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MARTINA MOLGORA A.A. 2022-2023 FARMACOLOGIA Introduzione al corso FARMACOLOGIA FARMACOLOGIA GENERALE FARMACOLOGIA SPECIALE (MOLECOLARE)...

MARTINA MOLGORA A.A. 2022-2023 FARMACOLOGIA Introduzione al corso FARMACOLOGIA FARMACOLOGIA GENERALE FARMACOLOGIA SPECIALE (MOLECOLARE) ↓ = eventi che giustificano dal punto di vista Farmacocinetica = ciò che il nostro organismo molecolare gli effetti terapeutici fa al farmaco Farmacodinamica = ciò che il farmaco fa al nostro organismo Perchè io abbia un effetto terapeutico, il farmaco deve fare qualcosa all’organismo. ma perchè il farmaco interagisca con il bersaglio molecolare, al bersaglio ci deve arrivare, e ci arriva solo se ha una buona farmacocinetica. Perchè l’effetto terapeutico ci sia infatti, il farmaco deve arrivare al bersaglio molecolare in concentrazione e per un tempo sufficiente per dare l’effetto farmacologico. La farmacocinetica quindi descrive il viaggio del farmaco dalla sede e dal momento in cui viene somministrato a quando viene eliminato dall’organismo: se questo viaggio è utile, allora il farmaco arriverà al bersaglio molecolare nelle condizioni di concentrazione e tempo di permanenza a livello del bersaglio ottimali. Nel corso del tempo infatti gli studi di farmacocinetica sono diventati sempre più precoci e importanti nel drug development. La farmacocinetica descrive il viaggio del farmaco nell’organismo attraverso 4 processi: - Assorbimento = passaggio del farmaco dal sito di somministrazione al torrente circolatorio. Lo scopo dell’assorbimento è fare arrivare quanto più farmaco possibile nel plasma rispetto alla dose somministrata. - Distribuzione = il farmaco nel plasma si può trovare nella forma libera e nella forma legata alle proteine plasmatiche. Il farmaco NON esce dal torrente circolatorio e va nei tessuti, ma si crea un equilibrio dinamico del farmaco tra il plasma e i fluidi extraplasmatici. Si parla di equilibrio di distribuzione: il farmaco è in parte nel plasma e il parte nei fluidi extraplasmatici, in questo modo può raggiungere il suo bersaglio molecolare. Avendo raggiunto l’equilibrio, quando il farmaco viene eliminato la concentrazione plasmatica scenderà, ma per mantenere l’equilibrio di distribuzione, anche quella extraplasmatica scenderà ristabilendo l’equilibrio e permettendo l’eliminazione di tutto il farmaco presente nell’organismo. La relativa concentrazione del farmaco tra il plasma e fluidi extraplasmatici rimarrà sempre la stessa. - Metabolismo = è la biotrasformazione del farmaco, è necessario (insieme all’escrezione) per l’eliminazione del farmaco perché tutte le caratteristiche chimico-fisiche della molecola sono sfavorevoli al processo di eliminazione. Il metabolismo modifica chimicamente il farmaco rendendolo adatto a poter essere eliminato, quindi subire i processi di escrezione. In questa biotrasformazione può essere modificato il farmacoforo (= parte della molecolare responsabile dell’interazione con il bersaglio), producendo un metabolita inattivo biologicamente. Altre volte dei metaboliti si originano metaboliti che sono ancora in grado di interagire con il bersaglio molecolare (metaboliti attivi). Può capitare anche che la biotrasformazione porti ad assumere caratteristiche tossiche (metaboliti tossici, che hanno perso la capacità di interagire con il bersaglio terapeutiche, ma che possono interagire con altre molecole del nostro organismo dando effetti tossici). - Escrezione = Il farmaco presente in forma libera nel plasma viene eliminato raggiungendo il fegato e i reni grazie al torrente circolatorio, non perchè viene distribuito nei fluidi extraplasmatici. La farmacocinetica è quindi suddivisa in 4 fasi descritte dall’acronimo ADME. Sebbene queste 4 fasi avvengano temporalmente con questa sequenza, bisogna sempre considerarle nell’insieme: man mano che il farmaco sta subendo il processo di assorbimento, parte del farmaco sta già subendo le fasi successive, ognuna di queste fasi infatti regola le altre e avvengono con tempistiche sovrapponibili. 1 Lo studio di queste 4 fasi da origine alla curva di concentrazione plasmatica del farmaco, che è la fotografia di tutti gli eventi farmacocinetici. Fino agli anni 2000 per lo sviluppo di nuovi farmaci si cercavano potenti ligandi molto affini al bersaglio prescelto, in molti casi però fallivano dagli studi pre-clinici agli studi clinici per eventi farmacocinetici. Studi pre-clinici sugli aspetti farmacocinetici hanno portato un miglioramento importante. I meccanismi d’azione dei farmaci possono essere: - Aspecifico = gli effetti del farmaco sono basati su proprietà chimico-fisiche: - osmotiche (lassativi, alcuni diuretici) - acido-base (bicarbonato antiacido) - ossido-riduttive (H2O2 antibatterica) - surfattanti (disinfettanti) Essi agiscono spesso ad alte dosi e generalmente si ottiene lo stesso effetto con sostanze diverse dal punto di vista chimico/strutturale. - Specifico = gli effetti del farmaco sono basati su interazioni selettive e specifiche con molecole biologiche (recettore). Essi agiscono spesso a basse dosi e l’effetto è riproducibile con sostanze strutturalmente simili. - Semi-specifico = l’effetto terapeutico desiderato è dovuto sia a proprietà chimico fisiche sia all’interazione con bersagli molecolari specifici. Di questa classe di farmaci fanno unicamente parte gli anestetici generali. Il bersaglio farmacologico dei farmaci può essere: - proteine → enzimi, trasportatori, proteine strutturali, recettori (canali ionici, recettori accoppiati a proteine G, recettori tirosin-chinasici e recettori nucleari) - DNA Il processo di sviluppo di un farmaco dura circa 15 anni dall’idea alla commercializzazione del farmaco: - Fase pre-clinica: dura circa 5-7 anni, è la fase in cui tante molecole che sulla carta possono essere adatte vengono tesate, è la fase di screening più importante da cui si ottengono dei lead compounds che possono essere portati nelle fasi successive. Si valuta la sicurezza del farmaco e la fattibilità del processo di sintesi del farmaco che può essere più o meno adeguato alla produzione su larga scala. Per i lead compounds ottenuti si costruisce una solida base scientifica prima di passare alla fase clinica. - Fase clinica: - Fase I → Studi su volontari sani (dovrebbero essere rappresentativi della popolazione, ma spesso sono giovani maschi), perchè inizialmente non si vuole dimostrare l’efficacia, ma sono volti a valutare la farmacocinetica, la tossicità del farmaco e la dose massima tollerata (MTD). - Fase II → Studi su pazienti (centinaia), volti a valutare l’efficacia e la dose efficace di farmaco. - Fase III → Si replicano gli studi di fase II in una numerosità più ampia di pazienti (migliaia) e di diversa provenienza (multicentrici), volti anche ad individuare posologia (= dosi, intervalli e tempistiche) e confrontare con altri farmaci. - Fase IV → Farmacovigilanza: il farmaco è prescrivibile e utilizzato, si raccolgono le evidenze non ancora descritte perchè è la prima volta che il farmaco viene somministrato ad un numero molto ampio di pazienti, normalmente dagli studi di farmacovigilanza si aggiungono controindicazioni e effetti collaterali. A volte gli studi di farmacovigilanza forniscono nuove indicazioni terapeutiche (es. aspirina → aspirinetta come anti- aggregante piastrinico). Di tutte le molecole proposte, i farmaci che effettivamente entrano in commercio sono 1 su 10.000 (Drug Attrition Rate). ________________________________________________________________________________ 2 Farmacocinetica Lo scopo della farmacocinetica è quello di far arrivare il farmaco ad una concertazione ottimale e in un tempo ottimale al bersaglio molecolare. Tutti gli eventi che il farmaco subisce devono essere permissivi al suo arrivo al bersaglio molecolare. La farmacocinetica prevede il viaggio del farmaco nell’organismo suddiviso in 4 fasi: 1. Assorbimento = passaggio del farmaco dal sito di somministrazione al torrente circolatorio, quindi prevede una capacità di attraversamento delle membrane biologiche, che variano in funzione del sito si somministrazione. 2. Distribuzione = equilibrarsi del farmaco nei compartimenti fluidi dell’organismo, tra il plasma dove è arrivato grazie all’assorbimento e i fluidi extraplasmatici, quindi le relative concentrazioni sono costanti. 3. Metabolismo = avviene nel fegato, il farmaco così com’è non può essere eliminato, quindi deve subire delle modificazioni chimiche che lo rendono un metabolita facilmente eliminabile dal nostro organismo. 4. Escrezione = termine del viaggio del farmaco nell’organismo, generalmente attraverso fegato e reni. La farmacocinetica nell’ultimo decennio ha assunto una rilevanza sempre più grande, per andare incontro al fatto che spesso i fallimenti dei trial clinici erano dovuti a problemi di farmacocinetica. Per tutte e 4 le fasi della farmacocinetica esistono dei test che vengono fatti in fasi precoci dello sviluppo del farmaco, sono di facile esecuzione, possono essere fatti su larga scala e sono economici, dando in maniera valida delle indicazioni sulle diverse fasi della farmacocinetica. Per definire quanto prima possibile la bontà farmacocinetica di un farmaco, per ognuna di queste fasi esistono dei test che ci permettono di definire un range entro il quale si può stabilire se è buona. Ogni fase ha infatti un parametro numerico che la può definire: 1. Assorbimento → biodisponibilità 2. Distribuzione → volume di distribuzione 3. Metabolismo → stabilità metabolica 4. Escrezione → clearance d’organo Alla fine di questi test avremo una scheda associata al farmaco che ha determinati valori per questi parametri. Dall’analisi contemporanea di tutti e 4 questi parametri possiamo definire o prevedere quello che in vivo sarà la bontà della farmacocinetica. Molte molecole oggi sono scartate dopo questi screening perché nell’insieme questi 4 valori non garantiscono che in vivo ci sia una farmacocinetica ottimale. La valutazione nel complesso di questi 4 parametri permette di classificare il farmaco dal punto di vista farmacocinetico come: - Fallimentare → si scarta la molecola, che viene rimandata ai chimici e si cerca di modificare la struttura della molecola avendo a disposizione dei parametri che dicono dove sta il problema. - Mediamente adatto → si fa un rapporto rischio/benefico: spesso se il farmaco è per una patologia per cui non esistono farmaci, si può provare a proseguire, invece se per quel farmaco esistono già delle molecole in uso valide per curare quella patologia, non lo si porta avanti nella sperimentazione. - Probabilmente buono → spesso passano allo studio della farmacocinetica nei modelli pre- clinici in vivo, non ancora sull’uomo. ASSORBIMENTO I parametri che regolano l’assorbimento di un farmaco sono: - Via di somministrazione; - Caratteristiche chimico-fisiche della molecola (es. lipofilia, peso molecolare); - Caratteristiche della superficie assorbente, cioè la sede di destinazione del farmaco; - Formulazione: nessun farmaco viene somministrato come principio attivo, ma vengono somministrati con una formulazione che influenza l’assorbimento del farmaco. 