Summary

Questo documento tratta la fisiologia vegetale, una disciplina che studia le funzioni meccaniche, biofisiche e biochimiche degli organismi vegetali. Copre argomenti come l'evoluzione delle piante, le strategie adattative per la vita terrestre e le caratteristiche delle cellule vegetali, inclusi i plastidi, la parete cellulare e i plasmodesmi. Il documento si concentra sulle differenze tra cellule animali e vegetali.

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lOMoARcPSD|7337786 Fisiologia vegetale Fisiologia Vegetale (Università degli Studi di Trieste) Scansiona per aprire su Studocu Studocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo. S...

lOMoARcPSD|7337786 Fisiologia vegetale Fisiologia Vegetale (Università degli Studi di Trieste) Scansiona per aprire su Studocu Studocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo. Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 FISIOLOGIA VEGETALE INTRODUZIONE Cos’è la fisiologia vegetale? È una disciplina che fa parte della botanica. Essa studia le funzioni meccaniche, biofisiche e biochimiche degli organismi vegetali. Le funzioni di molecole, proteine, cellule, tessuti, organi e infine degli organismi nel loro complesso sono determinate e limitate, ad ogni livello, dalla loro struttura. Lo studio della fisiologia vegetale prevede un’adeguata conoscenza pregressa della citologia, dell’istologia, dell’anatomia e della morfologia delle piante insieme a basi di fisica e chimica. EVENTI PRINCIPALI NELL’EVOLUZIONE DELLE PIANTE La comparsa della Terra è avvenuta circa 4,5 miliardi di anni fa. I fossili più antichi rinvenuti in rocce sedimentarie risalgono a 3,5 miliardi di anni fa. I primi organismi erano unicellulari, simili ai batteri, eterotrofi (utilizzavano le molecole organiche per potersi nutrire). Il passo importante è stato quello di riuscire ad attuare la fotosintesi. A circa 3,4 miliardi di anni fa risale la comparsa di organismi che sintetizzavano pigmenti fotosintetici in grado di catturare fotoni a certe lunghezze d’onda, utilizzando così l’energia solare per trasformarla in energia di legame per produrre ATP e potere riducente (assimilare CO2 in composti organici). I primi organismi fotosintetici adoperavano una fotosintesi di tipo anossigenico, utilizzavano quindi composti ridotti dello zolfo come donatori di elettroni. Un passo fondamentale è stato l’utilizzo dell’acqua come donatore di elettroni. Tramite la fotolisi dell’acqua e quindi la liberazione di ossigeno, le piante hanno migliorato l’efficienza di questo sistema. Circa 2 miliardi di anni fa, l’aumento della concentrazione di ossigeno nell’atmosfera ha portato a due grandi vantaggi: 1. formazione dello strato di ozono (protettivo contro gli UV) 2. avvento della respirazione Dal passaggio alla fotosintesi ossigenica (con aumento di ossigeno), comparvero i primi organismi eucariotici (1.5 miliardi di anni fa). Si passa quindi a organismi più complessi caratterizzati da: materiale genetico rivestito da involucro nucleare, citoscheletro, presenza di organelli, ecc. Un altro importante passo è stato la conquista degli habitat terrestri (circa 475 milioni di anni fa). I primi organismi infatti si sono avvicinati alle coste per le loro esigenze nutritive: verso le coste c’era una maggiore disponibilità di nutrienti. In questa fase sono avvenuti due importanti passi avanti: 1. Sviluppo di pareti spesse in grado di resistere a stress meccanici (es. onde) 2. Sviluppo di strutture in grado di ancorarsi alle rocce presenti lungo la costa. A questo punto era necessario attuare delle strategie per non disidratarsi, infatti una volta abbandonati gli oceani un fattore limitante era l’acqua. Le strategie sono le seguenti: presenza di epidermide (inspessita e dotata di cere) e un apparato per l’assorbimento dell’acqua (apparato radicale). Le piante terrestri sono derivate dalle Caroficee, ovvero una classe appartenente al phylum delle Clorofite (alghe verdi). Da lì si ebbe la comparsa delle briofite (es. muschi e epatiche), ma un importante passo avanti si ebbe con la comparsa delle piante vascolari caratterizzate da un sistema di conduzione di acqua, nutrienti, minerali (xilema) e dei fotosintati (floema). Infine si ebbe la comparsa delle piante con seme (spermatofite) : si passa da spore a seme come mezzo di diffusione. Si distinguono le gimnosperme (a seme nudo) e le angiosperme (a seme protetto). Le piante a fiori (angiosperme) dominano le altre piante in termini di numerosità. Il loro successo è dovuto alla presenza di fiore (attrazione di animali) o seme appetibile. Tutte le piante, nonostante la grande variabilità morfologica, attuano processi fondamentalmente simili e sono basate sullo stesso schema architettonico. Esistono delle piante modello utilizzate: Arabidopsis thaliana (è stata la prima pianta in cui è stato sequenziato l’intero genoma nel 2001) e Populus trichocarpa (prima specie arborea di cui è stato sequenziato l’intero genoma nel 2006). Come per gli animali, anche le piante hanno una varietà notevole in termini di dimensioni del genoma (da Arabidopsis a Fritillaria). La complessità degli organismi vegetali sta nel fatto che sono organismi immobili: devono reagire alla mancanza di mobilità e far fronte al divenire dell’ambiente circostante, coinvolgendo ad esempio un numero di recettori maggiori rispetto agli animali. ELEMENTI UNIFICANTI DELLA VITA VEGETALE TERRESTRE Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 - Autotrofia: utilizzo della fotosintesi - Parete cellulare: funzione di sostegno meccanico, ma anche legato alla crescita - Immobilità: necessità di attuare strategie per supplire alla mancanza di mobilità per la ricerca di risorse - Crescita indeterminata: grazie alla presenza di meristemi - Traspirazione: passaggio dell’acqua da stato liquido a stato vapore attraverso la pianta - Strutture di trasporto per l’acqua e nutrienti: xilema e floema Il corpo vegetativo delle piante consiste di due parti: porzione epigea (sistema di parti aeree o del germoglio) costituita da fusto e foglie e porzione ipogea costituita dal sistema radicale. La figura (a) rappresenta una monocotiledone in cui l’apparato radicale è fascicolato. Questo tipo di apparato radicale deriva dal fatto che la radichetta prodotta a partire dalla plantula viene persa e sostituita da radici avventizie. La figura (b) rappresenta una dicotiledone, in cui l’apparato radicale è a fittone: la radichetta permane e da questa si sviluppano le radici laterali. Nella porzione aerea delle monocotiledoni le foglie sono costituite dalla lamina fogliare e la base della foglia si inserisce nel fusto. Nel caso di molte dicotiledoni invece vi è la presenza di un picciolo (più o meno sviluppato). La porzione al di sopra dei due cotiledoni possiede dei nodi (porzioni in cui andranno a inserirsi le foglie) o gemme ascellari (da cui si originano rami laterali). Tra due nodi si osserva l’internodo. All’apice si trova la gemma apicale terminale, che sarà responsabile dell’accrescimento primario. Ogni organo vegetale consiste di diversi tessuti e ogni tessuto contiene molti tipi cellulari (esistono circa 40 diversi tipi cellulari). Gli organi vegetali consistono di 3 diversi tessuti: - DERMICO: è un tessuto di protezione. Nelle piante in accrescimento primario si avrà l’epidermide, che viene sostituito poi da periderma (per le piante con accrescimento secondario). - VASCOLARE: xilema e floema - FONDAMENTALE: Il parenchima (es. parenchima acquifero oppure le cellule del mesofillo fogliare). Il collenchima fa da supporto all’accrescimento primario e presenta parete primaria inspessita che conferisce rigidità alle piante in fase di crescita primaria. Lo sclerenchima conferisce supporto meccanico e presenta delle pareti secondarie inspessite e lignificate (supporto accrescimento piante legnose). ORGANIZZAZIONE DEI TRE SISTEMI DI TESSUTI NEL CORPO VEGETATIVO DELLA PIANTA Nella foglia: epidermide che protegge il volume fogliare; all’interno le venature fogliari con xilema e floema, immerse in tessuto fondamentale (mesofillo e collenchima per supporto). Nel fusto: epidermide; fasci vascolari (xilema e floema) immersi nel tessuto fondamentale (porzione al centro  midollo e porzione esterna  corteccia). Nella radice: epidermide; zona corticale; porzione costituita da tessuto vascolare (xilema all’interno e floema all’esterno) circondata da endodermide (permette trasporto acqua e soluti per via simplastica) e periciclo (costituito da tessuto meristematico da cui deriveranno le radici laterali). LA CELLULA VEGETALE Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 La prima differenza tra le cellule animali e le cellule vegetali è la dimensione: la cellula animale ha una dimensione di circa 10 micron, mentre la dimensione della cellula vegetale è in media 10 volte superiore, cioè in media circa 100 micron (da 20-25 micron a qualche mm). Somiglianze tra cellula animale e cellula vegetale: presenza di membrana plasmatica, di apparato del Golgi, di mitocondri, di nucleo (avvolto da involucro nucleare), di reticolo endoplasmatico, di vacuolo (tipici delle cellule vegetali, ma molto piccoli presenti anche nelle cellule animali ma trascurabili), di perossisomi, di citoscheletro (microtubuli e microfilamenti). La differenza è data dalla presenza nelle cellule vegetali di: PLASTIDI (tra cui i cloroplasti), PARETE e PLASMODESMI (collegamenti tra cellule adiacenti tramite fusione del reticolo endoplasmatico). La cellula eucariotica in generale è caratterizzata dalla presenza di un sistema di endomembrane, di cui fanno parte: - Involucro nucleare - Reticolo endoplasmatico - Apparato del Golgi - Vacuolo - Membrana plasmatica - Endosomi Vi sono organelli che derivano dal sistema di endomembrane: - microcorpi (perossisomi, gliossisomi) - corpi oleosi Organelli semiautonomi: - mitocondri - plastidi …ORGANELLI SEMIAUTONOMI… Nella cellula vegetale sono presenti 3 genomi: genoma nucleare, genoma mitocondriale e genoma plastidiale. Il genoma del cloroplasto (145 kilobasi) e del mitocondrio (200 kilobasi) nella cellula vegetale è maggiore rispetto al genoma mitocondriale della cellula animale (circa 20 kilobasi). Gli organelli semiautonomi presentano un proprio DNA e quindi un sistema di sintesi proteica (ribosomi, tRNA). Essi si sono evoluti da batteri endosimbionti. Secondo la teoria endosimbiontica una cellula ospite ha inglobato in sé un batterio e questo, anziché venir demolito, è rimasto all’interno della cellula ospite. Parte del DNA batterico venne trasferito nel DNA nucleare della cellula ospite e un’altra parte di DNA batterico è stato mantenuto (quello che ora va a costituire il DNA dei plastidi e dei mitocondri). Il DNA plastidiale e mitocondriale ha quindi caratteristiche del DNA batterico (cioè è circolare) ed è localizzato in nucleoidi. Circa il 15% dei geni nucleari delle piante sono di origine batterica. Il DNA del cloroplasto codifica per: rRNA, tRNA, Rubisco LS, e molte altre proteine necessarie alla fotosintesi.  