Capitolo 1: L'Assistente Sociale PDF

Summary

Il capitolo introduce il concetto di assistente sociale, analizzando le sue caratteristiche, le radici storiche e l'ambito di applicazione.Il testo è un'introduzione alla figura dell'assistente sociale e fornisce delle basi per comprendere tale professione. Discute delle competenze e dei campi di intervento dell'assistente sociale.

Full Transcript

## Capitolo 1 ### L'Assistente sociale #### Definizione e parole chiave ### 1. Chi è l'Assistente sociale? Presentare una professione è sempre cosa ardua e complessa. Per quanto ci si industri a descriverne i mille aspetti, si resta sempre mancanti. Una professione, espressione densa dell'agire...

## Capitolo 1 ### L'Assistente sociale #### Definizione e parole chiave ### 1. Chi è l'Assistente sociale? Presentare una professione è sempre cosa ardua e complessa. Per quanto ci si industri a descriverne i mille aspetti, si resta sempre mancanti. Una professione, espressione densa dell'agire umano, non è mai riducibile alla somma degli elementi che la compongono. Non basta elencarne gli aspetti teorici, giuridici, metodologici, tecnici... per descriverla compiutamente, Una professione – leggiamo nel dizionario di sociologia – è caratterizzata, oltre che dalla specializzazione del sapere e da una formazione intellettiva di livello superiore, anche dalla presenza di un'ideale di servizio. A meno che non si voglia correre il rischio di ridurla ad una “faccenda”, per quanto competente, cioè a “qualcosa che si fa". «Faccio l'Assistente sociale o sono un Assistente sociale?». «Faccio il medico o sono un medico?». «Faccio l'insegnante o sono un insegnante?». Si tratta di domande cruciali, verso le quali la lista delle possibili risposte è inesauribile... una nuova prospettiva, una ulteriore angolatura, possono sempre aggiungersi. Se poi, parliamo delle “professioni d'aiuto” com'è per quella dell'Assistente sociale – la questione diviene ancora più complessa poiché anche l'aiuto è una realtà dai confini ampi e indefiniti e ha una «gamma di significati e applicazioni molto estesa», nella quale si mescolano e rincorrono parole come assistenza, sostegno, condivisione, tutela, accompagnamento, solidarietà, empowerment, protezione, monitoraggio, etc. Per procedere con prudenza, partiamo dall'etimologia e quindi dal significato originario – delle due parole che compongono il termine “Assistente sociale”. Entrambe hanno una origine latina. "Assistente" viene dal termine composto “ad-sistere”, dove la particella "ad-" significa “a, presso, appresso, vicino” e il verbo “-sistere” indica il “fermarsi, presentarsi”. "Assistente" è, dunque, colui che si ferma vicino, che si fa prossimo, che entra in relazione. Anche "Sociale" proviene da una parola composta: "socius-alem", dove il sostantivo "socius-" si riferisce a una "persona unita, compagno, alleato" e la terminazione "-alem" indica "riferimento, riguardo". Quindi, "sociale" si riferisce a ciò che riguarda l'unione tra le persone, il loro essere in relazione significativa. Combinando i due termini, possiamo concludere che, nel suo significato originario, la dicitura "Assistente sociale" indica “colui che si ferma vicino all'unione tra le persone" o, per dirla meglio, “colui che entra in relazione con le persone per promuovere le relazioni tra le persone”. Emerge, insomma, una doppia centratura relazionale della professione di Assistente sociale. È relazionale nell'oggetto a cui si dedica (l'unione, la relazione tra le persone) e nel metodo (l'avvicinarsi, l'entrare in relazione). Nel corso degli ultimi decenni, a livello internazionale, la comunità degli Assistenti sociali si è profondamente interrogata su quali fossero gli elementi identitari della propria professione. Il confronto, lungo e impegnativo, ha portato alla formulazione di una definizione internazionale dell'Assistente sociale, sottoscritta nel 2014 a Melbourne, sia dall'IFSW (International Federation of Social Workers) che dall' IASSW (International Association Schools of Social Work): «Il Servizio sociale è una professione basata sulla pratica e una disciplina accademica che promuove il cambiamento sociale, il metodo