Introduzione alla Reumatologia PDF
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Questo documento fornisce un'introduzione alla reumatologia, una specialità medica che si occupa della diagnosi e della gestione delle malattie dell'apparato muscolo-scheletrico. Si concentra sui sintomi chiave come dolore e rigidità, e spiega le differenze tra dolore infiammatorio e meccanico.
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Argomento: introduzione alla reumatologia, osteoartrosi, fibromialgia, osteoporosi Data: 31/10/2024 Sbobinatori: Anna Anastasio, Damiana Ant...
Argomento: introduzione alla reumatologia, osteoartrosi, fibromialgia, osteoporosi Data: 31/10/2024 Sbobinatori: Anna Anastasio, Damiana Antonino Revisore: Zoe Giorgetti Docente: Francesco Ursini INTRODUZIONE ALLA REUMATOLOGIA Reumatologia: definizione e caratteristiche principali Per reumatologia si intende una specialità clinica sviluppatasi dalla Medicina Interna, dedicata alla diagnosi e alla gestione medica delle malattie dell'apparato muscolo scheletrico, in particolar modo di quelle caratterizzate da meccanismi di autoimmunità e infiammazione sistemica. Si tratta di una disciplina relativamente giovane, in rapida evoluzione, che grazie ai progressi delle scienze di base (immunologia, biologia molecolare, genetica) ha subito una crescita esplosiva. La reumatologia è una disciplina prevalentemente clinica, in cui ancora oggi l’anamnesi, l‘esame obiettivo e la storia raccontata dal paziente hanno un valore inestimabile. Si occupa di oltre cento malattie diverse, prevalentemente croniche, progressive e invalidanti, con un ampio spettro di manifestazioni che va dalle malattie muscoloscheletriche “pure” alle malattie sistemiche, andando a coinvolgere ogni organo e apparato. Come in tutte le discipline cliniche, i due grandi pilastri sono l’anamnesi e l’esame obiettivo. Quando si parla di anamnesi intendiamo quello che il paziente porta all’ osservazione del medico, che nella maggior parte dei casi è rappresentato dal dolore e dalla rigidità. Sintomi chiave nelle malattie reumatiche: dolore e rigidità Nonostante, l’infinita varietà di sintomi che possono portare i pazienti a rivolgersi ad un medico, nell’ambito della reumatologia i due sintomi principali sono, come anticipato, il dolore e la rigidità. Mentre il dolore è un’esperienza conosciuta, la rigidità è un concetto più complesso, ha a che fare con una percezione errata di movimento, che non sempre è coerente con una mancata funzione. Il paziente, infatti, percepisce che le sue articolazioni non si muovono in maniera fluida; tuttavia, il loro range di movimento può essere conservato al 100%. Di questi sintomi principali è fondamentale recepire una serie di informazioni: Dove è localizzato il dolore? È necessario innanzitutto inquadrare se il dolore riguarda la spalla, le anche, il ginocchio, tutto il corpo... ecc. Dopodiché bisogna capire se è un dolore primario oppure irradiato; Come si presenta il dolore? Bisogna stabilire quanto è forte, quindi l’intensità del dolore, e se è caratterizzato da un esordio improvviso oppure è sorto in maniera lenta e subdola. Ad esempio, nel colpo della strega (lombalgia acuta), il paziente quasi sempre è in grado di datare con esattezza il momento in cui è insorto il dolore (data, ora, cosa stava facendo). Tuttavia, nella maggior parte dei pazienti reumatologici il dolore è talmente subdolo e insinuato nella quotidianità dei pazienti che è difficile reperire informazioni precise. Quando è insorto il dolore? È fondamentale investigare eventuali fattori aggravanti oppure mitiganti, ad esempio se il movimento peggiora o migliora il dolore. Inoltre, anche il ritmo circadiano ha una sua valenza, poiché il dolore può variare nel corso della giornata o a seconda delle stagioni. Sulla base di queste poche e semplici informazioni si deve riuscire a distinguere macroscopicamente il tipo di dolore in: infiammatorio o meccanico. Dolore: infiammatorio o meccanico Infiammatorio: essendo dovuto a processi flogistici dei tessuti è un dolore continuo, non importa cosa stia facendo il paziente in quel momento. È presente a riposo e anche durante la notte, tanto che i pazienti possono svegliarsi a causa del dolore. Il dolore è alleviato da una leggera attività, infatti, è comune che il paziente racconti di alzarsi dal letto durante la notte per sgranchirsi per poi tornare a dormire, andando ovviamente a inficiare la qualità del sonno. Meccanico: è il dolore più comune e meno reumatologico, è un dolore intermittente. Può insorgere durante il cammino, alzandosi dalla posizione seduta, oppure facendo le scale; ma è assente a riposo per via della sua genesi meccanica; infatti, tenendo le articolazioni in scarico migliora; dunque, è alleviato dal riposo. Rigidità: infiammatoria o meccanica Si definisce rigidità come l’impaccio/difficoltà a muovere le articolazioni quando ci si alza dal letto o dopo essere rimasti troppo a lungo in una posizione. Questa può essere: Infiammatoria: è caratterizzata da una durata prolungata dopo il mantenimento di una postura. Spesso si tratta di rigidità mattutina, che si manifesta dopo aver trascorso molte ore fermi nella stessa posizione. Meccanica: è di breve durata, solitamente inferiore ai trenta minuti e spesso si associa al rialzarsi dalla posizione seduta. Tipica del paziente anziano con artrosi delle ginocchia. Esame obiettivo In ambito reumatologico ci si concentra principalmente su ispezione e palpazione. A volte un’articolazione è talmente infiammata che non c’è necessità di toccarla, è sufficiente guardarla (come nell’immagine sottostante), evitando di provocare un dolore inutile al paziente. Spesso è invece necessario