Spondiloartriti PDF - Reumatologia (Prof. Francesco Ursini)
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2024
Alice Stanzani
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Questo documento fornisce un'analisi approfondita delle spondiloartriti, trattando argomenti come l'Organo Entesi, le differenze con l'Artrite Reumatoide, e il ruolo dell'HLA-B27. La lezione, tenuta nel 2024, include anche dettagli sulle manifestazioni oculari, il trattamento e la diagnosi differenziale.
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Sbobinatore: Alice Stanzani Revisore: Margherita Paltrinieri Reumatologia (Prof. Francesco Ursini)...
Sbobinatore: Alice Stanzani Revisore: Margherita Paltrinieri Reumatologia (Prof. Francesco Ursini) Lezione #3 21/11/2024 Argomento: Spondiloartriti SPONDILOARTRITI Le spondiloartriti rappresentano un altro importantissimo capitolo, che si distingue sia per l’ampia diffusione numerica — trattandosi, insieme all'artrite reumatoide, di una delle patologie più comuni — sia per la complessità di questo gruppo nosologico. Si tratta di un insieme di malattie che condividono caratteristiche cliniche, epidemiologiche e genetiche, pur differenziandosi notevolmente dalla più lineare artrite reumatoide. Quest’ultima, seppur con le dovute eccezioni, è generalmente ben definita e presenta diversi fenotipi evolutivi, distinguibili anche per la progressività delle forme sieronegative e sieropositive. Nel complesso, però, si può considerare una patologia abbastanza lineare. Nel caso delle spondiloartriti, invece, si trattano condizioni molto diverse tra loro, ma accomunate da un background comune. Organo Entesi Per comprendere le spondiloartriti, è fondamentale introdurre il concetto di entesi. L’entesi rappresenta una componente cruciale dell’apparato muscoloscheletrico, che secondo alcuni è classificabile come “organo” in senso funzionale. Non si tratta di una struttura singola e ben delineata, ma di un insieme di tessuti che collegano tendini, capsule o legamenti all’osso nella regione più distale e inserzionale, svolgendo un ruolo fondamentale nella trasmissione delle forze meccaniche. Si definisce un organo perché, nonostante la presenza di tessuti diversi, l’entesi rappresenta un’unità anatomo- funzionale: queste strutture, pur essendo in continuità, agiscono in sinergia per svolgere una funzione comune. Tale funzione consiste nella trasmissione delle forze meccaniche dal tendine all’osso. Questo processo è reso possibile da un’architettura particolare, che garantisce una transizione graduale tra i vari tessuti. Si parte dal tessuto più prossimale ossia il tendine o dalla capsula legamentosa, passando attraverso la fibrocartilagine non mineralizzata, poi attraverso quella mineralizzata, fino ad arrivare all’osso. Queste zone si fondono in modo progressivo, trasformando il tessuto tendineo in tessuto osseo e assicurando così un’elevata resistenza meccanica. Questo punto anatomico, dove convergono forze estremamente elevate, è progettato per trasferirle gradualmente e in modo progressivo. Se avesse una struttura differente, la trasmissione sarebbe più brusca e rigida, causando maggiori sollecitazioni meccaniche. Un altro aspetto fondamentale, che spiega perché l’entesi sia il sito primario delle spondiloartriti, riguarda le sue caratteristiche immunologiche. A differenza del corpo tendineo, che è avascolare e quindi immunologicamente inerte, nell’entesi si trovano non solo cellule tipiche del tessuto tendineo, come i tenociti e i condrociti, ma anche cellule immunitarie residenti. Tra queste, spiccano le cellule T gamma-delta e le ILC3 (cellule linfoidi innate di tipo 3). Queste cellule immunitarie rispondono attivamente alle sollecitazioni meccaniche, contribuendo al processo infiammatorio. Le entesi sono presenti in tutto il corpo come nei punti di inserzione delle capsule articolari e dei tendini robusti come il tendine d’Achille o la fascia plantare. Sono localizzate anche nell’epicondilo, nella colonna vertebrale tra una vertebra e l’altra, e in molte altre aree. Questa diffusione spiega perché una patologia che colpisce questa struttura anatomica possa manifestarsi con presentazioni cliniche estremamente variegate. Nella pratica clinica, quando si deve quantificare il carico della malattia nei pazienti, si utilizzano strumenti specifici. Analogamente al DAS28 per l’artrite reumatoide, esistono indici che valutano le entesi. Nonostante sia impossibile considerare tutte le entesi presenti nel corpo — che sono migliaia — ci si focalizza sulle più accessibili all’esame obiettivo e maggiormente colpite dalla malattia. Tra questi strumenti ci sono quelli più semplici, come il LEI (Leeds Enthesitis Index), che valuta solo 6 siti, e quelli più complessi, che ne valutano fino a 18. La scelta tra uno strumento più semplice o più dettagliato dipende dall’utilizzo clinico specifico. Entesite L’entesi rappresenta il sito primario di infiammazione nelle spondiloartriti, tramite un processo noto come entesite. Considerando, ad esempio, l’entesi di una capsula articolare: questa è in stretta prossimità anatomica con la sinovia articolare. Sebbene il termine "spondiloartrite" faccia riferimento all’artrite e quindi alla sinovite, in realtà la sinovite è spesso funzione di un’infiammazione che origina nell’entesi e si estende alla sinovia circostante. Differenze tra Spondiloartriti e Artrite Reumatoide Un’altra differenza cruciale rispetto all’artrite reumatoide riguarda l’evoluzione del danno articolare. Nell’artrite reumatoide, la progressione è prevalentemente erosiva: l’attivazione degli osteoclasti causa erosioni nelle aree marginali dell’articolazione, che si manifestano con caratteristiche immagini di "minus". Al contrario, nelle spondiloartriti, pur essendo presente una componente erosiva legata all’attività osteoclastica, si osservano anche fenomeni di neoformazione ossea dovuti all’attivazione degli osteoblasti. Questo determina un duplice danno strutturale: da un lato, l’erosione ossea e, dall’altro, l’osteoposizione patologica. Quest’ultima, pur avendo lo scopo di riparare l’erosione, avviene in modo incontrollato, contribuendo così alla progressione della malattia. Osservando le immagini, si nota che la neoformazione ossea è rappresentata in grigio perché l'osso neoformato è costituito da tessuto osteofibroso, diverso dall’osso fisiologico. I buchi causati dall’erosione sono stati colmati, tuttavia questa riparazione crea un ponte osseo che collega due capi articolari, compromettendo gravemente la funzionalità dell’articolazione. Se un’articolazione con un’erosione può ancora avere un minimo movimento, seppur limitato, un’articolazione avviluppata da neoformazione ossea perde completamente la sua capacità funzionale, con conseguenze molto peggiori. Un’altra differenza sostanziale tra spondiloartriti e artrite reumatoide riguarda l’età di esordio. L’artrite reumatoide presenta un picco di insorgenza