Anatomia Umana - Appunti PDF

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These are lecture notes from an undergraduate course on cell biology and human anatomy, discussing different morphological and microscopic study methods. The notes reference various microscopy techniques as well as the structure, function, and organization of cells.

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Università degli studi di Padova Anno accademico 2020/2021 Dipartimento di Scienze del Farmaco Chimica e Tecnologia Farmaceutiche Professoressa: Rosa Di Liddo...

Università degli studi di Padova Anno accademico 2020/2021 Dipartimento di Scienze del Farmaco Chimica e Tecnologia Farmaceutiche Professoressa: Rosa Di Liddo BM Berti Maria 1 BIOLOGIA CELLULARE Anatomia umana Il corpo umano è un organismo animale pluricellulare organizzato in unità morfologiche che presentano una grandezza crescente: cellule (unità elementari della materia vivente), tessuti (costituiti da più cellule), organi (insiemi di tessuti), sistemi e apparati (composti da più organi). Lo studio di questa organizzazione architetturale porta alla definizione di scienze morfologiche che comprendono la citologia, l’istologia, l’embriologia e l’anatomia. “Anatomia” deriva dal greco anatomè che significa “dissezione”. È la disciplina che consente la verifica della struttura macroscopica e microscopica dell’organismo utilizzando dei sistemi elementari, come l’osservazione visiva, o sistemi più elaborati, come i microscopi. È una scienza che studia le caratteristiche macroscopiche e microscopiche delle parti che compongono il corpo umano, la loro posizione e i loro rapporti topografici; è una disciplina strettamente correlata all’analisi delle funzioni normali e patologiche dell’organismo; è essenziale per la definizione delle alterazioni patologiche della morfologia. Lo studio dell’organizzazione macroscopica definisce la forma, le dimensioni e la consistenza di un dato organo, apparato o sistema. La descrizione topografica consente di stabilire dove si trova l’organo, con quali altre parti è in rapporto, dove il suo profilo si proietta sulla superficie corporea. L’organizzazione microscopica di un organo e dei suoi tessuti si ricava dall’osservazione, tramite microscopia, di sottili sezioni dell’organo prelevato in tutto o in parte e opportunamente fissato. L’organizzazione macroscopica e topografica si ricavano dall’osservazione visiva (che un soggetto esegue durante un’analisi anatomica) e mediante l’uso di tecniche proprie della diagnostica per immagini (radiologia, medicina nucleare, ecografia, tomografia assiale computerizzata (TAC), risonanza magnetica nucleare (RMN), tomografia a emissione di positroni (PET)). Quando l’obiettivo dello studio è un’organizzazione di tipo microscopico, allora la scienza si avvale di sistemi che risultano essere caratteristici di microscopia e prevedono la visualizzazione di organi preparati in sezioni dopo una fissazione e una colorazione. L’ultrastruttura di organi e tessuti è l’organizzazione delle singole cellule (livello più elevato di organizzazione) e il suo studio prevede l’uso della microscopia elettronica a scansione (SEM), a trasmissione (TEM), di tecniche di colorazione (citochimica, immunocitochimica). L’anatomia comprende due livelli di osservazione: l’anatomia sistematica (studio sul cadavere) (garantisce la definizione delle caratteristiche morfologiche macroscopiche, l’architettura interna, e la struttura microscopica e ultramicroscopica delle parti del corpo e degli organi riuniti in sistemi e apparati e la disposizione e i rapporti reciproci dei tessuti e delle cellule all’interno di ciascun organo); l’anatomia topografica (studio sul cadavere) (consente di definire i limiti delle regioni superficiali e profonde del corpo descrivendo il rapporto tra una struttura anatomica e un’altra, la stratificazione delle pareti, la localizzazione spaziale e i rapporti che intercorrono tra gli organi in particolare quando l’osservazione viene eseguita in sezione)1. Per anatomia applicata, o anatomia del vivente, si intende invece la disciplina dell’anatomia applicata sul vivente che quindi consente di studiare gli aspetti strettamente applicativi dell’anatomia sistematica e topografica, in riferimento alla fisiologia e alla fisiopatologia. Di seguito sono presentate alcune immagini di campioni biologici la cui osservazione è possibile grazie a diversi sistemi. Microscopia ottica Sono visibili per contrasto alcuni elementi cellulari; si tratta di una coltura cellulare coltivata in vitro in adesione ad una piastra di coltura di polistirene. Con la tecnica della microscopia ottica è possibile visualizzare la forma, la grandezza e la distribuzione di elementi cellulari ma non l’organizzazione ultrastrutturale di ciascuna unità. SEM (microscopia elettronica a scansione) L’osservazione risulta essere di livello più avanzato. È infatti possibile apprezzare le caratteristiche della superficie cellulare, l’identificazione di eventuali prolungamenti della cellula stessa ed eventuali prodotti di secrezione della cellula. BM 1 Importantissima nell’ambito medico perché consente di definire una corretta pratica chirurgica e radiologica 2 TEM (microscopia elettronica a trasmissione) L’immagine fornita da questo tipo di microscopio risulta essere la più adeguata per visualizzare l’insieme di compartimenti interni cellulari. Si può osservare, ad esempio, la presenza di un mitocondrio; in particolare si può notare l’organizzazione della membrana interna mitocondriale (con le sue creste) e all’esterno si rileva la presenza del reticolo endoplasmatico rugoso che risulta essere caratterizzato da un insieme di membrane a livello delle quali sul lato esterno sono presenti particolari organelli citoplasmatici detti ribosomi (elementi essenziali per la sintesi proteica). Istochimica Si osserva la sezione di un tessuto (adiposo). Utilizzando una tecnica di colorazione classica (quella di ematossilina e ossina) è possibile contrastare con i colori blu e rosa alcuni compartimenti cellulari; il nucleo è contrastato in blu mentre il citoplasma in rosa. Queste diverse colorazioni fanno riferimento all’affinità che l’ematossilina e l’ossina risultano avere per i compartimenti più acidi (nucleo) e più basici (citoplasma). Con questa tecnica si va a definire la struttura del tessuto evidenziando la presenza di numerose cellule le quali risultano caratterizzate da un piccolo nucleo confinato immediatamente al di sotto della membrana e il citoplasma occupata quasi interamente dal vacuolo. Nella regione laterale invece è presente un piccolo vaso in cui si osserva una cavità interna e una parete costituita da elementi cellulari. Immunofluorescenza Questa tecnica si avvale di anticorpi (proteine specifiche per determinati antigeni) e fluorocromi (prodotti che dopo essere stati irraggiati, ovvero esposti a luce laser, possono emettere una definita luce d’onda). Dove l’anticorpo risulta essere coniugato ad un fluoroforo (o fluorocromo; si indicano quelle molecole che, dopo avere assorbito fotoni di una certa lunghezza d'onda, esibiscono fluorescenza) è possibile (previa incubazione del campione con l’anticorpo in assenza di luce) visualizzare il sito di binding dell’anticorpo (ovvero il legame dell’anticorpo con la molecola target d’interesse) in ragione dell’emissione di una luce fluorescente; tale luce può essere quantificata attraverso un sistema di microscopia e localizzata in corrispondenza di un determinato compartimento cellulare. Nell’immagine si visualizzano numerose cellule contrastate in verde e questa colorazione verde fluorescente identifica componenti del citoscheletro cellulare (ossia quel particolare elemento cellulare che dà un sostegno cellulare alla cellula stessa in corrispondenza non solo del citoplasma ma anche del nucleo). Classificazione organismi viventi BM 3 La citologia è lo studio della morfologia microscopica e ultramicroscopica, e degli aspetti molecolari e funzionali delle cellule, intese come unità elementari della materia costitutiva degli organismi viventi (protoplasma) di cui rappresentano le più piccole porzioni dotate di tutte le proprietà biologiche e capaci di vita indipendente (teoria cellulare). La cellula (dal latino “piccola camera”) è l'unità fondamentale di tutti gli organismi viventi (procarioti, eucarioti). Essa è costituita da citoplasma delimitato dalla membrana plasmatica e contenente materiale genetico (DNA). Alcuni organismi possono consistere di una singola cellula ed essere definiti unicellulari o monocellulari (che possono essere costituiti da un’unica cellula procariotica come i batteri, o eucariotica come i protozoi); si tratta di organismi con organizzazione estremamente elementare. Gli altri organismi, come l'uomo (formato da circa 100 mila miliardi di cellule), sono invece pluricellulari; in questi casi, le cellule che li compongono si differenziano l’una rispetto all’altra per la forma, per la grandezza e per la funzione specializzata che garantisce la costituzione di un tessuto, di un organo, di una struttura più complessa. I principali organismi pluricellulari appartengono tipicamente ai regni animale, vegetale e dei funghi. Le cellule degli organismi unicellulari presentano caratteri morfologici solitamente uniformi. Con l'aumentare del numero di cellule di un organismo, invece, le cellule che lo compongono si differenziano per forma, grandezza, rapporti e funzioni specializzate. Secondo la classificazione tassonomica di Cavalier-Smith (2004), tutti gli organismi viventi vengono classificati in due domini: procarioti ed eucarioti. I primi comprendono i batteri e gli archei (quindi in generale organismi unicellulari ed estremamente semplici). Il dominio degli eucarioti comprende 5 regni: animale, funghi, piante, cromisti e protozoi (questi ultimi sono unicellulari mentre gli altri sono pluricellulari e dunque caratterizzati da un livello strutturale estremamente complesso). Cellula procariote vs eucariote Le cellule si distinguono in procariotiche (caratterizzate da struttura semplice e non compartimentata, dimensioni minori, genoma costituito da una singola molecola di DNA a diretto contatto con il citoplasma nella zona del nucleoide); eucariotiche (caratterizzate da dimensioni maggiori, struttura complessa e compartimentata nel citoplasma, che, oltre alla sua porzione non compartimentata (ialoplasma), contiene organelli a funzione specifica delimitati da membrane, e genoma costituito da più molecole di DNA formanti i cromosomi situati all’interno del nucleo delimitato dall’involucro nucleare e contenente carioplasma). BM 4 I componenti chimici di una cellula La materia vivente che costituisce le cellule prende il nome di protoplasma ed è definita, chimicamente parlando, come una soluzione acquosa viscosa all’interno della quale le particelle colloidali risultano essere in sospensione; la presenza di tali particelle colloidali rendono il protoplasma un sistema a sol-gel reversibile. Il protoplasma è sempre in equilibrio con l’ambiente extracellulare perché la cellula è capace di incamerare dall’ambiente extracellulare o di rilasciare all’interno del microambiente extracellulare attraverso la membrana delle molecole. Il protoplasma cellulare è composto sempre da acqua (circa 84%), da sostanze inorganiche (circa 1,5%) e da sostanze organiche (circa il 14,5%). Le sostanze inorganiche sono prevalentemente costituite da sali inorganici dissociati in ioni. Le sostanze organiche comprendono gli amminoacidi, i nucleotidi, i glicidi e i lipidi. Sono sempre organizzate prevalentemente in macromolecole il cui peso molecolare è compreso tra alcune migliaia e miliardi di dalton; tali macromolecole sono costituite da polimeri, cioè da catene lineari o ramificate, di unità più semplici, i monomeri, unite da legami covalenti. Le macromolecole biologiche si dividono in informazionali e non informazionali. Quelle informazionali contengono un grande numero di informazioni biochimiche e sono costituite da polimeri composti da due o più tipi di monomeri in successione, senza ordine apparente, detti eteropolimeri aperiodici (gli acidi nucleici (polimeri di nucleotidi) e le proteine (polimeri di amminoacidi)). Le macromolecole non informazionali contengono un basso numero di informazioni biochimiche, sono costituite da polimeri composti da un tipo di monomero (omopolimeri) oppure da un’alternanza regolare di due o più tipi di monomeri (eteropolimeri periodici) (i polisaccaridi (polimeri di glicidi)). La sostanza più abbondante delle cellule è l’acqua; essa rappresenta il 70% del suo peso e la maggior parte delle reazioni intracellulari avviene in ambiente acquoso. L’acqua presente nelle cellule è disponibile in due forme: 1. l’acqua libera detta anche acqua di riempimento o bulk water (circa il 95% del contenuto della cellula stessa); funge da solvente per i sali minerali e per le molecole organiche idrosolubili; è essenziale per disperdere le macromolecole cellulari e interviene nella regolazione della temperatura endocellulare e nella stabilizzazione della forma cellulare; 2. l’acqua combinata o detta anche legata o di struttura o di idratazione (circa il 5% del contenuto della cellula stessa); è quella che si unisce mediante legami deboli agli amminogruppi, ai gruppi carbossilici e ad altri gruppi polari di molecole varie, soprattutto proteine. →Una cellula vivente è composta da una serie ristretta di elementi, quattro dei quali (𝐶, 𝐻, 𝑂, 𝑁) corrispondono al 99% del suo peso. Escludendo l’𝐻2 𝑂, quasi tutte le molecole della cellula sono composti del carbonio (𝐶), che costituiscono i composti organici. Membrane biologiche Tutte le membrane biologiche presentano le seguenti caratteristiche strutturali: sono strutture lipoproteiche; in particolare sono costituite da a) lipidi (25-45%, lipidi complessi); b) proteine (55-75%, glicoproteine, proteine transmembrana, enzimi); c) carboidrati (2-10%, associati a lipidi e a proteine) (presenti in particolari membrane biologiche; ad esempio, costituiscono la struttura specializzata che prende il nome di glicocalice (sul lato esterno dell’involucro citoplasmatico)); lo spessore delle membrane biologiche è di circa 7-8 nm; sono nell’insieme sempre costituite da un doppio strato lipidico nel cui spessore sono inserite le proteine (queste possono avere funzione catalitica, possono essere stabilizzate nella loro posizione). sono strutture flessibili; sono dotate di elevata resistenza elettrica; sono caratterizzate da permeabilità selettiva (permeabili alle sostanze apolari e parzialmente (o selettivamente) alle sostanze polari). Comprendono: la membrana plasmatica (che delimita il citoplasma e interviene come barriera tra la cellula e l’ambiente extracellulare); le membrane intracellulari (membrana nucleare, membrane di rivestimento di organuli citoplasmatici) (che delimitano compartimenti cellulari). Membrana plasmatica La membrana plasmatica (anche detta plasmalemma o citomembrana) è la membrana biologica più esterna che si interpone tra il citoplasma e l’ambiente extracellulare. Nell’immagine di immunofluorescenza riportata a destra sono state utilizzate delle sostanze fluorescenti così da mettere in evidenza in blu il nucleo cellulare mentre in verde il citoscheletro; la membrana plasmatica è quella caratterizzata dal colore rosso. BM 5 Caratterizzazione funzionale Ha funzione di supporto strutturale (garantisce effetto barriera tra l’ambiente intracellulare ed extracellulare); Presiede all'omeostasi cellulare (sia dell’ambiente intracellulare che dell’ambiente immediatamente prossimo alla membrana plasmatica (l'omeostasi è il mantenimento della composizione chimica ottimale del plasma, del liquido interstiziale e del liquido intracellulare anche al variare delle condizioni esterne attraverso meccanismi autoregolatori), grazie alla sua permeabilità selettiva; Permette sia lo scambio di informazioni tra l'ambiente intra- ed extra-cellulare, sia l'interazione fisica con le strutture extracellulari circostanti (in quanto delimitazione fisica funge da barriera in entrata e uscita). Ha la funzione di superficie catalitica dato l'abbondante numero di enzimi ad essa legati (in gran parte coinvolti nella produzione di messaggeri intracellulari che vanno a modificare il comportamento cellulare e l’espressione genica cellulare in funzione di specifici stimoli provenienti dall’ambiente esterno) come le fosfolipasi e la sfingomielinasi (che idrolizzano i fosfolipidi di membrana), e l'adenilciclasi (che sintetizza l’AMP ciclico). Partecipa a funzioni complesse: esocitosi (secrezione), endocitosi (ingestione di sostanze esterne mediante la formazione di vescicole), adesione e movimento cellulare ameboide nel caso di proteine o catene di oligosaccaridi presenti sul lato esterno del plasmalemma (es. leucociti). Un mosaico fluido La struttura molecolare della membrana plasmatica è stata oggetto di studio sin da fine 1800. I primi studi sulla natura chimica della membrana furono eseguiti da Ernest Overton (1890) il quale fece un’osservazione relativa alla capacità di alcune sostanze solubili nei lipidi di passare più velocemente attraverso la membrana cellulare rispetto a quei prodotti più solubili in acqua. Overton si rese conto che le cellule erano circondate da una sorta di strato selettivamente permeabile e che le sostanze solubili nei lipidi penetravano più facilmente di quelle solubili in acqua. Overton concluse che i lipidi erano presenti sulla superficie cellulare. Due fisiologi olandesi Gorter e Grendel (1925) dedussero che le membrane biologiche contenevano un doppio strato di fosfolipidi calcolando la superficie occupata dai lipidi di un numero noto di globuli rossi e la distribuzione dei lipidi estratti da una superficie. Proposero dunque che la membrana plasmatica fosse formata da fosfolipidi organizzati in un doppio strato ma, erroneamente, conclusero che le proteine associate alla membrana fossero distribuite esternamente al doppio strato lipidico. Solo nel 1972 il modello molecolare della membrana plasmatica trovò completa definizione grazie ai ricercatori J. Singer e G. Nicolson che proposero il modello “a mosaico fluido”; in tale modello, la membrana, paragonata appunto a un mosaico fluido (discontinuo), è costituita da un doppio strato lipidico dove le proteine risultano essere immerse e interagiscono con il 30% delle molecole lipidiche. Le due superfici della membrana (esterna, versante extracellulare, e interna, versante citoplasmatico) sono caratterizzate da un’elevata asimmetria strutturale perché hanno diversa composizione lipidica e proteica; questa diversa composizione strutturale si dimostra efficace nel garantire una specifica funzione di interazione con l’ambiente extracellulare da parte della membrana plasmatica e una specifica interazione con il versante intracellulare. Ad ogni istante, la struttura molecolare della membrana è data dall’equilibrio dinamico tra le molecole sintetizzate e quelle sostituite dalla cellula (turnover molecolare di membrana). L’analisi mediante microscopia elettronica a trasmissione ha confermato il modello a mosaico fluido e la struttura delle membrane biologiche in generale come una struttura in cui si riconoscono due strati fosfolipidici con aspetto trilaminare. Nell’immagine a destra si può apprezzare un preparato di microscopia elettronica a trasmissione dove la regione che risulta essere più contrastata corrisponde alle teste idrofile dei fosfolipidi di membrana mentre quella meno contrastata che si BM interpone tra le teste dei fosfolipidi corrisponde alla regione idrofobica in cui vi sono appunto le code idrofobiche dei fosfolipidi. 