TSMPP Appunti - Storia d'Italia - PDF

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These notes cover the required readings and lectures for the TSMPP course, focusing on Italian history from 1861 to 2016, and include chapters on political parties.

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“TSMPP” Testi obbligatori( + ): M. Salvadori, Storia d'Italia. Il cammino tormentato di una nazione 1861-2016, Torino, Einaudi, 2018 - CAPITOLI I-IX + P. Craveri, L'arte del non governo. L'inesorabile declino della repubblica italiana, Venezia, Marsilio, 2016 (fino al dec...

“TSMPP” Testi obbligatori( + ): M. Salvadori, Storia d'Italia. Il cammino tormentato di una nazione 1861-2016, Torino, Einaudi, 2018 - CAPITOLI I-IX + P. Craveri, L'arte del non governo. L'inesorabile declino della repubblica italiana, Venezia, Marsilio, 2016 (fino al declino della prima repubblica – la seconda repubblica, infatti, verrà trattata in classe) Oppure S. Colarizi, Storia politica della repubblica. 1943-2006, Roma-Bari, Laterza, 2016 (edizioni successive sono da considerarsi equivalenti a quella del 2016) (più manualistico e semplice come il Salvadori) Lezione 1 Definizione dei partiti I partiti sono dei fenomeni che nel tempo tendono a modificarsi, poiché sono organizzazioni mutevoli, che o si modificano, o vengono eliminate in base al sistema politico vigente. Le trasformazioni del sistema politico possono addirittura trasformare i partiti politici stessi. Le culture politiche possono trasformare i partiti (ad es. cattolici, socialisti, comunisti, liberali); nel corso della storia le culture cambiano; a volte, pur col trasformarsi delle culture, i partiti sopravvivono lo stesso (es. del Partito Comunista con la cosiddetta “svolta della Bolognina”). Il dato umano/l’uomo/i politici stessi + il cambiamento generazionale: es. De Gasperi-Fanfani nella DC – rottura generazionale + vedere anche le differenze del PCI di Togliatti e di Berlinguer. Studiare un partito significa sapere 3 cose:  Capire quando nasce (ovvero capire in che momento della storia si abbiano le condizioni necessarie per far si che si crei un determinato partito – fase della periodizzazione);  Chiedersi come nasce (quali sono i processi e le dinamiche che portano alla formazione di un partito?);  Capire quale sia la parabola storica di un determinato partito, ovvero conoscere anche come esso evolva a seconda della propria durata/esistenza (perché alcuni partiti durano poco mentre altri esistono da sempre o comunque sopravvivono da molto tempo?). a) Perché si studia il partito? Quali sono le funzioni e i ruoli dei partiti nella contemporaneità? b) In che modo il partito è stato studiato? Quali approcci teorici/interpretazioni/categorie di analisi sono state usate nell’analisi di un partito? a) Risposta: Maurice Duverger (teorico dei partiti + sociologo; nel 1951 scrive “I partiti politici”); fu il primo ad usare un approccio storico-politico congiuntamente all’analisi giuridica (ovvero fondata sulle scienze giuridiche) ed istituzionale (e dunque incentrata sulla storia delle istituzioni). Questo è un approccio multidisciplinare; Duverger fu poi consigliere personale di Mitterrand mentre era il Presidente della Repubblica francese in carica; inventò il termine semi-presidenzialismo per indicare la Francia di De Gaulle; MD: “i partiti si studiano perché i partiti sono il soggetto imprescindibile del funzionamento dei sistemi democratici, cioè di quei sistemi che si affermano in maniera compiuta dopo la WWI, che hanno però radici ancora più lontane della guerra, e sono il risultato dell’affermazione di due culture politiche diverse (quelle dei liberali e dei democratici)”. I partiti sono funzioni di quei regimi politici basati sul principio di libertà e sul principio di eguaglianza (intesa come eguaglianza formale e sostanziale). Poi, si affermano le democrazie, e i partiti le ridimensioneranno di conseguenza proprio poiché le democrazie funzionano grazie ai partiti stessi. Democrazia = ? = governo del popolo, ovvero, la sovranità spetta al popolo; ma il popolo come la esercita tale sovranità? Attraverso 2 forme principali: la democrazia diretta e la democrazia indiretta/rappresentativa/mediata/delegata. Della dem. diretta abbiamo due esempi: quella ateniese (il cosiddetto governo dei cittadini, anche se per gli antichi non tutto il popolo era allo stesso tempo cittadino) + oggi, quelle forme di esercizio popolare come il referendum, l’iniziativa legislativa popolare e la petizione, subordinate però alla legge. Per D., le dem. contemporanee sono regimi politici in cui la sovranità si esprime solo attraverso la delega (e mai in maniera diretta) – ovvero attraverso il principio della rappresentanza + attraverso il popolo che cede momentaneamente la propria sovranità a dei rappresentanti che si accinge ad eleggere. I partiti politici sono i più importanti strumenti di organizzazione e di rappresentanza della delega politica nelle democrazie delegate/rappresentative/democratiche. Il partito è per D. il più importante canale di collegamento tra i cittadini e le istituzioni in democrazia. Ad oggi, le democrazie contemporanee sono per lo più rappresentative (e quasi mai dirette). Tuttavia, quest’analisi di Duverger non basta. Critica a D.: è un’analisi limitata, ma non sbagliata…vale per il futuro, ma non per il passato (problema storico temporale– i primi partiti nascono nel 1830, quindi prima delle dem. delegate – es. del SPD + Zentrum in Germania, Whig e Tories in UK dopo il Reform Act, in Italia + Francia pure…). Perché dunque i primi veri e propri partiti nacquero prima? Le condizioni di Duverger si ebbero solo dopo la WWI, o in realtà anche prima (1830)?. Anche prima in realtà. 