intorno ai 50 anni, anche se può manifestarsi sia in età giovanile sia in età avanzata. Al contrario, le spondiloartriti, in particolare la spondilite anchilosante, hanno un picco di esordio molto più precoce, tra i 25 e i 30 anni. Questo significa che colpiscono gli individui nel pieno della loro produttività personale e lavorativa, con un impatto significativo sulla qualità della vita e sulle capacità produttive. Un problema legato a queste patologie è il ritardo diagnostico. Se si considera l’artrite reumatoide, il ritardo medio nella diagnosi è di circa sei mesi (sulle slide è scritto 6 anni, è un errore), grazie ai progressi terapeutici e diagnostici degli ultimi dieci anni. Al contrario, per la spondiloartrite assiale (Axial SpA), il ritardo diagnostico medio è ancora di circa sette anni. Ciò significa che i pazienti convivono con dolore intenso e limitazioni funzionali per un lungo periodo, senza ricevere una diagnosi chiara. Questo ritardo compromette gravemente la qualità della vita, impedendo al paziente di lavorare o mantenere relazioni sociali normali. Ruolo dell’HLA-B27 Nell’artrite reumatoide la predisposizione genetica è legata principalmente alla presenza dell’epitopo condiviso (presente nel 50-60% dei pazienti), mentre nelle spondiloartriti, e in particolare nella spondilite anchilosante, la predisposizione genetica è fortemente associata all’allele HLA-B27. Questo allele, parte del complesso maggiore di istocompatibilità, è presente nel 95% dei pazienti con spondilite anchilosante. La distribuzione di HLA-B27 varia a livello globale. In Italia, ad esempio, è presente nel 2-6% della popolazione generale. Tuttavia, la presenza dell’allele non implica automaticamente lo sviluppo della malattia, la cui prevalenza è bassa (0,2-0,3%). L’andamento epidemiologico delle spondiloartriti segue comunque la distribuzione di HLA-B27: nei paesi con una maggiore prevalenza di questo allele, le spondiloartriti sono più diffuse. Anche all’interno dell’Italia esistono differenze regionali: in Sardegna, ad esempio, la prevalenza è maggiore rispetto alla penisola. La fisiopatologia del coinvolgimento del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC) è in generale ben riproducibile, ma l’HLA-B27 presenta alcune caratteristiche peculiari che lo distinguono. Le principali ipotesi che spiegano il suo ruolo nelle spondiloartriti sono le seguenti: 1. Presentazione di peptidi artritogenici: L'HLA-B27 è particolarmente efficiente nel presentare peptidi artritogenici alle cellule T. Questo meccanismo è simile a quello osservato in altre malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide, dove l’attivazione delle cellule T è un elemento centrale della patogenesi. 2. Formazione di omodimeri: L’HLA-B27 ha una conformazione che favorisce la formazione di omodimeri, ossia due molecole che si associano tra loro. Questi omodimeri possono attivare direttamente alcune cellule immunitarie, come le cellule NK (Natural Killer) o le cellule T, attraverso recettori specifici chiamati KIR (Killer-cell Immunoglobulin- like Receptors). Questa è una peculiarità esclusiva dell’HLA-B27. 3. Misfolding nel reticolo endoplasmatico: A differenza di altri alleli, l’HLA-B27 tende a subire un misfolding nel reticolo endoplasmatico, ossia perde la sua corretta conformazione. Questo fenomeno è percepito dalla cellula come un segnale di allarme, innescando la risposta delle proteine mal ripiegate (Unfolded Protein Response). Normalmente, questa risposta è attivata in presenza di proteine virali per eliminare cellule infette. In questo caso, anche se non c'è un'infezione virale, la cellula reagisce allo stesso modo, inducendo un’infiammazione acuta per eliminare le cellule. 4. Interazione con il microbiota intestinale: L’HLA-B27 sembra influenzare la composizione del microbiota intestinale, favorendo alcuni batteri e riducendone altri. Questa modulazione potrebbe predisporre allo sviluppo di artrite, evidenziando un legame tra spondiloartriti e malattie infiammatorie croniche intestinali. Patogenesi delle Spondiloartriti La patogenesi delle spondiloartriti è meno compresa rispetto a quella dell’artrite reumatoide, ma si ritiene che il meccanismo principale coinvolga una combinazione di predisposizione genetica (in particolare l’HLA-B27) e stimoli meccanici. Lo stress meccanico quotidiano sulle entesi (non un trauma acuto) potrebbe attivare le cellule immunitarie residenti, causando un’infiammazione locale che, in individui geneticamente predisposti, si amplifica e diventa sistemica. Esperimenti condotti oltre 30 anni fa supportano questa teoria. Ad esempio, nei topi geneticamente predisposti a sviluppare spondiloartrite (modelli transgenici HLA-B27), la malattia si sviluppa solo in condizioni di movimento normale. Se i topi sono sospesi per la coda, evitando lo stress meccanico sulle entesi, l’artrite non si manifesta. Questo dimostra l’importanza dello stimolo meccanico nella patogenesi della malattia. Una volta innescata l’infiammazione locale, il processo si estende sistemicamente grazie a specifiche citochine, i messaggeri fondamentali per la propagazione e per il mantenimento dell'infiammazione cronica associata alle artriti. Tra queste, il TNF (Tumor Necrosis Factor) è dominante e trasversale in tutte le artriti croniche. Tuttavia, nelle spondiloartriti, giocano un ruolo centrale anche l’interleuchina 23 (IL-23) e l’interleuchina 17 (IL-17). La IL- 23 stimola la produzione di IL-17, considerata il principale effettore dell’asse IL-23/IL-17. Queste citochine sono prodotte principalmente dai linfociti T, in particolare dalle cellule TH17 oppure da cellule del sistema immunitario innato che abitano nelle entesi, ovvero le gamma delta T-cells e le ILC3, le quali vengono attivate in maniera abbastanza intuitiva e rapida sotto l'influsso dello stimolo meccanico e producono un eccesso di interleuchina 17. Spettro clinico delle Spondiloartriti Macroscopicamente questo gruppo di malattie può essere suddiviso in due principali categorie: le spondiloartriti prevalentemente assiali e le spondiloartriti prevalentemente periferiche. Si utilizza il termine "prevalentemente" perché, sebbene le spondiloartriti assiali siano caratterizzate principalmente da sintomi a carico della colonna vertebrale e delle articolazioni sacroiliache, possono manifestare anche un interessamento periferico. Allo stesso modo, nelle forme periferiche può essere presente un coinvolgimento assiale. Per comprendere meglio le forme assiali, è necessario focalizzarsi sull’articolazione sacroiliaca. Si tratta di un’articolazione particolare, con una mobilità ridotta, ma di fondamentale importanza. È infatti la cerniera che collega la colonna vertebrale agli arti inferiori, giocando un ruolo cruciale nel trasferimento del carico corporeo. La sua posizione e struttura anatomica la rendono particolarmente predisposta a infiammazioni di origine meccanica. L'articolazione sacroiliaca può essere