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Bernardino Telesio

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chimica biochimica molecole organica

Summary

Questi appunti di chimica, introdotti con un'introduzione generale sulla chimica organica e inorganica, definiscono il concetto di molecola e la sua struttura partendo dagli atomi. Viene quindi spiegato per quale ragione si studia la chimica, mostrando come gli organismi viven interagiscano.

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1.BIOCHIMICA STRUTTURALE - lezione 1 - Prof.ssa Elisabe>a Aldieri 01/10/2024 SBOBINATORE: Genco Beatrice REVISORE: Della Rocca Giada BIOCHIMICA: MODULO DI BIOCHIMICA STRUTTURALE INTRODUZIONE Per spiegare la bioc...

1.BIOCHIMICA STRUTTURALE - lezione 1 - Prof.ssa Elisabe>a Aldieri 01/10/2024 SBOBINATORE: Genco Beatrice REVISORE: Della Rocca Giada BIOCHIMICA: MODULO DI BIOCHIMICA STRUTTURALE INTRODUZIONE Per spiegare la biochimica stru-urale occorre iniziare da alcune propedeuNcità, quali la chimica organica e la chimica inorganica, indispensabili per comprendere le stru>ure della biochimica stru>urale stessa e per moNvare il perché avvengano certe reazioni nell’ambito della biochimica metabolica. Per la chimica inorganica verrà ripreso il conce>o di atomo, isotopi e tavola periodica; verrà compreso come si formano i legami chimici, come avviene la formazione delle molecole e come quest’ulNme reagiscono fra loro e sopra>u>o nei vari ambienN, nonché il comportamento acido/basico, il Ph e tuX gli elemenN uNli ai sistemi tampone in ambito fisiologico. Per quanto riguarda la chimica organica verranno affrontate le classi di composN che cosNtuiscono le molecole biologiche, come idrocarburi, alcoli, aldeidi, acidi carbossilici. Si parlerà anche della geometria delle molecole, in parNcolare dell’isomeria, altra componente importante di cui tener conto in relazione alla rea-vità fra molecole. La biochimica stru-urale idenNfica classi di composN quali: carboidraN, lipidi, proteine, acidi nucleici ed enzimi. Corrisponde al capitolo finale del corso e funge da ponte per la biochimica metabolica. PERCHÉ SI STUDIA LA BIOCHIMICA? La biochimica definisce la cosidde>a dimensione molecolare, esplicando ciò che accade all’interno del corpo umano, in condizioni fisiologiche (Individuo sano e con molecole perfe>amente funzionanN). Studia le basi molecolari della vita, ovvero tu>o ciò che avviene negli organismi vivenN, tanto che l’inibizione/interruzione di determinate reazioni stabilisce la ne>a differenza tra uno stato di salute e uno stato di malaXa. InfaX le eccezionali cara>erisNche degli organismi vivenN derivano da migliaia di differenN biomolecole. Le basi della biochimica passano a>raverso quello che è il principale componente delle molecole e cioè l’atomo (chimica inorganica). Occorre dunque studiare la tavola periodica degli elemenN poiché l’osservazione del corpo umano, la ricerca sull’origine di una patologia e la messa a punto di nuove terapie farmacologiche necessitano di una profonda conoscenza delle sostanze di cui siamo faX. DifaX vi sono elemenN fondamentali per il corpo umano, come ad esempio l’ossigeno (che cosNtuisce il 65% dell’organismo) , il carbonio (18%) (elemento fondamentale che definisce la chimica organica, appunto chiamata anche chimica del carbonio), l’idrogeno (10%) , l’azoto (3%), nonché altri elemenN che pur trovandosi in piccole quanNtà risultano comunque fondamentali. Lo studio della biochimica mostra come tu>e le molecole, di per sé prive di vita, che cosNtuiscono gli organismi vivenN, interagiscano tra loro per mantenere e perpetuare la vita uNlizzando soltanto quelle leggi fisiche e chimiche che governano l’universo non vivente. Nella biochimica, infaX, vi è una stre>a regolazione delle reazioni chimiche, pertanto, è indispensabile che queste avvengano in modo corre>o, come il controllo della glicemia nel nostro corpo tramite aXvità ormonale. Tu>a la biochimica in realtà è cellulare poiché è proprio all’interno delle cellule (piccole unità racchiuse da una membrana e piene di una soluzione acquosa concentrata di sostanze chimiche) che avvengono i principali processi