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Gli appunti di biochimica trattano i concetti fondamentali della materia vivente a livello molecolare, descrivendo atomi, elettroni, legami chimici e elettronegatività.
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BIOCHIMICA La biochimica è la scienza che studia la materia vivente da un punto di vista chimico, studia ciò che compone la materia e le interazioni che ha la materia da un punto di vista molecolare. L’atomo è l’unità fondamentale della materia vivente, ciò che costituisce la materia. Ogni atomo è...
BIOCHIMICA La biochimica è la scienza che studia la materia vivente da un punto di vista chimico, studia ciò che compone la materia e le interazioni che ha la materia da un punto di vista molecolare. L’atomo è l’unità fondamentale della materia vivente, ciò che costituisce la materia. Ogni atomo è caratterizzato da un numero di massa (A) formato dal numero di protoni (Z) e dal numero di neutroni (N). A=Z+N Il numero dei protoni è pari al numero atomico e determina l’individualità dell’elemento considerato, i protoni sono dotati di carica positiva. I neutroni non hanno carica e hanno massa quasi identica a quella dei protoni. Sono definiti isotopi gli atomi con uguale numero atomico ma diverso numero di massa (e quindi diverso numero di neutroni). Es. Idrogeno, deuterio e trizio sono isotopi con A rispettivamente 1, 2, 3 Gli elettroni ruotano attorno al nucleo, sono caratterizzati da una carica negativa e non compongono il numero di massa in quanto la loro massa e infinitesimale. Il numero di elettroni che compongono un atomo è pari al numero dei suoi protoni. Si dice che un atomo è allo stato fondamentale quando ha tanti elettroni quanti protoni. In queste condizioni esso è elettricamente neutro ma ciò non accade quasi mai per la tendenza degli atomi a combinarsi tra loro, o a rilasciare o ad acquistare elettroni. Gli elementi principali di cui è formata la materia vivente sono carbonio, idrogeno, ossigeno ed azoto, sono necessari anche alcuni sali minerali come calcio, sodio e potassio. Attorno al nucleo orbitano gli elettroni in orbitali specifici, i numeri quantici n e l definiscono le energie degli orbitali atomici. 1 Esempi: - He-> numero atomico 2-> 1s2 - Li-> numero atomico 3-> 1s2 2s1 - Be-> numero atomico 4-> 1s2 2s2 - B-> numero atomico 5-> 1s2 2s2 2p1 - C-> numero atomico 6-> 1s2 2s2 2p2 2 - N-> numero atomico 7-> 1s2 2s2 2p3 - O-> numero atomico 8-> 1s2 2s2 2p4 Gli atomi cercano sempre di raggiungere l’ottetto ossia 8 elettroni nell’orbitale più esterno creando legami con altri elementi. Per esempio, al carbonio C mancano 4 elettroni per completare l’ultimo orbitale, quindi, potrà creare fino a 4 legami. Nell’instaurare legami covalenti tra di loro, gli atomi mettono in condivisione elettroni del guscio più esterno. Tuttavia, nella maggior parte dei casi i doppietti elettronici condivisi non sono distribuiti egualmente tra i due atomi che partecipano al legame. Al contrario, atomi diversi hanno normalmente una diversa capacità di attrarre a sé il doppietto elettronico, determinando pertanto una distribuzione asimmetrica del doppietto medesimo. L’elettronegatività è una misura della capacità di un atomo di attrarre elettroni di valenza. È la tendenza di un atomo a cedere o attrarre un elettrone e quindi a fare il legame, gli elettroni che possono essere ceduti sono chiamati di valenza. Si produce così un accumulo di una frazione di carica negativa sull’atomo più elettronegativo e di una frazione di carica positiva sull’atomo meno elettronegativo. L’elettronegatività vista sulla tavola periodica aumenta seguendo il senso delle frecce ed è ordinata nella scala di Pauling. Minore è il numero di elettroni per raggiungere un assetto stabile, maggiore è l’elettronegatività ossia attrae maggiormente. Es. il fluoro ha 7 elettroni nel guscio più esterno e quindi gliene manca uno per raggiungere l’assetto stabile con otto, di conseguenza esso ha una elevata elettronegatività (4.0). inversamente i metalli alcalini (litio, sodio, potassio) hanno un solo elettrone nel guscio più esterno, e quindi hanno una scarsissima tendenza ad attrarre elettroni; al contrario essi possono raggiungere un assetto stabile cedendone uno, e di conseguenza hanno tra i valori più bassi di elettronegatività. Inoltre, a parità di assetto elettronico nel guscio più esterno, un elemento è tanto più elettronegativo quanto minore è il suo numero atomico. Es. il fluoro appartiene al gruppo degli alogeni ed è il più piccolo elemento del gruppo; seguono in ordine crescente di dimensione cloro, bromo, iodio, che hanno valori 3 progressivamente decrescenti di elettronegatività. Tal effetto potrebbe essere ricondotto al fatto che maggiore è la dimensione di un atomo, minore è l’effetto attrattivo del suo nucleo verso gli elettroni nel guscio più esterno, sia per la maggiore distanza, sia per il maggiore effetto schermante degli elettroni nei gusci più interni. I legami fondamentali per la materia sono di due tipi: ionico e covalente. In generale si può dire