suddivisa in due porzioni principali: Porzione dorso-superiore (in rosso), che è un’anfiartrosi. Questo tipo di articolazione non è sinoviale, non ha cartilagine e le sue parti sono unite da una rete fitta di legamenti interossei, simili a elastici tesi che mantengono insieme le superfici articolari. Porzione ventrale-inferiore, che è una diartrosi, una struttura simile a quella delle altre articolazioni mobili, come il ginocchio, con cartilagine articolare e una membrana sinoviale. Da un punto di vista anatomo patologico questa particolare conformazione anatomica rende l’articolazione sacroiliaca un punto critico per lo sviluppo delle spondiloartriti. La sua struttura presenta il substrato anatomico per ammalarsi di due tipi principali di infiammazione: Entesite: Infiammazione dei legamenti interossei nella parte posteriore dell’articolazione. Sinovite: Infiammazione della membrana sinoviale nella parte ventrale. L’infiammazione può anche propagarsi dall’entesite alla sinovite per prossimità anatomica, creando un quadro patologico complesso. La Sacroileite L'infiammazione dell’articolazione sacroiliaca prende il nome di sacroileite, ed è spesso il primo segno della spondiloartrite assiale. La sacroileite si manifesta con una lombalgia infiammatoria. Questo tipo di dolore lombare ha caratteristiche specifiche che lo differenziano dal classico mal di schiena meccanico: 1. Esordio prima dei 40 anni: il dolore si manifesta generalmente in età giovane. 2. Esordio insidioso: il dolore si sviluppa gradualmente, non in modo acuto come, ad esempio, il "colpo della strega". 3. Migliora con l’esercizio fisico: a differenza del mal di schiena comune, l’attività fisica allevia il dolore. 4. Non migliora con il riposo: il dolore persiste o peggiora durante il riposo. 5. Dolore notturno: spesso il paziente avverte dolore durante la notte, che causa risvegli. Per definire una lombalgia come infiammatoria, devono essere presenti almeno 4 di questi criteri. Utilizzare questi criteri è fondamentale per distinguere il dolore infiammatorio da quello meccanico, facilitando così la diagnosi precoce delle spondiloartriti e migliorando la gestione clinica dei pazienti. L'articolazione sacroiliaca, situata in profondità nel bacino e caratterizzata da una mobilità limitata, presenta alcune sfide diagnostiche. I suoi movimenti sono minimi e non è possibile esplorarla direttamente durante l'esame obiettivo. Pertanto, è necessario affidarsi principalmente ai sintomi riferiti dal paziente, in particolare alla presenza di lombalgia. La lombalgia è il sintomo muscoloscheletrico più diffuso al mondo, ma le spondiloartriti sono relativamente rare. È necessario saper differenziare i pazienti che potrebbero avere una spondiloartrite tra la moltitudine di persone con mal di schiena tramite dei criteri semplici ma efficaci. Se un paziente presenta una lombalgia cronica (durata di almeno 3 mesi), la probabilità che sia affetto da spondiloartrite è inferiore al 5%. Tuttavia, se il paziente soddisfa 4 criteri specifici, la probabilità di diagnosi sale al 30%. Questi criteri sono facili da applicare e possono essere verificati con semplici domande durante l’intervista clinica. Poche informazioni possono dunque aumentare drasticamente la probabilità di individuare una spondiloartrite. Se almeno 4 di questi criteri sono presenti, si parla di lombalgia infiammatoria, tipica delle spondiloartriti. Oltre alla lombalgia, ci sono altri sintomi associati che possono suggerire una spondiloartrite: Rigidità mattutina prolungata. Dolore centrato nel gluteo, che non si irradia tipicamente come nella sciatica classica. Sciatica "mozza": a differenza della sciatalgia causata da un'ernia del disco, il dolore non segue una distribuzione dermatomerica precisa e si ferma generalmente al ginocchio, percorrendo la faccia posteriore della coscia. Questa tipologia di dolore è definita "mozza" proprio perché non si estende lungo tutto il percorso del nervo sciatico. La lombosciatalgia o sciatica è un dolore dovuto a una compressione radicolare che ha quindi una distribuzione dermatomerica, per cui se vi è una compressione del 5S1 perché si presenta un'ernia del disco, il dolore deve seguire un dermatomero preciso. Generalmente il dolore parte dalla colonna lombare, si irradia anteriormente alla coscia, poi va lateralmente sulla gamba e arriva fino al primo dito del piede. Risposta ai FANS Un altro elemento importante è la risposta ai farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS). Anche se questi farmaci sono comunemente usati per vari tipi di dolore, nella lombalgia cronica non infiammatoria hanno un'efficacia limitata. Studi e metanalisi dimostrano che i FANS, rispetto al placebo, riducono il dolore di pochi punti (meno di 10) in una scala da 0 a 100, con un beneficio clinico minimo. Tuttavia, nella lombalgia infiammatoria associata a spondiloartrite, la risposta ai FANS è generalmente rapida e significativa, anche se temporanea. Imaging Una volta preselezionato un paziente con sospetta spondiloartrite utilizzando questi criteri clinici, è necessario procedere con ulteriori accertamenti diagnostici per confermare la diagnosi. Questo è essenziale non solo per una corretta classificazione della malattia, ma anche per pianificare un trattamento appropriato, considerando le complesse implicazioni terapeutiche di queste patologie. I criteri classificativi attualmente in uso per le spondiloartriti assiali non devono essere memorizzati, ma servono come guida per comprendere le caratteristiche più importanti della malattia e per focalizzarsi sull'obiettivo diagnostico. Per le spondiloartriti assiali, esistono due principali percorsi attraverso cui un paziente può soddisfare questi criteri: il braccio clinico e il braccio di imaging. Il braccio clinico è ancora oggetto di discussione e, per questo motivo, non verrà approfondito. L'aspetto più robusto e affidabile è rappresentato dal braccio di imaging. Una volta sospettata una sacroileite, è fondamentale confermare la diagnosi attraverso un esame di imaging. A seconda del tipo di esame utilizzato, si distinguono due principali forme di spondiloartrite assiale: 1. Spondiloartrite anchilosante: diagnosticata tramite radiografia convenzionale, in cui la malattia è radiologicamente evidente. 