3 Quando diciamo che il farmaco deve avere un buon assorbimento, vuol dire che la quantità di farmaco assorbita rispetto alla dose somministrata deve essere elevata e la velocità di assorbimento non deve essere ne troppo rapida ne troppo lenta. Le caratteristiche della superficie assorbente non possono essere modificate, fanno parte della nostra anatomia, tutte le altre possono essere scelte, quindi normalmente il processo di assorbimento può essere studiato molto bene. Le vie di somministrazione possono essere suddivise in: - Sistemiche: - Entrali: il farmaco passa dal tratto gastroenterico - Orale = l’assorbimento avviene a livello intestinale e in particolare è l’intestino tenue. L’intestino tenue è irrorato dal sistema portale epatico, quindi entrano nel circolo sistemico dalla vena porta, passano dal fegato e arrivano alla circolazione sistemica. - Sublinguale = la formulazione deve essere posta sotto la lingua perchè l’assorbimento avviene attraverso le vene linguali e sublinguali (ranine) che convogliano alla giugulare interna, che a sua volta porta alla vena cava superiore e quindi all’atrio destro del cuore, lo sono infatti i farmaci che devono arrivare direttamente al cuore. - Rettale = prevede l’assorbimento del farmaco a livello del plesso venoso emorroidale, la formulazione a questo livello si disgrega e avviene il passaggio diretto nel torrente circolatorio, dal plesso venoso emorroidale si arriva infatti alla vena iliaca e poi alla vena porta che arriva al fegato. - Parenterali: - Endovenosa = prevede che il farmaco viene iniettato in una vena, quindi non c’è un vero e proprio assorbimento, perchè il farmaco è direttamente posto nel torrente circolatorio, tutto il farmaco arriva nel torrente circolatorio in maniera rapidissima. Possono essere eseguite solo da infermieri e medici, infatti è maggiormente utilizzata in ambito ospedaliero ed è una via privilegiata per le situazioni di emergenza e di ricovero. La flebo permette di fornire la quantità adatta nel tempo che desiderato. - Intramuscolare, sottocutanea e intradermica = nell’intramuscolare il sito di assorbimento è il muscolo (l’ago deve essere posto a 90° rispetto alla cute), nella sottocutanea il sito di assorbimento è il tessuto sottocutaneo (l’ago deve essere posto a 45°) e nell’intradermica il sito di assorbimento è il derma (l’ago deve essere posto a 10-15°). Questi tessuti si differenziano per la vascolarizzazione, quindi la bontà dell’assorbimento è maggiore nel muscolo che è molto vascolarizzato, un po’ meno nella sottocutanea e intradermica. Se voglio che il farmaco sia a più lento rilascio quindi si fa una sottocutanea, se compatibile con quel farmaco e la patologia che vuole curare. - Inalatoria (≠ aerosol) = è molto utilizzata ma è più difficile garantire il corretto dosaggio. Pur essendo comunque una via che porta il farmaco alla circolazione sistemica, deve passare attraverso le vie aeree, permettendo di localizzare sin da subito il farmaco per curare le alte e basse vie aeree. Particelle di grandi dimensioni (100 µm) non possono essere assorbite nelle vie aeree profonde, al diminuire delle dimensioni le molecole riescono ad arrivare agli alveoli polmonari (e l’arrivo in circolazione è facilitato). La via inalatoria può essere usata come alternativa alle vie più comuni (ad esempio un farmaco che dà problemi se somministrato per via orale) in questo caso è importante la dose che arriva al sangue, se la via inalatoria è invece utilizzata per curare una patologia polmonare, allora è importante soprattutto la quantità che arriva direttamente lì (e meno importante la quantità che va in circolo). 4 - Intraperitoneale = riversa il farmaco nel peritoneo, cavità che riveste gli organi addominali. Non si usa come veicolo tradizionale di somministrazione di farmaci, ma è la via con cui si saggiano i farmaci in vivo. Questa via è molto simile come bontà di assorbimento alla via endovenosa. - Epidurale = il farmaco viene rilasciato nel canale vertebrale esternamente alla dura madre, quindi non si arriva al SNC. - Intratecale = il farmaco viene rilasciato nel fluido cerebrospinale, quindi arriva prima al SNC e poi a livello sistemico. - Intraarteriosa = il farmaco viene riversato in arteria, viene utilizzata solo in ambito emergenziale. - Intraarticolare = il farmaco viene somministrato nei fluidi sinoviali delle articolazioni, permettendo comunque l’arrivo nel farmaco in circolo ma si usa soprattutto quando si vuole che il farmaco faccia effetto sull’articolazione. - Topiche: percutanea e transmucosa Queste vie di assorbimento permettono l’arrivo del farmaco alla circolazione sistemica. Una via di somministrazione locale invece non permette l’arrivo del farmaco in circolo (≠ topica). La via di somministrazione orale è la via più ambita nonostante le problematiche, questo perchè è la via di auto-medicamento (chiunque può ingoiare una formulazione orale). Essa ha 3 problematiche principali: 1) Interazione con il cibo = tutti i farmaci dovrebbero essere assunti lontano dai pasti (2 ore dopo il pasto o 1 ora prima del pasto) in modo da arrivare indisturbati all’intestino tenue. L’interazione con il cibo può ridurre tantissimo l’assorbimento del farmaco: ad esempio le tetracicline legano il Ca2+, che troviamo nel latte e nei suoi derivati, e questo impedisce il loro assorbimento. Se il foglietto illustrativo non dice niente, è implicito lontano dai pasti. Il caso contrario invece è esplicitato: la somministrazione in vicinanza dei pasti può limitare i fenomeni irritativi alle mucose gastrointestinali (es. FANS), che alla lunga possono portare ad ulcere gastriche o intestinali. 2) Effetto di primo passaggio epatico = il passaggio obbligato del farmaco orale dal fegato prima di essere riversato nella circolazione sistemica (il fegato è l’organo dove avviene il metabolismo del farmaco) determina una perdita di una certa quantità di farmaco che viene già biotrasformata. Questo avviene per tutti i farmaci somministrati per via orale, quindi si sa già che la quantità che arriva al bersaglio è minore. Questo è il motivo per cui nella maggior parte dei casi la via orale prevede sempre dosaggi posologici maggiori per arrivare alla medesima quantità di farmaco sistemico. L’effetto di primo passaggio epatico spesso viene sfruttato quando vengono sviluppati pro-farmaci = farmaci inattivi che utilizzano la biotrasformazione epatica per essere convertiti nella molecola attiva. 1) Glicoproteina P = nell’epitelio intestinale è presente la glicoproteina P, un trasportatore ATP dipendente, altamente aspecifico, che è in grado di riconoscere molecole molto diverse dal punto di vista della struttura chimica (molti farmaci risultano quindi essere suoi substrati). Essa riconosce e lega il substrato dal lato citoplasmatico, l’idrolisi di ATP porta all’estrusione del ligando nel lato luminale. Le cellule dell’epitelio intestinale quindi ributtano il farmaco nel lume dell’intestino e la quantità di farmaco che arriva nel torrente circolatorio è continuamente rallentata. Normalmente quindi si studia una dose di farmaco che permette l’assorbimento di una quantità ottimale nel plasma saturando la glicoproteina P o in funzione dell’affinità nei confronti della glicoproteina P. Questo è un problema talmente grosso che se il farmaco risulta essere substrato della glicoproteina P, viene bloccato il suo trial. Questa proteina ha una sua funzione difensiva nei confronti di ogni sostanza xenobiotica che ingeriamo, quindi ci sarà un fenomeno di competizione tra i normali substrati e il farmaco, o tra diversi farmaci assunti. Per questo con la competizione tra farmaci ci si ritrova una dose di farmaco a livello plasmatico maggiore di quella attesa, che dovrebbe 5 essere ottimale ma non tossica. Nel foglietto illustrativo infatti spesso si legge di non assumere alcuni farmaci contemporaneamente proprio perchè sono substrati concomitanti della glicoproteina P. Il gene MDR1 che codifica per la glicoproteina P è presente nella popolazione in una variante polimorfica che varia il livello di espressione. Individui omozigoti (TT) o eterozigoti (CT) per varianti alleliche nel gene MDR1 mostrano una diversa capacità estrusiva della pompa rispetto ai soggetti wild type (CC), che correla con diversa efficienza di assorbimento per molecole. Una riduzione dell’espressione della glicoproteina P, fa si che la dose che è stata studiata sulla quantità wt della glicoproteina P, porterà ad un aumento della concertazione del farmaco nel plasma degli individui con le varianti polimorfiche. Generalmente questi incrementi hanno effetti tossici importanti. Nell’intestino sono presenti in piccole quantità anche enzimi biotrasformanti quindi parte del farmaco viene trasformato a livello intestinale. Oggi abbiamo sviluppato farmaci booster che competendo con l’enzima biotrasformante aumentano l’assorbimento del farmaco. Questo però non è possibile con la glicoproteina P: bloccare la glicoproteina P con dei competitori non è possibile perchè è presente anche in altri distretti. Per stabilire se il farmaco ha un buon bioassorbimento per la somministrazione orale si fa un test di permeabilità usando cellule Caco-2 (adenocarcinoma del colon umano) che in coltura possono essere coltivate a dare origine a monostrati di cellule che mimano l’epitelio intestinale umano dove avviene l’assorbimento dei farmaci somministrati oralmente. Esse inoltre esprimono la glicoproteina P permettendo di valutare se un certo farmaco è suo substrato o meno. Questo test è facile, veloce e poco costoso, quindi si presta molto bene agli screening di farmaci. È un test bicamerale: nella camera superiore si fanno crescere le cellule in monostrato, si applica una concentrazione nota di farmaco in studio, si lascia trascorrere una quantità di tempo fissa e si va a valutare (in genere per cromatografia) la quantità di farmaco che dopo un tempo di somministrazione si ritrova nella camera basolaterale. Da questo esperimento si ricava la permeabilità apparente, data dal rapporto tra la velocità di trasporto dal farmaco dal lato apicale al lato basolaterale, sulla concentrazione nota al T0 per l’area disponibile al passaggio: dQ /d t Papp = C0 A Sarà espressa come cm/sec, posta in un range di valori che derivano dalle correlazioni utilizzate per validare questo test: - < 2·10-6 cm/s = bassa permeabilità attraverso l’epitelio intestinale, quindi non è un buon candidato per la somministrazione orale; - > 20·10-6 cm/s = alta permeabilità attraverso l’epitelio intestinale, quindi è un buon candidato per la somministrazione orale. Le cellule essendo trasformate in senso neoplastiche mantengono l’espressione della glicoproteina P, quindi permettono di verificare se il farmaco è substrato della glicoproteina P inserendo insieme al farmaco un inibitore covalente della glicoproteina P: se il farmaco è substrato della glicoproteina P la Papp si alza. È possibile fare una classifica in ordine decrescente delle principali vie di somministrazione in relazione alla velocità ed entità dell’assorbimento: 1. Endovenosa (non c'è la fase di assorbimento) 2. Inalatoria 3. Sublinguale 4. Sottocutanea 5. Intramuscolare 6 6. Intradermica 7. Rettale 8. Orale = assorbimento più lento Somministrando un medesimo farmaco alla medesima dose con diverse vie di somministrazione, si può valutare cosa succede nel plasma allestendo delle curve di concentrazione plasmatica del farmaco che mettono in relazione la concentrazione plasmatica del farmaco (Y) rispetto al tempo (X). Nella pratica, questo viene fatto eseguendo un prelievo di sangue ad intervalli di circa 30 min. Confrontando le diverse vie di somministrazione: nella via orale e intramuscolo c’è una fase di crescita in cui il farmaco viene assorbito, fino a raggiungere