PLASTIDI - Cloroplasti: adibiti alla fotosintesi (ma non solo) e contengono clorofilla e carotenoidi - Cromoplasti: contengono carotenoidi e danno la colorazione alla maggior parte di frutti e fiori - Leucoplasti: plastidi incolore, non pigmentati e comprendono: amiloplasti (deputati al deposito di amido in tessuti di riserva del fusto, radice e seme) ed eialoplasti (a livello del seme, stoccaggio lipidi). Tutti questi plastidi derivano dai proplastidi che si trovano nei tessuti meristematici. La luce può innescare il differenziamento in cloroplasti. I semi germinati al buio contengono ezioplasti (contengono i corpi prolamellari), che possono a loro volta dare origine ai cloroplasti. Nella maggior parte delle piante (angiosperme soprattutto) i plastidi vengono trasmessi dal gamete femminile. I plastidi derivano sempre da altri plastidi per divisione binaria. Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 Tutti i plastidi derivano dai proplastidi. In presenza di luce, durante la germinazione del seme, si avrà la formazione di plastidi pregranali e, a maturazione, andrà a formare le membrane tilacoidali (= formazione cloroplasto). In assenza di luce, si avrà la formazione di ezioplasti caratterizzati da un ammasso cristallino centrale, ovvero il corpo prolamellare, da cui si estroflettono delle membrane lamellari, da cui, in seguito ad esposizione luminosa, si possono originare i tilacoidi (cioè si passa a cloroplasti). È possibile che a partire da cromoplasti si possano originare dei cloroplasti (ma anche viceversa). Infatti nella maturazione dei frutti vi è il passaggio da cloroplasti a cromoplasti. Nella maturazione del frutto (es. nel pomodoro) oltre all’aumento dei pigmenti già presenti nei plastidi, vi è la sintesi de novo di alcuni pigmenti: capsantina e capsorubina. Durante la senescenza, il contenuto proteico notevole dei cloroplasti (costituito principalmente dalla rubisco) viene riciclato ma vi è inoltre un passaggio a gerontoplasti. COMPONENTI CELLULA VEGETALE  CLOROPLASTI Il numero di cloroplasti in una cellula è variabile: da un unico cloroplasto grande in alcune alghe, a molti e piccoli nella piante superiori. I cloroplasti hanno dimensioni di 3-10 micrometri. Presenta tre sistemi di membrane: membrana esterna, membrana interna e membrane tilacoidali. Le membrane tilacoidali potranno impilarsi tra loro andando a costituire i grana (tilacoidi granali) oppure saranno maggiormente a contatto con lo stroma (tilacoidi stromatici o agranali). I cloroplasti sono i siti della fotosintesi, ma anche della sintesi degli acidi grassi, isoprenoidi, ecc. I plastoglobuli sono delle strutture rotondeggianti a membrana singola che hanno funzione di riserva e che si trovano aderenti alla membrana tilacoidale.  VACUOLO Il vacuolo occupa gran parte del volume cellulare: può raggiungere anche il 95% del volume cellulare. Generalmente è presente un unico vacuolo, ma esistono anche dei vacuoli specializzati: i vacuoli litici. Il vacuolo occupa solitamente una posizione centrale, mentre il citoplasma è periferico. Ha diverse funzioni: - riserva di molte molecole (es zuccheri) - metabolismo - omeostasi ionica e del pH - detossificazione (ingloba sostanze tossiche per la cellula) - difesa da patogeni La composizione del succo vacuolare: acqua (solvente), ioni inorganici (potassio, sodio, calcio, magnesio, cloruro, ecc), acidi organici (malico, citrico, succinico, ossalico,…), carboidrati, amminoacidi e proteine, lipidi (nel caso dei semi), inclusi solidi (ossalato di calcio  acido ossalico ad elevate concentrazioni precipita formando cristalli di ossalato di calcio), pigmenti (antocianine), metaboliti secondari (es. tannini nelle foglie per difesa da patogeni, rendendo le piante inappetibili agli erbivori) e xenobiotici (molecole esterne alla pianta come i metalli pesanti). Nelle cellule giovani vi sono dei provacuoli che si originano dal trans-Golgi network e a maturità si fondono andando a formare il vacuolo. Grazie alla presenza dei vacuoli, le piante possono raggiungere grandi dimensioni consentendo economia biosintetica: poiché il vacuolo occupa la maggior parte del volume (permettendo alla pianta di aumentare le proprie dimensioni), si va a raggiungere un compromesso in quanto solo in una piccola porzione viene concentrare l’energia per la biosintesi di composti utili al metabolismo della cellula. I vacuoli sono ricchi di enzimi idrolitici: proteasi, ribonucleasi, glicosidasi. Questi enzimi permettono al vacuolo di assumere un ruolo litico, infatti permette il rilascio di questi enzimi nel citosol durante processi degradativi come la senescenza. Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 L’accumulo di soluti garantisce al vacuolo la forza motrice osmotica per l’assorbimento di acqua, necessaria alla distensione cellulare vegetale. La pressione di turgore che si genera è necessaria alla crescita generata per via osmotica e responsabile del portamento delle specie erbacee che mancano di tessuti lignificati di sostegno. Nel vacuolo avviene l’accumulo di soluti che va a determinare una forza motrice osmotica, ossia la concentrazione di osmoliti all’interno del vacuolo che permette un trasferimento di acqua per osmosi da una soluzione a minor concentrazione di soluti a una a maggior concentrazione (ovvero il succo vacuolare). Questo comporta un aumento del volume del vacuolo, consentendo alla cellula di crescere e quindi di espandersi. Si genera una pressione di turgore necessaria per la crescita della cellula stessa. La presenza del turgore cellulare determinerà la possibilità di mantenersi in posizione eretta (anche senza fusto lignificato) e di accrescersi in senso erbaceo.  RETICOLO ENDOPLASMATICO È costituito da due diverse tipologie: reticolo endoplasmatico ruvido (RER) e reticolo endoplasmatico liscio (REL). Nel RER si evidenzia la presenza di cisterne appiattite che contengono ribosomi, mentre il REL contiene strutture tubulari senza ribosomi. Le funzioni del RE: - sintesi di proteine destinate alla costruzione del sistema di endomembrane - sintesi e accumulo di lipidi - trasporto di proteine - omeostasi del calcio: può rilasciare calcio come messaggero secondario in risposta a diversi stimoli - accumulo sostanze di riserva  PEROSSISOMI (o microcorpi) I perossisomi sono organelli sferici a membrana singola, specializzati in particolari funzioni metaboliche. Nelle piante sono presenti solo nelle cellule di tessuti fotosintetici. Sono associati a mitocondri e cloroplasti ad esempio nel processo di fotorespirazione: acidi organici fortemente riducenti vengono ossidati e possono rilasciare perossido di idrogeno, i perossisomi intervengono sfruttando la catalasi, enzima che produce acqua e ossigeno a partire dall’acqua ossigenata. La catalasi è in forma cristallina all’interno del perossisoma in quanto è ad una concentrazione talmente alta da precipitare. I gliossisomi sono un tipo specializzato di perossisoma presenti nei semi e vanno ad accumulare i grassi. Contengono diversi enzimi (ma non tutti) del ciclo del gliossilato. Servono a convertire i grassi di riserva in zuccheri. Essi utilizzano i grassi come riserva, mobilizzandoli come zuccheri per fornire energia alla plantula.  CORPI OLEOSI Sono delle estroflessioni di uno strato lipidico del reticolo endoplasmatico liscio, che si formano quando c’è un eccesso di sintesi di trigliceridi producendo dei corpi sferici. L’oleosoma presenta una proteina immersa nello strato lipidico. Essa è importante in quanto, quando si formano due corpi oleosi vicini impedisce a questi di fondersi. Ciò è importante in quanto in tal caso l’attacco da parte di lipasi sarebbe sfavorevole, mentre mantenendo degli oleosomi piccoli il rapporto tra superficie aggredibile e volume è più alto.  APPARTO DEL GOLGI È costituito da unità che costituiscono i dittiosomi. Presentano una porzione cis (cis Golgi network) dove avviene la fase di formazione del dittiosoma (arrivo di vescicole convogliate dal RE) e una porzione trans dove avviene la fase di maturazione, in cui le vescicole vengono convogliate verso la membrana plasmatica. L’apparato del Golgi è importante per sintesi e secrezione di polisaccaridi complessi e glicoproteine per formare la parete cellulare. L’apparato del Golgi consiste nell’insieme di cisterne appiattite, disperse o strettamente associate ed allineate in parallelo, formando una struttura impilata. La loro organizzazione può cambiare nei diversi organismi: in S. cerevisiae le cisterne sono disperse, in P. pastoris sono impilate, nella cellula vegetale i dittiosomi sono numerosi e indipendenti, mentre nella cellula di mammifero il Golgi è unico e perinucleare. Dal RER si formano le vescicole ricoperte da subunità di COPII raggiungono il cis-Golgi, poi maturando raggiungeranno il trans-Golgi. A questo punto si riformano le vescicole secretorie che andranno a fondersi con la membrana plasmatica. Vi può essere anche il processo inverso: formazione di endosomi con subunità di proteine diverse (es. clatrina) che percorrono il percorso inverso. Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786  CITOSCHELETRO Il citoscheletro è un insieme di proteine filamentose che danno forma alla cellula. Queste proteine filamentose non sono unicamente deputate alla determinazione della forma cellulare, ma anche alla creazione delle correnti citoplasmatiche (spostamento organelli all’interno della cellula o tra cellula-cellula) e alla deposizione della parete. Infatti i microtubuli a ridosso della membrana plasmatica fungono da binario per la deposizione della cellulosa. Nelle piante sono presenti solo microfilamenti e microtubuli (no filamenti intermedi). I microtubuli sono più rigidi, sono cavi e hanno un pH maggiore. Essi sono costituiti da un eterodimero di tubulina, più eterodimeri si allineano a costituire il protofilamento. 