Summary

These notes cover the Capital Asset Pricing Model (CAPM) and Markowitz's portfolio theory in corporate finance. The notes explain the basic principles of finance, highlighting the relationship between risk and return, and discuss the Markowitz approach towards developing an efficient portfolio. They also emphasize the importance of analyzing macroeconomic scenarios to make informed investment decisions.

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FINANZA AZIENDALE 2 Lezione 1- 14.02 CAPITAL ASSET PRICING MODEL - CAPM PREMESSA: Primo principio della finanza Ci sono due principi di base della finanza, che dovrebbero essere noti a tutti gli investitori: dall’indagine OCS, si vede che l’Italia dal punto di vista della cono...

FINANZA AZIENDALE 2 Lezione 1- 14.02 CAPITAL ASSET PRICING MODEL - CAPM PREMESSA: Primo principio della finanza Ci sono due principi di base della finanza, che dovrebbero essere noti a tutti gli investitori: dall’indagine OCS, si vede che l’Italia dal punto di vista della conoscenza finanziaria è all’ultimo posto. Il primo teorema della finanza dice che è possibile ottenere un rendimento atteso crescente, solamente in presenza di un rischio atteso crescente → questo è un principio storico, che mette a confronto due dimensioni: il rischio e il rendimento; con una relazione di proporzionalità diretta→ se vuoi guadagnare tanto devi rischiare tanto. Questo è un concetto che l’investitore non ha, perché il suo obbiettivo sarebbe quello di guadagnare tanto senza rischiare, cosa che non è possibile. Guadagnare tanto, rischiando poco è l’obbiettivo della teoria di portafoglio, cioè l’obbiettivo dei teorici è stato quello di trovare dei modelli per poter guadagnare tanto rischiando il meno possibile. Quest’enunciazione teorica è desiderata, ma non sempre è possibile arrivarci; quindi, si deve capire come raggiungere questo obbiettivo. Per fare questo, le due dimensioni dovrebbero essere esaminate. LE BASI TEORICHE DEL PORTAFOGLIO Il primo teorico che ha affrontato questo tema negli anni 50, teoria ancora valida, è stato Markowitz. Markowitz si è posto la domanda precedente: guadagnare tanto e rischiare il meno possibile. Passato attraverso una serie di riflessioni, con l’obbiettivo di arrivare ad ottenere un portafoglio efficiente. Il portafoglio efficiente è una combinazione di asset class che permettono all’investitore di ottenere il massimo rendimento atteso sopportando il minimo rischio. Asset class è un termine generico utilizzato per indentificare tutto ciò che è teoricamente investibile; quindi, tutto ciò in cui io posso investire denaro. Anche in questo caso parliamo di qualcosa che non è codificato e rigido, ma di un concetto universale. Markowitz per arrivare a realizzare un portafoglio efficiente ha codificato una teoria: teoria di portafoglio di Markowitz, la quale si sviluppa attraverso alcuni passaggi fondamentali, che non sono saltabili, ma vengono seguiti rigidamente in sequenza. Questi passaggi non sono “antichi” e utilizzati perché non c’era la tecnologia, ma oggi, tutti i software che si utilizzano hanno questa teoria come base; quindi, è una teoria molto attuale e utilizzata tutt’oggi. Questo diventa un valore aggiunto, perché se conosco la teoria, conosco anche i limiti che essa ha e posso intervenire. I PASSI PER LA CREAZIONE DEL PORTAFOGLIO Il processo di M. è un processo top down, ad imbuto, perché il processo parte dal macro per arrivare verso il micro. In ogni fase c’è un team di lavoro. INDIVIDUAZIONE DEGLI ASSET CLASS 1 Le asset class non sono predefinite, ma devono essere individuate. Quindi se io decido di utilizzare delle assets class, il risultato è differente se ne utilizzo altre, dipende dall’input che sono stati inseriti. Al tempo di M. le assets class erano quelle ritenute intoccabili: azioni, obbligazioni e liquidità. Quindi 3 macro-asset class che erano comuni a tutti ed ogni volta che si parlava di costruzione di un portafoglio l’idea era di costruirlo utilizzando queste tre. Questo processo è rimasto inalterato fino alla fine degli anni 90’, a partire dal 2000 il mondo delle asset class è aumentato (nelle banche, le asset class tradizionali non bastano) :oggi il mondo delle asset class vede anche l’investimento in immobili (real estate), in oro, in diamanti, in opere d’arte, in squadre sportive. Quindi aumentando la numerazione delle asset class, il processo diventa più complicato. PREVISIONI DI SCENARIO Il portafoglio che noi andiamo a costruire sebbene lo costruiamo con una base teorica, è un portafoglio che nasce in un contesto macroeconomico specifico. Ad oggi, si dovrebbe quindi tener conto di una guerra in atto con un’incertezza di fondo che nessuno è in grado di chiarie, con una dinamica dei tassi d’interesse da parte della BCE che è poco condivisibile, e tutta una serie di altri elementi che riguardano anche i rapporti geopolitici. Quindi, quando parliamo di previsione di scenario, parliamo di analisi macroeconomiche: dall’osservazione della realtà fino ad arrivare alle proiezioni future. Non è però possibile fare una previsione macro a livello mondiale, ma queste previsioni vengono fatte in macroaree. Ecco allora che solitamente c’è l’analisi delle previsioni di scenario USA, tutta la parte legata a paese emergenti, parte area Euro, Cina-Giappone e la parte Russia. All’interno quindi di questo team di lavoro si sono dei macrogruppi perché è impossibile che una persona sola sia in grado di seguire le dinamiche di tutte le aree geografiche; quindi, ogni team si occupa di una specifica zona, con studi e previsioni a livello macro, poi i team si scambiano informazioni. PREVISIONI SULLE ASSET CLASS Una volta fatta questa analisi di scenario che diventa fondamentale, si passa ad un altro punto molto delicato: andare a studiare che impatto può avere lo scenario macroeconomico delineato sulle singole asset class. In questa fase andiamo a stimare i possibili rendimenti attesi e i rischi attesi investendo nelle singole asset class. Calando l’investimento nelle specifiche asset class, nel contesto macroeconomico delineato si arriva a definire anche il livello di rischio atteso e di rendimento atteso dalle singole asset class. FASE DI ASSET ALLOCATION STRATEGICA Nelle prime 3 fasi i soggetti che sono tati ingaggiati sono principalmente asset manager, in questa fase, gli utilizzatori di tutta la mole di lavoro sono i consulenti finanziari, che sono a contatto con il cliente finale e devono andare a definire in maniera concreta l’allocazione del portafoglio. In quest’ultima fase distinguiamo 2 fasi sequenziali, in qui l’una dipende dall’altra: Asset allocation strategica: è il momento in cui vengono definiti i pesi da attribuire alle singole assets class in un alogica di lungo periodo. E’ fondamentale in questa definizione: o l’orizzonte temporale di lungo termine (maggiore di 10 anni, solo per questa parte del processo) o i pesi da attribuire alle singole asset class, che in questa fase sono ancora definibili come macro-asset class. Quindi si dovrà dire quanta parte di azionario ci dovrà essere in questo portafoglio, quanta parte di liquidità, quanta parte di obbligazionario, quanta parte di oro? Non stiamo ancora lavorando sui prodotti, ma stiamo lavorando sulla macro-asset class; a questo punto arriva l’asset allocation tattica. 2 Asset allocation tattica: andare ad investire in singoli prodotti che possano coprire quella specifica macro-asset class. Quindi si passa da una proiezione macro di lungo termine a decisioni di breve termine, perché l’asset allocation tattica ha un orizzonte temporale breve. QUADERNO 1 La logica è che gli asset allocation tattica serve anche a cogliere delle opportunità che nel momento in cui si è progettata l’asset allocation strategica, orientata nel lungo termine non erano presenti. Così come l’asset allocation tattica mi permette di evitare dei pericoli che nell’asset allocation strategica non erano contemplati. Ad esempio l’asset allocation strategica del 2019 non aveva previsto la pandemia nella sua proiezione a lungo termine ,ma la tattica ha dovuto tener conto del Covid. Quello che non deve mai capitale è che l’asset allocation tattica non può MAI stravolgere l’asset allocation strategica. → questo significa che per esempio la parte del 50% delle azioni, nell’esempio precedente, può essere modificato a livello tattivo, però senza modificare la parte strategica. Un cambiamento drastico, quando la tattica cambia la strategica succede quando decido di eliminare tutto. Questa situazione (cambiamento della parte strategica), che non dovrebbe mai verificarsi, può succedere in 3 casi: Quando a livello macroeconomico si verificano delle situazioni talmente epocali che non erano prevedibili (Covid) Quando si verificano dei cambiamenti importanti nella sfera personale del cliente (viene a mancare una persona della famiglia che è portatore di reddito principale di reddito) Consulente non ha capito il cliente: il consulente ha progettato un asset allocation strategica senza capire le esigenze del cliente COSA È IL RISCHIO I rischi in finanza sono tanti (rischio emittente, rischio liquidità, rischio cambio) ma noi parleremo del tipo di rischio che dobbiamo considerare nella costruzione del portafoglio. In questo contesto il rischio è definito come volatilità del portafoglio. Per stimare un rischio abbiamo bisogno dei dati storici: per ogni singola asset class dobbiamo andare a recuperare degli asset storici. QUADERNO 2 Se per un asset class non ci sono dati storici, come si calcola il rischio? Quando non ci sono dati disponibili, per calcolare il rischio si usa la random walk hypothisis (cammino casuale). Quest’ipotesi è stata costruita considerando che basta una sola osservazione periodica per proiettarla nel tempo, e quindi avere la possibilità di immaginare la tendenza del rischio. 3 Pochi periodi di osservazione Proiezione nel tempo QUADERNO 3 Il rischio che abbiamo definito (standard deviation) è un concetto generale, ma in finanza questa dimensione può essere distinta in due componenti: Specifico: è il rischio afferente alla singola asset class; non è un rischio comune, ma un rischio che riguarda la singola asset class. È un rischio che ha una declinazione molto eterogenea, che va identificato di volta in volta. Ad esempio, nelle aziende rientra nel rischio specifico la composizione del board (consiglio di amministrazione) perché un board compost da anziani prende delle decisioni differente rispetto ad un board misto. Sistemico (beta β): rischio insito all’interno del mercato; rischio connaturato al mercato stesso per il fatto di investire, il rischio sistematico lo si deve sopportare ed è universale. Questa distinzione è importante perché abbiamo detto che vogliamo costruire un portafoglio efficiente (rendimento alto e un rischio minimo), ma questo lo si può fare solo con un rischio specifico, solo questo è minimizzabile. Markiwitz dice infatti che l’unica componente di rischio che si può ridurre fino ad eliminarla completamente è il rischio specifico, mentre il sistemico non si potrà mai eliminare. Anche in quest’immagine si può vedere come il rischio sistematico è duro, scalfito, mentre quello specifico può ridursi fino ad eliminarsi. CALCOLO DI BASE DEL RISCHIO Tre titoli, ABC, e per ciascuno di questi abbiamo registrato i rendimenti su base annua, con i rispettivi tassi. Se vado a calcolare il rendimento medio di questi titoli mi rendo conto che il rendimento medio di A è 8%il rendimento medio di B e 8% come quello di C. Se io dovessi scegliere sulla base del rendimento medio per me sarebbe indifferente, perché tutti e tre i titoli hanno lo stesso rendimento mendo. La logica di Markiwirtz ha un senso, perché voglio scegliere il titolo che a parità di rendimento mi fa rischiare di meno; vado ad applicare la standard deviation e trovo che A=3,26% B=4,32% C=8,64% In questo caso, il titolo più conveniente per l’ottimizzazione di M. è la A perché mi fa rischiare di meno a parità di rendimento medio. È possibile che un investitore scelga C, però deve essere consapevole che si sta esponendo ad un rischio elevato per ottenere un rendimento che è pari ad altri. Qui stiamo parlando di un singolo titolo, invece M. ragiona sul portafoglio, mettendo insieme più titoli. 