Domande Orale Esame PDF
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Questo documento contiene domande sulle funzioni della teoria della mente (TOM) e il loro sviluppo nei bambini. Copre diversi aspetti di TOM, come la capacità di attribuire stati mentali a sé stessi e agli altri, la previsione del comportamento e la comprensione dei sentimenti altrui. Il documento esamina anche gli approcci teorici, come l'approccio theory-theory, l'approccio della simulazione e l'approccio modulare allo sviluppo della TOM. Inoltre, questo documento discute i motivi per cui è importante studiare lo sviluppo della teoria della mente nei bambini sordi e quali sono le differenze con bambini con disturbi dello spettro autistico. Le informazioni su approcci teorici e le questioni specifiche sui bambini sordi e autistici indicano che il documento potrebbe provenire da materiale accademico.
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1. Domande orale esame Definizione e funzioni Tom: Possedere una teoria della mente significa essere in grado di attribuire stati mentali a sé stessi ed agli altri e di prevedere il proprio e l’altrui comportamento. Quest’abilità è usata nella vita quotidiana da tutti durante il contatto con gli alt...
1. Domande orale esame Definizione e funzioni Tom: Possedere una teoria della mente significa essere in grado di attribuire stati mentali a sé stessi ed agli altri e di prevedere il proprio e l’altrui comportamento. Quest’abilità è usata nella vita quotidiana da tutti durante il contatto con gli altri. La TOM si può distinguere in TOM FREDDA E TOM CALDA, la prima riguarda l'uso della tom per l'ottenimento dei propri obiettivi usando inganno o comportamento macchiavellico. La seconda riguarda l'uso della tom per interpretare i sentimenti ed emozioni altrui e quindi condurre una vicinanza psicologica. La tom ha varie funzioni: -Una prima funzione della TOM è quella SOCIALE, infatti la capacità di compiere complesse attribuzioni mentali permette di spiegare, di predire e di agire sul comportamento proprio ed altrui. Senza questa comprensione sociale non saremmo in grado di interpretare le azioni o potremmo comprendere gli altri solamente con i movimenti del corpo e sul significato letterale di cosa ci viene detto. -Una seconda funzione tom è quella ADATTIVA per il bambino. Attribuendo stati mentali ad altri il bambino non solo rende significativo il comportamento altrui, ma lo rende anche PREVEDIBILE. Fonagy sostiene che il bambino, sulla base di esperienze precedenti di interazione con l'altro, crea una molteplicità di modelli rappresentazionali di sé e dell'altro, che gli consentono di utilizzare, in maniera adattiva, nello specifico scambio interpersonale, il comportamento più appropriato alla situazione - Le capacità mentalistiche permettono al bambino di sviluppare la consapevolezza e la riflessione su di sé, il bambino diventa in grado di riflettere sui propri processi mentali, la fallibilità delle proprie credenze, la fonte delle proprie conoscenze e di pensare prima di agire. -Altra funzione è quella PROTETTIVA, per soggetti con percorsi evolutivi critici e difficili. Considerando un caso di abuso, Fonagy sostiene che l'abilità di mentalizzazione possa portare il bambino a distinguere il proprio sé dall'altro. Quindi partendo dalla credenza che il rifiuto ed il comportamento abusante del genitore possano essere determinati da stati mentali del caregiver non connessi al proprio sé, il bambino, attraverso la funzione riflessiva, diventa in grado di moderare l'effetto di tali esperienze negative, non essendo costretto ad accettare una visione o immagine negativa del sé. Nei soggetti autistici si parla di uno SPECIFICO DEFICIT METARAPPRESENTAZIONALE. Essi presentano non solo gravi difficoltà di comprensione degli stati mentali propri ed altrui, ma anche sensibili ritardi e carenze a livello dei precursori della teoria della mente, quali la condizione dell'attenzione, la comprensione degli scopi, il gioco di finzione. Risulta, per i soggetti autistici, particolarmente complesso concepire la mente propria ed altrui in termini di stati mentali, essi possono essere capaci di comprendere dei meccanismi fisici complessi ma incontrano seri problemi nel superamento di compiti volti ad indagare la comprensione della mente. 