6 I lipidi e le proteine trasnmembrana, due costituenti principali delle membrane La membrana plasmatica, similmente alle altre membrane biologiche, si presenta come un sottile film di molecole lipidiche e proteiche tenute insieme principalmente da interazioni non covalenti. Le membrane cellulari sono strutture dinamiche fluide e la maggior parte delle loro molecole sono capaci di muoversi nel piano della membrana. Le molecole lipidiche sono organizzate a formare un doppio strato continuo ed è proprio il doppio strato lipidico a fornire la struttura fluida di base della membrana e a garantire una struttura a barriera relativamente impermeabile alle molecole solubili in acqua. Le molecole proteiche che attraversano il doppio strato lipidico vengono dette proteine transmembrana e queste mediano quasi tutte le altre funzioni della membrana (come il trasposto di molecole specifiche, la catalisi di reazioni associate alla membrana (es. sintesi di ATP)). Nella membrana plasmatica alcune proteine transmembrana garantiscono il collegamento strutturale con il citoscheletro, e attraverso il citoscheletro con la matrice extracellulare e quindi l’adesione ad una cellula adiacente; mentre in altri casi le proteine garantiscono una funzione recettoriale grazie alla quale si ha una trasduzione di segnale chimico dall’ambiente esterno all’interno della cellula e viceversa. La capacità dei fosfolipidi di membrana di formare spontaneamente i teste dei fosfolipidi doppi strati in ambienti acquosi risulta essere dipendente dalla forma e dalla natura anfipatica delle molecole fosfolipidiche stesse; ciò inoltre corrisponde alla disposizione energeticamente più favorevole ovvero la code dei fosfolipidi disposizione in cui le teste idrofiliche sono a contatto con l’acqua su ciascuna superficie del doppio strato (versante extracellulare e intracellulare) mentre le code idrofobiche sono schermate dall’acqua all’interno. Le molecole idrofiliche si dissolvono velocemente in acqua perché contengono gruppi carichi o gruppi polari privi di carica che possono formare interazioni elettrostatiche oppure dei legami idrogeno con le molecole d’acqua. Le molecole idrofobiche sono insolubili in acqua perché tutti o quasi tutti i loro atomi sono privi di carica (apolari) perciò non possono formare interazioni favorevoli con le molecole d’acqua. Quindi se sono disperse in acqua forzano le molecole d’acqua adiacenti a riorganizzarsi in strutture che circondano la molecola idrofobica; poiché queste strutture sono più ordinate dell’acqua che le circonda la loro formazione fa aumentare l’energia libera; questo costo in energia libera è però ridotto al minimo se le molecole idrofobiche si raggruppano insieme in modo da influenzare il numero più piccolo possibile delle molecole d’acqua. Le regioni idrofobiche e idrofiliche delle molecole lipidiche si comportano allo stesso modo. In questo modo le molecole lipidiche si aggregano spontaneamente per racchiudere all’interno le code idrofobiche ed esporre invece le teste idrofiliche all’acqua. Ciò può avvenire in due modi: possono formarsi delle micelle sferiche con le code verso l’interno oppure possono formarsi dei fogli bimolecolari (o doppi strati) con le code racchiuse tra le teste idrofiliche. Liposomi Lo studio dal punto di vista chimico-fisico della membrana plasmatica (ma più in generale delle membrane biologiche) è solitamente eseguito mediante l’utilizzo dei liposomi (si tratta di strutture cave la cui parete è formata da un doppio strato di fosfolipidi; micelle artificiali di 20 𝑛𝑚 − 1 µ𝑚 di diametro, contenenti 5 ∙ 106 fosfolipidi/µm²). Tali liposomi possono essere prodotti tramite diverse metodologie secondo le specifiche esigenze; il trattamento con ultrasuoni (sonicazione) risulta essere quello elettivo per la loro preparazione. I liposomi sono comunemente usati come membrane modello in studi sperimentali oppure per veicolari farmaci o altri prodotti ad uso terapeutico oppure medico protettivo. BM 7 Lipidi Sono molecole biologiche ternarie così definite perché formate da carbonio, idrogeno e ossigeno; sono caratterizzati da scarsa solubilità in acqua (non polari) ed elevata solubilità in solventi organici (quali l’etere e il cloroformio). Sono molecole idrofobiche perché provviste di pochi gruppi polari (-𝑂𝐻, -𝐶𝑂𝑂𝐻) e molti gruppi non polari (-𝐶𝐻3 , =𝐶𝐻2 ) dovuti alla predominanza di lunghe catene di idrocarburi alifatici. Svolgono diverse funzioni: Elementi costitutivi delle membrane biologiche Riserva energetica (sostanze di accumulo intracellulare) Componenti di ormoni, vitamine e loro precursori Termoregolazione (consentono il mantenimento controllato della temperatura endocellulare) I lipidi vengono classificati in due grandi gruppi: 1. Lipidi semplici (o neutri): acidi grassi, esteri di acidi grassi con differenti alcoli (gliceridi quali mono-, di-, trigliceridi, cere); insolubili in acqua; 2. Lipidi complessi (o coniugati): esteri di acidi grassi contenenti un alcol e radicali (acido fosforico, basi azotate, glicidi) che costituiscono la “testa” polare e rendono la molecola anfipatica; comprendono i fosfolipidi, gli sfingolipidi, gli steroidi e le vitamine liposolubili. Gli acidi grassi sono acidi monocarbossilici a scheletro lineare presenti nei grassi vegetali, animali, oli o cere. Differiscono fra loro per: a) lunghezza della catena carboniosa (C4-C28) b) presenza o meno di doppi legami (saturi (assenza di doppi legami), Acido palmitico insaturi (presenza di uno o più doppi legami)). Le riserve energetiche cellulari sono sempre presentate da trigliceridi e mai da acidi grassi liberi; questi ultimi determinerebbero un anomalo cambiamento del pH intracellulare oppure, localizzandosi a livello del plasmalemma, determinerebbe un anomalo cambiamento strutturale Acido oleico della membrana plasmatica. Gli acidi grassi risultano dunque essere sempre utilizzati per la formazione di lipidi semplici (trigliceridi) o complessi (fosfolipidi). Il contenuto totale lipidico della membrana è costituito da circa il 50% di colesterolo e dall’altro restante 50% di fosfolipidi e glicosfingolipidi. I fosfolipidi sono i costituenti essenziali (e i lipidi più abbondanti) delle membrane cellulari animali e vengono classificati in due gruppi (in base all’alcol contenuto nella loro struttura): glicerosfolipidi (o, più semplicemente, fosfogliceridi) e sfingomieline; i primi contengono come alcol il glicerolo mentre le seconde contengono la sfingosina. Queste molecole presentano un gruppo di testa polare (residuo di acido ortofosforico, gruppo fosfato, che lega a sua volta una molecola) e due code idrocarburiche idrofobiche (acidi grassi) (regione lipidica insolubile in acqua ma solubile in solventi organici); avendo un’estremità idrofilica (polare) e una idrofobica (non polare) vengono definite molecole anfipatiche. Negli animali, nelle cellule batteriche e nei vegetali le code sono di solito acidi grassi che differiscono tra loro in lunghezza; una coda in genere è insatura (con uno o più doppi legami cis) mentre l’altra risulta essere satura (priva di doppi legami). Ciascun doppio legame cis viene a creare una piccola piega nella coda; questa piega (unitamente alla differenza nella lunghezza degli acidi grassi) viene ad essere una proprietà che influenza la capacità delle molecole fosfolipidiche di compattarsi tra loro e influenza dunque la fluidità della membrana. I fosfolipidi di membrana vengono distinti in due classi: a) glicerofosfolipidi (che contengono glicerolo). Essi sono formati da una molecola di glicerolo esterificata da due molecole di acidi grassi (polo idrofobico); al glicerolo è legato un radicale di acido fosforico che lega a sua volta un’altra molecola (con la quale costituisce la testa idrofilica). Sono componenti fondamentali delle membrane cellulari e comprendono 4 tipi principali di esteri del glicerolo (in base al radicale legato al gruppo fosforico): BM a. fosfatidilserina (con serina) b. fosfatidilcolina (con colina) 8 c. fosfatidilinositolo (con inositolo) d. fosfatidiletanolammina (con etanolammina) b) Sfingomieline (che contengono sfingosina, amminoalcol insaturo). Esse contengono il ceramide (polo idrofobico, formato dall’alcol sfingosina e un acido grasso). Costituiscono il polo idrofobico della molecola; se a tale componente è legata la fosforilcolina (come polo idrofilo) la molecola prende il nome di sfingomielina. Quando i glicolipidi, nella forma di sfingolipidi, si legano ad una catena oligosaccaridica (che costituisce il polo idrofilico), si forma il cosiddetto glicosfingolipide (localizzato sulla superficie esterna della membrana, rivolge le catene INOSITOLO oligosaccaride verso l’ambiente extracellulare). Queste catene oligosaccaride contribuiscono alla costituzione di una struttura specializzata, il glicocalice, che ha un ruolo essenziale nella protezione della cellula e nella sua capacità adesiva. Le catene oligosaccaridiche possono intervenire anche come antigeni di membrana che favoriscono il riconoscimento cellulare. I glicosfingolipidi sono i glicolipidi formati da una ceramide cui è legato un oligosaccaride (polo idrofilo) (sono