del problem solving nei rapporti umani, l'empowerment e la liberazione delle persone per migliorare il benessere. Utilizzando le teorie del comportamento umano e del sistema sociale, il Servizio sociale interviene nelle situazioni in cui le persone interagiscono con il loro ambiente. I principi dei diritti umani e della giustizia sociale sono fondamentali per il Servizio sociale». Analizzando brevemente questa definizione, possiamo innanzitutto evidenziare che l'Assistente sociale è un promotore di benessere, cioè il senso della sua stessa esistenza – in quanto professione – e l'obiettivo ultimo del suo operato, sono l'accompagnare le persone a stare sempre meglio. La definizione evidenzia, poi, che l'Assistente sociale agisce su tre livelli: - con le persone (livello micro), promuovendone l'empowerment e la liberazione; - con i gruppi e le reti (livello meso), favorendo la crescente qualità nei rapporti umani; - con le comunità (livello macro), contribuendo al loro cambiamento migliorativo. La definizione internazionale di Servizio sociale si sofferma anche nell'evidenziare che la competenza professionale e quindi il connesso percorso formativo, dell'Assistente sociale è di tipo scientifico-teorico, quindi basata innanzitutto sull'esercizio di un approfondito pensiero riflessivo. Precisa, in particolare, il bisogno di una preparazione che sappia muoversi sia nell'ambito delle discipline inerenti al comportamento delle persone (si pensi a settori disciplinari come la psicologia, la pedagogia, l'etica...) che in quello dei contesti sociali (si pensi a discipline come la sociologia, il diritto, l'economia), delineando una competenza complessa e poliedrica che rende gli Assistenti sociali gli «specialisti dell'umano». Questo articolato ed eterogeneo bagaglio teorico “serve” all'Assistente sociale poiché il punto centrale del suo intervento è quello in cui persone e contesti interagiscono, a «favore di un equilibrato rapporto fra persone e ambiente sociale», il che lo rende il professionista sociale per antonomasia, a differenza di altre professioni più concentrate sulle persone o sulla società. La definizione termina evidenziando come l'azione dell'Assistente sociale si regge su una base valoriale che comprende sia il bene delle singole persone - delle quali è chiamato a tutelare i diritti - che della collettività - in modo che si superino situazioni di ineguaglianza. In questa conclusione emerge la matrice personalista dell'etica dell'Assistente sociale, che vede la promozione umana nella crescita del bene di tutti e di ciascuno, in uno scenario nel quale il benessere comune e quello dei singoli crescono insieme, e le persone sono accompagnate a non isolarsi in egoistiche chiusure libertarie e, al contempo, sono protette dal dissolvimento anonimizzante delle masse. All'inizio di questo paragrafo introduttivo, ci siamo chiesti se «l'Assistente sociale lo si fa o lo si è?». Sia la centratura relazionale - tratta dall'etimologia delle parole - che la cornice etica – indicata nella definizione internazionale - ci indicano che non è qualcosa che si esaurisce nel fare e che chiama in gioco livelli di coinvolgimento più profondi. Assistenti sociali occorre "esserlo", poiché è solo questo il livello che rende realmente autentiche le relazioni d'aiuto e che permette di maneggiare i valori e i principi morali del proprio operato. Del resto, le relazioni, se non fossero autentiche, non sarebbero nemmeno relazioni, ma semplici connessioni, interazioni. L'Assistente sociale, quindi, “lo si può fare" soltanto se, innanzitutto, “lo si è”. Ove questo mancasse, l'Assistente sociale diventerebbe altro, un impiegato, un occupato, un contrattualizzato..., ma non il professionista che è chiamato ad essere. ### 2. Definizione di Assistente sociale nel contesto italiano Le osservazioni che abbiamo presentato sopra valgono per qualunque Assistente sociale del mondo. Restringendo il campo di analisi al contesto italiano, troviamo ulteriori elementi e indizi che contribuiscono a definire "chi è" l'Assistente sociale nel nostro Paese. La prima fonte è la Legge n. 84 del 23 marzo 1993, dal titolo “Ordinamento della professione di