un picco massimo che rappresenta la concentrazione massima di farmaco che raggiungo nel plasma per quella dose, e infine una fase di discesa. La via orale ha un assorbimento più lento e una minore concentrazione massima nel plasma a parità di dose. Oltre alla via di somministrazione, un altro fattore che influenza l’assorbimento sono le caratteristiche della superficie assorbente: - Estensione del sito a disposizione per il passaggio del farmaco = maggiore sarà l’area disponibile per l’assorbimento, maggiore e più rapido sarà l’assorbimento. Tutti i siti anatomici con una superficie maggiore sono avvantaggiati per quanto riguarda l’assorbimento del farmaco. Ad esempio, l’epitelio intestinale è caratterizzato da villi, cioè ripiegamenti dell’epitelio le cui cellule a loro volta presentano ulteriori estroflessioni chiamate microvilli. L’estensione della superficie a disposizione per l’assorbimento del farmaco nell’epitelio intestinale è quindi molto elevata. - Permeabilità = il passaggio del farmaco dall’esterno al torrente circolatorio si traduce nell’attraversamento di membrane biologiche, quindi la permeabilità e lo spessore degli epiteli di rivestimento sono inversamente proporzionali alla bontà dell’assorbimento. Ad esempio, l’epitelio intestinale è monostratificato, quindi la sua permeabilità dipende dalla capacità del farmaco di attraversare le cellule epiteliali arrivano subito ai vasi sottostanti. La cute è invece un epitelio pluristratificato e corneificato, ha una porzione esterna che è il primo tratto che il farmaco deve oltrepassare. Le vie aeree (es. alveoli polmonari) oltre ad essere costituti da un monostrato di cellule, queste sono molto sottili, quindi il passaggio del farmaco è molto avvantaggiato. - Vascolarizzazione = più la sede è anatomicamente vascolarizzata, più è favorito il processo di assorbimento del farmaco. Ad esempio, il muscolo è molto vascolarizzato, per questo la via intramuscolare è ad assorbimento molto rapido ed efficiente. La vascolarizzazione in alcuni casi è modificabile: ci sono situazioni patologiche in cui la vascolarizzazione e il flusso ematico possono variare (es. stato infiammatorio con un maggiore afflusso di sangue). La capacità farmacologica di poter indurre una vasodilatazione o una vasocostrizione, permette dall’esterno di modificare lo stato di vascolarizzazione del tessuto. Ad esempio, nel caso di una anestesia locale come quella dentistica, sono presenti delle sostanze vasocostrittrici che sfavoriscono l’eventuale passaggio nel torrente circolatorio. Queste caratteristiche sono intrinseche nel nostro organismo e non modificabili, quindi regoleranno in maniera fissa l’assorbimento. Un altro parametro molto importante che regola il processo di assorbimento è la formulazione farmaceutica con cui il farmaco viene somministrato (non viene infatti mai somministrato come principio attivo puro). La formulazione farmaceutica avrà un impatto su come il principio attivo in essa contenuto verrà assorbito. 7 Si parla allora di specialità medicinale cioè il nome commerciale con il quale le industrie farmaceutiche pongono in commercio una formulazione per veicolare un certo principio attivo. Una specialità medicinale è costituita dal farmaco o principio attivo e da: - o eccipienti = sostanze solide o semi-solide che vengono utilizzate con diversi scopi nell’allestire la formulazione farmaceutica, e insieme al principio attivo formano la specialità medicinale. - o veicoli = sostanze liquide con cui il preparato viene disciolto prima di essere somministrato. Ad esempio, il VALIUM® (specialità medicinale) in capsule contiene DIAZEPAM (principio attivo) + amido, talco, lattosio (eccipienti). Uno stesso farmaco (principio attivo) può essere contenuto in più specialità medicinali, che possono essere identiche tra di loro o differire per dosaggio e/o formulazione. Le specialità medicinali possono essere monocomposte, cioè contenente solamente 1 principio attivo o policomposte, cioè contenenti più di un principio attivo (es. farmaci antitumorali). [NON DA SAPERE PER L’ESAME] Le formulazioni possono essere: È importante costituire la formulazione farmaceutica che, per quel principio attivo e per quella via di somministrazione, risulti la migliore nel promuovere il processo di assorbimento del farmaco. Recentemente è infatti nata una nuova fase della farmacologia generale: prima della fase farmacocinetica esiste la fase farmaceutica, in cui viene determinato il processo che porterà il principio attivo contenuto nella formulazione ad entrare nella prima fase della farmacocinetica (assorbimento). Nella fase farmaceutica viene quindi regolata, in funzione della via di somministrazione, la disgregazione della formulazione farmaceutica con cui sto somministrando il principio attivo e la dissoluzione del principio attivo. 8 Queste fasi regoleranno quanto principio attivo libero sarà disponibile per il processo di assorbimento. Se la fase farmaceutica non è ottimale, la dose somministrata non sarà tutta disponibile per il processo di assorbimento, il quale già di per se non è mai completo. Usando eccipienti diversi si otterranno quindi formulazioni con un buon assorbimento. Gli eccipienti sono stati studiati per essere inerti e inattivi dal punto di vista biologico. Essi vengono aggiunti al principio attivo, dando origine alla formulazione farmaceutica finale, per diversi scopi: - Diluenti = sostanze solide che vengono utilizzate quando la quantità di farmaco è così limitata che non sarebbe possibile ottenere compresse, capsule, confetti, senza prima aumentarne il volume (es. lattosio, glucosio, saccarosio, mannitolo, amido, cellulosa…). - Leganti = mantengono coesi i componenti e danno compattezza alla forma farmaceutica (es. metilcellulosa per farmaci da somministrazione orale). - Disgreganti = controbilanciano l’azione dei leganti e consentono alla forma farmaceutica di liberare il principio attivo una volta nel nostro organismo (es. amido e suoi derivati, cellulosa, tensioattivi…). - Glidanti = utili nella fase di conservazione e produzione dei farmaci, consentono lo scorrimento della miscela principio attivo + eccipienti all’interno dei macchinari e degli stampi delle industrie farmaceutiche (es. talco, silice, amido di mais), non hanno alcun ruolo nella fase farmaceutica. - Lubrificanti = utili nella produzione dei farmaci. - Coloranti = si utilizzano solo quelli autorizzati ad uso alimentare, servono per rendere più invitanti le formulazioni farmaceutiche e possono avere un ruolo importante per distinguere visivamente i dosaggi diversi di uno stesso farmaco (es. Coumadin è un anticoagulante commercializzato in molti dosaggi, sbagliare dosaggio può dare esiti emorragici molto gravi, per questo le pillole hanno colori diversi a seconda della dose) oppure a scopo commerciale (es. la “pillola blu” è il Viagra). - Aromatizzanti = vengono inserti nella formulazione farmaceutica per dare un gusto più gradevole alle formulazioni farmaceutiche. Un ultimo fattore che influenza l’assorbimento sono le caratteristiche chimico-fisiche del farmaco. Le caratteristiche chimico-fisiche del farmaco influenzano fortemente il processo di assorbimento del farmaco, essendo caratteristiche modificabili, possono essere migliorate rimandando al chimico la molecola di interesse al fine di modificarla più o meno a nostro piacimento. Il processo di assorbimento, qualsiasi sia la sede, consiste nel passaggio del farmaco attraverso le membrane biologiche. Il passaggio attraverso il doppio strato fosfolipidico che costituisce la membrana plasmatica delle cellule può avvenire: - secondo gradiente di concentrazione attraverso un processo di diffusione semplice, se la molecola è abbastanza lipofila e di piccole dimensioni; - attraverso un processo di diffusione facilitata mediata da canali acquosi se la molecola è lievemente polare e di piccole dimensioni; - se la molecola è più idrosolubile o è particolarmente grande, il passaggio avviene grazie a trasportatori, in quanto la molecola è incapace di attraversare il doppio strato fosfolipidico. Il grado di lipofilia e le dimensioni del farmaco quindi determinano mediante quale meccanismo questo attraverserà le membrane cellulari. Nonostante in tutti i casi il farmaco riesca ad arrivare al bersaglio, ci sono delle differenze: - Nella diffusione passiva il processo di assorbimento non ha una velocità costante, siccome la velocità è regolata dal gradiente di concentrazione, è rapido all’inizio e poi dipende da quanto è veloce la distribuzione. Se infatti il farmaco non scomparisse dal torrente circolatorio, si instaurerebbe un equilibrio che annulla il gradiente di concentrazione e quindi impedisce un ulteriore passaggio. La quantità di farmaco che viene assorbito rispetto alla dose somministrata dipende dalla differenza di concentrazione. 9 In questi casi il farmaco è maneggevole, cioè raddoppiando i dosaggi aumenta significativamente la quantità di farmaco assorbita. Questi farmaci seguono quindi una cinetica di I ordine: la quantità di farmaco assorbita è una % rispetto a quella che rimane da assorbire, perchè è il gradiente che regola il passaggio attraverso le membrane. - Nel trasporto attivo il processo di assorbimento ha una velocità più costante e dipende dal numero di trasportatori disponibili. La quantità di farmaco che viene assorbito rispetto alla dose somministrata dipende ancora dal numero di trasportatori disponibili. La necessità di trasportatori presenta anche problematiche legate alla saturazione dei trasportatori e alla competizione con i substrati fisiologici di questi trasportatori. In questi casi il farmaco non è maneggevole perchè se raddoppio la dose di farmaco, l’assorbimento non viene modificato radicalmente perchè il numero di trasportatori rimane il medesimo. Questi farmaci seguono quindi una cinetica di ordine 0: la quantità di farmaco assorbita è costante e dipende dal numero di trasportatori disponibili. Durante il processo di sviluppo di un farmaco si cerca sempre di ottenere farmaci che abbiano un grado di lipofilia sufficiente affinché non siano richiesti trasportatori specifici per permetterne l’assorbimento, di modo che venga favorito il passaggio attraverso le membrane per diffusione passiva. A tale scopo viene seguita la regola del 5’ di Lipinski, che determina le caratteristiche chimico fisiche ideali del principio attivo per un buon assorbimento senza bisogno di trasportatori: a) Meno di 5 gruppi donatori di legami idrogeno (gruppi -OH o -NH) b) Meno di 10 gruppi accettori di legami idrogeno c) Un peso molecolare inferiore ai 500 Da d) Un logP (coefficiente di ripartizione) minore di 5 Il logP è il logaritmo del rapporto tra la concentrazione del farmaco nella fase organica (octanolo) e la concentrazione del farmaco nella fase acquosa, stabilisce quindi il grado di lipofilia della molecola. - logP > 0 → composti idrofobici o chiaramente lipofili - logP < 0 → molecole così polari che, in funzione anche del loro PM, difficilmente potranno permeare senza l’utilizzo di trasportatori specifici - logP ≈ 0 → molecole di media polarità che, se sufficientemente piccole dal punto di vista del PM, possono sfruttare i canali acquosi per poter avere comunque un assorbimento ottimale Un farmaco per essere considerato ottimale deve avere un logP compreso tra 0 e 5. Il grado di lipofilia del farmaco non deve essere troppo elevato perchè bisogna evitare il fenomeno di intrappolamento all’interno del doppio strato fosfolipidico: se una molecola è troppo lipofila, tende a fermarsi a livello della membrana plasmatica. Oggi i farmaci vengono classificati in funzione della loro permeabilità (dipende dalla lipofilia) e solubilità (dipende dalla dissoluzione della fase farmaceutica) in 4 classi diverse: Farmaci di classe I = ottima solubilità e ottima permeabilità (più del 90% del farmaco permea attraverso le membrane biologiche). Farmaci di classe II = elevata permeabilità e solubilità più bassa. Questo non preclude un buon assorbimento, ma a causa della bassa solubilità potrebbero avere problemi nella fase farmaceutica. Bisogna migliorarne la solubilità con l’uso di eccipienti diversi o con dosaggi che permettano di avere un buon grado di presenza di principio attivo disponibile per l’assorbimento. La maggior parte dei farmaci in utilizzo oggi rientrano in questa classe. 