2 condizioni: la sovranità spetta al popolo/ai cittadini + devono essere presenti le adeguate istituzioni rappresentative per poter esercitare la delega del potere al popolo. Origine delle condizioni/periodizzazione: in Europa, i regimi politici si succedettero attraverso 4 sistemi: Sistemi assoluti: (Francia post Luigi XIV, la Russia dello Zar, l’Austria): gli Stati assoluti avevano ancora Dio come fonte suprema del diritto – qui non esistevano ancora le 2 premesse di Duverger. Nessuna delle due condizioni di D. è presente né soddisfatta nemmeno parzialmente. Sistemi costituzionali: nacquero in Inghilterra dopo la Gloriosa Rivoluzione ed i moti del 1820-21, 1830-31 e del 1848; i rivoluzionari volevano ribaltare gli Stati assoluti per creare sistemi costituzionali e più liberali – ovvero per contenere il potere della monarchia su carta (es. Costituzione belga, orleanista, lo Statuto Albertino); le 2 condizioni ricorrono? In parte sì e in parte no (i sistemi costituzionali sono sistemi di passaggio; es. della sovranità italiana bicefala: la sovranità/il potere spetta al Re, e solo in seconda battuta al Parlamento). La sovranità non è ancora del popolo. Il titolare dell’esecutivo e del governo è il Re ( dal sistema parlamentare). Le delega esiste? Si, poiché l’istituzione rappresentativa è il Parlamento in Italia + nella Germania bismarckiana abbiamo le 2 camere del Bundestag e del Reichstag. Esiste dunque una sovranità mista, poiché almeno una delle due Camere è rappresentiva; si può dire dunque che siano nati in questa fase i partiti? Ancora no! Poiché rimane forte il potere del re + il principio della sovranità popolare esiste sul piano teorico, ma non su quello reale (es. dello Statuto Albertino: esisteva il referendum, ma la % di persone che potevano votare era molto bassa (2%)). Serviva dunque veramente realizzare un partito per organizzare solo il 2% della popolazione? No. Esistevano però embrionalmente i cosiddetti partiti personali/di rappresentanza individuale/notabilari (es. Tory e Whig prima del Reform Act del 1832 + Destra e Sinistra Storica in Italia – costituivano ancora delle famiglie politiche dette notabilari, e non dei veri e propri partiti). Alcune condizioni erano presenti, ma ancora non erano abbastanza per far si che si formassero ufficialmente i partiti (tutti sulla carta hanno il diritto di voto, ma sono sistemi ristretti, poiché alla fine possono votare solo i maschi, i ricchi, etc…). In parte le due condizioni di D. sono presenti/soddisfatte, ma in parte no. Non nascono, dunque, in definitiva, partiti veri e propri in questa fase, ma soltanto i cosiddetti partiti notabilari/di rappresentanza individuale. Lezione 2 Sistemi parlamentari: qui si hanno finalmente le condizioni favorevoli alla nascita dei partiti. Sono un’evoluzione dei precedenti (nascono negli anni ‘70-80 del 1800). Sono caratterizzati da un rafforzamento del Parlamento (il Governo dipende dalla maggioranza parlamentare + si riduce il potere del monarca e si ampliano i poteri parlamentari). Vi è la fiducia parlamentare e nasce anche il Governo. Si allargano la rappresentanza ed il suffragio (quindi la base degli aventi diritto al voto/base elettorale aumenta, democratizzandosi). Non esiste più il regime bicefalo del sistema precedente; qui la sovranità spetta pienamente al popolo. Il principio della sovranità popolare c’è + anche il secondo principio (quello della delega e delle istituzioni rappresentative) è presente. L’allargamento dell’elettorato consente la nascita dei partiti (=strumenti di regolamentazione del rapporto tra gli elettori e le istituzioni parlamentari), poiché molte persone potranno finalmente votare per eleggere dei propri rappresentanti in Parlamento. Nasce la delega come strumento di raccolta del consenso. I partiti politici veri e propri (detti anche partiti di integrazione sociale poichè consentivano un ampliamento degli aventi diritto al voto sul piano istituzionale anche se ciò non volesse tuttavia dire condivisione sociale) nascono grazie ai sistemi parlamentari (fa eccezione, però, il caso inglese). Esistono partiti sistemici (ad es. liberali e conservatori in UK, che hanno una funzione di consolidamento del sistema politico) ed anti-sistemici/anti-sistema (ad es. l’SPD + tutti i partiti socialisti europei dell’Ottocento). Sistemi democratici: partiti di massa + suffragio universale + istituzioni rappresentative proporzionali + evoluzione. Domanda 1: perché si studiano i partiti? Bisogna retrodatare l’analisi di Duverger: dai sistemi parlamentari in poi, i partiti sono strumenti fondamentali dell’organizzazione e della costruzione della delega (e dunque della rappresentanza politica). Domanda 2: come sono stati studiati i partiti? Attraverso principalmente due tipi di analisi: l’analisi organizzativa (in base al partito nel suo complesso, ovvero in base a ciò che è) e funzionale (in base a ciò che il partito fa). Approccio organizzativo: si analizza il partito solo nella sua dimensione interna/endogena/guardando solo a ciò che il partito sia, ovvero come nasca, che caratteristiche abbia, la propria diffusione geografica e territoriale, il proprio rapporto centro-periferia, come sia composto, quali siano gli organi dirigenti, come avvenga la selezione e l’accesso al partito per i propri membri, etc…in definitiva, è un approccio organizzativo, culturale ed ideologico. Approccio funzionale: si analizza il partito solo nella sua dimensione esterna/esogena/guardando solo al partito rispetto al sistema politico, all’interno del quale il partito stesso si trova ad operare: il partito X è sistemico o anti-sistemico?, tende a fare coalizioni o no?, che strategia ha rispetto agli altri attori politici?, etc… Non vi è dunque una definizione/teoria condivisa e complessiva per analizzare un partito, poiché un partito è entrambe le 2 cose (è un Giano bifronte, poiché “è e fa” insieme). Approcci teorici che analizzeremo: Duverger, Burke, Ostrogorskij, Mosca-Michels-Pareto, Downs, Panebianco e Pizzorno. Maurice Duverger privilegia l’approccio sistemico (o funzionale); i partiti esistono in funzione delle democrazie; ma essi hanno realmente una funzione positiva per la democrazia? Servono o non servono dunque questi partiti? In realtà, non ha senso rispondere a tali domande, poiché la politica col tempo evolve e si trasforma, e, se evolve, col tempo variano anche gli strumenti e le forme attraverso cui la politica si organizza (tra i quali i partiti stessi)(per Ostrogorskij invece vedremo come essi abbiano invece una funzione negativa sulla democrazia). Il partito è solo la forma naturale e concreta attraverso cui la politica risponde alle trasformazioni esterne e si organizza. Approccio detto “darwiniano” di Duverger. Vi