Assistente sociale e istituzione dell'albo professionale". In questa norma nazionale, composta da soli cinque articoli, il profilo dell'Assistente sociale è presentato, nel primo comma dell'Art. 1, descrivendone brevemente l'ambito di intervento: «L'Assistente sociale opera con autonomia tecnico-professionale e di giudizio in tutte le fasi dell'intervento per la prevenzione, il sostegno e il recupero di persone, famiglie, gruppi e comunità in situazioni di bisogno e di disagio (...)». Non si tratta di una definizione. Tuttavia, analizzando i singoli contenuti di questo comma, possiamo ricostruire, in una sorta di identikit, la fisionomia complessiva a partire dai dettagli. L'Assistente sociale è un professionista (presupposto per l'esercizio dell'autonomia tecnico-professionale), che interviene con persone singole o associate, al fine di prevenire, contrastare e superare situazioni di disagio. Confrontando questo profilo con quello ricavato dalla definizione internazionale e dall'analisi etimologica, emerge un posizionamento - nel quadro italiano - fortemente incentrato sul fronte del disagio (da prevenire e superare) e apparentemente lontano dalla funzione di promozione del benessere sociale, in generale. Questa dimensione più ampia viene recuperata dalla seconda fonte italiana in materia di definizione dell'Assistente sociale, cioè dal *Codice deontologico della professione*, entrato in vigore nel 1998 e aggiornato più volte nel corso degli anni. Nel Preambolo della versione vigente, del 1° giugno 2020, è scritto che: «la professione dell'Assistente sociale è fondamentale per garantire i diritti umani e lo sviluppo sociale (...) L'Assistente sociale, con la propria attività, concorre a realizzare e a tutelare i valori e gli interessi generali, comprendendo e traducendo le esigenze della persona, dei gruppi sociali e delle comunità * 13. Come si può facilmente osservare, non vi sono riferimenti al disagio, inteso come difficoltà sociale da arginare o da prevenire, ma si orienta l'impegno professionale dell'Assistente sociale nella direzione dello sviluppo dei diritti, della società e dei valori generali. La terza fonte a cui riferirci è il *Dizionario di Servizio sociale*, nella versione aggiornata, pubblicata dalla Carocci nel 2013, che rappresenta la fonte definitoria scientificamente più autorevole tra quelle attualmente presenti in Italia. Nella trattazione della voce Assistente sociale, affidata a Marilena Dellavalle, dopo aver precisato che sono in atto «periodiche rivisitazioni delle componenti definitorie (...) rese necessarie dall'evoluzione dei contributi scientifici (... e dalle) stesse trasformazioni interne ai sistemi dei servizi» e dopo una breve ricognizione delle fonti internazionali e nazionali, si conclude che: ««l'Assistente sociale italiano può essere sinteticamente definito come il professionista che utilizzando gli strumenti conoscitivi e operativi, il metodo e le tecniche della disciplina del Servizio sociale, interviene a favore di un equilibrato rapporto tra persone e ambiente sociale, impegnandosi nel promuovere un cambiamento che interessa contemporaneamente l'incremento delle capacità di azione nei soggetti, delle opportunità e delle risorse nei contesti di vita»*14. Dunque, l'Assistente sociale è il professionista che "mette in pratica" i contenuti della disciplina scientifica del Servizio sociale, agendo per la promozione del benessere sociale dei singoli e delle comunità. ### 3. Mandati e stile dell'Assistente sociale Abbiamo appena visto che nel Preambolo del Codice deontologico dell'Assistente sociale si parla del ruolo che la società gli affida. Si tratta del cosiddetto "mandato sociale" dell'Assistente sociale, cioè del compito che la collettività gli consegna, «delle istanze, degli orientamenti e delle attese 15 che vengono assunte da coloro che si impegnano nella professione dell'Assistente sociale. In cosa consiste questo compito? Qual è il ruolo che gli viene chiesto? Lo abbiamo già detto nella definizione internazionale e lo ritroviamo anche nel citato Preambolo del Codice: garantire i diritti umani e lo sviluppo sociale. A questo scopo la società conferisce