effettuare la palpazione, per evidenziare ad esempio una tumefazione meno eclatante. Esistono diverse manovre semeiologiche specifiche per analizzare le articolazioni. Il ballottamento della rotula serve a verificare se c’è un versamento nel ginocchio. Questa manovra sfrutta il fatto che la rotula è appoggiata sull’articolazione: se si accumula del liquido e il medico spinge la rotula posteriormente, questa si troverà sospesa su un sacchetto di liquido e il medico sentirà la rotula rimbalzare. Tale manovra ci permette dunque di identificare un eccesso di liquido anche in un ginocchio che a prima vista non presenta particolari alterazioni. Lo stesso principio, ovvero la capacità di spostarsi/ compressibilità del tessuto, consente di capire se un’articolazione è un po’ più gonfia rispetto alla controlaterale La palpazione permette anche di valutare il range di movimento attivo (quello che fa il paziente: esempio alzare il braccio) e passivo dell’articolazione; quest’ultimo è fondamentale in quei casi in cui non è presente un blocco anatomico o strutturale a limitare il movimento articolare, ma a limitarla è la presenza di dolore. Vengono di seguito riportate una serie di domande per guidare l’esame obiettivo reumatologico: - Sono presenti anomalie muscoloscheletriche obiettive? - Sono apprezzabili tumefazione, dolorabilità, diminuzione del ROM? - Qual è la natura delle anomalie? - Qual è la topografia delle anomalie? - Sono presenti sintomi o segni suggestivi per coinvolgimento di altri organi? L’articolazione tumefatta: infiammazione o danno strutturale? Di fronte ad una tumefazione, anche solo grazie all’esame obiettivo si è in grado di capire se si tratta di un’infiammazione oppure di un danno strutturale. 1) Infiammazione (immagine a DX) - Reversibile, è un fenomeno risolvibile fisiologicamente o tramite una terapia farmacologica (quando l’organismo non è in grado di dare restitutio ad integrum da solo); - Consistenza molle: è un tessuto infiltrato da cellule e fluidi infiammatori (edema interstiziale); - Dolorabilità alla palpazione; - Calore ed eritema: non sempre presenti, rappresentano un campanello d’allarme nel sospetto di patologie più gravi. - Perdita di funzione transitoria: una volta risolta l’infiammazione il range di movimento può tornare perfettamente normale. 2) Danno strutturale (immagine a SX), cioè una deformità delle articolazioni: Irreversibile: è diventata ormai una deformità con perdita di anatomia fisiologica e con consistenza ossea. Minima dolorabilità: in genere è marginale rispetto alla deformità. Deformità Perdita di funzione permanente: a meno che si intervenga chirurgicamente. Topografia del coinvolgimento articolare Tipico dei reumatologi è chiedere al paziente di sdraiarsi sul lettino, nonostante questi si sia recato dal medico per il dolore al polso. Questo accade perché la maggior parte di malattie reumatologiche non sono malattie locoregionali, bensì sistemiche dal punto di vista articolare. A questo proposito è fondamentale indagare in maniera integrale gli altri organi e apparati. Anche piccoli segni clinici in altri distretti consentono al medico di orientare la diagnosi. È necessario ispezionare: Numero di articolazioni dolenti Numero di articolazioni tumefatte: Monoartrite (una articolazione) Oligoartrite (≤ 4 articolazioni) Poliartrite (> 4 articolazioni) Coinvolgimento grandi/piccole articolazioni Coinvolgimento periferico / assiale Coinvolgimento altri organi/apparati Manifestazioni sistemiche La semeiotica si conclude comunque con l’esaminazione dei principali apparati, in modo da individuare ad esempio manifestazioni cutanee come psoriasi, eritemi, vasculiti (vedi immagini a lato). Inoltre, è essenziale analizzare il cuore e i polmoni, addome poiché queste malattie sono spesso più aggressive con gli organi interni che con le articolazioni. OSTEOARTROSI (OA) Premessa del Professore: l’osteoartrosi analizzata dal punto di vista reumatologico presenta delle differenze rispetto a quello ortopedico. Anatomia di base delle articolazioni sinoviali L’immagine soprastante rappresenta un’articolazione tipo, in particolare una diartrosi con due capi articolari, ognuno dei quali nella superfice articolare è rivestito da cartilagine. La cartilagine articolare è una cartilagine ialina specializzata che fornisce una superficie di basso attrito che consente ai due capi articolari di scivolare l'uno sull’altro, andando ad assorbire gli urti e a distribuire il carico; è altresì un dispositivo di protezione dell’arto subcondrale. Tuttavia, è una componente avascolare e aneurale, pertanto NON si può infiammare né può provocare dolore, essendo una struttura insensibile per natura. Se l’artrosi fosse una patologia solo della cartilagine tendenzialmente non dovrebbe fare male, qualora la cartilagine diventasse invece talmente usurata da denudare completamente le ossa comparirebbe dolore. La membrana sinoviale è un tessuto connettivo specializzato che riveste dall’interno la capsula articolare; produce un liquido sinoviale, cioè una sostanza lubrificante e la fonte primaria di nutrimento della cartilagine che, non avendo vasi, non può trarre nutrimento dal sangue. La membrana sinoviale è infatti ben vascolarizzata e innervata; inoltre, svolge un’importante funzione immunitaria perché contiene cellule immunitarie, in particolare macrofagi. Meccanismi fisiopatologici dell’OA Per molto tempo l’artrosi è stata considerata una malattia da usura / sfregamento della cartilagine articolare. Studi più recenti hanno dimostrato che essa coinvolge l’intera articolazione: tutti i tessuti sono interessati a causa della loro intima associazione anatomo-funzionale. Infatti, la cartilagine di per