4 LA DIVERSIFICAZIONE Arriviamo al secondo principio della finanza, ovvero il principio della diversificazione di portafoglio. Questo è il secondo principio cardine, che si abbina al primo. M. nella logica di minimizzare il rischio e massimizzare il rendimento, dice che l’investitore non deve sopportare il rischio inutile; se un rischio si può evitare, perché correrlo? Il rischio inutile è quello specifico, che quindi si può ridurre. Per far questo bisogna eseguire un’adeguata diversificazione, cioè distribuire il proprio denaro tra più asset class; può sembrare una ripartizione, ma non è così perché bisogna scegliere con attenzione in quali asset class investire e con quali pesi. Riprendendo la tabella di prima, abbiamo detto che A è il più efficiente, ma immaginiamo di proporre ad un cliente il 50% di B e il 50% di B, quindi investire in due titoli (portafoglio). Se metto insieme 50% di B e 50% di B il portafoglio finale mi renderà ancora 8%. In termini di rischio, se metto insieme il 50% di B e C, si avrà un rischio del 6% +o-. Questo rischio non mi conviene, perché è più conveniente A. Ma questo ragionamento è sbagliato perché in finanza c’è un altro principio che dice: il rendimento di un portafoglio è sempre uguale alla media aritmetica ponderata dei rendimenti delle singole asset class che compongono il portafoglio. → Il rendimento non è un problema come calcolo, ma il vero problema sta nel calcolo del rischio che non è mai pari alla media aritmetica ponderata dei rischi delle singole asset class che compongono il portafoglio. Il rischio del portafoglio composto dal 50% di B e C risulterà 2,96%, più basso del rischio di A, quindi più efficiente. Per calcolare il rischio di un portafoglio dobbiamo tenere conto anche dell’effetto correlazione. Come se le asset class inserite nel portafoglio, prese a coppie si influenzano reciprocamente. Per calcolare come si influenzano reciprocamente le coppie di asset class dobbiamo calcolare la covarianza, per poi arrivare al coefficiente di correlazione ROT (covarianza standardizzata) QUADERNO 4 La formula da utilizzare per trovare il rischio di portafoglio è: (anche su quaderno) RISCHIO E RENDIMENTO M. identifica una serie di portafogli efficienti, che si trovano sulla frontiera efficiente: tutti i portafogli che massimizzano il rendimento minimizzando il rischio si trovano sulla frontiera efficiente QUADERNO 5 5 Lezione 2- 15.02 Questa rappresenta una scelta difficile per gli investitori medi, perché per il singolo titolo il problema non sussiste; più complesso è invece il tema sul portafoglio, perché ad occhio B e C arrivano ad un rendimento del 8%, ma sul fronte del rendimento abbiamo dei problemi. Questo perché il calcolo del rischio del portafoglio non è mai pari alla media aritmetica ponderata dei rischi degli strumenti che compongono il portafoglio; perché nel momento in cui andiamo a mettere insieme più asset class, dobbiamo considerare come queste si influenzano reciprocamente. LA COVARIANZA STANDARDIZZATA L’ideale sarebbe raggiungere coefficienti di correlazioni= -1, che in natura non esistono più. Molto frequenti oggi sono le correlazioni +1, che non vanno bene per il mercato. IL CALCOLO DEL RISCHIO DI UN PORTAFOGLIO COMPOSTO DA 2 ASSET CLASS Riprendendo l’esercizio dei titoli ABC di prima, vogliamo vedere come il portafoglio fatto da 50% di B e C diventa più conveniente rispetto ad A. QUADERNO 1 (calcolo del rischio) FRONTIERA EFFICIENTE La frontiera efficiente è l’insieme di tutti i portafogli efficienti. Questo tema è molto importante, e lo abbiamo anche presentato graficamente. (n°5 lezione precedente) Il ragionamento di M. è che se si hanno 2 portafogli con lo stesso rischio, ma non lo stesso rendimento, quello che preferisco è quello che mi fa guadagnare di più a parità di rischio. Considerando quindi 1 e 2, quello che preferisco è il 2. Ripeto questo confronto per tutti i portafogli, e traccio quella che è definita la frontiera efficiente. Quindi tutti i portafogli che si trovano su questa frontiera sono efficienti allo stesso modo. Vengono anche chiamati portafogli dominanti, perché dominano tutti quelli che sono sotto la frontiera. Tracciando anche il portafoglio 5-8-10 non posso dire che esiste un portafoglio migliore ì, perché la scelta tra 2-5-8-10 dipenderà tra la propensione al rischio dell’investitore. L’investitore avverso al rischio sceglierà il 2 perché ha meno rischio, mentre un investitore più propenso al rischio potrebbe scegliere il portafoglio 10, perché ha il livello di rischio più elevato; però 2 e 10 sono efficienti allo stesso modo. Le frontiere efficienti possono avere diverse forme. QUADERNO 2 (differenti frontiere efficienti) Dal grafico che abbiamo fatto, si vede come il portafoglio è quello con il coefficiente di correlazione = -1 mentre il peggiore è quello con il coefficiente =+1. Negli ultimi anni i coefficienti di correlazione sul mercato erano positivi, e molti vicini a +1, che ha uno dei rischi più alti. I coefficienti di correlazione vengono pubblicati su portali, che li pubblica sulle macro-asset class, e ci permette di fare i calcoli e capire i portafogli migliori. 6 La parte “colorata” rappresenta la parte di rischio che non si può eliminare, perché si arriva a 0 come rischio specifico, ma rimane il rischio sistematico che non è eliminabile. CAPM-Introduzione Una volta trovato un portafoglio efficiente, questo è ulteriormente efficientatile? In questo caso parliamo di CAPM (Capital asset pricing model). Il CAPM è un modello degli anni 70’ costruito da importanti personaggi nel mondo finanziario: Sharpe, Lintner, Treynor. Nasce come modello di stima dei rendimenti attesi dei singoli titoli, per poi essere esteso anche alla stima dei portafogli. Anche questo modello si basa su alcune ipotesi →( nasce nel mondo della stima del rendimento dei titoli azionari) Anche questo modello si basa su alcune ipotesi, che sono importanti da conoscere per comprendere come il modello è strutturato e quindi come applicarlo LE IPOTESI 1- Gli investitori sono razionali: soggetto che conosce tutto ha tante informazioni. Quindi il soggetto che ha nozione di qualsiasi cosa, non si spaventa perché sui mercati sa come muoversi, è un essere pensante dotato di un intelligenza infinita. Noi infatti sappiamo che non è così, infatti si parla di irrazionalità degli investitori. Noi negli anni recenti abbiamo avuto una grande dimostrazione dell’importanza del concetto di irrazionalità degli investitori: Draghi, ha messo in piedi delle operazioni finanziarie sul mercato, che erano contrarie ai modelli economici che invece proponevano la razionalità → si è reso conto che l’applicazione del modello che partiva dalla base della razionalità degli investitori non avrebbe portato da nessuna parte, e bisognava tener conto del fatto che gli investitori erano irrazionali Però nella modellistica si parte dall’ipotesi che tutti sanno tutto, perché si “risolvono” i problemi 2- Non ci sono costi di transizione: entrare ed uscire dal mercato è libero, e come investitore posso acquistare qualsiasi asset class senza costi. 3- Non ci siano imposte: (modello affiscale). Non è così nel mondo finanziario, ma questa è l’ipotesi meno critica, perché anche quando si ragiona su altri ambiti, la finanza non considera le imposte perché non le può considerare aprioristicamente→ l’applicazione dell’imposta è qualcosa di esogeno, c’è un legislatore fiscale che stabilisce quali siano le imposte, con la possibilità di cambiarle nel corso del tempo. La modellistica per rimanere universale, e che possa andar bene in ogni tempo, non può tener conto delle imposte. 4- Gli investitori possono prendere a prestito o investire al tasso risk free: esiste un tasso free risk, quindi un’attività sul mercato che è priva di rischio. Nel mondo finanziario questa attività viene individuata in diverse attività a seconda della zona geografica nella quale ci troviamo: in Italia il free risk è il BOT, se ragioniamo a livello Europa il free risk è il Bund tedesco, per l’area USA è il treasury bills → per ogni area geografica viene identifica una unità free risk. In questo modello con questa ipotesi viene identificato che il free risk è l’unico tasso di riferimento sul mercato: gli investitori possono investire, ottenendo come rendimento il free risk, e possono prendere a prestito denaro pagando il free risk. Il free risk è l’unico tasso di riferimento sul mercato. 