Arte del Tempo - De Vecchi e Cerchiari - Vol. 3 Tomo I e II PDF

Summary

Questo documento riassume il libro di De Vecchi e Cerchiari, "Arte nel tempo", Vol. 3 Tomo I e II. Il libro esplora le opere di Antonio Canova, Jacques-Louis David e Robert Adam, analizzando le loro rispettive interpretazioni dell'arte antica. Il testo discute i concetti chiave del Neoclassicismo e delle influenze dell'arte classica sulle opere d'arte moderne. È un testo accademico rivolto a studenti universitari.

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lOMoARcPSD|43303328 De Vecchi, Cerchiari, Arte nel tempo vol. 3 tomo I - II, riassunto Archeologia e storia dell'arte greca e romana (Sapienza - Università di Roma) Scansiona per aprire su Studocu Studocu non è sponsorizz...

lOMoARcPSD|43303328 De Vecchi, Cerchiari, Arte nel tempo vol. 3 tomo I - II, riassunto Archeologia e storia dell'arte greca e romana (Sapienza - Università di Roma) Scansiona per aprire su Studocu Studocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo. Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 L’ANTICO IN ANTONIO CANOVA, JACQUES-LOUIS DAVID E ROBERT ADAM Antonio Canova Canova nasce a Venezia nel 1757 e si trasferisce a Roma per completare la sua formazione. Qui approfondisce le teorie di Winckelmann, ricercando la nobile semplicità e la quieta grandezza, indicati dal critico tedesco come i valori fondamentali dell’arte antica. Conservando il virtuosismo tecnico che gli deriva dall’apprendistato veneziano, di influenza Rococò, si impegna nella creazione di forme in cui si incarni l’ideale neoclassico del Bello, delle forme da cui sia bandita la passionale torsione barocca e il panneggio superfluo: una forma che sia quindi in grado di rappresentare e trasmettere al tempo stesso sentimento e azione. Nel 1815 giunge a Londra, dove può ammirare i capolavori di Fidia portati in Inghilterra da lord Elgin: scrive che i grandi maestri erano i veri imitatori della natura, che queste opere non hanno nulla di esagerato né di duro. In questo modo sintetizza anche quella che è stata la sua ricerca perseguita in tutta l’attività di scultore: la comprensione e l’imitazione della natura, dell’arte classica, che è riuscita a far coesistere la “vera carne” con la “bella natura”, che nell’accezione neoclassica è depurata e ricomposta nei suoi elementi migliori. Azione e lotta sono i temi che attestano maggiormente la ricerca costante di nuove soluzioni formali in sintonia con gli assunti di Winckelmann. - Teseo sul Minotauro: abbandonata l’idea iniziale di rappresentare le due figure in combattimento, Canova si concentra nel momento che segue la lotta, il momento della vittoria ma anche della riflessione e della quiete. Il vincitore non è scosso da ira, i suoi muscoli non sono contratti dallo sforzo. - Ercole e Lica: questa volta Canova non rappresenta il riposo dopo la lotta ma affronta la rappresentazione dell’azione nel suo pieno svolgimento, nel momento in cui Ercole sta per scagliare Lidia. Il dramma però è depurato dalla crudeltà e dalla violenza del tema, in quanto i movimenti rendono l’azione non sofferta ma didascalica: Ercole si inarca come un lanciatore di disco, la scena è composta in una circolarità che chiude e schematizza l’azione. Un’altra componente determinante della sua produzione è l’adesione alla grazia razionale e sublime presente nelle opere di antichità classica. La grazia è intesa da Winckelmann non come sensualità Rococò ma come connotazione intrinseca di tutta la produzione classica; è quindi una qualità intellettuale, in cui far confluire gli aspetti leggiadri e sensuali del reale, che solo grazie al filtro e al controllo della ragione possono sollevarsi dal loro stato di frammenti e diventare Natura. - Amore e Psiche: è il gruppo che meglio esprime la sua adesione all’insegnamento di Winckelmann. Il soggetto è tratto da Apuleio, mentre lo spunto compositivo deriva da un dipinto di Ercolano. Le due figure si sfiorano appena, rapite in una reciproca contemplazione; la passione amorosa è sfumata, l’ideale neoclassico della Bellezza non è turbato dalla passione ma esaltato dalla contemplazione degli amanti. - Ebe: altro soggetto mitologico in cui Canova una grazia che eluda le grandi passioni e i forti sentimenti. Alle critiche, Canova risponde che gli sarebbe stato facile conferirle più espressione nel volto, ma avrebbe così sacrificato il bello e la Ebe sarebbe diventata una Baccante: Canova ribadisce dunque la determinazione di perseguire la “bella natura” degli antichi. Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 La veemenza con cui Canova difende la propria fedeltà all’antico come ideale del Bello è motivata dal fatto che i critici gli avevano preferito lo scultore danese Bertel Thorvaldsen, che nel 1802 lo aveva sfidato apertamente con la realizzazione della statua di Giasone, in cui si rifà al canone policleteo delle proporzioni umane, per creare una figura di robusta semplicità. Nella statua viene però a mancare ogni emozione e ricordo di una natura sensibile e sensuale, per quanto frenata dall’intelletto, come nelle opere di Canova. Jacques-Louis David Anche per David, il punto di partenza è un apprendistato di tendenza Rococò; a Roma, entra in rapporto con l’Accademia di Francia e incontra l’antico. L’esperienza romana lo spinge in direzione di un’arte capace di stimolare attraverso l’esempio del passato virtù morali e civiche; la sua è quindi una pittura di storia e utile alla storia, in grado non solo di raccontare, ma anche di proporre attraverso il racconto, l’esaltazione di virtù universali. - Belisario che riceve l’elemosina: dipinto nel 1778, al suo rientro in Francia; David raffigura il generale bizantino vecchio e cieco, abbandonato da tutti, in compagnia di un bambino che protende l’elmo per ricevere una moneta offerta da un passante. Il soggetto è reso con grande sobrietà di interpretazione: David trasforma un aneddoto in un insegnamento di valore universale sula caducità della gloria umana e sulla desolazione della vecchiaia. - Il giuramento degli Orazi: David rappresenta il momento in cui i tre fratelli giurano di sacrificare la propria vita per la patria; togliendo ogni accessorio aneddotico, David esalta le virtù morali e civili dei protagonisti, con l’uso di semplici mezzi compositivi e cromatici. L’azione si svolge davanti a un portico a tre archi, ognuno dei quali racchiude uno dei gruppi di personaggi che animano la scena. Le figure sono allineate sullo stesso piano, cosicché i gesti appaiano strettamente concatenati: i fratelli giurano la loro abnegazione, il padre ne congiunge le spade le donne piangono; quest’ultimo gruppo fa da contrappeso, con il suo abbandono emotivo, alla ferma energia sprigionata dalle altre figure. Nella composizione, la storia degli antichi viene ripresa per esaltare un mondo eroico di verità e valori; i contemporanei la percepiscono come la perfetta attuazione dello stile neoclassico, come la realizzazione di una pittura essenziale, capace di trasmettere messaggi educativi e patriottici. L’opera viene commissionata dalla Corona e con l’avvento della rivoluzione viene letta come esaltazione della fede repubblicana. - I littori riportano a Bruto i corpi dei suoi figli: commissionato nel 1789 da Luigi XVI. Bruto condannò i suoi figli perché colpevoli di tradimento verso la patria e gli intellettuali francesi vedono nel dipinto l’espressione più eloquente di rigorosi principi morali, della fede nella ragione, della volontà di sacrificare i propri sentimenti in difesa di una nuova idea di patria. Proseguendo la strada intrapresa con il Giuramento degli Orazi, David approfondisce l’indagine filologica dell’antico: ogni particolare è studiato per non lasciare il dubbio di una casuale ripresa archeologizzante dell’ambiente. - Giuramento della Pallacorda: presenta un esplicito messaggio politico. Il dipinto risale al 1790 ed è stato realizzato per commemorare l’atto formale di disobbedienza al re. Nel 1790 David è entrato nella vita politica aderendo totalmente alle idee rivoluzionarie, ha parte di primo piano nella vita artistica francese della rivoluzione, presto si affianca a Napoleone. Il Classicismo, di cui David appare il portavoce, rimane lo stile ufficiale dell’arte francese, sia che il Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 modello proposto dalla propaganda si identifichi negli ideali della repubblica che dell’Impero. Il dipinto storico appare direttamente collegato al presente, in quanto il significato politico e celebrativo diventa sempre più esplicito. - Marat assassinato: gli è stato commissionato nel 1793, subito dopo l’uccisione dell’“amico del popolo”. Gli elementi ambientali sono ridotti all’essenziale: compaiono la lettera di Carlotta Corday, il coltello che ha usato per uccidere Marat, il calamaio, le penne e lo scrittoio; ogni gesto è annullato nell’abbandono della morte. Marat emerge dalla vasca come da un sarcofago, avvolto in un sudario; la composizione lascia ampio spazio a uno sfondo senza connotazioni né di tempo né di luogo. - Sabine: viene realizzato nel 1794, ma i primi schizzi risalgono ai mesi di prigionia, il periodo più cruento della rivoluzione. Il dipinto è stato interpretato come una perorazione per la pace e la riconciliazione, ma il soggetto è reso con una debolezza ben lontana dall’essenziale drammaticità di Marat. Sembra quasi che l’aria non circoli e che i personaggi si muovano dando vita ad un’azione incruenta quanto meccanica. L’attenzione dedicata ai singoli personaggi nega all’evento narrato il carattere di esemplarità: l’antico si risolve qui con una resa accurata del particolare decorativo. È evidente la distanza emotiva che separa il soggetto ancora attuale dalla storia degli antichi. Per quanto celebrativa, l’opera si attiene a fatti e personaggi legati direttamente a Napoleone e sebbene il riferimento all’Impero romano sia costante, l’arte di David rimane comunque legata alla realtà contemporanea. Robert Adam Robert Adam nasce in Scozia nel 1728 da un architetto che faceva parte di un circolo di intellettuali di Edimburgo. Per Adam, l’adozione delle forme classiche passa attraverso la diretta e appassionata scoperta dell’antichità e dell’architettura e decorazione romana e pompeiana: è Roma quindi ad essere la sua fonte principale di modelli. Adam intraprende il rilevamento dell’architettura romana, dal Foro, alle Terme, al Pantheon, fino ad arrivare ad Ercolano e Pompei, che offrono con le loro decorazioni numerosi spunti. L’ispirazione agli antichi si traduce nella ricerca di un’armonia che connoti tutta la struttura architettonica e che crei un legame anche con gli arredi mobili, ornati con i motivi della decorazione romana parietale e vascolare (acanti, palmette, ghirlande). Tornato in Inghilterra inizia la propria attività non tanto come nella progettazione architettonica quanto nella ristrutturazione di interni. Nella hall di Harewood House realizza una sala dorica introducendo elementi di architettura e decorazione classica con un vivace accostamento di colori, mentre nella long gallery decora il soffitto co medaglioni in stucco e piccoli dipinti a carattere mitologico. A Kedleston House realizza un atrio scandito da un colonnato corinzio arricchito con statue poste entro delle nicchie. Viene poi chiamato a modificare l’edificio elisabettiano di Osterley Park: all’esterno si limita a sistemare l’ingresso a ovest e a costruire la loggia alla greca sul lato orientale; all’interno si dedica alla decorazione e all’arredo di tutti gli ambienti. La biblioteca è un esempio dell’unità di progettazione: la parte inferiore è occupata dalle librerie bianche che si inseriscono in un sistema architettonico scandito da semicolonne e pilastri ionici; la parte superiore delle pareti e il soffitto sono invece decorati con dipinti e stucchi a colori vivaci. Progetta inoltre la “stanza etrusca”, uno spogliatoio ispirato alla pittura vascolare