13 protofilamenti allineati in maniera sfalsata creano la struttura spiralata con cavità centrale tipica dei microtubuli. I microfilamenti sono fatti di actina globulare e si tratta sostanzialmente di due catene di monomeri di actina attorcigliate tra loro. I microfilamenti sono più flessibili.  PARETE CELLULARE La parete cellulare è composta da una parete primaria deposta nella fase di accrescimento. La parete primaria ha una struttura simile in tutte le cellule. È costituita da principalmente da emicellulose. La parete secondaria viene deposta a completamento del processo di crescita per estensione e può essere costituita da più strati (soprattutto se la pianta necessita maggior supporto meccanico). Tra le cellule è presente la lamella mediana, costituita prevalentemente da pectine e conferisce una certa immobilità alle cellule (evita lo slittamento di una cellula sull’altra). Le funzioni della parete cellulare: - forza meccanica e immobilità - mantenimento e controllo della forma, e resistenza ad elevate pressioni di turgore - controllo dell’espansione - controllo del trasporto intercellulare - protezione da microorganismi patogeni - immagazzinamento di sostanze di riserva (es. polisaccaridi nei semi) La forma cellulare può essere tra le più disparate. COME FUNZIONA UNA PIANTA? Elementi che accomunano piante e animali Processi fondamentali: nutrizione, accrescimento, riproduzione A livello cellulare, processi in comune: respirazione, sintesi proteica, mitosi, meiosi, … MA esistono delle differenze con conseguenze strutturali e funzionali: - la presenza di parete cellulare e la perdita di motilità: la vita in mezzo ipo-osmotico - il modello di nutrizione e le fonti di approvvigionamento energetico - l’architettura generale, la ricerca del cibo, le dimensioni, il movimento dei fluidi interni - il modello di accrescimento In soluzione ipotonica: nella cellula animale avviene lisi, mentre la cellula vegetale è turgida (stato normale) In soluzione isotonica: la cellula animale è in condizione ottimale, mentre la cellula vegetale in condizione di flaccidità In soluzione ipertonica: la cellula animale avvizzisce, mentre nella cellula vegetale avviene il distacco della membrana (plasmolisi). Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 NUTRIZIONE Sia piante che animali cercano nella nutrizione gli stessi elementi (C,H,O,N,P,S,…) ma gli animali sono eterotrofi (= ottengono dall’ambiente sostanze organiche: zuccheri, proteine, lipidi), mentre le piante sono organismi autotrofi (ottengono dall’ambiente sostanze inorganiche e da esse sintetizzano i composti organici). La ricerca del cibo nelle piante coincide con l’aumento della superficie esposta alla fonte energetica primaria (luce) ed alle fonti dei nutrienti (CO2 ed elementi minerali nel suolo). Quindi, le piante devono sviluppare una massa corporea che richiede una biomeccanica diversa da quella degli animali. Le piante possiedono due principali fluidi interni (xilematici e floematici) che sono trasportati anche a grande distanza, ma sempre in modo passivo. Le piante non possiedono un sistema nervoso organizzato. ACCRESCIMENTO INDETERMINATO Per le piante la crescita rappresenta, in un certo senso, l’equivalente della mobilità per gli animali. L’accrescimento indeterminato è dato dalla presenza di meristemi: meristemi apicali (responsabili dell’accrescimento primario). I meristemi apicali sono cellule indifferenziate localizzate all’apice del germoglio e all’apice radicale. I meristemi apicali si distinguono in: - protoderma  epidermide - meristema fondamentale  tessuto fondamentale - procambio  tessuto vascolare Vi sono piante che oltre all’accrescimento primario presentano un accrescimento secondario, che comporta l’aumento del diametro nel fusto e nella radice. In questo caso si hanno due cambi: - cambio subero fellodermico: responsabile della formazione del periderma (tessuto che va a sostituire l’epidermide) - cambio cribo-vascolare: responsabile della deposizione di xilema secondario e di floema secondario Una caratteristica importante delle piante è la totipotenza: a partire da una cellula indifferenziata vi è la possibilità di produrre un nuovo individuo. La totipotenza vale per tutte le piante tranne per le cellule che hanno perso il nucleo oppure per le cellule con una parete molto inspessita. La totipotenza ha permesso di mettere a punto delle tecniche di micropropagazione (o propagazione clonale): da un tessuto indifferenziato è possibile, con somministrazione di nutrienti e due fitormoni (auxina e citochinine), produrre nuovi individui. FISIOLOGIA DEL TRASPORTO DELL’ACQUA L’acqua è la molecola fondamentale per la vita sulla Terra ed è per le piante (ma anche per gli animali) il principale costituente. Rappresenta dal 50 al 95% del peso fresco di tessuti vivi (vi sono però delle eccezioni: polline e semi). Tranne rare eccezioni, tessuti e organi vegetali non possono sopravvivere alla disidratazione. Le piante vascolari sono organismi omeoidri. Si distinguono dagli organismi poichiloidrici (come le briofite) che possono rimanere disidratate per un periodo prolungato per poi riattivare nuovamente il loro metabolismo e crescere. Le piante vascolari non possono fare ciò: è un fattore limitante. Per cui, le piante, a seconda della disponibilità idrica e dell’habitat di appartenenza, hanno dovuto sviluppare dei meccanismi di sopravvivenza per mantenere uno stato idrico ottimale. La produttività primaria netta (=massa di sostanza secca prodotta per metro quadro di superficie all’anno) è direttamente proporzionale alle precipitazioni annue di un determinato ecosistema. Esistono quindi ecosistemi più aridi in cui la biomassa prodotta è minore rispetto ad altri habitat, come le foreste di aghifoglie o le foreste pluviali, in cui la produttività primaria netta è più alta.  Rapporto tra le precipitazioni annue e l’evapotraspirazione 𝑃𝑟 potenziale 𝐸𝑇 : ovvero l’evaporazione della superficie e la 𝑝𝑜𝑡 traspirazione delle piante possibile in condizioni illimitate d’acqua in determinate condizioni climatiche. Si distinguono così 4 climi: aridi, semi aridi, subumidi, umidi e perumidi. Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 La produttività primaria netta in cartina geografica. Si osserva che nelle zone tropicali si avrà la massima produttività primaria netta.  Bisogna tenere in considerazione il cambiamento climatico. Se le specie sono adattate a un determinato ambiente (= cioè a determinate precipitazioni medie annue), sorgeranno dei problemi dovuti allo scarso adattamento a condizioni critiche che possono verificarsi in caso di prolungati periodi di assenze di precipitazioni: portando al disseccamento totale o parziale degli alberi.  Questo concetto può essere traslato anche all’agricoltura. Nell’esempio si vede come la disponibilità idrica vada ad influenzare la resa della pianta di mais in metro cubo per ettaro. QUANTA ACQUA DEVONO TRASPIRARE LE PIANTE PER PRODURRE UN KG DI SEMI DI MAIS? Se in una stagione si hanno 60 cm di acqua caduti sul campo, 15 di questi sono evaporati dal terreno e i rimanenti 45 evaporati dalle piante. Per produrre un kg di semi le piante di mais hanno traspirato 600 kg d’acqua. ALTRO ESEMPIO: Per produrre 1 kg d’uva servono circa 610 litri d’acqua (media globale delle regioni di produzione). Se da 1 kg d’uva si ricavano mediamente 0.7 litri di vino, per ogni litro di vino prodotto vengono consumati 870 litri di acqua. Quindi un bicchiere di vino “costa” 110 litri d’acqua. ESEMPI di litri d’acqua traspirati da varie specie arboree: Picea 200 L/giorno, Eperua 1000 L/giorno, Quercus 500 L/giorno. In una giornata di sole, una foglia di girasole in 1 ora perde l’equivalente in peso del suo contenuto totale d’acqua. A rigor di logica, dovrebbe apparire completamente secca. Che meccanismo adottano le piante per ripristinare il proprio contenuto d’acqua? UTILIZZO DELL’ACQUA NELLE PIANTE - 1% dell’acqua assorbita viene utilizzata per le reazioni fotosintetiche - 2% utilizzata nei processi di accrescimento (crescita per distensione) - 97% persa verso l’ambiente nel processo di traspirazione Perché le piante perdono così grandi quantità d’acqua? Come fanno le piante a mantenere il loro stato di idratazione? Come fanno le piante a sopravvivere in luoghi aridi? L’atmosfera è costituita al 78% di azoto, 21% di ossigeno, 400 ppm di CO2, argon e altri. La concentrazione di CO2 nell’atmosfera sta aumentando a causa del rilascio di gas serra nell’atmosfera: nel 2021 si sono raggiunti i 420 ppm di CO2. Calcoliamo la quantità di acqua traspirata per ogni molecola di CO2 assorbita, confrontata con l’acqua traspirata per O2 assorbita nella respirazione dell’essere umano. Il tasso di diffusione è direttamente proporzionale al gradiente di concentrazione e dipende dal coefficiente di diffusione (legge di Fick). Il primo aspetto da considerare è il gradiente (vedi tabella), si nota che: nelle piante il gradiente di CO2 è molto più basso rispetto al gradiente dell’acqua, mentre nell’uomo il gradiente di O2 e di acqua si equivalgono. Un altro aspetto da considerare è il coefficiente di diffusione di una certa molecola. Il coefficiente di diffusione dipende dalla temperatura, dal soluto, dal solvente e dalla massa molecolare Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 del soluto (più pesante è, minore sarà il coefficiente di diffusione). Quindi la CO2 rispetto all’acqua e rispetto all’ossigeno diffonde più lentamente. Il tasso di diffusione per CO2 in aria è 1.6 più lento del tasso di diffusione dell’acqua e si ha un gradiente di concentrazione tra esterno (atmosfera) e interno (mesofillo) molto elevato, quindi si ha che il rapporto tra acqua persa e CO2 diffuso all’interno è di 192: 𝐻2 𝑂 12′ 000 =( ) 𝑥 1.6 = 192  per ogni molecola di CO2 vengono perse 192 molecole di acqua (nelle piante) 𝐶𝑂2 100 Nel caso dell’uomo, il rapporto è quasi pari a 1:1 (“quasi” perché l’O2 è più pesante dell’acqua): 𝐻2 𝑂 50′ 000 𝑂2 = (50′ 000) 𝑥1.3 = 1.3  per ogni molecola di O2 vengono perse 1.3 molecole di acqua (nella respirazione dell’uomo) La traspirazione è un “male inevitabile” per le piante per poter assorbire CO2. Lo stile di vita autotrofo, la fisica della diffusione dei gas e la concentrazione relativa di CO2 e acqua nell’atmosfera sono alla base del dilemma funzionale delle piante: non morire di fame (effettuare la fotosintesi), evitando di morire di sete (limitare la traspirazione per evitare la disidratazione). H2O - 80-95% massa cellulare dei vegetali (vacuoli) - Solvente: reazioni chimiche