10 Farmaci di classe III = elevata solubilità e permeabilità più bassa, è già noto che saranno caratterizzati da un assorbimento incompleto per questo prima di metterli in commercio si valuta il rapporto rischio/beneficio. Farmaci di classe IV = bassa solubilità e bassa permeabilità, si dice non sono biodisponibili in quanto non c’è assorbimento utile dal punto di vita terapeutico. Un’altra caratteristica chimico-fisica da considerare è il fatto che molto spesso le molecole di farmaco sviluppate e utilizzate possono agire da acidi o basi deboli. Questo implica il fatto che tali molecole possono trovarsi in una forma protonata o meno in funzione del pH del mezzo in cui si trovano e della loro pKa. Il pH a livello gastrico è molto basso (circa 3), il pH del plasma è vicino alla neutralità e l’urina invece ha un pH alcalino (circa 8). - Per un acido debole (es. aspirina o acido acetilsalicilico), a livello dello stomaco la maggior parte delle molecole di farmaco si troverà nella forma indissociata (non carica), e quindi il passaggio tra le membrane e l’assorbimento viene favorito. Bisogna quindi considerare che, anche se la maggior parte del farmaco viene assorbito a livello intestinale, parte di questo può essere assorbito anche a livello gastrico. - Per una base debole, a livello dello stomaco la maggior parte delle molecole di farmaco si troverà nella forma protonata (carica), e quindi il passaggio tra le membrane per diffusione è sfavorito. Questo concetto influenza anche il grado di escrezione renale dei metaboliti dei farmaci, i quali spesso mantengono le caratteristiche di acidi o basi deboli: un acido debole nelle urine è carico, quindi è sfavorito il suo riassorbimento da parte delle membrane biologiche e quindi viene più facilmente eliminato. Accade il contrario per una base debole. Spesso vengono fatte formulazioni gastro resistenti, sia per proteggere il principio attivo dalle interazioni con il cibo e gli enzimi digestivi, ma anche per proteggere il principio attivo (acido o base debole) dalle modificazioni dovute al pH dello stomaco. La biodisponibilità è un parametro che indica la bontà dell’assorbimento, viene definita come la frazione (percentuale) di una dose somministrata di farmaco che raggiunge in forma chimicamente immodificata il flusso sanguigno (circolazione sistemica). La biodisponibilità viene calcolata allestendo due curve di concentrazione plasmatica: 1. Si somministra una certa dose per via endovenosa, che non prevede il processo di assorbimento, quindi ha una biodisponibilità del 100%, cioè tutta la dose di farmaco somministrata la si ritrova chimicamente immodificata nel plasma. Al tempo 0 tutta la dose si trova chimicamente immodificata nel torrente circolatorio e con il passare del tempo il farmaco sarà distribuito, metabolizzato ed escreto, per cui la concentrazione plasmatica del farmaco diminuisce nel tempo. 2. Si somministra la stessa dose per una certa via di somministrazione. La curva derivante dalla somministrazione ad esempio per via orale, invece, presenta una prima fase di crescita che riflette l’assorbimento e poi distribuzione, metabolismo ed escrezione. Per entrambe le curve si calcola l’AUC (area sottesa alla curva): il rapporto tra l’AUC della via di somministrazione scelta e l’AUC della via endovenosa, espresso in percentuale, dà la biodisponibilità. La biodisponibilità della via orale è la peggiore, all’incirca 40-60%. La via intramuscolo invece ha disponibilità di circa 80%. 11 Poiché la biodisponibilità si calcola considerando l’AUC sottesa a tutta la curva di concentrazione plasmatica, è una fotografia di tutta la fase di farmacocinetica, infatti questo parametro viene utilizzato per definire e per commercializzare i farmaci noti come “bioequivalenti” o “generici” (legalmente è più corretto chiamarli bioequivalenti che generici). Nel momento in cui un’industria farmaceutica brevetta il principio attivo e tutte le sue formulazioni ha l’esclusiva per la produzione e la commercializzazione del farmaco solo per 10-15 anni. Questo vuol dire che l’azienda farmaceutica che ha speso tempo e risorse economiche e umane per sviluppare quel farmaco, ha un certo lasso di tempo perchè possa essere solo lei a commercializzare il farmaco e quindi incassarne i proventi. Scaduti questi termini, qualsiasi azienda farmaceutica può produrre farmaci equivalenti. I farmaci equivalenti si devono chiamare per forza con il nome del principio attivo seguito dalla ditta produttrice. Ad esempio: - TachipirinaⓇ è il nome del paracetamolo commercializzato dalla ditta Angelini che lo ha brevettato - i bioequivalenti devono chiamarsi “paracetamolo” + ditta produttrice Questo viene fatto per ridurre i costi a carico del paziente. Un medicinale viene definito equivalente se ha la stessa composizione qualitativa e quantitativa di sostanze attive (presenta lo stesso principio attivo e nella stessa quantità rispetto al prodotto originale) e la stessa forma farmaceutica del medicinale di riferimento e una bioequivalenza con il medicinale originale dimostrata da studi appropriati di biodisponibilità. Gli eccipienti, essendo sostanze inerti, possono essere diversi. Forme farmaceutiche bioequivalenti sono quindi forme farmaceutiche che non differiscono in maniera significativa quanto a velocità e grado di assorbimento, quando sono somministrate alla stessa dose molare in condizioni sperimentali simili. Un’azienda che vuole commercializzare il bioequivalente, non deve fare altro che calcolare la biodisponibilità del suo farmaco: ponendo come 100% la biodisponibilità del farmaco di riferimento, si osserva quanto si discosta in termini percentuali la biodisponibilità del prodotto che si desidera far approvare come bioequivalente. Il farmaco, per poter essere considerato bioequivalente, deve avere dei valori (media ± deviazione standard) che cadono all’interno del range 80%-125%. L'azienda che mette in commercio un medicinale equivalente è esentata dalla dimostrazione dell'efficacia terapeutica in quanto, se il principio attivo raggiunge nel sangue gli stessi livelli ottenuti dal medicinale originatore (se è cioè bioequivalente a questo), presenta anche la stessa efficacia terapeutica. DISTRIBUZIONE Attraverso questo processo garantiamo il fatto che il farmaco arriverà al suo bersaglio molecolare, ad una concentrazione ed in un tempo ottimale per dare origine agli eventi farmacodinamici, che poi sottintendono l'effetto terapeutico del mio farmaco. È il processo che implica il passaggio del farmaco dal compartimento plasmatico a quelli extraplasmatici (interstiziale e intracellulare), in realtà non è un vero e proprio passaggio ma si tratta di un equilibrarsi del mio farmaco in tutti i compartimenti fluidi che caratterizzano il nostro organismo. Questo processo richiede una vera e propria ripartizione del farmaco tra il plasma e quelli che genericamente definiamo fluidi extra-plasmatici, che sono rappresentati dai fluidi interstiziali (fluidi extracellulari all'interno dei tessuti) e i fluidi intracellulari (citoplasma). Questi tre compartimenti contribuiscono in termini volumetrici in maniera diversa: Una volta raggiunto l’equilibrio di distribuzione, il rapporto tra la concentrazione del farmaco nel tessuto e la concentrazione del farmaco nel plasma rimane COSTANTE benché tutte le concentrazioni diminuiscano a causa dei processi di eliminazione. 12 I parametri che influenzano la distribuzione del farmaco sono: Caratteristiche chimico fisiche del farmaco: anche in questo caso c’è un attraversamento di membrane biologiche, quindi più è lipofilo il farmaco, maggiormente la ripartizione favorirà l’arrivo del farmaco a livello del fluido intracellulare. Farmaci che hanno un bersaglio intracellulare, come un recettore nucleare o un enzima, richiedono infatti una forte lipofilia. Se il bersaglio del farmaco è un recettore di membrana, l’incontro tra il farmaco e il suo bersaglio molecolare prevede che il farmaco raggiunga i fluidi extracellulari e non necessariamente entri nella cellula. In questo caso quindi sono preferiti farmaci con un grado di lipofilia non eccessivo, che nel loro processo di distribuzione andranno quindi ad equilibrarsi prevalentemente tra plasma e fluidi interstiziali. Affinità specifica dei tessuti: La molecola può avere un certo grado di affinità per alcune macromolecole organiche che non rappresentano il bersaglio farmacologico. Questa affinità può causare l’accumulo del farmaco nel tessuto, dove la molecola affine si trova ad alte concentrazioni, causando quello che viene chiamato tropismo tissutale. Ad esempio, le tetracicline sono molto affini al calcio, possono quindi accumularsi nel tessuto osseo. Il tropismo tissutale può anche essere sfruttato a favore del target, ad esempio i macrolidi sono antibiotici che hanno un tropismo nei confronti del tessuto polmonare, infatti vengono utilizzati molto per trattare infezioni polmonari. Questo tropismo tissutale ha diverse conseguenze: - sfavorisce la distribuzione, perchè una certa quantità di farmaco viene sequestrata all’interno di un tessuto impedendone l’arrivo al tessuto bersaglio, spesso per questo tipo di farmaci vengono quindi somministrate dosi maggiori per garantire una corretta distribuzione nonostante il tropismo tissutale; - è possibile che il farmaco dia degli effetti collaterali più forti o tossici nel tessuto dove questo si accumula, impedendo inoltre il metabolismo e l’eliminazione del farmaco; - essendo legami non covalenti, una quantità di farmaco sequestrato può, anche a lungo termine, essere rimessa in circolo avendo conseguenze importanti (ad esempio le tetracicline che tornano in circolo a seguito di rimodellamento osseo dopo settimane dalla somministrazione). Permeabilità capillare: più i capillari dell’organo target sono permeabili, maggiore sarà la velocità con cui il farmaco raggiunge l’organo o il tessuto bersaglio. I capillari possono essere dal punto di vista strutturale classificati in: - capillari sinusoidi (es. nel fegato, milza e midollo osseo) = non ci sono né giunzioni strette né lamina basale, ma troviamo ampie fenestrature tra le cellule che permettono la fuoriuscita di molecole dal capillare, quindi sono molto permeabili; - capillari fenestrati = non ci sono giunzioni strette, ma presentano sempre una lamina basale, quindi sono mediamente permeabili; - capillari continui (es. cervello) = le cellule presentano giunzioni strette, una lamina basale e spesso il capillare è rivestito da cellule gliali che ne riducono ulteriormente la permeabilità. Flusso ematico: quanto più un