dunque oligomeri di carboidrati legati a lipidi); generalmente sono situati sulla superficie esterna della membrana cellulare dove le catene oligosaccaridiche formano il glicocalice e gli antigeni di membrana. La loro funzione più importante, non molto differente da quella delle glicoproteine, è di riconoscere sostanze chimiche specifiche provenienti dall'esterno o di garantire l’interazione intercellulare. Gli zuccheri legati ai lipidi e alle proteine di membrane agiscono da specifici marcatori in funzione della loro differente e specifica struttura; un esempio è rappresentato dagli antigeni sulla superficie dei globuli rossi che permettono la classificazione dei gruppi sanguigni. Gli antigeni composti da zuccheri vengono riconosciuti da anticorpi specifici e innescano una risposta immunitaria. Tra i ruoli principali dei glicolipidi (oltre alla definizione di antigeni di membrana) vi sono l’attività protettiva della membrana da un abbassamento anomalo del pH e dall’attività lesiva di enzimi degradativi, la capacità di mantenere sotto controllo la concentrazione ionica immediatamente all’esterno del plasmalemma e un’attività di riconoscimento cellulare. I glicosfingolipidi comprendono (in base alla lunghezza e al tipo di oligosaccaride): gangliosidi, globosidi, lattosidi. Tra i glicolipidi più complessi, i gangliosidi sono quelli che si caratterizzano per avere al loro interno residui di acido sialico; questo svolge funzioni differenti, in particolare interviene come recettore di membrana per le molecole di adesione cellulare e per i virus influenzali. Gli steroidi (dal greco stereos = “solido”) costituiscono un gruppo di composti molto diffusi in natura che, dal punto di vista chimico-strutturale, contengono un sistema tetraciclico di atomi di carbonio. Il colesterolo è uno steroide (il più diffuso), cioè una molecola lipidica costituita da quattro anelli policicloalifatici (condensati tra loro in formazione trans) e una coda alifatica, oltre ad eventuali gruppi funzionali. La struttura policiclica di base prende il nome di ciclopentanperidrofenantrene. È una molecola debolmente anfipatica per la presenza di un gruppo idrossilico (testa idrofila) e catena idrocarboniosa (coda idrofobica). Interviene nella costituzione delle membrane cellulari, come precursore degli ormoni steroidei, degli acidi biliari e di alcune vitamine. Il colesterolo è un componente essenziale della membrana cellulare di tutte le cellule animali. Inserendosi fra i due strati di fosfolipidi con il gruppo -OH orientato vicino alle teste polari dei fosfolipidi, controlla BM la stabilità meccanica e la flessibilità delle membrane e diminuisce la permeabilità della membrana a piccole molecole idrosolubili. 9 Circa l’85% del colesterolo libero cellulare si localizza nella membrana plasmatica in prossimità del foglietto fosfolipidico interno (ovvero quello detto citoplasmatico); solo una piccola parte (circa il 3-5%) si trova localizzato nel foglietto esterno. Il colesterolo si orienta sempre con il gruppo -OH verso la superficie ovvero verso le teste polari dei fosfolipidi; in questa posizione contribuisce a regolare la fluidità della membrana e tutte quelle proprietà che dipendono da essa quali permeabilità (a piccole molecole idrosolubili), endocitosi, attività dei recettori e degli enzimi di membrana che generano messaggeri intracellulari. Il colesterolo partecipa alla definizione di una specifica permeabilità di membrana (è abbondante nella membrana plasmatica mentre è scarso nelle membrane del reticolo endoplasmatico e dei mitocondri). Funzioni del colesterolo: Interviene nella regolazione dello scambio di sostanze messaggere (informazioni) dall’ambiente extracellulare a quello intracellulare e viceversa tramite la membrana cellulare È essenziale per la crescita e la divisione cellulare È un precursore di ormoni steroidei come aldosterone, cortisone, testosterone, estradiolo ecc. Tutte le cellule dell'organismo umano sono capaci di sintetizzare colesterolo a partire dall'acetilcoenzima A, ma la maggior parte viene prodotto nei perossisomi delle cellule epatiche Il colesterolo prodotto nel fegato viene impiegato in buona parte per la produzione di bile, una sostanza secreta nel duodeno che serve ad emulsionare i lipidi alimentari per renderli maggiormente assorbibili a livello dell'intestino tenue Proteine Sono costituite da una sequenza di amminoacidi (gli aminoacidi presentano un gruppo amminico (-𝑁𝐻2 ) e un gruppo carbossilico (-𝐶𝑂𝑂𝐻). Per la presenza di tali gruppi, gli amminoacidi si comportano da composti anfoteri, cioè da cationi in ambiente acido e da anioni in ambiente basico). La struttura di base delle membrane biologiche è costituita dal doppio strato lipidico ma sono le proteine di membrana che svolgono la maggior parte delle funzioni specifiche delle membrane stesse. Infatti, le proteine conferiscono a ciascun tipo di membrana le sue caratteristiche e proprietà funzionali, quindi la quantità e la tipologia di proteine in una membrana sono altamente variabili (consideriamo ad esempio il contenuto proteico della membrana plasmatica rispetto a quello delle membrane mitocondriali o delle membrane dell’apparato del Golgi o del reticolo endoplasmatico). Nella membrana mielinica (che serve principalmente da isolamento elettrico per gli assoni delle cellule nervose) meno del 25% della massa di membrana è costituito da proteine mentre nelle membrane coinvolte nella produzione di ATP circa il 75% è composto da proteine. Una tipica membrana plasmatica ha una composizione intermedia (per 50 molecole lipidiche è presente una molecola proteica). Tutte le proteine risultano essere costituite da una sequenza di amminoacidi. 20 amminoacidi si combinano in maniera differente e generano 10mila tipologie differenti di proteina. Ogni proteina poi si caratterizza per una struttura primaria (sequenza lineare specifica degli aa all’interno della molecola), secondaria (alfa-elica o foglietto pieghettato), terziaria e quaternaria. Le proteine presenti nell’ambiente extracellulare sono caratterizzate da una configurazione tridimensionale che prende il nome di struttura terziaria. È rappresentata dalla configurazione tridimensionale che la catena polipeptidica assume nell'ambiente in cui si trova. Viene consentita e mantenuta da diversi fattori, come i ponti disolfuro e le forze di Van der Waals. Una struttura terziaria, caratteristica delle proteine fibrose solitamente all’esterno della cellula, è quella riportata a destra (nell’immagine è rappresentata la struttura sia attraverso microscopia elettronica a scansione sia nello schema a lato in cui si può identificare l’organizzazione delle catene proteiche a formare una struttura elicoidale di tipo complesso) ossia che porta a una configurazione di tipo allungato della proteina (es. BM collagene). 10 L’altra configurazione che può essere assunta dalle proteine con struttura terziaria è quella ripiegata, caratteristica delle proteine globulari (quali mioglobina ed emoglobina), rappresentata a sinistra. In generale, la struttura terziaria presenta tratti più avvolti e più rigidi detti domini strutturali i quali sono caratterizzati da una struttura primaria e sono in larga parte responsabili delle funzioni biologiche della proteina. La disposizione spaziale dei domini è condizionata dall’ambiente chimico-fisico pertanto se questo viene modificato ciò accade anche alla configurazione tridimensionale della proteina che perde le sue proprietà biologiche (denaturazione delle proteine). La struttura quaternaria, infine, fa riferimento a una particolare organizzazione spaziale che molecole proteiche possono assumere costituendo dei complessi multi-subunità (un esempio qui a destra). Le proteine, uguali o diverse tra loro, assumono ciascuna la propria struttura terziaria, ma possono organizzarsi in strutture ancora più complesse interagendo tra loro: le interazioni possono essere legami deboli come quelli di tipo ionico, legami idrogeno, forze di Van der Waals. Le principali proteine prese in considerazione saranno: Proteine strutturali. Essenziali per l’adesione cellulare e per la migrazione cellulare; costituiscono l’impalcatura interna delle cellule eucariotiche (citoscheletro) e parte della sostanza extracellulare (collagene, cheratina, ecc.). Si tratta di proteine che nella forma di fibre di collagene o elastina, si organizzano nell’ambiente extracellulare e forniscono la base di supporto per le popolazioni cellulari (sono dunque degli scheletri proteici a cui aderiscono le cellule attraverso la loro membrana plasmatica). Proteine recettoriali. Sono presenti a livello della membrana plasmatica e garantiscono la ricezione di stimoli provenienti dall’esterno (permettono l’interazione di ormoni proteici e non, di fattori di crescita e di neurotrasmettitori); la trasmissione di questi stimoli all’interno della cellula consente la modifica del comportamento cellulare e dell’espressione genica. BM 11 Proteine contrattili. Sono proteine che intervengono nella costituzione del citoscheletro (struttura essenziale per il supporto meccanico della membrana plasmatica, della membrana nucleare, di tutti gli organelli citoplasmatici e del trasporto vescicolare). Essenziali per il movimento cellulare (es. actina e miosina, proteine responsabili del movimento, della contrazione muscolare); Proteine enzimatiche. Si tratta di proteine che all’interno della cellula e a livello della stessa membrana plasmatica, accelerano le reazioni chimiche (es. enzima digestivo contenuto all’interno dei lisosomi). Classificazione delle proteine di membrana Le