sé, isolata dal contesto, non significa nulla: è parte di una unità anatomo-funzionale detta giunzione osteocondrale, la quale costituisce la zona di passaggio tra l’osso subcondrale (quello che compone l’articolazione) e la cartilagine stessa. Oggi, inoltre, si è a conoscenza del fatto che, prima che la cartilagine sia completamente consumata, la matrice cartilaginea va incontro a modifiche nella sua composizione e struttura cercando di limitare i danni. Inizialmente, per via dei numerosi microtraumi, compaiono fibrillazioni superficiali che, man mano che il processo patologico continua, si approfondiscono in fissurazioni fino all'esposizione della dell'osso sottostante. Nei siti di microfratture e fissurazione della giunzione osteocondrale, degli elementi vascolari penetrano dallo spazio midollare nell'osso subcondrale e nella cartilagine, accompagnati da nervi sensitivi e autonomici. Detto in altre parole, già dalle prime fasi di osteoartrosi la cartilagine lesionata viene invasa da vasi e nervi, e può fare male: non c'è bisogno di avere un’osteoartrosi grave per avere male, è sufficiente che l’infiammazione abbia portato la cartilagine a sviluppare un proprio sistema di innervazione e vascolarizzazione. Attorno a questi canali si forma nuovo tessuto osseo attraverso un processo di ossificazione endocondrale che porta allo sviluppo di osteofiti, il fattore radiologico segnante dell’osteoartrosi. Questi ultimi rappresentano una reazione adattativa dell'articolazione per far fronte all'instabilità: limitano l’escursione dell'articolazione e possono svolgere un ruolo compensatorio nella ridistribuzione dei carichi per fornire protezione alla cartilagine articolare. L’ossificazione endocondrale è un processo che si sviluppa partendo dalla cartilagine come durante lo sviluppo muscolo-scheletrico. Inoltre, i canali osteocondrali che rendono la cartilagine viva rispetto al normale stato di quiescenza portano alla produzione di mediatori infiammatori che si riverberano sulla sinovia articolare. La sinovia a differenza della cartilagine è una struttura già riccamente vascolarizzata, innervata e provvista di mediatori del sistema immunitario come i macrofagi. Dunque, gran parte del dolore che il paziente artrosico prova non origina dalla cartilagine, bensì dalla sinovia (si realizza una sinovite simile alle patologie infiammatorie). Per queste caratteristiche l’osteoartrosi si identifica come malattia ubiquitaria dell’articolazione dove tutte le componenti di essa ne sono partecipi. La cartilagine soprattutto nelle osteoartrosi secondarie può essere la protagonista principale, ma nella maggior parte dei casi condivide questo ruolo con la sinovia e le altre componenti. Da slide: Teoria della contusione ossea: l'ispessimento graduale dell’osso subcondrale riflette l'influenza dei cambiamenti nel carico meccanico dovuti al danno alla cartilagine e ai cambiamenti nelle proprietà dell'osso, portando alla formazione di cisti ossee subcondrali. Inoltre, un carico eccessivo può portare a microfratture trabecolari, necrosi e riassorbimento osseo focale. Teoria dell'intrusione del liquido sinoviale: in presenza di lesioni cartilaginee, il fluido sinoviale può penetrare nell'osso subcondrale, creando una lesione cistica. I microframmenti di cartilagine degradata rilasciati nella cavità sinoviale possono stimolare una sinovite reattiva. Epidemiologia L’OA strutturale è estremamente comune oltre i 65 anni, a campione sulla popolazione generale: 60% per OA della mano, 33% per OA del ginocchio, 25% per OA dell’anca (dati di letteratura, probabilmente nella realtà i numeri sono anche maggiori) I tassi di prevalenza aumentano vertiginosamente con l’età in entrambi i sessi. È più frequente tra le donne che tra gli uomini in entrambi i sessi, con differenza di sesso più pronunciata per OA di mano e ginocchio. Non tutte le persone che presentano alla radiologia OA hanno una malattia rilevante, c’è infatti un mis-match tra artrosi strutturale (all’imaging radiologico) e l’OA sintomatica. Di per sé l’osteoartrosi non è una malattia, lo diventa quando il paziente ha sintomi come dolore, limitazione della funzione e nella vita quotidiana. La frequenza di OA sintomatica varia a seconda delle sedi articolari colpite. Il dolore nell'OA strutturale della mano è presente solo nel ~15% dei casi, mentre il ~50% dei pazienti con OA strutturale del ginocchio o OA strutturale dell'anca avverte dolore. Gli individui che sviluppano OA sintomatica in un'articolazione hanno maggiori probabilità di avere un coinvolgimento articolare multiplo e questa predisposizione si manifesta clinicamente come una condizione nota come OA generalizzata. Fattori di rischio - Obesità: è un fattore di rischio per lo sviluppo e la progressione dell'OA. Sebbene la relazione tra OA e obesità sia stata storicamente considerata secondaria a un eccessivo carico articolare, questo NON spiega l’impatto sulle articolazioni NON soggette al carico corporeo (mani). Inoltre, la caviglia non si ammala quanto il ginocchio nell’obeso, seppure sia sottoposta ad un importante carico. Quindi l’obesità è un fattore di rischio anche senza l’eccessivo carico articolare. Il meccanismo, infatti, è correlato all’infiammazione causata dalle adipochine tipiche dell’obeso. Da slide: - Genetica: circa il 60% dei casi di OA della mano e dell'anca e il 40% dei casi di OA del ginocchio hanno relazioni con alcuni geni, compresi quelli che codificano per il recettore della vitamina D, IGF-1, collagene di tipo 2. - Età avanzata - Sesso femminile - Traumi: la rottura del legamento crociato anteriore (LCA) è associata ad OA precoce del ginocchio nel 13% dei casi dopo 10-15 anni. Quando si associa danno