è tuttavia anche in D. un po’ di approccio organizzativo, ma in minima parte. Edmund Burke (irlandese): è del Settecento, ovvero scrive circa 200 anni prima di Duverger. Nel 1770 redige un suo saggio importante (i “Pensieri sulle cause dell’attuale malcontento sociale”). Fu un membro dei Whig (progressisti) alla Camera dei Comuni/Camera Bassa (in cui sono rappresentati i vari distretti + vige il principio monarchico ed il pluralismo), che era la Camera di rappresentanza, seppur non ancora elettiva. In UK, il sistema politico era molto avanzato rispetto al resto dei paesi europei. Burke privilegiò un approccio sistemico/funzionale, chiedendosi cosa sia e soprattutto cosa faccia un partito all’interno del sistema politico. I partiti per E. Burke sono “individui tenuti insieme da principi e valori condivisi in nome del bene comune e dell’interesse generale”. Il partito è inoltre definito come “il più importante strumento di esercizio del contro-potere rispetto alla monarchia, che limita l’esercizio del potere assoluto e articola la rappresentanza”. Queste sono tutte parole-chiave tipiche di un uomo inglese del suo tempo: “individui, interesse generale, bene comune ( Hobbes, e soprattutto a Locke)”. I partiti per Burke non sono pericolosi (essi possono sì modificare il sistema, ma non rovesciarlo; per Depretis, Crispi e Bismarck, invece, i partiti sono considerati come uno “Stato dentro lo Stato” – e questo sarà il motivo per il quale essi penseranno che siano molto pericolosi per la sopravvivenza dello Stato stesso). In Inghilterra non esiste tuttavia l’odio/pregiudizio verso il partito, non si pensa che esso sia pericoloso, anzi! ( dal resto dell’Europa continentale). I partiti in UK erano al contrario visti come ottimi strumenti per favorire il consolidamento ed il rafforzamento dello Stato, e non come una setta con interessi particolari contro l’interesse generale (non erano dunque visti come anti-sistema; essi sono compatibili al 100% con l’interesse comune/generale!). La municipalità inglese/pluralismo: vi è un’idea plurale della rappresentanza (essa non è pericolosa, anzi, rafforza proprio il sistema e gli conferisce stabilità; è l’unità che è pericolosa!). Nel caso inglese i partiti sono a servizio del potere (il Parlamento), e NON costituiscono il potere stesso. Lezione 3 Georgij Ostrogorskij scrive “La democrazia e i partiti politici”. È bielorusso ed è un sociologo (fondò la sociologia politica moderna). Fu anche per breve tempo un uomo politico in quanto membro della Duma. Prova a tenere insieme le 2 prospettive di analisi dei partiti (ovvero cosa è un partito + cosa un partito fa). Analizza il caso degli USA e quello dell’UK, ossia il modello anglosassone (entrambi, infatti, costituivano i 2 sistemi politici più avanzati). Pur se diversi tra loro, i 2 tuttavia avevano alcune (3) caratteristiche comuni. In primis, il fatto che nelle democrazie i partiti politici sono in concorrenza tra loro per la conquista del potere (le democrazie sono infatti luoghi competitivi) + la competizione/concorrenza spinge i partiti ad usare le risorse pubbliche ed il potere pubblico per perseguire interessi particolari (ovvero vincere e conquistare il potere) e per meglio collocarsi all’interno della competizione elettorale + la concorrenza ed il potere generano per i partiti 2 conseguenze: si riduce il livello di democrazia interna al partito + la conquista del potere riduce l’autonomia degli eletti, sicché essi non opereranno nell’interesse della nazione, ma solo in qualità di funzionari di partito (dunque, O. ha un giudizio estremamente negativo sui partiti, che sono dunque un male per la democrazia poiché operano come uno “Stato dentro lo Stato”, perché con essi si antepongono gli interessi particolari all’interesse generale, perché si usa la cosa pubblica esclusivamente per certi interessi particolari, perché non essendo i partiti al loro interno organizzati in maniera democratica, essi non potranno mai nemmeno regolare bene la democrazia all’esterno - si abbassa, così, il livello di democrazia interna e si ridimensiona il ruolo degli eletti + la dialettica democratica interna; inoltre, il parlamentare eletto al partito risponde esclusivamente al partito, e non allo stato nella sua totalità). Non si riconosce la libertà di mandato parlamentare + al contrario si riconosce il mandato imperativo (il parlamentare risponde in primis/prima facie al partito e non a chi lo ha eletto/alla nazione). In un partito più compatto e unitario, l’elettore può identificarsi più facilmente, a meno che la pluralità interna di un altro partito non riesca a compattarsi attorno ad una linea/strategia politica unitaria (ad es. la correntizzazione fortissima della Dc; in questo caso tale dialettica fu positiva poiché il pluralismo politico si compattò attorno ad una linea politica unitaria e tale strategia fu funzionante). I partiti sono un male per la democrazia, ma la democrazia è una cosa buona/positiva. Viene allora naturalmente da chiedersi: come possono funzionare dunque le democrazie senza i partiti (ossia senza gli strumenti di aggregazione e di organizzazione del consenso popolare)? Come strumento alternativo ai partiti si ha in primis la democrazia diretta + LE LEGHE. Esse sono organizzazioni che nascono con lo scopo di mobilitare e di organizzare la società, al fine di perseguire determinati scopi (sono simili ai moderni “movimenti”). E che differenze hanno con i partiti? A differenza dei partiti, le leghe non operano dentro le istituzioni (ad es. il Parlamento) + fanno pressione dall’esterno (hanno carattere extraparlamentare, ossia non possono eleggere nessuno). Inoltre, hanno un carattere transitorio (nascono e muoiono; una volta raggiunto un obbiettivo oppure non avendolo raggiunto proprio, la lega si scioglie automaticamente). Non si pongono il problema della conquista del potere in quanto sono strumenti di lotta temporanea. È realizzabile un sistema del genere? La storia ci ha insegnato di no (serve un modo per organizzare e coordinare la rappresentanza). Ostrogorskij ha un vero e proprio pregiudizio verso i partiti (è un sentimento tipico dell’Europa; unica eccezione = UK). Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto, Robert Michels = “gli elitisti”. Hanno un approccio sociologico. Provano a tenere insieme i 2 aspetti (organizzativo e funzionale/interno ed esterno) del partito. Per studiare il partito bisogna usare gli stessi strumenti che si utilizzano normalmente per analizzare qualsiasi altra forma di organizzazione sociale. In tutte le organizzazioni sociali, infatti, esiste una regola condivisa che ne definisce il funzionamento interno: esiste una minoranza che governa (l’élite) ed una maggioranza che è governata (e ciò a causa del disorientamento delle masse, che devono essere necessariamente guidate da un capo; è un concetto simile alla “supremazia del piccolo numero” di Weber). Come si selezionano le minoranze/élite che governano? C’è un ricambio nella selezione di queste élite all’interno dei partiti? Alcuni elitisti (Mosca + Pareto) pensano che se si debbano scegliere i migliori del partito per creare l’élite, ed allora in un caso simile il processo va necessariamente a buon fine. Se c’è un periodico ricambio dell’élite (ovvero se esse circolano - la “circolazione delle élite”), il partito agirà sempre in maniera democratica e funzionale. Michels, invece, dà un giudizio diverso, simile a quello di Ostrogorskij. Michels fu un uomo politico; fu membro dell’SPD nel 1908-1911 (SPD = partito socialdemocratico fortissimo in Germania, e dunque in Europa, in quegli anni; l’SPD guidò la Seconda Internazionale). È d’accordo su come deve essere gestito il partito (élite + maggioranza governata). Per Michels però, l’élite non deve circolare! Nei fatti, il principio della circolazione delle élite è lento o raro; prevale invece la legge ferrea dell’oligarchia (ossia, una volta che l’élite ha ottenuto il potere, tenderà sostanzialmente a preservarlo; cercherà di non far circolare il potere, altrimenti esso si disperderà). Le élite tenderanno allora ad autoconservarsi. Nessuna classe dirigente ha infatti intenzione di perdere il potere conquistato; nessuno favorirà dunque il ricambio/la circolazione dell’élite. Il ricambio del potere può esserci benissimo all’interno del partito (!), però nessuno di chi governa lo vorrà mai favorire/incentivare (!). Anthony Downs è un economista; scrive nel 1957 “Teoria economica della democrazia”. Applicò l’economia politica allo studio della democrazia. È un’analisi semplicistica la sua; si guarda alla democrazia come se fosse un mercato economico in regime di concorrenza. Ci sono 2 attori in un mercato (domanda e offerta). La domanda sono gli elettori + i partiti politici sono l’offerta. L’incontro tra di essi definisce le regole e il processo di selezione della classe politica quanto quello di selezione delle leaderships all’interno dei partiti. Vincerà il partito che meglio concilierà gli interessi dell’elettorato con gli interessi del partito stesso (e quindi vincerà chi ottimizzerà e massimizzerà l’incontro tra domanda e offerta; si vuole massimizzare difatti il proprio profitto e la propria l’utilità). Tale teoria verrà poi definita da Downs come “metodo della scelta razionale dell’elettore”. Sappiamo però che in realtà tale sistema non possa funzionare realmente solo così, poiché ci sono molte altre variabili che possono influenzare il voto di un elettore (pertanto tale metodo è troppo semplicistico in quanto non tiene in considerazione di tutti i vari possibili altri fattori esterni). Ma… Cos’è un partito dunque? Angelo Panebianco (politologo) + Alessandro Pizzorno + Giovanni Sartori + Paolo Pombeni. Serve una definizione che definisca l’ambito specifico di azione del partito; quali sono le sue caratteristiche specifiche? Prima definizione di partito: “Il partito è un collettore del consenso sociale verso le istituzioni”. Collettore = strumento di raccolta, che mette insieme/raggruppa il consenso/dissenso sociale (= insieme di principi/idee/istanze/interessi/richieste/valori che provengono dalla società) e lo indirizza verso le istituzioni. La parola “consenso” va intesa in maniera neutra, e non positiva; può contenere infatti anche il significato di “dissenso sociale”. Nelle democrazie si garantisce il rapporto società-istituzioni attraverso il meccanismo della delega/rappresentanza. Ciò è rappresentabile graficamente in 2 modi: nella prima rappresentazione c’è un ordine preciso: società-partiti-istituzioni. È un circuito chiuso, prestabilito. Nella seconda rappresentazione, invece, la delega esiste pure, però vi è anche una freccia che va all’indietro. Il partito, infatti, si occupa anche di formare il consenso! C’è un processo attivo del partito, che deve attrarre e formare gli elettori (e non solo riceverli e raggrupparli). Non vi è, dunque, un solo rapporto unidirezionale, ma vige anche il procedimento inverso. La seconda rappresentazione, dunque, è quella più corretta (la prima è anch’essa vera, ma meno precisa/puntuale). Partito socialista francese = Sezione Francese dell'Internazionale Operaia (SFIO). Studiare la definizione di “istituzioni”! Questa prima definizione di partito, tuttavia, è troppo generica e non ci dice nulla (sul piano organizzativo e funzionale) circa i caratteri del partito come strumento politico né ci dà informazioni su quando esso sia storicamente nato. Necessitiamo, dunque di una seconda definizione più dettagliata di “partito”. Lezione 4 Vi sono 4 forme di organizzazione sociale. Ma, partito  fazione; partito  cartello; partito  movimento; partito  gruppo di pressione. Ecco perché… Per fazione si intende un raggruppamento a carattere politico o ideologico contraddistinto da settarismo e che persegue i propri scopi/finalità in maniera intollerante o aggressiva. Le fazioni sono forme tipiche del Medioevo (si sviluppano tra il XIII e il XV secolo; ne sono un esempio i Guelfi [sostenitori del Papa] e i Ghibellini [sostenitori dell’Imperatore], neri o bianchi, verdi o rossi o arancioni, etc…). Vi possono essere tra di essi fratture religiose, , culturali, ideologiche, sociali o economiche (rare). Per cartello si intende un’organizzazione che nasce di norma da un accordo transitorio tra soggetti legali o illegali e finalizzato a perseguire uno scopo di natura politica o (nella maggior parte dei casi) economica. Ad es. i cartelli della droga (illegali) (lobby americane = gruppi