antica, in cui ogni elemento è disegnato in modo da essere Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 legato l’uno all’altro: c’è ad esempio perfetta simmetria tra l’altezza della sedia e la fascia inferiore della decorazione parietale. Nell’anticamera di Syon House utilizza i motivi della decorazione classica con colori decisi, mentre nell’atrio crea un ambiente di grande sobrietà cromatica e decorativa. Nel salotto rosso, il motivo centrale è il soffitto, con raccordo a guscio, lavorato a rosoni di stucco e piccoli tondi dipinti. La varietà entro un disegno armonico e unitario rappresenta per Adam la prima qualità da perseguire, evitando la monotonia e l’inerzia della “casa rettilinea”; il movimento intende esprimere il salire e lo scendere, l’avanzare e il recedere nelle diverse parti dell’edificio; Adam si richiama inoltre agli schemi del Pittoresco, divenuti ormai canonici anche per la progettazione degli interni: servono infatti a produrre un contorno piacevole e diversificato, che crea una varietà di ombre e luci. Ricerca inoltre una diversa flessibilità dell’edificio e dunque una migliore distribuzione dello spazio. Dedica infine grande cura ai soffitti, a cui lega l’intera composizione di una stanza, tanto che spesso disegna personalmente i tappeti, che riprendono simmetricamente il motivo dei soffitti. I monumenti funerari di Antonio Canova Nel tardo Settecento il tema della morte è diventato oggetto di numerose composizioni artistiche; gli artisti neoclassici ricercano immagini di nobiltà d’animo e di eroica tranquillità, lontane quindi dalle tormentate composizioni barocche. Winckelmann è stato tra i primi ad indicare l’immagine serena che avevano gli antichi della morte, spesso associata al sonno e dunque spogliata delle connotazioni spettrali e dolorose. Questa immagine laica della morte si lega anche alle rinnovate riflessioni sull’immortalità nate dall’idea della memoria dei posteri. Le allegorie tardo barocche dunque scompaiono per lasciare posto ad un’immagine che sia in grado di mostrare, nella sua semplicità, il carattere della persona ricordata. Sulla stessa linea si muove anche Canova tra 1783 e 1787, per il monumento funerario di Clemente XIV, nella Basilica dei Santi Apostoli a Roma. L’opera riprende lo schema berniniano della tomba di Urbano VIII a San Pietro, ma abbandona la ricca ornamentazione e ogni espressione forzata; lo schema è così improntato su poche e grandi divisioni: su un alto zoccolo è posto il sarcofago e al suo fianco si trovano l’Umiltà e la Temperanza, non più figure allegoriche ma donne che piangono la morte del papa. In cima alla composizione c’è Clemente XIV in trono, in atteggiamento nobile e grandioso. Nel 1783 inizia anche il monumento funebre di Clemente XIII, collocato in San Pietro. Anche questo gruppo è governato da grande compostezza: il papa è inginocchiato sul sarcofago mentre ai lati Religione e Genio Funebre poggiano su due leoni assopiti. È proprio nel Genio della morte che sembra rivivere l’ideale artistico di Winckelmann, l’aspirazione alla pace dell’eternità nella sintesi tra bellezza e morte. Alla fine del secolo progetta anche il monumento funebre per Maria Cristina d’Austria, in cui un gruppo di figure si dirige verso la porta aperta nella piramide, che rappresenta la forma più antica del monumento sepolcrale; tra queste figure c’è anche la Pietà, rappresentata in atto di portare l’urna delle ceneri nel sepolcro; sopra la porta, la Felicità sostiene un ritratto di Maria Cristina, incorniciato da un serpente che si morde la coda, simbolo di immortalità; sulla destra, il Genio della morte si appoggia al leone della Fortezza. Il significato è semplice, ma viene arricchito dai personaggi che incedono verso il sepolcro: il bambino, la giovane donna e il vecchio, che indicano le tre età dell’uomo e che si avvicinano alla porta che indica sia la separazione tra la vita e la morte, sia tra la morte e la vita eterna. Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 Insieme ai monumenti funebri per grandi personaggi, Canova produce anche monumenti funebri dal carattere più intimo, per i quali l’artista riprende il tema delle steli funerarie. C’è forte assonanza tra la sua produzione e la poesia funeraria del periodo, in particolare con quella di Foscolo, che si manifesta nella stele funeraria di Giovanni Volpato, in cui la figura piangente di fronte al busto del defunto diventa un tributo alla sua memoria e ai suoi affetti. La tutela delle opere d’arte nell’attività di Antonio Canova Nel 1802 Canova viene nominato da Pio VII Ispettore Generale delle Antichità e delle Belle Arti dello Stato della Chiesa: inizia così la sua attività di controllo sulle opere d’arte nel Vaticano, concentrata in particolare sui criteri di restauro e sull’esportazione abusiva, per i quali sollecita una legge di tutela. Canova si schiera a favore della legittimità del restauro integrativo del frammento archeologico, purché l’integrazione rispetti lo stile, le proporzioni e la tecnica dell’originale. Questo tipo di restauro impedisce a chi osserva di sovrapporre la propria immaginazione alla realtà dell’oggetto e attira un maggiore pubblico, che è spesso respinto dall’aspetto incompleto di un’opera. Un altro problema importane di cui si occupa riguarda la spoliazione delle opere d’arte dei territori occupati dai francesi, raccolte per incrementare il Musée Napoléon a Parigi. Canova si schiera contro questa pratica e si impegna per frenare le asportazioni, sottolineando l’inscindibilità dell’opera dal luogo d’origine e dall’ambiente circostante. Questa sua riflessione però si scontra con l’entusiasmo circa il trasferimento da Atene a Londra delle statue del Partenone, che gli porta ad avere un dubbio anche sul restauro integrativo: i marmi di Fidia erano stati infatti esposti nello stato lacunoso in cui erano stati ridotti dal tempo e Canova ammette che nessun contemporaneo sarebbe stato in grado di restaurare quelle statue senza contraffarle. Il restauro deve quindi mantenere intatta l’essenza di un’opera, per cui va valutato caso per caso: ad esempio, il restauro dei gruppi frontonali provenienti da Egina è stato possibile in quanto non avrebbe alterato l’originale ma ne avrebbe resa più esatta la comprensione e la conoscenza. Nel 1815 rientrano dalla Francia la maggior parte delle opere trafugate da Napoleone e l’artista viene nominato delegato dello Stato Pontificio a Parigi per il recupero del patrimonio artistico, ma la confusione con cui si svolge la trattativa rende il suo operato in parte vano. Dopo la restituzione al Belgio e alla Prussia, viene accolta anche la richiesta di Roma a patto che le opere restituite servano a pubblica utilità. Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 EDUCAZIONE E DIFFUSIONE DELLE ARTI Nel Settecento viene riconosciuta la funzione sociale dell’arte; questa rivendicazione di un valore etico ed educativo porta la necessità di una capillare diffusione, per far sì che l’arte sia veramente operativa. Ne consegue quindi anche la diffusa richiesta di riproduzioni d’arte che facciano conoscere i capolavori del passato anche a chi non si può permettere di viaggiare; alle incisioni e ai calchi in gesso si affiancano anche le riproduzioni di progetti e disegni che illustrano l’arredamento di ambienti privati. L’illustrazione scientifica All’uso dell’incisione nella riproduzione di opere d’arte viene riconosciuto un ruolo determinante per diffondere il gusto dell’antico e le opere dei grandi maestri. A queste riproduzioni non viene richiesta una copia fedele dell’oggetto d’arte quanto piuttosto una sua traduzione, in cui emerga l’interpretazione dell’incisore. Quello della traduzione è l’unico strumento in grado di supplire alla mancanza degli identici mezzi espressivi con cui viene realizzata un’opera originale: colore, materia, spessore, possono essere suggeriti con varie tecniche incisorie, in grado di riprodurre in questo modo le qualità essenziali di un oggetto. Nonostante l’incisione presenti il carattere di libera interpretazione, è comunque in grado di permettere ad un’élite di intellettuali di giungere alla ricostruzione mentale dell’opera tradotta. Alle stampe viene addirittura riconosciuta la capacità di far conoscere i differenti stili delle scuole artistiche ancor meglio degli originali degradati; questo atteggiamento ottimistico è reso possibile dal fatto che le incisioni si rivolgono ad un pubblico preparato nel riconoscere nei chiaroscuri e nei tratteggi il riferimento ad una determinata tecnica e qualità pittorica. Progressivamente, la libertà interpretativa dell’incisore viene limitata per lasciar posto alla crescente esigenza di una documentazione figurativa fondata su criteri oggettivi. Questa nuova fase si delinea al passaggio tra i due secoli e trova la sua traduzione nell’impiego dell’incisione a contorni semplici, senza l’uso del tratteggio e degli effetti chiaroscurali. Il linguaggio della stampa resta comunque riduttivo rispetto al modello: a questa riproduzione parziale e insoddisfacente si contrappongono invece i gessi, che si pongono in rapporto con le statue con una fedeltà che la pittura non può richiedere alle incisioni. Ai calchi viene attribuita perfino una superiorità pedagogica rispetto all’originale: è considerato più semplice studiare sui gessi perché l’apprendimento passa attraverso una lettura puntuale dell’opera, evitando il colpo d’occhio e il coinvolgimento emotivo. Viene quindi ribadita la necessità del filtro della ragione. La riproduzione al servizio dell’ideologia Il coinvolgimento emotivo, considerato controproducente nell’apprendimento, connota invece la diffusione delle riproduzioni con funzione di propaganda politica. La potenza del sentimento come strumento di educazione morale e civica è esplicitamente riconosciuta nelle riproduzioni di opere a carattere sociale e politico. Questa potenza è individuata non tanto nella tecnica esecutiva quanto nel soggetto prescelto. Lo scopo delle immagini riprodotte è quello di diffondere un’iconografia immediatamente riconducibile ad un determinato ideale sociale e politico; particolarmente richieste sono le incisioni Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 dei dipinti di David. Le immagini che incarnano con più chiarezza lo spirito e il messaggio della rivoluzione sono riprodotte nella piena consapevolezza della loro importanza nella propaganda. L’artista rivoluzionario deve apprendere la lezione dell’antico, deve essere convinto assertore del rigore morale e deve avere grande conoscenza dell’uomo e della natura, per cui deve essere filosofo. L’utilità della diffusione di immagini per la propaganda politica è un concetto totalmente acquisito, di cui Napoleone tiene conto in maniera programmatica: ogni anno vengono riprodotte in marmo circa cinquecento copie del busto dell’imperatore, realizzato da Canova. Rispetto al periodo rivoluzionario quindi la copia non risponde solo all’esigenza di diffondere l’immagine di Napoleone, ma essa stessa costituisce un oggetto prezioso realizzato con materiali ricchi. La riproduzione dei disegni progettuali Nella seconda metà del Settecento si diffonde in Europa un’editoria che fa conoscere i disegni dei più famosi arredatori ed ebanisti, rivolta non solo a potenziali committenti ma anche ad artigiani. Gli incisori adottano una tecnica semplice, in grado di riprodurre sia una visione d’insieme, sia il particolare tecnico e decorativo di un oggetto. Queste pubblicazioni non erano una novità ma diventano sempre più frequenti e si presentano come dei veri e propri manuali del gusto. Anche in questo caso avviene il passaggio dall’incisione chiaroscurale all’incisione a tratto, passaggio che ha il semplice valore di dimostrare un aggiornamento con le ultime tendenze artistiche. In queste illustrazioni, piuttosto aride, senza ombreggiature o accenni di rilievo, l’elemento spaziale passa in secondo piano rispetto all’elemento decorativo. I musei L’intento didattico che pervade le teorie e le manifestazioni artistiche del XVIII secolo costituisce il fondamento su cui si edifica l’idea moderna di museo, inteso come raccolta di beni di proprietà dello Stato aperta al pubblico. Già da tempo le raccolte di sovrani e collezionisti sono visitabili, ma sono da un pubblico ristretto e conservando la connotazione di bene privato. Ora il museo prevede invece un totale inserimento del nuovo istituto all’interno della vita sociale e culturale della nazione; spesso nascono accanto ad Accademie d’Arte, cui offrono i modelli indispensabili per far esercitare gli allievi. Hanno infine il dovere di tutelare il patrimonio artistico. Già in ambito Illuminista si era formata l’idea della tutela come garanzia per formare le future generazioni e per la rigenerazione morale dell’individuo. Si fa inoltre strada l’idea di rendere i musei non solo i depositi per la conservazione ma i luoghi adatti ad una corretta visione delle opere, disposte secondo principi di semplicità e ordine, in contraddizione con le precedenti sistemazioni delle raccolte private. Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 IL PERIODO NAPOLEONICO In età napoleonica il mito dell’antichità sopravvive, ma non con intento educativo bensì propagandistico e celebrativo. Nel processo di allontanamento dei simboli dal loro significato, le tendenze decorative prendono il sopravvento sulla volontà di essenzialità formale: in questo modo, la moltiplicazione di questi motivi fa scadere il simbolo a puro motivo decorativo. Cresce al tempo stesso la richiesta di immagini che esprimano e sollecitino sentimenti ed emozioni di carattere più intimo e individuale, per cui si manifestano in modo sempre più chiaro il tormento interiore e la meditazione sull’aldilà. Jacques-Louis David dipinge la tela raffigurante L’incoronazione di Napoleone e Giuseppina, avvenuta in Notre-Dame nel 1804. Il soggetto non è un evento del passato raccontato come insegnamento per i moderni, ma un fatto storico contemporaneo che ha l’intento di consegnare a posteri un’immagine apologetica e sacrale. David rinuncia all’essenzialità compositiva, indulgendo su elementi spettacolari e rituali, ricercando effetti grandiosi e sonorità cromatica. Il recupero della storia antica è ormai inadeguato, ma gli eventi contemporanei richiedono di essere rappresentati con toni epici: nel Giuramento dei Sassoni, Pietro Benvenuti raffigura gli ufficiali in primo piano negli stessi atteggiamenti e gesti del Giuramento degli Orazi, ma con abiti moderni; la scena è dominata da un’atmosfera notturna che conferisce all’evento una dimensione quasi irreale. Tra gli allievi di David, conosce grande successo Antoine-Jean Gros, che opera il superamento del classicismo del maestro con una visione della storia drammatica e umana, spesso antieroica. Gli appestati di Jaffa presenta una drammaticità compositiva e una violenza cromatica tali che supera i limiti dell’ordine classico e introduce la cruda rappresentazione della malattia; Napoleone è esaltato per la sua umanità e magnanimità, secondo un programma iconografico sapientemente studiato. Altro allievo è François Gérard, in cui il riferimento agli esempi classici perde il significato ideologico: le opere antiche costituiscono un repertorio cui attingere per composizioni eleganti e raffinate. In Cupido e Psiche si torna a vedere l’antichità come fonte di miti piuttosto che come esempio di virtù morali e civiche; la composizione deriva da Canova, ma la grazia del modello viene trasformata in leziosità. Jean-Auguste-Dominique Ingres ricerca invece le possibilità costruttive ed espressive della linea, anteposta al colore e alla composizione spaziale. Ingres sviluppa il gusto per il disegno purista e arcaicizzante che aveva Flaxmann. I dipinti eseguiti durante il suo soggiorno italiano sono fortemente criticati nei Salons parigini a cui vengono inviati: il dipinto Giove e Teti viene considerato mancante di rilievo e di profondità, non ha volume e il colore è debole e monotono. Ad Ingres viene dunque contestata proprio la sua attenzione ai valori lineari a scapito di una profondità spaziale e cromatica. Anche Anne-Louis-Girodet-Trioson compie la sua formazione presso l’atelier di David ed esordisce con quadri neoclassici moraleggianti; presto avverte però l’influenza dell’ambiente culturale che si forma intorno al rinnovato sentimento religioso e in questo clima dipinge la Deposizione di Atala nella tomba, un quadro dominato dal fascino di un mondo primitivo, fonte di turbamenti e sentimenti non controllati dall’intelletto. La vera rottura con gli insegnamenti del maestro si compie però con Ossian riceve nel Walhalla i generali della repubblica, dipinto per la Malmaison: si è ormai lontani dall’idea di un’arte governata dall’ordine e dall’armonia. Ossian è rappresentato come un cantore del misterioso e del soprannaturale, che accoglie gli eroi della repubblica francese in un turbinio di aquile e spiriti di eroi del passato. Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 L’immagine dell’impero nelle realizzazioni urbanistiche L’aspetto urbanistico e architettonico della città ha l’importante compito di celebrare la potenza dell’impero e di attestare la discendenza dell’assolutismo dalle idee rivoluzionarie. Le strutture architettoniche che rispondono a queste aspettative sono i monumenti commemorativi e gli edifici di pubblica utilità, nel contesto del rinnovamento urbanistico della città. Tra il 1806 e il 1810 a Parigi viene realizzato in marmi policromi l’Arc du Carrousel, una rielaborazione dell’arco trionfale di Settimio Severo, arricchita di statue e bassorilievi; degli stessi anni è la colonna di Austerlitz, ispirata alla colonna Traiana: il fusto è rivestito di rilievi in bronzo che narrano le imprese di Napoleone ed è sormontato da una sua statua nelle vesti di un imperatore romano. Anche i quartieri del Louvre e delle Tuileries rientrano nel progetto di connotare la città con spazi e luoghi capaci di rispondere alle esigenze cerimoniali e di rappresentanza. L’evoluzione dell’immagine della città si individua ancora meglio nei progetti urbanistici di Milano, che ha vissuto un’esperienza architettonica illuminista ma non rivoluzionaria. Milano deve assumere non solo le funzioni ma anche l’aspetto di una capitale, per cui le nuove istituzioni devono sottolineare la partecipazione della popolazione alla vita pubblica ma al tempo stesso rispondere alle esigenze di un’autonomia amministrativa. Si progettano nuove piazze, si propone la ristrutturazione di piazza del Duomo e il completamento della cattedrale, si sviluppa l’area del Castello Sforzesco. In quest’area, l’architetto Giovanni Antolini idea il Foro Bonaparte, prendendo ispirazione dallo spazio civico per eccellenza della Roma repubblicana. Antolini studia quindi un’area destinata a diventare il nuovo centro della vita politica, civile, culturale e commerciale della città. Il progetto del cerchio di edifici rimane però sulla carta, per la svolta politica dei Comizi di Lione e la costituzione della Repubblica italiana, che pongono fine alle speranze di un rinnovamento sociale e politico di Milano. Il programma di un sistematico utilizzo dell’area individuata dal progetto di Antolini non viene però abbandonato e Luigi Canonica viene incaricato di studiarne la sistemazione. Canonica abbandona l’idea di valorizzare l’impero civile della repubblica, ripiegando su una destinazione in massima parte privata. Su disegno di Canonica viene realizzata anche l’Arena, destinata agli spettacoli teatrali all’aperto con esplicito riferimento all’antica Roma. Viene poi iniziato da Luigi Cagnola l’Arco del Sempione o della Vittoria, poi chiamato della Pace, ispirato all’Arc du Carrousel di Parigi e perfettamente in linea con il gusto dell’Impero. Cagnola realizza anche i Propilei di Porta Ticinese, intesi come un atrio trionfale alla città in commemorazione della vittoria di Marengo. Sia Canonica che Cagnola vengono nominati a far parte della Commissione d’ornato, con il fine di controllare e coordinare gli interventi edilizi: la Commissione ha come compito prioritario quello di redigere un organico piano regolatore della città. Lo stile impero L’impero napoleonico si estende temporalmente dal 1804 al 1814, ma lo Stile Impero si identifica con un periodo molto più vasto, che inizia con la collaborazione di Charles Percier e Pierre-François Fontaine (fine Settecento) e si estende per tutta la prima metà dell’Ottocento. Percier e Fontane sono considerati i creatori del nuovo stile, che ha la sua prima importante manifestazione nel 1798, nella ridecorazione della casa del banchiere Récamier: la camera da letto di Madame Récamier diventa una vera e propria attrazione a Parigi e un acquerello di Robert Smirke Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 ci appare arredata con oggetti ispirati all’antico, ma collocati in un contesto ormai completamente moderno. Entrambi hanno una formazione artistica classica: studiano a Roma e hanno diretta conoscenza dei monumenti antichi e rinascimentali. L’incarico del 1798 di arredare la Malmaison fornisce loro l’occasione per mettere a punto il nuovo stile: il bureau dell’imperatrice, immaginato come un arco di trionfo con un fregio decorato e sorretto da vittorie alate diventa l’immagine del nuovo stile impero. Lo stile si diffonde rapidamente e la pubblicazione di una Raccolta riduce ulteriormente gli spazi di un arredo non allineato allo stile impero. Le incisioni della Raccolta propongono una serie di forme separate, copiabili non tanto per il loro inserimento in ambienti specifici quanto per il loro impianto decorativo: per la prima volta appare quindi uno stile di arredamento svincolato dallo stile architettonico. Questo stile è caratterizzato da motivi egizi, greci, zoomorfi e imperiali, e sono diffusi tanto negli ambienti ufficiali quanto in quelli privati. L’immagine di Napoleone La rappresentazione di Napoleone diventa una delle iconografie più diffuse durante il Consolato e l’impero e la più esplicitamente propagandistica e celebrativa. Alla grandezza di Napoleone si allude attraverso archi e obelischi (simboli di potenza e trionfo) oppure con monumenti commemorativi. Tra questi, il Monumento alla Riconoscenza al Moncenisio, per ricordare il passaggio delle Alpi da parte dell’armata francese, evento commemorato anche dal dipinto di David Napoleone al Passo del Gran San Bernardo. Nel dipinto di Gros Bonaparte ad Arcole la virtù militare è ancora profondamente legata all’ideale democratico della repubblica; l’eroismo dei personaggi si manifesta nel coraggio e nell’impeto privo di enfasi, la divisa di Napoleone sembra più da parata che da combattimento e lo colloca al di fuori dell’evento contingente, in una dimensione superiore e atemporale. Il ritratto di David Napoleone nel suo studio si distacca dall’iconografia militare, senza però rinunciare ad una celebrazione delle virtù dell’imperatore. La scelta di rappresentare Napoleone nelle vesti di pacifico governatore non impedisce a David di celebrarne la grandezza, la forza e la calma eroicità. La sintesi tra personaggio reale ed eroe che si trova nella maggior parte dei dipinti di Napoleone scompare nelle composizioni statuarie, in cui prende invece il sopravvento il mito dell’antico rispetto al dato reale: Napoleone viene quindi identificato nell’eroe classico e l’intento celebrativo diventa apoteosi. Un esempio è Napoleone Bonaparte come Marte Pacificatore, realizzato da Canova, che idealizza Napoleone come Marte conferendogli l’asta e il globo sormontato dalla Vittoria. Canova riprende così la consuetudine dell’arte imperiale romana di innestare teste-ritratto su corpi riconoscibili come di eroi o di divinità; alla nudità viene quindi riconosciuto l’antico ruolo di rendere illustre un personaggio. Il recupero dei modelli tratti dalla statuaria romana si impone anche nella produzione di ritratti della famiglia di Bonaparte, che si diffondono soprattutto dopo la formazione di stati satellite all’Impero. Canova realizza la statua di Paolina Borghese Bonaparte come Venere vincitrice, con il pomo di Paride nella mano sinistra, e lavora al Ritratto di Letizia Ramolino Bonaparte, ispirandosi alla statua di Agrippina del Campidoglio. Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 IL ROMANTICISMO IN EUROPA L’ambiguità del termine Il Romanticismo sfugge per sua natura ai limiti imposti da ogni classificazione volta a riassumerne il contenuto estetico. Nell’ambito dell’arte figurativa, il movimento romantico si delinea con chiarezza intorno al primo ventennio del XIX secolo, entra in crisi negli anni Quaranta e subisce un’inversione di tendenza verso la metà del secolo, con l’affermarsi del Realismo di Courbet. In origine il termine è usato per distinguere le composizioni letterarie in lingua romanza da quelle in latino e intorno alla metà del Settecento si riferisce a quelle composizioni poetiche simili alle favole, irreali e fantastiche. Con l’Ottocento non perde questi significati ma indica in modo più specifico il contrapporsi non tanto a ciò che è reale, civilizzato e storico, ma a ciò che è artificiale, dogmatico e privo di fantasia, tutte carenze che i romantici imputano all’arte classica. Nel 1819 è definita “romantica” quella scuola che mira alla rappresentazione delle emozioni, come tendenza alternativa al razionalismo dominante; già nel 1829 l’attributo “romantico” si estende a fenomeni collaterali alle arti figurative, quali il cucito o la pasticceria: tale volgarizzazione del termine porta alcuni artisti a rifiutare l’appellativo di “romantico”. Baudelaire afferma che il romanticismo non sta tanto nella scelta dei soggetti quanto nel modo di sentire, che l’artista romantico conosce aspetti della natura e dell’uomo che gli artisti del passato hanno invece sdegnato. Elementi propri del romanticismo sono dunque la creatività e l’interiorità e il conseguente rifiuto delle norme sancite dall’Accademia: si diffonde un atteggiamento critico nei confronti dell’educazione artistica e per la prima volta “accademico” viene inteso in modo negativo. Il progressivo affermarsi della nuova sensibilità Nel Giuramento degli Orazi (1784) di David si trova grande equilibrio compositivo e vengono espressi gli ideali della borghesia francese in ascesa, la sua fede nelle virtù civili e nell’eroismo; ne La morte di Leonardo da Vinci (1781) di Ménageot, opera minore di genere storico, c’è una forte assonanza con la futura pittura romantica nei colori e nell’impiego di effetti teatrali tesi ad accentuare la drammaticità. Il forte contrasto tra le due opere testimonia la convivenza nel tardo Settecento tra razionalismo progressista e la sensibilità protoromantica. Anche nella Deposizione di Atala nella tomba di Girodet si trova l’esempio dell’irruzione di elementi emozionali in un’opera, così come in Napoleone sul campo di battaglia di Eylau il 9 febbraio 1807, di Gros, che presenta il quadro al Salon parigino; l’opera rappresenta Napoleone nello scontro con i russi, nel ruolo di pacificatore filantropo. Il carattere retorico e didascalico della pittura storica è mantenuto, ma vengono accentuati alcuni elementi di realismo contrapposti alla nitida idealizzazione di David: gli vengono infatti criticati gli eccessi di realismo nel gruppo di soldati morti. Il periodico romantico “L’Artiste” dichiarerà nel 1831 che questo quadro ha segnato la nascita della scuola romantica. All’inizio dell’Ottocento la pittura di paesaggio subisce una svolta importante, in quanto contribuisce alla crisi gerarchica dei generi, innalzandosi al rango della pittura di storia. Il poeta tedesco Schiller afferma che poesia e pittura di paesaggio possono innalzarsi al livello delle arti maggiori come nuove espressioni del sentimento, e l’opera del tedesco Caspar David Friedrich costituisce la trasfigurazione figurativa del pensiero di Schiller. La Croce della montagna o Pala Tetschen viene convertita dal pittore in pala d’altare per la Cappella del Castello di Tetschen, su richiesta del proprietario: non si tratta di un lavoro a carattere devozionale, ma la sua intensa Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 religiosità ne consente la collocazione in un luogo di culto. La croce e i raggi luminosi sono le uniche concessioni al simbolismo tradizionale, ma la suggestione mistica è fondata sugli effetti di luce. In Inghilterra, le nuove ricerche sul paesaggio assumono il tono dell’indagine scientifica. Questa investigazione è radicalizzata da John Constable, secondo cui la pittura è una scienza che deve essere praticata come una ricerca sulle leggi della natura; la sua visione oscilla tuttavia tra brani di meticolosa precisione descrittiva e paesaggi di intenso lirismo. Un altro artista inglese che si dedica allo studio del paesaggio è William Turner: nella sua opera si trova un profondo abbandono all’energia interiore che trasfigura i dati naturalistici per dare risalto al sentimento della natura di cui parla Schiller. Tempesta di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le alpi è un’opera fedele alla tradizione per quanto riguarda il soggetto storico, ma il pittore annulla la retorica dell’eroismo mettendo a nudo la fragilità umana di fronte alla forza della natura. La pittura di paesaggio gioca dunque un ruolo determinante per il superamento delle tradizionali convenzioni della rappresentazione: l’allegoria viene sostituita da un linguaggio simbolico che ha le proprie radici nel terreno nella emotività individuale e collettiva. Avviene dunque una rievocazione del Medioevo, che in pittura come in architettura guida l’immaginazione collettiva al recupero di un passato mitico e di intensa religiosità cristiana. L’industrializzazione degli anni Trenta contribuisce poi al diffondersi di nuovi fenomeni di asservimento economico e di indigenza tra le classi meno abbienti; la progressiva urbanizzazione e l’estensione delle reti ferroviarie modificano il paesaggio naturale e portano alla nascita di una nuova categoria di immagini romantiche, che contrappongono in modo drammatico lo scenario idillico naturale allo squallore dei nuovi insediamenti industriali. L’affermazione della nuova pittura in Francia La sofferenza fisica e spirituale dei soldati diventa nuovo motivo di orgoglio nazionale dopo la disfatta di Napoleone. Nel Salon del 1804 Théodore Gericault espone Corazziere ferito che abbandona il campo di battaglia; l’opera mantiene il tono epico del quadro di storia, ma sostituisce la celebrazione della vittoria con la rappresentazione della sofferenza. Questa visione antieroica dell’uomo è riproposta nel 1819 con La zattera della Medusa, che si ispira al naufragio della Medusa, colata a picco nel 1816, forse per l’incompetenza del comandante che era però fedele ai Borboni. Géricault rappresenta il momento che precede il salvataggio dei pochi superstiti, ritratti nella miseria tra i corpi senza vita dei compagni. La tela viene esposta al Salon e riceve buona accoglienza e nonostante lo scandalo di aver rappresentato un fatto di cronaca scottante viene acquistato dal Museo del Louvre. Il successo dell’opera dimostra che ormai anche dipinti dal forte contenuto emotivo erano ben accetti asia al pubblico sia alla critica; questo anche perché la resa formale dei corpi, nel rispetto della tradizione classica del nudo, non urta la sensibilità comune. Negli stessi anni, Jean-Auguste-Dominique Ingres suscita invece la riprovazione della critica con l’opera La grande odalisca: Ingres è considerato un uomo dal grande talento, spinto però dalla mania dell’originalità, per cui viene accusato di tradire la lezione di David con una pittura priva di volume e profondità. Ingres è in effetti un bravissimo disegnatore e attribuisce maggiore importanza ai valori lineari rispetto agli effetti volumetrici. Il confronto tra l’opera di Eugène Delacroix Il massacro di Scio (1824), con l’opera di Gros Bonaparte visita gli appestati di Giaffa l’11 marzo 1799 esemplifica i cambiamenti della pittura nell’ultimo ventennio. Gros mette particolare enfasi alla figura di Napoleone, quasi taumaturgo, che protende una mano verso gli appestati. Delacroix presenta invece un episodio di violenza durante la guerra di Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 liberazione dei Greci dalla dominazione turca; nella sua opera scompare ogni messaggio politico- didascalico, il fine morale dell’arte passa in secondo piano rispetto alla partecipazione del pittore all’evento drammatico; manca un asse centrale intorno al quale organizzare la composizione, che si svolge con estrema libertà e che taglia le figure lungo i bordi laterali. Alle tradizionali quinte architettiche di Gros si contrappone un paesaggio naturale, un terzo della tela è riservata al cielo e c’è una rinuncia ai contorni definiti di Gros in favorì e degli effetti della luce naturale. I criteri compositivi tradizionali sono sconvolti con l’opera di Delacroix Morte di Sardanapalo e con quella di Ingres Apoteosi di Omero, esposte al Salon del 1827-28; le opere sono entrambe originate dalla lezione di David e riassumono tendenze pittoriche divergenti. I soggetti si ispirano al mondo antico, ma mentre Ingres sottolinea l’armonia compositiva, la compostezza, esaltando i valori razionali, Delacroix trasfonde nel soggetto drammatico la sfrenata sensualità orientale che affascina la sensibilità romantica. La tendenza “alternativa” L’arte di Francesco Goya unisce la smitizzazione dell’eroe combattente attuata da Géricault e la partecipazione al dramma dei moti nazionalisti greci espressa da Delacroix. Nel 1814 il Goya dipinge Il 3 maggio 1808: fucilazione alla Montagna del Principe Pio, che raffigura l’esecuzione dei patrioti spagnoli durante l’invasione napoleonica. La rappresentazione dei fatti sanguinosi della resistenza spagnola porta Goya a superare il razionalismo illuminista che caratterizzava i Capricci, delle incisioni con cui condannava ogni forma di superstizione. Nelle incisioni dedicate ai Disastri della guerra il protagonista è l’umanità sopraffatta dalla violenza, dai saccheggi e dagli assassini che ritrae con l’occhio spietato del reporter. Il 3 maggio 1808 è un punto d’arrivo dell’itinerario pittorico e umano di Goya, deluso dal crollo degli ideali politici in cui aveva creduto. Nell’opera Goya fissa nel personaggio centrale l’attimo che precede l’esecuzione mentre ai suoi piedi un compagno agonizza e alla sua sinistra avanza la processione dei patrioti condannati; i fucilieri sono disposti in diagonale, a poca distanza dalle vittime, il che aumenta la crudeltà dell’evento. Sullo sfondo la collina ripropone stemperati gli stessi colori del gruppo centrale: si crea così un linguaggio fortemente espressivo reso immediato dagli strappi luminosi e dalla composizione spezzata in linee divergenti. Dal punto di vista formale l’opera non ha precedenti e crea una netta frattura con la tradizione aulica spagnola rappresentata da Velazquez. L’intensità e la crudezza della pittura di Goya si collocano all’interno di quella tendenza romantica che salda la frattura tra la categoria estetica del Bello e quella del Brutto. Le premesse del Realismo, accusato di rappresentare il Brutto, si trovano già nella dottrina romantica: il realismo pittorico raggiunge infatti vette altissime con i Frammenti anatomici e le Teste di giustiziati di Géricault. In queste tele si avverte che lo studio preparatorio ha ormai eguagliato per importanza l’opera finita; Géricault gli conferisce addirittura carattere di sublime, nonostante la crudezza dei soggetti. Si modifica l’iter del processo creativo, nella direzione che l’Impressionismo porterà a compimento: schizzo, studio e opera si fondono sulla tela, che ritrae la realtà nell’attimo stesso in cui è percepita dal pittore. Già in età romantica dunque le “forme di natura” sono