cellulari, spostamento di molecole - Partecipa a reazioni chimiche (idrolisi) - Influenza le proprietà delle macromolecole - Dissipazione di calore (calore specifico, calore latente di evaporazione) La molecola d’acqua è costituita da un atomo di ossigeno legato covalentemente a due atomi di idrogeno. L’atomo di ossigeno è più elettronegativo degli atomi di idrogeno, per questo motivo andrà ad attrarre a sé maggiormente gli elettroni del legame covalente (cioè condivisi con gli atomi di idrogeno). L’ossigeno forma un angolo di 105° con i due atomi di idrogeno, comportando una parziale carica negativa sull’ossigeno e una parziale carica positiva sull’idrogeno. Questo conferisce alla molecola d’acqua la proprietà di essere polare. La molecola può essere rappresentata da un tetraedro: due vertici occupati dagli idrogeni (con parziale carica positiva) e due vertici occupati dai doppietti solitari (con parziale carica negativa). Questo permette l’instaurarsi di interazioni elettrostatiche con altre molecole, cioè forze intermolecolari (legami a idrogeno): l’ossigeno può formare due legami a idrogeno con due atomi di idrogeno (di un’altra molecola), mentre i due vertici di idrogeno vanno a formare ciascuno un legame a idrogeno con l’ossigeno (di un’altra molecola). Ciascuna molecola d’acqua può quindi formare al massimo 4 legami a idrogeno. I legami a idrogeno possono formarsi tra molecole di acqua o tra acqua e altre molecole che contengono atomi elettronegativi (O, N), specie se a loro volta legati ad H. L’energia del legame a idrogeno è di 20 kJ/mol (abbastanza bassa), ma è comunque maggiore della forza di legame di altre interazioni elettrostatiche (es. forze di van der Waals). Grazie alla presenza dei legami a idrogeno, l’acqua assume particolari proprietà fisiche. In confronto ad altre molecole di simile grandezza molecolare, sopra i 0°C l’acqua dovrebbe essere allo stato di vapore (come avviene per le altre molecole di simil grandezza), mentre dai 0°C ai 100°C si trova allo stato liquido. Le altre molecole infatti presentano interazioni di van der Waals che sono più deboli e la loro rottura avviene più facilmente rispetto ai legami a idrogeno che caratterizzano l’acqua. L’acqua è caratterizzata da un elevato calore specifico* e un’elevata conduttività termica, ciò determina che l’acqua possa acquisire/trasmettere calore senza che avvengano elevate modificazioni di temperatura. Questo è importante per mantenere le temperature costanti nei tessuti vegetali. È inoltre caratterizzata da un elevato calore latente di fusione e un elevato calore latente di evaporazione. Nel passaggio dallo stato liquido allo stato vapore viene impiegata molta energia termica. Inoltre la pianta (come anche gli esseri umani) va a ridurre tramite la traspirazione la temperatura dei tessuti. *calore specifico = energia necessaria per aumentare di 1°C 1g di acqua L’acqua è un eccellente solvente per gli ioni o per le molecole che contengono gruppi polari -OH o -NH2 (es. zuccheri, proteine). Quindi molecole che contengono gruppi polari oppure gli ioni vengono ben solvatati dall’acqua. Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 Grazie alle interazioni tra molecole d’acqua, l’acqua possiede un’elevata tensione superficiale. Considerando una goccia d’acqua, lo strato più esterno d’acqua sarà maggiormente attratto dalle molecole d’acqua dello strato più profondo rispetto alle molecole d’aria. In questo modo, la superficie che delimita l’acqua allo stato liquido dall’aria tende a ridursi. Quindi la tensione superficiale è l’energia necessaria ad aumentare l’interfaccia aria/acqua ed è 𝐽 𝑁 espressa in 𝑚2, cioè 𝑚. L’acqua rispetto a benzene, etanolo e olio d’oliva ha una tensione superficiale maggiore, è invece estremamente più alta nel mercurio. Oltre alla tensione superficiale, intervengono altre due importanti proprietà: coesione ed adesione. La coesione è l’attrazione reciproca tra molecole di acqua. L’adesione è l’attrazione tra molecole di acqua e superfici solide. Il grado di attrazione di un liquido rispetto a una superficie solida può essere quantificato misurando l’angolo di contatto. Quando l’angolo è inferiore ai 90° il substrato è definito “bagnabile”(= substrato idrofilico). Quando l’angolo è maggiore dei 90° il substrato è idrofobico. ESEMPI: - Goccia d’acqua su foglia: alta tensione superficiale (coesione), ma bassa adesione - Goccia di mercurio sul tavolo: alta tensione superficiale (coesione), bassa adesione - Acqua su foglio di carta: alta adesione (nessuna goccia) in quanto la carta è altamente idrofilica Se noi prendiamo un capillare (= tubicino di vetro con diametro piccolo) immerso in una bacinella d’acqua, grazie alla tensione superficiale dell’acqua e all’adesione dell’acqua alla superficie interna del capillare, la forza di ascesa andrà ad aumentare la colonnina d’acqua all’interno del capillare fintanto che la forza che porta verso l’alto l’acqua verrà equilibrata dalla forza peso dell’acqua contenuta nel capillare. L’acqua va a creare all’interno del capillare un menisco in cui si osserva un angolo di contatto piuttosto ridotto (vicino allo 0) proprio grazie all’elevata adesione dell’acqua alla superficie del capillare. L’altezza della colonna nel capillare (h) è descritta dalla legge di Jurin: 2𝑇𝑐𝑜𝑠𝛼 ℎ= 𝑟𝜌𝑔 Si esegue la stessa cosa con il mercurio: il mercurio ha un’elevata tensione superficiale ma una scarsissima adesione alla parete del tubicino. In questo caso l’angolo di contatto è superiore di 90° (compreso tra 90° e 180°). Il coseno di un angolo compreso tra 90° e 180° è compreso tra -1 e 0 (quindi è negativo), si avrà quindi una depressione. Questo discorso si può traslare ai vasi xilematici, in cui la linfa xilematica (acqua con diversi soluti) aderirà ai vasi e permetterà la sua salita. La capillarità quindi può spiegare l’adesione dell’acqua ma non spiega la risalita dell’acqua per piante molto alte. Come possiamo descrivere e quantificare lo stato idrico di una pianta? 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑓𝑟𝑒𝑠𝑐𝑜−𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑠𝑒𝑐𝑐𝑜 Contenuto d’acqua assoluto = 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑓𝑟𝑒𝑠𝑐𝑜 𝑥 100 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑓𝑟𝑒𝑠𝑐𝑜−𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑠𝑒𝑐𝑐𝑜 Contenuto relativo d’acqua = 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑡𝑢𝑟𝑔𝑖𝑑𝑜∗ −𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑠𝑒𝑐𝑐𝑜 𝑥 100  L’acqua contenuta in quel momento in quella foglia rispetto al massimo quantitativo che quella foglia può contenere *peso turgido = massimo peso fresco che si può ottenere Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 In realtà, le attività metaboliche della pianta e i processi di trasporto dell’acqua non sono determinati dal contenuto di acqua, ma dallo stato energetico dell’acqua nella pianta e nell’ambiente circostante. È necessario determinare l’energia libera. STATO TERMODINAMICO E TRASPORTO Si ricorre ad equazioni fenomenologiche che descrivono il trasporto spontaneo/passivo di materia, sia essa acqua, singole molecole, elettroni, ecc… Un flusso (F) d’acqua è definito come un volume d’acqua trasportato nel tempo (F = V/t). Inoltre un flusso (F) è determinato da: forza traente x conduttanza (K), dove: la forza traente determina il movimento da un punto A ad un punto B, mentre la conduttanza (K) è la facilità con cui l’acqua può essere trasportata attraverso un determinato mezzo. K è quindi un fattore di proporzionalità che tiene conto delle caratteristiche fisiche del sistema. K è inoltre l’inverso della resistenza (1/R), dove R è la resistenza di un mezzo al trasporto d’acqua. ENERGIA LIBERA DI GIBBS (G) L’energia libera di Gibbs (G) è l’energia disponibile per la conversione in lavoro, a temperatura e pressione costanti. Le variazione di G vengono quantificate dal potenziale elettrochimico. POTENZIALE ELETTROCHIMICO Il potenziale elettrochimico di una sostanza (µ) è l’energia chimica per mole di sostanza (J/mol). µ = µ0 + 𝑅𝑇 ln(𝑎) + 𝑃𝑉 + 𝑧𝐸𝐹 + 𝑚𝑔ℎ  µ = µ𝑖 + 𝑓𝑐𝑜𝑛𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 + 𝑓𝑒𝑙𝑒𝑡𝑡𝑟𝑖𝑐𝑜 + 𝑓𝑝𝑟𝑒𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 + 𝑓𝑔𝑟𝑎𝑣𝑖𝑡à - µ0 = potenziale in condizioni standard - 𝑅 = costante dei gas - 𝑇 = T assoluta in K - 𝑎 = attività (per soluzioni diluite corrisponde alla concentrazione) - 𝑃 = pressione - 𝑉 = volume parziale molare della sostanza - 𝑧 = carica elettrica della sostanza - 𝐸 = potenziale elettrico - 𝐹 = costante di Faraday - 𝑚 = massa della sostanza - 𝑔 = accelerazione di gravità - h = altezza alla quale si trova la sostanza Nel caso dell’acqua:  La componente legata alla concentrazione (𝑓𝑐𝑜𝑛𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 ) diventerà RT ln(a) = π x 𝑉𝑤 , dove π è il potenziale osmotico e V è il volume parziale molare dell’acqua. 𝑐𝑚 3  Il volume parziale molare dell’acqua (cioè il volume occupato da una mole d’acqua) è pari a 18 𝑚𝑜𝑙  La a (attività dell’acqua) è data dal rapporto tra la pressione di vapore della soluzione e la pressione di 𝑃 vapore dell’acqua pura ( ). Poiché la pressione di vapore della soluzione è inferiore alla pressione di vapore 𝑃0 dell’acqua pura, tale rapporto sarà inferiore a 1.  Nell’acqua si esclude la componente elettrica, quindi il potenziale chimico (non più elettrochimico) sarà dato da: µ = µ∗ + 𝑓𝑝𝑟𝑒𝑠𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 + 𝑓𝑐𝑜𝑛𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 + 𝑓𝑔𝑟𝑎𝑣𝑖𝑡à  µ = µ∗ + 𝑉𝑤 𝑃 + 𝜋𝑉𝑤 + 𝑚𝑔ℎ  Per convenzione µ∗ dell’acqua pura a pressione atmosferica e a 25°C è pari a zero µ𝑤 𝑉𝑤 𝑃 𝜋𝑉𝑤 𝑚𝑔ℎ  Si dividono tutte le componenti dell’equazione per 𝑉𝑤  = + + , si ottiene così il 𝑉𝑤 𝑉𝑤 𝑉𝑤 𝑉𝑤 potenziale chimico dell’acqua per unità di volume molare (Ψ = 𝛹𝑝 + 𝛹𝑠 + 𝛹𝑔 ) 𝐽/𝑚𝑜𝑙 𝑁∗𝑚 𝑁  Ψ = P – π + ρgh  unità di misura: = = = Pa (Pascal, unità di misura della pressione) 𝑚 3 /𝑚𝑜𝑙 𝑚3 𝑚2  1MPa = 10 bar  1 bar = 0.1MPa  1 bar = 0.9869 atm Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 Normalmente una pianta può avere potenziale dell’acqua che vanno da 0 MPa (valore massimo che si può raggiungere) a -10 MPa. Normalmente le piante alle nostre latitudini possono arrivare a -3/-4 MPa.  Perché π è negativo?  