2. Spondiloartrite assiale non radiografica: diagnosticata tramite risonanza magnetica quando la radiografia convenzionale è negativa. Questa distinzione, sebbene possa sembrare complessa o superflua, ha una giustificazione clinica che sarà più chiara successivamente. Nell’analisi radiografica dell’articolazione sacroiliaca, è importante sapere come appare un’articolazione normale. La radiografia deve mostrare: Simmetria tra i due lati; Ampiezza e ben visibilità dello spazio articolare; Una rima articolare lineare e ben riconoscibile. Quando si esamina una radiografia alla ricerca di segni di sacroileite, alcuni elementi semeiologici sono particolarmente importanti: Riduzione della rima articolare rispetto a quella normale; Irregolarità erosiva della rima articolare rispetto al grado 0 o 1; Sclerosi subcondrale: aumento della radiopacità immediatamente al di sotto della superficie articolare. Questi segni si classificano in gradi crescenti di gravità. Al grado 4, si osserva una fusione completa dell’articolazione sacroiliaca, che diventa un blocco unico (anchilosi totale). Questo rappresenta lo stadio più avanzato della malattia. Diagnosi La diagnosi delle spondiloartriti assiali è considerata uno degli aspetti più complessi della reumatologia. Questo perché: 1. Il sintomo principale, la lombalgia, è estremamente comune e presente in molte altre condizioni. 2. Le alterazioni radiografiche sono spesso sottili e difficili da individuare. Richiedono una conoscenza approfondita e una grande attenzione nell’interpretazione. 3. Anche le risonanze magnetiche presentano sfide interpretative e soggettività nella valutazione. Un altro problema significativo è la sovradiagnosi. Le spondiloartriti assiali sono tra le malattie reumatologiche più frequentemente sovradiagnosticate. Questo avviene perché esistono molte condizioni che mimano le caratteristiche radiologiche delle spondiloartriti, portando spesso a diagnosi errate. È comune che una seconda opinione o ulteriori accertamenti smentiscano una diagnosi iniziale, evidenziando la necessità di un approccio diagnostico rigoroso e ben documentato. Osteite condensante dell’ileo Una delle condizioni che possono essere confuse con la sacroileite è l’osteite condensante dell’ileo. Questa non è una malattia ma una condizione benigna caratterizzata da una marcata sclerosi triangolare delle articolazioni sacroiliache, che può sembrare, a un esame superficiale, una vera sacroileite. L’osteite condensante è spesso un reperto incidentale, soprattutto nelle donne pluripare. Si ritiene che questa condizione sia causata dai microtraumi subiti dall’articolazione sacroiliaca che subisce un’apertura forzata durante il parto naturale. Si creano delle aree di ipercarico nell’articolazione in questione che portano a microfratture trabecolari che verrano poi riparate attraverso un processo di sclerosi. La distinzione fondamentale tra sclerosi condensante e sacroileite sta nei dettagli radiologici: Nell’osteite condensante, la sclerosi è ben visibile in TAC, ma non ci sono erosioni della rima articolare. La rima articolare è generalmente di ampiezza conservata. Confondere questa condizione con una spondiloartrite assiale può portare a gravi conseguenze. In tal caso, il paziente potrebbe ricevere trattamenti immunosoppressori inutili, senza affrontare la vera causa del dolore lombare. Risonanza magnetica Se la radiografia convenzionale non è sufficiente per confermare la diagnosi, si ricorre alla risonanza magnetica. L’elemento semeiologico chiave da cercare è l’edema osseo. La risonanza magnetica permette di studiare in dettaglio le alterazioni ossee non solo a livello corticale (valutato in maniera più performante dai raggi X) ma anche al suo interno, valutando il contenuto idrico. La risonanza magnetica sfrutta la presenza di molecole di acqua nel corpo, quindi è molto valido come esame per valutare le condizioni in cui c'è una modifica del contenuto idrico. Una struttura infiammata è caratterizzata da un iperafflusso di sangue e da un'aumentata permeabilità capillare, queste condizioni creano così un travaso di fluidi dai capillari verso l'interstizio dei tessuti e si ottiene un aumento del contenuto idrico. Questo è visibile grazie a particolari sequenze della risonanza magnetica, come la STIR. In queste sequenze, l’edema appare come un’area di iperintensità subcondrale (più bianca). L’edema osseo rappresenta un aumento del contenuto idrico all’interno dell’osso, tipico delle infiammazioni ma non è specifico per la sacroileite o per le malattie reumatiche in generale. Può essere causato da molte condizioni tra cui: infezioni, neoplasie e fratture. La distribuzione dell’edema può aiutare nella diagnosi differenziale. Ad esempio, un tumore ha caratteristiche di invasività, spesso non rispetta l’anatomia normale e può estendersi oltre l’osso corticale. Se l’edema rimane limitato alla porzione subcondrale delle articolazioni sacroiliache, è più probabile che sia di natura infiammatoria. Caso clinico 1 Un esempio emblematico è quello di un paziente seguito per anni con una diagnosi di spondiloartrite. Nonostante una risonanza magnetica apparentemente indicativa di sacroileite bilaterale, il paziente non rispondeva alle terapie. Dopo ulteriori accertamenti, tra cui una biopsia, si è scoperto che la vera causa era un linfoma a cellule B. Questo caso evidenzia l'importanza di non fermarsi alla prima impressione, anche se le immagini sembrano chiare, e di considerare ulteriori indagini diagnostiche, soprattutto quando il paziente non risponde alle terapie attese. La conoscenza delle immagini e delle loro interpretazioni è fondamentale nella reumatologia moderna. Tuttavia, è essenziale mantenere un approccio critico e approfondito, soprattutto nei casi in cui la risposta clinica non è quella prevista. Questo può fare la differenza tra una diagnosi corretta e un errore diagnostico potenzialmente grave. Interessamento della colonna vertebrale La spondiloartrite assiale non interessa solo le articolazioni sacroiliache ma, una volta coinvolte queste strutture, tende ad estendersi alla colonna vertebrale con un andamento generalmente ascendente. L’interessamento inizia dalla colonna lombosacrale e può progredire fino a coinvolgere l’intera colonna. Durante la progressione della malattia, si manifestano diverse alterazioni radiologiche caratteristiche, tra cui: 1. Shiny corners: indica la presenza di sclerosi triangolare negli angoli vertebrali, che appaiono lucenti nelle immagini radiografiche. 2. Squaring vertebrale: normalmente, il profilo anteriore di una vertebra è concavo. Nelle spondiloartriti, invece, questo profilo può diventare piatto o spianato. Questa modifica è visibile radiologicamente e rappresenta una perdita della normale morfologia vertebrale. 3. Sindesmofiti, sono ponticelli ossei sottili che collegano i margini di due vertebre contigue. La loro formazione segue il processo di erosione degli angoli vertebrali, seguita da una neoformazione ossea esuberante che crea questi ponti. Quando i sindesmofiti coinvolgono l’intera colonna, la mobilità vertebrale si riduce drasticamente. 