considerate espressive in sé stesse e in quanto tali trovano posto nella rappresentazione artistica. Così Géricault dipinge intorno al 1822 una serie di ritratti di pazzi ricoverati in un ospedale, ritratti di grande essenzialità in cui Géricault lascia che sia la malattia ad esprimere la propria peculiarità. Queste opere rendono sfumata le linee di confine tra Romanticismo e Realismo; la caricatura costituisce un punto di contatto privilegiato Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 fra i due: essa infatti è fondata sull’alterazione dei dati fisionomici, di una forma di natura, ed è in grado di trasmettere il suo significato essenziale, di essere espressiva senza ricorrere alle convenzioni rappresentative. William Turner Regolo: il dipinto rappresenta un paesaggio di genere storico-fantastico: il porto di Cartagine, visto dagli oggi del prigioniero Attilio Regolo. A destra della tela compaiono alcuni palazzi della città che danno sul mare, in primo piano la popolazione si accalca sulla riva. A sinistra sono dipinte varie imbarcazioni e sullo sfondo i torrioni che chiudono l’imboccatura del porto. Gli elementi architettonici e le navi fungono da quinte disposte in diagonale secondo direttrici parallele che si intersecano con la fascia luminosa centrale, che divide la composizione in due parti e guida lo sguardo verso il fondo del dipinto. Turner adotta lo stesso schema compositivo dei porti di Claude Lorrain, ma i due interpretano il paesaggio in modi diametralmente opposti: in Lorrain sono presenti una serie di citazioni classiche che rievocano nostalgicamente il passato, l’atmosfera è nitida e comunica un senso di pace; l’opera di Turner è invece avvolta da una nebbia luminosa che offusca i particolari descrittivi delle architetture, la luce si diffonde con un bagliore accecante. Il solo modo per riconciliarsi con il dipinto è osservarlo da grande distanza, da cui si vedrà solo una grande esplosione di luce solare. Questo effetto scenografico richiama le suggestioni che il pittore Philippe Jacques de Loutherbourg crea con il suo “Eidophuskion”, un teatro senza attori, in cui mostra imitazioni di Fenomeni Naturali o visioni di sconvolgimento quali tempeste e valanghe. Tale spettacolo manifesta precocemente un aspetto della sensibilità romantica, incline ad accogliere ogni sollecitazione emotiva, di cui Turner è un grande interprete. Turner però non propone di imitare il mondo esterno ma di esprimere il sentimento attraverso l’esaltazione degli effetti di luce, fino a trasfigurare il paesaggio naturale. L’idea di Turner è infatti quella di dipingere la luce in sé stessa, indipendentemente dagli oggetti sul quale essa si espande. Pioggia, vapore, velocità: costituisce una tappa fondamentale per la traduzione della poetica romantica del sublime nel linguaggio della tecnica pittorica moderna. Il taglio trasversale del dipinto, che enfatizza il movimento del treno lanciato verso l’osservatore, rimanda alle future soluzioni della pittura impressionista (Degas, L’assenzio), di cui anticipa anche le tematiche di vita moderna. Turner, per la resa di elementi di maggiore consistenza fisica, usa strati di colore quasi impalpabili, mentre per la luce immateriale utilizza una pennellata più densa, che conferisce maggiore spessore al colore, increspato sulla tela nei punti di maggiore luminosità. La componente lirica della pittura di Turner costituisce il fondamento delle critiche rivolte al pittore dagli impressionisti: Monet e Pissarro apprezzano infatti la modernità precoce di quest’opera, ma al tempo stesso gli rimproverano la mancanza di realismo, riconosciuto invece a Constable. John Constable Paesaggio (cavallo che salta): il quadro raffigura un cavallo imbizzarrito di fronte a uno sbarramento. La composizione è costruita su piani orizzontali e trasversali segnati dal ponte, dalle imbarcazioni e dal corso d’acqua. Rispetto allo studio, risalta la maggiore profondità spaziale ottenuta abbassando l’orizzonte e adottando un tratto più nitido; il salice viene spostato al centro e assume la funzione di repoussoir, di elemento in primo piano che emerge verso lo spettatore così da spingerne lo Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 sguardo verso il fondo: nello studio l’albero si trova a destra, dove non adempie ad una funzione compositiva specifica ma appare meglio armonizzato con il paesaggio. Gli effetti di luce sono ottenuti mediante l’accostamento tonale di colori complementari, rosso e verde, usati in un’ampia gamma cromatica. Constable trae spunto da piccoli schizzi dal vero ma spesso esegue in atelier gli studi a grandezza naturale, che sono comunque compiuti in sé stessi e in cui si trova lo stato d’animo del momento. Nonostante la precisione realistica con cui Constable realizza i suoi paesaggi, la sua sensibilità è romantica: afferma infatti che l’arte genera piacere grazie alla rievocazione, non all’illusione, e imputa alla pittura moderna di essere senza cuore. Il suo Romanticismo tuttavia rifugge da qualunque amplificazione del sentimento. Ingres tra Classicismo e Romanticismo Monsieur Louis-François Bertin: Bertin compare nel ritratto seduto, con il capo ruotato di tre quarti, le mani appoggiate sulle gambe e lo sguardo puntato verso l’osservatore, in una posa di precoce taglio fotografico. Ingres si sofferma su particolari di grande realismo, nelle mani e nel volto, e al tempo stesso raggiunge una straordinaria penetrazione psicologica di Bertin, esprimendo la sua autorità. La luce colpisce il soggetto da sinistra, lasciando in ombra la parte destra, secondo lo schema compositivo caro ad Ingres. Mancano espliciti rifermenti spaziali a eccezione della poltrona, per cui lo spazio è quasi interamente posseduto dalla massiccia figura di Bertin. Nel complesso, l’opera presenta grande sobrietà compositiva e il suo realismo sconcerta la critica. La modernità del ritratto sta nel far accedere la media borghesia alla rappresentazione artistica, fino ad allora riservata alle divinità o ai sovrani. Ritratto di Mademoiselle Rivière: nel ritratto Ingres prende le distanze da David e adotta uno schema compositivo lineare, molto vicino alla pittura dei primitivi italiani come Cimabue nel disegno e nella stesura del colore. La sua modernità sta in questo caso nell’allontanamento dall’ambito culturale neoclassico di David per anticipare nelle fonti di ispirazione l’eclettismo di età romantica. Baudelaire, che parteggia per i romantici, sostiene che la semplificazione del disegno è una mostruosità e loda la linea viva e agitata di Delacroix; per Ingres tuttavia disegnare non significa riprodurre dei contorni, il disegno consiste soprattutto nell’espressione della forma interiore. Abbandonato il chiaroscuro di David, il colore successivamente stesso in superficie riduce il plasticismo per confermare la supremazia dei valori lineari. Ingres e Delacroix si incontrano dunque nel terreno della ricerca dell’espressione come principale effetto della creazione artistica, per cui le definizioni di Delacroix come moderno e di Ingres come baluardo della tradizione sono classificazioni estremamente riduttive. Delacroix La libertà che guida il popolo: Delacroix è un artista che non ha mai partecipato attivamente ai moti rivoluzionari, tanto che afferma che se non ha mai vinto per la patria, almeno dipingerà per lei. Nel 1830 realizza quindi la grande tela che celebra le Tre Gloriose di Parigi, le tre giornate durante le quali l’insurrezione popolare destituisce Carlo X. Delacroix rappresenta il popolo che avanza armato sulle barricate, incitato da una figura femminile, la personificazione della Libertà, ritratta a seno scoperto, con ampi vesti, un berretto frigio e il tricolore in una mano. La composizione presenta l’equilibrio classico dello schema piramidale, che si arricchisce però di nuove componenti realistiche. Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 L’unità compositiva è rafforzata dalle corrispondenze cromatiche del rosso e del blu in vari punti del dipinto. L’organizzazione del paesaggio è immaginaria, perché da nessun punto la cattedrale di Notre-Dame, a destra, può essere colta secondo questa angolazione. L’opera è quindi a metà tra l’allegoria e la realtà, in cui si fondono elementi di fantasia, figure mitiche e personaggi reali. Per i cadaveri in primo piano a destra si ispira a Napoleone sul campo di battaglia di Eylau, di Gros, mentre la figura seminuda di sinistra appartiene al repertorio accademico di origine classica: il modello è infatti Ettore trainato dal carro di Achille vincitore. L’opera di Delacroix viene esposta al Salon del 1831 e sconcerta la critica, che la considera “brutta, ignobile e plebea” e rimprovera al pittore la volgarità del nudo femminile, eccessivamente realistico. Nonostante questo, viene acquistata dallo Stato nel 1831; nel 1855 viene invece esposta, sotto richiesta di Delacroix stesso, all’Esposizione Universale di Parigi. La pittura visionario-fantastica Accanto all’analisi della realtà storica e all’interesse per l’oggettività naturalistica, l’età romantica matura anche una passione per le componenti più irrazionali dell’animo umano. Già nel XVIII secolo si manifestano i primi sintomi di un rifiuto della razionalità propria dell’Illuminismo. Nel Salon di Parigi del 1775 vengono esposti numerosi dipinti di notturni e di rovine, immagini di un mondo misterioso in contrasto con quelle “reali” dei soggetti storici neoclassici. La concezione newtoniana dell’universo contribuisce all’insorgere di un malinconico isolamento dell’uomo, che diventa spettatore di un sistema preordinato, che non è in grado di determinare. La sensibilità romantica è sollecitata dal desiderio di verificare i limiti della ragione e di spingerli alle estreme conseguenze. La rappresentazione artistica offre una possibilità di scandagliare le forze occulte del sogno, della magia e della sensualità, di portarle in superficie dando loro una forma visibile. - William Blake, La Bestia della Rivelazione: raffigura un ibrido, un’immagine che combina l’animato e l’inanimato, il vegetale e l’animale. Il contenuto simbolico dell’immagine è finalizzato all’illustrazione di un testo letterario religioso. - Ingres, Il sogno di Ossian: il ciclo epico nordico di Ossian è stato inventato dal poeta scozzese James Macpherson e si diffonde in Francia per volere di Napoleone. L’imperatore commissiona ad Ingres quest’opera, in cui Ingres separa in modo netto due situazioni: quella reale di Ossian assopito e quella onirica, adottando due piani di rappresentazione sovrapposte e due formule cromatiche distinte, una policroma nel registro inferiore e una quasi monocroma nel registro superiore. - Fussli, L’incubo: il contenuto inquietante del dipinto è sottolineato dal confronto con il dominio razionale che traspare in dipinti contemporanei come Il giuramento degli Orazi; la situazione onirica descritta da Fussli non è comprensibile con gli strumenti della ragione: la sua visione conserva tutta l’ambiguità di significato di un mondo che trascende la coscienza. Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 L’ESPERIENZA ROMANTICA IN ITALIA Storicismo e neomedievalismo La sensibilità romantica identifica la bellezza in tutte le forme possibili della vita: il passaggio dal Bello ideale e assoluto al Bello relativo implica l’affermazione del nuovo concetto di storicità, sul quale si fonda la cultura del XIX secolo. All’interesse filologico per il passato proprio della cultura archeologica, la polemica romantica oppone un’adesione sentimentale, che ha come conseguenza la rivalutazione dell’età medievale, operata dai Nazareni e dai Preraffaeliti. Assumono quindi grande importanza i revivals e la pittura di storia. Il Romanticismo italiano è profondamente segnato da questo impegno ideologico, che lo differenzia dai coevi movimenti europei. La ricerca artistica oscilla tra questa specificità e il tentativo di adeguamento alla cultura europea. Gradualmente, l’iniziale Neomedievalismo evolve in un fenomeno di più ampia contaminazione stilistica, in un eclettismo che riguarda soprattutto l’arredamento. Al contrario di quanto avveniva in epoca Neoclassica, il termine “antichità” non designa più un unico ideale ma molteplici stili, tutti di pari dignità. L’eclettismo può dunque essere una particolare forma dello storicismo ottocentesco, che si prefigura nella prima metà del secolo e si protrae fino all’inizio del XX secolo. Revivals ed eclettismo L’insorgere in Europa del fenomeno dei revivals come recupero e attuazione di stili del passato è l’effetto dell’esigenza di definire i concetti di “popolo” e di “nazione”; oltre a questa motivazione ideologica, c’è anche l’intenzione di rinnovare l’architettura su fondamenti di razionalità costruttiva. Verso la seconda metà del secolo il revival assume la forma del vero e proprio eclettismo, con una ipertrofia degli elementi decorativi, che sopraffanno l’evidenza delle strutture. Il restauro, necessario per molti edifici medievale, trova in Eugène Viollet-Le-Duc il maggiore teorico e operatore: intorno alla metà del secolo legittima un criterio di restauro secondo cui l’edificio non deve essere necessariamente mantenuto, rifatto o riparato, ma può essere anche ripristinato in uno stato che non è mai esistito in nessuna epoca. Negli edifici di nuova progettazione, in Francia, Germania o Inghilterra prevale lo stile neogotico; in Italia si sceglie invece lo stile neoromanico, in quanto sentito come linguaggio più tipicamente nazionale. La corrente purista Pietro Selvatico in un saggio invita gli architetti a rifarsi per gli edifici religiosi all’arte nata nel fiorire del Cristianesimo, in quanto più di ogni altra sa diventare interprete dello spiritualismo della Chiesa; questo invito non si discosta dalle proposte avanzate in ambito figurativo da un gruppo di artisti che nel 1842 hanno firmato il documento Del Purismo delle Arti, redatto da Bianchini, che coglie spunto dal dibattito letterario sull’opportunità di proporre forme linguistiche pure, ispirare al Trecento toscano. L’interesse dei puristi italiani si rivolge alla pittura dei “primitivi”, da Cimabue a Raffaello. Queste scelte, che si attestano su posizioni conservatrici, risentono della presenza a Roma dei Nazareni, un Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 gruppo di allevi dell’Accademia di Vienna: nei primi trent’anni dell’Ottocento Roma è infatti centro di diffusione della cultura purista, che riconosce in Raffaello e in Durer i numi tutelari. L’opera dei Nazareni assume un accento arcaicizzante di ricomposizione formale, quasi filologica, dello stile di Raffaello. I primi anni della Restaurazione vedono a Roma una politica papale favorevole alla ricostruzione e conservazione del patrimonio artistico romano. Nel 1815 avviene inoltre la restituzione delle opere sottratte durante il regime napoleonico. Per celebrare questa politica, Canova commissiona al nazareno Philipp Veit e al veneziano Francesco Hayez gli affreschi per le lunette del Corridoio Chiaramonti: il confronto tra l’opera di Veit (Anfiteatro Flavio restaurato) e quella di Hayez (Ritorno a Roma delle opere d’arte trafugate da Napoleone) mostra come Hayez svolga con maggiore libertà compositiva un tema che appare quasi affrancato dall’immobilità calligrafica di Veit. La pittura “moderna” La pittura di Hayez appare aggiornata sul modello francese, che continua a influire sulla cultura italiana, almeno fino ai moti del 1820 che portano l’impero austriaco a imporre una censura politica. Da questo momento, l’adozione di temi tratti dalla storia diventa una necessità sia per le arti figurative sia per la letteratura. Gli artisti italiani esprimono l’ideologia risorgimentale ricorrendo alla rappresentazione di insurrezioni popolari o di eventi del passato. Un tema caro al Romanticismo europeo è il dramma della Grecia oppressa dai Turchi, che ispira ad Hayez Gli abitanti di Parga che abbandonano la loro patria: Hayez sviluppa e potenzialità drammatiche del soggetto accentuando nella descrizione del popolo greco delle emozioni patriottiche, facilmente percepibili e condivise dal pubblico italiano. Il significato civile della pittura di Hayez è connesso al contributo ideologico della committenza aristocratico-liberale di Milano, che alterna impegno politico a vita mondana. Pittura, feste in costume e teatro sono accomunati nel gusto del tempo dallo stesso amore per le ricostruzioni d’ambiente, con soggetti tratti dalle stesse fonti storiche e letterarie. La pittura di storia intesa come pittura civile soddisfa gli ideali politici e sociali della cultura più avanzata, da Mazzini, che considera l’arte come manifestazione eminentemente sociale, a Carlo Tenca, che ne sottolinea invece la funzione educativa ed etica. Dalla pittura di storia alla pittura di genere Il limite della pittura di storia italiana è quello di essersi presto trasformata in pittura di genere, sotto la spinta di una critica conservatrice e di un pubblico che vede dei quadri un oggetto di arredamento. I quadri di piccole dimensioni sono così preferiti a quelli di grandi dimensioni, soprattutto nelle mostre organizzate dalle “Società promotrici di Belle Arti”, che favoriscono la creazione di un nuovo mercato aperto ad ogni genere di pittura. Si diffonde soprattutto la pittura di interni, come è il caso dell’Autoritratto di Tommaso Minardi, che illustra l’ideale romantico dell’artista bohémien, isolato nello studio-soffitta, oppure del quadro Povera madre di Girolamo Induno, che rappresenta gli affetti familiari. Nel Regno delle due Sicilie la pittura di storia trova importanti sostenitori solo tra i residenti originari del Nord, mentre la committenza pubblica si rivolge alle opere di soggetto religioso. Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 La pittura di paesaggio La pittura di paesaggio, proprio perché considerata genere inferiore, gode di maggior libertà dai vincoli formali accademici e dimostra di essere aggiornata alle tendenze europee. Nel Regno delle due Sicilie, Giacinto Gigante trae spunto dagli inglesi, in particolare da Turner, giungendo ad un’interpretazione del paesaggio in cui il documentarismo si attenua in atmosfere luminose, rese quasi liquide dall’uso dell’acquerello. Intorno a lui si costituisce la Scuola di Posillipo, da cui prendono le mosse i fratelli Palizzi, per i quali la pittura campestre e di ispirazione sociale si pone in polemica con i soggetti aulici che dominano le esposizioni napoletane di quegli anni. Mentre in epoca ancora romantica il viaggio in Italia era d’obbligo per la formazione dei pittor europei, dalla metà dell’Ottocento sono gli italiani a prendere le vie di Parigi, centro propulsore dell’“arte moderna”. Il 1855 è un anno molto significativo: aprono l’Esposizione Universale di Parigi e il rivoluzionario “Pavillon du Réalisme” di Gustave Courbet. La tradizione del paesaggismo francese offre spunti interessanti: dalla Scuola di Barbizon e da Camille Corot, già conosciuto in Italia anche per i suoi soggiorni a Napoli tra il 1825 e il 1828. I fratelli Palizzi, Giuseppe e Filippo, colgono appieno il valore della pittura tonale, la libertà nei confronti del disegno; anche Antonio Fontanesi si lascia influenzare dai pittori di Barbizon: i suoi paesaggi sono di intonazione romantica, nonostante l’osservazione attenta della natura, e sono avvolti in una suggestiva luminosità, probabilmente ripresa da Turner. La linea “alternativa” del Piccio I risultati più alti nella pittura italiana di paesaggio sono stati raggiunti dal Piccio, che ha saputo coniugare in modo originale la sensibilità romantica e le tendenze realiste, fino a proporre una pittura alternativa rispetto agli esiti innovativi dei suoi contemporanei. I viaggi a Roma e a Parigi lo avvicinano alla pittura di Corot e di Delacroix; il disegno però, nel paesaggio come nei ritratti, non delinea mai i contorni anche quando è visibile sotto il colore, ma interviene a rafforzare i toni della pittura, giocata su trasparenze e velature. La difficoltà è quindi duplice: modellare con una sola tonalità significa modellare con il chiaroscuro, ma modellare attraverso il colore vuol dire prima trovare la logica delle ombre e delle luci, poi l’equilibrio e l’armonia della tonalità. Nella ritrattistica il Piccio si colloca nel solco della tradizione romantica, allineandosi alla produzione di Hayez o accentuando la caratterizzazione psicologica e fisionomica dei personaggi. L’adesione ai principi del “vero” viene espressa da una pittura che attribuisce al colore un valore plastico. Questa evoluzione è segnata dal Ritratto di Gigia Riccardi e dall’Autoritratto. Il Piccio rinnova la pittura italiana attraverso due presupposti: - L’osservazione diretta della natura e lo studio approfondito della pittura italiana del Cinquecento e del Seicento; - Un colorismo di matrice veneta arricchito dagli stimoli della pittura francese. Egli è forse l’unico esempio di libertà dell’arte romantica italiana dai vincoli accademici: giunge infatti a trasfigurare la “presa diretta” della realtà attraverso il dissolvimento della forma nel colore, che diventerà la marca stilistica della Scapigliatura lombarda. Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 La scultura dalla tradizione purista al “vero” La reazione ai dogmi del Neoclassicismo accomuna pittura e scultura, suggerendo di perseguire un nuovo naturalismo che viene però filtrato dalle tendenze puriste e neomedievaliste, per cui non giunge mai a trasformare i modi espressivi come avviene invece nella coeva arte francese. Uno dei maggiori scultori romantici italiani è Lorenzo Bartolini, introdotto da Canova alla corte di Napoleone I. Lavora infatti a Parigi, accanto ad Ingres; ciononostante, la sua scultura rispecchia una posizione di compromesso tra la ripetizione formale delle formule neoclassiche, il recupero purista e l’adesione al vero. Nel 1837 gli viene assegnata la Cattedra di Scultura all’Accademia di Firenze; nello stesso periodo inizia la polemica contro il classicismo accademico dei colleghi: bandisce lo studio delle statue e restringe il sistema di insegnamento alla sola imitazione della natura. La sua riforma prevede in realtà l’affermazione di un nuovo classicismo, di tipo rinascimentale. Una delle sue sculture più importanti è La fiducia in Dio, più volte imitata, che rivela grande abilità tecnica ma che non va al di là delle suggestioni emotive che suscitano il consenso del pubblico milanese. Un verismo romantico meramente formale di trova ad esempio nel Caino di Giovanni Dupré, che dopo la morte di Bartolini diventa il protagonista della scultura italiana ufficiale, e nello Spartaco di Vincenzo Vela, che rivela maggiore rigore plastico. La sua forza fisica incarna infatti quella dello schiavo liberato, simbolo della volontà di riscatto del popolo italiano. La consonanza della scultura con il linguaggio pittorico è uno degli elementi che identificano il verismo della scultura italiana nel suo procedere ininterrotto dall’epoca romantica agli esiti postunitari. Francesco Hayez Pietro l’Eremita: è considerato il manifesto della pittura civile di Hayez, realizzato negli anni del suo maggiore impiego ideologico. Nel 1829 viene esposto a Brera, dove viene lodato da Sacchi che ravvisa nel soggetto storico allusioni alla storia risorgimentale italiana e a Mazzini. L’azione si svolge nell’Italia medievale: Pietro l’Eremita raccoglie gli italiani per liberare Gerusalemme. Lo spazio è dominato dal gruppo di crociati e popolani, che si accalcano intorno al frate, raffigurato a cavallo; intorno a lui l’azione si diversifica in gruppi distinti, studiati in modo da mettere in evidenza la figura del protagonista. Anche le dissonanze cromatiche assolvono allo stesso scopo, con le vesti delle donne in contrasto con la tunica del frate. Il paesaggio alpino sullo sfondo e il castello contrastano con l’accentuata tridimensionalità dei personaggi: non si tratta però di un’incongruenza compositiva ma dell’analogia tra pittura di storia e narrazione scenica. Umberto Eco indica nel suo rapporto con la cultura teatrale la modernità di Hayez, che veniva apprezzato dal pubblico del tempo non per motivi pittorici ma scenografici. Il nesso tra scelte iconografiche e messaggio celato è esplicito dell’ambientazione italiana della scena, con le Alpi sullo sfondo, i gruppi familiari che esprimono gli affetti domestici, la coralità dell’azione che sottolinea la forza coesiva degli ideali comuni. La varietà di espressioni indica infine la fusione delle passioni individuali con la partecipazione collettiva. Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 Jappelli e l’architettura romantica L’opera dell’architetto veneziano Giuliano Jappelli, il Caffè Pedrocchi, costruito in pieno centro a Padova, esemplifica le tendenze dell’architettura italiana del primo Ottocento, che accoglie indicazioni provenienti da Francia e Inghilterra in merito al Neoclassicismo e al gusto del pittoresco neogotico. Il corpo del complesso, risalente al 1817, viene costruito in severo stile dorico. Jappelli riesce a risolvere i problemi posti dall’irregolarità dell’area urbana a disposizione; egli razionalizza spazi interni ed esterni nella simmetria dei due corpi laterali in stile dorico, cui affianca il Pedrocchino in stile gotico, sede della pasticceria, creando un vero e proprio centro della vita padovana. In questi anni si struttura quindi la sintassi formale eclettica: l’accostamento di due stili tanto diversi, ribadito dagli arredi delle salette interne, denuncia la riduzione dell’interesse filologico per gli stili in favore di effetti suggestivi. Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 REALISMO E IMPRESSIONISMO Il Realismo Il termine realismo, inteso genericamente, indica dal punto di vista formale la traduzione fedele delle “qualità” del mondo reale nella rappresentazione artistica, per cui ricorre più volte e in diverse epoche; va per questo distinto dal movimento del Realismo inteso come tendenza programmatica che si afferma in Francia intorno alla metà dell’Ottocento. La sua definitiva consacrazione nell’ambito della cultura figurativa risale al 1855: Gustave Courbet, principale pittore e teorico, definisce la poetica realistica in un opuscolo scritto in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi; nello stesso anno apre il provocatorio “Pavillon du Réalisme”, un padiglione in cui espone le sue tele, in quanto l’esposizione ufficiale ne aveva accolte solo undici. Già nel 1833, comunque, il critico Gustave Planche si pone in polemica con l’Eclettismo e con il Romanticismo, individuando nella nozione di “realismo” un’arte che fosse imitazione diretta del vero. In quegli anni però il diffondersi della fotografia porta la critica a ridurre il realismo pittorico alla notazione oggettiva della realtà, mera riproduzione simile a quella automatica del processo fotografico: tale realismo era dunque considerato una negazione della creatività, essenza stessa dell’arte. Courbet sottolinea il contenuto innovativo del Realismo degli anni Cinquanta affermando di aver studiato l’arte degli antichi e dei moderni, ma di non voler imitare gli uni né copiare gli altri: vuole invece rappresentare i costumi e le idee della propria epoca secondo il suo modo di vedere. Il Realismo dunque non è la semplice imitazione di cui parla Planche, ma una presa diretta sulla società del suo tempo. Il Realismo sviluppa alcune importanti premesse di movimenti precedenti: - Romanticismo: il valore unificante della storia come fondamento del progresso umano, l’amore per la natura; - Illuminismo: volontà di cogliere la verità oggettiva della natura, fede nel ruolo positivo dell’uomo. Questi elementi costituiranno poi la base essenziale per lo sviluppo dell’Impressionismo: l’interesse dei realisti per la contemporaneità e la loro volontà di cogliere il “momento presente” si trasformerà per gli impressionisti nel desiderio di appropriazione dell’istante, sviluppando in pittura le possibilità suggerite dalla diffusione del mezzo fotografico. L’obbiettivo degli impressionisti resterà puntato sulla vita quotidiana, sulla natura e la società. Quando nel 1855 Courbet di ribella alle impostazioni accademiche con il suo “Pavillon du Réalisme”, Ingres e Delacroix, che rappresentano rispettivamente Classicismo e Romanticismo, dominano ancora la scena artistica parigina. La loro presenza genera una contrapposizione di scelte che suscita nel pubblico e nella critica dei consensi contrapposti. L’orientamento dei modi espressivi verso una rappresentazione pittorica sempre più attenta alla realtà si andava affermando già negli anni Trenta. - Horace Vernet, Capi arabi raccontano una novella: soggetto di ispirazione orientalista, in cui c’è grande distacco dall’azione che si svolge sulla tela e si usa un linguaggio analitico che comunica l’impressione di una visione non alterata, quasi offerta dall’obbiettivo fotografico. Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 - Thomas Couture, I Romani della decadenza: appartiene al genere della pittura di storia, che mostra particolare sensibilità verso la nascente estetica realista; raffigura un banchetto tardo imperiale, una sorta di allegoria dei vizi della società francese. L’opera non ha intenti di idealizzazione, anticipa anzi le nuove tendenze realiste e incontra il consenso generale dei critici del Salon del 1847. Verso la metà del secolo, i pittori iniziano a preferire per le loro rappresentazioni il mondo medievale e rinascimentale piuttosto che la civiltà greco-romana, suscitando l’indignazione di Delacroix che si scaglia contro i moderni che si proclamano pittori di storia: per lui, la pittura storica rappresenta gesta eroiche e fatti sublimi, che possono trovarsi solo nella storia greca e romana. Denuncia quindi un processo in atto da tempo: la trasformazione dei soggetti storici in aneddoti e della pittura di storia in pittura di genere. Al contrario, Courbet ritiene che l’arte storica sia per sua natura contemporanea, cancellando così un’intera tradizione delle arti figurative. I soggetti di vita moderna sono quindi tollerati nei Salon solo fino a quando i pittori realisti non li impongono all’attenzione del pubblico, elevandoli al rango della pittura di storia con opere di grande formato. La poetica realista traduce in pittura il dilatarsi dell’interesse degli storici verso i problemi della società moderna. Con Gli spaccapietre, dipinto da Courbet nel 1849, le condizioni del proletariato rurale si impongono sulla scena artistica parigina: le figure massicce, rozze, sono rappresentate con estrema precisione, poste di profilo o di schiena così da nascondere il viso all’osservatore. Il suo intento infatti non è quello di commuovere il pubblico, ma di esprimere la dignità del lavoro manuale delle classi subalterne e la verità della fatica fisica. Il dipinto di Jean-François Millet de 1857, Le spigolatrici, rivela invece l’intento di inserire il mondo rurale in una visione positiva, quasi nobilitante, suggerita dall’orizzonte molto alto, dalla luminosità dello sfondo chiaro, diverso dalla sponda rocciosa che opprime lo spazio de Gli spaccapietre. Il realismo francese si volge anche a un nuovo modo di rappresentare la natura, attento alla lezione di John Constable, che negli anni Venti dipingeva i suoi Studi di Nuvole; nonostante Constable appartenga alla cultura romantica, alcune sue opere sono fondamentali per l’evoluzione della pittura di paesaggio in senso realista: nel Carretto del fieno utilizza una tecnica pittorica a macchie e delle pennellate vibranti che riducono all’essenziale gli elementi descrittivi. Constable ricorre a spunti colti direttamente dalla natura, non in forma di bozzetto ma come opera finita, anticipando l’en plein air dell’impressionismo degli anni Settanta. L’uso dell’annotazione eseguita all’aperto ha origini che in realtà precedono lo stesso Constable, ma costituiva solo un appunto pittorico iniziale per la successiva elaborazione dell’opera in studio. La distanza tra bozzetto e quadro finito si riduce ulteriormente con la Scuola di Barbizon e successivamente con i Macchiaioli italiani. A Barbizon, presso Fontaibleu, si forma verso il 1830 una vera e propria scuola che si affianca al Realismo di Courbet, animata da artisti come Millet, Rousseau e Corot. I loro quadri sono tollerati nei Salons finché restano nel formato ridotto del bozzetto: ora si adeguano però al grande formato e sono popolati da figure di lavoratori, vivaci nel tratto e luminosi nella tinta; le loro opere si pongono in aperta sfida rispetto al paesaggio tradizionale. Al Salon del 1853 viene esposto Il calesse di Theodore Rousseau, ma altri paesaggi rappresentano una scomoda realtà sociale e la critica inorridisce di fronte a questa rappresentazione. Al Salon del 1850-51 Camille Corot espone Una mattina. La danza delle ninfe, accettata dalla critica per la presenza delle figure femminili danzanti, che richiamano motivi mitologici, ma si preferisce Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 Ninfe che ascoltano i canti di Orfeo, di Jalabert, per il motivo classicheggiante. Al Salon del 1852 invece Courbet espone Giovani donne di paese danno l’elemosina a una guardiana di vacche di una vallata di Ornans, che suscita l’irritazione del pubblico e della critica: l’immagine apparentemente innocua dell’idillio pastorale era avversata per via dell’aspetto volgare delle tre dame (le sorelle di Courbet), dai volti sgraziati e i vestiti pretenziosi, appartenenti alla ricca borghesia di provincia in ascesa economica. Il Realismo di Courbet svolge un ruolo determinante per il diffondersi della nuova sensibilità artistica rivota al mondo naturale quanto a quello sociale, nel ventennio che precede la formazione ufficiale degli impressionisti, destinati a portare a compimento tali premesse. Negli stessi anni, in Inghilterra si scelgono altre vie per interpretare vita e costumi della società moderna, tradotti in composizioni dense di particolari che palesano l’allusione moralistica anche nei titoli. In Germania invece, alla pittura celebrativa di grande formato si affiancano opere di dimensioni ridotte, che illustrano la modesta vita domestica. Complessità e contraddizioni della cultura figurativa dei Salons Le opere esposte nei Salons parigini testimoniano la complessità della cultura figurativa degli anni Sessanta-Settanta e l’esistenza di una pittura che si pone già come alternativa al Realismo. Nel 1866 Gustave Moreau presenta l’Orfeo, in cui le acconciature preziose e i particolari delle vesti si contrappongono al paesaggio appena accennato, mentre la classicità del mito si stempera in un’atmosfera di mistero. Nel 1873 Pierre Puvis De Chavannes espone l’Estate, dal gusto arcaico nei colori attenuati, simili a quelli della tecnica ad affresco, e nelle figure poste in un ambiente naturale incontaminato. Il successo dell’opera si spiega con la nostalgia per un passato leggendario in cui liberare gli impulsi della fantasia, negata dalla vita cittadina. Questa tendenza ad evadere nel mito troverà maggiore spazio negli anni Ottanta e concreta espressione negli anni Novanta, con il Simbolismo. Il modo d dipingere di Puvis de Chavannes, che stende il colore senza ombreggiature entro contorni definiti, costituisce una premessa anche per il cloisonnisme di Paul Gauguin. L’Impressionismo L’interesse del Realismo per la vita contemporanea è condiviso da alcuni pittori che nel 1874 costituiranno la Società degli impressionisti. Quando nel 1847 gli impressionisti presentano per la prima volta le loro opere come gruppo, il Salon domina ancora il sistema espositivo francese; per gli artisti la migliore possibilità di ottenere credito presso il grande pubblico e di vendere le proprie opere era proprio il Salon, dato che le opere premiate erano acquistate dallo Stato o dai collezionisti. Il Salon è infatti sostenuto dalla borghesia parigina che cerca nella pittura ufficiale la conferma dei valori su cui fonda la propria forza. Gli artisti vincitori si spartiscono le commissioni di Stato, per ritratti ufficiali e quadri a soggetto storico, mentre la pittura di paesaggio è considerata ancora di second’ordine. L’apparizione, tra gli anni Sessanta e Settanta, di artisti che si pongono al di fuori dell’arte ufficiale suscita scandalo e riprovazione, perfino al di là delle loro intenzioni: nel creare una sede di esposizione alternativa gli impressionisti non intendevano contestare il Salon, a cui anzi volevano essere ammessi. La produzione artista però è tale che nel 1863 vengono rifiutate circa 4000 opere, per cui Napoleone III ordina l’apertura del Salon des Refusés, che accoglie le opere rifiutate. Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 Edouard Manet espone Colazione sull’erba, che la critica compara all’opera di Giorgione: egli aveva infatti concepito l’idea di una festa campestre dove gli uomini fossero vestiti e le donne no, ma in cui la dubbia moralità è riscattata dalla magnificenza dei colori. Manet viene però criticato fortemente e il nudo della sua opera, resa nel linguaggio del realismo francese, viene giudicato indecente. Nel Salon ufficiale dello stesso anno viene esposto però La nascita di Venere, di Alexandre Cabanel, che presenta delle sollecitazioni erotiche. Il giudizio negativo nei confronti di Manet è dovuto quindi non solo al soggetto ma anche alla tecnica pittorica: Manet fornisce indicazioni sommarie nei particolari del fondo e delle forme, definite per opposizione di toni, senza l’uso della linea. Scomparsi i riferimenti alla mitologia, che nobilitano il nudo di Cabanel, Manet crea ulteriore sconcerto offrendo la visione di una donna nuda in mezzo a uomini in abbigliamento cittadino moderno, nei quali lo spettatore è indotto a identificarsi. Nemmeno l’allestimento del Salon des Refusés modifica il giudizio negativo espresso dalla commissione. Claude Monet considera quindi la possibilità di organizzare un’esposizione degli artisti indipendenti a loro spese. I tempi erano infatti abbastanza maturi perché gli artisti riconoscessero l’utilità di unirsi in forme associative che tutelassero i loro interessi. Su proposta di Camille Pissarro, alla fine del 1873 viene quindi creata una società per azioni, in cui troviamo Monet, Renoir, Pissarro, Degas; il fotografo Felix Nadar offre ai membri uno spazio espositivo: la loro prima esposizione è inaugurata il 15 aprile 1874. La “Società anonima cooperativa di artisti, pittori, scultori, incisori” verrà affiancata anche da artisti ben accetti al Salon ufficiale, come Giuseppe De Nittis, cosicché non potessero essere considerati dei rifiutati. L’esposizione viene considerata come un “attentato ai sani costumi artistici”: il pubblico conformista resta infatti sconcertato dalla nuova pittura luminosa che si ispira alla vita quotidiana. C’è infatti una tendenza a tributare al soggetto un’importanza maggiore rispetto alla tecnica di esecuzione. Il gruppo accetta il termine Impressionismo, anche se in origine è stato attribuito in senso dispregiativo alla loro pittura, giudicata incolta e sommaria: si adatta infatti al nuovo stile, capace di rendere con immediatezza la percezione visiva del mondo naturale, la sua “impressione”. La loro arte infatti rinuncia agli intenti oggettivi che fino ad allora avevano motivato anche il Realismo, alla pretesa di ricreare la realtà sulla tela. Della realtà gli impressionisti prediligono soprattutto la luce; è l’osservazione dei suoi effetti di incidenza sull’acqua a sollecitare l’invenzione di una nuova tecnica, secondo cui il colore viene steso in rapida successione di piccoli tocchi, annullando i contorni netti per tradurre sulla tela gli effetti istantanei e mutevoli della percezione visiva. L’osservazione diretta della natura e dei riflessi sull’acqua in particolare suggerisce agli impressionisti l’idea di esprimere la luce attraverso l’opposizione dei colori, senza usare i toni scuri per le ombre. Gli impressionisti dividono i colori in piccole pennellate: la vibrazione cromatica che ne risulta è dovuta sia all’uso dei complementari (che se giustapposti si intensificano) sia alla stesura fratta del colore. Le ombreggiature non sono ottenute con l’impiego dei grigi ma con la variazione del tono. Nel 1876 Pierre-Auguste Renoir espone un nudo, Studio; torso, effetto di sole, che suscita la riprovazione della critica sul quotidiano “Le Figaro”; nel 1877 presenta il Bal au Moulin de la Gallette e nello stesso anno dipinge l’Altalena: entrambe le tele rappresentano un soggetto in movimento e colto en plein air, all’aria aperta, dove si verificano le condizioni ideali per sperimentare la nuova tecnica pittorica. Altro esponente del gruppo è Paul Cézanne, che sarà però anche tra i maggiori protagonisti del Postimpressionismo degli anni Ottanta, preannunciato dalla sua opera Il ponte di Maincy. Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 Sempre nella prima esposizione del 1874 Camille Pissarro presenta l’opera Gelata bianca, la cui portata innovatrice è censurata anche stavolta dal quotidiano “Le Figaro”, che gli critica il fato che gli alberi non sono viola, che il cielo non è del tono del burro fresco e che da nessuna parte si vedono le cose che dipinge. Edgar Degas si sofferma meno rispetto agli altri su soggetti en plein air, ad eccezione dell’opera Cavalli da corsa davanti alle tribune, in cui lo spazio fisico acquista profondità grazie al gioco delle linee oblique della tribuna, dello steccato, dei cavalli e delle loro ombre. Il taglio obliquo torna anche nella costruzione de L’Assenzio e di L’étoile. L’assenzio presenta una scena di vita moderna che si ispira al realismo dei romanzi di Emile Zola: la figura femminile è abbandonata di fronte al bicchiere di assenzio ed è collocato nell’angolo in alto a destra, mentre a sinistra due tavoli posti diagonalmente ad angolo retto suggeriscono la profondità dello spazio reale. Il tavolo è intersecato da due giornali, che indicano la continuità dello spazio. L’étoile costituisce uno studio sul movimento. Degas dipinge infatti una ballerina colta in scorcio dall’alto, calata nello spazio delimitato dalle diagonali incrociate del palcoscenico e delle quinte. L’orchestra dell’opera le figure dei musicisti in primo piano appaiono più solide, mentre sul palcoscenico la presenza delle ballerine è rivelata dalle sole gambe e dai tutù; anche in questo caso la spazialità è affidata alle linee orizzontali e trasversali delle balaustre e degli strumenti. Claude Monet aveva già sperimentato il plein air nel 1867, con l’opera Donne in giardino e tra gli impressionisti è l’artista più fedele all’assunto antiaccademico che lo spinge ad uscire dal proprio atelier per ritrarre la natura dal vivo. Per Monet non si tratta però solo di riprodurre un soggetto naturale ma di annotare su tela le variazioni della sua apparenza esposta al mutare della luce. Monet elabora questo presupposto con le sue sequenze, in cui sviluppa alcune premesse implicite nell’Impressionismo fino ai limiti di un linguaggio d’avanguardia. L’opinione pubblica rimane ostile rispetto alla pittura impressionista, nonostante parte della critica riconoscesse i suoi meriti. La sua carica innovativa sarà sviluppata non solo dai suoi protagonisti nella tarda attività ma anche dal Postimpressionismo, un movimento eterogeneo che comprende soluzioni diversificate seppure accomunate dal rapporto, positivo o negativo, con l’Impressionismo. Problemi e ruolo della scultura in Francia Baudelaire, commentando il Salon del 1859, sottolinea la grande diffusione della scultura, strumento privilegiato di propaganda politica in virtù delle sue suggestioni e dell’impatto emotivo. Nel 1846 però, lo stesso Baudelaire aveva ritenuto la scultura un’arte complementare, isolata, il cui compito era quello di associarsi umilmente alla pittura e all’architettura. Nell’articolo “Perché la scultura è tediosa” la rimprovera di essere tra le arti quella che maggiormente si avvicina alla natura. L’estetica romantica individua nella molteplicità dei punti di vista uno dei suoi limiti. La pittura al contrario ha un unico punto di vista, per cui l’espressione del pittore risulta più forte. La cultura romantica critica aspramente la produzione che si richiama ad un classicismo ormai esanime mentre apprezza opere dotate di forte carica espressiva. La scultura dell’Ottocento si ispira a molteplici stili, secondo i dettami del gusto eclettico. Tra 1850 e 1870 il Secondo Impero, alla ricerca di una nuova legittimazione politica, intensifica le commissioni pubbliche con opere che si attengono agli stili storici come a una sorta di memoria visiva di un passato glorioso. Con l’avvento nel 1875 della Terza Repubblica, si assiste alla ripresa delle ordinazioni statali di grandi monumenti che celebrano i fasti del rinnovato sentimento Scaricato da Hong Kong ([email protected]) lOMoARcPSD|43303328 nazionale. La natura statale della committenza però vincola la libertà creativa degli artisti, per cui la scultura si attarda su posizioni conservatrici. La scultura era infatti più dispendiosa della pittura, per cui richiedeva un impegno economico spesso sostenibile solo dall’amministrazione pubblica. Anche la committenza privata comunque aderisce alle scelte estetiche del conservatorismo e favorisce sia la statuaria cimiteriale sia la produzione in copie di dimensioni ridotte delle opere esposte ai Salons. Questa situazione giustifica lo scandalo suscitato dal gruppo La Danza, di Jean Baptiste Carpeaux, per la facciata dell’Opera: un nobile parigino scrive addirittura che non potrà più portarvi le proprie figlie in quanto il monumento reca l’insegna simile a quella di un luogo malfamato. La riprovazione è analoga a quella che aveva investito la Colazione sull’erba di Mane: le figure di Carpeaux non evocano una danza ideale e divina ma il movimento reale dei corpi. Solo alla fine degli anni Ottanta avviene un vero e proprio rinnovamento della scultura, con l’opera di Auguste Rodin, che con I borghesi di Calais rende onore in modo nuovo alla resistenza della città assediata nel XIV secolo dagli inglesi. La sofferenza individuale dei personaggi isolati diventa elementi di umanizzazione del fatto eroico: il gruppo rappresenta il momento in cui i cittadini decidono di darsi in ostaggio per salvare la città. L’attuale collocazione delle statue su un piedistallo non è quella voluta da Rodin ma dalle autorità di Calais: il progetto dell’artista era quello di far cementare le statue, una dietro l’altra, di fronte al Municipio, cosicché sembrasse che i personaggi si dirigevano dal Municipio al campo di Edoardo III. Questa collocazione appare decisamente moderna per i tempi, ma Rodin si mostra ancora legato alla cultura romantica, di cui esaspera premesse fondamentali come gli effetti scenografici, di grande richiamo emotivo. Un’altra prova della sua appartenenza al momento di passaggio tra tardo Romanticismo e pre- avanguardia è il Monumento a Honoré de Balzac, commissionato da Zola per la “Societé des Gens de Lettre”; il gesso di Rodin viene rifiutato e l’incarico è affidato a Falguière, che propone secondo la tradizione un Balzac seduto. Nella sua opera Rodin mette in pratica il principio secondo cui la scultura moderna deve esagerare le forme dal punto di vista morale, per esprimere meglio la condizione spirituale; la novità sta nel tentativo di rappresentare la statura morale e intellettuale dello scrittore senza fare ricorso all’allegoria; semplificazione e deformazione minano il realismo formale, indiscusso fino a quel momento; anche questa deformazione nasce però dall’intento tipicamente ottocentesco di riprodurre lo spirito. Nel 1880 Rodin realizza la porta monumentale per

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