2. Approcci teorici classici: I principali approcci teorici riguardo lo sviluppo della teoria della mente sono: -APPROCCIO THEORY-THEORY: Nell'approccio Theory-Theory l'elemento caratterizzante è dato dall'analogia rintracciata tra lo scienziato che elabora la propria teoria ed il bambino che, come un piccolo scienziato, elabora la propria teoria della mente. Gli stati mentali sono considerati come principi teorici astratti, quindi non osservabili, che consentono al piccolo di costruire una teoria, con leggi e concetti annessi, in grado di consentirgli una spiegazione e predizione dei comportamenti in termini di stati mentali -APPROCCIO DELLA SIMULAZIONE: L'approccio della Simulazione concepisce la comprensione della mente come abilità di simulazione mentale. Il bambino immagina di provare un determinato desiderio o di possedere una determinata credenza come se fosse al posto dell'altra persona e prevede, sulla base di tale simulazione, le azioni che potrebbero seguire nel comportamento di quella persona. -APPROCCIO MODULARE: L'approccio Modulare sostiene una visione innatista dello sviluppo della teoria della mente, affermando l'esistenza di specifici moduli di elaborazione dell'informazione che si attivano e funzionano in maniera automatica, rigida, stereotipata, secondo tempi e modi indipendenti dalle esperienza dell'individuo quindi considerano l'ambiente come semplice input per l'attivazione di sistemi. A sostegno di questo approccio si porta spesso in luce i risultati degli studi sui soggetti autistici. 3. Perché studiare tom nei soggetti sordi: Le motivazioni Teoriche dello studio possono essere ricondotte a due questioni: L'interesse verso il processo sottostante lo sviluppo della capacità di Mentalizzazione; La specificità del deficit di mentalizzazione nel bambino autistico. La prima motivazione è legata alla contrapposizione tra: Chi sostiene che la Tom sia qualcosa di innato determinato da specifici moduli; Chi sostiene che per lo sviluppo della Tom è rilevante avere esperienze sociali di vario tipo. Data la difficoltà conversazionale dei bambini sordi, essi si associano ai bambini autistici. L'altra motivazione è legata alla questione se la difficoltà nel raggiungere le competenze mentalistiche sia solo un probelma del bambino autistico oppure anche condiviso da bambini con altri handicap. Le Motivazione Pratiche dello studio sono di ordine riabilitativo ed educativo. Il bambino sordo a causa del deficit non può avere scambi comunicativi ma questo lo blocca dal perfezionare la tom e quindi a sua volta non avere scambi comunicativi. 4. Definizioni e precursori Tom: Prima dei quattro anni, sono presenti delle strutture che preparano la comparsa della teoria. Già durante i primi DUE ANNI acquisiscono delle competenze che si configurano come PRECURSORI. Alcuni di essi sono: l’intenzione comunicativa dichiarativa, il gioco simbolico, la comprensione della percezione visiva. Secondo CAMAIONI, quando il bambino usa il gesto di indicare per condividere l’attenzione dell’adulto agisce sulla soggettività dell’altro, cioè non tratta l’altro come mezzo per raggiungere uno scopo, INDICARE PROTOIMPERATIVO, ma come soggetto dotato di uno stato mentale che è possibile influenzare, INDICARE PROTODICHIARATIVO, l’indicare è cioè funzionale ad attirare l’attenzione dell’adulto, influenzare il suo stato interno. Attorno ai DUE ANNI di età si ritiene che faccia la sua comparsa il pensiero metarappresentativo con l’inizio del gioco simbolico o di finzione. Quando il bambino “fa finta di” usa un oggetto per rappresentarne un altro, oppure attribuisce ad un oggetto proprietà immaginarie, o immagina oggetti inesistenti. Anche la comprensione della PERCEZIONE VISIVA viene considerata una competenza che precede la costruzione della teoria della mente. FLAWEN sostiene che verso i DUE ANNI E MEZZO il bambino si rende conto che un oggetto può essere percepito da lui ma non da un’altra persona, a nove mesi è in grado solo di comprendere che un oggetto percepito visivamente può essere