all’osso subcondrale, ai legamenti collaterali e/o menischi (circa il 65-75% delle ginocchia con lesione del LCA), la prevalenza di OA del ginocchio è maggiore, tra il 21% e il 40%. - Anomalie strutturali: le anomalie strutturali dell'anca (displasia, conflitto femoro-acetabolare) o del ginocchio (deformità in varismo o valgismo) predispongono allo sviluppo di OA precoce in queste articolazioni. - Attività lavorative che comportano la necessità di accovacciarsi / inginocchiarsi (ginocchio), sollevamento prolungato di carichi e posizione eretta (anca), destrezza manuale (mano). - Attività fisica altamente ripetitiva, intensa e ad alto impatto (calciatori d'élite, sollevamento pesi competitivo, wrestling e football americano): sembra conferire un aumento del rischio di sviluppare OA radiografica dell'anca e del ginocchio, ma non è chiaro se questa associazione sia dovuta alla partecipazione sportiva o alle conseguenze degli infortuni. Caratteristiche cliniche generali 1) Dolore: Meccanico ed intermittente; Aggravato dal carico; Peggiora a fine giornata e durante il movimento (salire scendere scale, stare in piedi, accovacciarsi) o le attività fisiche; Di solito alleviato dal riposo, ma alcuni pazienti con forme molto severe o con sensibilizzazione centrale ciò può non avvenire. 3) Rigidità: Non infiammatoria, di breve durata; 4) Limitazione funzionale Fissa e generalmente irreversibile. Sin dalle fasi più precoci il ginocchio si limita nelle fasi di flessione, mentre l’anca nell’abduzione e la rotazione interna. 5) Scrosci articolari: i famosi “cric croc” che si sentono alla palpazione in maniera continua, in ogni movimento. Sono crepitii che si sentono alla palpazione. 6) Fenomeni infiammatori: come la sinovite che si possono sovrapporre al quadro clinico. La diagnosi si basa sulla clinica e radiologia convenzionale. Imaging Il gold standard per la diagnosi di OA, oltre alla clinica, è la radiografia convenzionale, grazie al fatto che è sicura, economica e ampiamente disponibile. La radiografia si basa su principi fisici: i raggi X passano attraverso il corpo del paziente e si fermano sulla lastra posta dietro. In base alla densità del mezzo che attraversano emettono immagini in negativo. Ciò che alla lastra si vede chiaro è un mezzo difficile da oltrepassare, viceversa ciò che si vede scuro. Alla radiografia dell’apparato muscolo-scheletrico si vedono le ossa, che sono radiopache per la maggiore quantità di calcio, mentre non si vede la cartilagine che corrisponde allo spazio tra le due superfici articolari, dunque è radiotrasparente. Se lo spazio si riduce significa che è la cartilagine ad essersi ridotta. Dunque, per la diagnosi di Osteoartrosi si evidenziano: Riduzione della rima articolare: più è ridotta più l’articolazione ha perdita funzionale. Però non è un segno specifico dell’osteoartrosi. Osteofiti: deformità tipiche dell’osteoartrosi che partono dai margini delle articolazioni. Hanno un significato biomeccanico di aumentare la superficie di ripartizione del carico in modo che nel singolo punto il carico sia minore (tentativo compensatorio della articolazione artrosica ma poi impatta tessuti molli e fa male oppure conduce a un blocco anatomico al movimento). Osteoartrosi della mano L’OA essendo una malattia poliarticolare, è meno aggredibile dal punto di vista ortopedico, ragion per cui è tipicamente trattata dal reumatologo. Infatti, solo nel distretto della mano sono presenti tantissime articolazioni: 5 articolazioni metacarpo-falangee, 5 articolazioni interfalangee prossimali e 4 articolazioni interfalangee distali. Generalmente si ammalano tutte quante. Le artrosi della mano sono tre, spesso in sovrapposizione l’una con l’altra: OA nodale: è la più comune nella popolazione, tipica delle donne e più severa nella mano dominante. È caratterizzata dalla formazione di noduli di Heberden, sia a livello delle articolazioni interfalangee distali che a livello delle interfalangee prossimali dove si chiamano noduli di Bouchard. La sua forma più grave è la OA erosiva. OA erosiva: è radiologicamente e clinicamente più simile all’artrite, per via delle erosioni centrali e del collasso dell’osso subcondrale. Spesso è infatti accompagnata da una clinica sovrapponibile ai quadri di infiammazione articolare tipici dell’artrite come sinoviti. Rappresenta una forma più severa di OA, colpisce articolazioni IFP e IFD e porta ad un marcato deficit funzionale. OA trapezio-metacarpale (rizoartrosi): colpisce tipicamente la base del pollice, è estremamente comune, si distingue dalle precedenti per la localizzazione specifica; spesso causa un grosso problema funzionale, in quanto provoca la riduzione della forza prensile e di pinching e dolore e deficit all’abduzione del pollice. Questi movimenti seppur piccoli sono estremamente importanti per la vita quotidiana, per cui anche se è limitata a solo una articolazione ha un grosso impatto nella vita dei pazienti che ne soffrono. Terapia Il trattamento farmacologico dell’osteoartrosi è abbastanza deludente: le dimostrazioni di efficacia sono abbastanza scarse, eccezion fatta per le infiltrazioni di corticosteroidi, le quali hanno un discreto effetto ma hanno il difetto di durare poco. Le uniche soluzioni efficaci, che tendenzialmente non piacciono al paziente, sono dimagrire e fare attività fisica, andando a costituire un vero e proprio problema di compliance. Ci sono farmaci utilizzati a scopo prettamente antalgico, come ad esempio il paracetamolo, il tramadolo, la duloxetina (antidepressivo della classe degli SMRI con discreta capacità analgesica) e la condroitina solfato. Tuttavia, nell’OA della mano la terapia sistemica corticosteroidea risulta particolarmente efficace