all'Assistente sociale «un'autorità (...) per svolgere funzioni e compiti in un rapporto di reciproca responsabilità*. Il mandato sociale giunge agli Assistenti sociali in vari modi, attraverso domande esplicite o implicite. Di base, v'è l'attesa dei cittadini, singoli e associati, di vedere attuato e promosso il benessere delle persone e della comunità. Attesa che si traduce, prima e oltre la semplice opinione pubblica, negli obiettivi e nelle modalità operative definiti dalla legislazione approvata – in nome e per conto del popolo - a livello europeo, nazionale e regionale. A questo compito, affidato agli Assistenti sociali dalla società, corrisponde - in particolare attraverso la codifica deontologica della professione - un più dettagliato e specifico insieme di responsabilità che essi "danno a sé stessi" al fin di rispondere adeguatamente alle persone , alla comunità, ai colleghi e agli altri professionisti nonché alla professione stessa. Questo insieme di responsabilità auto-assegnate è il cosiddetto mandato professionale dell'Assistente sociale, articolato innanzitutto nel già citato Codice deontologico, che ne delinea e tratteggia l'identità e che «deve esser conosciuto nella sua completezza da tutti coloro che esercitano la professione» 17. Il Codice del Servizio sociale, introdotto come abbiamo detto - nel 1998 e, attraverso quattro revisioni, giunto alla versione attuale, in vigore dal 1º giugno 2020, è composto da 9 Titoli, per un totale di 86 Articoli, preceduti da un Preambolo. Il mandato professionale dell'Assistente sociale è, inoltre, sviluppato e arricchito dal contributo attivo di tutti gli Assistenti sociali e degli organi professionali, sia istituzionali (come il Consiglio Nazionale e i Consiglio Regionali dell'Ordine), che associativi (come l'Associazione Nazionale degli Assistenti sociali, il Sindacato Unitario degli Assistenti sociali, l'Associazione degli Assistenti sociali per la protezione civile, etc.) che scientifici (come la Società Italiana di Servizio sociale, la Fondazione Italiana degli Assistenti sociali, la Società per la Storia del Servizio sociale, etc.). Gli Assistenti sociali ricevono, infine, incarichi e compiti dalle organizzazioni nelle quali e per le quali operano. È il cosiddetto mandato istituzionale, che gli arriva innanzitutto dalla Pubblica Amministrazione, a partire dagli indirizzi e dalle scelte di coloro ai quali è affidato il governo centrale del Paese e, a seguire, dai responsabili delle altre istituzioni nazionali, regionali e locali. Mandato espresso anche dalle organizzazioni no-profit e profit nelle quali eventualmente gli Assistenti sociali operano. Tre, dunque, i mandati che l'Assistente sociale riceve: sociale, professionale e istituzionale. Non sempre i tre mandati coincidono. Anzi, non di rado, emergono vere e proprie fratture. Tra le più significative, v'è quella che sorge tra mandato professionale e mandato istituzionale, quando quest'ultimo è caratterizzato da «politiche di razionalizzazione e riorganizzazione manageriale» che determinano un notevole «stato di frustrazione tra gli Assistenti sociali» 18. Le logiche di risparmio e di contenimento della spesa propugnate da queste politiche possono, infatti, andare in forte contrasto con la responsabilità che il mandato professionale chiede agli Assistenti sociali di esercitare nella tutela delle persone. Nei casi di contrasto, qual è l'ordine di preminenza tra i tre mandati? Fermo restando che, quando sorgono queste dicotomie, l'Assistente sociale deve impegnarsi per favorirne la ricomposizione, e che nessuno dei tre mandati è completamente subordinabile agli altri, è possibile indicare una scalda di priorità, almeno tendenziale. Il primo postoya dato al mandato sociale, con particolare riguardo alle norme giuridiche che lo esprimono. È lo stesso Codice deontologico dell'Assistente sociale ad indicare che l'Assistente sociale deve innanzitutto rispettare le leggi del Paese in cui opera, a partire dalle norme Costituzionali ivi presenti 19. Parimenti occorre considerare la preminenza dei mandati sociale e professionale su quello istituzionale. Il che, tradotto in sintesi, significa che l'ente nel