4. Segno della DAGA, che indica la calcificazione dei legamenti interspinosi. È visibile come un sottile filamento radiopaco che percorre la colonna vertebrale. Caso clinico: Spondilite anchilosante Un esempio significativo è quello di un paziente proveniente da un contesto economicamente svantaggiato, che si presenta con una forma avanzata di spondilite anchilosante. Oggi, grazie alle terapie moderne, casi così gravi sono rari nei paesi sviluppati. Tuttavia, per mancanza di accesso a trattamenti adeguati, questo paziente ha sviluppato una fusione completa delle articolazioni. Le articolazioni sacroiliache sono fuse: la rima articolare non è più visibile. Vi è una fusione delle anche, l’articolazione tra il femore e l’acetabolo è completamente obliterata. Si osserva una pseudofusione delle spalle per cui le articolazioni risultano praticamente bloccate. Infine, anche la colonna vertebrale risulta fusa, l’intera colonna è pervasa da sindesmofiti continui che si estendono dal rachide lombosacrale fino al rachide cervicale (nell’immagine un filo di radiopacità). In passato, questa condizione era definita “colonna a canna di bambù”. I sindesmofiti che uniscono le vertebre danno alla colonna un aspetto radiografico simile a una canna di bambù. Nelle immagini tridimensionali, tra una vertebra e l’altra non si vedono più i dischi intervertebrali, ma solo una colata calcifica continua. La presenza di una colata calcifica lungo tutta la colonna vertebrale comporta conseguenze funzionali estremamente significative. Se ci limitassimo a considerare solo l’aspetto radiologico, si potrebbe erroneamente pensare che sia una condizione simile alla comune spondiloartrosi, spesso asintomatica o poco rilevante dal punto di vista clinico. La spondiloartrosi, infatti, è molto frequente e può manifestarsi in qualsiasi radiografia, dove la presenza di osteofiti viene spesso interpretata come un semplice segno degenerativo legato all'età. Tuttavia, queste lesioni nella spondilite anchilosante hanno un impatto funzionale ben più devastante. Un esempio classico è rappresentato dall'evoluzione di un paziente con spondilite anchilosante avanzata. Le anomalie derivanti da questa patologia portano a modificazioni delle curve fisiologiche della colonna vertebrale, come lo spianamento della lordosi lombare e l’ipercifosi dorsale. Questi cambiamenti progressivi causano una riduzione drastica della mobilità e, nelle fasi avanzate, il paziente non riesce più a mantenere lo sguardo rivolto in avanti. Inizialmente, per compensare questa perdita di mobilità, il corpo adotta strategie come la flessione delle anche e delle ginocchia. Tuttavia, quando anche queste articolazioni - spesso coinvolte dalla malattia- perdono la loro funzione, il paziente finisce per guardare costantemente verso il basso, verso la punta dei piedi. Questa condizione compromette in modo irreversibile la qualità della vita, rendendo il paziente gravemente disabile. Da un punto di vista clinico, non si tratta semplicemente di una deformità anatomica, come quelle osservabili in alcune scoliosi o cifosi congenite, ma di una perdita totale della funzionalità vertebrale. Diagnosi differenziale Un altro aspetto fondamentale riguarda la difficoltà diagnostica. La spondilite anchilosante può essere confusa con altre condizioni, come la iperostosi scheletrica idiopatica diffusa (DISH), una patologia metabolico-degenerativa caratterizzata da ossificazioni della colonna. A differenza della spondilite anchilosante, nella DISH le calcificazioni sono più evidenti nei legamenti longitudinali anteriori, creando formazioni simili a osteofiti fluenti o parasindesmofiti. Questi osteofiti hanno un decorso orizzontale, anziché verticale, e tendono a formare delle strutture più massicce rispetto ai sottili sindesmofiti della spondilite. Osservando la colonna toracica nella TAC, si nota un aspetto interessante: anche se sembra coinvolgere diverse vertebre, alcune più in basso (forse T12 o T10) risultano indenni. Questo non è tipico della spondilite anchilosante, dove il coinvolgimento della colonna segue un andamento lineare e progressivo, tipicamente in direzione caudo- craniale. La caratteristica più distintiva in questa TAC, tuttavia, riguarda un dettaglio specifico: la presenza di un'ossificazione più marcata a destra, mentre la parte sinistra sembra quasi risparmiata. Questo fenomeno si spiega grazie alla presenza dell’aorta sulla sinistra della colonna vertebrale. L’aorta pulsa costantemente, e questa pulsazione protegge la zona limitrofa dalla deposizione distrofica di calcio. Questo tipo di calcificazione è tipico di una condizione non infiammatoria come la iperostosi scheletrica idiopatica diffusa. Al contrario, nella spondilite anchilosante, le ossificazioni tendono a svilupparsi uniformemente, senza questa asimmetria. Confondere queste due condizioni può avere conseguenze cliniche significative. La spondilite anchilosante è una malattia infiammatoria che richiede terapie immunosoppressive a lungo termine. Al contrario, la DISH è una patologia metabolico-degenerativa legata a condizioni come obesità e diabete e non beneficia di trattamenti immunosoppressivi. Diagnosi errate, purtroppo, sono comuni perché i pazienti reali non presentano sempre quadri così chiari come quelli utilizzati per scopi didattici. L’importanza delle alterazioni radiografiche e non radiografiche Un aspetto fondamentale riguarda anche le forme non radiografiche di spondilite. Anche quando le radiografie risultano normali, la risonanza magnetica può rilevare segni precoci di infiammazione, come l’edema osseo localizzato negli angoli vertebrali (superiori, inferiori…). Queste zone sono cruciali perché rappresentano i punti in cui si inseriscono le entesi, da cui diparte il sindesmofita radiografico. La spondilite anchilosante e la spondilite non radiografica sono parte di un continuum patologico che inizia con l’infiammazione delle articolazioni sacroiliache, rilevabile solo con la risonanza magnetica. In assenza di trattamento, questa infiammazione può evolvere con una semeiotica di tipo osteoproliferativo nella malattia radiografica, fino alla formazione di sindesmofiti, portando infine a una completa ossificazione della colonna. Questo processo progressivo è ciò che distingue la spondilite da altre condizioni: si passa da una fase iniziale di sacroileite a un coinvolgimento della colonna vertebrale, fino a una situazione avanzata in cui le vertebre sono completamente fuse, come nel caso del paziente descritto. Da SPA assiale non radiografica a Spondilite anchilosante La distinzione tra forme non radiografiche e radiografiche ha avuto origine da differenze epidemiologiche osservate nei pazienti. In particolare, si notava che nella spondilite anchilosante (forma radiografica) il numero di pazienti di sesso maschile era significativamente superiore rispetto alle donne, una situazione rara nelle malattie reumatiche. Al contrario, nelle forme non radiografiche, questa differenza di genere era molto meno marcata. Con il tempo e attraverso studi longitudinali su ampie coorti, si è compreso che queste due forme non rappresentano entità distinte, ma piuttosto un continuum della stessa malattia. La maggiore prevalenza maschile nelle forme radiografiche si deve al fatto che il sesso maschile è un fattore di rischio per la progressione della malattia. La spondilite si sviluppa gradualmente. Circa il 20% dei pazienti