per via dell’importante componente infiammatoria. FIBROMIALGIA Il dolore Il dolore si definisce come un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata a un danno tissutale effettivo o potenziale. Si tratta di un’esperienza personale influenzata a vari livelli da fattori biologici, psicologici e sociali. È quindi un processo sensoriale che serve a evitare un possibile o potenziale pericolo in atto, per cui si verifica prima del danno vero e proprio. Si basa su un processo neurale di nocicezione: il segnale partendo da un trigger dolorifico periferico nei tessuti arriva alla corteccia dove avviene l’elaborazione dell’esperienza percettiva. Il processo nel suo intero può essere influenzato da fattori ambientali o emotivi. Il dolore può essere scorporato in: Dolore nocicettivo: scaturito da un danno effettivo o potenziale ad un tessuto non neurale dovuto all’attivazione dei nocicettori periferici. Si tratta di un dolore anatomico e strutturale, importantissimo per evitare danni. Dolore neuropatico: non è presente la stimolazione di nocicettori, ma il segnale dolorifico si innesca perché lungo il percorso che arriva alla corteccia qualcosa non funziona. Esso, quindi deriva da una malattia del sistema somato-sensoriale, ad esempio di una lesione ad un nervo periferico (neuropatia diabetica/ post-erpetica), una lesione ischemica talamica oppure una lesione midollare. È causato da una lesione dimostrabile tramite un’elettromiografia oppure una risonanza magnetica. Dolore nociplastico: deriva da un’alterata nocicezione nonostante l’assenza di evidente danno tissutale in grado di attivare i nocicettori periferici o lesioni del sistema somatosensoriale. Non si è in grado di dimostrare attraverso indagini specifiche, ma si è di fronte solo al sintomo riferito dal paziente. In questo dolore rientrano tutte le sindromi dolorose croniche di cui la fibromialgia è la capostipite, come la malattia del colon irritabile, o altre malattie che fino a decenni fa venivano considerate malattie psichiatriche. Nel dolore nociplastico c’è una cforte correlazione epidemiologica con i disturbi della sfera ansioso-depressiva, ma non definisce per forza un nesso di casualità. Infatti, i disturbi ansioso- depressivi possono essere anche la conseguenza del dolore quotidiano a cui la medicina non è in grado di definire una causa nota o una possibile terapia al paziente. L’affermazione di questo tipo di dolore fornisce dignità nosologica a condizioni dolorose precedentemente identificate da termini stigmatizzanti come dolore disfunzionale o sindromi somatiche inspiegabili dal punto di vista medico. In questo modo anche la fibromialgia può essere presa in carico dal medico. Definizione di fibromialgia Quindi la fibromialgia è una delle cause più comuni di dolore cronico diffuso (CWP), soprattutto del sistema muscolo-scheletrico, associato ad una complessa poli-sintomatologia che comprende anche fatica, disturbi del sonno, sintomi cognitivi e viscerali. Si tratta di un dolore nociplastico molto comune (prevalenza 2-5%), con forte predominanza nel sesso femminile, come la gran parte delle malattie reumatologiche. Ha un picco tra i 50 e 60 anni e può essere primaria oppure secondaria ad altre patologie muscolo-scheletriche. Fisiopatologia La fibromialgia è scatenata da un trigger dolorifico nocicettivo che, in alcuni soggetti disfunzionali per motivi ancora sconosciuti – si pensa siano coinvolte modificazioni genetiche - a livello di percezione corticale si cronicizza attraverso un meccanismo di sensibilizzazione centrale. Alla scomparsa del trigger il dolore 1si automantiene e, da avere una localizzazione precisa, si generalizza a tutto il corpo, motivo per cui i pazienti non riescono a capire se hanno male ai muscoli, ai denti o alle articolazioni, e riferiscono un dolore “dappertutto”, difficile da mappare. Questa caratteristica permette di distinguere il dolore da fibromialgia dal dolore da artrite reumatoide, che è limitato ad una parte del corpo come il polso o il ginocchio. La disfunzione nociplastica può verificarsi a seguito di due meccanismi: iperalgesia e allodinia. L’iperalgesia è una condizione di aumentata sensibilità al dolore, motivo per cui uno stimolo normalmente dolorifico (come un pizzicotto) viene percepito con intensità superiore. Avviene quindi una amplificazione della segnalazione dolorifica o un ridotto controllo inibitorio sul dolore, o entrambi. L’allodinia è un dolore suscitato da uno stimolo che normalmente non è in grado di provocare una sensazione dolorosa. I recettori termici e vibratori in un individuo sano possono captare segnali dolorifici, ma solo quando viene superata una determinata soglia di calore o freddo. Il paziente con fibromialgia quando sfiorato con un batuffolo di cotone ad occhi chiusi sulle gambe percepisce questo stimolo erroneamente come dolore intenso. Sintomi Il dolore generalizzato può essere descritto grazie a dei qualificatori del dolore neuropatico: è un dolore urente o “a scossa elettrica”, caratteristiche non tipiche del dolore nocicettivo periferico d’artrosi e d’artrite. Vi è una infinità di altri sintomi eterogenei, quali: fatigue, intesa come stanchezza fisica e mentale; disturbi cognitivi definiti come “fibro-fog”: riduzione dell’attenzione, della concentrazione e della memoria; sonno non ristoratore: i pazienti al risveglio riferiscono di sentirsi stanchi come se non avessero dormito; visione offuscata e fotofobia; secchezza delle fauci; ipotensione ortostatica; dismenorrea; disuria; Il professore afferma che non è necessario sapere questo elenco a memoria. Questi sono solo 1/10 dei sintomi riportati dai pazienti, ma tutti hanno un comune denominatore neuropatico