metabolici: nella cellula animale, così come in quella vegetale, è presente una membrana cellulare che garanNsce la separazione di diversi ambienN cellulari, tale comparNmentazione consente la disNnzione di diversi processi biochimici in differenN luoghi cellulari; ad esempio la glicolisi nel citosol o la respirazione cellulare nei mitocondri. La costruzione della cellula è definita quindi da complessi sopramolecolari, la cui interazione perme>e il corre>o stato di salute (più avanN si toccheranno patologie inerenN a ciò, quali l’Alzheimer). Definendo queste stru>ure sopramolecolari si fa riferimento a macromolecole desNnate all’assemblaggio in complessi più avanzaN, alcuni esempi sono: la croma:na ovvero l’avvolgimento di DNA cosNtuito da nucleoNdi; le proteine presenN nella cellula le quali si combinano con i fosfolipidi, originando la membrana plasmaNca; i carboidra: che cosNtuiscono la cellulosa. Il tema centrale della biochimica è l’energia, dal momento che l’essere umano necessita di quest’ulNma per vivere, per compiere un lavoro, per respirare, per far ba>ere il cuore senza fermarsi; pertanto, occorre avere dei sistemi che consentano di estrarre l’energia per l’anabolismo delle molecole. Ad esempio, l’energia chimica viene uNlizzata dagli organismi eterotrofi (come l’uomo): si trova all’interno dei composN chimici, più specificatamente viene estra>a dalla ro>ura di legami chimici interni ai composN e successivamente viene trasformata in elemenN uNli a garanNre dei processi specifici. Fondamentalmente, quindi, è una sorta di energia potenziale (per ricavare interamente l’energia si ha bisogno di ossigeno). La fonte principale di energia uNlizzata dall’uomo è contenuta negli alimenN: infaX tuX i composN organici sono prevalentemente fonte di carbonio (tu>e le macromolecole sono cosNtuite da una catena carboniosa) perme>endo l’o>enimento di energia. Si parlerà di trasduzione energe:ca necessaria per produrre un lavoro che comprende diversi processi quali: lavoro meccanico (anche a livello della cellula stessa) gradienN osmoNci ed ele>rici produzione di calore trasferimento delle informazioni geneNche sintesi chimiche energia solare/luce (piante). L’energia può essere uNlizzata o partendo da molecole semplici per dare origine a molecole complesse (anabolismo), oppure per produrre molecole semplici a parNre da molecole complesse (catabolismo): quest’ulNmo non è altro che un’ossidazione, ovvero il trasferimento di ele>roni che devono arrivare all’acce>ore finale cioè l’ossigeno, perme>endo la produzione di ATP. Il catabolismo porta alla produzione di molecole per l’appunto molto piccole e semplici, come ad esempio la CO2, in seguito alla respirazione cellulare, o ancora l’H2O, o l’NH3, grazie all’aiuto di alcuni precursori: ATP, NADH, FADH (precursori di vitamine). ATP, NADH e FADH favoriscono l’anabolismo durante il quale, partendo da precursori semplici, vengono prodo>e le macromolecole, quindi polisaccaridi, proteine ecc… Parte dell’energia viene dissipata so>o forma di calore (importante per il mantenimento della temperatura corporea): subentreranno così i conceX di entalpia ed entropia. In parNcolare quest’ulNma (ndr. entropia) è alla base della trasduzione energeNca ovvero l’aumento del disordine, giusNficato dalle leggi della termodinamica. La molecola fondamentale delle vie metaboliche è l’ATP (adenosintrifosfato), contenente 3 legami con il fosfato, dalla ro>ura di quesN legami fosfoanidridici deriva una quanNtà elevata di energia uNlizzabile; Le vie metaboliche sono estremamente interconnesse tra di loro. InfaX l’obieXvo del catabolismo non è solo o>enere delle molecole molto semplici ma anche fare in modo che convergano in dei processi univoci stre>amente precisi e raggruppaN nel “metabolismo intermedio”. CHIMICA INORGANICA “Ma guardate l'idrogeno tacere nel mare, guardate l'ossigeno al suo fianco dormire, soltanto una legge che io riesco a capire ha voluto sposarli senza farli scoppiare...” Da: Il chimico in: «Non all'amore né al denaro nè al cielo» di Fabrizio De Andrè Questo passo fa capire a fondo come gli elemenN chimici dall’avere di per sé una reaXvità specifica, possano, tramite