con una sacroileite non radiografica iniziale, rilevata solo tramite risonanza magnetica, svilupperà una sacroileite radiografica entro 10 anni. Tra questi, un ulteriore 20% formerà un nuovo sindesmofita nei successivi 5 anni. In confronto, nei pazienti con forme non radiografiche, solo circa il 5% sviluppa sindesmofiti nello stesso arco di tempo. Questa progressione è influenzata da alcuni fattori di rischio chiave, tra cui: Sesso maschile Livelli elevati di PCR (Proteina C Reattiva) Positività dell'antigene HLA-B27 Interessamento assiale e periferico Sebbene si parli spesso di forme assiali (che colpiscono principalmente la colonna vertebrale), esiste una quota significativa di pazienti con coinvolgimento periferico, soprattutto delle articolazioni anca e spalla. L'artrite precoce che si sviluppa nell’articolazione dell’anca è particolarmente aggressiva. La malattia esordisce in età giovane per cui molti pazienti necessitano di una protesi dell’anca in età precoce. La spalla è un sito piuttosto frequente, tendenzialmente il decorso dell'interessamento della spalla è un po' meno aggressivo, quindi una percentuale inferiore di pazienti evolve verso la necessità di fare un intervento di chirurgia protesica. L'entesite rappresenta il processo patologico di base della malattia. Clinicamente, si manifesta principalmente come dolore localizzato, spesso meno evidente rispetto all’artrite, poiché le entesi non sono facilmente palpabili o individuabili. In molte zone, come il bacino o le creste iliache, l’entesite può essere diagnosticata solo in base al dolore riferito dal paziente. Alcuni siti, però, offrono segni clinici più evidenti. Un esempio classico è l’entesite del tendine d'Achille, considerata il prototipo di questa manifestazione. Questo tipo di dolore è facilmente rilevabile alla palpazione e rappresenta un'indicazione importante della presenza di entesite. Il tendine d’Achille è il tendine di ancoraggio più grande del corpo umano e, grazie alla sua posizione superficiale, l’entesite di questa struttura è facilmente riconoscibile. Quando l’entesi si infiamma e si gonfia, si manifesta come una tumefazione evidente nella zona di inserzione del tendine sul calcagno. Normalmente, osservando il tendine d’Achille di profilo, si nota una naturale concavità dovuta alla leggera sporgenza del calcagno. In presenza di un’entesite, questa concavità si perde, trasformandosi in una forma convessa o rigonfia: questa è la tipica presentazione clinica dell’entesite achillea. Anche altre entesi, come gli epicondili, possono gonfiarsi in modo visibile, ma la maggior parte delle entesi non produce tumefazioni apprezzabili. Questo perché molte entesi sono più profonde o meno accessibili clinicamente. Diagnosi strumentale L’ecografia è uno strumento diagnostico fondamentale per valutare le entesiti, soprattutto quando coinvolgono tessuti molli superficiali. Per esempio, durante un esame ecografico del tendine d’Achille, si esegue una scansione longitudinale, dove il fascio di ultrasuoni attraversa il tendine. Normalmente, l’ecografia mostra il tendine fibrillare che si inserisce sul calcagno, con l’entesi situata nella zona immediatamente adiacente all’osso. In caso di entesite, questa regione si presenta più espansa e ipoecogena (più scura), segnalando un’infiammazione. Inoltre, si possono osservare spot di segnale Doppler nella zona peri-inserzionale, indicativi di un aumento del flusso sanguigno locale, segno di un processo infiammatorio. Anche la risonanza magnetica è utile per rilevare le entesiti, in quanto permette di visualizzare sia i tendini e i tessuti molli, sia l’osso. La Dattilite Un’altra manifestazione muscoloscheletrica tipica delle spondiloartriti è la dattilite, comunemente nota come “dito a salsicciotto”. Si tratta di una tumefazione fusiforme che coinvolge l’intero dito, sia della mano sia del piede. La differenza principale rispetto all’artrite di una singola articolazione (come quella dell’interfalangea prossimale o della metacarpofalangea) è che nella dattilite l’infiammazione interessa l’intero dito, partendo dalla base. Questo rigonfiamento uniforme non è localizzato solo in corrispondenza di un’articolazione specifica. Nell’artrite dell’interfalangea prossimale o della metacarpofalangea, la tumefazione è circoscritta all’articolazione colpita, creando una sorta di “palla” visibile. Al contrario, nella dattilite, l’intero dito appare gonfio, poiché l’infiammazione coinvolge non solo le articolazioni, ma anche i tendini e le strutture molli circostanti che corrono lungo tutto il dito. Dal punto di vista anatomico, la dattilite rappresenta un’infiammazione diffusa che coinvolge: Guaina tendinea; Tessuti molli periarticolari; Strutture vascolari e linfatiche. Questo spiega la tumefazione uniforme e il dolore diffuso, a differenza della localizzazione puntiforme delle artriti specifiche. Gli studi di risonanza magnetica hanno dimostrato che la dattilite è, essenzialmente, una tenosinovite dei tendini flessori, situati nella parte palmare del dito. Sebbene vi sia anche un coinvolgimento di sinovite interfalangee, l’elemento predominante è l’infiammazione dei tendini flessori, evidenziata dalla presenza di edema nelle immagini diagnostiche. Manifestazioni oculari delle Spondiloartriti Le spondiloartriti, in particolare quelle assiali, presentano frequentemente un coinvolgimento oculare, rappresentato principalmente dall’uveite anteriore. L’uvea è la tonaca vascolare dell’occhio, particolarmente predisposta all’infiammazione. Questa manifestazione è fortemente associata alla presenza dell’HLA-B27, che rappresenta un fattore di rischio anche per l’uveite isolata, indipendente dalla spondiloartrite. I sintomi dell'uveite anteriore: Occhio rosso e dolente acuto; Visione offuscata; Fotofobia (fastidio alla luce). Gli episodi di uveite, se trattati tempestivamente, tendono a risolversi senza conseguenze. Tuttavia, la principale preoccupazione è legata alla possibilità di recidive, che possono causare un danno oculare irreversibile e una perdita permanente dell’acuità visiva. Trattamento delle Spondiloartriti assiali Il trattamento delle spondiloartriti assiali si sviluppa in diverse fasi. I FANS (Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei) rappresentano la prima scelta terapeutica per il controllo dei sintomi. Sebbene possano garantire un buon controllo del dolore e dell’infiammazione, la malattia non è curabile, e molti pazienti necessitano di una terapia più specifica nel medio-lungo termine. I FANS sono lo strumento utilizzato principalmente nelle prime fasi della terapia, che in seguito va ridotto fino alla sospensione quasi. A differenza dell’artrite reumatoide, gli immunosoppressori convenzionali come il metotrexate non hanno dimostrato efficacia nelle manifestazioni assiali. Pertanto, si passa direttamente ai farmaci biologici, tra cui: Anti-TNFα: efficaci sia nelle spondiloartriti che nell’artrite