7 Questo è l’unico elemento di critica di questo modello, perché sul mercato esistono almeno 2 tassi: uno a credito e uno debito, mentre il modello ne ipotizza uno solo. 5- Gli investitori possiedono solo portafogli efficienti. Questa ipotesi discende dalle 4 precedenti: in un contesto in cui non ci sono costi di nessuna natura, non ci sono imposte, gli investitori sono razionali, ed ecco che allora gli investitori sceglieranno solo ed esclusivamente portafogli efficienti. Se sono vere le ipotesi, allora tutti gli investitori sceglieranno lo stesso portafoglio che sarà quello più efficiente in assoluto → il portafoglio mercato, cioè il portafoglio che racchiude tutte le asset class disponibili sul mercato, che è anche quello più diversificato. CONSEGUENZA Ma se il portafoglio mercato è il più efficiente di tutti, il portafoglio mercato è quello che domina anche tutti gli altri portafogli efficienti. Se questo è vero, allora significa che ogni portafoglio efficiente, ma diverso dal mercato, può essere ulteriormente efficientato attraverso un’apposita combinazione di portafoglio mercato e free risk. QUADERNO 3 Il punto che la retta intercetta la frontiera efficiente è il portafoglio mercato. Considerando un punto 1 sulla frontiera di efficienza possiamo dire che questo si può migliorare, andando a prendere una parte di portafoglio mercato una parte di risk free. Se faccio questa combinazione, mi vado a trovare sul punto 2 sulla retta. Il punto 2 è più efficiente del, perché a parità di rischio ho un rendimento maggiore. Se prendiamo invece il punto 5, questo non si potrebbe ottimizzare. Infatti, tutti portafogli che si trovano in basso (alla sinistra del punto di mercato) è possibile migliorarli, ma quelli a destra non vengono nemmeno considerati, in quanto oltre al mercato non si potrebbe andare. Se si fanno dei calcoli matematici, nella parte destra, escono dei numeri come 120%, significa cioè investire il 120% di portafoglio mercato, che non è possibile perché si richiede di investire un importo che non si ha → l’investitore può investire al massimo quello che possiede. La retta tangente che si vede anche nell’immagine precedente è la CML. La CML indentifica un punto che è la combinazione di mercato e free risk. QUADERNO 4 (Esercizio 1) Dobbiamo capire la percentuale che dovrò investire nel portafoglio mercato e nel free risk. Il concetto di efficientare è di massimizzare il rendimento minimizzando il rischio. Se io ho già un portafoglio efficiente, significa che il rischio è già minimizzato, quindi il mio obbiettivo sarà quello di creare un portafoglio mercato e free risk che mi permetta di ottenere ancora il rischio il portafoglio A. Peso del mercato: incognita Peso del free risk: incognita, ma visto che il suo tasso è 0, tutta la parte va via. Rimane quindi solo una parte: peso del mercato*tasso d’interesse del mercato (0.06) al quadrato sotto radice. 0,50 è il risultato. Rendimento del nuovo portafoglio: 0,50*5%+0,50*2%=3,5% 8 Si vede infatti che il rendimento è 3,5 % con uno steso livello del rischio, cioè del 3%. Questo ci ha permesso di efficientare ulteriormente. QUADERNO 5 (Esercizio 2) Il ptfg A è un ptfg eff. Con un livello di rischio pari al 15% e un E(R) pari al 20%. Il mercato al quale il ptfg appartiene presenta un rendimento del 25% a fronte di un rischio del 18% mentre il rendimento affetto da un’attività priva di rischio è pari al 4%. Quale combinazione è suggerita per migliorare l’eff ottenuta dal ptfg? La formula da utilizzare è quella precedente MODELLO PREVISIONALE DEL RENDIEMNTO ATTESO Uno dei problemi più importanti che anche M. ai suoi temi ha dovuto affrontare è legato al come stimare un rendimento atteso. Nel corso della storia, la determinazione del rendimento atteso ha trovato due evoluzioni, che distinguono due modelli teorici: Modello delle serie storiche: modello teorico che parte da un’ipotesi di base rigida. Secondo questo modello la storia si ripete con la stessa frequenza e la stessa intensità. Se questo modello fosse vera, a questo punto il rendimento atteso futuro sarebbe uguale al rendimento medio storico. (concetto del ritorno alla media) Se la storia ha una dinamica basta calcolare un rendimento medio, e questo proseguirà nel corso del tempo. In questo modello possiamo dire che l’aspettativa di rendimento E(R)è uguale al rendimento medio storico. Si tratta di un modello utilizzato per molti anni in finanza. Questo modello di stima è entrato in crisi con le dinamiche macroeconomiche attuali. Quindi è chiaro che questi modelli sono stati abbandonati e ci si è spostati sui modelli building block. Modello a building block sono modelli che arrivano a stimare il rendimento atteso, assemblando diversi tasselli. Sarà la sommatoria di questi blocchi a determinare il rendimento atteso. Un processo di stima più complicato però più realistico. Tra questi modelli troviamo il CAPM, che non è solo un modello che ci permette di efficientare un portafoglio già efficiente, ma è anche un modello di stima previsionale del rendimento atteso. La logica che sta alla base è una logica che si basa sulle ipotesi concordate prima. CAPM Il nostro obbiettivo è stimare il rendimento atteso di un titolo o di un portafoglio, sapendo che investitori sono razionali, che non ci sono costi, non ci sono imposte, che sul mercato esiste un unico tasso free risk. E queste sono le ipotesi fondamentali. Se gli investitori sono razionali, se sul mercato c’è un rendimento privo di rischio, il rendimento minimo che ogni investitore vorrà portarsi a casa da qualsiasi asset class è il free risk. Gli investitori sul mercato si troveranno difronte ad altre asset class, che sono asset class che richiedono la sopportazione di un rischio. Quindi seguendo la logica del primo principio della finanza, è chiaro che se io corro un rischio mi aspetto un rendimento proporzionale. 9 Ogni asset class appartiene ad un mercato specifico. Ad esempio, se mi viene proposto di investire in Microsoft, utilizzo come parametro di riferimento per il rendimento di Microsoft il rendimento del mercato di cui fa parte, perché io mi aspetto investendo in Microsoft di ottenere una parte del rendimento del mercato tecnologico. Se invece investo in Barilla mi aspetto di avere come rendimento almeno una parte del rendimento del mercato. Aspettativa di rendimento E(R) – il free risk L’aspettativa di rendimento del mercato è l’aspettativa del mercato al quale appartiene il titolo che stiamo esaminando. Mi aspetto che il rendimento del mercato sia superiore al free risk. Questa sovra-performance del mercato rispetto al free risk io, la porterò a casa sulla base di quanto vorrò rischiare, quindi proporzionalmente a quanto vorrò rischiare. L’unico rischio che merita di essere remunerato è quello sistematico, perché quello specifico si può eliminare; quindi, l’unico rischio che rimane meritevole di remunerazione è beta (β) Questa è la formulazione base del capital asset pricing model come modello a building block di stima a rendimento atteso. E’ un modello famoso, e si può utilizzare aggiungendo tasselli come ad esempio il tassello legato alla dinamica inflazionistica. Il modello del capital assets originario (base) è la formula della foto. BETA (β) Il beta rappresenta il rischio non eliminabile (rischio sistematico) ma per come è costruito i termini di formula matematica, il beta ha anche un altro significato importantissimo, perché ci permette di capire come si comporta il titolo o il portafoglio oggetto di analisi rispetto al proprio mercato di riferimento. La formula del beta è: Sigma pm (numeratore) è la covarianza del portafoglio con il relativo mercato Sigma m(denominatore) è la varianza del mercato stesso. [Quando sigma ha 2 lettere (pm) indica una covarianza] È importante sapere i valori che può assumere beta, che possono andare da - infinito a + infinto. Ma esiste un valore discriminante ed è 1. Con 1 significa che questo è un titolo o un portafoglio che copia perfettamente la dinamica del mercato. Se beta è > 1 significa che il prtf è aggressivo rispetto al proprio mercato, mentre se beta è 1 è aggressivo rispetto al suo mercato nel bene e nel male; cioè se beta è > 1 e il mercato fa bene il titolo farà meglio, ma se beta è > 1 e il titolo va male, il titolo va peggio. Quando il beta è < 1, titolo difensivo, se il mercato fa bene il titolo fa meno bene, ma se il mercato fa male il titolo fa meglio. Se = 1 è uguale al mercato e lo possiamo vedere utilizzando la formula del CAPM, dove il titolo replica la dinamica del mercato: 10 GRAFICAMENTE Beta non sigma agli assi!!! La SML e la CML nascono entrambe nel CAPM, ma in due contesti differenti: SML-Security market line→ relativa alla stima del rendimento atteso e come variabile ha il rischio sistematico (beta). CML→ ha come obbiettivo l’efficientamento del portafoglio e come dimensioni il rendimento e sigma (rischio complessivo) QUADERNO 6 (Ragionamento SML) Se considero un portafoglio 1, noto che lo steso rendimento lo posso ottenere con il portafoglio A, ad un rischio sistematicoβA minore di β1. In questo caso il portafoglio 1 è sopravvalutato, ciò significa che sto rischiando troppo per un risultato che potrei avere rischiando meno. Se invece ho un portafoglio 2, succede il contrario, perché guardando la retta del SML, noto che potrei avere un portafoglio B con lo stesso rendimento ma con un rischio maggiore. In questo caso il portafoglio 2 è sottovalutato perché sto rischiando troppo poco. ESEMPIO 1 Questo esempio è un tipo di esercizio flash. Guardando i dati posso intuire il risultato, perché β (0,8) è 1 il titolo è aggressivo sul mercato, quindi dovrebbe darmi un rendimento maggiore rispetto a quello del mercato. Se il mercato ha un rendimento del 18%, mi aspetto che un rischio con un β pari al 1,5 abbia un rendimento superiore al 18%. Se facciamo il calcolo del β abbiamo: Se lo rappresentiamo graficamente invece abbiamo: ESERCIZIO D Anche in questo caso siamo tornati all’efficienza alla Markowitz, quindi manteniamo inalterato il rendimento del portafoglio al 6% e usiamo la formula per fare il calcolo del rischio e del rendimento: Il portafoglio ci permette di avere un rendimento non del 6%, ma del 6,75%. 13 PROBLEMI DI AGENZIA CHE SI INTENDE PER RELAZIONI DI AGENZIA Quando facciamo riferimento ai problemi di agenzia, partiamo dalle relazioni di agenzia. Nella vita quotidiana possiamo identificare un soggetto chiamato principale e un soggetto chiamato agente. Il principale è colui che ha bisogno dell’agente per affrontare un determinato problema. Quindi parliamo di relazioni di agenzia proprio quando un soggetto si deve rivolgere ad un altro soggetto agente per risolvere una questione. È un tema molto comune, come ad esempio la relazione tra cliente avvocato, o un imprenditore con il suo fiscalista etc. Uno dei problemi che noi affrontiamo in questo tema è la relazione tra azionisti e manager dell’azienda. Questo diventa un tema importante nelle relazioni di agenzia: Il principale si rivolge all’agente perché questo è depositario di informazioni e di competenze che il principale non ha→ caso di asimmetria informativa. L’agente si mette a disposizione del principale non gratuitamente ma dietro un corrispettivo economico; quindi, il principale dovrà pagare l’agente Il tema azionisti manager è leggermente diverso, perché gli azionisti che sono i portatori di capitale di rischio nell’azienda non gestiscono loro l’azienda direttamente ma viene gestita dai manager i quali ricevono una retribuzione per il loro lavoro; quindi, siamo nell’ambito del tema di agenzia. RELAZIONI DI AGENZIA Il tema che a noi interessa dipende dal fatto che la persona che è in possesso di informazioni che la gente non ha, potrebbe sfruttare queste informazioni a proprio favore. Ma allora potrebbe essere che l’agente usi le informazioni che ha a proprio vantaggio e non a vantaggio del principale. Ad esempio, una famiglia (papà mamma e due figli) comprano una casa e fanno un mutuo, e il papà che era portatore di reddito, ma non unico, perché la mamma era infermiera e aveva un reddito fisso, mentre il papà era imprenditore ed aveva anche dei debiti. Succede in questo caso che la moglie non riesce a portare aventi il muto e la casa va all’asta. Ma tra la banca, l’avvocato e i superstiti si è inserito il commercialista. È successo che il commercialista, tutta la corrispondenza del defunto imprenditore non l’ha mai fatta recapitare alla moglie, e non ha aggiornato la moglie sulla dinamica dell’asta. Questo perché la casa la voleva comprare lui. È arrivata una comunicazione alla moglie, ma lei dell’asta non sapeva nulla; infatti, non era a conoscenza del fatto che la casa era all’asta. Vanno dall’avvocato che non era a conoscenza della morte del padre perché il commercialista non lo ha comunicato. Quindi il commercialista non ha fatto sapere nulla sulla dinamica dell’asta, ha fatto quindi passare che il signore era in vita e che non era in grado di pagare per mettere la casa all’asta e prenderla lui. Questa è una situazione non bella, ma è un esempio di relazione d’agenzia. Chiaro che successivamente l’avvocato della banca ha fatto sospendere tutto, il commercialista ha subito le conseguenze e la signora si è ricomprata la casa. Una situazione brutta dal punto di vista umano e della gestione, considerando che anche i tempi dell’escursione delle case sono molto lunghi, quanto caso è venuto fuori dopo 6 anni. Questo è un esempio della tematica, e la signora era il principale e il commercialista era l’agente che doveva fare gli interessi della cliente, ma in realtà avendo lui delle informazioni che lei non aveva stava agendo nel proprio interesse. Informazione privilegiata: l’informazione privilegiata è un’informazione legale e la si trova nel Tuf (Testo unico della finanza). Questa è un’informazione che se resa pubblica avrebbe la capacità di modificare e/o di alterare in maniera sostanziale il prezzo dell’attività, o degli strumenti finanziari a cui si riferisce. 