu-si-co-lo-gia)) - segue un momento di imbarazzato silenzio, di solito rotto da un «Ah, ecco)) e da un enfatico scuotere del capo o, nei casi più coraggiosi, da una richiesta di ulteriori chiarimenti o di conferme a interpretazioni azzardate su due piedi. Certo, è vero che il termine in questione, al di là del suo conglomerato di affissi che lo rende quasi uno scioglilingua (e paradossalmente, visto il referente, del tutto amu­ sicale), rinvia anche a una professione fra le meno consuete; e in effetti, ai più non capita spesso di incontrare un 'etnomusicologo'. Ma le cose non vanno poi molto meglio, ancora oggi, con coloro che ritengono di sapere (o di dover sapere): ad esempio con non pochi musicisti e critici musicali dei circuiti colti o di consumo, che normal­ mente hanno dell'etnomusicologia un'idea parziale e riduttiva. Anche perché, trattandosi di una disciplina relativamente recente e per questo ancora soggetta a continue trasformazioni del modello teorico e del suo stesso campo di indagine, spesso ci si riferisce a concezioni e a pra­ tiche di ricerca ormai superate da tempo. Tuttavia, viene da credere che le ragioni del disorientamento siano, per tutti, più profonde e trovino un primo alimento nel termine stesso di etnomusicologia e nella sua ambiguità che - come si vedrà - non è solo formale, ma di sostanza. Dall'etimo composito di etno-musico-logia si possono infatti trarre due diverse ma altrettanto legittime interpretazioni: a) musicologia etnica (dei diversi popoli); b) etnologia della musica. 17 IL CONCETTO DI MUSICA Entrambe le formulazioni corrispondono in effetti a due tendenze realmente presenti nella ricerca etnomusicale e alternamente prevalenti nella storia degli studi: l'una che privilegia la specificità musicale - ovvero le forme, le tecniche, le tecnologie e i prodotti dell'attività musicale - e adotta competenze e strumenti di descrizione e analisi prettamente musicologici; l'altra che invece pone al centro dell'atten­ zione tutte le manifestazioni del comportamento musicale - dunque non solo forme e repertori, ma anche funzioni, occasioni e concezioni della musica - considerandole espressioni di un più ampio sistema cul­ turale e adottando perciò un punto di vista antropologico e strumenti di indagine propri dell'etnografia e della demologia. In entrambe le formulazioni il fuoco è comunque sul 'musicale'. Pertanto, si può prov­ visoriamente prendere per buona una prima definizione secondo cui l'etnomusicologia studia le forme e i comportamenti musicali delle società e culture d'interesse etnologico. Quali sono queste società e culture? Nella tradizione degli studi etnologici esse si sono definite in base a un rapporto di diversità - o, come spesso si dice, di 'alterità' - rispetto alla cultura osservante, che fino a oggi è stata quella dominante nelle società complesse dell'Occidente. Sono state cosi considerate d'interesse etnologico: le culture dei popoli definiti (con termine discusso) 'primitivi', ovvero delle società a struttura semplice, tuttora consistenti in Africa, Asia, Oceania e America meridionale ma rilevabili, in sem­ pre più ristrette oasi etniche, anche in America Settentrionale e in Europa (Indiani, Eschimesi, Lapponi ecc.); le alterità culturali delle cosiddette 'fasce folkloriche' (ovvero di quegli strati agro-pastorali e artigiano-paesani che tuttora conser­ vano una struttura economico-sociale e dinamiche culturali tradi­ zionali) presenti all'interno del contesto eurobianco occidentale 1; le società e culture anche 'complesse' del Vicino, Medio e Estremo Oriente. Una caratteristica comune a tutte queste società e culture è di basa­ re prevalentemente la trasmissione del proprio sapere, e del proprio saper-fare, sull'oralità piuttosto che sulla scrittura. Ciò non significa che una tradizione scritta sia sempre e dappertutto assente- si pensi in questo senso alle grandi civiltà dell'Oriente, all'India, alla Cina, all'e­ steso e multiforme mondo islamico - ed esiste pertanto una gradualità di situazioni. Ma al di là delle diverse soglie rilevabili fra oralità e scrit­ tura, in tutte queste società e culture la memoria, individuale e colletti- 1 Per una definizione di 'fasce folkloriche', cfr. Carpitella 1975b, p. 22. r8 ' I. L ETNOMUSICOLOGIA va, ha un ruolo preponderante nei processi di creazione, trasmissione e fruizione di prodotti culturali quali quelli musicali, per cui: la trasmissione del sapere (delle forme, dei repertori vocali e stru­ mentali, delle norme e delle tecniche di esecuzione e di costruzione e uso degli strumenti ecc.) è basata prevalentemente su un passag­ gio 'da bocca a orecchio' o su un'acquisizione di tipo visivo e in ogni caso empirica (cfr. PAR. 7. I); i prodotti musicali, cosl come l'elaborazione teorica (o comunque la ratio) che li sottende, sono sempre sottomessi alla pratica e non vivono di vita propria (cfr. CAP. 7), come invece accade nelle società della scrittura (il che pone, fra l'altro, notevoli problemi a un eventuale approccio storico); ogni esecuzione musicale, proprio perché libera dai vincoli pre­ scrittivi e proscrittivi della scrittura e affidata ai meccanismi sog­ gettivi della memoria, non si configura mai come esatta riprodu­ zione di un modello preesistente, ma sempre come condotta creati­ va (cfr. CAP. 9). In questo senso, la definizione prima proposta può essere anche riscritta come: l'etnomusicologia studia le forme e i comportamenti musi­ cali di tradizione orale. Entrambe le definizioni danno un'idea abbastanza precisa, anche se - occorre ribadirlo - provvisoria e non esaustiva, del campo di applica­ zione della ricerca etnomusicale cosl come, almeno fino a tempi recenti, esso si è configurato (in seguito si vedrà come oggi sia in realtà molto più esteso). Esse non ci dicono come, ma soltanto cosa l'etnomusicologia ua­ dizionalmente studia. Tuttavia, delimitando il campo, permettono anche di tracciare alcune demarcazioni fra l'etnomusicologia e le discipline cui è più prossima e alle quali, anche se sostanzialmente coeva, è in buona misura tributaria: la musicologia e le scienze demo-etna-antropologiche. 1.1 Etnomusicologia e musicologia: le ragioni di una autonomia di campo Oggetto privilegiato dell'etnomusicologia sono tutte le musiche al di fuori della tradizione colta europea, cioè tutte quelle - e sono la maggior parte - di cui la musicologia occidentale non si occupa. Inoltre, la 'storia della musicà, cosl come è ancora oggi insegnata nelle università e nei conservatori, non solo limita il suo campo d'interesse all'evoluzione del pensiero e della produzione musicali dell'ambito colto, ma ne ricostruisce le tappe soprattutto attraverso tracce scritte, anche perché - com'è noto - la trattatistica musicale da un lato e la 19 IL CONCETTO DI MUSICA notazione e la grafia musicale dall'altro hanno giocato un ruolo deter­ minante negli sviluppi della musica occidentale. Una doppia opposi­ zione- oralità l scrittura e eurocolto l folklorico-etnico - delimita per­ tanto, tradizionalmente, le soglie fra etnomusicologia e musicologia. È tuttavia significativo, e oggi ormai anche paradossale, che etichette quali 'storia della musicà e 'musicologia', pur riferendosi a un'unica cultura, pretendano di rappresentare un concetto onnicomprensivo di musica, e che viceversa, quando ci si rivolge alle espressioni musicali di tutte le altre culture e società del mondo, se ne debba circoscrivere l'ambito con attributi e prefissi più o meno pertinenti (etnomusica, folkmusic, musica orientale, primitiva, esotica ecc.), quasi che da un lato vi fosse 'là musica, dall'altro 'delle' musiche, se non addirittura delle parvenze di musica. La 'rivoluzione antropologicà che ha caratterizzato l'ultimo secolo, consentendo alle diverse culture di svelarsi reciprocamente, ha permes­ so fra l'altro di constatare che non esistono società, per quanto ristrette e isolate possano essere, prive di una qualche forma espressiva musica­ le. In altri termini, è oggi possibile ritenere che la musica costituisca un 'universale' del comportamento umano, come il linguaggio o l'organiz­ zazione sociale. Naturalmente, cosi come esistono società e lingue diverse, esisteranno molteplici tipi di musica e differenti sistemi di organizzazione delle forme e dei comportamenti musicali. La stessa musicologia occidentale, in quanto studio di uno specifico sistema, non è l'unica: basti pensare alle musicologie araba, cinese, giapponese, indiana ecc. In questo senso, la dicotomia fra musicologia ed etnomu­ sicologia, cosi come si è fino a oggi configurata, sembra trovare sempre meno giustificazioni ed è semmai la prima ad avere sempre più biso­ gno di aggettivi che ne delimitino la portata. Tanto meno sono realistiche definizioni, come quella riportata nella più recente edizione del Vocabolario Zingare/li, secondo cui l'et­ nomusicologia costituirebbe quella «parte della musicologia che stu­ dia le musiche popolari dei vari paesi)). Come risulterà dalla storia degli studi (CAP. 3), nonostante le origini comuni e le attuali nuove convergenze, la ricerca etnomusicale ha in realtà mantenuto, lungo tutto il corso del suo sviluppo, una sostanziale autonomia da quella musicologica, non solo per