determinato organo è irrorato, cioè quanto più è abbondante la rete capillare, tanto più veloce è l'arrivo del farmaco all’organo: polmoni, cuore, fegato, reni e muscoli sono organi ad alta perfusione, cute e ossa sono invece organi a bassa perfusione. Presenza di barriere anatomiche: le principali barriere che limitano il passaggio di sostanze xenobiotiche sono la barriera emato-encefalica e la barriera placentare. Ancora oggi l’arrivo del farmaco al feto è di difficile previsione, per questo se ne sconsiglia l’utilizzo in gravidanza e se è necessaria l’assunzione consultare il medico. Ad oggi infatti nello sviluppo di un farmaco non è obbligatorio valutare l’effetto teratogeno perchè la barriera placentare degli animali da sperimentazione è molto diversa da quella umana, e rende gli studi poco predittivi di quello che potrebbe accadere nell’uomo. Negli Stati Uniti comunque vengono fatti studi pre-clinici sulla teratogenicità e i farmaci 13 vengono classificati sulla base dei risultati ottenuti sugli animali da sperimentazione, è poi a discrezione del paziente e del medico procedere o meno con la somministrazione. La storia della Talidomide ha portato all’introduzione della farmacovigilanza, perchè fece molti danni in Europa in quanto non vennero considerati (appunto perchè non esisteva ancora la farmacovigilanza) gli effetti sui feti nati da donne che l’avevano assunta. Negli Stati Uniti non ci furono riscontri dannosi perchè l’FDA non diede mai l’autorizzazione alla commercializzazione della Talidomide. Per quanto riguarda invece la barriera emato-encefalica è condivisa in tutti i pazienti che assumeranno i farmaci e tra uomo e animali da sperimentazione. In questo caso le cellule dell'endotelio vascolare sono caratterizzate dalla presenza di giunzioni strette arricchite dalla presenza di altre cellule che collaborano nella formazione della barriera: i periciti e gli astrociti. Se il farmaco non è diretto al SNC, bisogna sfavorire il suo arrivo nel SNC modificando caratteristiche di liposolubilità, infatti la valutazione del passaggio della BBB è uno dei primi studi che si eseguono su nuovi farmaci per definire la potenziale neurotossicità. Se il farmaco è diretto al SNC, questa barriera dovrebbe essere più facilmente superabile da farmaci estremamente liposolubili, mentre per farmaci più idrosolubili il farmaco deve sfruttare altri sistemi, come recettori per molecole endogene (es. nutrienti) che riconoscono anche il farmaco. In realtà ne il grado di lipofilia ne l’affinità per i trasportatori è in grado di garantire che il farmaco arrivi al SNC nella concentrazione sufficiente per espletare l’effetto terapeutico. Il superamento della barriera ematoencefalica, oggi nello sviluppo di farmaci, è oggetto di numerosi studi. Ad esempio, la temozolomide è un farmaco utilizzato per i tumori cerebrali, in grado di passare la BBB ma soltanto in concentrazioni molto più basse di quelle somministrate, tanto che per avere un effetto devo somministrare dosi molto elevate che risultano tossiche per il resto dell’organismo. Ad oggi con metodi chimico-fisici si cerca di creare delle aperture transienti nella BBB, questo può essere fatto: - Utilizzando localmente soluzioni ipertoniche, che per osmosi portano al restringimento delle cellule endoteliali e quindi alla formazione di passaggi tra una cellula e l’altra. - Sapendo che la BBB diventa più permissiva quando si ha la febbre, una strategia potrebbe essere quella di creare ipertermia in una zona della BBB. - FUS (ultrasuoni focalizzati), che grazie all’energia degli ultrasuoni si creano aperture transienti tra una cellula endoteliale e l’altra, questa tecnica permette di ottenere aperture non generalizzate (che abbasserebbero il potere protettivo della BBB), ma localizzate nello spazio e nel tempo di trattamento. Ad oggi i FUS vengono associati all’utilizzo di microbolle gassose con un rivestimento organico che, date per via sistemica, per gravitazione riescono ad implementare l’azione dell’apertura della BBB causata dai FUS. Queste microbolle vengono utilizzate anche per veicolare il farmaco, anche anticorpi monoclonali. - È possibile modificare la formulazione del farmaco per favorire il passaggio della BBB. Ad esempio, il farmaco viene coniugato con CPP (peptidi penetranti le cellule) che sono in grado di guidare la traslocazione attraverso le cellule della barriera ematoencefalica. Ad esempio, ci sono nanoparticelle funzionalizzate con ligandi presenti a livello della BBB (es. transferrina) dal cui legame si promuove la transcitosi e quindi il rilascio del farmaco nel SNC. - Utilizzo di cellule vere e proprie per favorire il passaggio nel parenchima cerebrale, esse fungono da “cavalli di Troia”: le cellule della linea linfoide vengono caricate in vitro con il farmaco e rinfuse nel paziente, dato che molte patologie sono caratterizzate da uno stato 14 infiammatorio del SNC (es. Alzheimer), queste cellule verranno richiamate nel SNC dove rilasceranno il farmaco. È fondamentale sapere il prima possibile se il farmaco sarà in grado o meno di attraversare la barriera ematoencefalica. La situazione ideale prevede che il farmaco non sia in grado di attraversarla, soprattutto se il bersaglio non si trova nel sistema nervoso centrale. Ad oggi non esiste un sistema invoco, per poter valutare a priori il passaggio del farmaco attraverso la BBB durante la distribuzione, che sia altamente predittivo in vitro e che sia riproducibile ed economico. I metodi che vengono utilizzati oggi sono: - Monostrato di cellule endoteliali dei capillari cerebrali, fatte crescere su un sostegno microporoso, che permette di valutare il passaggio attraverso queste cellule, che però è poco predittivo. - Monostrato di cellule endoteliali coltivate in un mezzo di coltura condizionato prelevato dal terreno di coltura dei periciti e astrociti, mimando l’ambiente fisiologico. - Co-coltura non-contact di cellule endoteliali poste sullo strato poroso, mentre nella camera sottostante vengono coltivati gli astrociti, con lo scopo di capire come gli stimoli esercitati dalle cellule gliali possano modulare il passaggio del farmaco attraverso la BBB. - Co-coltura contact di cellule endoteliali e astrociti posti sullo strato poroso, che essendo quindi in contatto fisico riproducono meglio la BBB. - Tripla coltura utilizzando sempre un sistema transwell in cui le cellule endoteliali e i periciti sono poste in contatto nella camera superiore, mentre gli astrociti si trovano nella camera sottostante. Legame del farmaco alle proteine plasmatiche: per la maggior parte dei farmaci la proteina plasmatica verso cui possono mostrare un buon grado di affinità è l’albumina, tanto che viene considerata una reservoir dei farmaci. La quota libera rispetto alla quota legata dipende dall’affinità che ha il farmaco rispetto alla proteina plasmatica. Solo la quota libera è disponibile per la distribuzione, e quindi per poter attraversare le membrane biologiche, in quanto quando il farmaco si trova legato alle proteine non ha più quelle caratteristiche biologiche che gli permettono di attraversare le membrane. Molto spesso il legame che instaurano con il farmaco è reversibile: quando la quota libera viene impiegata nella distribuzione, si riduce la quantità netta di farmaco presente nel plasma, perturbando l'equilibrio tra il farmaco legato e il farmaco libero, spingendo la reazione verso il rilascio di farmaco da parte delle proteine plasmatiche fino a raggiungere un nuovo equilibrio. La quota di farmaco che rimane legato alle proteine è problematico sia perchè non viene immediatamente reso disponibile ai tessuti bersaglio ma anche perchè non può essere espulso facilmente. - Un farmaco è meglio che abbia una certa affinità per le proteine plasmatiche perchè altrimenti rischierebbe di distribuirsi talmente velocemente da non poter essere esposto per i tempi necessari al tessuto bersaglio (veloce distribuzione implica anche veloce eliminazione). Le proteine plasmatiche infatti controllano temporalmente la distribuzione del farmaco. - Un farmaco è meglio che non abbia troppa affinità per le proteine plasmatiche perchè può dare luogo a fenomeni di competizione con altri eventuali farmaci più affini o molecole endogene, causandone un rilascio nel circolo ematico non prevedibile. Dato che la dose del farmaco è studiata anche sulla base dell’affinità alle proteine plasmatiche, in questo caso si potrebbero avere repentini aumenti di farmaco libero nel sangue che potrebbero essere Tossici. Oltre che a ritardare l’accesso del farmaco al sito d’azione, la quota di farmaco che rimane legato alle proteine plasmatiche rallenta anche il processo di eliminazione (solo il farmaco libero può essere eliminato). 15 Il grado di legame di un farmaco alle proteine plasmatiche è espresso come rapporto tra la concentrazione del farmaco legato alle proteine plasmatiche e la concentrazione totale del farmaco nel plasma. Durante lo studio di nuovi farmaci tendiamo ad escludere farmaci con un forte legame alle proteine plasmatiche (rapporto > 0.9) e farmaci scarsamente legati (rapporto < 0.2). Il test per valutare l’affinità di legame delle proteine plasmatiche ad un farmaco prevede un sistema bicamerale separato da una membrana di dialisi, che sarà permeabile solo al farmaco libero ma non al farmaco complessato alla proteina. Viene quindi incubata una quantità nota del farmaco con il plasma umano, dopo un certo tempo di incubazione si instaura un equilibrio tra le due camere; valutando la quantità di farmaco nella camera priva di proteine siamo in grado di calcolare il PPB (plasmatic protein binding) cioè la percentuale di legame alle proteine plasmatiche: PPB = (1 - fU) * 100 ↓ fU = Cfree / Ctotal Si definiscono farmaci fortemente legati le molecole con un PPB ≥ 90%, mentre quelli scarsamente legati con un PPB ≤ 20%. Il parametro numerico che ci permette oggettivamente di capire se la distribuzione è buona o meno è il volume di distribuzione, che esprime la penetrazione tessutale di un farmaco in rapporto alla concentrazione del farmaco stesso nel plasma. Vd = M/C in L Dove: - M= quantità di farmaco totale presente nell’organismo espressa in mg, quindi la quantità somministrata - C= concentrazione plasmatica del farmaco espressa in mg/L Il volume di distribuzione viene definito apparente, perchè possiamo calcolarlo da un unico parametro oggettivo che è la quantità di farmaco presente nel plasma per mezzo di un prelievo di sangue, in quanto non è possibile determinare sperimentalmente la concentrazione di farmaco in tutti i fluidi extraplasmatici. Nel calcolo del volume di distribuzione apparente si utilizza un valore di concentrazione plasmatica che si estrapola dalla porzione rettilinea della curva di concentrazione plasmatica della somministrazione endovenosa del farmaco. La porzione rettilinea rappresenta la fase di eliminazione del farmaco. Un volume di distribuzione elevato, corrisponde ad una concertazione di farmaco nel sangue bassa, quindi all’equilibrio di distribuzione, il farmaco è maggiormente concentrato nei fluidi extraplasmatici. Contrariamente, il volume di distribuzione basso prevede un denominatore “alto”, cioè una maggiore distribuzione del farmaco a livello del plasma. La quota di farmaco nel sangue (C) utilizzata è quella di farmaco libero, in quanto è l’unica ad essere disponibile per la distribuzione e per l’eliminazione. L’emivita è un parametro che definisce quando un farmaco