14 Questo termine non va inteso come un’informazione in più, ma è un’informazione privata, che non hanno tutti, che se diventasse pubblica allora sul mercato si avrebbe un’alterazione molto forte del prezzo delle attività alle quali si riferisce. All’interno dell’azienda ci può essere una persona che ha delle informazioni privilegiate per via del ruolo che ricopre, ad esempio in una banca o in un’azienda, quando questa fallisce c’è sicuramente qualcuno che sa quello che sta succedendo. Questo può portare al fatto che queste persone che detengono queste informazioni privilegiate le possono usare ai propri fini. Se io, ad esempio, fossi all’interno del consiglio di amministrazione di una banca, e sapessi che un’azione fatta dalla banca ne determinerebbe domani la discesa del prezzo sul mercato, io oggi sarei portato a vendere le mie azioni. Io ne traggo un beneficio perché ho delle informazioni privilegiate, ma chi non ha informazioni privilegiate, la massa, ne paga le conseguenze. Quindi la norma che troviamo nel Tuf, sulle informazioni privilegiate, è l’unica norma che tutela gli investitori, perché ci viene detto nel Tuf che è sanzionato l’abuso di informazioni privilegiato, ma non l’uso. Con abuso si intende quando un soggetto tragga un vantaggio personale dal fatto di possedere queste informazioni. L’uso non è sanzionabile, perché questo presuppone che io utilizzi le informazioni privilegiate, non per un beneficio mio personale, ma di un terzo o della collettività. Quindi, la distinzione è sottile, perché uso e abuso bisogna dimostrarlo. Questo è un tema frequente nelle aziende e nelle relazioni di agenzia, in particolare perché il principal si rivolge all’agente per ottenere un vantaggio dal fatto che l’agente abbia queste informazioni privilegiate. Però, dall’altro alto, anche l’agente potrebbe sfruttare queste azioni privilegiate a suo favore; quindi, si generano dei problemi a livello di relazione. PROBLEMI DI AGENZIA Prendiamo come esempio degli azionisti e dei manager. I manager dell’azienda sono coloro che devono guidare l’azienda, devono prendere delle decisioni; queste decisioni devono essere prese a favore dell’azienda e di riflesso degli azionisti per portare beneficio agi azionisti. Come detto prima, nelle relazioni di agenzia, l’agente viene pagato per il suo ruolo e per i risultati. Ma se un manager all’interno di un’azienda viene remunerato con uno stipendio fisso, come un dipendente, le conseguenze operative di questa decisone potrebbero essere: Ridurre lo sforzo al minimo necessario, tanto il ritorno economi è indipendente dai risultati conseguiti. Quindi, chi me lo fa fare di mettermi in discussione, di prendere delle decisioni più importanti, più rischiose. Quindi questa riduzione dello sforzo al minimo non è a favore degli azionisti, ma è una situazione di comodo che agevola solo il manager. In molti casi il solo fatto di essere manager permette di usufruire di alcuni benefici che le aziende riconoscono→ per esempio molti hanno l’aereo privato e questo indipendentemente da quello che fai. Immaginando quindi la vita di un manager che ha l’autista, ha l’ufficio in una zona benestante, e quindi l’interesse degli azionisti viene messo in secondo piano con uno stipendio fisso. Può rinunciare al rischio. Se ragioniamo in chiave finanziaria, ci rendiamo conto che è realmente così: perché un manager che è remunerato con uno stipendio fisso dovrebbe affrontare o scegliere delle soluzioni rischiose con il rischio che queste soluzioni non siano positive e quindi fare una brutta figura. Però il rischio equivale al rendimento, e quindi talvolta il rischio lo si deve correre per i vantaggi che ne possono derivare per gli azionisti. Un manager che riceve uno stipendio fisso non si mette mai in discussione, e quindi la tendenza sarebbe quella di andare a selezionare degli investimenti che richiedono delle capacità generaliste. Cioè se il manager deve prendere una decisione e non ha le 15 competenze per prendere la decisone, un manager pagato con stipendio fisso, non va a chiamare un altro manager che ha le competenze specifiche per assumere quella decisione, ma semplicemente non prende in considerazione quel opportunità. Questo non è a favore degli azionisti dell’azienda, perché il manager ha paura di fare brutta figura. Spesso i manager con retribuzione fissa copiano soluzioni fatte da altri. Il manager che è pagato con lo stipendio fisso evita il ridimensionamento aziendale, inteso anche come evita il licenziamento dei propri dipendenti. Questo è dovuto al fatto che i manager preferiscono essere manager di società più grandi, non solo di dimensioni patrimoniali, ma anche di dimensioni numeriche di risorse umane a disposizione. Quindi un manager per il quale lo stipendio arriva senza problemi, chiaramente, possono non fare il bene per l’azienda. In alcuni casi il taglio del personale è necessario per la sopravvivenza delle aziende. Capiamo che il pagamento fisso dello stipendio del manager, può generare una serie di problematiche. Un esempio su tutti è ad esempio l’industria del gelato, che è un’industria altamente competitiva ma influenzata dai fattori climatici. Allora si sono inventate tante forme del gelato perché la sua materia prima è l’aria (70%), quindi la produzione del gelato ha un costo che è irrisorio. Allora sul mercato diventa competitiva l’immagine, il marchio, il marketing e la forma con cui il gelato viene proposto. Ad un cero punto c’è stato l’invenzione del WinnerTaco (cialda piegata in 2 con all’interno il gelato). Quando Unilever inventò questa cialda l’investimento più grosso fu nella ricerca e sviluppo, perché questa cialda era piatta e veniva piegata con una tecnologia particolare, e questo permetteva alla cialda di non rompersi nel momento in cui si mangiava il gelato. Siccome fu un successo commerciale, altre case di produzione del gelato decisero di copiarla, cambiando il procedimento di produzione: cuocendo due cialde separate, unendole con il gelato in mezzo. Il problema in questo caso era che la cialda si rompeva mentre lo si addentava. Il successo di Unilever in questo caso fu l’investimento nella ricerca e sviluppo per generare questa cialda che si piegava. Gli altri manager che avevano semplicemente copiato l’idea perché non avevano inserito manager competenti per la valutazione, portarono un danno economico alle loro aziende, perché il gelato non lo comprava nessuno. Come si deve allora remunerare i manager? Visto che lo stipendio fisso non è la modalità migliore, quale tipo di remunerazione si può proporre? Quali sono le conseguenze di questi problemi di agenzia? COSTI DI AGENZIA Il tema che dobbiamo affrontare in modo leggero è il tema dei costi di agenzia. Cioè il problema che c’è tra il principale e l’agente si tramuta in costi di agenzia, cioè in costi economicamente rilevanti che qualcuno deve sostenere. Se noi facciamo riferimento alla relazione tra azionisti e manager i costi li sostengono gli azionisti; il fatto che il manager non sia adeguato per il proprio ruolo, che non porta avanti una gestione dell’azienda adeguata ha delle ripercussioni a livello di bilancio e quindi sugli azionisti. Gli autori che si sono occupati dei costi generali dei problemi di agenzia sono Jeand-McLing, i quali indentificarono 3 costi di agenzia nel 1976. Questi costi oggi potrebbero essere ulteriormente arricchiti perché dal 70’ ad oggi sono subentrate anche tematiche legate all’informatica, alla cybersecurity, però non c’è ancora una letteratura radicata su queste tematiche. Per quanto siamo consapevoli che questi costi di agenzia potrebbero essere aggiornati noi ci affidiamo a quelli dei libri, che sono quindi distinguibili in 3 classi, che ogni singola azienda li cala all’interno del proprio contesto specifico: Costi di monitoraggio: Costi di bonding 16 Residual loss COSTI DI MONITORAGGIO Noi siamo partiti dicendo che l’agente è in possesso di informazioni privilegiate e il principale si rivolge all’agente proprio per poter usufruire di queste informazioni privilegiate, quindi esiste asimmetria informativa. Se l’asimmetria informativa non ci fosse sarebbe inutile eseguire un monitoraggio sul comportamento dell’agente. Quindi il costo di monitoraggio si traduce nel costo sostenuto dal principal (azionisti nel nostro caso) per monitorare il comportamento dell’agente (manager). Il monitoraggio proprio per sua definizione non può prevenire tutti i costi di agenzia: cioè io posso monitorare più che posso il mio avvocato o commercialista, ma non riuscirò mai a prevenire tutti i costi di agenzia perché le variabili sono tante che una eliminazione totale dei costi di agenzia sarebbe impossibile. Il monitoraggio spetterebbe agli azionisti. Il tema del monitoraggio è un tema particolarmente sentito soprattutto nelle public company, cioè nelle società quotate, perché se la società è non quotata, allora gli azionisti sono pochi, la concentrazione delle azioni è nelle mani di pochi soggetti e riescono a controllare più da vicino i manager. Nelle società quotate, le azioni della società sono molto frammentate, perché i soci sono tanti e ciascuno ha delle frazioni piccole di capitale sociale. Di conseguenza, per questi azionisti, il monitoraggio diventa impossibile, perché richiederebbe tempo e risorse economiche per controllare da vicino i manager. Ad esempio, se io sono un azionista di BG e ho 10 azioni e faccio un altro mestiere rispetto al proprietario d’azienda, ma io che ho 10 azioni con quale potere posso andare a vedere cosa asta facendo l’Amministratore delegato della banca come decisioni di