che nel legame ionico l’elettrone viene ceduto mentre in quello covalente l’elettrone è messo in compartecipazione. Il tipo più semplice di legame elettrostatico che si instaura fra gli atomi è il legame ionico. Nei composti binari il legame ionico si forma tra metalli e non metalli e si ha quando la differenza di elettronegatività (scala di Pauling) tra gli atomi coinvolti nel legame supera il valore convenzionale di 1,9; gli elettroni coinvolti nel legame risultano permanentemente legati all’atomo più elettronegativo, che quindi è diventato uno ione negativo, l’altro atomo, avendo perso un elettrone, è diventato uno ione positivo. In composti di questo tipo (Sali) il legame non è direzionato tra due atomi distinti, ma è una forza di attrazione elettrostatica distribuita uniformemente nello spazio attorno ad ogni ione. Allo stato solido le coppie di ioni, in funzione delle dimensioni e della carica di ciascuno, si dispongono in reticoli cristallini regolari. È il caso del sale da cucina, il cloruro di sodio NaCl. Sodio-> numero atomico 11-> 1s2 2s2 2p6 3s1 Cloro-> numero atomico 17-> 1s2 2s2 2p6 3s2 3p5 Il sodio, avendo bassa elettronegatività (0,9), diventa ione positivo cedendo lo l’elettrone al cloro che a sua volta diventa ione negativo in quanto ha elettronegatività alta (3.0). questi ioni si attraggono elettricamente e si forma un reticolo cristallino. Se, invece, non c’è una differenza di elettronegatività così forte si instaura un legame covalente in cui una coppia di elettroni viene messa in comune fra due atomi quindi non creando ioni. Ciò avviene per una ragione ben precisa: due atomi tendono al minor dispendio energetico possibile ottenibile con la stabilità della loro configurazione elettronica (ad esempio l’ottetto). Un tipico esempio è fornito dalla combinazione di due atomi di idrogeno, che porta alla struttura covalente: H + H H:H 4 Nella molecola finale, H2, i due atomi sono tenuti assieme da una coppia di elettroni (carichi negativamente) condivisi, i quali attirano a sé i rispettivi nuclei (carichi positivamente). Un legame covalente è quindi il risultato di un’interazione elettrostatica che coinvolge i nuclei. Quando la nube elettronica è distribuita simmetricamente il legame risulta non polarizzato. Nel caso il legame si instaura tra due atomi che hanno diverso grado di elettronegatività, gli elettroni saranno maggiormente attratti dall’atomo più elettronegativo ed il legame risulterà quindi polarizzato elettricamente. In questo caso si parla di legame covalente polare. In tale molecola si produce una dislocazione di carica, ovverosia sull’atomo più elettronegativo si accumulerà permanentemente una frazione di carica negativa e su quello meno elettronegativo una frazione di carica positiva. Se consideriamo il caso semplice dell’acido fluoridrico, HF, data l’elevata differenza di elettronegatività avremo una frazione cospicua di carica negativa sul fluoro e un uguale valore di carica positiva sull’idrogeno. Di una molecola dotata di elevato momento dipolare si diche che forma un dipolo. Ciò sta a significare che, anche se complessivamente neutra, essa possiede un “lato” carico positivamente e il “lato” opposto carico negativamente. Nel caso dell’HF il lato carico positivamente è quello dove si trova l’atomo di idrogeno, quello carico negativamente è dove si trova l’atomo di fluori. Di una molecola dotata di elevato momento dipolare si dice anche che è polare, in buona sostanza la polarità di una molecola è quantificata dal suo momento dipolare: più questo è elevato, maggiore è la sua polarità. Nel caso del doppio idrogeno, il legame covalente non sarà polare. 5 Il carbonio può formare legami covalenti singoli, doppi o tripli, in particolare con altri atomi di carbonio (i tripli atomi di carbonio sono rari nelle macromolecole). 6 Legame singolo Legame doppio. I gruppi funzionali costituiscono le macromolecole, da sapere la struttura di quelli cerchiati (il gruppo amminico è presente negli amminoacidi, quello fosforilico nel DNA) 7 L’acqua è la molecola polare per eccellenza, presenta legami covalenti polari, in particolare ha un dipolo parzialmente positivo in corrispondenza dell’atomo di idrogeno e un dipolo parzialmente negativo in corrispondenza dell’atomo di ossigeno. A causa della loro polarità, le molecole d’acqua possono formare legami a idrogeno. Il legame idrogeno si forma quando la relativamente forte carica positiva dell’idrogeno viene in contatto (in sovrapposizione) con un doppietto elettronico libero di un atomo fortemente elettronegativo di un’altra molecola, il quale lega l’H e viene definito accettatore. Il gruppo dove è legato l’H in maniera covalente viene detto donatore. 