perdura nel sangue: un farmaco fortemente legato alle proteine plasmatiche, avrà una emivita lunga, che corrisponde ad un volume di distribuzione alto (se come C si usa il farmaco libero, che quindi sarà poco), questo corrisponde ad una maggiore concentrazione di farmaco nei fluidi extraplasmatici, infatti questo farmaco viene eliminato lentamente perché solo attraverso il plasma raggiunge gli organi escretori. I parametri emivita e volume di distribuzione sono infatti direttamente proporzionali se si utilizza come C la concentrazione di farmaco libero; dal prelievo di sangue però si ricava la 16 concentrazione di farmaco totale presenta nel plasma che, se utilizzato come tale nella formula del volume di distribuzione, darebbe volumi di distribuzione alti per farmaci che hanno una emivita bassa. Dalla concentrazione totale del farmaco nel plasma è possibile ricavare la concentrazione del farmaco libero conoscendo l’affinità di legame del farmaco alle proteine plasmatiche. Conoscendo i volumi entro i quali il farmaco si può distribuire: - Vd < 5L → il farmaco è sequestrato nel plasma (sequestro plasmatico del farmaco, non riesce ad essere distribuito) - Vd < 15L → il farmaco si distribuisce ai liquidi extracellulari, il che è favorevole per farmaci con bersagli extracellulari, mentre sfavorevole se il bersaglio è intracellulare - Vd > 15L → il farmaco si distribuisce ai liquidi totali dell’organismo, arrivando anche ai compartimenti intracellulari - Vd > 42L → il farmaco è sequestrato in un tessuto durante il processo di distribuzione, presenta probabilmente un forte tropismo tissutale METABOLISMO La fase del metabolismo è la fase che presenta una variabilità maggiore tra gli individui, e di conseguenza è quella meno prevedibile. Il metabolismo indica tutte le reazioni che determinano la modificazione chimica di un farmaco nell’organismo. La biotrasformazione dei farmaci ha un’importanza fondamentale per la cessazione della loro attività farmacologica e per l’eliminazione dall’organismo, in quanto tutte quelle caratteristiche che favoriscono l’assorbimento del principio attivo sono assolutamente sfavorevoli al fatto che il farmaco venga eliminato dall’organismo. Sede principale dei processi metabolici è il fegato per l’azione degli enzimi microsomiali delle cellule epatiche (a livello del REL). Altre sedi di metabolizzazione di minore importanza sono il rene, il polmone e l’intestino (dove ci sono enzimi biotrasformativi). Il metabolismo a livello epatico avviene generalmente attraverso due fasi, catalizzate da numerosi e differenti enzimi: 1. Reazioni di fase I = funzionalizzazione: reazioni chimiche che hanno lo scopo di aggiungere o mettere in evidenza, a livello della molecola di farmaco, un gruppo funzionale che rende il farmaco sufficientemente idrofilo per essere eliminato (es. -OH), o rende il metabolita adatto ad essere substrato di reazioni di fase II. Gli enzimi di fase I generalmente si trovano a livello del REL degli epatociti. 2. Reazioni di fase II = coniugazione: il metabolita di fase I viene coniugato ad una molecola endogena, generalmente amminoacidi, glutatione e acido glucuronico, a formare complessi che vengono eliminati tramite il rene (escrezione renale) o tramite la bile (escrezione epatica). Generalmente i coniugati con il glutatione che vengono facilmente filtrati a livello renale ed escreti attraverso le urine, mentre i coniugati con l’acido glucuronico seguono la via di eliminazione biliare, quindi attraverso il fegato ed escreti a livello intestinale. Gli enzimi di fase II generalmente si trovano solubili nel citosol degli epatociti. Raramente, il principio attivo può non subire la fase I di funzionalizzazione ed essere direttamente coniugato alle molecole endogene e quindi essere soggetto direttamente alle reazioni di fase II. In altri casi molto più rari viene saltata la fase II e già il metabolita di fase I è disponibile per l’eliminazione. A seguito del processo di biotrasformazione del farmaco, vi sono diverse tipologie di metaboliti: - Metaboliti inattivi = non posseggono attività biologica di qualsiasi natura, sono inerti dal punto di vista biologico (es. aspirina, acido acetilsalicilico). - Metaboliti attivi ma tossici = molto spesso, infatti, la tossicità dei farmaci è attribuibile ai suoi metaboliti e non al composto parentale. Es. paracetamolo: può andare direttamente incontro a una reazione di fase II, come la coniugazione con l’acido glucuronico; per la maggior parte delle volte però va incontro alla classica biotrasformazione che prevede la funzionalizzazione formando un metabolita di fase 1 che è il N-acetil-p-benzochinone, un 17 metabolita tossico, che fortunatamente sarà subito substrato di reazioni di fase 2, coniugato al glutatione a dare prodotti inerti che saranno escreti attraverso le urine. Ovviamente, in un processo di coniugazione con una molecola endogena, ad essere eliminato, oltre che il metabolita, è anche il composto endogeno, in questo caso il glutatione. Assumendo una quantità eccessiva di paracetamolo o non rispettando gli intervalli di tempo tra un’assunzione e l’altra, la quantità eccessiva da origine ad una quantità elevata di N-acetil- p-benzochinone in quanto il fegato non ha avuto il tempo di sintetizzare il glutatione per detossificare il fegato del metabolita tossico, per questo da epatotossicità. La posologia studiata previe il fenomeno di epatotossicità. - Metaboliti attivi non tossici = mantengono ancora l’attività farmacologica del composto parentale, che presenta ancora nella sua struttura chimica la porzione, detta farmacoforo, in grado di legare il proprio bersaglio terapeutico. L’effetto del farmaco quindi è più lungo nonostante l’emivita sia breve: il farmaco nel plasma non c’è, ma l’effetto farmacologico continua ad esserci. Per questo tipo di farmaci quindi il metabolismo del paziente ha un ruolo fondamentale nell’effetto farmacologico, quindi ci sarà una variabilità dell’effetto a seconda delle capacità metaboliche del paziente. È quindi rischioso sviluppare farmaci di questo tipo perchè la posologia terapeutica sarebbe troppo dipendente dal metabolismo che però varia da individuo ad individuo. Ad oggi non è obbligatorio valutare i metaboliti che vengono prodotti, questo si vede nelle fasi successive dello studio perchè in realtà spesso già sulla carta lo si può capire. - Metaboliti attivi che acquisiscono una nuova attività terapeutica Es. farmaco antidepressivo, che una volta che viene biotrasformato a livello epatico, da origine come metabolita principale ad una molecola che perde la capacità di legare il bersaglio responsabile dell’effetto antidepressivo del composto parentale, ma acquisisce un’altra attività farmacologica che in questo caso è antitubercolare e antibatterica. - Profarmaci = la biotrasformazione viene usata per convertire un farmaco inattivo in un principio attivo vero e proprio all’interno dell’organismo. Spesso si utilizza questa strategia quando non si può somministrare il principio attivo come tale. Ci sono tre problematiche che più comunemente portano a sviluppare un profarmaco, invece del principio attivo, e sono: 1. Problemi di assorbimento del principio attivo, così come tale, in particolare per somministrazione orale, poiché il principio attivo non riesce ad essere assorbito a livello intestinale. Somministrando il profarmaco per via orale si può sfruttare a nostro vantaggio l’effetto di primo passaggio epatico, nel fegato infatti il farmaco viene convertito nel principio attivo che andrà ad avere il suo effetto farmacologico. Si parla dunque di bioattivazione epatica. Es: la morfina ha problemi di assorbimento per la via orale, per questo viene formulata come profarmaco, ovvero la codeina, che a livello del fegato viene convertito nel principio attivo che è morfina. Il suo profarmaco infatti (codeina) è contenuto anche in molti sciroppi per la tosse, dove provoca effetti sedativi a livello del sistema nervoso centrale dello stimolo tossivo. 2. Problemi di distribuzione: tra le problematiche più comuni nel processo di distribuzione c’è il superamento della barriera ematoencefalica. Una strategia per far arrivare un farmaco al SNC è quindi quella di sviluppare un profarmaco che può superare la BBB e entrare nel SNC dove a quel punto ci sarà l’enzima che lo convertirà in farmaco attivo (si tratta di una bioattivazione extra-epatica). Es: Levodopa, è un profarmaco che viene utilizzato nel trattamento del morbo di Parkinson, una patologia in cui si ha la morte di neuroni dopaminergici, a seguito della quale non si produce più il neurotrasmettitore dopamina. Per cui l’idea è fornire come farmaco la dopamina stessa, che viene fornita come levodopa, un precursore naturale della dopamina che è in grado di superare la BBB. La levodopa viene convertita in dopamina dall’enzima decarbossilasi. Questo enzima non è però presente solo a livello del SNC, ma in quantità minori è presente anche perifericamente, andando a convertire la levodopa in dopamina ancora prima che superi la BBB. Per questo motivo ad oggi viene data la carbidopa, un associazione tra la levodopa e un inibitore della decarbossilasi che non passa la BBB, in modo tale che tutta le levodopa non venga convertita a livello periferico, e venga quindi convertita solo a livello del SNC. Questo è un esempio di formulazione multicomposta. 18 3. Problemi di tossicità del principio attivo, che dato nelle dosi efficaci ha effetti di tossicità, bisognerebbe dare dosi molto basse ma sarebbe praticamente inutile. Spesso si da quindi un pro-farmaco, questa situazione è tipica di farmaci antitumorali, che non devono avere una tossicità generale ma solo nei confronti delle cellule tumorali. Si avrà quindi una bioattivazione extra-epatica intratumrale. Es: Temozolomide, è un agente alchilante che metila il DNA delle cellule tumorali, ma può farlo anche sulle altre cellule del nostro organismo, per questo viene somministrato come pro- farmaco che viene attivato dal microambiente tumorale (es. pH, concentrazione O2). Per quanto riguarda il metabolismo, il parametro che ci permette, con esperimenti molto rapidi, eseguibili in vitro e riproducibili, di prevedere il quadro metabolico si chiama stabilità metabolica. Per prevedere la biotrasformazione del farmaco da parte degli enzimi epatici umani, vengono utilizzati come modelli di studio: - Epatociti umani, derivati dalla digestione del fegato umano con collagenasi e criopreservati per poi essere utilizzati in questi saggi in vitro. - Microsomi epatici, derivanti omogeneizzazione del tessuto epatico e sua centrifugazione a bassa velocità (circa 12.000 g), da cui si ottiene un pellet di scarto (costituito da nuclei, mitocondri,...) e un surnatante che viene chiamato frazione S9. Questo surnatante è costituito dalla frazione solubile delle cellule epatiche, cioè tutto il citosol, poi da frammenti di membrana del REL. Se poi volessimo separare ulteriormente il contributo degli enzimi di fase I e di fase II, si potrebbe ultracentrifugare la frazione S9 ottenendo un surnatante che sarà rappresentato solo dalla frazione citosolica degli epatociti e un pellet che è invece rappresentato dei microsomi, cioè frammenti di membrana del REL che dopo l’ultracentrifugazione si racchiudono a formare delle vescicole che vengono chiamati microsomi. Per valutare la stabilità metabolica utilizzo o gli epatociti o i microsomi o la frazione S9: - incubare il preparato con il principio attivo per un certo tempo, in genere 30 minuti - estrazione e analisi in cromatografia associata alla spettrometria di massa, che ha lo scopo di quantificare il farmaco/principio attivo rimasto immodificato Con questo test quindi non vado ad analizzare i metaboliti che si originano, ma calcolo la quantità di farmaco che rimane dopo l’incubazione. Il parametro che ricavo viene chiamato percent remaining, cioè la percentuale di farmaco immodificato che rimane dopo l’incubazione con i sistemi metabolizzanti (rispetto a quanto fornito inizialmente): % remaining = C30’ / C0 * 100 I composti saggiati vengono classificati in 3 fasce: - stabili = % remaining > 80%, indica che il metabolismo è troppo lento, c’è una permanenza troppo lunga nell’organismo; - moderatamente stabili = % remaining fra 30 e 80%, indica che il metabolismo è buono e quindi si può accettare per lo sviluppo farmacologico del farmaco; - scarsamente stabili = % remaining < 30%, indica che il metabolismo è troppo veloce, c’è un problema nel raggiungere il bersaglio molecolare alla concentrazione ottimale per un tempo sufficiente. 