la necessità di mettere a punto proprie metodiche di ricerca e di analisi, ma anche a causa dell'aristocratico distacco con cui i musicologi hanno sempre trattato i ricercatori di musiche 'popolari' e 'primitive'. Una traccia di tale presa di distanza si può cogliere nella stessa definizione dello Zingarelli e in quel generi­ co 'musiche popolari'. Cosa c'è infatti di 'popolare' in un maqam arabo per liuto, in un raga eseguito al sitar da un maestro della tradi- 20 ' I. L ETNOMUSICOLOGIA zio ne indostana oppure nello stile e nei repertori di un'orchestra gagaku giapponese? In realtà, la ricerca etnomusicale ha sempre consi­ derato il prefisso etno- nel suo senso più generale, ritenendo tutti i possibili strata musicali (colti, popolari, di tradizione orale, di tradi­ zione scritta) come manifestazioni equivalenti, e di pari dignità, di un'unica esigenza umana di esprimersi creativamente mediante i suoni. Ciò che diversifica, nei quattro angoli del mondo, i vari piani e livelli di organizzazione sonora musicale sono naturalmente le condi­ zioni storiche, economiche e socio-culturali nelle quali i diversi siste­ mi musicali si sono realizzati e stratificati, e non un valore intrinseco delle diverse ' lingue' musicali. Tant'è vero che sempre più, in anni recenti, l'etnomusicologia si è interessata anche a generi e forme di musica non folklorici e in larga misura interni al mondo culturale e al sistema musicale occidentale (jazz, pop-rock, popular music, musica applicata ecc.), non tanto e soltanto perché ignorati dalla musicolo­ gia, ma perché appunto manifestazioni importanti di 'etnicità' musi­ cale. In questa logica è comprensibile l'affermazione secondo cui in realtà «tutta la musica è musica popolare, nel senso che non può esse­ re trasmessa o avere un significato al di fuori dei rapporti sociali)) (Blacking, 1986, p. 24; ed. or. 1973). Ciò non significa che l'etno­ musicologia debba invadere il campo dei musicologi occidentali, le cui modalità di approfondimento storico e sistematico della musica 'd'arte' euroculta hanno una autonoma e consolidata ragion d'essere. Anzi, per la loro 'internità' rispetto alla cultura musicale osservata, esse sono in buona misura incompatibili con le esigenze di generaliz­ zazione e con il distacco critico necessari a uno studio transculturale, qual è quello etnomusicale. Questo suggerisce una terza importante linea di demarcazione fra musicologia ed etnomusicologia: dicendo che la prima studia la musica della 'proprià cultura e la seconda le musiche delle 'altre' culture, non ci si riferisce tanto e soltanto alle aree geografiche investite dall'indagi­ ne, ma anche alle modalità dell'approccio e all'esigenza, per gli etnolo­ gi musicali, di porsi come 'cultura osservante' rispetto a una 'cultura osservata'. Non è detto perciò che le culture 'altre' debbano essere necessariamente le altre culture: quanto ora affermato a proposito del crescente interesse dell'etnomusicologia per i generi della cosiddetta popular music dimostra che essa può anche affrontare questioni interne al mondo musicale occidentale, a patto di non esprimere giudizi di valore, come la musicologia è portata a fare (ad esempio, ignorando del tutto la cosiddetta musica extracolta) e di assumere invece un punto di vista antropologico che le garantisca una osservazione distaccata e ten­ denzialmente 'neutrale'. Per meglio chiarire la questione con un esem- 21 IL CONCETTO DI MUSICA pio in qualche modo paradossale: se l'etnomusicologia dovesse studiare sistematicamente la cultura musicale eurobianca dovrebbe analizzare con la stessa attenzione i jingles della pubblicità televisiva e le concezio­ ni, i comportamenti e il ruolo dei musicologi, che di tale cultura sono ' una significativa espressione. Per altri versi, la convenzionale divisione di ruoli fra etnomusico­ logia e musicologia non è che il prodotto delle particolari condizioni storiche in cui le due discipline si sono parallelamente sviluppate. In effetti, la prima può essere definita come 'studio delle forme e dei comportamenti musicali di tradizione orale', soprattutto sulla base di una specializzazione maturata, in un secolo di indagini, proprio in virtù di un progressivo distacco dal campo di interessi della 'storia della musicà eurobianca; campo che oggi, come un secolo fa, resta sostanzialmente delimitato alla sola letteratura musicale, ovvero a opere di produzione individuale ('d'autore') e soggiacenti a norme prevalentemente estetiche ('d'arte'). Allargando la sfera d'interesse alla musica di produzione (e trasmissione) collettiva e funzionale, l'etnomusicologia si è andata invece configurando sempre più come «studio della musica in quanto aspetto universale del comportamen­ to umano» (Kwabena Nketia, 1962, p. l), in una prospettiva che va oltre la sola produzione etno-folklorica di tradizione orale per porsi il problema più complessivo della musica in quanto forma espressiva. Soprattutto per tale ragione si porrebbe oggi la necessità di rivedere, se non altro, almeno la distinzione terminologica fra i due ambiti di studio. Per comprendere questa evoluzione della ricerca etnomusicale occorrerà, naturalmente, rifarsi alla sua storia (CAP. 3). Essa corre parallela a quella delle discipline antropologiche, da cui anzi si distin­ gue esclusivamente per la specificità del suo interesse, che richiede una competenza musicale di cui generalmente etnologi, demologi e antro­ pologi sono sprovvisti. I.:etnologo musicale ha innanzitutto una formazione di tipo musi­ cologico, di cui si serve in una ricerca di tipo antropologico. È ovvio che tale competenza musicale è stata acquisita, almeno inizialmente, in rapporto alla musica della propria cultura; il che equivale a dire, per la maggior parte dei casi, nelle scuole e nella pratica dell'Occidente. Non va dimenticato, a questo proposito, che etnologia, musicologia ed etnomusicologia sono concretizzazioni diverse di un unico modello di pensiero, di scienza e di cultura: quello occidentale. Questo spiega per­ ché la teoria musicale eurocolta resta un punto di riferimento indi­ spensabile nella formazione di un etnomusicologo, anche oggi che, diversamente dal passato, esistono corsi specifici e curricula universitari 22 ' I. L ETNOMUSICOLOGIA finalizzati allo studio etnomusicale. Ma naturalmente ciò era tanto più vero agli inizi, quando lo studio transculturale della musica cominciò a muovere i suoi primi passi. La ricerca etnomusicale iniziò infatti ad avere una sua sistemati­ cità nella seconda metà del secolo scorso, sull'impatto delle prime acquisizioni della ricerca etnologica da cui emergevano, per quanto in modo discontinuo, anche testimonianze e dati su pratiche musicali delle più sperdute regioni del mondo. Questi reperti documentari che ben presto, con l'invenzione del fonografo (nel 1877, a opera di Thomas Edison) ebbero anche una loro materialità sonora, fecero apparire una tale eterogeneità di forme e di usi musicali, da rendere necessaria una musicologia comparata che si occupasse di ricercare analogie, differenze, costanti, punti di contatto fra queste musiche esotiche e 'primitive' e la musica occidentale, allora considerata come 'là musica tout court. Per oltre mezzo secolo la disciplina mantenne il nome di musicologia comparata, fi nquando, nei primi anni Cinquanta, l'olandese Jaap Kunst non introdusse il termine di etno­ musicologia (cfr. PAR. 3.2). La vocazione comparativa resta a tutt'og­ gi un tratto fondamentale della ricerca etnomusicologica; tuttavia, quel che è progressivamente cambiato, soprattutto da quando la disciplina ha assunto l'attuale denominazione, sono i termini del con­ fronto: cosa e come comparare? quale concezione di musica assumere come modello di riferimento? quali strumenti interpretativi utilizzare per la comparazione? Perché è evidente che il primo problema che ci si trova di fronte quando ci si appresta allo studio di musiche diverse dalla propria è quello della loro riconoscibilità. E che dunque la ricer­ ca etnomusicale, mettendo a confronto forme e comportamenti musicali delle diverse società e culture, ha posto di fatto al centro della questione il concetto stesso di musica. Come si cercherà di dimostrare nel CAP. 2, è forse proprio questa la ragione che rende difficile, anche a molti attuali cultori della musica occidentale, coglie­ re il senso più profondo dell'etnomusicologia, e della rivoluzione concettuale che ha provocato rispetto alla apparentemente univoca 'arte delle Muse'. 1.2. Etnomusicologia e antropologia: le ragioni di una convergenza di metodi Se il confronto con la musicologia ha permesso di precisare il dove e il perché della disciplina, quello con l'antropologia e, più in generale, con le scienze umane, permetterà ora di definirne il come e il cosa, in 23 IL CONCETTO DI MUSICA quanto è soprattutto in tale ambito di studi che l'etnomusicologia, per le sue metodiche, può essere collocata. Si è visto infatti come essa si differenzi dalla musicologia occidentale non solo per il suo specifico campo di investigazione, ma anche perché affronta lo studio dei feno­ meni musicali in una prospettiva transculturale, ponendosi l'obiettivo ambizioso di rispondere al quesito ((cos'è la musica?» attraverso l'indivi­ duazione dei suoi meccanismi e delle sue funzioni nel campo delle atti­ vità e dei comportamenti umani. Come si è accennato, alla definizione di questo suo progetto l'etnomusicologia è giunta gradualmente, all'i­ nizio accingendosi allo studio delle musiche 'altre' da quella occidenta­ le e, progressivamente, sviluppando la sua duplice vocazione - descrit­ tiva e comparativa - fino ad arrivare addirittura a mettere in crisi il concetto occidentale di musica, da cui peraltro il confronto era partito. Proprio il suo sviluppo e il suo attuale obbiettivo - per dirla col titolo del libro più famoso di John Blacking (1986; ed. or. 1973), compren­ dere Come è musicale l'uomo?