8 Il legame idrogeno è direzionale, è il motivo per cui l’acqua è liquida; infatti, sono legami mobili che si rompono e uniscono di continuo. All’interno dell’acqua liquida vi sono aggregati molecolari di breve vita, dove le singole molecole sono tenute insieme da legami idrogeno. Questi aggregati, detti flickering cluster (grappoli tremolanti) hanno una vita media di 10 -10 secondi. Non tutta l’acqua allo stato liquido si presenta in forma di flickering cluste: frammezzata tra queste formazioni “polimeriche” si trova infatti l’acqua “monomerica”. I flickering cluster presentano inoltre una geometria che è simile a quella cristallina del ghiaccio, dove ogni molecola è tetracoordinata (una molecola d’acqua al centro instaura 4 legami idrogeno con altrettante molecole d’acqua, donando due legami idrogeno e accettandone altri due); tuttavia si differenziano da esso per la loro maggiore instabilità e quindi irregolarità strutturale rispetto al ghiaccio medesimo, dove la struttura cristallina è assolutamente regolare e permanente. Dal confronto della struttura dell’acqua solida con quella dell’acqua liquida si può intuire una proprietà assolutamente singolare dell’acqua medesima: l’acqua è uno dei pochissimi composti che allo stato liquido è più denso che non allo stato solido. Gli elevati valori di calore di fusione e di evaporazione dell’acqua giocano un ruolo fondamentale nel determinare le caratteristiche fisiche dell’ambiente terrestre: ciò si traduce infatti in una notevole stabilizzazione climatica. L’acqua esercita un effetto di schermatura della carica grazie alla sua polarità alone di idratazione. Facendo un esempio pratico, mettendo il sale nell’acqua si rompono i legami ionici, perciò, l’idrogeno dell’acqua circonda il cloro nell’alone di idratazione e lo neutralizza, mentre attorno al sodio si sistemano tutti gli ossigeni. Esistono 3 tipi di molecole: 1. Idrofiliche: molecole che si sciolgono in acqua, polari 2. Idrofobiche: molecole che non si sciolgono in acqua, non polari (es gas) 3. Anfipatiche o anfifiliche: hanno una porzione polare che si scioglie in acqua e una porzione apolare che non si scioglie. 9 Composti ionici si sciolgono bene in un solvente acquoso, almeno a patto che gli ioni vengano idratati abbastanza da ridurre le attrazioni elettrostatiche. Per questo anche i composti ionici vengono talvolta designati come composti polari, indipendentemente dal fatto se abbiano o meno in momento dipolare. Si usa anzi distinguere tra composti polari carichi e composti polari privi di carica. Ma che ne è dei composti la cui polarità è piccola o nulla? Innanzitutto, composti di questo tipo sono detti apolari, e sono questi per l’appunto che hanno scarsa o nulla solubilità in acqua. È infatti un dato di immediata evidenza che esistono sostanze che si comportano in questo modo, quali olii, grassi, benzina. Queste sostanze sono miscele di composti tutti caratterizzati da una polarità assai scarsa. Una soluzione è per definizione un sistema omogeneo, un’emulsione è un sistema eterogeneo. L’interazione idrofobica o effetto idrofobico è quel fenomeno per cui un composto apolare in un mezzo acquoso tende a minimizzare la superficie di contatto con l’acqua medesima. Nell’acqua libera ciascuna molecola instaura, come abbiamo visto, un certo numero di legami idrogeno formando i flickering clusters. Molecole d’acqua che in un certo istante sono coinvolte in un flickering cluster, potranno in un momento successivo venire sostituite da molecole di acqua non coinvolte. Una tale trasformazione è termodinamicamente possibile, perché essa si svolge portando a una condizione finale idealmente identica alla condizione iniziale. In altre parole, nella condizione finale il sistema è tanto stabile quanto nella condizione iniziale. Ne consegue che la trasformazione può avvenire liberamente e di conseguenza l’acqua libera è una struttura molto dinamica. Al contrario, le molecole di acqua in prossimità delle superfici apolari potranno instaurare legami idrogeno con le molecole di acqua libera, ma ovviamente non con le catene alifatiche adiacenti. Pertanto, lo strato di molecole che contorna le superfici apolari ha un vincolo alla sua mobilità e si trova quindi in una condizione di maggiore rigidità; si potrebbe dire che possiede meno gradi di libertà rispetto all’acqua libera o ancora, che tende a formare legami idrogeno più stabili rispetto all’acqua libera. Se però le molecole di acido grasso (anfipatici) si associano assieme, si ridurrà la superficie apolare esposta al solvente e di conseguenza il numero di molecole di acqua che si trova in 10 questa condizione ordinata. La trasformazione porta ad un aumento del “disordine” e quindi dell’entropia del sistema. La termodinamica ci insegna che, a parità di altre condizioni, una trasformazione tende spontaneamente a procedere nella direzione che comporta un incremento di entropia. Possiamo pertanto concludere che la forza traente dell’effetto idrofobico è entropica, precisamente nel senso che la minimizzazione della superficie idrofobica esposta si accompagna ad un incremento di entropia. Una molecola idrofobica, non essendo polare, non è in grado di creare interazioni con l’acqua, quindi, diminuisce la sua capacità di movimento e quindi la sua entropia. Le molecole anfipatiche tenderanno a organizzarsi in modo da avere le teste polari rivolte verso l’acqua e le code apolari lontane dall’acqua dove esse si cristallizzano e diventano