19 CITOCROMO P450 La maggior parte dei farmaci (circa il 90%) subisce come reazione di fase I una reazione di ossidazione mediata da uno specifico sistema enzimatico, il sistema del citocromo P450. Il citocromo P450 presenta un gruppo -eme, esso prende questo nome perchè assorbe la luce alla lunghezza d’onda di 450nm quando il ferro legato al gruppo eme di questa proteina si trova allo stato ridotto (Fe2+) e l’eme è legato al CO (monossido di carbonio). Il citocromo P450 è una monossigenasi, la reazione che catalizza permette l’introduzione di un atomo di ossigeno all’interno della molecola del farmaco dando origine al gruppo funzionale ossidrilico (OH) che rende il farmaco più idrosolubile. MECCANISMO: Il citocromo P450 allo stato di riposo presenta il ferro nel gruppo eme allo stato ossidato (Fe3+), in questa forma ha affinità per i suoi substrati, può legare il farmaco dando origine al complesso P450-farmaco. A questo punto, per poter essere in grado di legare l’ossigeno molecolare che serve nella reazione di ossidazione del substrato, l’Fe3+ deve ridursi a Fe2+: il donatore dell’elettrone è il NADPH e la reazione di riduzione è catalizzata dall’enzima NADPH-P450 reduttasi che trasferisce l’elettrone dal NADPH al citocromo P450. Così il citocromo è in grado di legare l’O2 formando un complesso ternario (citocromo P450 + farmaco + O2). A questo punto il citocromo riceve un altro elettrone proveniente o dal NADPH o dal citocromo b5. Nella reazione successiva, un atomo di ossigeno si complessa ai due protoni provenienti dalle reazioni di ossidoriduzione ed esce sotto forma di H2O, mentre l’altro atomo di ossigeno viene inserito nella molecola di farmaco a formare il gruppo ossidrilico. Il ferro, che è tornato nel suo stato ossidato (Fe3+), si dissocia dal metabolita ed è nuovamente disponibile per un nuovo ciclo. Nell’uomo esistono almeno 28 famiglie differenti di citocromo P450 (più di 60 geni) e ogni specifica isoforma differisce parzialmente per la specificità di substrato. Ogni isoforma viene identificata con una sigla che prevede: - prefisso CYP, che indica citocromo P450 - un numero, che identifica la famiglia di geni - una lettera, che identifica la sottofamiglia - un numero, che identifica il gene specifico e quindi l’isoforma specifica Le prime 3 famiglie di citocromo P450 sono poco conservate durante il processo evolutivo e sono deputate alla biotrasformazione epatica dei farmaci (e di tutte le sostanze xenobiotiche con cui entriamo in contatto). Le altre famiglie invece sono conservate durante il processo evolutivo e sono deputate al riconoscimento, al metabolismo e alla degradazione di moltissime sostanze endogene. La maggior parte dei farmaci, quasi il 40%, prevede l’intervento delle isoforme 3A4 e 3A5. Un’altra elevata percentuale di farmaci, quasi il 20%, subisce il metabolismo dall’isoforma 2D6. La variabilità che il metabolismo di uno stesso farmaco subisce in individui differenti è ascrivibile a fattori: Fisiologici: genere (la farmacologia di genere studia proprio la differente sensibilità ai farmaci tra uomo e donna), peso corporeo e età (la funzionalità epatica tra un giovane adulto e un anziano è molto diversa). Patologici: malattie che riguardano il fegato potevano spiegare il fatto che individui diversi, pur assumendo la stessa dose dello stesso farmaco, presentassero una capacità metabolica su questa molecola differente. Ambientali: l’assunzione di altre molecole come alcol, tabacco o altri farmaci, che possono in qualche modo alterare la funzionalità epatica e competere come substrati del citocromo P450. 20 Genetici: oggi sappiamo che l’elevata variabilità è dovuta soprattutto a fattori genetici, c’è un contributo importante dell’assetto genetico del paziente in relazione al gene che codificano per il citocromo P450 e le sue diverse isoforme. La farmacogenetica, branca della farmacologia, studia questi assetti genetici e quindi come le varianti alleliche di determinati geni possano influenzare la risposta a un trattamento farmacologico. Sulla base del diverso genotipo oggi si riconoscono nella popolazione 4 fenotipi di metabolizzatori differenti: - Metabolizzatori estensivi (EM): fenotipo che correla con un genotipo wild type perchè maggiormente presente nella popolazione. Sulla base di questa variante si effettuano i trials clinici. - Metabolizzatori ultrarapidi (UM): fenotipo con metabolismo accelerato dovuto alla presenza di varianti polimorfiche caratterizzate: - da una multiduplicazione genica; - da polimorfismo a singolo nucleotide che può interessare la regione del promotore del gene per cui la risultanza è un aumento dell’espressione e quindi dell’attività catalitica del citocromo P450; - da polimorfismo a singolo nucleotide nella regione codificate che può generare una variazione di un amminoacido che diminuisce il turnover della proteina. - Metabolizzatori intermedi (IM): fenotipo con un’attività catalitica ridotta rispetto a EM, dovuto alla presenza di varianti polimorfiche caratterizzate: - da polimorfismo a singolo nucleotide nella regione codificante per il sito catalitico, che riduce l’attività catalitica o l’affinità del substrato al sito catalitico; - da polimorfismo a singolo nucleotide nella reazione del promotore del gene per cui la risultanza è una diminuzione dell’espressione del citocromo P450. - Metabolizzatori Poveri (PM): fenotipo con un’attività catalitica addirittura quasi assente, dovuto alla presenza di varianti polimorfiche caratterizzate dalla presenza di varianti in omozigosi, oppure dalla presenza di un polimorfismo a singolo nucleotide che genera un codone di stop prematuro. Alcune varianti hanno una frequenza così elevata da dover definire fenotipicamente le capacità metaboliche dell’individuo in funzione della presenza di specifiche varianti. La dose convenzionale di farmaco è però stata studiata quasi esclusivamente sugli EM. La dose studiata allora sarà la dose che porterà ad una concertazione nel plasma tale che questa corrisponda all’arrivo del farmaco nella concertazione ottimale e per un tempo ottimale. Nell’allestimento della curva di concentrazione plasmatica, per ogni farmaco vengono identificati due valori di concentrazione plasmatica: - minima concentrazione attiva = minima concentrazione che il farmaco deve raggiungere per avere effetto terapeutico - minima concentrazione tossica = massima concentrazione plasmatica entro la quale il farmaco è tollerabile, oltre questa diventa tossico La distanza tra questi due valori di concentrazione plasmatica si chiama finestra terapeutica: per far si che la terapia sia efficace e tollerabile, la concentrazione plasmatica di farmaco deve essere mantenuta entro questi due valori. Ogni farmaco ha la sua finestra terapeutica; più la finestra terapeutica è ampia, minori saranno le conseguenze di variazioni della concentrazione plasmatica del farmaco. 21 La distanza tra questi due valori di concentrazione plasmatica è chiamata indice terapeutico: più grande è l’indice terapeutico, più il farmaco è sicuro. Oggi infatti si cerca di non mettere in commercio farmaci con indici terapeutici bassi. Se io dessi la dose convenzionale a un UM, in questo individuo questa dose sarà velocemente metabolizzata. Spesso perdiamo completamente l’effetto terapeutico perchè la concentrazione plasmatica del farmaco non raggiunge la minima concentrazione attiva, per questo vengono chiamati pazienti non responders. D’altro conto vengono prodotti molto rapidamente e in quantità molto elevate i metaboliti del farmaco: - se si producono metaboliti inattivi non tossici, non c’è nessun problema - se si producono metaboliti tossici, questi vengono prodotti in una quantità maggiore rispetto all’atteso, quindi posso avere effetti tossici non previsti - se si producono metaboliti attivi, dotati ancora della stessa attività farmacologica del composto parentale: - se ciò accadesse in un EM, la finestra terapeutica rimarrebbe molto simile: all’inizio avrò l’effetto dovuto al farmaco, poi quello dovuto al metabolita attivo - se ciò accadesse in un UM, il farmaco viene metabolizzato molto velocemente e, soprattutto se la finestra terapeutica è stretta, potrebbe facilmente superare la minima concentrazione tossica l’eliminazione dei metaboliti ancora attivi avviene alla stessa velocità tra UM ed EM. Se io dessi la dose convenzionale a un IM o PM, avendo questi individui un metabolismo rallentato, avrò un innalzamento della concentrazione plasmatica: il farmaco fa fatica ad essere metabolizzato quindi la concentrazione plasmatica del farmaco sfora la finestra terapeutica raggiungendo spesso la minima concentrazione tossica. L’efficacia terapeutica c’è comunque in questi individui, in quanto viene superata la minima concentrazione attiva. Più il metabolismo è rallentato più il farmaco non viene metabolizzato e neanche eliminato. Per cui non solo si innalza il picco della concentrazione plasmatica del farmaco, ma questo farmaco permane a queste concentrazioni per moltissimo tempo. Il tempo tra una somministrazione e l’altra è studiato per mantenere la concentrazione plasmatica del farmaco costantemente al di sopra della minima concentrazione attiva, altrimenti si perde l’efficacia terapeutica. Per i IM e PM quando viene somministrata la 2° dose di farmaco ho ancora molto farmaco presente nel plasma, aumentando ancora di più la probabilità di superamento della minima concentrazione tossica. Il metabolismo serve anche ad attivare un profarmaco: gli studi sulla dose convenzionale di profarmaco, che deve essere bioattivato dal metabolismo, vengono fatti in relazione a un metabolizzatore estensivo ottenendo così la concentrazione plasmatica del farmaco vero e proprio attesa e adeguata, cioè che sta nella sua finestra terapeutica, non del profarmaco ma dei metaboliti attivi che si ottengono. - Se do una dose convenzionale di un profarmaco a un individuo IM o PM, il mio profarmaco non riesce a essere convertito nel farmaco attivo, il quale avrà una concentrazione troppo bassa per essere ottimale nella finestra terapeutica e avere l'effetto terapeutico. Nei metabolizzatori intermedi o poveri quindi non avrò effetto terapeutico. - Se do una dose convenzionale di un profarmaco a un individuo UM, formano immediatamente alte concentrazioni del farmaco attivo, la cui concentrazione potrà superare la minima concentrazione