condiviso, a diciotto che un oggetto non visto continua ad esistere. A DUE ANNI il bambino inizia ad utilizzare termini per descrivere i desideri e le emozioni di sé e dell’altro. A partire dai TRE ANNI il bambino è in grado di comprendere le vere credenze, ossia quelle corrispondenti alla realtà, utilizzano termini riferiti alle credenze utili per gestire le relazioni con gli altri. In questo momento il bambino comprende che le persone compiono determinate AZIONI perché CREDONO di poter realizzare i propri DESIDERI. A QUATTRO ANNI il bambino arriva a comprendere che l’azione di una persona può essere determinata da una credenza falsa da questi posseduta. 5. Perché si studia tom nei soggetti ciechi: Ciò che maggiormente spinge gli autori ad indagare e studiare lo sviluppo di TOM nei soggetti ciechi è determinato da varie motivazioni. Prima fra tutti sono le similarità che sono state evidenziate negli anni tra bambini autistici e non vedenti: come difficoltà sociale e comunicativa, comportamenti stereotipati, rituali, manierismi, difficoltà nel pensiero astratto. Ciò nonostante, i bambini ciechi possono arrivare a costruire delle rappresentazioni anche in mancanza della vista , attraverso altri canali sensoriali, quali il tatto e l’ascolto. Alcuni studi riportano interviste ad adulti ciechi in grado di definire con successo concetti mentalistici come “accorgersi”, “fissare”, questo significa che anche una persona non vedente può arrivare ad una comprensione della mente altrui, seppure in ritardo. Altro motivo che giustifica l’interesse per lo studio della teoria della mente nelle persone non vedenti è legato allo studio dei precursori nello sviluppo della capacità di mentalizzazione. L’assenza del canale visivo sembra intaccare i precursori fondamentali, la vista è infatti considerata un elemento fondamentale per la comprensione degli stati mentali altrui, gli oggetti che lo circondano. Anche per il bambino non vedente compare il gioco simbolico, a tre anni circa, quindi con molto ritardo rispetto ai 18 mesi del bambino vedente. 6. Mind-mindedness: La mind-mindedness è il termine usato da Elizabeth Meins per descrivere la propensione della madre a trattare suo figlio come agente mentale, piuttosto che semplicemente come una creatura con bisogni che vanno soddisfatti, usando termini legati a stati mentali. Quindi per riuscire ad interpretare adeguatamente i segnali del bambino bisogna dapprima. Anche se lei sottolinea che per considerare il figlio come agente mentale non basta considerarlo come in grado di avere un’intenzione, dei propri desideri, pensieri e motivazioni. Considerare il figlio come agente mentale significa considerarlo capace di possedere delle rappresentazioni della realtà. Secondo la ricercatrice la Mind Mindedness favorisce lo sviluppo dell’attaccamento sicuro nel figlio. 7. Gioco simbolico e imitazione differita cosa sono e perché precursori della tom: Nell’imitazione differita il bambino riproduce nei suoi comportamenti qualcosa che ha visto ore o anche giorni prima, mentre nel gioco simbolico il bambino usa un oggetto per rappresentarne un altro, oppure attribuisce ad un oggetto proprietà immaginarie, o ancora, immagina oggetti inesistenti. Essi sono precursori della tom perché aiutano il bambino a percepire la differenza fra realtà e finzione e per mettersi nei panni dell’altro concependolo come soggetto mentale capace di avere pensieri, emozioni e desideri. 8. Modello diretto di fonagy cosa dice: Secondo il modello diretto di Fonagy la sicurezza dell’attaccamento genera di per sé comprensione psicologica. Le esperienze con la madre creano il terreno per la nascita della teoria della mente. La madre si presenta come la più sensibile a riconoscere ed a rispondere adeguatamente ai bisogno segnalati dal figlio. Quindi il bambino riconosce alla figura materna la capacità di assorbire, contenere le emozioni positive e negative del bambino e restituirle elaborate, metabolizzate, questo processo viene detto Rispecchiamento Materno. L’incapacità della madre di svolgere questa funzione obbliga il bambino a vivere situazioni emotive troppo intense che bloccano la costruzione del sé. 9. Tappe