proteine di membrana sono state studiate con la tecnica del patch-clamp; tale tecnica è stata utilizzata su uova di anfibio e prevede l’iniezione nel citoplasma delle uova di mRNA per proteine di membrana di cellula umana. Le proteine prodotte a livello del reticolo endoplasmatico vengono poi incorporate nella membrana delle uova; utilizzando delle micropipette vengono prelevate regioni di membrana che poi vengono sottoposte ad uno studio di biologia molecolare. I vari tipi di proteine di membrana svolgono attività differenti; possono avere attività catalitica, possono garantire l’ancoraggio alla membrana plasmatica del citoscheletro, possono intervenire nell’ancoraggio delle cellule all’ambiente extracellulare o possono favorire processi come l’endocitosi o l’esocitosi. Distinguiamo dunque: glicoproteine (sono localizzate sul lato esterno della membrana, fungono da antigeni di membrana, recettori ormonali, molecole adesive e anti-adesive cellulari, componenti del glicocalice); proteine di trasporto di metaboliti; enzimi, recettori ormonali; canali ionici (per la trasmissione dell’impulso nervoso); antigeni di istocompatibilità (garantiscono il riconoscimento recettoriale); elementi di strutture specializzate quali le giunzioni intercellulare; recettori di endocitosi. In base alla localizzazione delle proteine nelle membrane biologiche, inoltre, le proteine vengono distinte in: a) a) proteine estrinseche o periferiche sono le meno numerose; sono legate alle superfici idrofile (esterna o interna). Interagiscono con le teste polari dei fosfolipidi (legami elettrostatici) oppure con le proteine transmembrana attraverso legami covalenti. b) proteine intrinseche o integrali sono le più numerose; si distribuiscono all’interno della membrana e l’attraversano per tutto il suo spessore. Presentano le estremità N- e C- terminale in varie posizioni rispetto alle superfici della membrana. c) Proteine ancorate ai lipidi. Quando si considerano quelle proteine che sono b) legate ai lipidi di membrana, si fa riferimento a quella componente proteica che interviene essenzialmente nella regolazione del riconoscimento cellulare; tali proteine, per la loro localizzazione, vengono identificate come proteine ancorate ai lipidi. Fluidità delle membrane biologiche c) Il doppio strato lipidico della membrana plasmatica è fluido per la presenza di acidi grassi insaturi a catena corta, che conferiscono una struttura meno compatta e più disordinata. È allo stato di liquido-cristallino ed in esso sono immerse BM le proteine, che grazie alla fluidità della componente lipidica presentano un notevole grado di mobilità. La fluidità del doppio strato lipidico dipende dalla sua composizione e dalla sua temperatura. 12 La fluidità è direttamente proporzionale alla temperatura ed inversamente proporzionale al contenuto di colesterolo La plasticità della membrana è dovuta alla grande mobilità traslatoria, rotatoria e oscillatoria delle molecole lipidiche. La fluidità delle membrane cellulari viene regolata in modo controllato. I processi di trasporto che si realizzano a livello della membrana e alcune attività enzimatiche vanno rapidamente a blocco quando la viscosità del doppio strato aumenta oltre un livello soglia. Numerosi studi sono stati realizzati utilizzando doppi strati lipidici sintetici. Consideriamo un doppio strato sintetico composto da un singolo tipo di fosfolipide. Tale doppio strato passa da uno stato liquido ad uno stato bidimensionale rigido cristallino ad un punto di congelamento caratteristico. Questo cambiamento di stato prende il nome di transizione di fase e la temperatura a cui si realizza è più bassa, cioè la membrana diventa più difficile da congelare quando le catene idrocarburiche sono corte oppure hanno doppi legami; quindi una minore lunghezza di catena riduce la tendenza delle code idrocarburiche ad interagire tra loro sia all’interno dello stesso monostrato sia nei monostrati opposti e i doppi legami cis vengono a produrre delle pieghe nelle catene idrocarburiche che ne rendono difficile il compattamento. Quindi la membrana rimane fluida a temperature più basse; quando invece la temperatura aumenta vengono sintetizzati acidi grassi che presentano più doppi legami cis e questo determina una riduzione della fluidità del doppio strato che sarebbe altrimenti il risultato della caduta della temperatura. Quindi il doppio strato lipidico della membrana plasmatica è fluido a temperatura ambiente ed è fluido per la presenza di acidi grassi insaturi a catena corta che conferiscono una struttura meno compatta e più disordinata. Quindi risulta essere sempre allo stato di liquido cristallino e in questo stato le proteine che sono immerse all’interno della membrana si muovono in modo dipendente dal movimento stesso dei fosfolipidi di membrana. Nell’immagine a sinistra sono rappresentate le due fasi in cui la membrana è meno fluida (si dice che la membrana è in fase cristallina o liquido-ordinata) e più fluida (si dice in fase liquido-cristallina). La regolazione della fluidità della membrana è dipendente dal colesterolo e dai fosfolipidi insaturi. Alle basse temperature colesterolo e fosfolipidi insaturi impediscono la rottura della membrana. In condizioni fisiologiche la membrana è in fase liquido cristallina. Tutte le molecole lipidiche e quelle proteiche sono libere di muoversi all’interno della membrana. Questa libertà di movimento è data dal fatto che le catene idrocarboniose dei lipidi sono allo stato fluido per cui hanno una notevole libertà di movimento. Questa libertà è limitata allo stato cristallino perché tutte le catene idrocarboniose presentano in fase cristallina o liquido ordinata una disposizione rigida che è parallela alla perpendicolare della superficie del doppio strato oppure è angolata rispetto a questa. La temperatura alla quale si verifica la fusione delle catene alifatiche, quindi il passaggio dallo stato cristallino a quello liquido-cristallino, prende il nome di temperatura di transizione. Per dimostrare che le proteine all’interno del doppio strato fosfolipidico vanno incontro a continui spostamenti conseguenti al movimento continuo delle molecole fosfolipidiche, è stato eseguito un esperimento di fusione cellulare. Sono state utilizzate cellule isolate da topo (cellule murine) e cellule di origine umana. Con la fusione cellulare, una cellula murina è stata fusa con una cellula umana per ottenere una cellula finale detta ibrida il cui pannello di proteine di membrana è stato poi caratterizzato; a circa un’ora dalla fusione è risultato che le proteine murine erano completamente mescolate con quelle di origine umana. Tale distribuzione poteva realizzarsi soltanto in ragione di un movimento continuo delle proteine all’interno della membrana. Rafts Le proprietà dei doppi strati lipidici risultano essere fortemente modulate dal colesterolo. Quando il colesterolo è all’interno delle membrane aumenta le proprietà di barriera di permeabilità del doppio strato lipidico. Il colesterolo si inserisce nella membrana con il gruppo ossidrile vicino alle teste polari dei fosfolipidi; in questo modo gli anelli steroidei del colesterolo interagiscono con quelle regioni delle catene idrocarburiche che sono più vicine ai gruppi di testa polare. Il colesterolo quindi rende il doppio strato lipidico meno deformabile e di conseguenza fa diminuire la permeabilità del doppio strato a piccole molecole solubili in acqua. Compatta maggiormente i lipidi del doppio strato lipidico e alle alte concentrazioni impedisce che le catene idrocarburiche si uniscano tra loro e cristallizzino. L’analisi delle membrane plasmatiche ha evidenziato la presenza all’interno del mosaico fluido di alcuni microdomini lipidici che risultano essere meno fluidi e sono formati principalmente da sfingolipidi e colesterolo; tali sfingolipidi e colesterolo BM determinano delle regioni allo stato liquido ordinato. Queste regioni sono dette “rafts” (=zattere); esse possono essere 13 di tipo planare o non planare e sono implicate nel trasporto di elementi di membrana, nella genesi e trasmissione di segnali nell’ambiente endocellulare e nell’endocitosi. I rafts non planari vengono anche detti invaginati. Un esempio è dato dalle caveole. Le caveole si presentano morfologicamente come fossette (caveolae) della superficie cellulare (invaginazioni della membrana) e biochimicamente sono caratterizzate dalla presenza (sul lato interno ossia quello citoplasmatico) della proteina strutturale caveolina, essenziale per la loro costituzione. Sono coinvolte in processi quali: l’endocitosi indipendente da recettore ed il trasporto ad organelli quali apparato del Golgi, l’omeostasi dei lipidi, la trasduzione del segnale, la tumorigenesi. L’analisi della composizione biochimica delle caveole identifica una grande abbondanza di sfingolipidi e di colesterolo a questo livello; la presenza del colesterolo suggerisce che si tratta di una regione in cui la fluidità della membrana è controllata e questo controllo della fluidità consente di localizzare e immobilizzare delle proteine. Nell’immagine qui sotto, le caveole sono identificate mediante microscopia elettronica a trasmissione; in particolare nella regione superiore di quell’immagine si possono apprezzare le invaginazioni (si tratta di una sezione verticale del preparato). Mentre nell’immagine sottostante si identifica la distribuzione delle caveole a livello della superficie cellulare. Nell’immagine a destra invece si può osservare il meccanismo attraverso cui a partire dalla caveola, sulla superficie cellulare è possibile ottenere la formazione di