un legame, divenire inerN. La chimica studia la materia (l’acqua, la composizione dell’atmosfera, l’azoto) e le trasformazioni che essa subisce e quindi la reaBvità chimica. Nel momento in cui si parlerà della biochimica in ambito metabolico dobbiamo anche tenere conto, in parte, dei fenomeni fisici, pertanto definiamo quelle che comunemente si chiamano: trasformazioni chimiche: il materiale di partenza è trasformato in un materiale diverso. Come la reazione del sodio (un metallo esplosivo a conta>o con l'acqua) con il cloro (un gas corrosivo giallo- verde) per dare un sale, il cloruro di sodio trasformazioni fisiche: esse non cambiano il materiale di partenza, ma ne modificano lo stato fisico. Ne sono un esempio l'evaporazione dell'acqua o la fusione del ferro. La materia è tu>o ciò che occupa uno spazio, tu>o ciò che ha massa e volume. Essa esiste in tre fasi: solida, liquida e gassosa e si può disNnguere in: Miscugli: omogenei ed eterogenei Sostanze pure: porzione o Npo di materia. Una sostanza pura è un Npo di materiale con proprietà che non possono essere modificate con un'ulteriore purificazione (elemenN e composN). Se si considera un solo Npo di atomo questo definisce un vero e proprio elemento. Ognuno degli atomi ha un simbolo specifico che consiste di una o due le>ere, derivanN dal nome anNco o a>uale dell'elemento (O, N, C, Al…). Il composto, invece, è una sostanza cosNtuita da atomi di almeno due elemenN diversi in rapporto definito e specifico (H2O, CH4). Man mano che gli elemenN aumentano e si raggiunge l’eterogeneità si arriva alla vera definizione di composto e quindi alla ne>a differenza tra quest’ulNmo e un elemento. La molecola è un raggruppamento di atomi: è la più piccola parte di un composto che ha le proprietà chimiche cara>erisNche di quel composto. Pertanto è importante capire la natura degli atomi per stabilire come le varie molecole biologiche garanNscono il mantenimento della funzionalità delle aXvità dell’organismo. Una molecola può essere anche cosNtuita da due o più atomi dello stesso elemento ( ). !2, $2. Una miscela/miscuglio è un insieme di sostanze diverse in proporzioni variabili: Le sostanze presenN mantengono la propria idenNtà chimica e la miscela è separabile nei singoli componenN con mezzi fisici (centrifugazione, filtrazione, disNllazione, cromatografia, ecc.). Ad esempio considerando il cloruro di sodio è possibile isolare gli elemenN cosNtuenN, il cloro (un non- metallo molto reaXvo) ed il sodio (metallo altamente reaXvo): Il sodio brucia in acqua in maniera esplosiva, mentre il cloro è un gas di colore giallo-verde capace di distruggere i tessuN vivenN ed è tossico da inalare: è stato usato come arma chimica nella I guerra mondiale, viene usato per uccidere ba>eri nell'acqua di piscine e del rubine>o ed è un potente agente sbiancante. Il NaCl è notoriamente innocuo. Questo è l’esempio della stabilità che una molecola può raggiungere tramite l’incontro di due elemenN non casuali e dimostra come sia forte la sudde>a interazione che andrà a cara>erizzare la stru>ura del solido cristallino, quale il sale da cucina. UNITÀ DI MISURA L’ATOMO L’atomo è la più piccola parte di un elemento di cui ne rispecchia le cara>erisNche chimico- fisiche. A parNre dalle scoperte del 1899 diversi studiosi, tra cui lo stesso Thomson, idenNficarono, cercando di studiare composN come l’acqua, che poteva esserci una dicotomia tra cariche posiNve e negaNve presenN in quei determinaN composN. Bohr, nel 1913, idenNficò il sistema planetario in cui individuò il nucleo, maggiormente posiNvo, e una serie di elemenN che chiamò appunto ele-roni che viaggiano a>orno al nucleo con delle orbite che sono de>e quan:zzate. Rutherford, nel 1911, pose le basi per l’orbita degli ele>roni Schroedinger, nel 1925, descrisse l’ele>rone come un’onda e definì la probabilità di occupazione della regione di spazio intorno al nucleo: l’orbitale. L’atomo di Rutherford è il modello a cui si fa solitamente riferimento, in parNcolare si idenNfica un nucleo e gli ele>roni che orbitano a>orno senza collassare, considerando in tu>o ciò distanze elevate dall’ele>rone rispe>o al nucleo; infaX, non