evolutive della tom: Anche se a 4 anni il bambino possiede la teoria della mente secondo gli studiosi esiste un continuum nell’evoluzione della tom infatti i bambini durante i primi due anni di vita acquisiscono dei precursori della tom che mettono le basi per la comparsa dell’abilità, alcuni di essi sono l’intenzione comunicativa dichiarativa, il gioco simbolico e la comprensione della percezione visiva. Successivamente dai due anni il bambino inizia ad operare dei termini per descrivere i desideri e le emozioni di sé e dell’altro comprendendo che i desideri motivano e regolano l’azione. Solo a partire dai tre anni il bambino è capace di comprendere le vere credenze, ossia quelle corrispondenti al dato di realtà. Il piccolo riesce a comprendere che le persone compiono determinate azioni perché credono di poter realizzare i propri desideri. A quattro anni il bambino arriva a comprendere che l’azione di una persona può essere determinata da una credenza falsa cioè non corrispondente al dato di realtà. A questa età il bambino è in grado di padroneggiare le credenze di Primo ordine, ossia un pensiero in cui una rappresentazione è inclusa in un’altra rappresentazione, si parla di metarappresentazione: “Io penso che tu pensi x”. La tappa successiva coincide con la comprensione della falsa credenza di secondo ordine, un pensiero più complesso in cui una metarappresentazione ne contiene un’altra “Io penso che tu pensi che x pensi z” La tappa finale è detta mentalistica avanzata, si presenta dagli 8 anni in poi, dato che la teoria della mente non si ferma, ma continua ad evolversi. 10. Inserimento al nido: Iniziamo col dire che ovviamente l’inserimento al nido può essere un esperienza stressante per il bambino, infatti all’inizio della frequentazione si verifica un innalzamento del cortisolo detto anche ormone dello stress, questo succede con la stessa frequenza nei bambini con attaccamento sicuro ed insicuro, tutto ciò fa capire che finché il bambino non si adatta le separazione ripetute possono modificare le aspettative riguardo la disponibilità del genitore. Questi disagi si manifestano principalmente quando i bambini vanno al nido intorno ai 12 mesi dato che a questa età sono più consapevoli della separazione. Un modo per ridurre questi disagi è l’essere in grado, da parte del genitore, di sostenere il bimbo nell’inserimento al nido rimanendo con lui aspettando che si adatti in modo graduale, anzi una caratteristica tipica dei genitori che si manifesta dopo che il bimbo si è inserito nel nido è l’essere più presenti quando il piccolo è a casa perché temono che i nuovi legami di attaccamento con gli educatori del nido diventino più importanti anche se varie ricerche dimostrano che generalmente le principali figure rimangono sempre i genitori. Una delle ragioni che porta i genitori ad inserire il bambino al nido è quella di favorire la conoscenza con altri bambini, sopratutto se è figlio unico o la famiglia è piccola. Questa scoperta di un nuovo ambiente sociale del bambino consente di conoscere e gestire con sicurezza tante emozioni infatti anche situazioni conflittuali se gestite bene dall’educatore possono aiutare il bimbo a capire la differenza fra il proprio punto di vista e quello degli altri bimbi. Continuando a parlare di conflitti ovviamente il comportamento sociale del bambino viene influito dall’ambiente familiare. Per esempio i bambini provenienti da ambienti difficili sono più propensi a a reagire con rabbia o ansia, a sua volta il comportamento del bimbo influisce sul modo di reagire degli altri bimbi creando sensazioni di ansia e stress. 