somato-sensoriale, non sensitivo o psichiatrico. Difatti, ad esempio, la visione sfocata o sdoppiata è causata da un problema nell’accomodazione, regolata da meccanismi autonomici. È importante non abusare della diagnosi di fibromialgia, perché questa sintomatologia può nascondere altre condizioni. I sintomi da porre in diagnosi differenziale raccogliendo una anamnesi approfondita sono: Il dolore muscolo scheletrico, che può essere anche causato da: Farmaci ipolipemizzanti e bifosfonati, che possono indurre una miopatia da statine e quindi una mialgia generalizzata; Ipovitaminosi B12 in persone vegane/vegetariane che non assumono integratori; L’ ipotensione ortostatica, che può anche essere anche un effetto collaterale da: Farmaci alfa-litici (assunti ad esempio per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna), che diminuiscono la pressione arteriosa nel passaggio dalla posizione supina a quella eretta, influendo sui barocettori, che inviano segnali per aumentare la frequenza cardiaca e la vasocostrizione per compensare la caduta pressoria. Diagnosi Sebbene non ci sia un esame per diagnosticare la fibromialgia di per sé, da 7-8 anni è possibile formalizzare una diagnosi di “neuropatia delle piccole fibre” tramite l’analisi delle componenti più distali dei nervi periferici. Ciò è rilevante perché il 50-60% delle persone con fibromialgia soddisfano i criteri istopatologici della neuropatia delle piccole fibre; quindi, è almeno possibile diagnosticare la presenza effettiva di neuropatia. Il calibro delle piccole fibre è talmente tanto sottile che non è possibile fare diagnosi mediante i classici studi elettrofisiopatologici, per cui si esegue una biopsia cutanea, che permette di studiare il numero e la morfologia delle piccole fibre amieliniche c che conducono inizialmente il dolore. La biopsia cutanea, tuttavia, è un esame complicato che si svolge in pochi centri in Italia, motivo per cui non è possibile prescriverla a tutti i pazienti. Dal momento che il percorso terapeutico della fibromialgia e della neuropatia delle piccole fibre non differisce, ad oggi la biopsia cutanea non viene eseguita. È importante sottolineare che la diagnosi non è solo di esclusione, perché viene posta sulla base di un quadro clinico suggestivo di fibromialgia attiva in assenza di test o manovre semeiologiche e sull’esclusione parziale. Bisogna quindi scartare nella diagnosi differenziale quelle condizioni che più probabilmente potrebbero essere associate al singolo paziente. Non è buona pratica clinica richiedere esami strumentali alla cieca per tutti i pazienti, ma solo se necessario. Ad esempio, se le abitudini alimentari del paziente pongono sospetto di deficit di vitamina B12, si deve richiedere il dosaggio della stessa. Se il paziente è un fumatore si deve eseguire la radiografia del torace per escludere, anche se non con elevata performance, che possa avere un dolore secondario a neoplasia polmonare. Criteri classificativi Nonostante l’importanza della semeiotica per escludere altre condizioni, essa pro-attivamente è poco informativa. Da ciò si definisce l’importanza di individuare dei criteri classificativi. Nel 2017 sono stati pubblicati i primi criteri di diagnosi attiva di fibromialgia: sottoponendo 18 zone del corpo, definite “tender points” a una pressione modesta di 4 kg, se almeno 11 di queste evocavano un dolore localizzato, non irradiato (tipico invece dei “trigger points”), era possibile porre diagnosi di fibromialgia. Questo progetto, limitante rispetto allo spettro di sintomi della malattia, è stato superato dai criteri ACR attualmente in vigore, che sono “self-reported”, quindi si basano unicamente su ciò che viene riferito dal paziente: L’indice di dolore generalizzato (widespread pain index, WPI): positivo se il paziente segnala 4 su 5 regioni corporee che evocano dolore. Se il paziente si presenta con dolore alla schiena manca il presupposto del dolore muscolo scheletrico generalizzato con sintomi cronici; Symptoms severity score (SSS): la somma di alcuni puntiformi aspetti della sintomatologia come la fatigue e i disturbi cognitivi. Il professore afferma che non bisogna imparare questi criteri, ma che bisogna ricordare il passaggio da uno strumento limitante quali i “tender points”, basato sul ruolo del clinico, a un modello più fittante e attuale basato unicamente sulla quantificazione e generalizzazione della sintomatologia del paziente. È necessario dimostrare che il paziente ha sintomatologia generalizzata e di una sufficiente intensità per definirlo come sindromicamente affetto da fibromialgia. Per definire se l’eziologia sia primaria o secondaria ci si orienta caso per caso eseguendo approfondimenti specifici. Terapia Le opzioni terapeutiche consentono di ottenere benefici anche se sono sub-ottimali, non consentono una risoluzione immediata e semplice della sintomatologia del paziente in una percentuale elevatissima di casi. Si raccomandano la terapia cognitivo comportamentale e le tecniche di mindfulness, ma ciò non deve alimentare lo stigma che vuole la fibromialgia come conseguenza della depressione che pertanto richiede psicoanalisi: questi strumenti servono a migliorare la capacità di coping del paziente, per evitare che al dolore si associ una componente disfunzionale psicogena. Si prescrivono gli stessi farmaci usati per il dolore neuropatico diabetico o post-erpetico: appartengono alla classe degli antidepressivi che agiscono anche sulla noradrenalina, che è un neurotrasmettitore molto coinvolto nei meccanismi del dolore (amitriptilina o duloxetina) e degli antiepilettici (pregabalin). Inoltre, il dolore cronico, al contrario del dolore acuto che richiede il riposo, migliora con