- hanno comportato l'esigenza di mettere a punto una strumentazione di indagine sempre più 'scientificà, alme­ no per quanto è concesso a una disciplina che si occupa del comporta­ mento umano e dei suoi prodotti. Questa tendenza a una sempre mag­ giore 'oggettività' le deriva appunto dal crescente bisogno di verificare e classificare i dati raccolti, formulare ipotesi e controllare variabili, al fine di arrivare a generalizzazioni sul comportamento musicale che, travalicando le singole società o culture, assumano portata e validità universali. È proprio questa esigenza di identificare 'leggi' generali che divarica i metodi e i modelli di analisi dell'etnomusicologia da quelli delle discipline storiche (fra cui, sostanzialmente, va collocata anche la tradizionale musicologia), accomunandoli invece a quelli delle cosid­ dette 'scienze nomotetiche' 2: in primo luogo a quelli dell'antropologia culturale, ma anche, come da altre parti del volume risulterà evidente, della linguistica, della semiologia, della psicologia, della sociologia. Ciò non significa per l'etnomusicologia, cosl come per le altre scienze umane ora menzionate, trascurare completamente la dimensione stori­ ca; ma anche in tale dimensione - sempre che il contesto studiato renda possibile coglierla - oltre a reperire eventuali dati da mettere a disposizione delle varie 'storie della musica' 3, vengono privilegiate la 2 Sulla differenza fra scienze storiche e nomotetiche (cioè 'atte a stabilire leggi'), cfr. Piaget, 1 973, pp. 1 1-8. 3 Vanno in questo senso, ad esempio, i contributi dell'etnomusicologia all'identificazione dei nessi tra colto e popolare e fra oralità e scrittura nella genesi e nello sviluppo della musica culta medioevale, sulla base di ipotesi infe- ' I. L ETNOMUSICOLOGIA ricerca e l'identificazione di 'leggi di sviluppo', ricavabili in base a un confronto fra elementi sincronici e diacronici 4 Ad esempio, nella più recente ricerca etnomusicale, grande importanza ha assunto lo studio dei 'modelli di trasformazione' della musica nella profonda interazione fra società tradizionali e società 'avanzate' che caratterizza l'attuale fase storica. Certamente, l'esigenza di oggettività delle scienze nomotetiche, specie se confrontata con quella delle cosiddette scienze esatte, è più tendenziale che reale, nel senso che anche l'intuizione e la speculazione hanno un loro peso innegabile nel determinare le scelte e gli esiti di una ricerca che ponga al centro dell'attenzione i comportamenti umani. Ciò per l'etnomusicologia è tanto più evidente se si considera che essa è nata proprio da un'intuizione di diversità fra le 'lingue' musicali e si è sviluppata come riflessione, anche filosofica, sulle ragio­ ni e i caratteri di tali diversità. La 'scientificità' della ricerca può emer­ gere tuttavia dal modo di contemperare, senza confusioni e forzature ideologiche, le intuizioni e le speculazioni con adeguate metodiche di approccio e verifica dei diversi fenomeni musicali. Ciò che soprattutto accomuna l'etnomusicologia alle discipline antropologiche sono le fasi e le procedure di raccolta, elaborazione e generalizzazione dei dati. Va da sé che l'oggetto stesso dell'indagine, cosl come alcune specifiche esigenze di trattamento dei dati e di for­ malizzazione dei risultati (trascrizioni, analisi acustiche, realizzazioni discografiche ecc.), conferiscono all'etnomusicologia una fisionomia autonoma, che la differenzia, a volte anche in modo marcato, dagli altri campi dell'indagine antropologica. È pertanto in questo quadro di riferimento che saranno prese in esame le modalità specifiche dello stu­ dio etnomusicologico, riguardanti: a) i settori di indagine; b) le fasi, le tecniche e i metodi di lavoro; c) i prodotti della ricerca (ovvero i modi in cui essa viene formaliz­ zata per essere resa alla comunità scientifica oppure specificamente ela­ borata per una divulgazione al largo pubblico). Come è chiaro, si tratta di tre piani interrelati, tutti egualmente dipendenti da una serie di variabili: dal modello teorico del singolo ricercatore alle trasformazioni sociali delle realtà studiate, fino alle evo­ luzioni tecnologiche che, nel corso di cento anni di studi, hanno pro- rite dai meccanismi di produzione e dai repertori arcaici dell'attuale folklore musicale europeo. 4 Cfr., a questo proposito, Philipp, 1989. IL CONCETTO DI MUSICA vocato sensibili cambiamenti nelle modalità di rilevamento, analisi e riproduzione dei dati etnomusicali. Tuttavia, questi tre piani si sono proporzionatamente sviluppati con il progredire della etnomusicologia, determinando nel tempo anche una sorta di deontologia professionale. Si possono pertanto rintracciare diverse costanti nel1avoro dell'etno­ musicologo, che in qualche modo prescindono dal suo particolare punto di vista o dalla sua specifica area d'interesse. 1.2.1. I settori d'indagine I..:etnomusicologo si trova sempre a confronto con una moltepli­ cità di forme e comportamenti che, nel loro insieme e in modo inter­ relato, caratterizzano i sistemi musicali oggetto della sua ricerca. Nella raccolta dei dati 'sul campo' e nelle fasi successive dell'elaborazione egli può porsi l'obiettivo di esaminare sistematicamente tutti gli aspet­ ti, al fine di identificare i tratti peculiari di una singola cultura musi­ cale che intenda studiare nel suo complesso; ma può anche selezionar­ ne uno, o soltanto alcuni, da sottoporre a esame intensivo in un'area geografica e culturale limitata oppure a un'indagine estensiva che coinvolga contemporaneamente più aree. Si configura pertanto, anche in etnomusicologia, la possibilità di uno studio (e di una specializza­ zione) settoriale, cosl come avviene nella ricerca antropologica, dove alcuni si dedicano all'analisi dei sistemi di parentela, altri ai fenomeni rituali ecc. Fra i settori privilegiati della ricerca etnomusicologica, si possono considerare: - lo studio dei repertori musicali e dei loro tratti distintivi (forma­ li, per genere, per denominazione, per categorie funzionali ecc.) che, in sostanza, costituisce la condizione preliminare a ogni ulteriore tipo di approfondimento; - lo studio delle fonti e delle tecniche di produzione del suono musicale, in primo luogo delle modalità di esecuzione vocale (timbri, registri, tecniche di emissione ecc.) e, in modo dettagliato, degli stru­ menti musicali che, in ambiti di tradizione orale, costituiscono spesso l'unica 'traccia materiale' della musica (cfr. PARR. 5.1 e 5.2); - lo studio, nei repertori cantati, dei testi verbali, che può riguar­ dare il loro c o n t e nu to ma anche le loro relazioni formali (fonologico/foniche, metrico/ritmiche ecc.) con il contenitore musicale e porre, più in generale, la questione dei rapporti fra linguaggio e musica (cfr. PAR. 9.2 e CAP. 1 0, pp. 21 0-2); - lo studio del complesso dei tratti stilistici, desumibili dalle forme e dai repertori vocali e strumentali e dalle loro modalità di trattamen­ to, che permettono di identificare, sotto il profilo - per cosl dire - ' I. L ETNOMUSICOLOGIA 'grammaticale' e 'sintattico', un intero sistema musicale o parti di esso (cfr. CAPP. 5-7 e 9); - lo studio delle occasioni del 'fare musica' e delle molteplici fun­ zioni che le forme e i comportamenti musicali assolvono nella vita sociale, in relazione ad altre forme di comunicazione e di espressione (si pensi soprattutto alla danza) e, in generale, ad altri aspetti, attività e valori della cultura (cfr. CAP. IO); - lo studio del ruolo sociale, delle pratiche di apprendimento e di trasmissione del sapere e, in generale, dell'attività dei musicisti, intesi come specialisti, e pertanto come interlocutori privilegiati, nell'ambito di una cultura musicale (cfr. PAR. 7.1); - lo studio delle idee e dei concetti relativi alla musica e ad aspetti specifici (tecnici, teorici, estetici ecc.) della sua produzione, espressi dai musicisti ma anche dagli altri appartenenti alla cultura studiata (cfr. PAR. 7.1 e CAP. 8). Per quanto un ricercatore possa essere soprattutto interessato a uno o ad alcuni soltanto dei settori ora elencati, è evidente che, soprattutto nella fase dell'indagine sul campo, sarà portato (a meno che non si tratti di uno studio estensivo compiuto passando rapidamente da un'a­ rea musicale a un'altra) a raccogliere dati anche sugli altri aspetti; e ciò non solo perché forme, concetti e comportamenti musicali di solito costituiscono un insieme indissociabile all'interno del 'fare musicà tra­ dizionale, ma anche per un motivo deontologico, essendo tenuto a documentare nel modo più completo possibile le culture musicali che studia. 