di pressione; talebani = partito politico armato; partito fascista o le Brigate Rosse = partito-milizia); altri esempi: l’OPEC e le 7 sorelle; i cartelli negli Usa per difendere gli interessi degli industriali nell’Ottocento; nel 1873 in Renania (Germania) il cartello tra i grandi produttori di carbone (erano tutte organizzazioni che raccoglievano gli interessi di parte della società per rappresentarli adeguatamente ed in modo compatto). Per movimento si intende un’organizzazione o un raggruppamento caratterizzato da un’organizzazione poco formalizzata e basata su idee/valori/principi/istanze condivise finalizzate al raggiungimento di un determinato scopo attraverso mezzi/metodi pacifici o violenti. I movimenti, insieme con i gruppi di pressione, possono confondersi facilmente con i partiti. Esempi di movimenti sono “le sardine”, il CLN, Azione Cattolica ed i neocatecumenali, le suffragette, i movimenti per l’aborto, BLM, etc… Per gruppo di pressione si intende invece un raggruppamento caratterizzato da un’organizzazione formalizzata (ossia con regole di base + uno statuto; sono stabilite inoltre l’organizzazione ed il funzionamento dell’organizzazione stessa) che nasce per tutelare interessi di natura diversa (politica/sociale/economica per lo più) con lo scopo di operare pressione dall’esterno direttamente sul sistema politico. Essi condizionano dunque dall’esterno la decisione/agenda politica (è proprio questa la grande differenza esistente con i partiti). Ad es.: i sindacati, le Trade Unions, le lobby (di diversa natura; gli individui che ne fanno parte agiscono tutti insieme affinché i propri interessi siano salvaguardati; in Italia non esiste una regolamentazione legislativa per le lobby). Ora bisogna trovare una definizione valida per il solo partito politico, e non una generale valida per tutti quanti i gruppi. Weber ci fornisce l’idealtipo come uno strumento metodologico di analisi che serve a costruire concetti. L’“idealtipo della forma-partito di Weber” è la modalità di articolazione della sfera pubblica mediante strutture organizzative che riuniscono parti sociali trasformandole in istituzioni (seconda definizione di partito). La forma-partito è dunque un mezzo attraverso il quale la sfera/l’opinione pubblica, ovvero i cittadini, si organizzano e si strutturano, tramite organizzazioni che tengono insieme parti della società. Si tratta del modo in cui la società si articola e si struttura (essa non è infatti un tutt’uno compatto ed indivisibile), in particolare attraverso la nascita di organizzazioni che raggruppano specifiche fette della società. In aggiunta, il partito non è un gruppo sociale qualsiasi; esso è un’organizzazione articolata della società che si trasformerà, prima o poi, in istituzione (!). Il partito è infatti un’istituzione, e non una qualsiasi forma organizzata della società (!). Prima di definire il partito, dunque, è necessario chiarire prima cosa sia un’istituzione. Def. finale e definitiva di partito politico: “il partito è un’istituzione (e non un’organizzazione!) destinata ad intervenire nella decisione politica come canale di regolamentazione dell’obbligazione politica”. I partiti sono organizzazioni che agiscono come una persona fisica (ovvero hanno capacità decisionale) dotata di personalità giuridica propria/autonoma ed indipendente rispetto ai membri che la compongono. Il partito deve avere un riconoscimento giuridico proprio (ossia, deve essere “formalizzato”) + norme codificate/statutarie interne, indipendenti ed indisponibili rispetto ai singoli membri che compongono il partito, che ne definiscano chiaramente il funzionamento e l’organizzazione interna. I sindacati hanno pure dei propri statuti ed una loro personalità giuridica, ma ciò che li differenzia dai partiti è il fatto che quest’ultimi costituiscano un canale di regolamentazione politica (ovvero il fatto che siano proprio essi a produrre la decisione politica; non sono solo semplici strumenti di pressione, essi sono parte integrante del processo decisionale politico; non vogliono premere o influenzare, MA intervenire direttamente da parti attive nel processo politico). Il partito deve decidere, e non condizionare la decisione politica. Per poter prendere decisioni, i partiti si servono dell’obbligazione politica (= il consenso; si occupano della raccolta e della trasmissione del consenso; i partiti sono gli unici veri e propri collettori del consenso sociale verso/nei confronti delle istituzioni). La def. finale non è dunque applicabile ai sindacati, nonostante il carattere istituzionale sia in comune tra essi e i partiti politici moderni. All’esame ci saranno chieste le differenze tra le 4 forme di organizzazione sociale + le definizioni di partito. “Istituzione” = insieme di norme ed istituti che formano lo Stato(!). La def. finale non vale per le fazioni perché non sono delle istituzioni + perchè non hanno in alcun modo l’obbiettivo di produrre decisioni politiche (la prima def. di partito andava bene anche per le fazioni, ma la seconda no!!!; e così anche per i restanti 3 gruppi di organizzazione sociale). Analisi della definizione. Prima rappresentazione grafica dell’ultima definizione di partito (e non di stato!)(è il grafico con le 3 frecce rosse): vedi slide del Pwp. Seconda rappresentazione grafica di partito (3 frecce blu + 1 rossa): qui “istituzioni” sta per “parlamenti”. Terza rappresentazione grafica di partito (2 frecce azzurre + 1 blu scuro). Riepilogo: (vedi slide del Pwp.) 4 frecce rosse e 4 punti: a) il nostro oggetto di studio è il partito politico moderno (ovvero il partito tipico dei regimi parlamentari, frutto delle idee del liberalismo, che evolve grazie all’affermazione delle istanze democratiche) + b)/c)/d). Premesse per far sì che nascano i partiti: la sovranità popolare, la delega politica, le istituzioni rappresentative ed il pluralismo. Serve inoltre una cultura politica liberale, oltre a regimi parlamentari ed istituzionali adeguati. Il liberalismo anglosassone è diverso da quello continentale; il liberalismo non è tutto uguale + il parlamentarismo anglosassone è anch’esso diverso da quello continentale. Lezione 5 I partiti nascono allo stesso momento e con le medesime caratteristiche/funzioni