una grossa vescicola intracellulare nel cui lume sono contenuti dei prodotti. La vescicola intracellulare che si origina dalla chiusura della caveola sul lato esterno prende il nome di caveosoma; esso trasporta il materiale direttamente al reticolo endoplasmatico rugoso e all’apparato del Golgi. Quando il raft non planare (quindi invaginato) risulta essere rivestito sul lato interno da clatrina e non caveolina, il raft prende il nome di fossetta rivestita di clatrina. Tale raft è coinvolto in un processo di endocitosi mediato da recettore. Tale processo comporta la formazione, dopo interazione di un ligando con il recettore localizzato nel microdominio del raft e porta alla chiusura dell’invaginazione e formazione di una vescicola intracellulare. Tale vescicola consente il trasporto del materiale incamerate direttamente ai lisosomi e quindi al processo di degradazione lisosomiale. BM 14 Rafts “non invaginati o planari” Morfologicamente sono piattaforme indistinguibili dalla restante porzione della membrana cellulare; la loro identificazione è conseguente a uno studio biochimico della membrana stessa. A livello di tali microdomini si riconoscono sempre proteine recettoriali e un alto contenuto di colesterolo. Sono di piccolissime dimensioni, e, in seguito a stimolazione (ad esempio in conseguenza del legame dei recettori, contenuti nei rafts, con i corrispondenti segnali extracellulari quindi, stimoli di stress o patologici come ad esempio quelli dati da infezione batterica o presenza di tossine), sono in grado di confluire e fondersi tra loro per formare piattaforme di maggiori dimensioni. Avendo a livello dei rafts non invaginati o planari un’abbondanza di recettori che consentono alla cellula di entrare in comunicazione con l’ambiente esterno e identificare eventuali condizioni di stress o infiammatori, questa tipologia di rafts risulta essere essenziale per la trasmissione (quindi per la genesi) di messaggi intracellulari, e quindi per la modifica della risposta cellulare. L’alterata espressione oppure funzionalità dei rafts lipidici è stata identificata nello sviluppo di alcune patologie (es. morbo di Alzheimer, morbo di Parkinson, diabete, asma) oppure in forme neoplastiche. I rafts sono alterati anche in concomitanza di infezioni virali o batteriche o in presenza di insulti specifici di patogeni (es. tossincolerica) o prodotti batterici come lipoporisaccaride. Asimmetria della membrana Il lato esterno e il lato interno della membrana plasmatica si caratterizzano per composizione (non solo nella componente proteica2, ma anche nella stessa componente lipidica) e funzionalità differente. Sul lato esterno, che è lo strato che direttamente interagisce con l’ambiente extracellulare, si riconoscono glicosfingolipidi, glicoproteine, sfingomieline e fosfatidilcolina. Quindi i lipidi e le proteine sono per la maggior parte legati a catene oligosaccaride che contribuiscono alla definizione di quella struttura specializzata chiamata glicocalice. Il lato interno della membrana plasmatica invece interagisce con il citoplasma e vi troviamo fosfatidilserina, fosfatidilinositolo, fosfatidiletanolammina. Quando i fosfolipidi del lato interno si muovono e si localizzano sul lato esterno, consentono il riconoscimento della cellula in un particolare stato. La fosfatidilserina (sempre sul lato interno), nelle cellule apoptotiche (quelle in fase di morte programmata) tende a localizzarsi invece sul lato esterno. La fosfatidilserina sul lato esterno della membrana plasmatica funge da molecola di riconoscimento della cellula apoptotica per i macrofagi; quindi la presenza di fosfatidilserina sulla superficie cellulare consente l’eliminazione delle cellule apoptotiche da parte delle popolazioni di macrofagi. Questa diversa BM 2 Il corredo di proteine espresso sulla membrana varia da cellula a cellula e può modificarsi nel tempo (differenziazione cellulare). 15 composizione sia lipidica che proteica del lato interno ed esterno della membrana plasmatica va sotto il nome di asimmetria della membrana ed è finemente controllata dalla cellula. I movimenti che sono consentiti ai fosfolipidi e alle proteine sono movimenti di diffusione laterale all’interno dello stesso monostrato (interno o esterno). I movimenti invece rotazionali a 180° sono detti “flip-flop” e sono rari (un esempio è quello della fosfatidilserina precedentemente descritto). Glicocalice I lipidi e le proteine dello strato esterno del plasmalemma possono essere legati a catene di oligosaccaridi. Tali catene contribuiscono alla costituzione sul lato esterno della cellula di una struttura specializzata detta glicocalice. Tale mantello cellulare ricopre la membrana plasmatica della maggior parte delle cellule. È costituito dagli oligosaccaridi delle glicoproteine e dei glicosfingolipidi e da alcuni dei proteoglicani della matrice extracellulare ed appare come un rivestimento esterno morbido e flessibile. Questa struttura è particolarmente importante nella definizione delle proprietà adesive della cellula; interviene nella protezione della cellula stessa e nel controllo della concentrazione ionica immediatamente prossima alla membrana plasmatica Il glicocalice, schematizzato nell’immagine qui sotto, si presenta come una struttura in cui si riconoscono una zona interna detta amorfa e una esterna. Le catene di oligosaccaridi sono delle molecole che agiscono da antigeni di membrana quindi intervengono nel riconoscimento cellulare, e, come già detto, nei globuli rossi vengono a costituire le molecole che contribuiscono alla tipizzazione di gruppi sanguigni. Nel gruppo sanguigno A, sui globuli rossi è presente lo zucchero N-acetilgalattosammina, mentre nel gruppo B è presente uno zucchero di dimensioni più ridotte, il galattosio. Il glicocalice può essere evidenziato in vitro utilizzando le colorazioni dell’alcian blu o del rosso rutenio in alternativa è possibile utilizzare anticorpi monoclonali coniugati con sostanze fluorescenti o ferritina. In alcuni tipi cellulari, il glicocalice assume una particolare differenziazione (es. la zona pellucida che circonda gli ovociti, la lamina lucida delle membrane basali di molte cellule e le struttture cosiddette cuticolari come lo smalto dei denti). Una delle funzioni del glicocalice è l’adesione delle cellule all’ambiente extracellulare; tale adesione si realizza grazie a proteine recettoriali di membrana che da un lato si connettono al citoscheletro (con l’intermediazione di proteine di ancoraggio) e dall’altro (nel contesto del glicocalice) si legano a glicoproteine della matrice extracellulare. Si costituisce perciò una continuità morfo-funzionale tra l’interno della cellula e le strutture extracellulari. Tra questi recettori di membrana troviamo le integrine che sono delle glicoproteine costituite da due subunità (alfa e beta). Glicidi Sono molecole formate da 𝐶, 𝑂, 𝐻 e caratterizzate da un gruppo aldeidico (𝑂 = 𝐶 − 𝐻) o chetonico (𝑂 = 𝐶 − 𝑅) e da almeno due gruppi alcolici. Si distinguono in: Monosaccaridi. Sono formati da 3 a 9 atomi di 𝐶, comprendono triosi, tetrosi, pentosi, esosi, eptosi. Sono la principale fonte di energia per la cellula (es. glucosio e derivati, deossiribosio nel DNA). Disaccaridi. Sono formati da due monosaccaridi BM legati da legame glicosidico tra il gruppo alcolico lattosio glucosio 16 di uno ed il gruppo aldeidico o chetonico dell’altro glicide) (lattosio: galattosio + glucosio) (saccarosio: glucosio + fruttosio). Oligosaccaridi. Sono presenti in maniera abbondante sulla superficie cellulare e quindi rientrano nella costituzione del glicocalice. Sono formati da 3-15 monosaccaridi e la loro maggiore funzione è il riconoscimento cellulare e intercellulare, rientrano nella formazione di glicoproteine (zuccheri e proteine) e glicolipidi (zuccheri e lipidi) di membrana) Polisaccaridi. Sono polimeri lineari o ramificati di 30-2000 unità monosaccaridiche, con funzioni di: o sostegno strutturale extracellulare (GAG (=glicosaminoglicani o mucopolisaccaridi acidi): tra cui i più importanti sono: acido ialuronico, condroitinsolfato, dermatansolfato, eparansolfato, eparina) (i GAG sono formati da polimeri di aminozuccheri in cui il gruppo ossidrilico è sostituito con uno aminico o acidozuccheri in cui il gruppo ossidrilico è sostituito da un gruppo carbossilico; sono espressi (in genere sottoforma di proteoglicani), prodotti e rilasciati nell’ambiente extracellulare dove garantiscono sostegno strutturale alla matrice); o riserva intracellulare (es. glicogeno è riserva energetica delle cellule epatiche, fibre muscolari); o costituzione di glicoproteine e glicolipidi di glicogeno membrana (quando sono legati a proteine o lipidi di membrana). Permeabilità di membrana La membrana plasmatica è una barriera a permeabilità selettiva, è attraversabile velocemente da acqua, ioni e vari metaboliti mediante: a) osmosi; b) trasporto passivo (o diffusione), secondo il gradiente di concentrazione (sostanze neutre: gradiente di concentrazione) o elettrochimico (sostanze ioniche: gradiente elettrochimico) della sostanza da trasportare; c) trasporto attivo, contro gradiente elettrochimico e richiede sempre dispendio energetico. Si noti che alcune sostanze possono essere trasportate con entrambi i meccanismi nella stessa cellula o in cellule diverse. a) Osmosi Il processo di osmosi è il processo attraverso cui si realizza il trasporto di solvente ma non di soluto attraverso la membrana. Quando una membrana non fa passare le molecole di soluto ma solo quelle di solvente (che nel caso delle membrane biologiche è acqua) allora la membrana si dice semipermeabile