1.2.2. Le fasi, le tecniche e i metodi di lavoro Lo studio etnomusicologico, cosl come quello antropologico, implica essenzialmente tre fasi: a) la ricerca sul campo, che costituisce una fonte indispensabile nello studio di musiche di mentalità e tradizione orale e che, per quan­ to dipendente dalle concezioni e dagli interessi specifici di ciascun ricercatore, rispetta generalmente specifiche modalità di svolgimento (soggiorni prolungati, adattamento ai costumi e alle regole di vita loca­ li, particolari tecniche di selezione, approccio ed escussione degli infor­ matori, uso di apparecchiature per il rilevamento sonoro e audiovisivo, eventuale impiego di schede e questionari 'di campo' ecc.); b) l'elaborazione dei dati raccolti sul campo, consistente nello spo­ glio dei materiali e nella loro collazione in insiemi coerenti alle finalità della ricerca, che implica di solito un'attività di studio 'in laboratorio', nella quale i reperti musicali vengono schedati, trascritti (con partico- 27 IL CONCETTO DI MUSICA lari sistemi di grafia) 5 e analizzati, ricorrendo all'occorrenza anche a specifiche apparecchiature (ormai computerizzate) per l'analisi spettro­ grafica del suono; c) la valutazione in chiave comparativa dei dati risultanti dalle due fasi- 'sul campo' e 'in laboratorio'- dell'indagine etm grafica, al fine di una loro generalizzazione rispetto alle principali questioni etnomusico­ logiche, siano esse di natura prettamente musicale (ad esempio la dif­ fusione, l'uso le tecniche di costruzione di un particolare tipo di stru­ mento, i sistemi scalari ecc.), o di carattere più squisitamente antropo­ logico musicale (ad esempio le funzioni della musica nelle pratiche rituali, il concetto di musica e le tassonomie musicali nelle varie cultu­ re ecc.). Sebbene il fine ultimo di questa articolata attività di studio sia la comprensione della musica in quanto attività espressiva umana, vi sono alcuni compiti più immediati che la ricerca etnomusicologica, da quando esiste, non ha mai cessato di assolvere. Il primo è quello di documentare la produzione musicale dei vari popoli, completando e rendendo disponibile, per tutte le possibili forme di divulgazione, una sorta di 'atlante' delle diverse culture musicali che consenta una circo­ lazione di informazioni su forme, strumenti, repertori e usi musicali, molti dei quali ancora in buona misura sconosciuti ai più. Il secondo compito, che costituisce in qualche modo il corollario del primo, è quello di realizzare questa opera di documentazione prima che buona parte di tali forme e comportamenti musicali scompaiano, spazzati via dal processo di omologazione culturale che caratterizza l'epoca attuale. Per quanto un'esigenza di urgent anthropology effettivamente esista, come soprattutto gli etnomusicologi degli anni Cinquanta segnalavano nei loro appelli e con la loro infaticabile attività documentaria (cfr. PAR. 3.2), il problema non va sopravalutato, in quanto è ormai evi­ dente che nelle attuali dinamiche di cambiamento buona parte delle musiche tradizionali non scompare, ma si trasforma (per evoluzione interna, per sincretismo ecc.). Anche tali processi di mutamento posso­ no in effetti costituire un importante oggetto di studio etnomusicale. 1.2.3. I prodotti della ricerca I modi in cui la ricerca viene resa alla comunità scientifica o divul­ gata al largo pubblico rispecchiano i vari momenti dello studio etna- 5 Sui metodi di trascrizione in etnomusicologia, cfr. Giuriati, in Agamennone, Facci, Giannattasio, Giuriati, 1 99 1 , pp. 243-90. 28 ' I. L ETNOMUSICOLOGIA musicale, per cui a ognuna delle tre fasi della ricerca corrisponde, di fatto, un livello di formalizzazione dei dati. I brani musicali registrati sul campo, accompagnati dalle relative schede che il ricercatore ha compilato all'atto della raccolta con i dati contestuali (data, luogo e occasione del rilevamento, nomi degli infor­ matori ecc.) e una prima sommaria descrizione dei singoli reperti sonori (titolo, indicazioni sul genere, la funzione, l'organico vocale e/o strumentale, eventuale testo verbale ecc.), costituiscono già, per loro conto, una prima base documentaria che può venire affidata a un archivio, per essere consultata da altri studiosi. Per rendersi conto del­ l'importanza di questo primo livello di documentazione, basti conside­ rare che la 'musicologia comparata' ha potuto avere inizio proprio gra­ zie alla costituzione, agli inizi di questo secolo, dei primi archivi sonori (cfr. PAR. 3.2). La successiva elaborazione, 'a tavolino' e 'in laboratorio' , dei dati raccolti sul campo può avere come esiti una serie di pubblicazioni destinate alla comunità scientifica e/o a un pubblico più vasto: monografie su specifiche culture musicali o su un singolo aspetto della loro organizzazione sonora (un particolare strumento, un deter­ minato repertorio ecc.); antologie e raccolte di canti e brani strumen­ tali relativi a una determinata società o area folklorica; analisi puntua­ li (acustiche, formali, contestuali) su singoli aspetti di una data pro­ duzione musicale. Tali studi possono essere presentati sotto forma di testi scritti (libri, saggi e articoli su riviste specializzate o di divulga­ zione) o servirsi del medium, spesso più idoneo all'argomento tratta­ to, di un supporto sonoro (disco, cassetta, compact), di solito corre­ dato da un apparato critico scritto (ad esempio, opuscoli inseriti nel contenitore del supporto, con informazioni, foto, trascrizioni ecc.); ma sono possibili anche soluzioni del tipo libro + disco, libro + musi­ cassetta ecc. Cosl come esistono edizioni e riviste specializzate di etnomusicologia, sono reperibili in vari paesi collane discografiche consacrate alla musica etnica e folklorica. Recentemente, con lo svi­ lupparsi del fenomeno della cosiddetta world music, pubblicazioni discografiche di etnomusica cominciano a essere inserite anche nei più larghi e convenzionali circuiti di distribuzione e di mercato. Negli ultimi anni si è inoltre intensificata una produzione documentaria audiovisiva, da sempre fiorente in ambito etnomusicologico ma oggi ancora più sviluppata grazie alle facilità di impiego e ai minori costi di esercizio e di edizione, rispetto alla produzione su pellicola, dei videoregistratori su supporto magnetico. Cosl come in altri ambiti della ricerca antropologica, anche in etnomusicologia si è delineata una specifica 'antropologia visivà della musica, che ha i suoi cultori e 29 IL CONCETTO DI MUSICA i suoi specialisti 6 Fra questi vi era anche Diego Carpitella, pioniere della moderna etnomusicologia italiana, il quale riteneva determinan­ te, per l'interpretazione dei fenomeni musicali, l"indice visuale', e ciò specialmente in ambiti di comunicazione, mentalità e tradizione orali, nei quali, come spesso affermava (Carpitella, 198 0): il modo di tenere uno strumento o di atteggiarsi per cantare, di ostentare gli effetti, di guardare il pubblico, di rievocare con i suoni un mito o una leg­ genda ecc. [sono] tutti avvenimenti e fatti che rientrano in culture modulari e formulari: [e] il film quando ha una sintassi e una grammatica pertinenti è un ottimo mediatore di formule e moduli. Ma soprattutto sostituisce tante parole... I n effetti, oltre ai comportamenti fisici relativi all'esecuzione vocale e strumentale, il documento audiovisivo ne rivela altri (espressioni, del volto, gesti, posture ecc.), egualmente significativi per l'evento musica­ le, che nessuna descrizione verbale o trascrizione grafica potrebbe ren­ dere in modo compiuto. Infine, al terzo stadio della ricerca etnomusicologica, quello della comparazione e generalizzazione dei dati, si collocano opere di caratte­ re più complessivo: non solo manuali e testi di carattere generale, ma anche e soprattutto studi transculturali su particolari argomenti musi­ cologici - si pensi ad esempio a Rhythm and Tempo di Curt Sachs (1 953) - o antropologico-musicali - come ad esempio l'ampio trattato su Musica e trance di Gilbert Rouget ( 1 986; ed. or. 1 980) , i quali - spesso travalicano lo specifico disciplinare, rendendo disponibili i dati della ricerca etnomusicale alle analisi e agli approfondimenti di altre scienze umane (antropologia culturale, semiologia della musica, psico­ logia ecc.). 