entropia creando, tramite le code apolari, il doppio strato. LE INTERAZIONI DI VAN DER WAALS Le interazioni (o forze) di Van der Waals sono forze attrattive piuttosto deboli, di natura non covalente, che in linea di principio possono instaurarsi tra due atomi di qualsiasi tipo (appartenenti alla stessa molecola o a molecole distinte) purché siano posizionati a breve distanza. Anche in questo caso si tratta di forze attrattive di tipo elettrostatico; tuttavia, per comprenderne adeguatamente la natura, è indispensabile considerare innanzitutto alcune proprietà delle nubi elettroniche. Le nubi elettroniche oscillano continuamente tra i due atomi che instaurano un legame covalente. L’oscillazione delle nubi elettroniche si traduce in un’importante conseguenza: ogni legame covalente produce un dipolo transiente. 11 È importante osservare che le forze di Van der Waals tendono a stabilizzare due atomi ad una distanza ben definita: infatti l’effetto li porta ad avvicinarsi fintantoché non si oppone la forte forza repulsiva delle loro nubi elettroniche. Esiste pertanto una distanza alla quale l’attrazione è massima, e ciò corrisponde al minimo di energia, mentre a distanze maggiori l’attrazione si riduce progressivamente. Il legame idrogeno possiede anche una parziale natura di legame covalente. Sulla base di quanto abbiamo discusso nei capitoli precedenti siamo ora in grado di giustificare adeguatamente quest’ultima affermazione. Le evidenze che avvalorano questa idea sono le seguenti: - Come ogni legame covalente anche il legame idrogeno è direzionale; quindi, la sua massima stabilità è associata a un orientamento ben preciso degli atomi che vi partecipano - L’energia di legame è compresa tra i 13 e 30 kj/mole: questo è un valore intermedio tra le interazioni non covalenti di Van der Waals e i legami covalenti veri e propri - L’aspetto che più di ogni altro evidenzia la natura di parziale legame covalente del legame idrogeno è il fatto che i due atomi in esso coinvolti si posizionano ad una distanza inferiore a quella prevista da una semplice interazione di Van der Waals. Ciò implica evidentemente la compenetrazione delle nubi elettroniche dei due atomi, elemento caratteristico del legame covalente. In soldoni con le interazioni di Van der Waals si creano dei dipoli (transienti) quando una carica positiva si avvicina ad un neutro che può diventare negativo. GRAMMOMOLECOLA E CONCENTRAZIONE MOLARE Per grammomolecola o mole si intende una quantità in grammi di una molecola pari alla sua massa molecolare ossia la somma delle masse atomiche dei singoli elementi che compongono la molecola (le masse atomiche sono molto simili ai numeri di massa, anche se tra masse atomiche e numeri di massa esiste una piccola differenza numerica). Ad esempio, per l’acqua (idrogeno=16, ossigeno=1) la massa molecolare è circa 18, cioè 1+1+16, di conseguenza una mole di acqua corrisponde a 18g di acqua. Qual è l’utilità della definizione di mole? Generalmente nelle reazioni le specie che agiscono sono in rapporti numerici ben definiti. Ad esempio, idrogeno ed ossigeno reagiscono a dare acqua secondo un rapporto molare di 2:1 ossia: 2 H2+ O2 2 H2O Questo tipo di rapporto quantitativo che si riscontra in una reazione è detto rapporto molare o rapporto stechiometrico, è più facile far avvenire le reazioni considerando le moli, fanno avvenire le reazioni senza eccessi. Se volessimo far procedere la reazioni senza eccessi né di idrogeno né di ossigeno, ci basterebbe far reagire 2 moli di idrogeno con una mole di ossigeno. È infatti immediatamente evidente che 1 mole di qualsiasi composto contiene lo stesso numero di molecole. Tale numero è stato determinato sperimentalmente ed è pari a 12 6,023 x 1023 numero di Avogadro, indicato con N (è un numero che ci dice quanti atomi di un elemento ci sono in una mole di quell’elemento). Es. se prendi una mole di atomi di carbonio, ci saranno 6,023 x 10 23 atomi di carbonio. Concetto di concentrazione: immaginiamo un composto qualsivoglia che si disciolga in un liquido (ad esempio il glucosio che si scioglie in acqua), il composto che si scioglie è detto soluto, il liquido nel quale esso si scioglie solvente, e la miscela dei due soluzione. La definizione generale di concentrazione di un composto in soluzione, cioè del solito è la 𝑚𝑎𝑠𝑠𝑎 𝑑𝑖 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜 seguente: 𝑐𝑜𝑛𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 = 𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 Nei casi di interesse biologico il solvente è sempre l’acqua. Sono 2 le unità di misura utilizzate in chimica e biologia per la concentrazione: Volume litri Massa di soluto moli La concentrazione molare (M) è definita come: 𝑚𝑜𝑙𝑖 𝑑𝑖 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜 𝑑𝑖𝑠𝑐𝑖𝑜𝑙𝑡𝑒 𝑐𝑜𝑛𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑚𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 (𝑀) = 𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝑖𝑛 𝑙𝑖𝑡𝑟𝑖 (𝑙 ) 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑎 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 