per quel soluto specifico (basti pensare alla differente capacità di penetrazione della membrana da parte delle molecole di acqua rispetto a degli ioni disciolti o dei piccoli soluti organici polari.). La membrana plasmatica, ad esempio, è semipermeabile per molti soluti. Quando esiste un gradiente di concentrazione ai lati di una membrana semipermeabile, le molecole di soluto non possono diffondere dall'area a concentrazione maggiore a quella a concentrazione minore. Si assiste, dunque, al fenomeno dell'osmosi, cioè al passaggio delle molecole di solvente dall'area a minor concentrazione di soluto a quella a maggior concentrazione di soluto, in modo da diluire la soluzione più concentrata e annullare il gradiente di concentrazione. →L’acqua si sposta facilmente attraverso una membrana semipermeabile da un compartimento a concentrazione inferiore di soluto ad un compartimento in cui la concentrazione del soluto è più elevata. Quando due compartimenti con diversa concentrazione di soluto sono separati da una membrana semipermeabile si identifica il compartimento in BM cui la concentrazione di soluto è più elevata come ipertonico o iperosmotico; il compartimento in cui la concentrazione del soluto è inferiore viene definito ipotonico o ipo-osmotico. Quando le cellule sono poste in una soluzione ipotonica, 17 assorbono acqua per osmosi e vanno incontro a rigonfiamento. Al contrario, quando la soluzione in cui sono immerse le cellule è di tipo ipertonico, le cellule vanno incontro a restringimento perché perdono rapidamente acqua per osmosi. Queste osservazioni portano a considerare che il volume cellulare è sempre controllato dal rapporto tra la concentrazione dei soluti nell’ambiente endocellulare e quella presente nell’ambiente extracellulare. Quando la concentrazione interna dei soluti, che comprende un’elevata concentrazione di proteine disciolte, è uguale a quella esterna, i fluidi interni ed esterni vengono detti isotonici; in tale condizione non si verifica alcun movimento netto di acqua verso l’interno o l’esterno delle cellule. L’osmosi è un fenomeno importante in un grande numero di funzioni corporee; ad esempio, a livello dell’intestino si ha un rilascio di litri di liquido che vengono rapidamente riassorbiti per osmosi dalle cellule che rivestono la parete interna dell’intestino. Se questo processo di assorbimento non si realizzasse (e questa è una condizione patologica che caratterizza per esempio uno stato di diarrea acuta), il soggetto va incontro a disidratazione (disidratazione rapida). La permeabilità selettiva della membrana plasmatica è dovuta alla specificità delle permeasi attive e passive. La variabilità delle permeasi è dipendente da: Sequenza aa; distribuzione tessutale; disposizione su membrana. Le permeasi attive e passive sono distribuite in maniera specifica all’interno delle membrane biologiche. Non tutte le cellule sono caratterizzate da uno stesso corredo di permeasi attive e passive, quindi la permeabilità selettiva di membrana è dovuta alla specificità del gruppo di permeasi attive e passive espresse e all’interno di ogni tipologia di permeasi, la variabilità risulta essere associata alla sequenza amminoacidica che le caratterizza, alla distribuzione all’interno dei vari tessuti e alla disposizione all’interno delle membrane biologiche. b) Diffusione (o trasporto passivo) È il trasporto dovuto all’energia cinetica di ioni o di molecole che sono continuamente in movimento nei liquidi o nei gas. È il trasporto di ioni o molecole secondo gradiente di concentrazione ai due lati della membrana (bidirezionale). Avviene secondo il gradiente di concentrazione e senza dispendio di energia (sfrutta l’energia cinetica che ioni e molecole acquistano muovendosi nei liquidi e nei gas). →Una sostanza non può mai diffondere passivamente contro un gradiente elettrochimico! Il gradiente elettrochimico viene a creare la necessità di supportare il trasporto con consumo energetico. Il processo di diffusione può essere più o meno veloce, più o meno intenso. La velocità e la portata del processo di diffusione sono influenzate da: coefficiente di permeabilità della membrana; gradiente elettrochimico che è il risultante dalla somma di tutte le forze di diffusione (gradienti) che agiscono sulla membrana ossia: o differenza di concentrazione della sostanza sui due versanti della membrana; o differenza di pressione transmembrana; o differenza di potenziale elettrico tra i due lati della membrana (quest’ultimo risulta essere determinante per il passaggio di specie ioniche rispetto a ciò che accade per le molecole). La diffusione passiva può essere: 1. semplice 2. facilitata 1.Diffusione semplice. Processo che fa riferimento all’utilizzo dell’energia cinetica delle piccole molecole o di ioni per attraversare la membrana. Non prevede l’intervento di proteine di trasporto. Tende a mettere in equilibrio le concentrazioni delle specie ioniche o delle specie molecolari ai due lati della membrana. Si realizza attraverso meccanismi diversi quali: via translipidica; è aspecifica e avviene attraverso gli interstizi del doppio strato lipidico della membrana e si sviluppa con una velocità e una portata direttamente proporzionali alla liposolubilità della sostanza. Le molecole apolari come 𝑂2 , 𝑁2 , acidi grassi, monogliceridi, colesterolo e ormoni steroidei e le piccole molecole BM polari come urea e anidride carbonica passano velocemente. In particolare, le molecole polari dell’acqua passano velocemente attraverso la membrana perché sono di piccole dimensioni e sono dotate di una 18 energia cinetica elevata tale da prevalere sull’idrofobia dello strato lipidico della membrana. Passano più lentamente invece molecole polari di media grandezza come il glucosio e il triptofano. Gli ioni invece, quindi le specie ioniche, hanno difficoltà ad attraversare la membrana attraverso la via translipidica; questa difficoltà è dovuta alle cariche elettriche dei lipidi polari della membrana che tendono a respingere le specie ioniche; d’altra parte, la carica elettrica degli ioni attrae molecole d’acqua formando ioni idratati di dimensioni troppo grosse per passare. canali (o pori) polari; sono canali acquosi circoscritti da proteine intrinseche di membrana (proteine canale) oppure sono canali che sono scavati all’interno di una singola proteina canale. Il passaggio attraverso tali canali è determinato dai gruppi polari degli amminoacidi che rivestono il lato interno del canale e che tendono ad attrarre le specie molecolari oppure ioniche e permettono il passaggio di acqua. proteine vettrici mobili; sono proteine che si legano ad una molecola da trasportare e ne consentono il trasporto da un versante all’altro della membrana; si legano alla molecola su un versante della membrana, cambiano la conformazione, si spostano sull’altro versante dove la molecola trasportata viene liberata. canali ionici; sono formati da proteine canale; a seconda della loro forma, diametro e carica elettrica sono selettivamente permeabili ad alcuni ioni ma non tutti e questa permeabilità (la velocità di passaggio) è direttamente proporzionale alla concentrazione della specie che viene trasportata e avviene senza interazioni tra lo ione e la proteina-canale. Queste proteine canale sono dotate di prolungamenti che costituiscono sistemi di apertura e di chiusura che prendono il nome di porte. - canali uniporto (trasporto di 1 ione in un senso) - canali simporto (trasporto di 2 ioni nello stesso senso) - canali antiporto (trasporto di 2 ioni in senso contrario) L’apertura/chiusura di tali porte avviene mediante 3 meccanismi: - porte a voltaggio dipendente (es. canali per il 𝑁𝑎+ , 𝐾 + ) (chiusura e apertura dovuta dunque al cambiamento di voltaggio elettrico di membrana secondo il principio di “tutto o nulla”); - porte a controllo chimico (es. aceticolino-dipendente) (apertura e chiusura conseguenti all’interazione che il canale ionico ha con uno specifico legando che quindi porta a un cambiamento conformazionale) - porte a stiramento meccanico (apertura e chiusura dipendono da una contrazione o dilatazione di un tessuto). 2.Diffusione facilitata. Avviene mediante proteine trasportatrici, le permeasi passive, che si legano specificamente a molecole (monosaccaridi, aminoacidi) o a ioni, dotate di caratteristiche chimico-fisiche (idrofilia, alto peso molecolare, carica elettrica) che ne limiterebbero l’attraversamento dei lipidi di membrana; legandosi favoriscono l’attraversamento di membrana, indipendentemente dalle caratteristiche chimico-fisiche. La diffusione facilitata si verifica senza un significativo consumo di energia e il meccanismo è simile a quello enzima- substrato (ma le molecole trasportate non subiscono modificazioni). Nella diffusione facilitata non si formano mai legami covalenti tra la molecola e permeasi e la molecola da trasportare ma sempre e solo legami idrogeno. Tipi particolari di diffusione facilitata: a) scambio – diffusione semplice (trasporto equimolare di sostanza ai due lati della membrana, anche se la concentrazione è diversa sugli opposti versanti della membrana) b) scambio – diffusione accoppiato (trasporto di una sostanza in un senso è accoppiato ad uno in senso contrario). Il movimento di ioni attraverso i canali ionici è un movimento che rientra nei processi di diffusione semplice. La diffusione di sostanze attraverso una membrana avviene sempre da una regione a concentrazione più elevata verso il compartimento a concentrazione inferiore ma non sempre le sostanze diffondono attraverso il doppio strato fosfolipidico o un canale ionico. In numerosi casi, la sostanza che deve diffondere si lega prima selettivamente a una proteina e attraversa la membrana (tale proteina è detta trasportatore facilitante). Si ritiene che il legame tra soluto e trasportatore a livello di un versante della membrana determini un cambiamento conformazionale della proteina a seguito del quale il ligando viene esposto sul lato opposto della membrana (un esempio di questo meccanismo è quello del glucosio). La diffusione facilitata viene definita come quel processo attraverso il quale si ha movimento di materiale grazie all’intervento di trasportatori ma questo movimento non implica il dispendio di energia. La diffusione BM facilitata è particolarmente importante nel mediare l’entrata e l’uscita di soluti polari (es. zuccheri e amminoacidi, i quali non possono penetrare nel doppio strato lipidico per questioni dimensionali). 