La Tecnologia del DNA Ricombinante PDF
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Summary
Questo documento fornisce una panoramica della tecnologia del DNA ricombinante, spiegando i concetti chiave come l'estrazione e la purificazione del DNA, gli enzimi di restrizione, e le basi del clonaggio genico. Il testo descrive l'importanza di queste tecniche per la biologia molecolare e le applicazioni pratiche.
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## La tecnologia del DNA ricombinante ### Alla base dell'ingegneria genetica c'è la tecnologia del DNA ricombinante Fino all'inizio degli anni Settanta del secolo scorso, il DNA era la molecola più difficile da analizzare, in quanto non era affatto semplice manipolare in laboratorio una lunghissim...
## La tecnologia del DNA ricombinante ### Alla base dell'ingegneria genetica c'è la tecnologia del DNA ricombinante Fino all'inizio degli anni Settanta del secolo scorso, il DNA era la molecola più difficile da analizzare, in quanto non era affatto semplice manipolare in laboratorio una lunghissima sequenza nucleotidica monotona e ripetitiva. Grazie ai numerosi progressi scientifici che si susseguirono dall'isolamento del DNA a oggi (riassunti nella scheda 1), le moderne biotecnologie sono in grado di estrarre informazioni sul codice genetico di diversi organismi (tra cui l'essere umano) e di manipolarle avvalendosi di tecnologie molecolari sempre più avanzate. La tecnologia del DNA ricombinante comprende l'insieme di tecniche di ingegneria genetica con cui si può agire sul DNA di un organismo vivente. Attraverso queste tecniche è possibile combinare in un'unica molecola di DNA, detto DNA ricombinante (rDNA), geni provenienti da organismi diversi, clonare questi geni e farli esprimere. Per produrre *rDNA* occorre: * identificare il gene di interesse; * tagliarlo dalla molecola di DNA originaria grazie agli enzimi di restrizione; * unire tramite l'enzima ligasi frammenti di DNA anche di provenienza diversa; * inserire il gene in un vettore e trasferirlo nella cellula ricevente (di solito un batterio), dove verrà copiato per generare migliaia di molecole identiche (clonaggio). La molecola di DNA «ingegnerizzata» può essere trasferita in cellule in coltura o nella linea germinale di animali e piante, così da diventare parte funzionante ed ereditabile del nuovo organismo, l'organismo transgenico (figura 1). ### L'estrazione permette di purificare il DNA direttamente da un tessuto o da una cellula Per purificare un tratto di DNA d'interesse, è necessario innanzitutto estrarlo dal campione di partenza, che può essere un tessuto, una coltura cellulare, o un liquido biologico. Se si parte da una coltura cellulare, innanzitutto si procede alla lisi della membrana plasmatica delle cellule attraverso metodi che possono essere chimici (si usano detergenti o solventi organici) o fisici (osmosi o ultrasuoni). Una volta che il DNA è stato liberato, si procede alla sua purificazione. Per eliminare dal campione le altre biomolecole, queste vengono digerite da enzimi quali proteasi (frammentano le proteine), o RNasi (distruggono l'RNA presente), oppure si usano particolari resine che intrappolano solo il DNA. Una volta purificato, il DNA viene sciolto in acqua distillata ed è pronto per le successive indagini molecolari. Se il campione è un tessuto vegetale bisogna provvedere anche alla lisi della parete cellulare, prima di passare all'estrazione del DNA. Il caso più semplice è l'estrazione del DNA partendo da batteri. Il metodo standard per preparazioni di DNA da colture batteriche è la lisi meccanica (sonicazione con ultrasuoni) o la lisi enzimatica (utilizzando il lisozima) oppure entrambe. Oggi la quantità di DNA necessaria per le analisi genetiche è molto ridotta, per