6 Sulla storia e le tecniche del film etnomusicologico, cfr. Feld, 1 976 e Zemp, 1989a. 30 2 Gli universalia e la trasformazione del concetto occidentale di musica Se l'etnomusicologia nasce con la scoperta e l'osservazione delle 'alterità' musicali, dovrebbe essere ormai chiaro che essa non ha come scopo principale lo studio programmatico delle musiche diverse e lon­ tane o, come recita il Vocabolario Zingarelli, «delle musiche popolari dei vari paesi)), quanto quello di interpretare ogni fenomeno musicale in rapporto alla particolare cultura che lo ha prodotto, adottando stru­ menti e categorie di portata e validità universali. Tuttavia, è pur vero che il rilevamento delle diversità è alla base dell'intera esperienza etno­ musicologica e che, nella fase pionieristica della disciplina, l' osservazio­ ne e il confronto procedettero soprattutto per differenze. A sostegno di questo atteggiamento euristico, allora del tutto legittimo, era l'idea che la musica costituisse un unicum indivisibile e che la varietà di forme in cui essa si presentava nelle diverse società e culture via via esplorate potesse e dovesse essere ricondotta a dei tratti (ritmici, metrici, melodi­ ci ecc.) universali, per cui il problema era quello di individuarne le costanti. La cosiddetta 'questione degli universalia' musicali fu cosl, per molti decenni, al centro delle preoccupazioni dei primi ricercatori, per i quali le diversità non avevano soltanto il fascino del nuovo e dell' eso­ tico, ma presentavano anche un oggettivo interesse, giacché era su di esse che dovevano affinare l'osservazione e concentrare gli sforzi di interpretazione. Naturalmente, nessun tipo di confronto sarebbe stato possibile senza il riferimento a un modello sulla cui base operare distinzioni, stabilire analogie e differenze e, d'altra parte, il modello dei primi etnomusicologi non poteva che essere la musica dell'Occidente, con la sua storia, le sue forme e le sue concezioni. Pertanto, la ricerca delle differenze si basò sull'implicito che dovessero essere considerati musi­ cali tutti quei fenomeni che, nelle altre società e culture, rivelavano essenziali analogie formali con la musica occidentale. Ma un tale pro­ cedimento analogico-deduttivo era destinato a scontrarsi con la realtà delle cose. 31 IL CONCETTO DI MUSICA 2.1. I.:inganno delle forme Se infatti, per simulare sperimentalmente l'esperienza comparativa dei primi etnomusicologi, si prendesse come punto,di partenza il siste­ ma tonale armonico in cui la musica dell'Occidente si è solidamente attestata negli ultimi tre secoli, e ad esempio si confrontasse il secondo preludio de Il Clavicembalo ben temperato di J. S. Bach con un brano per arco musicale della tradizione centro-africana, potremmo rilevare nella semplice formula iterativa eseguita dallo strumento africano la stessa organizzazione metrico-ritmica del preludio di Bach e anche un'analoga combinatoria di accenti dinamici e melodici (ESS. l e 2): ESEMPIO I Prime due misure del n preludio de Il clavicembalo ben temperato di Bach Allegro ( J = 104) > > > > > > ESEMPIO 2 Formula melodico-ritmica eseguita, con l'arco musiCille, in Centro-Africa J = 68circa > > t t t t t t t t ,, Id 3 3 J J J j J J J J J j j J J Il L"esempio è trano dal CD lnsii'Umentr de musique du monde. a cura di G. Downon Tourdle e ]. Schwarz (Le Chant du Monde LDX 2746nl: brano 6. Ma a parte le affinità ritmiche, i due brani sono certamente molto diversi: alla melodia 'a intervallo unico', realizzata cioè con due soli suoni di eguale valore gerarchico, che caratterizza l'esempio africano, 32 2. GLI UNIVERSALIA si contrappongono l'armonizzazione a due parti e le continue modula­ zioni del preludio, che naturalmente impiega una scala 'ben tempera­ tà, mentre l'intervallo ottenuto sull'arco musicale non è temperato, ma leggermente più ampio di una seconda maggiore (cfr. le frecce ver­ ticali poste sul suono annotato, nell'adattamento al pentagramma, come La). Le melodie a intervallo unico, che Sachs (1979, pp. 78 ss.), in una prospettiva evoluzionista, considerò fra i prototipi universali dell' orga­ nizzazione melodica, ricorrono nella musica di numerose società, soprattutto di quelle a struttura più semplice, per cui l'organizzazione melodica del brano africano non è dissimile da quella riscontrabile, ad esempio, nelle salmodie degli indios amazzonici, cui appartiene il canto sciamanico degli indios Tariana (Alta Amazzonia), registrato da Ettore Biacca (1966), dell'ES. 3: ESEMPIO 3 Canto "per congedare gli spiriti" di uno sciamano Tariina (Jauareté, Rio Uau­ pés) J 80clrca ,_ t 12' ' e e 3 121 P i fr 1; »·V ;Jjf}jJI... · U canto pubblicato in uno dei quindici dischi >, né tanto meno sul rapporto tra combinatoria dei suoni e loro percezione. Ne risulta invece l'idea, non a caso comunemente invalsa, di un"arte' per pochi eletti che però contrasta, in tutta evidenza, con una diffusione generalizzata di molte pratiche musicali (basti pensare al canto). Ma a questo c'è una spiegazione: le lapidarie definizioni dei dizio­ nari esprimono una concezione 'coltà della musica e, in questo senso, sono il risultato di «un restringimento e di una specificazione del campo musicale)) (Molino, 1975, p. 37) connessi all'evoluzione della nostra musica 'd'arte'. Esse ci riconducono agli inizi del Medioevo quando la musica, collocata fra le arti liberali del Quadrivio, assunse la fisionomia di un'autonoma scienza dei suoni, rompendo quei vincoli con l'espressività della parola e del gesto, che erano impliciti sia nella mousikè teknè dei Greci che nella musica dei Romani. La trattatistica medievale (Boezio, Cassiodoro, Isidoro di Siviglia ecc.) operò inoltre, con la distinzione tra musici (teorici della musica), i veri artisti, e canto­ res (cantanti e strumentisti), gli esecutori materiali, una doppia cesura fra arse artificium e fra teoria e pratica musicali, in seguito mai più ricomposta 6 La delimitazione dei fenomeni musicali ad una specifica attività artistica permise cosl di circoscrivere e controllare un tipo di 3 Alla voce Musica del suo Dictionnaire de la musique. 4 Cfr. ad esempio: Nuova enciclopedia Sonzogno, Milano 1955; A. Albertoni, A. Allodoli, Vocabolario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze 197!9; G. Pittano, Bidizionario italiano linguistico e grammaticale, Calderini, Bologna 1981; The Concise Oxford Dictionary, Clarendon Press, Oxford 19827 ecc. 5 Cfr. ad esempio: Dizionario Garzanti della lingua italiana, Milano 1965; B. Migliorini, Vocabolario della lingua italiana, Paravia, Torino 19722; S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, UTET, Torino 1981 ecc. Numerosi sono inoltre i vocabolari e le enciclopedie che si limitano alia sem­ plice definizione , come ad esempio: Piccola enciclopedia Sansoni, Firenze 19602; A. Niccoli, Vocabolario della lingua italiana, Tumminelli, Roma 19693; F. Palazzi, Novissimo dizionario della lingua italiana, Fabbri, Milano 19785 6 Cfr. Pirrotta, 1984, pp. 21-3. 40 2. GLI UNIVERSALIA comportamento che invece, nella nostra come in tutte le altre culture, è comune a ogni individuo e gruppo sociale, evitando che si sviluppas­ se una riflessione sulla sua reale natura e riducendo la distinzione fra musicale e non-musicale a considerazioni di carattere prevalentemente estetico. Non è dunque un caso che le definizioni dei dizionari e delle enciclopedie siano cosi deboli da non adattarsi neppure alla musica colta; si pensi, in questo senso, al concetto di 'musica d'arte' che dovrebbe risolvere, con un'incredibile tautologia (arte dei suoni d'arte), la contrapposizione tra un'ipotetica musica-musica, quella culta, e una musica-non musica, quella extra-culta {di tradizione orale, di consumo ecc.), rendendo cosi opinabile e non onnicomprensiva l'enunciazione di 'arte dei suoni', comune alle varie formulazioni. Il quadro che emerge da queste constatazioni è indicativo dell'in­ fluenza che una concezione della musica da un lato empirica e fluida, dall'altro ideologicamente rigida e delimitativa, ha ancora oggi su una parte consistente della nostra società. E ciò a dispetto della quantità e qualità di riflessione prodotta sull'argomento, nel corso dei secoli, da teorici e tecnici musicali, fisici, matematici, filosofi, poeti, medici, teo­ logi ecc. Una mole di pensiero d'altronde proporzionata all'alto livello di complessità e ricchezza formali raggiunto dalla musica occidentale nel suo sviluppo storico. Era pertanto inevitabile che l'impatto con le culture extraocciden­ tali e con la loro diversità -prima intuita tramite i resoconti dei viag­ giatori e degli esploratori e divenuta poi consapevolezza quando a essi, a partire dal secolo scorso, subentrarono gli etnografi - mettesse in crisi anche il concetto occidentale di musica; non solo facendo crollare le illusioni circa la naturalità, l'universalità e l'immortalità dell'arte delle Muse, ma ponendo anche serie ipoteche sulla validità dei tratti fino ad allora considerati distintivi delle forme e dei comportamenti musicali. Analoghe conseguenze derivarono da uno studio sempre più attento e rigoroso della musica folklorica europea. Accadeva, in sostanza, che le ricerche di etnografia e folklore musicale, via via che allargavano il campo d'indagine all'intero complesso delle società umane, portavano alla luce forme e comportamenti cosi difformi e irriducibili gli uni agli altri da far dubitare della natura stessa dell'og­ getto d'indagine. Eppure, sull'illusione di un'agevole riconoscibilità dei fenomeni musicali, i primi studi comparati si svilupparono come una naturale estensione della musicologia occidentale, rivendicando per questo motivo un'autonoma specificità nell'ambito delle scienze umane. Ed è significativo che nello stesso anno {1885) in cui Guido Adler sanciva nella appena nata Musikwissenschaft una divisione di campo fra studi 41 IL CONCETTO DI MUSICA storici e sistematici 7, le osservazioni di Alexander John Ellis sulle scale delle «varie nazioni» 8 dessero vita a quel censimento delle differenze divenuto poi il terreno