l’attività fisica e la perdita di peso, che hanno efficacia analgesica in tutte le patologie muscolo scheletriche reumatologiche. Vista l’assenza di strumenti ottimali si può ricorrere anche all’agopuntura, agli integratori alimentari, all’ossigenoterapia iperbarica e alla cannabis terapeutica, sebbene le prove di efficacia siano talora poco convincenti. OSTEOPOROSI Definizione L’osteoporosi è una malattia diffusa dello scheletro, caratterizzata da riduzione della densità minerale ossea e alterazioni microstrutturali che determinano una aumentata fragilità e un rischio incrementato di fratture, che il reumatologo si propone di prevenire. Una frattura da fragilità è una frattura per traumi minori o a bassa energia, cioè causata da un evento traumatico che non dovrebbe essere esitare in una frattura in soggetto sano. I traumi minori si verificano quando la caduta avviene da una altezza pari o inferiore all’altezza raggiunta nella posizione eretta. Epidemiologia Il 21,2% delle donne sopra i 50 anni sono affette da osteoporosi, con un totale di 500 milioni di persone. Una donna su tre svilupperà una frattura da fragilità e ogni anno si verificano 8,9 milioni di fratture, di cui una ogni tre secondi, con una mortalità del 20-24%. Il 40% dei pazienti non avrà un ciclo del passo fisiologico e il 60% dei pazienti per almeno un anno richiederà una assistenza continua per le attività di vita. Il costo solo in Europa ad oggi è di oltre 40 miliardi di euro e continuerà a crescere. Da questi dati si evince che il trattamento permette di incidere di più sugli anni di vita, sulla qualità della vita e sulla spesa del SSN, al pari delle malattie cardiovascolari. Fisiopatologia Il processo del rimodellamento osseo consiste in un ciclo di assorbimento dell’osso invecchiato da parte degli osteoclasti e di deposizione di osso nuovo da parte degli osteoblasti, che maturando diventano osteociti. Nell’osso sano ci deve essere un equilibrio tra neoformazione e riassorbimento, per cui si deve riprodurre tanto osseo quanto se ne catabolizza. Lungo l’arco della vita la massa ossea cresce fino al picco di massa ossea intorno ai 20-30 anni, dopodiché segue un lieve plateau con una tendenza lenta ma progressiva alla discesa, che diventa sempre più ripida nel corso degli anni e raggiunge nelle donne una accelerazione nella fase post-menopausale. A seconda del valore del picco di massa ossea si può avere un osso abbastanza robusto per tutta la vita o si può sconfinare in una riduzione tale da causare osteoporosi franca e suscettibilità alle fratture. Il picco massa ossea è tanto più alto in base a: Sesso maschile: oltre alle cause ormonali, questo è un motivo per cui l’uomo va meno frequentemente incontro al fenomeno di osteoporosi; Maggior BMI; Attività fisica in carico; Adeguato introito di vitamina D e calcio durante l’adolescenza e l’infanzia. I fattori di rischio possono essere: Modificabili: abuso di alcol e fumo di sigarette. Non modificabili: genetici, stress ossidativo e farmaci di cui non su può fare a meno. Classificazione 1) Osteoporosi primaria e sedi principali di fratture L’osteoporosi primaria si verifica per cause para-fisiologiche: a. Post-menopausale nella donna: a causa dell’ipoestrogenismo avviene un incremento marcato del turnover osseo. Vi è un aumento della quota di riassorbimento accompagnato da un inadeguato aumento di neoformazione, che corrisponde a circa il 50% nella quota riassorbita. Le fratture si presentano soprattutto nelle ossa ad alto contenuto trabecolare (vertebre), dove avviene la maggior parte della perdita di osso; b. Senile: in entrambi i sessi, dovuta ad una riduzione dell’attività osteoblastica di neoformazione con una attività osteoclastica stabile, per cui si perde sia osso trabecolare che corticale, con fratture del collo femorale. Oltre alle anche e alle vertebre, i siti più frequenti di frattura sono: Avambraccio; Spalla (omero); Coste; Tibia; Bacino. 2) Osteoporosi secondaria L’osteoporosi può essere secondaria a: Malattie endocrine: ipotiroidismo e sindrome di Cushing; Malattie infiammatorie croniche di pertinenza reumatologica; Malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD); Celiachia e malassorbimento; Insufficienza renale cronica; Deficit nutrizionali da alcolismo o DCA; Neoplasie; Farmaci che riducono la BMD: Glucocorticoidi: causano un importante deperimento della BMD. Più tempo il paziente li usa, più i dosaggi dovranno essere aumentati e più aumenta il rischio di frattura, soprattutto vertebrale. In caso di terapie steroidee croniche, se la prospettiva di trattamento supera i 3 mesi, bisogna attuare una profilassi per l’osteoporosi; Inibitori dell’aromatasi: farmaci ormonali per il trattamento adiuvante del carcinoma mammario e prostatico; Inibitori di pompa protonica (PPI): gastroprotettori, di cui spesso si fa abuso. Non è una condizione infrequente, coinvolte più del 50% delle donne giovani in pre-menopausa, il 30% delle donne in post menopausa e il 50-80% degli uomini. Diagnosi La diagnosi di osteoporosi è clinico-strumentale: si basa sulla presenza di una tipica frattura da fragilità o sulla DXA, non è necessaria la densitometria. La densità minerale ossea (bone mineral density, BMD) si misura con un esame radiologico chiamato DXA (dual energy X ray), che sfrutta due diverse sorgenti di energia che vengono proiettate su due siti indice, il rachide lombo sacrale e il femore. Valutando la risposta dei tessuti alle due diverse intensità di energia si può scorporare in modo cristallino l’osso dai tessuti molli, per avere una misura del BMD in grammi/cm2. Non c’è un modo per stabilire per ogni singolo paziente un cut-off di BMD oltre il quale si pone diagnosi di