cui il campione di partenza può essere estratto anche da pochissime cellule. ### Gli enzimi di restrizione tagliano il DNA in punti precisi e noti Il secondo passo dopo aver purificato il DNA è quello di tagliarlo in frammenti, e per tale operazione vengono impiegati gli enzimi di restrizione, endonucleasi che di solito i batteri usano per frammentare il DNA dei virus e bloccarne la replicazione (vedi la scheda 2). Esistono molti enzimi di restrizione, ognuno dei quali taglia il DNA in specifiche sequenze di basi: il sito di restrizione. Il nome degli enzimi di restrizione deriva dal batterio dal quale provengono. Per esempio EcoRI è il nome del primo enzima isolato in *E. coli*: il prefisso Eco deriva dalle iniziali del batterio, R indica il ceppo RY13 e il numero romano I specifica che si tratta della prima endonucleasi isolata in questo batterio. EcoRI taglia il doppio filamento di DNA dove riconosce la sequenza: GAATTC. Nel punto in cui è stato tagliato il DNA, la sequenza è palindroma, cioè si ripete in direzioni opposte sulle due eliche complementari. Gli enzimi di restrizione possono effettuare due tipi di taglio: «orizzontale» e «sfalsato». Nel taglio orizzontale si producono estremità piatte dette blunt ends. Nel taglio sfalsato si ottengono due estremità coesive (sticky ends). La presenza di estremità coesive è fondamentale per ottenere DNA ricombinante, infatti i frammenti di restrizione possono unirsi tra loro mediante la formazione di legami a idrogeno tra le basi delle code sfalsate; in seguito verranno uniti in maniera più stabile dal legame covalente formato dalla ligasi. Gli enzimi di restrizione, in laboratorio, vengono usati come se fossero «forbici molecolari», infatti il DNA di qualsiasi organismo se incubato (messo a contatto) in provetta con uno di questi enzimi, risulterà tagliato in tutti i punti in cui si trova il sito di restrizione. Incubando il DNA di interesse e il genoma (o un plasmide) batterico con lo stesso enzima di restrizione, le reciproche estremità coesive si uniranno tra loro originando un *rDNA*. Per ogni enzima di restrizione sono disponibili mappe di restrizione, in cui sono indicati tutti i possibili siti dove taglierà il DNA. Attualmente esistono più di 200 enzimi di restrizione, per cui è facile scegliere quello adatto al gene che si vuole isolare. ### Tramite l'elettroforesi su gel i frammenti di DNA vengono separati in base alla dimensione Una volta effettuata l'incubazione del DNA di interesse con l'enzima di restrizione, è necessario verificare che il taglio sia andato a buon fine. Questo è possibile separando i frammenti di DNA ottenuti mediante elettroforesi su gel di agarosio, o di poliacrilammide (figura 4). Un gel di agarosio (polisaccaride ricavato dalle alghe) viene posto dentro un contenitore di plastica munito di elettrodi, chiamato cella elettroforetica. Il gel presenta, all'estremità superiore, delle cavità chiamate **pozzetti** all'interno delle quali viene «caricato» ogni campione da analizzare, insieme a un **marker**, cioè un campione contenente tratti di DNA di dimensioni note usato come riferimento per la miscela di frammenti nucleotidici in esame. A tutti i campioni, marker compreso, viene aggiunto anche un colorante blu, la cui migrazione consente di stimare la lunghezza della corsa. Si applica al gel un campo elettrico con il polo negativo vicino ai pozzetti e il polo positivo all'altra estremità. Il DNA è carico negativamente grazie alla presenza dei gruppi fosfato, per cui i frammenti tenderanno a «migrare» verso il polo positivo con una forza costante. All'interno del gel si crea una sorta di setaccio molecolare che fa passare più velocemente le molecole più piccole di quelle più grandi, per cui i frammenti più lunghi si fermeranno più in