in Europa? Le risposte sono no e no. Il liberalismo non è unitario/tutto uguale, e di conseguenza non esiste un unico modello istituzionale parlamentare. Per studiare i partiti vanno fatte dunque delle differenziazioni (ossia vanno studiati i singoli casi nazionali). La prima distinzione: quando e come nascono i partiti nel modello inglese/anglosassone e nel modello continentale. Il modello inglese Premessa: per poter studiare i partiti dobbiamo studiare il processo attraverso cui in UK si afferma il sistema politico moderno e con quali caratteristiche esso sia nato. In UK , è stato un processo lento e graduale (arco cronologico lungo; dal 1660 al 1800) + la nascita di questo sistema non è stata segnata da scosse/fratture profonde (l’unica è stata parzialmente la Grande Rivoluzione) + è di fatto costituito da elementi di continuità combinati insieme con elementi di novità (è infatti un sistema politico che cambierà nel corso dei secoli, ma mai radicalmente o tutto quanto insieme); si tiene legata la tradizione con qualche elemento di trasformazione/innovazione politica ed istituzionale. È un paese che evolve/progredisce in continuazione, ma mai rompendo definitivamente o troppo rapidamente con il proprio passato. Processi che hanno portato alla nascita del sistema politico inglese: 2 grandi eventi. La “Grande Rivoluzione” (1642-1660) + la “Gloriosa Rivoluzione” (1688-1689). Analogie tra le 2 riv.: sono entrambi processi che precedono di un secolo le rivoluzioni che avverranno nell’Europa continentale (ad es. la Riv. Francese); entrambi includono lo scontro Corona (con la monarchia degli Stuart)-Parlamento e nascono dal conflitto tra questi 2 poteri; in UK, nel 1660 c’è già un primo vero e proprio Parlamento (in Europa ancora NO); esso nacque infatti con la Magna Charta nel 1215; quando apparve per la prima volta, il Parlamento inglese aveva un assetto monocamerale di nomina regia (ossia vi era una sola camera non elettiva e composta dai cosiddetti “Pari” = i membri dell’aristocrazia inglese + i vertici del clero anglicano; aveva una funzione prettamente consultiva = aiutava il sovrano nell’amministrazione del regno + dava dei pareri sull’imposizione di tasse e tributi, ovvero sulla regolamentazione fiscale). Nel 1340 circa, sotto Edoardo III, il Parlamento evolve (una volta cambiata fisionomia, questa rimarrà tale e quale fino al 1660 circa; si passa da un assetto monocamerale ad un assetto bicamerale; Camera dei Lord/Alta + Camera dei Comuni/Bassa; la Camera Alta = camera non elettiva + di nomina regia; la Camera Bassa = camera inizialmente non elettiva e rappresentativa – ma non ancora elettiva; è una camera di delegati che erano stati nominati – e non eletti - rappresentanti dei vari distretti in cui il regno era stato suddiviso, dal momento che anche le minoranze dovevano essere rappresentate in Parlamento!). Per gli inglesi, tuttavia, rappresentare la minoranza serviva a rafforzare lo stato (e non ad indebolirlo); vi è una rappresentanza plurale ed articolata, dove le parti prevalgono sull’unità; UK = paese plurale e non unitario. Nasce così la monarchia “costituzionale” inglese. Entrambe le 2 rivoluzioni non si sviluppano solo sul terreno politico (Corona vs Parlamento), ma anche su quello religioso (che è detto anche carattere meta-politico). In grassetto ci sono le analogie tra le due rivoluzioni dell’Inghilterra. La Grande Rivoluzione inglese: sul trono siedono gli Stuart (Giacomo I Stuart + Carlo I Stuart), ma ad un certo punto vi fu uno scontro tra poteri. I sovrani volevano rafforzare il proprio potere (la monarchia) rispetto al Parlamento + volevano totale libertà sull’imposizione fiscale/in materia tributaria e di bilancio + vi fu un contrasto circa la volontà dei sovrani di voler imporre su tutto il paese l’anglicanesimo come religione ufficiale del regno. L’Inghilterra era un paese pieno di minoranze religiose. Ad un certo punto, però, insorse la Camera dei Comuni contro Giacomo e Carlo Stuart; tale rivolta si concluse con la dittatura personale di Oliver Cromwell (che rovesciò la monarchia ed esautorò i poteri del Parlamento; questo sarà l’unico caso di dittatura in Inghilterra della sua storia; la dittatura di Cromwell finì nel 1658, durando 10 anni circa; fu inoltre proprio Cromwell stesso a creare il Commonwealth). Quando Cromwell morì, una parte del Parlamento che era stato esautorato si auto-riconvocò spontaneamente e pose così fine di fatto alla dittatura. Si ricostituì così il Parlamento + ritornarono gli Stuart sul trono con Carlo II. Si ripristinò la monarchia + si riportarono al trono gli Stuart, ovvero la stessa casata reale precedentemente avuta al trono (questi sono due importanti elementi di continuità rispetto al passato; alcuni re Stuart, infatti, erano stati addirittura decapitati!). Elemento di differenza/novità: si rafforzò tuttavia il potere del Parlamento, che si consolidò poiché fu esso stesso a richiamare sul trono il re; prima, infatti, il Re era tale per volontà divina, e assolutamente NON tale a causa di una semplice nomina da parte del Parlamento! La Gloriosa Rivoluzione inglese: nasce dallo scontro Corona-Parlamento + da un’altra questione religiosa; i re volevano riacquistare maggior potere sul Parlamento + i nuovi re (Carlo II e Giacomo II Stuart) volevano affermare il cattolicesimo come religione di Stato. Il Parlamento insorse nuovamente, MA stavolta senza decapitare il re (=in maniera più pacifica). Giacomo II fu esiliato + si difenderà nuovamente il pluralismo religioso territoriale del regno + si decreterà la destituzione del sovrano e, con essa, la fine definitiva della dinastia degli Stuart in Inghilterra. Nel 1689, attraverso il cosiddetto “Test Act”, viene approvato il “Bill of Rights” (è l’atto che de facto determina in UK il passaggio ad un sistema politico moderno/parlamentare!). La GR si conclude con il Parlamento che ricostituì però l’istituto monarchico, anche se sul trono andò a sedere Guglielmo d’Orange (il marito di Maria Stuart). Elementi di continuità: anche la GR si conclude con la monarchia (che resterà e sopravviverà). Elementi di discontinuità: sono quelli contenuti nel Bill of Rights: esso segnò una limitazione dei poteri del sovrano; previde che il