19 Si pensi, ad esempio, al glucosio che è la principale fonte di energia dell’organismo. La maggior parte delle cellule possiede una proteina di membrana che ne facilita la diffusione attraverso la membrana. Questi trasportatori vengono identificati con la sigla GluT (trasportatore di glucosio). L’insulina è un ormone prodotto dalle cellule endocrine del pancreas e gioca un ruolo chiave nel mantenere costante (sotto controllo) la concentrazione del glucosio a livello del sangue. Un aumento del glucosio a livello ematico induce la secrezione di insulina che stimola il riassorbimento del glucosio da parte di alcune cellule bersaglio soprattutto a livello del tessuto muscolare scheletrico e del tessuto adiposo. Le cellule sensibili all’insulina presentano a livello della loro membrana un trasportatore di glucosio e il trasportatore è identificato con l’acronimo GluT4. Quando il livello di insulina è basso, queste cellule espongono sulla loro superficie plasmatica un numero relativamente ridotto di trasportatori; quando invece la concentrazione di insulina aumenta a seguito dell’aumentata concentrazione di glucosio nel sangue, l’ormone agisce sulle cellule bersaglio stimolando l’esposizione in membrana del trasportatore. Il trasportatore è presente sulla membrana di vescicole citoplasmatiche; tali vescicole vengono stimolate nel passaggio dall’ambiente citoplasmatico verso la membrana plasmatica, si fondono con la membrana plasmatica ed espongono il trasportatore in membrana. a) Trasporto attivo Come nella diffusione facilitata, anche il trasporto attivo dipende da proteine di membrana capaci di legare in modo selettivo un soluto e di spostarlo attraverso la membrana. Diversamente dalla diffusione facilitata, il movimento del soluto avviene contro gradiente di concentrazione e quindi il processo è sempre accoppiato al rilascio di energia. Quindi l’idrolisi dell’ATP o di altri composti fosfati risulta essere essenziale affinché il processo di trasporto attivo possa realizzarsi. Il trasporto attivo di membrana è il trasporto attraverso cui si realizza lo spostamento di metaboliti da un compartimento in cui quei metaboliti sono presenti a basse concentrazioni ad un compartimento in cui quei metaboliti sono presenti ad alte concentrazioni. Quindi il trasporto è contro gradiente chimico (per le molecole) o elettrochimico (per le specie ioniche) e richiede un dispendio energetico (l’energia utilizzata è quella che si libera dall’idrolisi di ATP). Le proteine di membrana che entrano in gioco nella mediazione di un trasporto attivo prendono il nome di permeasi attive o semplicemente pompe di membrana. Quando le permeasi attive pompano specie ioniche vengono dette pompe ioniche. Si distinguono 3 tipi di pompe attive (la classificazione fa riferimento al numero di metaboliti che vengono trasferiti attraverso le pompe): pompe uniporto (trasferiscono un solo metabolita in un senso); pompe simporto (trasferiscono due metaboliti nello stesso senso (es. dall’ambiente endocellulare all’ambiente extracellulare)); pompe antiporto (trasferiscono due metaboliti in senso inverso (un metabolita trasferito nell’ambiente extracellulare e l’altro nell’ambiente endocellulare)). Esempio di pompa simporto è la pompa sodio-glucosio. In questo caso lo ione sodio che è altamente concentrato all’esterno della cellula, tende a diffondere in maniera passiva dall’esterno all’interno della cellula. Il sodio si lega ad una molecola di glucosio e successivamente alla pompa modificandone la conformazione. La pompa quindi trasporta non solo lo ione sodio ma anche la molecola di glucosio associata. Nel simporto potassio-cloro, poiché il potassio è più concentrato all’interno della cellula, il meccanismo è sempre lo stesso ma prevede il trasferimento del potassio assieme al cloro dal versante endocellulare al versante extracellulare. Nelle pompe antiporto invece i due metaboliti vengono trasferiti in senso inverso (uno si lega alla pompa e in ragione di una maggiore concentrazione in quel compartimento può diffondere passivamente; il secondo metabolita si lega sul lato opposto della pompa e quindi sfrutta l’energia della diffusione passiva del primo metabolita per passare dall’ambiente extracellulare a quello endocellulare o viceversa). Le pompe simporto e antiporto sono anche dette di cotrasporto (perché mediano il trasferimento contemporaneo di due metaboliti). A seconda dell’energia utilizzata, il trasporto attivo si distingue in: 1. primario; BM 2. secondario. 1.Trasporto attivo primario 20 L’energia deriva direttamente dall’idrolisi dell’adenosintrifosfato (ATP) o di altri composti fosfati. Avviene nella membrana plasmatica, nelle membrane intracellulari (a livello del reticolo endoplasmatico o delle membrane mitocondriali) a carico di ioni quali sodio, potassio, calcio, idrogeno, cloro. Le pompe ioniche che intervengono vengono definite in ragione dell’idrolisi di ATP come pompe ATP-dipendenti (ATPasi). Tra le ATPasi ricordiamo: I. La pompa sodio-potassio (detta anche pompa di tipo P); presente sulla membrana cellulare di tutte le cellule nostro corpo, trasferisce ione sodio all’esterno della cellula e ione potassio nell’ambiente endocellulare. Questa pompa è essenziale per la produzione e il mantenimento del potenziale elettrico della membrana; II. Le pompe per il calcio; sono quelle pompe che mediante l’idrolisi delle molecole di ATP consentono il mantenimento dell’omeostasi del calcio all’interno della cellula (bassa concentrazione intracellulare); possono essere presenti a livello della membrana plasmatica, dove garantiscono l’espulsione di uno ione calcio e l’introduzione nella cellula di uno ione protone (𝐻 + ), oppure sono presenti a livello delle membrane degli organelli citoplasmatici quali il reticolo endoplasmatico liscio o mitocondri; a questo livello favoriscono il passaggio di calcio dall’ambiente citoplasmatico al lume dell’organello quindi favoriscono la formazione di riserve di calcio intracellulare; III. Le pompe per il cloro; attive nell’espulsione del cloro all’esterno della cellula; IV. Le pompe di tipo V; attive nel trasferimento dei protoni e sono presenti esclusivamente nelle membrane degli organelli intracellulari quali l’apparato del Golgi o le vescicole lisosomiali). La pompa sodio-potassio è stata classificata come una pompa di trasporto attivo primario. È costituita da un tetramero formato da due subunità proteiche alfa e due subunità glicoproteiche beta. Le subunità proteiche alfa sono di circa 100mila dalton e contribuiscono alla definizione di un canale transmembrana mentre quelle glicoproteiche beta non sono ancora state caratterizzate da un punto di vista funzionale, assumono sempre una posizione più esterna rispetto a quella delle subunità alfa e sono legate a catene oligosaccaridiche. I primi studi sull’enzima che interviene nel garantire la disponibilità dell’energia per il trasporto attivo risalgono al 1957 quando un fisiologo danese Jens Skou. Egli scoprì nelle cellule nervose di un granchio un enzima capace di idrolizzare le molecole di ATP solo in presenza di ioni sodio e potassio. Skou Avanzò l’ipotesi secondo cui questo enzima fosse responsabile dell’idrolisi dell’ATP e fosse responsabile anche del trasporto attivo degli ioni. L’enzima fu denominato ATPasi sodio-potassio dipendente oppure pompa sodio-potassio. Molti studi hanno indicato che il rapporto sodio potassio pompati da questo enzima è di 3 a 2 (ovvero per ogni molecola di ATP idrolizzata, 3 ioni sodio vengono pompati in ambiente extracellulare e 2 ioni potassio vengono pompati in ambiente endocellulare). In ragione di questo spostamento ionico, la pompa sodio potassio viene definita elettrogenica ovvero sia contribuisce in maniera significativa alla separazione di cariche positive e negative ai due lati della membrana. In particolare, contribuisce per circa il 10% alla costituzione del potenziale elettrico di membrana. Quando la proteina lega tre ioni sodio sul versante interno della membrana va incontro a fosforilazione e quindi cambia la sua conformazione. Questo cambiamento genera una condizione tale che la proteina rivolga verso il compartimento extracellulare il sito di legame degli ioni sodio. La proteina dunque perde la sua affinità per gli ioni sodio che vengono rilasciati all’esterno della cellula. Dopo il rilascio degli ioni sodio, la proteina raccoglie due ioni potassio e va incontro a un processo di defosforilazione, ripristina la conformazione originaria e in questa conformazione il sito di legame si apre verso la superficie interna della membrana; l’affinità per gli ioni potassio diminuisce e questi vengono rilasciati nell’ambiente citoplasmatico. Il ciclo di

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