BG? Non mi sarà permesso Diverso se si presenta un azionista di maggioranza, che ad esempio ha il 20% dei azioni, se mi presento e voglio vedere come sta procedendo il lavoro del Amministratore delegato allora questo mi sarà permesso. Nelle public company i piccoli azionisti hanno il problema di monitoraggio, perché non lo si riesce a fare. Ciascun azionista aspetta che qualcuno faccia qualcosa (Free-rider-problem) ovvero il consiglio di Amministrazione. E’ quello che solitamente viene fatto, ma se guardiamo dal lato del piccolo azionista, questo spera che il controllo lo faccia sempre qualcun altro. Questa credenza potrebbe portare al fenomeno del Free-Rider, cioè il fatto che io credevo che il controllo lo facesse un altro, questo credeva che lo facesse qualcun altro e così via, si arriva alla fine che il controllo non lo fa nessuno e i manager in questo caso hanno liberò di manovra. Nelle aziende pubbliche sul mercato ci si aspetta che sia il consiglio di amministrazione a svolgere un ruolo di monitoraggio. Se facciamo riferimento a delle società a controllo stabile allora sono gli azionisti di maggioranza che svolgono questo controllo direttamente, questo perché anche la nomina dei manager viene fatta direttamente dalla famiglia proprietaria. Ad esempio, una società di proprietà di una famiglia possiamo parlare di Barilla, Ferrero, Mediaset etc.; in questo caso i manager sono l’emanazione della famiglia che decide chi posizionare in determinati ruoli. Il controllo è più diretto se invece questo tipo di controllo è stabile il manager viene nominato sempre con maggioranza però c’è il problem del controllo diretto. Quello del monitoraggio diventa un problema perché il rischio è che i manager abusino della loro posizione di potere per trarre dei benefici personali e a scapito degli azionisti. I costi di monitoraggio dipendono da ciascun settore in cui vogliamo entrare. 17 I COSTI DI BONDING Il secondo costo fa riferimento ai vincoli contrattuali. Il termine bond qui inteso come obbligazione giuridica che poi diventa anche finanziaria, si riconduce al quello che è il vincolo contrattuale imposto. Il problema in questo caso è molto forte; perché attraverso questa tecnica si contrattualizzano i comportamenti che l’agente dovrà tenere nel corso dello svolgimento della propria attività. Questo vincolo comporta un costo vivo iniziale per l’azienda legato alla stesura giuridica del contratto. A seconda del ruolo più o meno apicale che si va a ricoprire, il contratto può andare da 10 pagine a 50 pagine, con dentro tutti i vincoli. Questo è un primo costo diretto. Però ci sono anche dei costi indiretti che in taluni casi possono essere anche particolarmente rilevanti. Se pensiamo ad esempio cosa può comportare l’inserimento all’interno di un contratto per un manager del divieto ex-ante di un determinato comportamento da tenere in futuro sul mercato, questo può far perdere all’azienda un’opportunità perché il manager anche se l’ha individuata non la può seguire. Esempio: Se all’interno di un contratto di questo tipo ad un manager fosse imposto di non poter mai intraprendere un’attività commerciale che utilizzi l’intelligenza artificiale; questo perché magari nel momento storico in cui è stato fatto questo accordo l’intelligenza artificiale era vista come un qualcosa di negativo. Se il manager a firmato questo contratto e nel futuro gli si prospetta l’introduzione dell’intelligenza artificiale nella catena produttiva con un abbattimento di costi, e quindi con un beneficio per l’azienda, il manager non lo può fare perché ha firmato un accordo che è vincolante. L’imposizione ex ante di un comportamento può diventare un problema ex-post, perché il manager potrebbe non avere la possibilità di scegliere quell’attività imprenditoriale. Questo è un costo indiretto. → questi vincoli possono essere ovviamente rivisti, e cambiati. RESIDUAL COST In questo caso gli autori, Jensen.McClain, hanno coniato una terza classe di costi chiamata Perdite Residuali e all’interno di questa voce vi rientrano tutte le voci che generano, da conflitti di interesse, dei costi che rappresentano una perdita per l’impresa in termini di valore rispetto al suo valore ideale. È una classe residuale in cui sarà valutato caso per caso a seconda del conflitto che si è venuto a generare. Per valutare la perdita residua si analizza il conflitto di interessi in essere fra azionisti e manager e si determina il costo che ne può derivare; a questo punto si fa una valutazione del valore dell’azienda qualora questo costo non si fosse generato e il valore dell’azienda tenendo conto di questo costo. (Per valutare il residual loss, nel momento in cui si verifica un conflitto di interesse si valuta quale sia il costo che ne deriva, poi si ipotizza di calcolare il valore dell’impresa senza qualora non ci fosse questo conflitto di interesse, e si trova il valore ideale. Andiamo successivamente a calcolare il valore dell’impresa con questo costo, e la differenza tra i due valori diventa il residual loss, cioè la perdita dell’azienda causata da questo conflitto d’interesse.) Esempio: Un’azienda che produce Jeans che ad un certo punto dichiara che nel loro processo produttivo volevano stare attenti all’ambiente e quindi utilizzare un processo di lavorazione del Jeans meno inquinante rispetto a quello che usavano prima; questa è stata la dichiarazione fatta al mercato. Il mercato ci ha creduto e ha premiato quest’azienda, ma si è scoperto che invece non era così ma che inquinavano esattamente come prima. Questo ha generato un conflitto di interesse tra gli azionisti, che speravano di ottenere un ritorno positivo e i manager che avevano agito diversamente. In questo esempio il tema è quanto valeva l’azienda nel momento in cui avesse adottato realmente un processo pro-ambiente e quanto vale oggi l’azienda che si è scoperto che non è vero, e la differenza è un residual loss. 18 COME REMUNERARE I MANAGERS Visto che tutto ruota attorno ad un compenso che viene riconosciuto all’agente (manager nel nostro caso) e visto che abbiamo già sottolineato come il pagamento dello stipendio fisso non sia adeguato a una figura manageriale, allora quali forme di remunerazione posso essere ipotizzabili per un manager? Non esiste una risposta univoca, ma dipende sempre dal contesto specifico. A livello generico, se il nostro obbiettivo è quello di eliminare i conflitti di interesse possiamo intraprendere 2 tipi di strade, che presuppongono analisi diverse e che hanno delle problematicità: Remuneriamo in funzione del Input significa che dovremmo riuscire a quantificare l’impegno profuso in azienda → qual è stato lo sforzo compiuto all’interno dell’azienda. Il problema in questo caso è quello dell’oggettività della misurazione. Questo può essere convertito anche nella nostra vita quotidiana, come ad esempio delle ore impiegate a studiare, o nel caso de manager a lavorare. Ad esempio lo si può fare con la timbratura, quindi entra nel suo ufficio alle 8 e esce alle 20 facendo straordinari, ma questo non dimostra che lui ha lavorato, perché magari la metà delle ore le ha passate facendo alto che non è inerente all’aziende. La misurazione dell’input è oggettivamente complessa per questo motivo non è la strada perseguita dalla finanza. Remuneriamo il manager sulla base dell’Output dove valutiamo i manager, li remuneriamo, sulla base dei risultati ottenuti. Se questo da un lato ci fornisce un elemento di maggiore oggettività, dall’altro lato apre altri problemi → molto spesso i risultati positivi attribuiti ad un manager, dipendono dal caso, dipendono dal fatto che il manager si sia trovato nel luogo giusto nel momento giusto. Quindi magari che il quel momento ha avuto la conoscenza giusta per intessere delle relazioni commerciali; in questo caso è vero che valuto l’output, ma non è detto che sia una fotografia della capacità del manager. Un manager potrebbe arrivare ad un risultato positivo perché magari ha sacrificato altri aspetti, per esempio ha licenziato personale, mentre questo poteva essere utile, quindi ha obbligato il personale rimato a sobbarcarsi di un lavoro eccessivo a discapito della qualità. I conti sono positivi, cioè il bilancio dà ragione al manager, senza dare importanza alla qualità scadente. Anche la misurazione attraverso l’output ha delle difficoltà, che è quello che in finanza permette una maggiore oggettività, che non p detto che sempre sia corretta. Sulla base di questa premessa, le formule maggiormente utilizzate dalle grandi imprese per remunerare i manager sono 3, che partono dalla valutazione dell’output e ciascuna di queste opzioni ha delle caratteristiche specifiche: Stock option Riconoscimento di azioni vincolate Premi di azione STOCK OPTION I manager in questo caso ottengono una remunerazione periodica che non è solitamente molto elevata, in linea con la remunerazione che potrebbe avere un altro soggetto all’interno dell’azienda. Ha dei benefit (autista, aereo privato, ufficio di lusso) però viene a lui riconosciuto anche questo diritto che prende il nome di stock option→ si tratta di un diritto di poter acquistare in futuro un certo numero di azioni della società ad un prezzo prestabilito. La logica che c’è dietro questa proposta contrattuale è che, come manager, ricevi la tua remunerazione mensile. Consideriamo che il manager sia stato assunto oggi per i prossimi 10 anni; all’ottavo anno piuttosto che al decimo, il manager avrà la possibilità di comprare un certo numero di 19 azioni della società ad un prezzo prestabilito. Questo tipo di accordo dovrebbe fare in modo che il manager sia stimolato a portare avanti delle scelte di investimento per l’azienda tali per cui il valore sul mercato dell’azienda salga nel tempo. Se quindi l’azione di questa società tra 8/10 anni dovesse valore 10euro, lui avrebbe la possibilità di comprarla pagandola a 2euro. Sborsa quindi una somma di denaro, ma compra a 2 euro qualcosa che vale 10, e quindi ne avrebbe un arricchimento personale. In questo modo il guadagno sostanzioso non si ha nei primi anni di attività, ma si ha solo al raggiungimento di alcuni risultati importanti dell’azienda sul mercato. Lo scopo è uno duplice: da un lato tenere vincolato il manager, perché se questo dovesse rinunciare all’incarico prima del tempo, perde il diritto alla stock option, dall’altro lato se il manager venisse licenziato, allo stesso modo perderebbe il diritto alla stock option, quindi il manager ha tutto il vantaggio a rimanere in azienda e lavorare a favore dell’azienda per evitare di essere allontanato dall’azienda stessa; inoltre ha tutto il vantaggio a lavorare pro azienda, per poter godere un giorno della stock option. Nel mondo finanziario bancario, questa delle stock option è la modalità più utilizzata. (Sul mercato c’erano anche contratti fatti di consulenti finanziari che prevedevano stock option se il consulente rimaneva fedele all’azienda mandante per un periodo di tempo lungo, solitamente 20anni. Poi l’esercizio delle stock option è risultato importante dal punto di vista economico. Questa è la prima