di pertinenza dell'etnomusicologia. Si può quasi cogliere un tono di sorpresa nella constatazione di Ellis che «la scala musicale non è unica, non è 'naturale' e neppure si fonda sulle leggi della costituzione del suono musicale comprese ed esposte in modo brillante da Helmholtz», ma che «invece esistono scale molto diversificate, artificiali e soggette a variazioni capricciose». Proprio in quello stesso periodo in cui la musicologia da un lato rivendicava basi sistematiche e dall'altro si apriva alla comparazione, Ferdinand de Saussure cominciava a definire alcuni fondamentali ter­ mini e concetti-chiave delle moderne scienze del linguaggio. Una con­ temporaneità oggi indicativa dello scarto storico e concettuale nell'ap­ proccio a due campi contigui dell'espressività umana, quello linguisti­ co e quello musicale, entrambi riconducibili alla produzione di suono organizzato: la possibilità di dare rigore e fondamenti scientifici agli studi linguistici comparati poggiava già allora su una chiara distinzione teorica fra linguaggio e lingua (Saussure, 1972\ p. 19; ed. or. 1922), mentre la distinzione fra universale e relativo in musica non era che ai suoi primi e inconsapevoli passi. Per molti versi, il percorso evolutivo degli studi etnomusicali non è dissimile da quello di altri settori delle scienze umane. È tuttavia signi­ ficativo che il feedback dell'etnomusicologia sulla cultura osservante sia stato più immediato e dirompente che in altri campi del confronto antropologico. Una prima ricaduta si è avuta nel cuore stesso della musica colta occidentale, fra i compositori. Essa è stata dapprima percepibile nei 'pri­ mitivismi' e nei sempre più consistenti sincretismi musicali 9 e in segui­ to, soprattutto, nel concorso delle suggestioni etnomusicali all'endogena crisi d'identità del 'linguaggio' musicale occidentale, di cui si ritrovano segni eloquenti: nella rivoluzione 'atonale' e 'dodecafonica' di Schonberg e, in generale, in tutta la conseguente esperienza 'seriale', come tentativo di fondare un'espressione musicale al di fuori di scale, forme e strutture. A tal fine, la RAI assicurò al Centro le attrezzature e l'assistenza tecnica per le riprese sonore in loco. La ricerca sistematica che allora iniziò coincise anche, per larga parte, con lo svilupparsi in Italia della 'questione meridionale' e con quello studio simpatetico della cultura tradizionale del Sud che l'ala 1 Sulla storia degli studi etnomusicologici italiani fino al dopoguerra, cfr. anche Carpitella, 1 960, 1 973d, nonché la documentata ricostruzione apparsa recentemente in Leydi, 1 99 1 ; sul periodo successivo, cfr. Carpitella, 1 989a, pp. 1 9-23, Agamennone, 1 989 e, anche se parziale, Magrini, 1 983. Per una biblio­ grafia degli scritti etnomusicologici italiani con esempi musicali, cfr. Biagiola, Giuriati, Macedonia, 1 983 e 1 986. Per una discografia etnomusicologica del folklore musicale italiano in microsolco fino al 1 980, cfr. Tucci, 1 982; per un aggiornamento al 1 990, cfr. Magrini, 1 990. Inoltre, per una discografia della danza tradizionale in Italia, cfr. Giannattasio, Tucci, 1 985. IL CONCETTO DI MUSICA migliore dell'intellettualità progressista italiana iniziò, anche a seguito della pubblicazione del Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi (1945). Già le prime ricerche del Centro (raccolte 1-17, 1948-1952) riguardarono prevalentemente aree e tematiche del folklore musicale meridionale: i repertori degli zingari di Abruzzo e Molise (raccolta 3), delle comunità contadine del Lazio (raccolte 2, 5, 9, 12 e 16), della Campania (raccolta 6), della Sardegna (raccolte 1 3, 14 e 15) e della Sicilia (raccolte l e 17). Ma fu la raccolta 18, relativa ai documenti sonori registrati da Ernesto De Martino e Diego Carpitella nella spedizione in Lucania dell'ottobre 1952, a marcare un reale cambiamento. In tale spedizione, infatti, la vocazione meridionalista dell'etnomusicologia italiana si manifestò pienamente e, cosa ancor più importante, si instaurò quella nuova metodologia di indagine sul campo che caratterizzerà, da allora in poi, gli studi ernomusicali italiani, collocando «la registrazione dei documenti musicali nel quadro di una più ampia prospettiva di ricerca di carattere etnografico, folkloristico e storico-culturale in genere)) (Carpitella, 1973d, p. 50). Alla spedizione lucana del 1952, guidata da De Martino, partecipa­ rono, oltre a Carpitella, Vittoria de Palma («per la raccolta del materiale etnologico fra le donne)), ibid.), Franco Pinna (operatore cinematografico e fotografo) e Marcello Venturoli (collaboratore nella raccolta del mate­ riale etnologico). La ricerca investì dodici località (Matera, Grottole, Fer­ randina, Pisticci ecc.) e la documentazione raccolta fu consistente. Il repertorio di musiche popolari registrati venne a comprendere: «ninne­ nanne, canti di lavoro, canti nuziali, canzoni epico-liriche, passioni, lamenti funebri, giuochi cantati, tarantelle, pastorali, zarnpognare e altre musiche per tamburello, zampogna e organetto)) (Carpitella, De Marti­ no, 1952, p. 736). Base ideale della raccolta fu infatti lo schema di inda­ gine 'dalla culla alla barà e, in questo senso, si può dire che essa fu anche la prima, nel nostro paese, non solo a svolgersi nel quadro di una ricerca in équipe, ma anche a seguire «criteri organicamente unitari)) (ivi, p. 737). Significativo, a tale proposito, è il giudizio espresso dal De Marti­ no in una comunicazione successiva alla spedizione, che fra l'altro suona come una critica, purtroppo ancora inascoltata da molti folkloristi, a una concezione della 'poesia popolare' limitata agli aspetti letterari di un ver­ sificare che, in ambiti di tradizione orale, è prevalentemente cantato 2: Criterio fondamentale a cui si è ispirata la spedizione nella raccolta del 2 Tale comunicazione è riportata da Carpitella, 1 952, p. 547. 68 ' 4· L ETNOMUSICOLOGIA IN ITALIA materiale è che testo letterario, melodia, interpretazione del cantore (o dei cantori), occasione del canto, condizioni materiali di esistenza su cui il canto nasce, formano una concreta unità, che bisogna certamente distinguere e arti­ colare nei suoi momenti se si vuole comprendere e valutare il prodotto cultu­ rale, ma che sono momenti di una stessa unità culturale, distinguibili senza dubbio, per effettuare la comprensione, ma non isolabili astrattamente. Come espressione culturale il canto popolare non è valutabile dal punto di vista della 'pura' poesia o della 'pura' musica, perché in esso poesia e musica non si sono costituite come mezzi autonomi di espressione; e neppure il canto popolare è separabile dalla persona del cantore o dall'occasione del canto, perché in esso il rappresentare mentale della poesia letteraria, il rappresentare sonoro della musica colta, e il rappresentare visivo dell'azione drammatica non sono anco­ ra nati a distinzione. Infine poiché il canto popolare esprime un certo modo di esistenza è necessario conoscere tale modo se si vuole conoscere il canto. ESEMPIO 9 Basilicata: frammento iniziale della ballata Fronni d'Alia J = 101 lt J tltJ i d'A sr· Ila Fron - n - a - tta - cca - li li lri ccia r.\ ·) ) ' J' ;) J) J' J' J_' ca lu tua t'é dda ma pll__ - tri - ri - tll___ A J'tJ) J' J ecc.g r.\ ca lu tua t'é dda ma- pa_ - lri ri - !h, ____ Il canto, registrato da D. Carpitella ed E. De Manino a Pisticci (MT) 1'8 ottobre 19,2, è pubblicato neU'antologia in due dischi sul Folk/ore musicale italiano cutata da CarpiteUa e Lomax (cfr. nota 6). Cupa-cupa è il nome che assume in Basilicata il tamburo a frizione. IL CONCETTO DI MUSICA Il primo e più immediato risultato dell'estesa ricerca di Carpitella e De Martino fu che essa fece apparire una fisionomia musicale della Lucania fino ad allora sconosciuta. Ma tale esito fu anche il segno ine­ quivocabile di una trasformazione radicale dei metodi della ricerca folklorica. Scrive infatti Carpitella nel resoconto della missione (Carpi­ tella, De Martino, 1952, pp. 737-9): All'inizio della spedizione avevamo portato con noi circa una decina di canti popolari lucani con testo musicale (i soli della Lucania che fossero stati stampati) [. ] che avevamo trovato in pubblicazioni di carattere generale e.. regionale. [.. ] Quanti di questi canti [.. ] abbiamo 'ritrovati'? Praticamente.. nessuno: e quei due o tre che abbiamo 'ritrovato', in varianti diverse, sono nel quadro dei 140 canti da noi raccolti i meno significativi, quelli la cui origine popolare è più dubbia ecc.