11. Esperimento della still face: L’esperimento della Still Face mostra in modo molto immediato la grande influenza che il comportamento del genitore ha sul bambino e come anche nelle prime settimane di vita essi abbiano delle strategie per affrontare problemi sociali lievi. Nell’esperimento della still face il genitore dopo una normale interazione faccia a faccia col bimbo smette bruscamente di reagire e per circa due minuti guarda il bambino con il volto immobile ed inespressivo, al termine, riprende il normale contatto. Generalmente il bambino se ne accorge subito dello stravolgimento dell’interazione e cerca di affrontare il problema, all’inizio tenta di coinvolgere il genitore poi, vedendo che ancora l’espressione è rimasta uguale, inizia a manifestare segni di proteste come dimenare le braccia o emettere suoni gutturali, se questi tentativi non funzionano i bambini potrebbero mettersi a piangere o chiudersi in se stessi. Altri bambini invece mettono in atto strategie per calmarsi come per esempio toccandosi la faccia, distogliendo lo sguardo e controllare ogni tanto il genitore. A livello fisiologico viene rilevato un aumento della frequenza cardiaca e del cortisolo. Infine quando il genitore riprende il normale contatto generalmente il bimbo impiega un po’ di tempo prima di tornare all’abituale comportamento sociale. 12. Autoregolazione: L’autoregolazione è una capacità che permette al bambino di adattarsi alle nuove situazioni e di impegnarsi in attività sociali e cognitive. Si sviluppa fin dai primi mesi di vita ed aiuta a contenere comportamenti aggressivi e migliorare la socialità. Il bambino può avere livelli diversi di autoregolazione influenzati da fattori genetici o prenatali come lo stress in gravidanza. L’interazione col genitore ha un ruolo cruciale nello sviluppo dell’autoregolazione 13. L’Autocontrollo: L’autocontrollo è una capacità intenzionale che richiede uno sforzo attivo per trattenere emozioni intense e comportamenti impulsivi. Emerge intorno alla seconda metà del primo anno di vita ed è fondamentale per avere comportamenti meno gratificanti nel breve termine ma migliori nel lungo termine. Per esempio obbedire alle regole e seguire i divieti. L’autoregolazione è un’abilità ampia che include emozioni, pensieri e comportamenti, l’autocontrollo invece si focalizza di più nel controllo degli impulsi 14. Stili genitoriali: Gli stili genitoriali sono stili di interazioni caregiver-bambino: i più studiati sono: lo stile ritirato, lo stile intrusivo e lo stile ansioso iperprotettivo. I primi due generalmente si presentano in condizioni avverse e che portano i caregiver ad essere completamente presi dai loro problemi mentre nel caso dello stile ansioso iperprotettivo esso si presenta quando il caregiver è estremamente ansioso. Nello stile ritirato il caregiver non risponde ai segnali del bambino o addirittura non li nota. Di fronte a questa lunga mancanza di contatto il bambino smette di cercare di coinvolgere il caregiver e di regolare il proprio stato e comportamento, così a sua volta il bimbo inizia ad isolarsi e provare disagio. La più grande conseguenza quando questo stile si protrae per mesi è che diventa molto difficile ristabilire un contatto col bimbo e quindi anche di favorire l’autoregolazione. Lo stile intrusivo invece si presenta principalmente quando il caregiver soffre di depressione o è in condizioni veramente difficili. Il caregiver qui forza il contatto col bimbo anche quando non è pronto per l’interazione provocando una grande disregolazione ed una difficoltà del bimbo di gestire e proprie emozioni e situazioni difficili creando spesso conflitti col bimbo data la sua mancanza di autoregolazione. Lo stile ansioso e iperprotettivo si presenta principalmente quando il caregiver soffre d’ansia. Qui esso potrebbe non accorgersi dei segnali del bambino a causa delle preoccupazioni a cui è concentrato o anche riversare la propria ansia sul piccolo. Il caregiver teme che il figlio non sia in grado di affrontare i problemi quotidiani vedendolo più vulnerabile di quello che è, danneggiando così il sistema di autoregolazione emotivo. Questa categoria di caregiver impedisce al figlio di imparare a gestire in modo autonomo le situazioni potenzialmente difficili, arrivando a far diventare a sua volta il bimbo molto pauroso. Tutto questo diventa un circolo vizioso dato che più il bimbo ha paura a risolvere le questioni autonomamente più il caregiver lo percepisce insicuro e bisognoso di protezione. 