Esempio glucosio: il glucosio ha una massa molecolare di 180. Di conseguenza 180g di glucosio in un litro di soluzione acquosa avranno una concentrazione di 1M (180g è 1 mole); 18g in un litro di soluzione acquosa avranno una concentrazione 0,1M, e così via. Il vantaggio di usare la molarità come unità di misura della concentrazione è immediatamente evidente: due soluzioni aventi la stessa concentrazione molare hanno un identico numero di molecole di soluto per unità di volume di soluzione. Di conseguenza, concentrazioni di soluti uguali o diversi, se espresse come molarità saranno direttamente confrontabili. La soluzione però deve essere omogenea ossia il soluto deve essere disciolto completamente in modo perfetto per non avere volumi più concentrati di altri. Si osservi da ultimo una proprietà fondamentale della concentrazione, qualsiasi sia l’unità di misura con cui viene espressa, essa è indipendente dal volume di soluzione. Esempio glucosio: abbiamo detto che 1l di soluzione contiene 180g del composto. La concentrazione è quindi 180g/l. immaginiamo di prendere 0,5l della stessa soluzione: essa conterrà 90 g/0,5l, che di nuovo dà 180 g/l. in altre parole, la concentrazione di una soluzione è identica in qualsiasi punto o posizione della soluzione medesima. Ciò è vero solo se la soluzione è omogenea, cioè se non presenta irregolarità nella distribuzione del soluto. 13 Due molecole generiche A e B, possono reagire tra loro a dare le molecole C e D. la reazione comporta la modificazione della struttura molecolare di A e B (in pratica la rottura e la formazione di alcuni legami covalenti). A e B sono dette reagenti, C e D prodotti. La reazione viene presentata nel modo seguente: 𝐴 + 𝐵 ⇆ 𝐶 + 𝐷 Esempio: l’idrogeno può reagire con l’ossigeno a dare acqua secondo il seguente schema: 2 H2+ O2 ⇆ 2 H2O In qualsiasi reazione, la velocità con cui i reagenti si trasformano in prodotti e viceversa è proporzionale alla loro concentrazione. All’inizio i reagenti inizieranno a convertirsi in prodotti ad una certa velocità. È quindi evidente che con il tempo la loro concentrazione tenderà a decrescere, e quindi anche la velocità di trasformazione nei prodotti. La concentrazione di questi ultimi tenderà invece ad aumentare con il tempo, e quindi anche la velocità della loro riconversione in reagenti. Ne deriva che, qualsiasi sia la concentrazione iniziale di reagenti e prodotti, dopo un tempo più o meno lungo la velocità di trasformazione di reagenti in prodotti e la velocità di trasformazione di prodotti in reagenti tenderà ad eguagliarsi. Le concentrazioni delle diverse specie chimiche resteranno indefinitamente costanti nel tempo. Questa è appunto la condizione di equilibrio chimico ossia l’uguaglianza delle velocità con cui i reagenti si trasformano in prodotti e viceversa. Viene definito da una costante di equilibrio Keq: [𝐶 ][𝐷] 𝐾𝑒𝑞 = [𝐴][𝐵] Dove [A], [B], [C], [D] sono le concentrazioni molari delle rispettive specie chimiche all’equilibrio. L’equilibrio può essere cambiato con l’aggiunta di nuovi reagenti o prodotti oppure il cambiamento di temperatura… ACIDI E BASI Secondo le definizioni: - Acido è un composto che ha la capacità di rilasciare protoni - Base è un composto che ha la capacità di legare protoni Iniziamo considerando un semplice esempio come quello dell’acido acetico, che ha la formula CH3COOH. Tale composto si dissocia in: 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 ⇆ 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− + 𝐻 + Chiariamo subito che il protone 𝐻 + come tale non esiste in soluzione allo stato libero. 14 La reazione si svolge in realtà nel modo seguente: 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂𝐻 + 𝐻2 𝑂 ⇆ 𝐶𝐻3 𝐶𝑂𝑂− + 𝐻3 𝑂+ Ciò significa che il protone viene ceduto dall’acido all’acqua, si rompe il legame covalente polare tra la base coniugata 𝐶𝑂− e il protone 𝐻 +. L’acqua protonata diventa uno ione idronio, l’𝐻 + raggiunge così un assetto elettronico stabile, ricevendo nel guscio più esterno uno dei doppietti elettronici liberi dell’ossigeno. Per semplicità, le reazioni di dissociazione sono di norma rappresentate mostrando il rilascio di ioni 𝐻+ come tali, anche se il chimico sa bene che in questi casi ciò che si forma è uno ione idronio. Consideriamo l’ammoniaca come esempio di base. Tale composto in acqua reagisce come segue: 𝑁𝐻3 + 𝐻2 𝑂 ⇆ 𝑁𝐻4+ + 𝑂𝐻 − L’ammoniaca è una base in quanto sottrae un protone dall’acqua. Un acido porterà dunque ad un incremento di concentrazione di ioni 𝐻 + in soluzione, una base farà incrementare la concentrazione di ioni 𝑂𝐻 − (ioni idrossido). La concentrazione di ioni 𝐻 + e quella di 𝑂𝐻 − non sono indipendenti l’una dall’altra, ma strettamente correlate: un aumento di 𝐻 + porta, infatti, ad un decremento di 𝑂𝐻 − e viceversa. Questo concetto è facilmente comprensibile se si pensa che nell’acqua è sempre presente una piccola quantità di 𝐻 + e 𝑂𝐻− derivanti dalla dissociazione spontanea dell’acqua medesima. Quindi gli 𝐻 + rilasciati da un acido reagiscono con gli 𝑂𝐻 − già presenti nell’acqua, diminuendone la