re non potesse più imporre tributi senza il parere vincolante del Parlamento bicamerale + che non potesse più tenere l’esercito schierato in tempo di pace sul territorio nazionale – di modo che così il sovrano, in caso di rivolte interne, non potesse usare l’esercito a proprio piacimento per sedarle. Si ampliarono poi i poteri del Parlamento: il Bill of Rights riconobbe la libertà di parola ai parlamentari, previde la regolarità dei lavori parlamentari (il Parlamento è convocato con regolarità + senza essere sospeso + senza l’intervento arbitrario del sovrano su di esso; si determinò, dunque, de facto una forte autonomia del Parlamento) + l’assetto bicamerale del Parlamento stesso (i Lord continuano ad essere elettivi e nominati dal re + sono rappresentati con essi l’aristocrazia ed il clero di tutto il Commonwealth [ossia di UK + Galles + Scozia + Irlanda] – è la camera della tradizione/della continuità). La Camera dei Comuni diventò invece una camera elettiva (sì suffragio dal basso + sì precisa legge elettorale in essa: diventa una Camera maggioritaria, uninominale ed a turno unico = si elegge 1 solo candidato, ovvero quello che prende più voti [= corsa dei cavalli]; territorio nazionale diviso in tanti collegi quanti sono i seggi da assegnare alla Camera dei Comuni; ogni collegio elegge un unico deputato; in ogni collegio vince chi prende 1 voto in più rispetto a chi arriva secondo; non esiste il doppio turno/ballottaggio + non c’è nessuna clausola di sbarramento o quorum alcuno). Il sistema inglese rimarrà sempre così intatto (eccezione: una sola volta, dopo la grande guerra, si provò a passare al sistema proporzionale, ma senza successo). La Camera dei Comuni è diventata dunque elettiva, ma rimane in piedi in UK l’idea della rappresentanza plurale; il pluralismo deve essere rappresentato (e ciò lo si garantisce attraverso il modo in cui sono disegnati i collegi). In Inghilterra, infatti, i collegi alla fine del Seicento saranno di due tipi + si disegnano i collegi in base alle caratteristiche di ciascun territorio; esistono le contee (le grandi proprietà terriere/circoscrizioni dei nobili, che eleggeranno inevitabilmente più Tories) + i borghi e le città, ovvero i centri/distretti produttivi in cui si cominceranno a svolgere le prime attività commerciali e artigianali, che eleggeranno invece più Whigs). Era così riprodotta l’idea di rappresentanza al meglio, dal momento che erano ritratte tutte le varie articolazioni sociali del tempo. In UK, sarà sempre mantenuta in vita l’idea plurale di rappresentanza! Vi sarà però un suffragio ristretto alla Camera dei Comuni fino al primo Reform Act (= riforma elettorale) del 1832: prima di tale data, infatti, vi saranno requisiti di età, censo/reddito, di alfabetizzazione, di sesso e di istruzione per poter votare legittimamente, e, di fatto, l’elettorato votante sarà pari soltanto al 2% circa della popolazione complessiva (e ciò rimarrà tale fino al 1832). Queste sono, dunque, le condizioni necessarie affinché poi successivamente nascano in UK dei partiti politici veri e propri così come li conosciamo oggi. Lezione 6 A partire dal Bill of Rights si ridefinì il rapporto sovrano-parlamento, e quest’ultimo aumentò di potere rispetto alla corona. Si confermò il Parlamento bicamerale. Il bilanciamento dei poteri re-parlamento: monarchia + parlamento bicamerale che riflette i 3 principi su cui si basa il sistema inglese (balance of power; principio monarchico – la Corona, aristocratico – la camera dei Lord, e democratico – la camera dei Comuni). Sistema uninominale e delle circoscrizioni. Elettorato molto piccolo (2% della popolazione). L’ultimo elemento che manca è che grazie al rafforzamento del ruolo del Parlamento, ad una certa idea di rappresentanza ed alla legge elettorale uninominale maggioritaria, sin dalla fine del ‘600, vi sarà in UK un assetto politico bipartitico (2 forze politiche: Tories vs Whigs; sono 2 partiti molto fluidi e con poche differenze tra di loro). Bipartitismo è diverso da bipolarismo! I Tories sono i custodi della tradizione e della religione anglicana; sono i conservatori; sono monarchici puri (piena fedeltà alla Corona). La provenienza sociale? Sono espressione dell’aristocrazia, terriera (=delle contee) e rurale. La maggior parte dei Tories è eletta nelle contee. Sostengono la monarchia costituzionale. I Whigs sono invece i liberali; sono la componente più progressista e riformista della società inglese; sostengono il pluralismo religioso; sostengono la monarchia, ma sono fautori di un’evoluzione dell’istituto monarchico; sono maggiormente a favore del rafforzamento dell’istituto parlamentare. Sostengono un parlamentarismo più spiccato. I Whigs appartengono al ceto sociale dell’alta borghesia (commerciale, navale, coloniale, marittima), e sono eletti principalmente nelle città e nei borghi produttivi. Tories e Whigs sono definiti come “famiglie politiche”. Il sistema è bipartitico, ma i 2 partiti inglesi non sono ancora veri e propri partiti politici, perché l’elettorato è molto piccolo. Sono famiglie politiche (=schieramenti aperti/fluidi) che riflettono le tradizionali articolazioni della società inglese (sono simili a Destra e Sinistra storica italiana). È un sistema gestito dall’alto, da un’élite; ci sono le elezioni, ma non sono un vero momento di competizione perché votano ancora poche persone. Normalmente chi si presenta viene eletto. Vigerà infatti in Uk il sistema del patronato/sistema patronale fino all’inizio dell’800. Ogni circoscrizione territoriale, infatti, aveva un suo grande elettore di riferimento (un proprietario terriero o un proprietario di fabbrica per lo più), che selezionava il nome del candidato da eleggere (o poteva eleggere alle volte anche se stesso), lo presentata agli elettori, e quel candidato veniva eletto. Era un sistema personale. C’erano anche casi in cui si presentava un candidato Tory in un collegio Whig, ma questo non veniva chiaramente mai eletto (e viceversa). Questo modello elettorale resterà in vigore/stabile fine all’inizio del 1800. Ci saranno poi delle modifiche; il sistema attraversa infatti ad un certo punto una fase di trasformazione. Nasceranno poi definitivamente i partiti attraverso un processo