quale l'Assistente sociale lavora non può chiedergli di adottare condotte o modalità operative non rispettose del suo mandato professionnale e sociale, almeno per quanto riguarda il suo ambito diretto di responsabilità 20. Non è un caso che lo stesso Codice deontologico inserisca tra i primi impegni dell'Assistente sociale quello di custodire la propria autonomia tecnico-professionale e l'indipendenza di giudizio 21. I mandati affidati all'Assistente sociale, con il loro impegnativo ed esigente carico di responsabilità, chiedono la maturazione di uno stile professionale adeguato alla complessità del compito. Mille sono le indicazioni etiche, esistenziali, teoriche, metodologiche, tecniche, organizzative da porre sotto la lente, consapevoli di quanto occorra davvero far convergere nella medesima direzione ampie e diversificate energie e competenze. Vari manuali di Servizio sociale propongono elenchi di principi operativi e di atteggiamenti professionali <<distintivi e qualificanti la specificità dell'Assistente sociale 22. Molte delle indicazioni più significative sullo stile dell'Assistente sociale possono essere raggruppate in tre macro-dimensioni. La prima è lo stile relazionale. Si tratta di una dimensione essenziale, costitutiva, come abbiamo visto analizzando il significato del termine "Assistente sociale". Nel corso di questo manuale vedremo che un'Assistente sociale che non fosse “relazionale” negherebbe sé stesso. Giocando sulle parole, sarebbe un "dis-stante a-sociale". La seconda macro-dimensione che un buon Assistente sociale è chiamato a vivere è quella dello stile riflessivo. Abbiamo già accennato, sopra, che l'Assistente sociale è un esperto delle teorie del comportamento umano e dei sistemi sociali. Vedremo più in dettaglio nella seconda parte del testo come va intesa e vissuta questa dimensione. Un'ultima dimensione inerente al modo di interpretare il ruolo dell'Assistente sociale è quella dello stile modificativo. Si tratta di un aspetto di fondamentale importanza, specie considerando la complessità crescente dei sistemi burocratici, la progressiva riduzione delle risorse destinate al Welfare, la dilagante e crescente varietà dei bisogni sociali 23. L'Assistente sociale modificativo, mettendo a punto strategie attive di miglioramento del sistema, esplica - come vedremo nella terza parte del testo – il suo ruolo politico (inteso come contributo alla costruzione della polis 24, il bene comune per tutta la città). ### 4. Numeri, ambiti di impiego e funzioni Il sito web del CNOAS (Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Assistenti sociali) reca una sezione dedicata ai "numeri della professione 25, dalla quale si desume che al 30 settembre 2021 gli Assistenti sociali iscritti all'Albo professionale in Italia sono 46.158. Di questi, circa il 93% sono donne e il 7% uomini. Circa il 31% degli Assistenti sociali ha un'età inferiore ai 35 anni, il 66% un'età compresa tra i 36 e i 65 anni, il restante 3% è over 65. Il 52% degli Assistenti sociali ha un titolo di laurea triennale ed è iscritto alla Sezione B dell'Albo professionale. Il restante 48% ha il titolo di laurea magistrale ed è iscritto alla Sezione A. Dove opera l'Assistente sociale? Cioè in quali settori, presso quali organizzazioni? Un documento elaborato dal CNOAS nel 2013 raccoglie alcune informazioni. Cita una ricerca condotta e realizzata nel 2008 dall'Università Bicocca di Milano dalla quale emerge che il 48% degli Assistenti sociali lavora presso Enti locali (per lo più Comuni e, in minima parte Province e Regioni), il 28,3% nel Servizio Sanitario Nazionale (servizi sociosanitari per la famiglia, consultori familiari, salute mentale, riabilitazione e handicap, dipendenze, presidi ospedalieri), il 6,6% presso i Ministeri (Giustizia, Lavoro e Politiche sociali, Interno), il 10,8% presso enti di Terzo settore (cooperative sociali, organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale). Il restante 6,3% è distribuito tra: Enti pubblici para-statali (Inps, Inail), libera professione, docenza e attività di tutor universitaria, supervisione professionale 26. Per quanto riguarda gli ambiti di intervento , gli Assistenti