concentrazione e producendo così altre molecole d’acqua. Cosi pure l’𝑂𝐻 −. Anche un composto come il NaOH (idrossido di sodio) è una base. Esso è un composto ionico che disciolto in acqua rilascia ioni 𝑂𝐻− come tali, i quali andranno a reagire con gli 𝐻 + già presenti. È possibile dimostrare facilmente che le concentrazioni di 𝐻 + e 𝑂𝐻 − hanno un prodotto costante, come indicato qui di seguito: 𝐾𝑊 = [𝐻+ ][𝑂𝐻 − ] = 10−14 (quando una specie chimica è presentata in parentesi quadra, ciò ne indica la concentrazione molare) 𝐾𝑊 è detto prodotto ionico dell’acqua e sta ad indicare che se aumenta la concentrazione di uno dei due ioni presenti nella reazione descritta, la concentrazione dell’altro diminuirà in modo da mantenere il loro prodotto costante e con valore di 10−14. Se alla soluzione acquosa non vengono aggiunti né acidi né basi, avremo che le concentrazioni dei due ioni saranno uguali, cioè [𝐻 + ] sarà uguale a [𝑂𝐻 − ] e pari a 10−7 M. Questa condizione è detta di neutralità, e sta a indicare che né gli acidi né le basi prevalgono in concentrazione. 15 La condizione acida (prevalenza di 𝐻 + ) o basica (prevalenza di 𝑂𝐻 − ) delle soluzioni acquose si potrebbe pertanto rappresentare semplicemente con le rispettive concentrazioni di uno o dell’altro di questi due ioni. La grandezza che invece si utilizza di norma per rappresentare questo importante parametro è il pH, che si definisce come: 𝑝𝐻 = −𝑙𝑜𝑔10 [𝐻+ ] Un acido può presentare una costante di equilibrio del processo di dissociazione (detta costante di dissociazione) più o meno elevata. 𝐻𝐴𝑐 ⇆ 𝐻 + + 𝐴𝑐 − E la relativa costante di dissociazione Ka sarà: [𝐻+ ][𝐴𝑐 − ] 𝐾𝑎 = [𝐻𝐴𝑐] La costante di dissociazione K definisce se un acido è forte o debole; dunque, misura la forza di un acido, più K è maggiore di 1, più la forza dell’acido è elevata tanto più esso avrà tendenza a rilasciare 𝐻 + ed è quindi forte. Esempi: 𝐾𝑎 >1 acido fortissimo 10−2 < 𝐾𝑎 < 1 acido forte 10−5 < 𝐾𝑎 < 10−2 acido di media forza 𝐾𝑎 < 10−5 acido debole Anche per la 𝐾𝑎 esiste una notazione logaritmica, che è il 𝒑𝑲𝒂 definito come segue: 𝑝𝐾𝑎 = −𝑙𝑜𝑔10 𝐾𝑎 Inoltre la stessa relazione di equilibrio viene espressa in forma logaritmica, cioè nel modo seguente: [𝐴− ] 𝑝𝐻 = 𝑝𝐾𝑎 + 𝑙𝑜𝑔 [𝐴𝐻] Questa relazione (detta equazione di Henderson-Hasselbach) è importante perché ci indica un principio fondamentale: un acido sarà prevalentemente indissociato a un valore di pH inferiore al suo pKa; sarà prevalentemente dissociato a un valore di pH superiore al suo pKa; sarà dissociato al 50% a un valore di pH uguale al suo pKa. La dissociazione di un acido produce una forma che è detta base coniugata. Ad esempio, l’acido acetico dissociandosi produce lo ione acetato, che ha proprietà basiche perché è in grado di catturare un protone. 16 Analogamente una base disciolta in acqua lega un protone e diventa un acido coniugato. Vale anche il principio che più un acido è forte, più la sua base coniugata sarà una base debole; più una base è forte, più il suo acido coniugato sarà debole. Esempio: l’acido cloridrico, HCl, è un acido forte, ma la sua base coniugata, lo ione cloruro 𝐶𝑙 − è virtualmente privo di basicità. Alcuni acidi, come l’acido fosforico (𝐻3 𝑃𝑂4 ) e l’acido carbonico (𝐻2 𝐶𝑂3 ), hanno più di un gruppo acido dissociabile, rispettivamente 3 e 2, e quindi presentano altrettanti valori di pKa. Gli acidi aventi più di un H dissociabile sono detti poliprotici. Se degli acidi medio-deboli si trovano in soluzione con la loro base coniugata, e se la concentrazione delle due specie (acido e base) non è molto dissimile, questa miscela presenterà una capacità tampone. Si definisce soluzione tampone una soluzione che a seguito di aggiunta di basi o acidi manifesti variazioni di pH molto minori di quelle che si avrebbero se le stesse quantità di acidi o basi venissero aggiunte ad un uguale volume di acqua pura. In altre parole, le soluzioni tampone tendono a minimizzare le variazioni di pH prodotte da aggiunta di basi o acidi. Vale anche il principio che la capacità tamponante di un tampone è massima a un valore di pH uguale al suo pKa, quando acido e base coniugata hanno la stessa concentrazione, mentre la capacità tampone si riduce progressivamente a mano a mano che ci si allontana da tale valore di pH (sia che ci si sposti verso valori più acidi, sia che ci si sposti verso valori più basici). 