forma di remunerazione manageriale che possiamo ricordare. RICONOSCIMENTO DI AZIONI VINCOLATE È diverso in questo caso il principio ispiratore perché in questo caso le azioni della società vengono già riconosciute fin dall’inizio al manager; in il manager in questo caso è di fatto anche azionista della società→ quando firma il contratto gli vengono già riconosciute un pacchetto di azioni. Questi azoni, il manager non le potrà vendere fino ad una determinata scadenza prestabilita. Mentre gli altri soci comprano le azioni e poi le possono vendere come e quando desiderano, il manager non lo potrà fare, ma questo pacchetto delle azioni lo dovrà per forza tenere vincolato fino a che non si sbloccano per scadenza naturale del vincolo. In questo caso gli obbiettivi sono simili a quelli detti in precedenza: il manager viene venuto legato all’azienda per forza, e in secondo luogo il manager è invogliato ad operare in maniera proattiva e positiva per l’azienda per far si che l’azienda sul mercato possa crescere di valore. In caso di licenziamento e dimissioni, mentre nelle stock option si perdeva il diritto, qui lo stabilisce il contratto, ad esempio può succedere che viene tolto il vincolo e delle azioni può fare quello che vuole, oppure può succedere che il vincolo temporale viene protetto nel tempo, ma queste azioni hanno già un proprietario. Questo tipo di approccio lo si trova maggiormente nelle aziende commerciali. PREMI IN AZIONI In questo caso c’è sempre un contratto alla base, ma la differenza è che qui il manager non ha nessuna azione attribuita subito, ma viene chiarito che solo nel caso in cui l’azienda raggiungesse determinati risultati allora verrà riconosciuto al manager un premio in azioni, quindi un certo numero di azioni. Non c’è un vincolo temporale, ma c’è un’assegnazione che viene fatta automatico al raggiungimento di determinati obbiettivi. Anche in questo caso il contratto dovrà stabilire quali sono gli obbiettivi da monitorare e quali sono i valori da raggiungere. I casi più tipici sono il raggiungimento di alcuni valori di ROE, di alcuni valori di utile d’esercizio. Però c’è una libertà contrattuale enorme, per esempio in alcuni casi il premio in azioni sarebbe stato riconosciuto solo se il manager sarebbe stato in grado di aprire una nuova succursale in un determinato Paese, che è slegato dalle logiche di bilancio ma caratterizzato da una presenza territoriale. Questo tipo, ad esempio, lo troviamo spesso negli asset manager che gestisce i gestori dei fondi. Molti gestori dei fondi hanno dei compensi che sono assolutamente normali, ma fine anno, viene a 20 loro riconosciuto un bonus e quindi questo fa la differenza in termini di remunerazione complessiva. Una volta ricevuto il termine in azioni io lo posso vendere sul mercato, perché non sono vincolati. LE DECISIONI DI FINANZIAMENTO Ci troviamo in un ambito importante per le aziende perché dobbiamo prendere delle decisioni su come finanziarci. INTRODUZIONE Ogni azienda ha bisogno di capitale, e ogni azienda si trova sempre difronte ad un dilemma: come mi finanzio? Attraverso i soci oppure attraverso il debito. La scelta spesso è una combinazione tra l’uno e l’altro. In realtà difronte a questa scelta si aprono una serie di conseguenze, perché arrivano delle domande. Ad esempio, l’azienda potrebbe anche autofinanziarsi e decidere di non distribuire gli utili, ma bisogna capire se è una scelta positiva e come è vissuta dagli azionisti. Perché ci si deve indebitare? Qual è la finalità del finanziamento? È un finanziamento che serve a tamponare una situazione momentanea di difficoltà? E’ un investimento di medio lungo termine perché voglio implementare una nuova catena produttiva o un nuovo stabilimento produttivo. (Immaginando un premio di azioni vincolate può il manager mettere in atto delle mosse che vanno ad aumentare l’utile distribuito? Lo può fare, ma bisogna vedere se il contratto lo prevede) Le possibilità per soddisfare questo fabbisogno finanziario l’azienda ne ha tante. Però emettere zioni bisogna capire quali, e verso chi indebitarsi. Io come azienda mi potrei indebitare verso il mercato emettendo obbligazioni, oppure verso le banche o in generale intermediari del credito attraverso altri contratti. La domanda vera non è solo se mi conviene mettere azioni o mi conviene indebitarmi, ma apriamo una dinamica più generica, cioè una volta deciso, quali opzioni ho? Per rispondere a questa domanda dobbiamo tener conto della forma societaria della forma che stiamo analizzando. Perché è importante questo passaggio? Se la società è una società per azioni (Spa) i soci azionisti sono tutti responsabili limitatamente alle quote di capitale conferito. Se i soci godono della responsabilità limitata, questi saranno più propensi a indebitarsi verso il mercato e le banche; perché fanno più debito verso terzi tento se poi non rispettiamo gli accordi, io personalmente al massimo perdo quello che ho conferito in azienda. Se facciamo riferimento alla società in accomandita per azione (Sapa) troviamo due soggetti, ovvero i soci accomandanti e i soci accomandatari. I primi (accomandanti) godono della responsabilità limitata mentre gli accomandatari sono soci con responsabilità illimitata. In questo tipo di società gli amministratori possono essere solo gli accomandatari, cioè coloro che hanno la responsabilità illimitata della società. E’ chiaro che in questo caso gli accomandatari saranno più cauti nel esporsi verso le banche e il mercato, perché se l’azienda non riuscisse ad adempiere i propri obblighi loro ne risponderebbero anche con il loro patrimonio personale. Molte aziende familiari sono costituite sottoforma di Sapa, perché questa forma giuridica permette un migliore controllo della società→ i soci accomandatari non possono essere sostituiti senza il loro consenso. Quini è chiaro che all’interno di una società costituita come Sapa, gli amministratori (soci accomandatari) sono a tempo indeterminato perché la loro sostituzione avverrà solo se loro sono d’accordo o con la morte del socio. TIPI DI AZIONI Facendo riferimento da un lato all’emissione di azioni per finanziarsi e dall’altro lato alle forme di indebitamento, riprendiamo quelle che sono le 3 forme storiche di azioni presenti sul mercato: Azioni ordinarie Azioni privilegiate 21 Azioni di risparmio Queste azioni sono anche chiamate azioni da mercato, perché sono azioni che non troviamo più necessariamente nel Codice Civile, ma le troviamo sui mercati finanziari. Ci servono ricordare delle caratteristiche di ciascuna di queste. Azioni ordinarie − Devono sempre esserci all’interno di una società per azioni − Ad ogni azione ordinaria viene riconosciuto il diritto al dividendo, ovviamente se verrà deliberato e nell’entità in cui verrà deliberato. − Ad ogni azione ordinaria viene riconosciuto il diritto di voto, esercitabile sia in assemblea ordinaria sia in assemblea straordinaria. − Diritto all’escussione societaria: in caso di liquidazione o fallimento dell’azienda, le azioni ordinarie possano partecipare alla distribuzione dell’attivo residuo → quando si va in liquidazione, prima si devono risarcire i dipendenti, poi i creditori privilegiati, poi i chirografari e infine gli azionisti se residua qualcosa. Azioni privilegiate − Non sono obbligatorie, ma qualora vengano emesse non possono superare il 50% del capitale sociale − Diritto ad un dividendo minimo stabilito nello statuto della società − Hanno un diritto di voto esercitabile solo nelle assemblee straordinarie − Diritto all’escussione societaria Azioni di risparmio Le troviamo nel Tuf (testo unico della finanza) articoli 145-146-147, sono fuori dal Codice Civile − Sono facoltative e l’azienda che decide di emetterle non può emetterne più del 50% del capitale sociale in concorrenza con le azioni privilegiate. Quindi la somma tra azioni privilegiate e azioni di risparmio non può superare il 50% del capitale sociale. − Hanno diritto ad un dividendo minimo che si trova nell’atto costitutivo della società − Non hanno diritto di voto, in nessun tipo di assemblea − Diritto all’escussione societaria − Lezione 4-22.02 IL VALORE DELLE AZIONI Questo richiamo ai principali diritti riconosciuti a queste azioni ci è servito perché all’interno del mondo della finanza tutto ha un valore. Queste nozioni danno dei concetti che non sono tipici della finanza tradizionale. Ad esempio, un investitore può comprare un quadro d’autore di valore anche con una logica di investimento, perché spero che poi mantenga il valore o che cresca di valore e che un domani lo possa vendere; però non è detto che questo incremento di valore lo possa vivere la persona direttamente, perché l’autore può diventare famoso dopo50 anni, quindi potrebbe non godere economicamente di questo. Dopo questi 50 anni ipotetici io godo di quello che viene chiamato dividendo estetico, del fatto che avendo quest’opera ho un appagamento e questo in finanza viene quantificato. Si tratta di entrare in una logica che è differente dalla logica finanziaria tradizionale. Quindi, nel mondo delle azioni il valore di queste è dato dal valore economico. Ma abbiamo visto che ci sono diritti che chiamiamo economici, ma abbiamo anche diritti che non sono economici, come il diritto di voto che è un diritto amministrativo. In finanza tutto concorre al valore delle azioni, quindi non solo la parte economica, ma anche il diritto di voto concorre al prezzo delle azioni. Se noi andiamo a confrontare per esempio 2 azioni che abbiamo citato, come ad esempio le azioni privilegiate e le azioni ordinarie. In questo caso possiamo 22 dire che il valore delle azioni privilegiate è principalmente determinato da elementi economici, cioè dal dividendo; invece, il prezzo delle azioni ordinarie gode anche di un maggior valore attribuito dal diritto di voto. Quindi le azioni ordinarie proprio perché hanno questo potere amministrativo forte, cioè il diritto di voto nelle assemblee ordinarie e straordinarie, chiaramente questo diritto deve essere quantificato. Il valore di un’azione ordinaria può essere suddiviso in 2 segmenti: Investment segment è determinato come valore attuale dei dividendi futuri attesi, una componente esclusivamente finanziaria. Vote segment: un premio quantificato economicamente riconosciuto per il diritto di voto Questi due segmenti nell’azione ordinaria hanno entrambi un ruolo importante, se invece facciamo riferimento alle azioni privilegiate l’investment segment è più importante rispetto al vote segment, perché nelle azioni privilegiate il diritto di voto è limitato solo alle assemblee straordinarie. Se prendiamo le azioni di risparmio per le quali il diritto di voto non c’è il voto segment è pari a 0 perché non può essere quantificato. Il valore delle azioni di risparmio coincide con l’investment segment. Questo è un passaggio importante perché ci fa capire spesso come i valori sul mercato delle azioni possono subire dei cambiamenti importanti; è chiaro che se un investitore vuole avere voce in capitolo in una società si orienterà verso le azioni ordinarie e sarà disposto