alto rispetto a quelli più corti. Il gel si esamina esponendolo alla luce ultravioletta, infatti per visualizzare il DNA viene usato un colorante che diventa fluorescente quando esposto agli UV. Tramite il marker, si può stimare la lunghezza dei frammenti (le singole bande fluorescenti) e stabilire in quale campione è stato isolato il tratto genico che ci interessa. Una «corsa elettroforetica» finisce quando tutti i frammenti sono arrivati nei pressi del polo positivo (se si prolunga troppo la corsa, i frammenti usciranno dal gel disperdendosi in soluzione tampone). Oggi alcuni enzimi di restrizione sono usati per diagnosticare malattie. Uno di questi è Hpal, grazie al quale è possibile determinare se un soggetto è affetto da anemia falciforme. Gli individui malati hanno una mutazione nel sito di restrizione del gene per la globina che impedisce ad Hpal di effettuare il taglio enzimatico, producendo in tal modo frammenti diversi rispetto a quelli ottenuti dopo il taglio sulla globina normale. ### I vettori di clonaggio devono contenere una serie di elementi necessari Per clonaggio genico si intende la generazione di molte copie di un frammento di DNA, utilizzando una cellula ospite per la sua duplicazione. Una delle applicazioni più usate è l'inserimento di un gene animale o vegetale in un batterio. Utilizzare i batteri come fabbriche di molecole biologiche di interesse medico o farmaceutico non è difficile. Si possono seguire due vie: o si introduce il gene in un plasmide che verrà poi inserito, per trasformazione, dentro la cellula batterica; oppure si integra il gene nel cromosoma batterico. La seconda via è più laboriosa da punto di vista tecnico, perché il cromosoma batterico non si può trattare con la stessa facilità di un plasmide, ma l'integrazione risulta più stabile; a volte i plasmidi e il loro contenuto vanno persi durante le fasi del clonaggio. Per inserire un gene in un plasmide è necessario disporre di: * enzimi di restrizione per tagliare il DNA; * una ligasi per unire i due frammenti di DNA; * un plasmide opportuno come vettore di clonaggio. **I PLASMIDI BATTERICI.** I vettori di clonaggio normalmente utilizzati sono i plasmidi. Come abbiamo visto nel capitolo B5, i plasmidi batterici sono frammenti di DNA circolare e si replicano in modo autonomo. Per il clonaggio devono avere (figura 5): * un'origine di replicazione, in modo che il vettore venga replicato all'interno della cellula ospite; * dei geni marcatori, chiamati anche geni reporter, che servono a selezionare le cellule contenenti il vettore (un esempio di gene marcatore è quello per la resistenza agli antibiotici, presente in tutti i vettori); * uno o più siti unici di restrizione dove inserire il frammento di DNA da clonare. Il fatto che l'enzima trovi un sito di restrizione unico (e non molti) dove tagliare, genera meno frammenti, che sarebbero altrimenti difficili da collocare nel giusto ordine. **LE TAPPE DEL CLONAGGIO GENICO.** La figura 6 mostra le tappe necessarie per clonare un gene. Prima si estrae un plasmide da un batterio, mentre da un'altra cellula viene rimosso il DNA che contiene il gene di interesse (per esempio il gene dell'insulina umana). 1 La costruzione del vettore adatto richiede l'uso dello stesso enzima di restrizione sia sul gene sia sul plasmide. 2 L'enzima DNA ligasi unisce con legame covalente i frammenti di DNA unendo l'estremità 5' di uno con l'estremità 3' di quello vicino. Il risultato è un plasmide ricombinante. L'uso congiunto degli enzimi di restrizione e della DNA ligasi permette di tagliare e cucire a scelta i filamenti di DNA. Ora il vettore è pronto e bisogna inserirlo dentro le cellule batteriche, dopo averle rese competenti, cioè trattate per acquisire con più facilità il DNA estraneo, per esempio con uno shock termico a 42 °C. 3 Per trasformazione batterica il plasmide penetra nel batterio, che a questo punto conterrà anche il gene per il prodotto desiderato. 