sociali in Italia - specie per coloro che operano nei Comuni – hanno spesso un ambito di lavoro generalista, che li mette a contatto con variegate situazioni. Altri, invece , operano stabilmente in un settore definito. Complessivamente, gli ambiti che occupano prevalentemente la loro attività sono: le famiglie e l'infanzia (per il 26,6% degli Assistenti sociali); gli anziani (per il 19%), la tossicodipendenza e la malattia mentale (per l'11,4%), l'handicap (per il 9,2%) l'esecuzione penale (per il 6,7%) 27. Per quanto riguarda il tipo di funzioni esercitate dagli Assistenti sociali, la Legge n. 84 del 23 marzo 1993 sull' Ordinamento della professione di Assistente sociale, al citato articolo 1, offre alcune indicazioni: «l'Assistente sociale svolge compiti di gestione, concorre all'organizzazione e alla programmazione e può esercitare attività di coordinamento e di direzione dei servizi sociali». Nel libro *Introduzione al Servizio sociale*, pubblicato nel … da Gloria Pieroni e Maria Dal Pra Ponticelli, troviamo l'elencazione delle funzioni principali dell'Assistente sociale: verso le persone, cioè la funzione di rapporto diretto con l'utenza per ascolto, consulenza, sostegno, individuazione di progetti personalizzati di accompagnamento al benessere e all'autonomia; verso la comunità, cioè la funzione di promozione della partecipazione e di azione preventivo promozionale volta al miglioramento dei contesti di vita sociale; verso la propria organizzazione di lavoro: funzione di programmazione, progettazione, organizzazione, amministrazione e coordinamento dei servizi, di attivazione e di gestione del sistema informativo, di gestione delle risorse umane; verso la professione e i colleghi: funzione di studio, ricerca, didattica e di supervisione 28. ### 5. Professione umanizzante e surplus di responsabilità Di recente, su un sito di informazione dedicato ai medici 29, un articolo interessante distingueva tra “chi fa un lavoro" e "chi è un lavoro”. Precisamente, l'autore scriveva così: «Chi "fa" un lavoro può esserne soddisfatto o insoddisfatto, può cambiare mestiere e farne un altro, può essere licenziato e inventarsi un'altra professione, magari più soddisfacente. In pratica, chi fa un lavoro mantiene una certa distanza tra ciò che è come persona ed essere umano e ciò che fa come professione, anche se lo svolge al meglio e con passione». L'indicazione è chiara: se il lavoro "lo si fa" non v'è alcuna connessione diretta tra il tipo di impiego e gli elementi profondi dell'identità personale. L'autore dell'articolo continua dicendo: «Non così chi "è" un lavoro. Chi “è” un lavoro, ha collocato la sua professione nell'ambito della propria identità, e quel lavoro è parte integrante della persona». L'autore di questo articolo aggiunge una interessante riflessione: «In tutta la mia vita mi è capitato pochissime volte di sentire professioni come quella del medico affiancate al verbo "fare". Nella larghissima maggioranza dei casi il medico è un medico. Altrettanto dicasi per l'insegnante, che di solito è un insegnante, e poi magari fa altri lavori per arrotondare lo stipendio . In passato si diceva che queste due professioni richiedano una vocazione. Per altre professioni si ottengono risposte diverse, come "faccio il calzolaio, il manager, l'arrotino". L'articolo parla di vocazione riferendosi al medico e all'insegnante. Noi aggiungiamo anche le altre professioni d'aiuto e di cura, compresa quella dell'Assistente sociale. «Forse - conclude l'autore - è, oggi, un modo obsoleto di esprimersi, ma ci ricorda una realtà profonda. Il medico, nel momento in cui pronuncia il Giuramento di Ippocrate, sostanzialmente giura di essere medico in ogni istante della sua vita. Non è strano che inserisca la professione nell'identità!». Le riflessioni appena presentate, che l'autore intenzionalmente argomenta in modo semplice e un po' schematico, hanno il limite di ridurre eccessivamente la complessità presente nel mondo reale. Ad esempio, sarebbe errato pensare che chi "fa" un lavoro, non ne resti comunque influenzato anche a livello profondo, personale, esistenziale. Anzi, bisogna tenere presente che una quota importante