a pagare anche di più. Abbiamo detto che le azioni ordinarie hanno sia una percentuale di vote segment sia una di investment segment, mentre nelle azioni privilegiate o di risparmio abbiamo solo l’investment segment. Ma se ci concentriamo sull’investment segmento, confrontando azioni ordinarie e azioni di risparmio, le azioni di risparmio hanno un investment segment maggiore rispetto a quelle delle azioni ordinarie; questo per due principali motivazioni: Le azioni di risparmio ricevono un dividendo minimo che è stabilito nell’atto costitutivo della società. Questo significa che mentre le azioni ordinarie potrebbero non ricevere dividendo (pari a 0), le azioni di risparmio il dividendo lo hanno sempre, e quindi finanziariamente è giusto che l’investment segment delle azioni di risparmio sia maggiore rispetto a quello delle azioni ordinarie. Le tre azioni godono tutte e tre del diritto di escursione societaria e si tratta del potere del potere degli azionisti di partecipare alla distribuzione degli attivi a seguito di una situazione di liquidazione o di fallimento dell’azienda. Se noi avessimo messo le tre tipologie di azioni, tutte e tre avrebbero diritto all’escussione societaria, ma c’è un ordine di priorità in cui gli azionisti vengono rimborsati per primi? Azionisti di risparmio, privilegiati e ordinari. Questo perché se l’azienda è andata male, la colpa è di coloro che hanno preso le decisioni, quindi coloro che possono votare, cioè gli azionisti ordinari. Gli azionisti di risparmio, sono coloro che subiscono quello che viene scelto dagli altri, quindi il legislatore in caso di fallimento li rimborsa per primi; poi arrivano i privilegiati perché possono votare solo nelle assemblee straordinarie e poi infine gli azionisti ordinari. Il mercato premia questo ordine di rimborso, e allora è chiaro che l’investment segment delle azioni di risparmio anche per questo motivo è maggiore rispetto all’investment segmenti delle azioni ordinarie. Una dimensione amministrativa, come il voto ha in finanza una quantificazione economica. QUADERNO 1 23 ESEMPIO 1 Il problema posti in questo modo è corretto, perché le azioni di risparmio rappresentano il 50% del capitale sociale, ma se ci fosse stato un 3 milioni al posto di 1 milione di azioni di risparmio, questo non sarebbe stato possibile. Se prendiamo l’azione ordinaria che ha un valore di 2 euro, 1,5 euro è il valore dell’azione di risparmio, ma noi sappiamo che l’azione di risparmio non ha vote segment, quindi tutto il valore di 1,50 dell’azione di risparmio è investment segment. Se il testo dice che c’è un gap del 20% fra le azioni di risparmio e le azioni ordinarie a livello di investment segment, vuol dire che le azioni di risparmio hanno un valore del 20% in più rispetto alle azioni ordinarie. Si va a togliere il 20% da 1,50, e troviamo 1,20 al valore dell’investment segment delle azioni ordinarie e per differenza 0,80 è il valore del vote segment. ESEMPIO 2 Siamo di fronte ad una società che aveva due tipi di azioni: ordinaria e di risparmio; l’ordinaria è obbligatorie mentre quella di risparmio è facoltativa. L’assemblea delibera di far convertire tutte le azioni di risparmio in ordinarie. Allora che se io avevo un’azione di risparmio ora mi ritrovo con un’azione ordinaria, però il valore delle nuove azioni non sarà più uguale al valore di prima perché anche il valore delle azioni di risparmio è confluito dentro le azione ordinarie e quindi il valore delle azioni ordinarie cambierà. Quello che andiamo a calcolare è quale sarà il valore delle nuove azioni ordinarie: → Quindi il valore delle nuove azioni ordinarie sarà 1,83 euro. Le azioni ordinarie valevano 2 euro sul mercato prima si quest’operazione, e dopo quest’operazione valgono 1,83; i possessori di azioni ordinarie ci perdono l’8,5%. Le azioni di risparmio avevano un valore di 1,50 e passano ad un valore di 1,83, con un incremento del 22%. In questo caso chi ha guadagnato in termini di rendimento sono stati gli azionisti di risparmio. Questo tipo di operazioni che sono abbastanza comuni generano delle Alterazioni dei valori dei titoli direttamente sul mercato. È meglio finanziarsi con azioni oppure con prestiti finanziari? Questa è la domanda che su cui si lavora. Bisogna tener conto del fatto che ci sono investitori che non sono interessati al diritto voto, ma che preferiscono percepire un dividendo senza votare, allora è meglio proporre in questi casi delle azioni di risparmio. Mentre ci sono investitori che vogliono votare e dobbiamo proporre delle azioni ordinarie per forza. LE FORME DI FINANZIAMENTO Un’azienda può ricorrere al capitale di terzi attraverso l’indebitamento. Quando facciamo riferimento al capitale di terzi possiamo fare riferimento al fatto che l’azienda si finanzi direttamente sul mercato emettendo obbligazioni, oppure l’impresa che si rivolge agli intermediari, bancari e finanziari; vanno per esempio a chiedere un mutuo in banca. 24 Qui si apre un altro tema di scelta, perché cambiano anche le conseguenze; nel momento in cui un’impresa decide di ricorrere al capitale di terzi, sia esso mercato o sia esso ricorso agli intermediari, l’impresa deve mettere in conto di pagare periodicamente gli interessi e di rimborsare il capitale. Questa è una grossa differenza perché se l’azienda emette azioni, raccoglie capitale di rischio; quindi, non c’è da nessuna parte scritto che la società deve restituire il capitale, dovrà pagare il dividendo se ci sarà. L’impresa emettendo azioni si trova difronte a dei costi che sono variabili per definizione. Se invece l’azienda decide di ricorrere al mercato o al capitale di terzi deve pagare interessi e rimborsare il capitale, quindi di accolla dei costi fissi, che quindi impatteranno sul bilancio e i manager avranno il compito di riuscire a coprire con l’attività aziendale. → si tratta di scelte ben diverse che hanno delle conseguenze operative ben diverse. I manager nel momento in cui si decidesse di far fronte agli impegni aziendali con il ricorso al capitale di terzi, si troverebbero di fronte ad una scelta estremamente varia di alternative. Qualcuno arriva a sostenere che con le combinazioni delle diverse alternative si può arrivare a soluzione pressoché infinite. Quindi i manager si trovano anche ad un ulteriore difficoltà: quale fonte di finanziamento vado a scegliere? Il punto di partenza può essere una breve tassonomia delle operazioni di finanziamento: andare a vedere come si possano classificare le operazioni di finanziamento. TASSONOMIA DELLE OPERAZIONI DI FINANZIAMENTO Nella tabella vedremo la distinzione delle fonti di finanziamento a seconda di diverse variabili. Durata: Si sono distinti alcuni elementi caratterizzanti l’operazione di finanziamento, e la prima voce inserita è la durata perché è un elemento fondamentale. Nell’ambito delle operazioni di finanziamento si distinguono le operazioni di finanziamento a breve termine e a lungo termine. Quello che si può osservare è il fatto che in finanzia il breve termine è considerato 12 mesi, nel mondo bancario per legge il breve periodo è fino a 18 mesi. Questa è una differenza sottile. Tutto quello che va oltre i 18 mesi, nel testo unico bancario ricade nel medio lungo periodo. Ci saranno delle operazioni di finanziamento che ricadono per definizione nel breve periodo e ce ne saranno altre che ricadono invece nel medio-lungo periodo. Il primo errore che il manager non deve commettere è quello di finanziare operazioni di investimento nel lungo periodo con fonti di finanziamento nel breve periodo; non deve incappare nell’errore di miss matching delle scadenze, è per questo che viene messa come prima variabile la durata. Tasso: La seconda dimensione da considerare è la tipologia di tasso d’interesse. Esistono diverse possibilità: Fisso Variabile Misto In questo caso la decisione è importante perché se il manager sta pensando di prendere a prestito denaro, per esempio un mutuo in banca, dovrà valutare se è meglio pagare un tasso fisso, uno variabile o un misto. Quindi il tasso rappresenta l’interesse che l’azienda dovrà corrispondere alla banca. Qui dipenderà dalla trattativa. Oggi, in un contesto macroeconomico di tassi di interesse in salita, le banche propongono tassi variabili, ma per le aziende sarebbe molto meglio un fisso, quindi si tratta di una contrattazione. 25 Se il manager decidesse di finanziarsi emettendo obbligazioni che vengono sottoscritte al mercato, il manager deve decidere se l’azienda è disposta a pagare un tasso fisso variabile o misto; in questo caso l’azienda fa il razionamento della banca. Quando si va sul mercato l’azienda emette e il mercato sottoscrive, senza discutere, non c’è una trattativa, quini il mercato o sottoscrive o no. Sono delle valutazioni importanti che ricadono nei problemi d’agenzia, perché l’emissione delle obbligazioni sul mercato potrebbe essere un metodo di valutazione del manager. Valuta: La valuta è l’altro tema importante sul quale il manager deve ragionare, che non è molto complesso. Un prestito può essere richiesto e quindi ottenuto in euro oppure in altre valute. Se pensiamo ad un’azienda che per esempio lavora con il Giappone, e se noi abbiamo un fornitore giapponese come azienda è chiaro che il fornitore ci dirà con quale valuta vorrà essere pagato. Se vuole essere pagato con euro, non abbiamo problemi, ma se vuole essere pagato in Yen o dollari io come azienda devo andare a recuperarli; dovrò andare quindi a fare delle operazioni con la banca o con il mercato per raccogliere questi denari da destinare al soddisfacimento di questa richiesta. Garanzia offerte ai creditori: Questa variabile ci permette di distinguere le senior o privilegiate e junior o subordinate. Il riferimento è uno esplicito alle obbligazioni che vengono emesse; quindi, in questo caso la tassonomia è legata esclusivamente al mercato. In questa variabile si sottolinea come per legge e per definizione le obbligazioni vengono distinte in due macrocategorie: senior e junior. Le obbligazioni junior anche dette subordinate, sono quelle che pagano un tasso d’interesse più elevato perché fondamentalmente non c’è garanzia di restituzione del capitale, mentre le senior garantiscono al sottoscrittore la restituzione del capitale ma un tasso d’interesse basso. Quindi se ci mettiamo nei panni di un’azienda che ha bisogno di raccogliere denaro sul mercato ed emettere obbligazioni, l’obbiettivo del manager sarebbe quello di far sottoscrivere tutte le obbligazioni emesse. Se ho delle obbligazioni junior ho dei lati positivi e dei lati negativi, e lo stesso vale anche per le obbligazioni senior, quindi da qualsiasi parte la guardiamo, troviamo degli elementi che sono a favore e a sfavore della sottoscrizione. Il manager ha un problema perché se poi venisse valutato sulle obbligazioni e su quanto ha raccolto potrebbero esserci delle valutazioni distoniche per come il processo è stato presentato. Se un’azienda emettesse sempre obbligazioni junior al mercato potrebbe venire il dubbio che l’azienda potrebbe essere in difficoltà; perché emettendo queste operazioni sanno che potrebbero non rimborsarlo. Tipologia: Obbligazioni ordinarie oppure tutte le altre forme di obbligazioni. Altre modalità: In questa tassonomia abbiamo fatto riferimento principalmente all’emissione di obbligazioni sul mercato, al fatto di prendere a prestito denaro da una banca, ma esistono altre modalità di finanziamento: Factoring: contratto di cessione dei crediti; attraverso il contratto di factoring un’azienda cede ad una società di factor crediti commerciali non ancora scaduti, ottenendone un’anticipazione → per le aziende commerciali che hanno crediti, il factoring è uno strumento di smobilizzo del credito esistente, anticipazione del credito. 