15. Lettura condivisa: La lettura condivisa è un’attività molto utile per lo sviluppo linguistico e cognitivo del bambino e per la preparazione alla lettura e scrittura. I libri per bambini hanno caratteristiche che aiutano la lettura ed a mantenere la concentrazione per esempio mostrano in ciascuna pagina un solo elemento senza dettagli elaborati sullo sfondo che potrebbero creare confusione sul tema principale. Inoltre, spesso i libri per bambini ripetono lo stesso tema per parecchie pagine attraverso illustrazioni. La ripetizione di elementi con piccole variazioni può aiutare il bambino a farsi un'idea delle caratteristiche distintive dell'immagine. Attraverso le immagini il bambino può essere aiutato a sviluppare concetti più complessi, come la causa di un evento, le intenzioni dei personaggi oppure le ragioni alla base delle diverse emozioni. I libri illustrati possono servire a far conoscere al bambino cose che non incontra nella vita quotidiana. Un'altra attività è la conversazione sui pensieri, le emozioni e le intenzioni dei personaggi, si è riscontrato che questo tipo di dialogo consente di prevedere la capacità del bambino di comprendere l'esperienza altrui. Un aspetto importante nei primi anni di vita è che la lettura con il genitore sia un'esperienza piacevole per il bambino, un'occasione per stare insieme con calore e affetto. Iniziando presto a leggere regolarmente insieme al bambino, i genitori sviluppano in poco tempo una sensibilità nei confronti del modo di reagire del bambino. In effetti, è stato dimostrato che, quanto prima si crea la consuetudine della lettura condivisa, tanto più spesso, in futuro la richiesta di leggere insieme partirò dal bambino. La lettura insieme di un libro può essere un'occasione per approfondire idee ed emozioni che non sempre potrebbero essere facili o “sicure” da esplorare nella vita reale. Anche i libri più semplici per i bambini di età inferiore ai 2 anni possono offrire un ricco materiale per affrontare in un contesto di gioco aspetti come la paura, la solitudine, o il cattivo comportamento, oltre che per provare meraviglia suspense, piacere e divertimento. Leggere insieme un libro è un'occasione unica per condividere nell'immaginazione emozioni e idee. 16. Addormentamento: Il sonno è l’ambito in cui il bambino ha spesso difficoltà nel gestire il proprio stato ed emozioni principalmente perché il bambino comunemente nei primi mesi di vita può avere spesso problemi ad addormentarsi. Per risolvere queste difficoltà è importante regolarizzare il ciclo del sonno: in primo luogo è utile mettere il bambino a dormire solo quando mostra segni di stanchezza, è utile anche creare una routine prestabilita che piaccia al bambino prima di metterlo a dormire. Molto importante per favorire la capacità del bambino di addormentarsi in modo autonomo è evitare un coinvolgimento attivo da parte dei genitori per esempio tenere in braccio il bimbo cullandolo finché non si addormenta, perché a lungo andare non riuscirà più senza il loro coinvolgimento. Ci sono vari modi per abituare il bambino ad addormentarsi da solo correggendo questa errata modalità, per esempio non rispondere ai pianti del bimbo aspettando che smetta, ma può essere emotivamente dannoso nel rapporto fra caregiver e bambino, infatti questo metodo può portare alla formazione di una relazione di attaccamento insicuro 17. Il cervello sociale e le relazioni: Anche il neonato è pronto fin dall'inizio a entrare in rapporto con gli altri, proprio come negli adulti, i volti hanno un ruolo fondamentale. A pochissimi giorni dalla nascita, i bambini mostrano una netta preferenza per forme che assomigliano al volto umano, rispetto a forme in cui i tratti del volto sono disposti in modo disordinato. Il contatto visivo è una delle modalità più efficaci di comunicazione. Fin da piccolissimi, i bambini, sono sensibili anche alla voce umana e girano la testa per sentire parlare una persona, preferendola al suono non prodotto dalla voce umana. I bambini mostrano una sensibilità straordinaria nei confronti del particolare linguaggio che gli adulti istintivamente impiegano per comunicare con loro( il cosiddetto baby talk, conosciuto anche come “maternese”). E nel giro di alcune settimane mostrano un'altra capacità notevole, ossia, quando vengono chiamati, reagiscono al suono del proprio nome. 18. L'imitazione nei neonati e i neuroni specchio: Poiché il neonato non ha mai visto prima il proprio volto, l'imitazione (che normalmente avviene quando è calmo e vigile) dipende dalla capacità di abbinare ciò che vede fare alla percezione dei propri movimenti facciali. Alla base di questo c'è il sistema di Neuroni Specchio, grazie al quale la sola vista di qualcuno che esegue un'azione induce nel nostro cervello gli stessi tipi di attivazioni presenti quando siamo noi a compierla. Questo sistema costituisce una base fondamentale per l'empatia. 