17 Perché il pH è importante in biologia L’effetto del pH sui sistemi biologici è in gran parte riconducibile alla sua capacità di influenzare gli equilibri acido-base, e di conseguenza la carica elettrica complessiva delle molecole biologiche. Le proteine, ad esempio, presentano molti gruppi acidi carbossilici, e basici di vario tipo (soprattutto amminici). La carica netta di una proteina (che è la somma algebrica di tutte le cariche positive e negative) dipende dal pH in quanto questi è in grado di modificare lo stato di dissociazione di tutti questi gruppi. Con il crescere del pH si ha infatti un aumento della dissociazione, con la conseguente perdita di cariche positive e/o acquisto di cariche negative. La carica netta tenderà quindi ad essere sempre più negativa. L’opposto accadrà con il decrescere del pH, si rischia quindi di non far funzionare le macromolecole che si basano sulla capacità dissociativa dei suoi gruppi funzionali. Oltre a questi effetti, che coinvolgono le proprietà generali delle molecole biologiche, ce ne sono di più sottili, ma sempre mediati dalla dissociazione acido base delle molecole. Esempio: l’emoglobina, proteina che trasporta ossigeno nel sangue, diminuisce la sua affinità verso l’ossigeno medesimo a seguito della protonazione (cioè legame di 𝐻 + ) di pochissimi gruppi funzionali. Ciò modifica in modo significativo il comportamento della proteina, ed il fenomeno 18 ha un preciso significato adattativo: contribuisce cioè a migliorare l’efficienza del trasporto di ossigeno. OSSIDAZIONI BIOLOGICHE Il termine ossidazione richiama intuitivamente una reazione chimica in cui è coinvolto l’ossigeno. In parte, questo concetto è corretto, almeno nel senso che a molte reazioni di tipo ossidativo partecipa effettivamente l’ossigeno. Tuttavia, nella chimica moderna il concetto di ossidazione ha un significato più ampio. Per illustrare questo punto prendiamo ad esempio la seguente reazione a cui partecipa l’ossigeno, e che è ampiamente nota: 4𝐹𝑒 + 3𝑂2 + 12𝐻 + + 12𝐶𝑙 − ⇆ 4𝐹𝑒 3+ + 6𝐻2 𝑂 + 12𝐶𝑙 − In questa reazione chimica il ferro metallico reagisce con l’ossigeno in presenza di acido (nell’esempio acido cloridrico). Il metallico diventa ione 𝐹𝑒 3+ (ione ferrico), perdendo quindi 3 elettroni. Si tratta della reazione che porta alla formazione della ruggine. Se il ferro perde elettroni, qualche composto dovrà logicamente accettarli, non è infatti possibile che gli elettroni restino allo stato libero nella miscela di reazione. Chi sia l’accettatore risulta evidente se si scinde la reazione complessiva in due semireazioni, di cui la reazione complessiva è la somma. Le due semireazioni sono presentate qui sotto: 4𝐹𝑒 ⇆ 4𝐹𝑒 3+ + 12𝑒 − 3𝑂2 + 12𝑒 − + 12𝐻+ ⇆ 6𝐻2 𝑂 È quindi evidente che è l’ossigeno ad accettare elettroni. Nella sostanza, un processo di ossidazione consiste nella cessione di elettroni, un composto ossidante è dunque un composto che accetta elettroni. Inoltre l’acquisizione di elettroni da parte di un composto porta alla riduzione di quel composto. Poiché ossidazione e riduzione devono sempre necessariamente avvenire al contempo, si parla di reazioni ossidoriduttive, o in generale di ossidoriduzione quando si allude a questo tipo di trasformazioni. È quindi possibile scindere formalmente una reazione ossidoriduttiva completa in due semireazioni come mostrato sopra, questo formalismo aiuta a rendere immediatamente evidente qual è il composto che si ossida e quale quello che si riduce. Il ruolo delle reazioni ossidoriduttive nel metabolismo è di importanza primaria. La degradazione ossidativa dei composti di interesse biologico, come ad esempio gli zuccheri, è un processo che rende disponibile molta più energia della degradazione non ossidativa. 𝐶6 𝐻12 𝑂6 (𝑔𝑙𝑢𝑐𝑜𝑠𝑖𝑜 ) + 6𝐻2 𝑂 ⇆ 6𝐶𝑂2 + 24𝑒 − + 24𝐻 + 6𝑂2 + 24𝑒 − + 24𝐻+ ⇆ 12𝐻2 𝑂 19 𝐶6 𝐻12 𝑂6 (𝑔𝑙𝑢𝑐𝑜𝑠𝑖𝑜 ) + 6𝑂2 ⇆ 6𝐶𝑂2 + 6𝐻2 𝑂 Questo è essenzialmente un processo di combustione completa del glucosio. Il vantaggio primario del metabolismo ossidativo è che consente di estrarre molta più energia dalla degradazione dei composti del carbonio rispetto al metabolismo anaerobico. L’ossigeno ha una forte tendenza a catturare elettroni (collegato alla sua elevata elettronegatività) e a ciò si accompagna un forte rilascio di energia. LE PRINCIPALI CLASSI DI COMPOSTI DI INTERESSE BIOLOGICO 1. Carboidrati o zuccheri 2. Lipidi o grassi 3. Nucleotidi e acidi nucleici 4. Amminoacidi e proteine I CARBOIDRATI Sono sostanze chimiche composte da carbonio, idrogeno e ossigeno. Presentano una duplice funzione: - Plastica, in quanto entrano nella costituzione di strutture essenziali per gli organismi viventi (pareti cellulari) - Energetica, in quanto favoriscono all’organismo energia per diverse funzioni Sono anche mediatori del riconoscimento cellulare ossia permettono di comunicare con l’interno della cellula. In rapporto alla loro complessità vengono classificati in: monosaccaridi: Contengono da 3 a 9 atomi di carbonio singoli e sono le strutture più semplici dei glucidi. I monosaccaridi di importanza biologica comprendono il glucosio, il fruttosio, il ribosio e il desossiribosio. Il glucosio è scarsamente presente in natura a parte piccolissime quantità nella frutta e nella verdura, il fruttosio è presente come tale nella frutta e nel miele. Noi siamo definiti eterotrofi ossia non sappiamo fare il glucosio. Ribosio e desossiribosio sono alla base dei nucleotidi in particolare di DNA e RNA, la differenza è che il desossiribosio ha perso un ossidrile (un O). La differenza tra aldoesoso e chetoso sta nella presenza del gruppo funzionale aldeidico (CHO) o del gruppo funzionale chetone (CO). Esoso sta per 6 atomi di carbonio mentre pentoso per 5. 