4a Il clonaggio ha luogo quando il plasmide stesso si replica all'interno dei batteri, che seminati in un opportuno terreno di coltura cominciano a crescere. 4b Ora il batterio è stato «geneticamente ingegnerizzato» ed è quindi un organismo geneticamente modificato (OGM) che esprime il gene estraneo producendo l'ormone insulina. **MARCATORI DI RESISTENZA E DI SELEZIONE.** A questo punto è necessario riconoscere e selezionare le colonie che hanno incorporato il plasmide, e tra queste quelle in cui il plasmide contiene il gene da clonare. Questo è possibile grazie alla presenza nel plasmide di geni appositi per la selezione delle colonie batteriche. Come abbiamo visto, tutti i vettori possiedono geni marcatori che determinano la resistenza ad antibiotici. Aggiungendo l'antibiotico al terreno di coltura, sopravviveranno solo le colonie che hanno incorporato il plasmide. Il gene per la resistenza all'antibiotico è chiamato marcatore di resistenza. Oltre alle cellule che hanno acquisito il plasmide ricombinante, nella piastra potrebbero anche esserci cellule che hanno incorporato un plasmide «vuoto», cioè privo del gene di interesse. Queste cellule saranno resistenti agli antibiotici, ma per distinguerle si usa un marcatore di selezione che può essere la proteina GFP (vedi figura 5), oppure un ### Con la PCR si possono ottenere molte copie di specifiche sequenze di DNA Per molti decenni il clonaggio genico è stato l'unica tecnica utilizzata per trasferire grandi quantità di un determinato frammento di DNA. Da quando Kary Mullis e i suoi collaboratori scoprirono nel 1985 la reazione a catena della polimerasi (PCR), è stato possibile ottenere lo stesso risultato in modo più rapido. La PCR è una tecnica molto precisa, in grado di fare moltissime copie di una sequenza di DNA selezionata, che può rappresentare anche meno della milionesima parte del campione totale di DNA. La PCR per funzionare richiede alcuni componenti essenziali: * un DNA stampo da cui copiare il nuovo filamento complementare; * due primer (o inneschi), lunghi circa 15-30 nucleotidi, con un gruppo -OH libero all'estremità 3' della catena; * una DNA polimerasi, l'enzima che si occupa della duplicazione del DNA; * una fornitura di desossiribonucleotidi per la costruzione del nuovo filamento di DNA. La PCR, mostrata nella figura 7, è una catena di reazioni in cui il tratto di DNA viene duplicato (o amplificato) ripetutamente. In un'ora, la sequenza riconosciuta dall'enzima può essere amplificata un milione di volte. Il processo inizia con la fase di denaturazione 1, cioè la separazione delle catene complementari, ottenuta portando la provetta a temperature attorno ai 90 °C. 2 Segue la fase di annealing, in cui i due primer (ciascuno complementare a un'estremità della sequenza bersaglio) si legano al DNA e fanno da innesco per la DNA polimerasi. 3 A questo punto avviene la fase di sintesi, nella quale la sequenza stampo viene copiata in modo selettivo. Il ciclo di denaturazione / attacco dei primer / sintesi può essere ripetuto dalle 20 alle 30 volte 4, dando origine a un numero di copie che cresce in maniera esponenziale; alla fine esso sarà pari a 2ª, dove n corrisponde al numero di cicli di PCR effettuati 5. Questa tecnica ha rivoluzionato la biologia molecolare e oggi quasi ogni laboratorio dispone di macchine automatizzate per la PCR. L'automazione è stata resa possibile grazie all'estrazione di una DNA polimerasi termoresistente dal batterio *Thermus aquaticus* (Taq polimerasi), che vive nelle sorgenti calde del Parco nazionale di Yellowstone (USA). Dato che questo enzima può resistere alle