26 In particolare, la cessione del credito può avvenire: o Pro soluto: la società di factor non potrà mai rifarsi sulla società cedente in caso di inadempienza del debitore principale. Ovviamente questo costa di più o Pro solvendo: l’azienda cedente, in caso di inadempienza del creditore principale, è tenuta a risarcire il factor. Leasing: contratto atipico che per poterlo legiferato bisogna fare riferimento a delle direttive comunitarie. Insieme al franchising è un tipo di contratto diffuso ma non previsto dal Codice Civile. Con un contratto di leasing una società di leasing concede in utilizzo un bene ad un conduttore o utilizzatore dietro pagamento di un canone periodico. In particolare, in un contratto di leasing ci sono degli elementi che devono essere sempre riportati: o La rata iniziale: quindi deve essere indicato l’importo che l’utilizzatore deve versare per aprire il contratto. o Numerosità delle rate da corrispondere o La frequenza delle rate: mensile, bimestrale, trimestrale etc. o Eventuale maxi-rata finale: quindi l’importo che dovrà essere versato alla fine dall’utilizzatore per diventare proprietario del bene. o La durata del contratto o Servizi accessori, come ad esempio le coperture assicurative Nella realtà esistono 4 forme di leasing: operativo, finanziario il lease back e il leasing addossè. I primi due sono quelli più conosciuti, mentre gli ultimi due sono più particolari. Leasing operativo Il leasing operativo è un rapporto bilaterale, cioè il produttore del bene è anche società di leasing. Quindi c’è una coincidenza nel leasing operativo tra chi produce il bene e la società di leasing. In finanza è sufficiente che la società di leasing faccia parte del gruppo al quale appartiene il produttore del bene. Quindi se io, per esempio, vado a comprare un’automobile, in molte aziende fabbricanti, come ad esempio BMW si trova BMW lease che è la società del gruppo BMW che fa leasing, e lo stesso lo si trova anche per Peugeot con Peugeot Leasing. In questo caso nel mondo automobilistico, il produttore del bene e la società di leasing coincidono perché fa parte del gruppo automobilistico. Il contratto in questo caso prevede che il produttore ceda il bene e l’utilizzatore paghi i canoni periodici, però la proprietà del bene rimane a carico del produttore della società di leasing. In questo caso se io ho un problema con l’automobile, chiamo la società e loro sostituiscono l’auto, perché è un affitto. Anche nel bilancio, abbiamo una distribuzione dell’attivo dello stato patrimoniale che è diverso, il valore perché non abbiamo la voce mezzi automezzi se usiamo il leasing perché non sono di proprietà, ma avremmo dei costi. Alla scadenza del contratto, il contratto di leasing può prevedere 3 opzioni: 27 o Riscatto del bene, è per questo che deve essere indicata la maxi-rata, perché deve essere indicato il valore al quale il bene può essere riscattato, cioè l’utilizzatore ne diventa proprietario. o Sostituire il bene con uno nuovo, non si paga la maxi rata finale ma si chiede la sostituzione del bene con uno nuovo facendo partire un nuovo contratto o Si richiede una dilazione del contratto, cioè il contratto viene portato avanti dopo la scadenza tramite una dilazione. Questa decisione deve essere presa solo in prossimità della scadenza. Leasing finanziario Questo è identificabile come un rapporto trilaterale perché il costruttore del bene è un soggetto diverso dalla società di leasing. Succede che l’utilizzatore si rivolge alla società di leasing per avere un bene specifico da poter utilizzare. La società di leasing in questo caso è davvero un soggetto solo finanziario, non ha materialmente il bene→ quindi la società di leasing si rivolge al costruttore e acquista la proprietà del bene; una volta che la proprietà è passata dal costruttore alla società di leasing questa cede il bene attraverso il contratto di leasing e in cambio riceverà dei canoni periodici. Ad esempio, se io vado da una società per leasing per prendere una macchina e magari ho l’esigenza di un Audi, la società andrà quindi da Audi a comprare la proprietà della macchina per poi cederla a me con il contratto di leasing. Non è propriamente così perché le società di leasing finanziarie hanno già degli accordi prestabiliti con le case automobilistiche, perché c’è un elenco di marche e modelli; io non posso andare a chiedere la macchina dei miei sogni, ma devo scegliere tra quei modelli disponibili. Lease back Il lease back per le aziende è una vera e propria fonte di autofinanziamento. Non viene utilizzato spesso ma le aziende più grosse se riescono lo fanno. Immaginando che ci sia un’impresa che ha un impianto di produzione che servono per la produzione di un’azienda. Questa chiede finanziamenti ma le banche non li cede. L’azienda valuta di andare sul mercato ed emettere obbligazioni, ma le ricerche di mercato dicono che non è il momento perché c’è crisi quindi anche questa strada è difficile da percorrere. Gli azionisti non sono disposti a fare aumento di capitale sociale; quindi, non si può contare sull’emissione di capitale sociale. Si può ricorrere al lease back, dove i soggetti sono: l’azienda e la società di leasing. L’azienda è proprietaria di macchinari, impianti e capannoni, allora il manager dell’azienda può contattare una società di leasing spiega il problema e propone un lease back. Il lease back si propone di due momenti: o in un primo momento l’azienda vende i propri impianti e i propri macchinari e anche il capannone alla società di leasing. Quindi il primo passaggio è quello di vendere beni alla 28 società di leasing. La società di leasing chiaramente paga quindi arriva denaro all’azienda. o I macchinari e gli impianti non sono più dell’azienda quindi non potrebbe più nemmeno utilizzareli. Però, il secondo step, appena finito il contratto di compravendita si stipula il contratto di leasing; quindi, la nostra azienda diventa utilizzatore dei beni. Quindi in questo caso la società di leasing concede in uso i beni che sono stati a lei venduti prima dietro il pagamento di canoni periodici. In realtà questi beni se fossero dei macchinari, non uscirebbero mai dai capannoni, ma cambia solo la proprietà giuridica. Anche nel 2008 durante la crisi di Lehman, a Milano c’era una pubblicità che diceva “non vendere il tuo oro, vedici la tua casa”, cioè le persone che erano in difficoltà a pagare il mutuo erano invogliate delle società di leasing a fare lease back sui loro immobili. (Se io ho comprato una casa con un mutuo e non riuscivo a pagarla, la vendo alla società di leasing, questa me la paga, io estinguo il mutuo e contemporaneamente stipulo un contratto di leasing sulla mia casa. Continua a stare a casa mia che è diventata della società di leasing pagando un affitto, mettendo in fondo le clausole di riscatto, cioè dopo n anni me la ricompro) Leasing addossè È un contratto di leasing che viene abbinato ad un contratto di credito al consumo. Ad esempio, quando si entra in un centro commerciale nel reparto tecnologia e trovare delle pubblicità che invogliano all’acquisto rateale; con il pagamento delle rate si va a pagare di meno, il televisore, piuttosto che pagandolo in contanti immediatamente. Questo è un esempio di leasing addossè. Dobbiamo immaginare il produttore delle tv (Samsung)e il centro commerciale; dovrebbe capitare che il centro comm. compra il televisore da Samsung per poi venderli. Solitamente il centro comm. di questi televisori ne deve comprare una scorta importante, ma il problema della tecnologia è che diventa obsoleta molto velocemente e se il centro commerciale non li vede ha un costo. Allora, i centri commerciali invece di comprare il televisore da Samsung lo prendono in leasing; Samsung cede la tv al centro comm. e il centro comm. paga un canone periodico perché nasce il contratto di leasing. Però c’è l’utente finale, cioè il cliente che va nel centro comm., che se vuole comprare la tv lo può fare, ma il centro comm. non può fare il trasferimento di proprietà→ per questo motivo per il centro comm. è meglio se la vendita avviene in modo rateale, perché la proprietà del televisore passerà quando il cliente avrà pagato l’ultima rata. Quindi il centro commerciale venda la tv al cliente, ma il cliente paga le rate del credito al consumo. In questo modo succede che il cliente paga le rate al centro comm. ed il centro comm. usa questa rata per pagare il canone di leasing. Quindi quanto il cliente avrà pagato le rate, e il centro comm. a pagare il leasing la proprietà del televisore passerà dal centro commerciale al cliente. Se succede che un cliente vuole comprare un televisore a prezzo pieno, e non a rate, l’acquisto è uno “normale”, nel senso che c’è un semplice contratto di compravendite, perché il centro comm. tiene una scorta di prodotti acquistati. Solitamente il centro comm. fa una stima per capire quante persone potrebbero comprare una tv in rate e quante in contanti immediati. 29 Si chiama addossè perché la struttura a monte del leasing viene trasferita a valle, al cliente; quindi, la struttura del leasing viene trasferita nella struttura del credito a consumo che viene strutturata con il cliente. INITIAL PUBLIC OFFERING (IPO) Ci troviamo sempre nel campo delle tecniche di finanziamento e ragioniamo sul tema: emissione di azioni, con un focus particolare sulla tipologia IPO di operazione che anche in Italia, ultimamente, ha avuto una crescita importante. Come successo a molte aziende di successo oggi, a partire anche da Google, si è partiti come sempre da aziende che sono nate da imprenditori, da iniziative imprenditoriali e poi hanno visto che avevano successo e hanno deciso di fare il salto verso il mercato. L’iter che porta le aziende ad essere quotate sul mercato prende il nome di quotazione, ovvero offerta pubblica iniziale delle azioni IPO. Le azioni di queste società, che prima erano di proprietà dell’imprenditore della famiglia, vengono offerte agli investitori indistinti, quindi al mercato retail. Perché una società dovrebbe entrare sul mercato? Perché i vantaggi per le società sono tantissimi e sono declinabili sotto diversi aspetti. Alcuni dei risvolti positivi sono: Migliorare la propria reputazione Ottenere attenzione ed essere sotto i riflettori Allargare la base proprietaria, significa raccogliere più capitali Ridurre il costo dell’indebitamento:

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