tuX gli ele>roni entrano in gioco nel formare i legami o nella reaXvità dell’elemento, ma sono sopra>u>o gli ele>roni più esterni che influiscono su quest’ulNma. L’atomo è cosNtuito da 3 Npi di parNcelle diversamente cariche tra loro: neutroni e protoni (vengono anche indicaN con il termine generale di nucleoni perché contenuN nel nucleo). I protoni hanno carica posiNva, mentre i neutroni non sono provvisN di carica. ele-roni, con carica negaNva Le cara>erisNche chimiche di un atomo sono definite dal numero di ele>roni e protoni, dunque vengono definiN: Il numero di massa, che corrisponde alla somma di protoni e neutroni. Il numero atomico, che definisce il numero di protoni. NB L’idrogeno nello stato in cui è presente in natura, non conNene neutroni ma solamente un protone ed un ele>rone, pertanto si dice che è un atomo non ionizzato (Z = n protoni = n ele>roni) così come l’elio. ISOTOPI Quando si ha lo stesso numero atomico e differente numero di massa, si hanno gli ISOTOPI ( o NUCLIDI). Nel caso degli isotopi dell’idrogeno si ha: il prozio (idrogeno classico), il deuterio ed il trizio (che non è presente in natura e a differenza degli altri è molto radioaXvo a causa dell’instabilità del suo nucleo). Anche il carbonio, che si presenta con numero atomico 6 e numero di massa 12, può variare il suo valore di massa (e dunque il numero di neutroni) creando degli isotopi come il carbonio 13 e il carbonio 14 (il più radioaXvo, uNlizzato in molN esperimenN, ad esempio per il conteggio dell’età degli alberi). Perché alcuni isotopi sono radioa-vi? La radioaBvità, in realtà, non dipende solo dal fa>o che ci sia un neutrone in più, ma anche dal fa>o che questa variazione rende il nucleo instabile: il nucleo tende ad espellere queste parN in più per ritornare stabile, tale processo va so>o il nome di decadimento radioaBvo. Becquerel, uno studioso polacco, studiò i raggi X sfru>ando un minerale d’uranio: mise il minerale in un casse>o dove vi era una lastra fotografica coperta da carta, il giorno seguente prese la lastra e vide che era impressionata su un punto e da lì capì che l’uranio aveva sviluppato qualcosa. Due anni dopo Marie Curie definì il conce>o di emissione delle radiazioni con il termine di radioaBvità. RadioaXvità: emissione spontanea di parNcelle nucleari e/o radiazioni che si accompagna a un processo di disintegrazione nucleare (decadimento radioaXvo). Nonostante il decadimento radioaXvo sia veloce la durata può avvicinarsi anche a molN anni, facendo sì che ci sia un’espulsione di parNcelle, so>o forma di energia, ovvero calore. Rutherford mise il polonio in un blocco di piombo (uno degli elemenN più forN, capace d’impedire che ci sia una trasmissione di radiazioni) perme>endo così il passaggio e l’emissione di tali radiazioni in un campo ele>rico, notando poi che si potevano disNnguere parNcelle: alpha: cariche posiNvamente in quanto si muovevano verso il polo negaNvo. Corrispondono ad un nucleo di elio cosNtuito da 2 protoni e 2 ele>roni. beta: cariche negaNvamente in quanto si muovevano verso il polo posiNvo. Fondamentalmente sono degli ele>roni. gamma: queste radiazioni non risentono del campo ele>rico e che sono delle radiazioni ele>romagneNche corrispondenN all’emissione di fotoni. Sono neutre. Si può avere l’espulsione di protoni o neutroni, l’importante che quesN elemenN conNnuino a produrre radiazioni fino a che non si stabilizzano e ciò può accadere anche nel giro di anni. L’immagine evidenzia, a seconda del Npo di radiazione, la differente intensità. La radiazione alpha pur non essendo parNcolarmente penetrante è molto dannosa, la beta invece è moderatamente penetrante ed infine le radiazioni gamma sono le più penetranN, anche a causa della loro velocità (velocità della luce). Vi sono altre radiazioni come “ beta + “ o anche de>e positroni (e+), molto sfru>ate in medicina. Questa Npologia di isoNpo è molto rara in natura ma creabili arNficialmente. La peculiarità dei positroni risiede nella stabilità e nell’essere molto penetran:. Sull’esistenza degli isotopi si basa l’uso dei traccian: radioaBvi in ambito medico e/o biologico. Si possono uNlizzare composN marcaN radioaXvamente, appunto