19. Articolo: Confronto tra maschi neurotipici, maschi con disturbo dello spettro autistico, maschi con adhd: Secondo questa ricerca i bambini con ADHD possono capire il contenuto dei tradizionali compiti ToM di laboratorio. Ciò nonostante, questa competenza concettuale non riesce ad essere espressa nelle dimostrazioni del mondo reale della teoria della mente, che può essere data dalla disfunzione esecutiva. Al contrario, le difficoltà di ToM dei bambini con disturbo dello spettro autistico sembrano essere attribuibili a un deficit metarappresentativo più profondo. 20. Ruolo ZSP in tom: Elizabeth Meins sostiene che i processi mentali avvengono nelle interazioni precoci con il caregiver, in particolare in quelle incentrate sugli oggetti, all’interno della zona di SVILUPPO PROSSIMALE, ossia quel livello di sviluppo dato dalla differenza tra fra il livello di sviluppo effettivo, cioè quello che il bambino è in grado di fare da solo, e il livello potenziale determinato dalle abilità che il bambino esibisce quando viene sostenuto da un adulto o coetanei più capaci. E’ la sensibilità della madre di identificare la zona di sviluppo prossimale che permette al bambino di interiorizzare i processi mentali. Quindi considerare il bambino come soggetto mentale significa ritenerlo capace di possedere rappresentazioni della realtà e conseguentemente incoraggiarlo a comprendere se stesso e gli altri come agenti mentali. I figli di madri che sono capaci di rappresentare il bambino in termini mentalistici, piuttosto che in termini di comportamenti o di tratti fisici riescono a superare i compiti standard di comprensione della mente a 4 o 5 anni, questo significa che la maggiore abilità della madre nel sintonizzarsi con l’attività mentale del figlio le permette di presentare al bambino prospettive alternative della realtà, in un modo facilmente assimilabili dal bambino. 21. 3 gruppi di sordi e difficoltà nella tom: Per considerare gli effetti della sordità nei soggetti sordi bisogna prima distinguere fra ORAL DEAF o SIGNER. Il linguaggio dei segni è acquisito nel periodo scolastico, questo significa che nella prima infanzia i bambini soffrono di una privazione comunicativa. I NATIVE SIGNER, o sordi nativi, essendo figli di genitori sordi che padroneggiano il linguaggio dei segni hanno un accesso alla comunicazione che precede il periodo scolastico. Per le madri udenti il linguaggio dei segni diventa uno strumento per comunicare con i figli sordi, anche quando ben padroneggiato, solo di argomenti concreti e visibili, escludendo dialoghi sugli stati mentali. Fra i late signers e i native signers le migliori prestazioni sono offerte dai secondi che sviluppano il concetto di falsa credenza alla stessa età dei bambini udenti. La possibilità di comunicare con gli udenti in modo ordinario, senza ricorrere al linguaggio dei segni, secondo alcune ricerche comporta uno sviluppo normale della teoria della mente raggiungendo prestazioni quasi pari a quelle dei native signers e dei bambini udenti 22. Falsa credenza di primo ordine e compiti: La credenza di PRIMO ORDINE è un pensiero in cui una rappresentazione è inclusa in un’altra rappresentazione, si parla di metarappresentazione: “IO PENSO CHE TU PENSI”. Nei compiti di FALSA CREDENZA DI PRIMO GRADO, il bambino deve essere in grado di attribuire al protagonista di una storia una credenza falsa rispetto alla realtà e quindi di rappresentare il contenuto della mente dell’altro come diverso dal proprio. Esempio di compito di falsa credenza i primo grado: il bambino viene posto davanti a due bambole, Sally e Ann, con le quali viene rappresentata la seguente storia o gioco della finzione. Sally ha un cestino e Ann una scatola. Sally prima di uscire mette una pallina nel suo cestino e la copre con un fazzoletto. Una volta uscita Sally, Ann per dispetto prende la palla e la nasconde nella sua scatola. A questo punto al bambino viene posta la domanda di falsa credenza: Quando tornerà Sally dove andrà a cercare la palla? Dalla risposta del bambino si può comprendere se è in grado di comprendere gli stati mentali altrui (Sally, la cercherà nel cestino) o continua nell’errore realista determinato dall’incapacità di di decentrare il proprio punto di vista da quello dell’altro (Sally la cercherà nella scatola). 