osteoporosi, ma si può utilizzare un metodo comparativo tramite: T score: quanto il paziente si discosta in termini di BMD da una popolazione di riferimento nel picco di massa ossea (donne caucasiche di 20-29 anni) in deviazioni standard. Coinvolge le categorie di persone in cui si fa la densitometria, cioè le donne post-menopausa e gli uomini di età superiore ai 50 anni, motivo per cui è il valore più usato per la diagnosi di osteoporosi. I valori del t score si associano alle seguenti condizioni: -Tra “-1” e “0”: paziente sano; -Tra “-1” e “– 2,5”: osteopenia; -Inferiore a “- 2,5”: osteoporosi. Z score: scostamento in deviazioni standard del BMD del paziente rispetto al BMD di soggetti sani della stessa età e sesso del paziente. Si utilizza nelle persone più giovani, cioè nelle categorie limite in cui solitamente non si fa la densitometria a meno che non ci siano condizioni particolari come fratture da fragilità nell’infanzia o in donne molto giovani. Valori: -Inferiore “-2”: non osteoporosi. Altri strumenti diagnostici che aiutano nella gestione e nel monitoraggio della terapia sono i marker di turnover osseo. Durante il processo di rimodellamento vengono rilasciati prodotti catabolici misurabili per avere una stima della attività osteoblastica e osteoclastica: CTX: marker di riassorbimento, frammenti di degradazione del collagene; Fosfatasi alcalina, isoenzima osseo: marker di attività osteoproduttiva. Se il CTX si abbassa utilizzando un farmaco antiriassorbitivo, probabilmente il farmaco è efficace. Trattamento Mentre in patologie come la fibromialgia, l’osteoartrosi o l’artrite reumatoide si sa che l’esito del trattamento è un miglioramento dei sintomi o della funzione, nel caso dell’osteoporosi spesso né il paziente né il medico percepiscono il risultato dell’effetto terapeutico, perché con la terapia preventiva ci si propone di trattare un fenomeno teorico e potenziale. Ø Valutazione del rischio fratturativo: Decidere se trattare o meno l’osteoporosi dipende da una stima del rischio fratturativo, definito per il 70% in funzione della densitometria, ma anche sulla base di score e modelli predittivi legati allo stile di vita del paziente (fumo sigaretta, utilizzo alcolici, farmaci, familiarità, etc.…). Oggi si utilizzano soprattutto lo score di FRAX (fracture risk assessment tool) e l’algoritmo deFRA, più performante nella popolazione italiana e più complesso. Grazie a queste valutazioni si decide una soglia di trattamento, cioè quando è arrivato il momento di iniziare la terapia. In genere se il rischio fratturativo supera il 20% il paziente deve essere trattato, ma ci sono dei casi in cui si tratta al di sotto di questa soglia o non si tratta al di sopra di questa soglia. Ø Vitamina D e calcio: È fondamentale un corretto apporto di vitamina D e calcio, visto il loro ruolo nel metabolismo osseo, pur sapendo che il 40% della popolazione generale in Europa ha valori sub-ottimali di vitamina D. Quando si decide di trattare un paziente qualsiasi farmaco si utilizzi si deve anche correggere il deficit di vitamina D, infatti tutti gli studi sui farmaci anti-osteoporosi utilizzano contemporaneamente supplementi di vitamina D. Il metabolismo della vitamina D prevede diversi passaggi per raggiungere la forma attiva. Nei pazienti che non hanno insufficienza epatica e renale si preferisce somministrare una forma precoce, il colecalciferolo, per sfruttare i meccanismi di regolazione fisiologici, mentre negli altri casi occorre dare metaboliti più attivi. Per quanto riguarda il calcio, si preferisce privilegiare l’uptake alimentare attraverso i latticini e l’acqua ad alto contenuto di calcio; infatti, ci sono tipi di acqua commerciale che consentono di portare 500 mg/gg di calcio ogni 2 litri di acqua, cioè la metà del fabbisogno giornaliero. I supplementi di calcio vanno limitati a quei pazienti che non riescono ad avere un introito alimentare adeguato, sia perché sono lesivi per lo stomaco sia perché ci sono evidenze che dimostrano la loro correlazione con l’aterosclerosi, probabilmente poiché vengono bypassati quei meccanismi di regolazione che dovrebbero evitare l’accumulo di calcio nelle arterie. Ø Terapia farmacologica Le principali classi di farmaci sono: 1) Anti-riassorbitivi: Bifosfonati: sono i più diffusi, si legano alla componente minerale dell’osso bloccando la via del mevalonato e inducendo l’apoptosi degli osteoclasti; Denosumab: anticorpo monoclonale diretto contro RANK-L, un mediatore prodotto dagli osteociti che attiva gli osteoclasti. Bloccando RANK-L si blocca l’attivazione degli osteoclasti. 2) Anabolici: Teriparatide: poiché si tratta di paratormone ricombinato, potrebbe sembrare paradossale che venga utilizzato per il trattamento dell’osteoporosi, visto che il paratormone fisiologicamente demineralizza le ossa, sottraendone il calcio. Il fenomeno trova spiegazione nel fatto che quando il recettore del paratormone viene attivato in maniera pulsatile, con somministrazioni ripetute di farmaco, induce significativa neoformazione di osseo, mentre se viene attivato in maniera continuativa, come nell’iperparatiroidismo primario, aumenta il riassorbimento e causa osteoporosi secondaria; Romosozumab: nuovo anticorpo monoclonale diretto contro la sclerostina, una proteina che inibisce la stimolazione degli osteoblasti, quindi bloccandola si ottiene l’effetto di doppia inibizione, preservando l’attività degli osteoblasti. In più ha anche effetto anti-riassorbitivo, quindi coniuga effetto pro-osteoblastico con effetto anti-osteoclastico, e di fatto è il farmaco più potente nell’incrementare la BMD. È limitato a certe categorie di pazienti per motivi farmaco-economici, perché ha un costo molto elevato.