i “traccianN radioaXvi”, per seguire il desNno di singoli Npi di molecole, come il glucosio. Un esempio dell’uNlizzo medico di composN radioaXvi è la PET, ovvero la tomografia ad emissione di positroni. Si tra>a di un esame diagnosNco in grado di evidenziare il successo chemioterapico in pazienN oncologici valutando l’aXvità metabolica delle loro cellule. Occorre somministrare al paziente un farmaco contenente un elemento radioaXvo, ad esempio il fluoro 18 (fluorodeossiglucosio). Per comprendere bene il funzionamento della PET occorre conoscere i meccanismi base che contraddisNnguono le cellule cancerose dalle cellule sane: le cellule cancerose consumano quanNtà eccessive di glucosio (ndr: modificano l’aXvità di GLUT-1 , ciò consente loro di crescere più delle cellule “normali”). Il fluorodeossiglucosio è un analogo radioaXvo del glucosio, dunque le cellule lo metabolizzano in egual modo. Ecco perché la PET consente di visualizzare l’efficacia chemioterapica: nel referto sarà possibile, a>raverso la diversa colorazione, disNnguere le aree ancora colpite dal tumore dalle aree in cui la chemioterapia ha avuto maggiore efficacia. La colorazione cara>erisNca dell’esame diagnosNco di cui si sta parlando è dovuta all’emissione di fotoni: quando il positrone contenuto nel farmaco somministrato (emesso tramite decadimento) si interfaccia con l’ele>rone contenuto nella cellula umana genera appunto il fotone, la cui intensità varierà a seconda dell’aXvità metabolica. Dunque il referto avrà sfumature differenN in corrispondenza di aree metabolicamente più o meno aXve. (La prof.ssa ha solo accennato l’u3lizzo degli isotopi a positroni in ambito medico: la rec risulta poco chiara e difficilmente comprensibile se trascrio schizofrenico, che il cervello di uno schizofrenico consuma solo il 20% di glucosio rispe>o ad un sogge>o normale. PS. Non è chiaro se il consumo del glucosio sia il 20% rispeIo ad un soggeIo normale (come scriIo nelle slide), o il 20% in meno rispeIo ad un soggeIo normale (come deIo a voce dal docente). EFFETTI DANNOSI DELLE RADIAZIONI Le radiazioni possono avere effeX molto dannosi sulla vita cellulare: possono danneggiare il DNA (mutazioni geneNche), le proteine (denaturazione, perdita di funzione), i lipidi (ro>ura delle membrane cellulari). L'esposizione prolungata a radiazioni emesse da sostanze radioaXve può determinare quindi la comparsa di tumori e un precoce invecchiamento degli organi colpiN. Il meccanismo principale d'azione è l'estrazione di ele>roni da molecole biologiche e la ro>ura di legami chimici, che può portare alla formazione di radicali liberi altamente reaXvi. EFFETTI POSITIVI DELLE RADIAZIONI Le radiazioni però possono essere uNlizzate nella terapia dei tumori (radioterapia): le cellule tumorali sono più sensibili di altre alle radiazioni stesse. Grazie alla radioterapia si evita il decorso della patologia interrompendo la proliferazione e l’aXvità metabolica delle cellule cancerose. Sostanze radioaXve possono essere usate anche a scopo diagnos:co come "traccianN“ per esaminare la funzione di un organo o il desNno di una sostanza all'interno dell'organismo. PREVENIRE I DANNI DA RADIAZIONI Per prevenire i danni da radiazioni occorre poterne misurare l'emissione e il grado di esposizione delle persone ad esse esposte. Per quanto si possa limitare l'esposizione a possibili fonN di radiazione, limitando all'indispensabile le radiografie e tecniche diagnosNche che uNlizzano materiale radioaXvo, nessun abitante della Terra è immune dall'esposizione a radiazioni. Lo stesso corpo umano eme>e deboli quanNtà di radiazioni, derivanN da isotopi radioaXvi presenN nei tessuN (in gran parte K) e derivanN dal normale scambio di sostanze con l'ambiente. Diversi studi hanno dimostrato che esiste una diversa sensibilità da un tessuto all’altro, ad esempio il tessuto gastrointesNnale e quello nervoso sono più resistenN alle radiazioni, se paragonaN ad esempio al midollo osseo. L’enNtà degli effeB che le radiazioni hanno sull’organismo dipende dal grado di esposizione: 0-25 : nessun effe>o osservabile 25-50: lieve diminuizione dei globuli bianchi (leucopenia) 50-100: leucopenia