[... ]. Pur tenendo presenti i pericoli delle facili generalizzazioni, quante raccolte di canti e musiche popolari italiane non rientrano in questo caso? [... ] Una deficienza che abbiamo constatato durante tutto il corso della nostra raccolta è stata questa: la richiesta di un determinato canto o musica popolare ad un intermediario borghese aveva come risultato una risposta negativa; la richiesta dello stesso canto o musica popolare ad un cantore o ese­ cutore popolare aveva come risultato una risposta positiva. Ed è logico: ma considerando i criteri con i quali si è lavorato fino ad oggi, è lecito domandarsi fino a che punto le raccolte di canti e musiche popolari subiscano gli effetti di questa cortina d'ignoranza del mondo culturale popolare e fino a che punto la nostra conoscenza di essi sia da questa cortina limitata e condizionata. [...] Problema importante è quello dell'interpretazione, che è possibile documentare solo mediante la registrazione dei canti [... ]. Considerando il peso dell'interpretazione sarà dunque lecito domandarsi: fino a che punto la conoscenza della musica popolare italiana è limitata da interpretazioni che ne falsano la realtà? Oppure da interpretazioni che mettono in evidenza, del canto o della musica popolari, solo i lati più scaduti dalla coscienza attuale e quindi meno vivi? Altra esperienza interessante è stata quella di fare ascoltare le registrazioni dei canti e delle musiche popolari agli stessi cantori ed esecutori popolari, ed ai loro compaesani: ne sono derivati, da parte di essi, un 'ritrovamento' della coscienza espressiva del loro patrimonio musicale e, conseguentemente, la possibilità di stabilire quale fosse il grado di coscienza del canto e quale la stima dei compaesani per l'esecutore o il cantore popolare[... ]. [... ] Rimane scopo di questa spedizione e di altre future lo stabilire fino a che punto sia esatta la conoscenza odierna dei canti e delle musiche popolari italiane, quali siano le condizioni soggettive ed obiettive che l'hanno impedita o la impediscono, e in che misura sia possibile smuovere una determinata pigrizia uditiva, con mezzi nuovi e moderni e nell'ambito di una più vasta e complessa ricerca sul mondo culturale popolare. 70 ' 4· L ETNOMUSICOLOGIA IN ITALIA Questo modo, nuovo e diverso per l'Italia, di fare ricerca ebbe per­ tanto come conseguenze una qualità sostanzialmente differente dei documenti sonori raccolti e un cambiamento radicale di atteggiamento nei confronti della produzione musicale folklorica, da allora considera­ ta non più come cascame dell"arte musicale' colta, ma come espressio­ ne di un 'linguaggio' autonomo e di pari dignità. Come è noto, la ricerca del 1952 sfociò, anche a seguito di ulteriori spedizioni, nell'importante studio di De Martino sulle pratiche tradizio­ nali di 'pianto rituale' in Lucania (Morte e pianto rituale, 1958) 3 I.: inda­ gine rivelò la sopravvivenza in vari paesi della Basilicata di un rito musi­ cale, cinetico e verbale specifico della lamentazione funebre e l'analisi etnomusicologica di Carpitella ne permise il confronto non solo con le descrizioni riscontrabili nella letteratura classica, ma anche con analoghe pratiche rituali ancora in funzione in altre aree folkloriche euromediter­ ranee. In particolare, della struttura melodica del lamento funebre luca­ no Carpitella mise in evidenza alcuni tratti essenziali (scala pentatonica, forma iterativa modulare con profilo melodico discendente, rubati e accelerazioni in relazione aun 'ritornello emotivo' ecc.). Queste e altre espressioni di alterità rispetto alla tradizione musicale colta e chiesastica (scale pre-pentatoniche e modali, note blues, diafonie e polifonie varie, strutture ritmiche asimmetriche, particolari tecniche di esecuzione ecc.) rilevate in Lucania e confermate poi, soprattutto in area meridionale, dalle successive ricerche di Carpitella, permisero di confutare definitiva­ mente alcuni luoghi comuni sulla 'musica popolare' italiana, segnando la più netta linea di demarcazione fra studi 'etnofonici' del passato e nuova etnomusicologia nel nostro paese. Significativa, in questo senso, fu l'a­ spra polemica epistolare fra Carpitella e Massimo Mila sull'autonomia del folklore musicale italiano, che ltalo Calvino ospitò sul 'Notiziario Einaudi' 4 a seguito della prima edizione italiana degli Scritti sulla musica popolare di Bart6k curata da Carpitella per la 'Collana Violà (1955) 5 All'atto di tale polemica, infatti, l'esistenza di un autonomo e arcaico sostrato della musica popolare italiana aveva trovato un'ulteriore e incon­ futabile conferma nella campagna di rilevamento delle tradizioni musi­ cali nelle diverse regioni italiane che nel 1954 Carpitella, nominato assi­ stente del Centro nazionale studi di musica popolare, aveva intrapreso assieme all'etnomusicologo statunitense Al an Lomax. Il quadro che apparve fu sorprendente e una multiforme realtà musicale, fino ad allora 3 In tale studio le parti di analisi musicale dei lamenti sono di Carpitella. 4 Il caneggio Carpitella-Mila è ripubblicato in Carpitella, 1973a, pp. 257-66. 5 In bibliografia cit. come Bart6k, 19772 71 IL CONCETTO DI MUSICA sommersa, venne finalmente alla luce: la raccolta 24 del CNSMP (1954- 55), comprendente il vastissimo corpus di registrazioni risultante dalla lunga spedizione, e l'antologia in due dischi che poi ne fu tratta 6, forni­ scono tuttora l'identikit più attendibile del paesaggio sonoro tradizionale dell'Italia pre-tecnologica. Nel 1959 Carpitella fece di nuovo parte, con Giovanni Jervis (psi­ chiatra), Letizia Jervis-Comba (psicologa), Amalia Signorelli (antropolo­ ga) e Vittoria De Palma (assistente sociale), di un'équip e interdisciplinare costituita da De Martino, questa volta per studiare sul campo il com­ plesso fenomeno del tarantismo pugliese-salentino. Tale ricerca, che con­ flui nel libro La terra del rimorso (De Martino, 1961), rappresenta il primo tentativo sistematico di descrivere e comprendere una 'terapia coreutico-musicale' che, al di là dello specifico mito del ragno (la taranta), sembra avere i suoi antecedenti storici nella catartica musicale greca (coribantismo) e mostra vari punti di contatto con i riti di posses­ sione diffusi in varie culture del Mediterraneo e dell'Mrica (cfr. CAPP. 10 e Il). Nell'ambito di tale studio, il contributo etnomusicologico di Carpitella (1961b) fu determinante: la sua analisi del > culturali e «si colloca­ no all'incrocio multiplo di tecniche, arti, riti» (Schaeffner, 1978, p. 393); in riposo, permettono la misurazione dei suoni e la valutazione delle gamme e dei timbri, sulla cui base sono stati ideati e accordati come oggetti per produrre musica; in funzione, consentono di cogliere «lo scarto fra i suoni possibili [ ] e quelli ai quali l'esecuzione si limita»... (ibid.), nonché di valutare le tecniche di esecuzione ovvero i rapporti fra formalizzazione del gesto e del suono, che non mancano di porre pro- · blemi relativi alla sinestesia e alle modalità intersensoriali 11 FIGURA 3 Lira somala La denominazione degli srrumenri può a volre confermare l'esistenza di rapporti srorici: il nome sh6ree­ ro auribuiro in Somalia alla lira simmerrica con cassa a scodella c sci corde (re , re', si', la', sol', mi') conferma che lo srrumenro è una varianre del cordofono diffusosi dal Mediterraneo orientale in rutta l'Esr Africa. Il nome sh6reero sembra infaui ricollegabile all'etimo semirico k.n.r, da cui derivano: kin· nor, ebraico; kinnQQrQ, arabo; kerQr, amarico; àneerQ, copro; kith6rQ, greco; kiss6r, nubiano (cfr. Gian­ nanasio, 1988b, p. 87). In una prospettiva comparativa la tecnologia, la distribuzione geo­ grafica e la storia dei diversi strumenti possono fornire dati essenziali 11 Cfr. Merriam, 1983, pp. 100-14, e Kubik, 1983, pp. 67-74. 102 5· PER UNA TIPOLOGIA DEL SUONO MUSICALE per ricostruire, su un piano sincronico e diacronico, un quadro delle relazioni tra le diverse culture musicali. Come ha osservato Schaeffner (ibid), ((l'esistenza di rapporti storici può essere confermata e a volte anche precisata dalle denominazioni degli strumenti)). La questione delle denominazioni è tuttavia estremamente com­ plessa, dato che l'interpretazione etimologica non è priva di pericoli e misteri: oggi chiamiamo nacchere dei crotali di legno, che in Somalia verrebbero designati shanbal mentre nell'Europa medievale i cembali erano crotali di metallo e cembalo era chiamato anticamente il tamburo a sonagli (o tamburello basco); ma da oltre tre secoli il nome cembalo (clavicembalo) designa uno strumento meccanico a corde, così come è a corde il cimbalom ungherese, un salterio a percussione in Francia chiamato invece tympanon (nome che i Greci davano al tamburo). Si potrebbe proseguire: un tipo particolare di salterio a percussione della tradizione francese è il tambourin du Bearn, ma la parola francese tam­ bour (tamburo) è estremamente vicina ai termini tanbur, tamburi, tum­ buru, dambura, tampura che indicano, nell'Oriente di influenza islami­ ca, vari tipi di liuto; mentre una diversa parentela si delinea fra il tede­ sco trommel, l'inglese drum e l'alto tedesco trumba, che designano il tamburo, e la famiglia delle trombe, aprendo così l'accesso anche alla classe degli strumenti a fiato. Come si vede, la propagazione dei termi­ ni non ha sempre un percorso parallelo a quella degli oggetti sonori e induce a formulare diverse ipotesi: che l'etimo di alcuni nomi riconduca, in realtà, ad un generico significato, originario o attribuito, di 'strumento di musica'; che il cambiamento di significato di alcuni termini sia avvenuto per un'assimilazione di carattere funzionale a strumenti preesistenti (ad esempio, il tambourin de Bearn ha sostituito, in alcune aree occitaniche, il tamburo nella tradizionale coppia con il flauto); che in qualche misura entrino nel gioco dei mutamenti anche le distinzioni fra strumenti 'suonati' e 'percossi', ovvero