per soluzioni diluite π = -RT𝑐𝑠 è sempre minore o uguale a zero POTENZIALE DELL’ACQUA (Ψw ) Il potenziale dell’acqua o potenziale idrico (𝛹𝑤 ) è una misura dell’energia libera dell’acqua rispetto all’energia libera dell’acqua pura. È dato dal potenziale chimico dell’acqua diviso il volume parziale molare dell’acqua. Il potenziale dell’acqua sarà uguale a zero nel caso di acqua pura, a pressione atmosferica, a 25°C. Il potenziale d’acqua sarà sempre minore di zero, in quanto il valore massimo raggiungibile è quello dell’acqua pura. Il potenziale idrico è negativo per convenzione, in quanto si prende come riferimento il potenziale idrico dell’acqua pura pari a zero. A cosa serve la misura del potenziale idrico? Serve a valutare lo stato idrico della pianta e serve a definire la direzione del flusso dell’acqua attraverso le membrane cellulari, i tessuti e gli organi della pianta. Il potenziale dell’acqua dipende dalla pressione, dalla concentrazione e dalla gravità.  𝛹𝑤 = 𝛹𝑝 + 𝛹𝑠 + 𝛹𝑔 POTENZIALE DI PRESSIONE (Ψp ) Il potenziale di pressione è la pressione idrostatica. È dato dalla pressione assoluta meno la pressione atmosferica (𝑃 = 𝑃𝑎𝑠𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑎 − 𝑃𝑎𝑡𝑚𝑜𝑠𝑓𝑒𝑟𝑖𝑐𝑎 ). Questa componente può assumere valori positivi, uguale a zero o negativi. In una cellula, la pressione idrostatica è positiva o uguale a zero (pressione di turgore). All’interno delle cellule, la pressione di turgore mediamente va da 0 a circa 2.0 MPa. Esistono però dei casi in cui si parla di pressione idrostatica negativa, definita tensione. Per esempio nello xilema, l’acqua viene guidata, tramite l’evaporazione delle foglie, dalle radici fino alle foglie attraverso una tensione. Nello xilema la tensione assume valori da 0 MPa a -10 MPa. Piante molto resistenti all’aridità riusciranno a mantenere il trasporto dell’acqua nello xilema anche per potenziali negativi. Questo range di tensioni sono strettamente dipendenti dalla specie della pianta. Nel suolo le pressioni idrostatiche vanno da 0 MPa a -20 MPa. Per capire il concetto: In una siringa se premo lo stantuffo applico una pressione positiva e di conseguenza comprimo l’acqua. Se tiro lo stantuffo applico una pressione negativa (tensione) e quindi aspiro l’acqua. Nello xilema vi sono delle microbolle di gas, in cui la tensione superficiale agisce tangenzialmente alla superficie della bolla. La forza complessiva, in questo caso, è rivolta verso il centro della bolla: la bolla è stabile. Nel caso di tensione, la forza che si applica è contraria alla forza che tiene integra la bolla di gas. Vi è un limite oltre il quale, se la forza di tensione supera la forza che tiene integra la bolla, comporterà un’espansione della bolla. Il potenziale dell’acqua (senza soluti) alla pressione atmosferica è uguale a zero. Poiché 𝑃 = 𝑃𝑎𝑠𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑎 − 𝑃𝑎𝑡𝑚𝑜𝑠𝑓𝑒𝑟𝑖𝑐𝑎 :  Nello stato standard: 𝑃𝑎𝑠𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑎 = 𝑃𝑎𝑡𝑚𝑜𝑠𝑓𝑒𝑟𝑖𝑐𝑎 = 0.1 MPa quindi P = 0  Ψ = 0 MPa  Nel vuoto: 𝑃𝑎𝑠𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑎 = 0 quindi P = -0.1MPa  Ψ = -0.1MPa POTENZIALE DI SOLUTO O POTENZIALE OSMOTICO (Ψs ) Rappresenta l’effetto dei soluti disciolti sul potenziale dell’acqua. I soluti vanno ad aumentare l’entropia del sistema e quindi vanno ad abbassare il livello di energia libera dell’acqua. In una soluzione l’attività dell’acqua è sempre inferiore a 1, quindi Ψ𝑠 è sempre negativo (in quanto il logaritmo naturale di un numero compreso tra 0 e 1 è sempre negativo). Mano a mano che si aumenta la concentrazione di soluti diventerà sempre più negativo (cioè sempre più bassa rispetto a quella dell’acqua pura). Il potenziale osmotico si basa sull’equazione di van’t Hoff: π = -RT𝐶𝑠 - R = costante dei gas Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 - T = temperatura assoluta - 𝐶𝑠 = concentrazione di soluti espressa come osmolalità Il potenziale osmotico non dipende dalla natura del soluto, dipende solo dal numero di particelle di soluto per unità di volume. L’acqua è una molecola polare che va ad interagire con i soluti andando a costituire delle sfere di idratazione. Il potenziale osmotico (interazione acqua-soluti) non è da confondere con il potenziale di matrice (anche se non fondamentale per le piante). Il potenziale di matrice si manifesta quando vi sono pochi layer di acqua che interagiscono con superfici idrofile. Ad esempio: nei tessuti di riserva dei semi, in cui si instaurano interazioni di tipo elettrostatici tra layer d’acqua e superfici idrofile; oppure anche nel suolo.  Il potenziale osmotico dipende dalla temperatura: mano a mano che la temperatura aumenta, il potenziale osmotico diventa più negativo. Il potenziale osmotico non dipende dalla natura del soluto ma dal numero di particelle:  Soluzione 1m di saccarosio  π = -2.44 MPa  Soluzione 1m di NaCl  π = -4.88 MPa  Soluzione 0.5m di NaCl  π = -2.44 MPa In NaCl il numero di particelle disciolte è doppio rispetto al saccarosio. Quindi per ottenere lo stesso potenziale osmotico dovrò avere metà molalità rispetto a quella del saccarosio. POTENZIALE GRAVITAZIONALE (𝛹𝑔 ) Rappresenta l’effetto della gravità sul potenziale idrico. Il potenziale gravitazionale dipende dalla densità dell’acqua (𝜌𝑤 ), dall’accelerazione di gravità (g) e dall’altezza (h) dell’acqua rispetto allo stato di riferimento. 𝛹𝑔 = 𝜌𝑤 𝑔ℎ Nel caso delle piante, per piccole altezze (e soprattutto a livello cellulare) il potenziale gravitazionale può essere trascurato. Può influire se si considerano alberi di grandi dimensioni. Come si muove l’acqua nelle piante? L’acqua non si muove mai in maniera attiva (non ci sono pompe che muovono l’acqua contro gradiente), è sempre un fenomeno passivo che non richiede energia. Si muove da punti di energia libera maggiore (livello di entropia minore e potenziale dell’acqua maggiore) a punti di energia libera minore (potenziale dell’acqua minore). Il potenziale dell’acqua delle cellule tende sempre a equilibrarsi con il potenziale dell’acqua del mezzo che le circonda. L’acqua si muove per flusso di massa, diffusione, o per osmosi. FLUSSO DI MASSA Nel caso del flusso di massa, l’acqua si muoverà in risposta a potenziali di pressione. Tutte le molecole di acqua e le molecole di soluti si muovono. È presente nello xilema e nel floema. DIFFUSIONE Il processo più significativo a livello cellulare è la diffusione. Se consideriamo una bacinella che a metà presenta un separatore: sostanza A (a sx) e sostanza B (a dx). Si ha uno stato iniziale di inferiore entropia. Le particelle si Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 muovono casualmente e andranno a collidere in maniera casuale le une con le altre con trasferimenti di energia cinetica. Togliendo il separatore, le particelle si muoveranno da punti a concentrazione maggiore verso punti a concentrazione minore. La legge che governa il flusso di queste particelle in △𝐶 acqua è la prima legge di Fick: F = - D x A x △𝑥 D= coefficiente di diffusione, che dipende dalla natura del soluto (molecole di volume maggiore si muoveranno più lentamente), dalla natura del mezzo (diffusione più veloce in aria rispetto all’acqua) e dalla temperatura (all’aumentare della temperatura, aumenta l’energia cinetica e quindi anche la diffusione). A = area attraversata dalle particelle △ 𝐶 = gradiente di concentrazione  maggiore è il gradiente di concentrazione maggiore sarà il flusso netto △ 𝑥 = lunghezza del cammino di diffusione  maggiore è △ 𝑥 meno efficiente sarà il processo di diffusione Il tempo che una particella impiega ad andare dal punta A al punto B è proporzionale al quadrato della distanza che deve percorrere. Questo è il motivo per cui la diffusione è efficace a livello cellulare (distanze brevi). Si raggiunge uno stato finale in cui vi è il massimo livello di entropia, ovvero il massimo grado di disordine del sistema. OSMOSI L’acqua si muove attraverso una membrana semipermeabile (filtro selettivo) secondo il gradiente di potenziale dell’acqua. Si ha un recipiente diviso a metà da una membrana semipermeabile e che presenta due prolungamenti aperti verso l’alto (quindi con pressione atmosferica). L’acqua si muove verso la soluzione con una maggiore concentrazione dei soluti, dove il potenziale dell’acqua è uguale al potenziale osmotico e sarà minore di 0. L’acqua si muoverà fintanto che la differenza di pressione (data dalla differenza di altezza) andrà a contrastare la pressione esercitata dall’acqua che si muove in direzione opposta. PROBLEMA TERMINOLOGICO: pressione osmotica vs potenziale osmotico Si inserisce una specie di calice con membrana semipermeabile contenente una soluzione in un recipiente con l’acqua pura. L’acqua si muoverà da zona a potenziale maggiore verso l’interno dove il potenziale dell’acqua è più negativo. Esiste una forza che quindi sposterà il liquido verso l’alto. Anche in questo caso, ciò avviene fintanto che la pressione idrostatica contrasta la pressione dell’acqua che sta portando la soluzione verso l’alto. Quest’acqua ha un certo potenziale osmotico. Se si aggiunge uno stantuffo, esso agisce una pressione aggiuntiva definita pressione osmotica, che contrasta la pressione data dal movimento dell’acqua attraverso la membrana semipermeabile. N.B: La soluzione possiede potenziale osmotico (sempre negativo), non pressione osmotica (positiva). Nel caso delle piante non si parla di pressione osmotica, ma potenziale osmotico. A livello di singola cellula, 𝛹𝑔 è trascurabile e pertanto: Ψ𝑐𝑒𝑙𝑙 = Ψ𝑝 + Ψ𝑠 = 𝑃 − 𝜋 Tranne in casi particolari (es. pressione radicale), nelle piante Ψ ≤ 0, cioè la sommatoria delle componenti del potenziale dell’acqua è pari a 0 o negativa. Da cosa sono determinati P e π a livello cellulare? Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 Se consideriamo cellule prive di parete (cioè cellule animali) in soluzione isotonica, le cellule restano integre. Se poste in acqua distillata, l’acqua si sposterà da potenziali d’acqua maggiori a potenziali d’acqua minori e quindi la membrana plasmatica andrà incontro a lisi. In una pianta, se posta in acqua distillata la cellula rimane turgida. Se posta in soluzione iperosmotica, l’acqua si sposterà da potenziali maggiori a quelli minori: l’acqua esce, quindi si avrà perdita di turgore e distacco del plasmalemma dalla parete cellulare. Se una cellula vegetale è posta in acqua distillata, la parete cellulare permette di resistere alle pressioni di turgore e permette il mantenimento della forma della cellula. In una soluzione salina concentrata, vi sarà perdita di turgore con conseguente distacco del plasmalemma. Quando la cellula è “flaccida”, il potenziale dell’acqua sarà uguale al potenziale osmotico, mentre la pressione di turgore sarà pari a zero. Se si considera la cellula turgida, il potenziale dell’acqua sarà circa pari a zero, la pressione di turgore sarà uguale al potenziale osmotico cambiato di segno. (A) Acqua pura = l’acqua pura viene utilizzata come riferimento, per cui avrà: potenziale di pressione pari a zero; potenziale osmotico pari a zero e potenziale idrico pari a zero. (B) Soluzione contenente saccarosio 0.1M = il potenziale di pressione sarà pari a zero; il potenziale osmotico -0.244 MPa; quindi la sommatoria tra le due ( 𝛹𝑤 ) sarà pari a -0.244 MPa. (C) Cellula flaccida immersa in una soluzione di saccarosio = la cellula flaccida possiederà pressione di turgore pari a zero (cioè il potenziale di pressione = 0); il potenziale osmotico è -0.732 MPa; la sommatoria delle due (𝛹𝑤 ) darà -0.732 MPa. Se inserisco la cellula flaccida nella soluzione (B): il potenziale idrico della soluzione è di -0.244 MPa mentre il potenziale osmotico della cellula è di -0.732 MPa, per cui il potenziale di pressione sarà 0.488 MPa. L’acqua per osmosi si muoverà verso l’interno. (D) Aumento della concentrazione di saccarosio = se inserisco la cellula turgida (𝛹𝑤 = -0.244 MPa; 𝛹𝑠 = -0.732 MPa; 𝛹𝑝 = 0.488) in una soluzione ipertonica (𝛹𝑝 = 0 MPa; 𝛹𝑠 = -0.732 MPa; 𝛹𝑤 = -0.732 MPa): la cellula perde acqua, quindi la cellula all’equilibrio avrà un potenziale di pressione pari a zero. METODI DI MISURA DEL POTENZIALE DELL’ACQUA DI ORGANI VEGETALI 1. Camera di Scholander (oppure camera a pressione/ bomba a pressione): consiste in una camera di metallo con all’interno uno spazio chiuso da un coperchio e collegata a una bombala con gas compresso (aria compressa o azoto compresso). Si prende una foglia e si recide la base del rachide. All’interno è contenuta della linfa xilematica. Nel punto di recisione, il livello d’acqua andrà a ritrarsi e si sposterà verso la foglia: in quel punto la pressione atmosferica è maggiore della tensione all’interno dello xilema. Si avvolge la foglia in pellicola per evitare che continui a traspirare (cioè che continui a perdere acqua). Si posiziona la porzione tagliata verso l’esterno della camera. Dopo la recisione il potenziale d’acqua sarà uguale alla pressione di turgore meno π (in questo caso π è positivo)  𝛹𝑤 = 𝑃𝑇 − 𝜋 Aprendo la valvola della bombola, si applica una pressione e un manometro registra la pressione all’interno della camera: la pressione piano piano aumenterà. Quando si applica una pressione positiva, questa andrà a comprimere le cellule dell’organo. Questo farà si che la colonnina d’acqua comincia a salire nuovamente. Il potenziale netto della foglia, all’aumentare di 𝑃𝐵 (cioè la pressione della bomba), sarà uguale al potenziale dell’acqua della pianta (𝑃𝑇 − 𝜋) più la pressione aggiuntiva  𝛹𝑛𝑒𝑡 = 𝑃𝑇 − 𝜋 + 𝑃𝐵 Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 Con una lente d’ingrandimento si osserva la porzione recisa, quando si noterà un luccichio nei vasi xilematici significa che la colonna d’acqua che era scesa ha raggiunto il punto di partenza. In questa condizione di equilibrio  𝛹𝑛𝑒𝑡 = 𝑃𝑇 − 𝜋 + 𝑃𝐵 = 0  𝑃𝐵 = −𝛹𝑤 La pressione positiva che io applico sarà quindi uguale al potenziale idrico (cambiato di segno) della foglia presa in esame. 2. Psicrometro a termocoppia: può essere utilizzato per foglie intere, ma soprattutto per suoli, porzioni di tessuto o soluzioni. Sfrutta l’effetto Peltier: una corrente elettrica può raffreddare o aumentare la giunzione tra i due metalli. Va a misurare l’umidità relativa all’interno di una camera. È costituito da una camera sigillata all’interno di cui viene inserito il campione. Il potenziale dell’acqua del campione andrà in equilibrio con la pressione di vapore dell’aria sovrastante. Questo utilizza la seguente formula per ottenere il potenziale idrico  Ψ = [RT/𝑉𝑤 ] ln (e/𝑒0 ) Ciò che lo strumento trova è il rapporto tra la pressione di vapore nell’aria e la pressione di vapore a saturazione, ovvero l’umidità relativa dell’aria. La pressione di vapore a saturazione è la pressione di vapore al raggiungimento del punto di rugiada, ovvero quando avviene la condensa. In questo sistema, vi è una termocoppia (costituita da metalli di tipo diverso) congiunta da una giunzione e collegata a un voltmetro. Sulla giunzione viene messa una goccia di soluzione di cui si conosce il potenziale dell’acqua. Se la pressione di vapore dell’aria è più bassa rispetto alla pressione di vapore della goccia a concentrazione nota, avverrà evaporazione. L’evaporazione per gradiente di potenziale fa raffreddare la giunzione. Il raffreddamento va a influire sulla corrente elettrica che passa attraverso la termocoppia e viene rilevata. Al contrario, se la pressione di vapore dell’aria fosse maggiore della pressione di vapore della goccia a concentrazione nota, avverrebbe condensazione del vapore d’acqua presente nell’aria. Nel grafico: sull’asse delle x potenziale idrico della soluzione (MPa) e sull’asse delle y temperatura della soluzione relativa alla temperatura ambiente. Se la temperatura della soluzione è più bassa rispetto alla temperatura ambiente, l’acqua evaporerà dalla soluzione. Vi è un punto di equilibrio in cui non c’è né evaporazione né condensazione. Se si ha una temperatura della soluzione più alta avverrà condensazione. Utilizzando gocce a potenziale conosciuto è possibile derivare il potenziale d’acqua del mio campione. Quali potenziali dell’acqua ci aspettiamo in diversi biomi caratterizzati da diversa disponibilità idrica? Durante il giorno le piante aprono gli stomi e si ha il picco di potenziale idrico intorno a mezzogiorno (picco negativo). Piante tipiche d’acqua dolce hanno potenziali d’acqua meno negativi : minimo giornaliero di circa -10 atm cioè circa -1MPa. In una foresta di latifoglie si hanno oscillazioni più marcate, che dipendono dalla disponibilità d’acqua nel suolo e dalla strategia di utilizzo dell’acqua della specie: minimi di -20 atm (-2 MPa). In ambienti desertici si ha un range di potenziali idrici molto più ampi, che dipende da posizione e regolazione stomatica delle singole specie: nei ginepri - 60/-80 bar (-6/-8 MPa). In ambienti alofili (acqua salata), il potenziale osmotico è abbastanza negativo (sotto i -2 MPa): lo stress salino induce un decremento del potenziale dell’acqua. Il potenziale dell’acqua è piuttosto negativo, poiché le piante dovranno a riuscire ad estrarre l’acqua del suolo, che possiede un potenziale meno negativo rispetto a quello che la pianta deve raggiungere. CURVA PRESSIONE-VOLUME O ISOTERME DEL POTENZIALE DELL’ACQUA Mostrano come varia il potenziale dell’acqua dell’organo al variare del volume d’acqua perso dalla foglia durante la disidratazione. Queste curve vengono realizzate in laboratorio, recidendo una foglia e accoppiando valori di potenziali dell’acqua a valori di massa della foglia. Sull’asse delle x viene indicato il volume d’acqua estratto, ovvero Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 la perdita d’acqua durante disidratazione. Sull’asse delle y viene rappresentato -1/potenziale dell’acqua. Quando la foglia è a pieno turgore il potenziale dell’acqua è vicino allo zero, quindi -1/potenziale dell’acqua assume valori alti. Via via si ha un decremento non lineare del potenziale dell’acqua fino al cosiddetto punto di perdita di turgore. Dopo quel punto, la relazione tra perdita d’acqua e -1/potenziale dell’acqua è PUNTO DI PERDITA lineare. È lineare in quanto, quando la pianta perde turgore, il DI TURGORE potenziale idrico dipende solo dal potenziale osmotico. Dalla curva è possibile ricavare il potenziale idrico, il potenziale osmotico (intercalando la retta blu) e infine la pressione di turgore. OSMOREGOLAZIONE Le piante possono aumentare la concentrazione di soluti nella cellula per contrastare lo stress idrico. Concentrando i soluti, abbassano il punto di perdita di turgore. Si parla di osmoregolazione. Se la pianta ha un potenziale dell’acqua di -1.5 MPa e π = -1.5 MPa, allora la pressione di turgore è uguale a 0 MPa (cioè il punto di perdita del turgore è a - 1.5 MPa). Ma se la pianta diminuisce π a-2.0 MPa, allora la pressione di turgore sarà pari a 0.5 MPa e il punto di perdita di turgore sarà a -2.0 MPa. L’accumulo/sintesi di soluti (osmoregolazione) permette alle piante di assorbire acqua dal suolo in luoghi aridi, mantenendo una pressione di turgore > 0. Se la pianta è in grado di accumulare soluti, può resistere meglio lo stress idrico perché il punto di perdita di turgore raggiungerà potenziali più negativi. Tuttavia concentrare soluti comporta un costo energetico. Da una metanalisi eseguita una decina di anni fa, è emersa una correlazione tra il potenziale dell’acqua di perdita di turgore e il potenziale osmotico di perdita di turgore. Sembra che l’osmoregolazione sia effettivamente una strategia adattativa molto diffusa. Se compariamo una foresta tropicale umida con un ambiente semidesertico, il potenziale dell’acqua al punto di perdita di turgore nel primo caso è di -1.5 MPa e nelle piante semidesertiche -3 MPa. Nelle piante semidesertiche è più negativo come adattamento alla minore disponibilità idrica. DIAGRAMMA DI HÖFLER In questo diagramma sull’asse delle y viene rappresentato il potenziale idrico con valori positivi, mentre sull’asse delle x la perdita di acqua simplastica (%). L’acqua simplastica è derivata dall’intersezione della retta che mi indica il potenziale osmotico con l’asse delle x. Quindi è possibile calcolare la perdita di acqua simplastica per ogni punto della curva. Dall’intersezione della curva del potenziale dell’acqua con il potenziale osmotico, è possibile derivare il potenziale dell’acqua al punto di perdita di turgore, che coinciderà a 𝑃𝑇 = 0. Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 ESEMPIO: È possibile applicare il diagramma di Höfler a due specie: Olea (ulivo) e Laurus (alloro). Vi sono due assi y: quello di sx rappresenta il potenziale di turgore (valori positivi), mentre quello di dx rappresenta il potenziale idrico e il potenziale osmotico (valori negativi). Il potenziale idrico al punto di perdita di turgore per le due piante sarà: -3.5 per Olea e circa -2.7 per Laurus. Vi sono piante che riescono ad aumentare la loro tolleranza allo stress idrico aumentando l’elasticità delle pareti cellulari. Questo può essere definito dal modulo elastico della parete (ε): 𝑑𝑉 𝜀 = 𝑑𝛹𝑝 /( 𝑉 ) ε è determinato dal rapporto tra la variazione della pressione di turgore e la perdita relativa di acqua simplastica (variazione in volume su volume massimo di acqua simplastica). Il modulo elastico della parete definisce la resistenza della parete alla deformazione. La variazione di volume è differente nelle due specie: solo 1 MPa per l’ulivo e 2 MPa per l’alloro. Il potere deformante delle pareti è molto maggiore nell’ulivo che nell’alloro. Il potere deformante che serve per generare una variazione del volume cellulare è maggiore nell’alloro: per generare la stessa variazione di volume, la pressione di turgore si deve abbassare maggiormente nell’alloro. Maggiore è il modulo elastico, maggiore sarà la resistenza e inferiore sarà l’elasticità. L’ulivo in una condizione di stress idrico quindi può sopportare una variazione in volume molto maggiore a parità di variazione di pressione di turgore. L’ulivo ha infatti delle cellule con una parete molto più elastica. Nei cactus il tessuto centrale non fotosintetizzante ha un modulo elastico che è più basso del modulo elastico dei tessuti fotosintetici esterni, ciò significa che le cellule interne sono più grandi e con parete molto più elastica. In caso di disidratazione progressiva, il potenziale dell’acqua delle cellule interne ed esterne è uguale ma le cellule interne possono deformarsi maggiormente e fungere da riserva d’acqua (che può essere utilizzata dalle cellule esterne). Durante periodi siccitosi, per un dato decremento di 𝛹𝑤 , le cellule di riserva perderanno molta più acqua rispetto alle cellule esterne. Altri strumenti di misura… PRESSURE PROBE (SONDA A PRESSIONE) La sonda a pressione serve per misurare la pressione di turgore (𝑃𝑇 ), che in una cellula vegetale è positiva. La sonda a pressione consiste in un microcapillare in vetro collegato ad un sensore di pressione e ad una vite micrometrica. Questo metodo viene utilizzato principalmente per piante che hanno cellule piuttosto grandi. Il microcapillare va a bucare la parete cellulare e la membrana plasmatica, entrando direttamente in contatto con il citoplasma. La pressione di turgore va a spostare il livello dell’olio di silicone che è presente all’interno del microcapillare. Avvitando la vite micrometrica, si va a porre una pressione con verso contrario rispetto alla pressione di turgore, fintanto che il livello del silicone non ritorna a livello della parete cellulare: si fa rientrare il succo cellulare all’interno della cellula. Il sensore di pressione segnalerà la pressione applicata e quest’ultima corrisponderà alla pressione di turgore. OSMOMETRO CRIOSCOPICO L’osmometro crioscopico permette la misura della pressione osmotica (π). Questo metodo si basa sulla proprietà di una soluzione di arrivare a una temperatura di congelamento, che dipende dalla concentrazione di soluti. Maggiore sarà la concentrazione di soluti nel campione, più bassa sarà la temperatura di congelamento. Il campione viene congelato e gradualmente si alza la temperatura, osservando a quale temperatura l’ultimo cristallo passa allo stato liquido. Questo dato poi viene correlato con la concentrazione di soluti. Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 Riassumendo… L’acqua si sposta in risposta a differenze di potenziale dell’acqua, secondo modalità di flusso di massa, diffusione, osmosi. La differenza di potenziale permette di prevedere in che direzione si sposta l’acqua. La velocità di trasporto dipende dalla forza motrice (gradiente di Ψ) e dalle caratteristiche fisiche del mezzo. Flusso = forza motrice x conduttanza (F = △Ψ x K) Flusso = forza motrice / resistenza (F = △Ψ / R) TRASPORTO DI ACQUA A LIVELLO CELLULARE: PLASMODESMI & ACQUAPORINE PLASMODESMI 3 possibili vie di trasporto: 1. TRASPORTO TRANSMEMBRANA: l’acqua deve passare attraverso le membrane plasmatiche. Può avvenire sia liberamente nel caso di piccole molecole polari e non cariche, oppure attraverso canali (acquaporine) che regolano il trasporto. Il trasporto può avvenire sia per diffusione sia tramite proteine: canali (trasporto passivo), carrier e pompe. 2. VIA APOPLASTICA: acqua e soluti non passano attraverso il protoplasto, ma all’esterno attraverso le pareti cellulari che costituiscono il cosiddetto apoplasto. Il trasporto avviene solo all’esterno, le varie molecole possono passare attraverso i pori della parete cellulare. 3. VIA SIMPLASTICA: avviene in presenza di plasmodesmi*, ovvero porzioni prive di parete cellulare costituite da strette fasce di reticolo endoplasmatico, che vengono condivise tra cellule adiacenti. Intorno alle strette fasce di reticolo endoplasmatico vi è una porzione di citoplasma che permetterà il passaggio di acqua e altri soluti. Il trasporto avviene per diffusione. *presenti solo nelle cellule vegetali!! BIOGENESI DEI PLASMODESMI Esistono due possibili origini: 1. Plasmodesmi primari: si formano durante la citodieresi (divisione cellulare). Delle porzioni di reticolo endoplasmatico condivise tra le due cellule in formazione rimarranno intrappolate nella zona in cui si forma la piastra cellulare di divisione. 2. Plasmodesmi secondari: attraverso una lisi mirata e specifica di zone della parete cellulare. Avviene quindi: lisi della parete cellulare ad opera di enzimi litici, fusione delle membrane plasmatiche e successivamente fusione dei reticoli endoplasmatici. I plasmodesmi possono anche cambiare forma nel tempo e possono anche essere occlusi con deposizione di parete. I plasmodesmi possono essere semplici (con manicotto citoplasmatico lineare) oppure complessi (più canali presenti). La dimensione che consente alle molecole di passare attraverso i plasmodesmi può essere variabile: limite di esclusione di massa. Vi è inoltre la presenza di gruppi di plasmodesmi che costituiscono le cosiddette punteggiature. La densità dei plasmodesmi e la dimensione del limite di esclusione di massa determina l’efficienza del trasporto 𝑝𝑙𝑎𝑠𝑚𝑜𝑑𝑒𝑠𝑚𝑖 attraverso i plasmodesmi. Le densità sono comprese tra 0.1 e 10-60. µ𝑚 2 I plasmodesmi sono presenti in quasi tutte le tipologie di tessuti, vi sono però alcuni casi in cui non vi sono connessioni di questo tipo. Esempi di queste eccezioni:  Cellule di guardia – cellule epidermiche: la variazione dell’apertura stomatica infatti dipende dalla variazione del turgore delle cellule di guardia e quindi anche dell’afflusso/efflusso dei cationi e anioni. Quest’ultimo Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 dipenda da iperpolarizzazione e depolarizzazione delle membrana plasmatiche, che non sarebbero possibili in presenza di connessioni citoplasmatiche.  Peli radicali – cellule del rizoderma  Apice radicale – cuffia radicale  Fusto – picciolo  Sacco embrionale – ovulo I plasmodesmi, come detto in precedenza, hanno un limite di esclusione di massa e pertanto permettono il passaggio di molecole con un determinato raggio di Stokes: il raggio di una sfera immaginaria che ha la stessa velocità di diffusione della molecola presa in considerazione. A questo raggio di Stokes è associata una massa molecolare in Dalton. Dagli studi con molecole fluorescenti è emerso che il limite di esclusione di massa medio è di 700-1000 Da (cioè molecole di 1.5-2.0 nm). Il limite di esclusione di massa dipende da diversi fattori: stadio di sviluppo delle cellule, dal tipo di tessuto, dai meccanismi di regolazione. Il limite di esclusione di massa dei plasmodesmi può essere regolato. Ad esempio: il callosio è un polisaccaride composto da monomeri di β-glucano e permette la riduzione del limite di esclusione di massa. Una particolarità dei plasmodesmi è data dalla presenza di proteine filamentose (composte da actina e miosina), che vanno a costituire dei percorsi più tortuosi ostacolando il passaggio di molecole di dimensioni maggiori o con una struttura più complessa. L’acqua attraversa liberamente i plasmodesmi. Esistono dei virus che infettano le piante, come il virus del mosaico del tabacco, che riesce a passare attraverso i plasmodesmi pur avendo massa pari a 30 kDa, grazie alla sintesi di proteine di movimento. Guarda bene figura a dx!!! ACQUAPORINE L’acqua può passare liberamente attraverso i plasmodesmi, tuttavia l’area disponibile per il passaggio attraverso i plasmodesmi è piccola rispetto all’area complessiva della membrana cellulare. Nel grafico a sx, si può notare come l’acqua abbia una permeabilità maggiore rispetto a quella che si avrebbe in un bilayer fosfolipidico privo di proteine di membrana; lo stesso vale per gli ioni 𝐾 + , 𝑁𝑎 + e 𝐶𝑙 −. Questa maggiore permeabilità di certe molecole è data proprio dalla presenza di proteine transmembrana. Il trasporto può essere facilitato da proteine canale, che nel caso dell’acqua prendono il nome di acquaporine. Il trasporto avviene secondo gradienti di potenziale idrico. Le acquaporine appartengono a un’antica famiglia multigenica di proteine MIP e sono comuni a diversi regni (animali, piante e microorganismi). Sono state scoperte nel 1992 da Peter Agre, che aveva individuato nei globuli rossi e a livello dei reni questi polipeptidi. Egli fece esprimere l’acquaporina Chip28 in oociti di Xenopus laevis. Questi oociti sono normalmente molto impermeabili all’acqua. Comparando i controlli che non contengono Chip28 con oociti con Chip28: si notò l’espansione della membrana plasmatica fino alla lisi di queste cellule se immerse in acqua distillata. Quindi si capì che queste proteine erano coinvolte nella regolazione della permeabilità all’acqua. Appartengono a una famiglia multigenica e presentano differente isoforme (ad es. in Arabidopsis 35 isoforme). Nelle piante vascolari sono suddivise in 4 gruppi principali: Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 - PIP (plasmalemma intrinsic proteins): presenti sul plasmalemma ma anche particolarmente diffuse nelle piante (soprattutto a livello di membrana dei cloroplasti) - TIP (tonoplast intrinsic proteins): tipiche del tonoplasto dei vacuoli (cioè la membrana che avvolge i vacuoli) ma anche nei mitocondri - NIP (nodulin intrinsic proteins): si trovano nei noduli radicali - SIP (small basic intrinsic proteins): diffuse soprattutto sulle membrane del reticolo endoplasmatico I primi due gruppi (PIP e TIP) sono le più comuni e presentano più isoforme. PIP e TIP sono presenti in una conformazione tetramerica: 4 pori e un poro centrale (meno selettivo) derivante da questa struttura. Le acquaporine facilitano il passaggio di acqua attraverso le membrane biologiche, secondo gradiente di potenziale dell’acqua (= trasporto solo passivo): da potenziali dell’acqua maggiori (meno