alte temperature usate per la separazione dei due filamenti del DNA senza denaturarsi, la sintesi può procedere in continuo. L'introduzione dei termociclatori (vedi figura 2), in grado di produrre rapide variazioni di temperatura, è stata un'innovazione fondamentale per l'automazione della PCR. ### PCR A TRASCRIZIONE INVERSA Oltre ad amplificare il DNA, la PCR può essere usata per amplificare l'RNA. Inizialmente è necessario trasformare un RNA in un DNA complementare, il cDNA, tramite l'enzima trascrittasi inversa. In seguito, il cDNA ottenuto viene amplificato con una normale reazione a catena della polimerasi. Questa tecnica è chiamata RT-PCR, o PCR a trascrizione inversa e risulta molto utile per amplificare specifici mRNA, per esempio da cellule normali e tumorali, consentendone la quantificazione. ### Le librerie genomiche sono la collezione dei frammenti di DNA di un organismo Il clonaggio genico ha permesso di conoscere il genoma di un enorme numero di specie. Oggi è possibile costruire una genoteca, o libreria genomica, che racchiude tutti i frammenti di DNA di un organismo, ciascuno clonato all'interno di un vettore di clonaggio. Le fasi di costruzione di una genoteca sono: * l'estrazione del DNA dalle cellule; * il taglio del DNA estratto con enzimi di restrizione; * il clonaggio della popolazione di frammenti così ottenuta, all'interno di vettori BAC o cosmidi. A questo punto la nostra libreria genomica contiene un numero altissimo di cloni all'interno del quale dobbiamo identificare il clone di interesse (figura 9). Questa fase prevede l'analisi dei singoli cloni (lo screening della libreria). Innanzitutto ogni clone deve essere «piastrato» in modo tale che si sviluppi originando una colonia distinta. 1. Su un filtro di nitrocellulosa si replicano le colonie piastrate e si procede alla fase di ibridazione. Prima, il filtro venne sottoposto a un trattamento denaturante per lisare (rompere) le cellule ed esporre il DNA. Per l'ibridazione si usano sonde di DNA (brevi sequenze corrispondenti al gene di interesse) marcate tramite l'incorporazione di nucleotidi che contengono l'isotopo radioattivo del fosforo "P, che rende riconoscibile all'analisi i cloni ibridati. 2 Dopo il tempo necessario per l'ibridazione, il filtro viene lavato per rimuovere la sonda che non si è legata, e lasciato a seccare. 3 Dato che il filtro è una specie di fotografia della piastra da cui deriva, basandosi sulla corrispondenza tra la posizione della colonia sul filtro e quella sulla piastra si possono identificare le cellule contenenti il DNA che si sta cercando. 4 Infine, si prelevano e si fanno moltiplicare le cellule batteriche fino a ottenere una «coltura pura» che contiene solo il vettore con il DNA desiderato. ### Le librerie di cDNA mostrano quali sono i geni espressi dalla cellula in un dato momento Una libreria genomica può essere costruita anche partendo da frammenti di DNA derivanti dai geni che in quel momento la cellula esprime. Questi frammenti sono chiamati DNA complementari, o cDNA. Il procedimento per la costruzione di una libreria di cDNA (figura 10) prevede innanzitutto l'estrazione di mRNA da un tessuto. Questo mRNA farà da stampo per la trascrittasi inversa, l'enzima che produce copie di DNA a partire da RNA. Otterremo quindi un doppio filamento di DNA complementare all'mRNA estratto, il cDNA per l'appunto. I cDNA ottenuti da un tessuto, in un dato momento della vita dell'organismo, costituiscono una libreria di cDNA. Una libreria di cDNA fissa l'insieme degli RNA trascritti restituendo, quindi, una fotografia del trascrittoma di quel tipo di cellula. Queste librerie sono state fondamentali per confrontare l'espressione genica nei diversi tessuti a vari stadi di sviluppo. ### Il sequenziamento del DNA Con il