accentuata 100-200: nausea, vomito, perdita di capelli 200-500: emorragie, ulcere, possibile morte >500: morte MODELLO “PLANETARIO” DELL’ATOMO DI RUTHERFORD E DI BOHR Nella lezione precedente abbiamo cominciato la parte che riguarda chimica inorganica, cercando di comprendere meglio il significato della stru>ura dell’atomo finalizzata alla formazione di legami. La teoria di Rutherford prevedeva che il nucleo, cosNtuito da protoni e neutroni, in egual numero, fosse la parte centrale dell’atomo e che gli ele-roni ruotassero intorno ad esso seguendo delle orbite. Rutherford aveva però dei limi:: ipoNzzando il modello planetario, infaX, secondo i principi della fisica classica, l’ele>rone, orbitando intorno al nucleo, avrebbe dovuto perdere progressivamente energia finendo per precipitare sul nucleo portando al collasso dell'atomo. Perché ciò non accade? A risolvere il dilemma fu Bohr. InfaX egli iniziò a definire la sua teoria sul modello atomico. Il modello dell’atomo di Bohr proponeva una rotazione dell’ele>rone su orbite circolari intorno al nucleo, senza irradiare energia. Queste orbite, che sono -man mano- sempre più distanN dal nucleo, vengono definite livelli ele-ronici. Nell’immagine, infaX, possiamo vedere il nucleo rappresentato in centro da una carica posiNva (+), dovuta ai protoni presenN, e si può notare che gli ele>roni, in blu, possono occupare sia le orbite vicine al nucleo sia quelle più lontane. La distanza degli ele>roni dal nucleo è ristre>a a determinaN valori, perciò possiamo definirla “distanza quan:zzata”. Un ele>rone che si trova più vicino al nucleo, ovvero allo stato fondamentale, è più stabile e per “promuoverlo” ad un livello superiore, ovvero lo stato eccitato, occorre somministrare una certa quanNtà di energia pari alla differenza di energia tra i due livelli. Questo conce>o ci perme>e di comprendere meglio la reaXvità degli atomi, poiché sono gli ele>roni più lontani dal nucleo che reagiscono. Riassumendo: A seconda della distanza dal nucleo, l’ele>rone possiede un valore ben determinato di energia: quanto è più vicino al nucleo il livello in cui si muove, tanto è minore l’energia posseduta dall’ele>rone. Ogni ele>rone tende ad occupare il più basso livello energeNco possibile, perché ciò corrisponde ad una maggiore stabilità. PRINCIPIO DI INDETERMINAZIONE DI HEISENBERG E IL PRINCIPIO DI ESCLUSIONE DI PAULI Nonostante si riuscì a definire il conce>o di orbita quanNzzata, Heisenberg, con il principio di indeterminazione, capì che non si poteva stabilire con precisione la posizione dell’ele>rone nell’orbita e, contemporaneamente, la sua velocità. Il principio di indeterminazione di Heisenberg aprì la strada nella chimica non tanto al conce>o di orbita, precedentemente definito da Bohr, ma al conce>o di orbitale. Si può quindi ipoNzzare una quanNzzazione che definisce la posizione dell'ele>rone e presuppone che l’ele>rone sarà più stabile quanto più vicino al nucleo, in contrapposizione allo stato più eccitato dell’ele>rone più lontano dal nucleo. Heisenberg in questo modo fornisce la definizione di orbitale come la rappresentazione grafica della probabilità di trovare l’ele-rone in un determinato luogo nello spazio tridimensionale. Questo nuovo sviluppo del conce>o di ele>rone situato in un orbitale perme>e poi di comprendere meglio la reaXvità diversa dei vari atomi, reaXvità che si può dedurre anche dalla tavola periodica degli elemenN. Il conce>o di orbitale fu ulteriormente ampliato da Schrodinger, il quale definì il modello di atomo moderno. Schrodinger notò come gli orbitali ele>ronici possano assumere forme diverse da quella sferica e diversi orientamenN nello spazio, pur mantenendo la definizione di orbitale di Heisenberg. Ciò contribuì all’idenNficazione anche grafica degli orbitali e dei loro comportamenN. (Queste illustrazioni servono a capire come funziona l’atomo e a capire come si rapportano tra loro gli orbitali stessi a formare una molecola. Tu>avia è un argomento di chimica inorganica che non abbiamo tempo di approfondire, ma è uNle per capire la formazione di legami che vedremo successivamente)

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