le modalità di esecuzwne; che inoltre intervengano assonanze di carattere onomatopeico lfe l per gli strumenti a fiato, r per trombe e tamburi, c, k, r, p ecc. per gli strumenti a percussione). Se sviluppate, queste ipotesi potrebbero fornire una traccia per uno studio di carattere cognitivo sui rapporti fra etimologie degli strumenti e concezioni della musica. Inoltre, nel passaggio da una cultura (da una fascia sociale, o da un'epoca) a un'altra gli strumenti, anche quando mantengono denomi­ nazione e forma originarie, possono cambiare le loro caratteristiche sonore, a causa di sostanziali trasformazioni delle modalità e tecniche 103 IL CONCETTO DI MUSICA d'uso. Si pensi alla differenza fra le sonorità ovattate e melliflue dei cla­ rinetti e saxofoni utilizzati nella musica classica europea e quelle aperte e taglienti degli stessi strumenti impiegati invece nel jazz, nella musica tradizionale o in quella nazional-popolare (come il liscio romagnolo). Infine, fra gli strumenti di produzione (e riproduzione) dei suoni vanno inclusi gli apparecchi fonomeccanici ed elettronici che oggi con­ dizionano a vari livelli, in ogni parte del mondo, le modalità di esecu­ zione e trasmissione della musica. Le apparecchiature elettromeccani­ che non costituiscono necessariamente un elemento di dissoluzione delle musiche tradizionali, dato che, almeno in linea teorica (Lomax, 1986, p. 3): sistemi di comunicazione istantanea e apparecchi di registrazione permettono alle tradizioni orali di raggiungere il loro pubblico, di creare biblioteche e musei propri, di conservare e registrare i propri canti, racconti e drammi, in audio e in video senza doverli scrivere o stampare con un medium diverso. Ascoltato da un altoparlante il contrappunto dei pigmei Mbuti fa effetto quanto un coro che canta Bach. !04 6 Tempo e ritmo I.:esame dei tratti distintivi del comportamento musicale è inizia­ to, nel capitolo precedente, dal suono e dalle sue fonti specifiche (la voce e gli strumenti musicali). Era inevitabile, in quanto non si può pensare la musica se non come 'campo di suoni'. In realtà articolazio­ ni sonore a diversi intervalli di altezza sono rilevabili anche nel lin­ guaggio parlato: il caso più evidente è quello delle cosiddette 'lingue a toni' (come il cinese, le lingue bantu ecc.). Esistono, d'altra parte, eventi musicali in cui le variazioni di altezza si limitano a una opposi­ zione alto/basso, come nelle melodie 'ad intervallo unico' di cui si è già detto al CAP. 2 (cfr. ESS. 2 e 3), o sono addirittura del tutto assenti, come nelle molte circostanze tradizionali in cui è sufficiente un battito di mani ripetuto, lo scotimento di un sonaglio o l'a solo di uno strumento a percussione (mono-tono) per indurre la danza o comunque comportamenti di tipo musicale. Dato che la presenza di una combinatoria di suoni diversamente intonati non implica di per sé un ambito espressivo musicale, e l'assenza di un'architettura melo­ dica non lo esclude necessariamente, bisognerà ritenere che il tratto distintivo fondamentale dell'espressione musicale vada cercato non tanto in ciò che diversifica tra loro i suoni, quanto in ciò che li assimi­ la; in altri termini, non tanto nei loro parametri 'spaziali' (altezza, timbro, intensità), quanto nella loro comune obbedienza a un'unica e specifica dimensione temporale. In effetti, è soprattutto il modo in cui i suoni si sviluppano nel tempo, e vi si dispongono secondo rap­ porti relativi (e in ciò significativi) di durata, a determinare la 'musi­ calità' di un evento. Si può dunque affermare che la musica, per sua natura intangibile e incorporea, si materializza in una temporalità che le è propria e che la distingue da altre manifestazioni dell'espressività umana. Non a caso Igor Stravinskij (1981, p. 53; ed. or. 1935) riteneva che la musica aves­ se soprattutto la funzione di «stabilire un ordine fra !"uomo' e il 'tempo')) e vi è stato addirittura chi, come Gisèle Brelet (1949, p. 35), IL CONCETTO DI MUSICA l'ha definita «una speculazione sul tempo inseparabile da un'esperienza del tempo vissuto». Sotto questo aspetto il problema tocca i confini della metafisica, se è vero che la ricerca di una definizione di 'tempo' ('assoluto', 'relativo', 'reale', 'vissuto') è stata al centro delle preoccupazioni di filosofi come Henri Bergson (1922) e Gaston Bachelard (1950). Quest'ultimo afferma che il tempo è «quello che si sa di lui». Accontentiamoci dunque di sape­ re che se il tempo è la capacità umana di commisurare gli eventi nella loro successione, il tempo 'vissuto' dipende dai punti di riferimento a un 'primà e a un 'dopo' adottati per collocare gli eventi e rapportarsi a essi. Intendendo tempo 'reale' nell'accezione comune che lo identifica con quello misurabile e operativo dei nostri orologi- ma non va dimenticato che il concetto di tempo varia da epoca a epoca, da cultura a cultura - esso può o meno coincidere, nella nostra esperienza, con una dimensio­ ne di tempo 'vissuto'. Ciò permette di individuare nella definizione della Brelet il riferimento a uno scarto esistente fra il modo in cui tempo e durate si configurano in musica e nella realtà del vivere quotidiano. 6.1. Il tempo musicale Per quanto misurabile in tempo reale- è questa appunto la funzio­ ne del metronomo nella musica colta occidentale- o per quanto possa essere 'vissuto' come reale nel corso dell'esecuzione, il tempo musicale soggiace a una logica autonoma e autosufficiente, in virtù di una siste­ matica relatività dei propri valori di durata. Per esemplificare tale con­ cetto ci si può richiamare, come ha fatto molto a proposito Pietro Righini (1972, p. 18), alle vicissitudini di Phileas Fogg ne Il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne. Come si sa, convinto di aver viag­ giato per ottantun giorni, Mr. Fogg vince comunque la sua scommessa grazie al fatto che il tempo di Londra, durante lo stesso numero di ore, non ne aveva contati che ottanta. Ma «la verità da lui vissuta è quella degli 81 giorni e non quella degli 80» (ivi, p. 20) in quanto, cammi­ nando incontro al sole, Fogg ha accorciato il periodo del ritmo giorna­ liero. Questo esempio dimostra «l'esistenza di due differenti durate periodiche, riguardanti il medesimo evento, misurato però da due sistemi diversi, uno fisso e l'altro provvisto di moto» (ibid). Ciò vale anche per le durate musicali, che possono essere misurate in tempo cronometrico e vissute nella relatività loro conferita dal movimento di esecuzione (la melodia di un canto può restare significativamente uguale pur variando la velocità di esecuzione, perché resteranno inalte- 106 6. TEMPO E RITMO rati non solo gli intervalli di altezza fra i suoni, ma anche i loro rispet­ tivi rapporti di durata). La rappresentazione del tempo musicale è dunque di tipo percetti­ vo: una porzione di tempo reale diviene musicale dal momento in cui, intenzionalmente, ci si sincronizza in un sistema relativo di durate (ritmo), immettendosi cosl in una dimensione ciclica che consente di 'vivere' i diversi momenti come unità ripetibili di 'tempo presente'. Ciò spiega, fra l'altro, come anche i silenzi possano acquistare consistenza musicale non solo come non-suoni rispetto ai suoni, ma anche come · valori ritmici (pause). Da un punto di vista antropologico, ci si è interrogati sulle ragioni profonde che hanno spinto l'uomo a costruirsi una dimensione tempo­ rale ciclica e autoregolata, in qualche modo alternativa a quella lineare del vivere quotidiano. La maggior parte delle risposte sembra conver­ gere sull'ipotesi di una sorta di evasione dall'inesorabilità del tempo, analoga a quella che si realizza nel rito. La musica trasforma il tempo reale in «tempo virtuale», sostiene Blacking (1986, p. 48); essa «costi­ tuisce un mondo a sè con un suo proprio spazio e un proprio tempo», ha osservato Van der Leeuw (1963, p. 228) a proposito della musica impiegata nei rituali religiosi; «è il solo dominio nel quale l'uomo rea­ lizza il presente», ha sostenuto Stravinskij (1981, p. 53); «è una mac­ china per sopprimere il tempo», ha addirittura affermato Lévi-Strauss (1966b, p. 32). Quanto alle componenti fisiologiche della rappresentazione del tempo musicale, una delle ipotesi più interessanti è quella espressa da Philip Tagg (1985, p. 104), secondo cui esso sarebbe in rapporto diret­ to con la frequenza del battito cardiaco dell'uomo, che va da un mini­ mo di 40 battiti per minuto a poco più di 200; questa estensione coin­ cide con quella del rnetronorno (che misura da un larghissimo di 40 bprn a un prestissimo di 208 bprn), il cui tempo medio (91 bprn) corri­ sponde alla frequenza delle pulsazioni cardiache di un uomo adulto che cammini ad andatura normale: Ogni ipotetico tempo superiore o inferiore rispetto al ritmo normale di un coefficiente maggiore di 2 tenderà cosl a essere automaticamente diviso o moltiplicato per 2, in modo da riportare il tempo in prossimità di un rappor­ to 1:1 con la frequenza del battito cardiaco dell'uomo (ibid.). In tutte le culture del mondo il riferimento a una pulsazione rego­ lare è alla base dei diversi scherni (metrici, accentuali ecc.) di organiz­ zazione

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