sequenziamento è possibile stabilire l'ordine dei nucleotidi del DNA Sequenziare un tratto di DNA significa determinare l'ordine esatto nel quale si trovano i nucleotidi che lo costituiscono. Questa tecnica fu scoperta nel 1977 dal chimico inglese Frederick Sanger (1918-2013). Il suo metodo di sequenziamento si basava sull'utilizzo di dideossinucleotidi marcati durante l'allungamento del DNA da parte della DNA polimerasi. I dideossinucleotidi mancano, infatti, del gruppo ossidrile in 3' dello zucchero, necessario a formare il legame fosfodiesterico con il nucleotide successivo. Agiscono quindi da «terminatori di catena» interrompendo la sintesi del DNA. Il metodo di Sanger, chiamato anche metodo a terminazione di catena, diventò presto la procedura standard per sequenziare qualsiasi frammento di DNA purificato. Per effettuare una reazione di sequenziamento del DNA (figura 12), si preparano quattro miscele in cui ai normali deossinucleotidi (dNTP) viene aggiunto un singolo dideossinucleotide (ddATP, ddTTP, ddCTP o ddGTP) a una concentrazione inferiore a quella dei normali dNTP. Nella tecnica originale, ciascun ddNTP è marcato con l'isotopo radioattivo ³²P per visualizzare i prodotti della reazione. Una volta che il campione è stato distribuito nelle quattro provette separate, la reazione di polimerizzazione procede come al solito: il DNA a doppia elica è denaturato e viene aggiunto un oligonucleotide complementare a quella parte del filamento stampo che farà da innesco. Durante la reazione, in una certa frazione di molecole, la DNA polimerasi si fermerà dopo aver incorporato il terminatore di catena. In ogni miscela si formeranno, quindi, una serie di frammenti di lunghezza crescente, ciascuno terminante con lo stesso dideossinucleotide. Alla fine del processo avremo una provetta dove saranno evidenziate tutte le posizioni in cui è stata incorporata una A (adenina) e così via per le altre provette. Infine, le quattro miscele sono caricate una di fianco all'altra su di un gel di poliacrilammide per separare i diversi frammenti. Visualizzando i frammenti su gel, è possibile leggere la sequenza procedendo dal frammento più piccolo (corrispondente al primo dideossinucleotide incorporato) a quello più grande (corrispondente all'ultimo dideossinucleotide). ### Nei sequenziatori automatici PCR ed elettroforesi sono accoppiate Il sequenziamento del DNA per molti anni fu una procedura efficace ma laboriosa e costosa. Oggi, grazie ai sequenziatori automatici, è possibile sequenziare in poche ore migliaia di paia di basi e ottenere l'analisi di più campioni contemporaneamente. 1 Al metodo di Sanger, nei sequenziatori automatici (figura 13), è abbinata la reazione di PCR in presenza di dideossinucleotidi a cui è attaccato un marcatore fluorescente di colore diverso, rilevato poi tramite uno scanner laser. 2 A mano a mano che il sequenziamento procede, i prodotti della PCR sono separati in base alla dimensione con un tipo di elettroforesi molto sofisticata. Nel sequenziatore si trova una serie di tubi capillari all'interno dei quali i frammenti di DNA ottenuti vengono separati in singole corse elettroforetiche. La sequenza del DNA è quindi letta stabilendo la successione dei colori dei ddNTP che passano davanti al laser, tradotta in sequenza di nucleotidi. Di questa sequenza non conosciamo l'identità di tutti i nucleotidi, ma conosciamo il primer e l'ultimo nucleotide aggiunto di ogni frammento. A questo punto, sulla base della miscela di reazione in cui si trovano, siamo in grado di leggere l'ordine in cui i nucleotidi si susseguono, partendo dal frammento più piccolo, fino al più grande. 3 Nei sequenziatori automatici, la fluorescenza captata dal laser viene registrata da un computer, che restituisce le sequenze dei frammenti.