20 A partire da pentosi ed esosi assume particolare importanza un’altra caratteristica degli zuccheri: la capacità di formare strutture ad anello molto stabili. Disaccaridi: si possono considerare come l’unione di due molecole di monosaccaridi legati tra loro da legami glucosidici. I disaccaridi di importanza biologica comprendono saccarosio e lattosio. Da due reagenti ossia due monosaccaridi si generano i prodotti ossia un disaccaride e l’acqua, si forma quindi un legame glicosidico (1->4). Il saccarosio è composto da glucosio e fruttosio e si trova nella frutta; il lattosio è contenuto nel latte ed è formato da glucosio e galattosio. Se si considera la reazione per cui da 2 molecole di glucosio si genera il diglucosio e l’acqua si può considerare favorita la reazione di idrolisi ossia la generazione delle due molecole di glucosio, in quando la reazione avviene in acqua. Le reazioni sfavorite vengono catalizzate da enzimi. Polisaccaridi: il termine polisaccaridi è usato generalmente per i composti formati da più di 10 monosaccaridi. Adempiono numerose funzioni negli organismi viventi. Alcuni, come l’amido 21 e il glicogeno, servono essenzialmente come riserva di zuccheri per le piante e animali. Altri, quali la cellulosa, sono polimeri strutturali. L’amido (polimero del glucosio) è utilizzato come polisaccaride di deposito nelle piante. È composto da due polimeri: l’amilosio (20%) e l’amilopectina (80%). In entrambi i casi si tratta di polimeri del glucosio che si differenziano l’uno dall’altro per la struttura. L’amilosio è un polimero lineare che tende ad avvolgersi ad elica, in cui le unità di glucosio sono legate tra loro con legami glicosidici (1->4). L’elica è costituita da 6 molecole di glucosio per spira, stabilizzate da legami a idrogeno, come nel DNA. L’amilopectina è un polimero ramificato che presenta catene di base di struttura simile all’amilosio che si dispongono a formare una struttura ramificata; ogni 24-30 unità di glucosio, infatti, si innestano catene laterali attraverso legami (1->6). L’amilopectina è disposta verso l’interno in prossimità del centro dei granuli di amido. Il glicogeno rappresenta la riserva di carboidrati dell’uomo e di tutti gli animali. L’uomo può immagazzinarne circa 380-480 grammi, una quantità di carburante sufficiente per percorrere 30km di corsa. È depositato sottoforma di granuli nel fegato e nei muscoli, a questi granuli sono legati gli enzimi predisposti alla sua sintesi e alla degradazione. Nel fegato è stoccato 1/3 di glicogeno di tutto l’organismo sottoforma di catene più lunge e pesanti rispetto ai muscoli e regola la glicemia del sangue. Nei muscoli sono immagazzinati i 2/3 del glicogeno dell’organismo sottoforma di catene più corte e leggere (per muoversi ci serve ATP e la glicolisi serve per liberare ATP). Nei muscoli è ramificato in quanto gli enzimi si attaccano alla fine del glucosio e in questo modo hanno più punti di attacco. La cellulosa è un polimero lineare del glucosio dove le singole unità monomeriche sono connesse da legame (1->4) di ponti idrogeno. Sono chiamati cellulasi gli enzimi che sono in grado di rompere i legami (1->4). 22 Le catene sono disposte parallelamente le une alle altre e si legano fra loro per mezzo di legami a idrogeno molto forti, formando fibrille, catene molto lunghe e difficili da dissolvere. I LIPIDI È una definizione generica per composti di vario tipo che hanno in comune l’idrofobicità (sono scarsamente o niente affatto solubili in acqua). I lipidi rappresentano un’importante riserva energetica in quanto sono in grado di liberare una grande quantità di calore per unità di massa, il valore calorico di un grammo di lipidi è circa il doppio rispetto a zuccheri e proteine, proprio per questo sono il substrato energetico ideale per le cellule, costituiscono la membrana plasmatica. Da ricordare che proprio i lipidi fungono da trasportatori di vitamine liposolubili (A, D, E, K) e pertanto eccessive riduzioni di lipidi nella dieta possono provocare una diminuzione dell’apporto vitaminico. I grassi nell’organismo assumono anche altre funzioni che vanno oltre all’importante funzione energetica; il loro deposito vicino ad organi importanti come cuore, fegato, milza, reni, cervello e midollo spinale rappresenta un importante protezione meccanica, ed inoltre il suo deposito nel sottocute svolge un ruolo isolante contro le basse temperature. Durante l’attività fisica i lipidi vengono utilizzati insieme ai carboidrati fornendo in ugual misura l’energia necessaria per attività di medio basso livello, se l’attività fisica si protrae per almeno un’ora si va incontro ad un esaurimento delle scorte di carboidrati (glicogeno) ed ad un corrispondente aumento dell’utilizzo di lipidi. Sono i principali componenti di membrane cellulari e alcuni hanno funzione ormonale (ad esempio gli ormoni steroidei). Primo esempio di sostanze anfipatiche. Dal punto di vista biologico l’aspetto più rilevante è la tendenza dei lipidi a formare micelle e strutture laminari doppio strato. Acidi grassi Sono lipidi più semplici, le unità base, costituiti da un gruppo carbossilico legato a una estremità di una catena idrocarburica di varia lunghezza. 23 Hanno pKa