dell'identità personale di ogni persona nasce, si evolve e si consolida attorno al lavoro, quale che esso sia. Oltre a ciò, occorre tenere presente che, come alcune ricerche evidenziano, una eccessiva identificazione con il proprio ruolo può far slittare gli operatori su approcci salvifici o su deliri di onnipotenza (spesso alternati a vissuti depressivi di onni-impotenza)_che poi lasciano facilmente spazio allo sviluppo del burnout 30. Tuttavia, proprio perché semplici, queste considerazioni sono sufficientemente provocatorie per metterci in discussione. Facciamo gli Assistenti sociali o siamo Assistenti sociali? Per rispondere, tentiamo di individuare cosa gli Assistenti sociali hanno in comune con i medici e gli insegnanti e cos'hanno di diverso dai calzolai o dagli impiegati amministrativi. Restando su un livello di riflessione semplificata, possiamo certamente affermare che Assistente sociale, medico e insegnante sono professioni dedite alla "cura" delle persone, al “prendersi cura" degli altri, della loro salute, della loro crescita, del loro benessere. Sono professioni rivolte all'uomo in modo diretto, quando questo si trova in una condizione di debolezza o di piccolezza. Questo richiede al professionista dell'aiuto il possesso di una dose maggiorata di passione, di umanità, di coinvolgimento personale, senza il quale la stessa azione professionale ne resterebbe monca. Come ben sottolinea Francesco Botturi in un recente testo sul lavoro sociale ed educativo: «la relazione di cura appartiene al riconoscimento tra gli uomini (...) all'aver cura dell'altro come qualcuno che mi riguarda 31. Certo, anche il confezionare scarpe può essere un mestiere realizzato con passione e può essere vissuto dall'artigiano come una dimensione identitaria. Tuttavia, se, in generale, si può affermare che ogni lavoro può essere vissuto con passione, questo vale soprattutto per le professioni di aiuto, nelle quali la “spinta positiva verso l'altro" è condizione indispensabile . Al punto che si potrebbe dire che il professionista dell'aiuto che ne fosse privo e che non riuscisse a recuperare questa dimensione, farebbe bene a valutare l'ipotesi di "cambiare mestiere". Nel libro "Gli Assistenti sociali non rubano più i bambini?” è presente una riflessione del prof. Giuseppe Acocella che sottolinea la necessità di una «piena consapevolezza culturale da parte dell'Assistente sociale, della propria funzione 32, la cui specificità è fornita - proprio - dalla dimensione sociale. Cosa significa? In che senso l'Assistente sociale deve maturare la “consapevolezza culturale" del proprio ruolo nella società? Il prof. Acocella intende dire che l'Assistente sociale – nel mondo di oggi – si trova ad attraversare una sorta di crocevia della storia, nel quale la tutela dei diritti sociali rappresenta la vera sfida della modernità. Diritti sociali come sostanza dei diritti fondamentali delle persone non solo riconosciuti, ma anche realmente garantiti dall'azione pubblica 33. In questa cornice siamo di fronte ad uno scenario drammaticamente incapace di «fondare un'etica che sia realmente in grado di gettare le basi per motivare i soggetti a superare gli sfrenati individualismi 3 4. Il prof. Acocella conclude ribadendo che occorre sviluppare un'etica dell'Assistente sociale che si fondi sulle virtù e che si basi sulle motivazioni personali dell'operatore. Un'etica che sappia riscoprire e rinvigorire «i valori interni alle pratiche, soprattutto il valore umanizzante della professione stessa, vissuta anche come occasione di realizzazione autenticamente morale (...) Ad esempio: chi lavora oltre l'orario cui è sindacalmente tenuto, chi si attarda con gli utenti per chiarimenti nel quadro di un'umana comprensione, va certamente al di là di una semplice deontologia professionale, oltre la correttezza del comportamento richiesto dalle regole 35. Tutto questo si muove con la «coscienza che (questo) lavoro ha implicazioni non codificabili solo dalla brutalità della regola (... e) che immettere nella prestazione questo surplus di responsabilità dá maggiore gratificazione 3 6, a sé stessi e agli altri.

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