23. Falsa credenza di secondo ordine e compiti: La FALSA CREDENZA DI SECONDO ORDINE è un pensiero ricorsivo più complesso dove una meta rappresentazione è inclusa in un’altra: IO PENSO CHE TU PENSI CHE X PENSI Z, prova che viene superata generalmente attorno ai SEI/SETTE ANNI. Un compito per accertare l’abilità di comprendere questa falsa credenza è un racconto con conseguenti domande. Un bambino riceve dalla nonna delle caramelle, la mamma per evitare che faccia indigestione, in presenza del bambino, decide di metterle in un cassetto. Dopo che il bambino si è allontanato la mamma, pensando di non essere vista, sposta le caramelle in un altro posto. Arriva poi il fratellino che chiede al bambino dove sono le caramelle. Le domande saranno: Secondo la mamma, il bambino l’ha vista mentre spostava le caramelle? (FALSA CREDENZA DI PRIMO ORDINE); Secondo la mamma, il bambino dove dirà al fratellino che si trovano le caramelle? (FALSA CREDENZA DI SECONDO ORDINE). 24. Differenza fra mind mindedness e funzione riflessiva materna: Mentre la mind-mindedness è la capacità di considerare il proprio bambino un agente mentale con desideri e pensieri più che un oggetto con semplici bisogni. Il rispecchiamento materno è la capacità di assorbire, contenere le emozioni positive e negative del bambino e restituirle elaborate, metabolizzate. Tramite questo processo il bambino è in grado di riassorbire le sue emozioni in modo tollerabile, crescendo il bambino farà propria tale facoltà di contenimento dei propri stati d’animo, questa funzione consente al bambino di vedere nel caragiver il proprio stato mentale. L’incapacità della madre di svolgere questa funzione obbliga il bambino a vivere situazioni emotive troppo intense che bloccano la costruzione del Sé. 25. Influenza grandezza famiglia tom: Negli studi è stato possibile verificare che il numero di fratelli influenza positivamente le prestazioni del bambino nei compiti di falsa credenza, condizione sfavorevole è la condizione di figlio unico. Successivamente si è giunti ad affermare che la trasmissione della teoria della mente non avviene in modo generico da un fratello all’altro ma UNICAMENTE dal fratello maggiore a quello minore. 26. Stili Genitoriali: Gli stili genitoriali più studiati sono Ritirato, Intrusivo e Iperprotettivo Lo stile ritirato descrive un genitore poco responsivo e coinvolto nelle interazioni col bambino. Spesso le motivazioni possono essere difficoltà sociali o psicologiche o mancanza d’interesse. Questo stile impatta negativamente la crescita del bambino facendolo sentire trascurato, creando una difficoltà nel costruirsi un’idea positiva di sé stesso e sviluppando una forte insicurezza assieme ad una difficoltà di autoregolare le proprie emozioni. Lo stile intrusivo descrive un genitore che è eccessivamente coinvolto e che non rispetta i tempi ed i bisogni del bambino, impone la propria presenza e le proprie esigenze senza lasciare libertà di esplorare ed agire da solo. Il bambino viene impattato con una difficoltà ad autoregolarsi dato che impara a dipendere dal genitore per risolvere situazioni stressanti limitando anche lo sviluppo sociale. Lo stile iperprotettivo rappresenta un genitore che cerca di prevenire ogni possibile difficoltà disagio anticipando e risolvendo i problemi per lui, spesso si parla di un genitore estremamente ansioso. La crescita del bambino si paralizza perché gli viene limitato l’apprendimento per esperienza ed anche lo sviluppo dell’autonomia e della resilienza, il bambino può diventare insicuro e dipendere troppo dal supporto altrui