reumatoide, poiché diretti contro una citochina comune. Anti-IL-17: IL-17 è un’interleuchina specifica per le spondiloartriti per cui questo farmaco non funziona nell’artrite reumatoide. JAK-inibitori: bloccano vie di segnalazione comuni a diverse citochine e sono recentemente approvati per le spondiloartriti assiali. La scelta del farmaco biologico dipende dalle manifestazioni extra-articolari: Anti-TNFα: preferiti nei pazienti con uveite o malattia infiammatoria cronica intestinale. Anti-IL-17: indicati nei pazienti con psoriasi associata. Spondiloatriti prevalentemente periferiche Le forme prevalentemente periferiche delle spondiloartriti sono caratterizzate principalmente dalla presenza di artrite, entesite o dattilite. Queste manifestazioni possono presentarsi singolarmente o in combinazione. Tra queste, l’artrite psoriasica è la più comune e conosciuta. Psoriasi La psoriasi è una malattia infiammatoria cutanea, una delle condizioni autoimmuni più frequenti, con una prevalenza stimata tra il 2% e il 3%. La forma più classica è la psoriasi a placche, caratterizzata da lesioni eritematose rilevate coperte da desquamazione bianco-argentea. La localizzazione tipica è sulle superfici estensorie (gomiti e ginocchia), sul tronco, nella piega interglutea e sul cuoio capelluto. Circa 1/4 dei pazienti con psoriasi sviluppa, nel corso della vita, una forma di artrite appartenente al gruppo delle spondiloartriti. Questa condizione è nota come artrite psoriasica ed è una manifestazione molto frequente. La psoriasi non colpisce solo la pelle ma può coinvolgere anche le unghie con una manifestazione nota come onicopatia psoriasica. Essa si presenta in: Forme lievi caratterizzate da onicolisi (separazione della lamina ungueale distale) e pitting (depressioni puntiformi sulla superficie dell’unghia, “a ditale di sarta”). Forme gravi che possono essere particolarmente devastanti e destruenti, rappresentando in alcuni casi la manifestazione più severa della malattia. Esistono varianti meno comuni di psoriasi che possono essere altrettanto invasive. La psoriasi guttata presenta lesioni più piccole e di forma simile a gocce ed è meno grave rispetto alla psoriasi a placche. La psoriasi inversa colpisce le superfici flessorie (pieghe della pelle) invece delle superfici estensorie ed è caratterizzata principalmente da eritema, senza la tipica desquamazione della psoriasi a placche. La psoriasi pustolosa si manifesta con la comparsa di pustole sui palmi delle mani e sulle piante dei piedi. Questo tipo di psoriasi può rendere difficili le attività quotidiane a causa della localizzazione e del dolore associato. La psoriasi eritrodermica è invece una forma più grave e rara, caratterizzata da eritrodermia, cioè un arrossamento diffuso che può interessare gran parte o quasi tutto il corpo. Questo rossore, spesso intenso e violaceo, è accompagnato da desquamazione e può portare a complicanze sistemiche, richiedendo spesso un intervento medico urgente. Caratteristiche cliniche L’artrite psoriasica è una forma di artrite infiammatoria associata alla psoriasi, caratterizzata da un coinvolgimento delle articolazioni. Le sue manifestazioni possono variare notevolmente, e la diagnosi precoce è fondamentale per evitare danni irreversibili: 1. Artrite periferica asimmetrica: La forma più comune, presente nel 70-80% dei pazienti, è la mono-oligo artrite asimmetrica. Ha un coinvolgimento minore o uguale a 4 grandi articolazioni come caviglie, ginocchia o spalle, in modo non simmetrico (ad esempio, il polso destro e il ginocchio sinistro). 2. Poliartrite simmetrica: con un pattern simile all'artrite reumatoide, meno comune, coinvolge le piccole articolazioni in modo simmetrico (come nella poliartrite reumatoide), ma spesso con un quadro clinico differente. 3. Interfalangea distale: colpisce le articolazioni interfalangee distali (le ultime delle dita). 4. Forma assiale (spondilite psoriasica): colpisce la colonna vertebrale, in modo simile alla spondilite anchilosante. È meno frequente rispetto alla forma periferica. 5. Artrite mutilante: rara ma molto grave, può causare deformità importanti, con perdita della funzione articolare. L’artrite psoriasica tra le varie spondiloartriti è quella che ha la più elevata prevalenza di entesite e dattilite (presenti nel 35-50% dei pazienti). Diagnosi differenziale con l’artrosi La forma interfalangea distale presuppone che almeno il 50% delle articolazioni affette siano interfalangee distali. Questa forma ha un grande problema di diagnosi differenziale con una patologia molto comune, l’artrosi. L’artrosi della mano colpisce comunemente le articolazioni interfalangee distali, prossimali e la trapezio-metacarpale (base del pollice). La distinzione clinica con l’artrite psoriasica può essere complessa: Artrosi: tipica nelle donne anziane, spesso familiare. Artrite psoriasica: associata ad onicopatia e a manifestazioni cutanee di psoriasi. Un aspetto chiave nella diagnosi è considerare la presenza della psoriasi e dei segni tipici a livello delle unghie. La onicopatia psoriasica è quasi sempre presente nei pazienti con artrite psoriasica che coinvolge le articolazioni interfalangee distali. Questa relazione è fondamentale perché può aiutare nella diagnosi differenziale con altre condizioni, come l’artrosi della mano. Un esperto di spondiloartriti dell’Università di Leeds ha condotto uno studio innovativo circa dieci anni fa, utilizzando la risonanza magnetica ad alto campo per evidenziare questa connessione. La ricerca ha dimostrato l’esistenza di una piccola entesi che collega la lamina ungueale alla capsula articolare dell’articolazione interfalangea distale. Questo conferma il modello patogenetico in cui la malattia si sviluppa lungo le entesi (punti di inserzione tendinea o legamentosa sull’osso). Questo aspetto è cruciale per distinguere l’artrite psoriasica dall’artrosi delle mani. L’artrosi della mano è molto comune, soprattutto nelle donne anziane. Si manifesta con noduli ossei palpabili: Noduli di Heberden: interessano le articolazioni interfalangee distali. Noduli di Bouchard: colpisciono le interfalangee prossimali. L’artrosi è caratterizzata da tumefazione ossea per cui gli osteofiti si palpano come rigonfiamenti duri. In alcune forme può esserci una componente infiammatoria, ma la sinovite è diversa rispetto a quella dell’artrite psoriasica, che è più morbida e tipica delle patologie infiammatorie sistemiche. Artrite mutilante Un’altra manifestazione, fortunatamente poco frequente, è l’artrite mutilante. Questa forma è estremamente aggressiva e causa una distruzione rapida delle articolazioni, con riassorbimento delle falangi. Questo provoca un aspetto caratteristico definito “mano a cannocchiale”, dove la pelle si accartoccia perché l’osso scompare più rapidamente rispetto ai tessuti circostanti. Le radiografie mostrano falangi quasi scomparse, creando una deformità devastante. Coinvolgimento assiale Sebbene l’artrite