attiva e quindi avremo l’effetto terapeutico. La durata può essere più breve del normale. È molto probabile però che la quantità di farmaco attivo che si produce superi la minima concentrazione tossica portando a un effetto tossico. Ad esempio: 15 anni fa un paziente ricoverato per una polmonite ha assunto codeina come sedativo per la tosse. Questo paziente, nonostante prendesse la sua dose posologica normale, è morto per overdose da morfina. Quando si sono valutati i livelli plasmatici, si è osservata la variazione nella curva e si è andati a genotipizzare il paziente, è stato infatti identificato come 22 metabolizzatore ultrarapido per varianti polimorfiche del CYP2D6, il quale è deputato nella biotrasformazione della codeina a morfina. Avendo la morfina un indice terapeutico basso, e quindi una finestra terapeutica molto ristretta, la minima concentrazione attiva è molto vicina alla minima concentrazione tossica. Quanto più i farmaci hanno finestre terapeutiche ampie, quanto più si limitano i rischi legati alle oscillazioni della concertazione plasmatica del farmaco dovuti alle varianti polimorfiche dei geni coinvolti nel metabolismo dei farmaci. Conoscere a priori la presenza di varianti nel paziente da trattare mi permette di: - metabolizzatore UM → somministro una dose più alta - metabolizzatore PM e IM → somministro una dose più bassa con lo scopo di far tornare le curve di concentrazione plasmatica all’interno della finestra terapeutica. Il sistema enzimatico del citocromo P450 può essere indotto o inibito dal trattamento farmacologico. Il fatto che un farmaco possa indurre questo sistema oppure possa inibirlo può essere facilmente determinabile in sede di sviluppo di una nuova molecola farmacologica, ed è talmente importante che oggi i farmaci induttori del citocromo P450 non vengono portati avanti nella sperimentazione. I farmaci vengono quindi classificati sulla base di essere induttori o inibitori del citocromo P450: - Induttori = aumentano l’attività enzimatica citocromo P450 dipendente, quindi aumentano il metabolismo. L’induzione si verifica solo dopo somministrazione cronica o ripetuta. L’induzione esercitata da tali farmaci ha sempre un effetto reversibile, anche se il ritorno ad un’attività enzimatica normale avviene molto lentamente. I meccanismi di induzione sono diversi, quali: aumento della sintesi proteica, promozione della stabilizzazione del mRNA (in questi due casi si forma una quantità maggiore di proteina) o diminuzione del turnover proteico. La tolleranza è definita come la diminuzione o addirittura la perdita dell’effetto farmacologico dopo somministrazione cronica di una dose terapeutica del farmaco. La tolleranza è una situazione in cui il paziente non ha più l’effetto terapeutico pur ricevendo la dose che all’inizio del trattamento era in grado di evocare l’effetto desiderato. La tolleranza è diversa dalla resistenza. La conseguenza principale dell’induzione enzimatica del citocromo P450 è l’aumentata velocità con cui avviene la biotrasformazione epatica dei farmaci, quindi aumentata velocità di formazione dei metaboliti e più veloce eliminazione del farmaco, si ha quindi una diminuzione della concentrazione plasmatica del farmaco (fino a non superare la minima concentrazione attiva), a parità di dose somministrata. Dopo somministrazioni ripetute del farmaco si osserva quindi una diminuzione degli effetti farmacologici qualora i metaboliti siano inattivi (tolleranza metabolica o farmacocinetica). Se la tolleranza è di natura farmacocinetica, ciò che si può fare affinché il paziente continui ad avere l’effetto terapeutico dato dalla somministrazione del farmaco è aumentare la dose del farmaco somministrata in modo tale da tenere sempre costante l’effetto del trattamento nel paziente, studiando quindi una dose che permetta di mantenere il farmaco all’interno della finestra terapeutica. Il limite da porsi nell’aumento della dose riguarda il fatto che il farmaco possa produrre metaboliti tossici. Se il farmaco producesse metaboliti attivi tossici la dose non può essere aumentata, perchè pur riportando la concentrazione plasmatica di farmaco nella finestra terapeutica i metaboliti tossici raggiungerebbero concentrazioni pericolose. In alternativa posso dare un inibitore del citocromo P450, riportando la velocità del metabolismo ad essere quella attesa, anche perchè l’induzione del citocromo P450 porta ad un metabolismo accelerato non solo del farmaco, ma di tutti i substrati anche quelli fisiologici dell’enzima. La tolleranza può avvenire anche con un secondo meccanismo, che coinvolge cambiamenti dell’interazione del farmaco con il proprio recettore (tolleranza farmacodinamica), generalmente dopo somministrazioni ripetute del farmaco il recettore si modifica (desensitizza) ad esempio fosforilandosi in modo da perdere la specificità per il farmaco. Se la tolleranza è di natura farmacodinamica è necessario sospendere il trattamento, in 23 quanto la continua somministrazione potrebbe portare alla down-regolazione del recettore. Sarebbe quindi ottimale alternare farmaci che hanno lo stesso effetto ma agiscono su bersagli molecolari diversi. Ad esempio, l’uso costante del Ventolin da tolleranza generalmente farmacodinamica, per questo è necessario fare periodi di sospensione per evitare la completa non responsività al farmaco. - Inibitori = diminuiscono l’attività enzimatica citocromo P450 dipendente, quindi riducono il metabolismo. L’inibizione si verifica dopo somministrazione acuta, quindi basta una sola dose di farmaco inibitore del citocromo affinché questo risulti inibito. L’inibizione può essere reversibile oppure irreversibile: è proprio il meccanismo di inibizione esercitato dal farmaco sull’enzima a determinare se il legame tra citocromo e farmaco ne permette la dissociazione. Il meccanismo di inibizione enzimatica che il farmaco può indurre può dar luogo ad un’inibizione competitiva o allosterica. Le conseguenze dell’inibizione metabolica sono: - Un prolungamento della durata degli effetti del farmaco il cui metabolismo è inibito, di conseguenza anche un rallentamento della sua eliminazione; - Un aumento dell’intensità degli effetti; - Un aumento della tossicità (numero e gravità degli effetti indesiderati), in quanto potrebbe facilmente raggiungere la minima concentrazione tossica. Ad oggi, i meccanismi conosciuti per cui i farmaci sviluppati possono agire da inibitore del citocromo P450 sono: - Inibizione reversibile (a) = il farmaco compete con altri substrati dell’enzima e ne diminuisce in tal modo l’attività catalitica, nel momento in cui viene a mancare il farmaco, il sistema funziona normalmente. - Inibizione irreversibile (b, c) = nel momento in cui viene a mancare il farmaco, il citocromo P450 è irreversibilmente inibito. Questi farmaci formano un complesso stabile con il citocromo, alterandone l’attività in maniera irreversibile. Lo sviluppo di questi farmaci viene abbandonato. - Inibizione quasi irreversibile (d) = si forma un complesso tra inibitore e citocromo che non è un legato covalentemente. Dal punto di vista formale il legame è scindibile, ma tale scissione del complesso e ripresa dell’attività del citocromo avviene dopo un periodo così lungo che, se pensiamo ad un azione in vivo nel paziente, in realtà è quasi una inibizione di tipo irreversibile. È necessario condurre due test diversi per l’inibizione e l’induzione in quanto l’induzione è esercitata solamente dopo una somministrazione ripetuta del farmaco, mentre l’inibizione si verifica già dopo una somministrazione acuta. Devo dunque mimare le due condizioni diverse anche nel test predittivo che utilizzo. Per il test di induzione è necessario utilizzare gli epatociti interi, in quanto ho bisogno di tutta la cellula perchè si possano osservare gli effetti di stabilizzazione dell’RNA oppure di diminuzione del turnover della proteina. Per il test di inibizione invece è possibili sia utilizzare epatociti interi, sia la frazione S9. In entrambi i casi vengono quindi somministrate diverse concentrazioni di farmaco per diversi tempi, dopo di che si rimuove il farmaco e si va a determinare l’attività del citocromo P450 con un test di attività enzimatica, aggiungendo un substrato del citocromo P450. Il test può essere condotto anche aggiungendo substrati per una specifica isoforma del citocromo P450, in modo tale da determinare non solo l’attività del citocromo in seguito al trattamento farmacologico, ma identificare quale isoforma è maggiormente variata. Se il farmaco ha determinato un’induzione si vedrà un aumento dell’attività enzimatica all’aumentare della concentrazione di farmaco messo all’inizio (sigmoide crescente). 24 Al contrario, se il farmaco ha determinato un’inibizione si vedrà una diminuzione dell’attività enzimatica all’aumentare della concentrazione di farmaco messo all’inizio (sigmoide decrescente). Per decidere se portare o meno avanti un farmaco inibitore del citocromo P450, si identifica innanzitutto sulla curva di riduzione dell’attività enzimatica da cui si ottiene il parametro che identifica l’effetto inibitorio di tali molecole, chiamato IC50 = concentrazione del farmaco in grado di inibire l’attività dell’enzima del 50%. Confrontando IC50 tra diversi formaci con la ED50, cioè la dose in grado di dare il 50% dell’effetto massimo possibile. Se la IC50 è vicina all’ED50, il farmaco sarà scartato perchè la concentrazione che serve per avere un effetto farmacologico è vicina a quella che da una inibizione del metabolismo. Se sono distanti invece, un inibitore metabolico reversibile può essere portato avanti nella sperimentazione. ESCREZIONE La maggior parte dei farmaci vengono eliminati dall’organismo seguendo due vie principali di eliminazione: la via renale e la via epatica. Esistono delle vie di eliminazione dei farmaci definite “secondarie”, non in quanto meno importanti dal punto di vista della loro capacità di eliminare i farmaci, ma perchè solo una quantità molto piccola di farmaci o metaboliti vengono eliminati attraverso queste altre vie: polmonare, intestinale, cutanea, salivare, lacrimale, mammaria. La via mammaria assuma un ruolo importante per le donne in allattamento. In genere l’allattamento è sconsigliato se un farmaco ha un rapporto di concentrazione latte / plasma intorno ad 1. Questa valutazione si basa sul diverso pH di plasma (7.4) e latte 7.1). La maggior parte dei farmaci che vengono secreti per via mammaria, in base alla loro struttura chimica e alla struttura chimica dei metaboliti, sono farmaci antitumorali. Anche le sostanze d’abuso tendono ad essere secrete nel latte materno per il loro carattere lipofilo (es. eroina, cocaina, anfetamine, THC). La via cutanea consente l’eliminazione del farmaco attraverso gli annessi cutanei come i capelli, consentendo di avere un monitoraggio molto lungo, fino a 6 mesi. Un farmaco sarà infatti presente nel sangue per poche ore, e nelle urine fino a 3-4 giorni. Si taglia quindi il capello dal bulbo pilifero e lo si analizza a pezzettini di 1 cm: si determina in tali campioni la presenza del metabolita o del farmaco eliminato anche mesi dopo l’assunzione dello stesso, in funzione della lunghezza del capello. Queste analisi sono utili in ambito forense per identificare l’assunzione di sostanze d’abuso, ma anche in ambito farmacologico quando deve essere valutata l’aderenza (cioè se il paziente assume il farmaco) per trattamenti s

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