negativi) a potenziali dell’acqua minori (più negativi). Le acquaporine possono conferire all’acqua un’altissima permeabilità sia quando sono nella conformazione aperta sia per la densità di acquaporine che possono essere presenti. Si possono trasportare fino a 3*109 molecole di acqua al secondo. Le acquaporine presentano una struttura a 6 domini alfa elica transmembrana collegati da loop. Vi sono 5 loop (A - E): loop B e loop D verso l’ambiente intracellulare; loop A, loop C e loop E verso l’ambiente extracellulare. Sono presenti due terminazioni N e C. importante è la presenza di domini altamente conservati NPA (= asparagina, prolina, alanina) in loop B e loop E. Questi due domini sono immersi nel doppio strato lipidico e nella conformazione dell’acquaporina essi vanno ad avvicinarsi tra loro costituendo una struttura a vetrino di orologio. Questo rappresenta il primo sito di costrizione attraverso il quale le singole molecole d’acqua possono passare. Il secondo sito di costrizione è costituito da un filtro selettivo in una regione costituita da arginine e residui aromatici. Come fa ad esserci un’elevata specificità delle acquaporine per il substrato? Ciò è possibile grazie ai due siti di costrizione (Ar/R e NPA), ma anche per la porzione più ristretta che consente il passaggio in fila delle molecole d’acqua. Due residui terminali di asparagina (Asn76 e Asn192) formano legami a idrogeno con gli atomi di ossigeno della molecola di acqua orientando i due atomi di idrogeno e facilitando il movimento della molecole d’acqua in una fila. Il trasporto di H+ viene bloccato dalla repulsione elettrostatica nel sito arginina e aromatico. L’attività delle acquaporine dipende da:  Abbondanza: espressione dei geni per le acquaporine e regolazione di vescicole endo/esocitotiche che vanno a collocare le acquaporine nel sistema di membrana. L’abbondanza dipende quindi da fattori endogeni (es. fitoormoni) ma anche da stimoli ambientali (stress idrico, salino, …).  Gating: regolazione apertura-chiusura poro Il gating dipende dalla posizione del loop D. La chiusura del poro è determinata dal pH del citosol: la diminuzione del pH porta alla protonazione di His 193 (istidina). Questo andrà a formare un’interazione con Ser 115: il loop D si avvicina a loop B, ciò comporta la chiusura del poro da parte di Leu 197. La presenza di cationi bivalenti va a stabilizzare la conformazione chiusa, tramite il loro legame con Asp 28 e Glu 31. La fosforilazione di Ser 115 sul loop B porta al rilascio del loop D e all’apertura del poro. La fosforilazione su Ser 274 sulla terminazione C impedisce la transizione verso la conformazione chiusa. Le acquagliceroporine possono trasportare oltre all’acqua altri piccoli soluti non carichi (CO2, NH4, H2O2, urea, acido silicico). Principalmente si notano le TIP a livello della membrana plasmatica ma a livello radicale si nota anche la presenza delle NIP che possono trasportare il silicio, il boro e anche l’acido lattico. Nei cloroplasti, le acquaporine sono presenti nella membrana interna (PIP e TIP) e sono particolarmente importanti per la diffusione di CO2 (importante per l’assimilazione tramite il ciclo di Calvin-Benson). Si nota inoltre la presenza di acquaporine per il trasporto di perossido di idrogeno. Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 Ci sono varie categorie di acquaporine presenti nelle piante (ma non solo). Ad esempio le XIP non sono presenti in tutte le piante e in questa categoria rientrano le acquagliceroporine. Invece le HIP e GIP sono tipiche dei muschi. L’importanza delle acquaporine si nota soprattutto negli organi terminali della pianta (a livello radicale e fogliare). A livello radicale, le acquaporine determinano in maniera sostanziale l’assorbimento dell’acqua. A livello radicale, nel riso, si nota l’espressione di NIP per l’assorbimento di silicio. Nella foglia le acquaporine sono importanti per determinare la conduttività idraulica extraxilematica, cioè la conduttività delle cellule del mesofillo. L’acqua a livello della foglia deve lasciare lo xilema per giungere ai siti di evaporazione. La fase in cui l’acqua lascia lo xilema è regolata finemente dalle acquaporine. Le acquaporine sono coinvolte in:  Assunzione di micronutrienti: tuttavia attraverso le acquaporine possono passare anche dei metalli pesanti che possono essere tossici per la pianta (es. arsenico).  Assorbimento di acqua radicale: dipende quasi totalmente dalle acquaporine, ma esistono fattori ambientali possono ridurre l’attività (come: stress salino o idrico, anossia, …)  Germinazione del seme: in particolare nell’imbibizione del seme  Processo di riparazione dell’embolia xilematica  Conduttività idraulica foglia: attività delle acquaporine controllata da ritmi circadiani (massima conduttività idraulica verso le ore centrali della giornata)  Espansione cellulare: crescita favorita da luce e da GA3 TRASPORTO VERTICALE DI ACQUA: TEORIA DELLA TENSIONE-COESIONE Se prendiamo un recipiente e un capillare con diametro ridotto ma altezza superiore a 10m e rovesciamo quest’ultimo a testa in giù, l’altezza alla quale avverrebbe la rottura della colonna d’acqua raggiungerebbe circa i 10 m. Dalla base della bacinella al livello dell’acqua raggiunto all’interno del capillare ci sarebbe una differenza in termini di potenziale gravitazionale intorno a 1 bar (circa 1 atm, cioè circa 101.3 kPa). La pressione atmosferica esercitata sull’acqua genererà nel capillare una risalita di 10 m. Come può l’acqua passare dalla radice alla foglia in un continuum? Lo xilema è costituito da due componenti tracheali: elementi dei vasi (tozzi e corti) con placche di perforazione (connettono elementi dei vasi giustapposti l’uno sull’altro) oppure tracheidi (elementi tracheali più sottili e allungati). Sia negli elementi dei vasi sia nelle tracheidi sono presenti delle porzioni prive di parete secondaria che vanno a costituire le punteggiature. Queste due tipologie non si trovano tutte in tutte le piante vascolari. Le tracheidi (o fibrotracheidi) sono gli unici elementi tracheali presenti nella gran parte delle gimnosperme. Le fibrotracheidi sono cellule con diametro ridotto (da 5 a 80 micron) e lunghezza inferiore ai 3 cm. Nelle gimnosperme si parla di legno omoxilo: caratterizzata dalla presenza di quest’unico elemento tracheale. Nelle angiosperme le trachee (dette anche vasi) sono costituite da elementi di vasi giustapposti e da tracheidi, vi sono delle fibre (assenti nelle gimnosperme). Le fibre conferiscono resistenza e supporto meccanico al legno delle angiosperme. Le trachee hanno diametri superiori alle fibrotracheidi (da 10 a 500 micron) e lunghezze fino a 10-20 m (ma più comunemente 2-20 cm). Nelle angiosperme si parla di legno eteroxilo: presenza sia di trachee che di tracheidi. Legno a porosità diffusa: omogeneità nella diposizione di vasi della stessa dimensione Legno a porosità anulare: nel legno primaverile vi è deposizione di vasi maggiori (per sostenere lo sviluppo della pianta), mentre il legno tardivo rimane funzionale. Le punteggiature sono regioni della parete cellulare, tra due vasi xilematici adiacenti, prive di parete secondaria quindi costituiscono una camera che nel mezzo possiede una membrana costituita da lamella mediana e parete Scaricato da Camilla Alberti ([email protected]) lOMoARcPSD|7337786 primaria. Si ha struttura differente: nelle angiosperme membrana omogenea con microfibrille più dense e fitte, nelle conifere struttura a toro e margine. Il margine nelle conifere è costituito da microfibrille molto meno dense per cui la permeabilità all’acqua è superiore rispetto a quella delle angiosperme. Visto il ridotto trasporto dell’acqua dovuto al fatto che le tracheidi sono molto meno conduttive rispetto ai vasi, i margini permettono di supplire a questa ridotta conduttività. EQUAZIONI CHE DESCRIVONO LA CAPACITA’ DI TRASPORTO DI ACQUA ATTRAVERSO LA PIANTA  F = V/t dove F= flusso, V=volume, t=tempo  F = K x  dove K= conduttanza idraulica, = suolo - foglia  K = 1/R dove R= resistenza idraulica  F = /R  k = K x l dove k= conduttività idraulica, l= lunghezza del conduttore La conduttanza idraulica non tiene in considerazione il fatto che il conduttore abbia una certa lunghezza: maggiore è la lunghezza maggiore sarà resistenza. Si può ottenere una conduttività idraulica moltiplicando la conduttanza per la lunghezza del conduttore. La conduttanza può essere espressa come mmol/ s * MPa, la resistenza è l’inverso quindi sarà s *MPa/mmol; infine la conduttività mmol * m/ s * MPa. LEGGE DI HAGEN-POISEUILLE 𝜋 ∗ 𝑟4 Flusso = x  8 ∗ L Il flusso è proporzionale alla quarta potenza del raggio. Se si prende un condotto di 40 micron di diametro, la conduttività idraulica è uguale alla conduttività idraulica di 16 condotti di diametro dimezzato e condurrà come 256 condotti di diametro 4 volte inferiore. Produrre un unico vaso grande è meno dispendioso e si guadagna più spazio rispetto a produrne tanti più piccoli. Dal punto di vista evolutivo quando sono comparsi i vasi? Il grafico a sx mostra l’andamento della pressione atmosferica di CO2 nel tempo. Si parte da concentrazioni molto elevate di CO2, fino a un certo punto in cui la concentrazione diminuisce. Successivamente a questa fase di diminuzione della concentrazione di CO2, si nota la comparsa di piante con vasi. La linea tratteggiata mostra il rapporto tra le moli di acqua evaporate e le moli di CO2 assimilate da fotosintesi. La diminuzione della CO2 in atmosfera, ha determinato un aumento del dispendio di acqua per unità di CO2. Questo va a compromettere la produttività delle piante, le pressioni evolutive affinchè le piante potessero competere in un ambiente povero di CO2 hanno determinato la necessità di sostenere flussi evaporativi più alti (=aumento consumo di acqua a livello fogliare). Ciò comportò la necessità di un miglioramento dell’efficienza del trasporto di acqua: deposizione di vasi più grandi che possano sostenere flussi evaporativi maggiori. Tendenzialmente si avranno vasi di grandi dimensioni in ambienti tropicali di tipo umido. In ambienti xerici, quando diminuisce la disponibilità di acqua nel suolo si avranno tendenzialmente dei condotti più piccoli. Anche la riduzione di temperatura determina la riduzione del diametro dei condotti. La maggior parte dei vasi sono di dimensioni limitate, mentre quelli di diametro maggiori saranno sempre meno frequenti. Vasi di grandi d

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