psoriasica sia prevalentemente periferica, può manifestarsi anche con un coinvolgimento assiale, simile a quello della spondilite anchilosante. La differenza principale risiede nella distribuzione: la spondilite anchilosante la sacroileite è tipicamente simmetrica mentre nell’artrite psoriasica assiale è asimmetrica. Nella spondilite psoriasica, i sindesmofiti tendono a essere asimmetrici e isolati. Nella DISH, i sindesmofiti sono più spessi, “a colata”, mentre quelli della spondilite sembrano “corni” che emergono in punti casuali della colonna vertebrale, non sono continui. Diagnosi differenziale delle ossificazioni vertebrali Le immagini mostrano le ossificazioni della colonna vertebrale in diverse condizioni patologiche. In una colonna vertebrale normale, non si osservano alterazioni significative. Nell'osteoartrosi, si evidenziano osteofiti, ossificazioni orizzontali tipiche della malattia, oltre a segni degenerativi sull'unità discosomatica, con dischi ridotti e piatti vertebrali irregolari. Nella spondilite anchilosante si formano sindesmofiti continui e sottili, che seguono il margine anteriore del disco. Al contrario, nell'artrite psoriasica con coinvolgimento assiale, i sindesmofiti sono più grossolani, discontinui e a forma di becco, nonostante la malattia sia prevalentemente periferica. La calcificazione nella DISH è caratterizzata da un aspetto "a colata", che inizia dal centro del corpo vertebrale, a differenza delle altre condizioni che iniziano dagli angoli. Coincide con il punto dove si aggancia il legamento longitudinale anteriore. Trattamento dell’artrite psoriasica L'artrite psoriasica è una malattia complessa a multidominio, che richiede di affrontare contemporaneamente l'artrite periferica, l’entesite, la dattilite, la psoriasi cutanea e l’onicopatia psoriasica. Per trattare le manifestazioni periferiche (artrite, entesite…) si usano farmaci convenzionali come metotrexato o sulfasalazina. Invece, per le manifestazioni assiali è necessario ricorrere a farmaci biologici, come gli anti-TNF o gli anti-interleuchina 17 (IL-17), poiché il metotrexato non è efficace. Un concetto chiave da ricordare è che il metotrexato non viene utilizzato nelle forme assiali. Questa distinzione può essere utile in contesti clinici o esami, dove è importante sapere che i biologici sono fondamentali per il trattamento delle manifestazioni spinali. Artrite reattiva L’artrite reattiva è una malattia immunomediata che si sviluppa dopo un’infezione recente, spesso di origine gastrointestinale o genitourinaria. Tra i patogeni più comuni si annoverano Yersinia, Salmonella, Shigella e Campylobacter per le infezioni gastrointestinali con incidenza simile nei due sessi, mentre Chlamydia e Ureaplasma urealyticum sono frequenti nelle infezioni genitourinarie, soprattutto negli uomini. È molto diffusa fra i giovani poiché le forme più comuni sono quelle genitourinarie a trasmissione sessuale. La malattia è strettamente legata all'antigene HLA-B27. A differenza di altre spondiloartriti, l’artrite reattiva ha spesso un decorso autolimitante. Il meccanismo alla base della malattia è una reazione immunitaria anomala che, in individui predisposti geneticamente, può "cross- reagire" con le strutture articolari self. Questo significa che, anche se il batterio non è più rilevabile, il sistema immunitario continua a provocare infiammazione nelle articolazioni. Generalmente, la malattia si risolve spontaneamente dopo alcuni mesi, indipendentemente dal trattamento o meno. Tuttavia, alcuni pazienti possono sperimentare recidive, soprattutto se vengono nuovamente esposti agli stessi patogeni poiché permane il vulnus genetico. Circa il 20% dei pazienti sviluppa una forma cronica, che evolve in una spondiloartrite periferica persistente, simile all'artrite psoriasica ma senza manifestazioni cutanee. Manifestazioni cliniche Le manifestazioni cliniche più comuni includono mono o oligoartrite asimmetrica. La più frequente è un’artrite mono o biarticolare di ginocchio o caviglia. Altre caratteristiche frequenti sono l’entesite e la dattilite. La sacroileite è possibile, ma spesso non viene rilevata a causa della breve durata della malattia. Possono essere presenti anche sintomi extra-articolari, come congiuntivite e disturbi urogenitali. In passato, questa triade (artrite, congiuntivite e sintomi urogenitali) era conosciuta come sindrome di Reiter. Tuttavia, questa terminologia è caduta in disuso a causa delle connotazioni storiche del termine. Artrite associata a IBD Un altro aspetto importante è la relazione tra spondiloartriti e malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD). Queste condizioni si influenzano a vicenda: un paziente con IBD può sviluppare una spondiloartrite, e viceversa. Studi dimostrano che molti pazienti con spondiloartrite presentano infiammazione intestinale, anche se asintomatica: in alcuni casi, una colonoscopia può rilevare infiammazione macroscopica con lesioni evidenti, mentre la biopsia può evidenziare segni microscopici di infiammazione in metà dei pazienti sottoposti all’esame. Gli anti-TNF sono farmaci utilizzati sia per il trattamento delle artriti che delle malattie infiammatorie intestinali (IBD), come la malattia di Crohn e la colite ulcerosa. L’artrite è particolarmente frequente nei pazienti con malattia di Crohn. Altre patologie intestinali, come la celiachia, possono anch’esse causare artrite. Esistono due principali tipologie di coinvolgimento articolare associate alle IBD: Tipo 1: L’attività dell’artrite è strettamente correlata a quella della malattia intestinale. Quando l’IBD si riattiva, anche l’artrite peggiora. Questa forma si manifesta spesso come una oligoartrite asimmetrica delle grandi articolazioni, come ginocchia e caviglie. Tipo 2: L’artrite può insorgere indipendentemente dalla malattia intestinale. Anche se il paziente è in remissione per quanto riguarda i sintomi intestinali, può sviluppare un’artrite aggressiva, spesso simile all’artrite reumatoide. Questa forma coinvolge spesso le piccole articolazioni delle mani e può essere associata a manifestazioni extra-intestinali come uveite ed eritema nodoso. Anche nelle IBD può verificarsi un interessamento assiale della colonna vertebrale, simile a quello osservato nella spondilite anchilosante. Questo legame è dimostrato dal fatto che molti pazienti con spondilite anchilosante presentano infiammazione intestinale, rilevabile mediante endoscopia. Al contrario, pazienti con colite ulcerosa possono mostrare alterazioni radiologiche tipiche della spondilite anchilosante, anche in assenza di sintomi evidenti. Diagnostica differenziale Un aspetto cruciale nella diagnosi è la topografia dell’interessamento articolare: Artrite asimmetrica delle grandi articolazioni (come un solo ginocchio gonfio) è più suggestiva di una spondiloartrite. Al contrario, un coinvolgimento simmetrico delle piccole articolazioni delle mani orienta più verso l’artrite reumatoide.