lento. Nell’800, infatti, la classe politica inglese raggiunse la consapevolezza della necessità di adeguare il sistema politico alle trasformazioni che si erano prodotte (all’impatto economico della Prima Rivoluzione industriale, che modificò l’UK territorialmente, economicamente, socialmente ed anche culturalmente). Nacquero le città ed i distretti industriali; le campagne si svuotarono; le circoscrizioni non furono più rappresentative (!). Nacquero pertanto nuove classi sociali (la borghesia capitalistica di Marx; gli operai e i proletari); cambiò l’abitudine ai consumi (divennero più elevati; nuovi stili di vita e comportamenti). Tories e Whigs capirono che tale cambiamento dovesse essere rappresentato anche sul piano politico. Se non lo si rappresenta, infatti, si indebolirà il sistema (della rappresentanza politica); è più pericoloso tenere il sistema chiuso rispetto che allargarlo; bisogna rappresentare i nuovi cambiamenti esistenti, altrimenti il sistema si indebolirà ed imploderà su se stesso. Il sistema politico, per gli inglesi, DEVE in definitiva necessariamente allargarsi sempre per poter rimanere stabile; altrimenti, tenendo fuori le novità (e non implementandole dunque nel sistema), queste agiranno contro il sistema stesso, facendolo prima o poi crollare. Tenere fuori gli estremi è più pericoloso di non legittimarli adeguatamente (per la stabilità del sistema politico; !). La “democrazia consensuale inglese” (non ci sono mai stati stabilmente partiti comunisti + non è mai stata contestata la monarchia). Le leggi elettorali nel corso dell’800, faranno adattare il sistema ai cambiamenti avvenuti. 3 grandi provvedimenti di riforma nel 1800: la riforma del 1832 (“la madre di tutte le riforme elettorali”), la riforma elettorale del 1867 (sotto la regina Vittoria), le riforme attuate tra il 1884-1885. Tutte e 3 hanno 2 elementi comuni: cambiano il sistema dei collegi + allargano l’elettorato attivo/base elettorale (= coloro che possono votare). Il primo Reform Act del 1832: la riforma fu presentata al parlamento dal primo ministro di allora Lord Grey (un Whig). Questa modifica fu ostacolata dai Tories, ma passerà ugualmente grazie ad un fortissima mobilitazione dell’opinione pubblica a favore di tale provvedimento (soprattutto a Londra, Birmingham e Liverpool; nasce lo slogan: “Uguaglianza o morte!”). Si cambiano le circoscrizioni; nascono nuove città con la rivoluzione industriale (Birmingham, Manchester, Liverpool), che spesso però non avevano una propria rappresentanza alla camera dei Comuni; con la legge del 1832 finalmente la avranno. Si tolgono i seggi ai “borghi putridi”/territori spopolati per darli a queste nuove città industriali; si riassegnarono i seggi e si ridisegnarono le circoscrizioni e, di conseguenza, la rappresentanza politica (non aumentarono di fatto i seggi di numero, ma semplicemente si redistribuirono!). Si abbassarono di poco i requisiti dell’elettorato attivo (gli aventi diritto al voto arrivano a toccare il 7%-10% della popolazione complessiva). Si allargò di “poco” l’elettorato attivo per non destabilizzare troppo il sistema (=per non fargli ricevere scossoni troppo forti/pericolosi). Il cambiamento, infatti, non deve essere pericoloso (!). Si cambia, ma solo nella misura in cui si può tenere sotto controllo tale cambiamento (non deve essere un cambiamento destabilizzante/sovversivo). Effetti dell’allargamento e della riforma: A) si rafforzano gli schieramenti parlamentari (Tory e Whig); se vota più gente, essi sono più legittimati (si rafforzano perché poggiano su una base di legittimazione/consenso sociale più ampio). B) si perfeziona il sistema parlamentare; è più legittimato anche il Parlamento per lo stesso motivo (Parlamento più forte e più legittimo). C) si definisce meglio la fisionomia di Tory e Whig (si consolidano le identità dei due partiti politici; iniziano ad avere una fisionomia più chiara e strutturata, e dunque meno fluida; se votano più persone, ti devi far riconoscere definendo meglio la tua identità, ovvero facendo capire meglio all’elettore chi sei, ma anche allo stesso tempo chi non sei). Si differenziano di più Tory e Whig. È sempre meno frequente che un Tory elegga un Whig e viceversa. Nascono i primi partiti politici grazie al primo Reform Act. Con Robert Peel (Tory) nasce il partito conservatore vero e proprio nel 1834; con John Russell (Whig) nasce il partito liberale vero e proprio nel 1839. Tuttavia, non costituiscono ancora dei partiti moderni secondo le definizioni che abbiamo dato (sono dei cosiddetti partiti notabilari/di rappresentanza individuale/personali, ovvero i progenitori dei partiti moderni). Hanno una sola dimensione parlamentare (sono = ai gruppi parlamentari di oggi; sono partiti che operano IN Parlamento; sono privi di un’organizzazione extra-parlamentare – non esiste ancora infatti “la macchina partito”). Questi 2 partiti notabilari organizzano e compattano i vari deputati/parlamentari tra di loro; sono il modo in cui liberali e conservatori organizzano il proprio lavoro parlamentare. Non serve ancora, infatti, un’organizzazione esterna al Parlamento (poiché potrà ancora votare solo il 10% della popolazione). Lezione 7 Gli effetti sociali del primo Reform Act: favorisce il processo di mobilitazione e di partecipazione dell’opinione pubblica su questioni di tipo politico (ad es.: il cartismo (1838-1848); nasce per iniziativa di W. Lowett e F. Place; è = gruppo di pressione). Il cartismo: il documento che sintetizza gli ideali del cartismo è “la Carta del popolo”: portò 3 nuovi temi nel sistema politico: la necessità di democraticizzare il sistema politico ancora di più + il suffragio universale + prestare attenzione alle istanze/bisogni della classe lavoratrice. 6 ulteriori richieste del cartismo: il voto a tutti i cittadini maschi (suffragio universale maschile; età limite: i 21 anni minimo per votare) + si al voto segreto all’interno dei lavori parlamentari + la libertà di mandato (per una maggiore autonomia e indipendenza del parlamentare) + l’introduzione delle indennità parlamentari (sempre per una maggiore indipendenza del parlamentare; anche i membri di classi sociali meno abbienti possono svolgere la funzione di parlamentare) + una ulteriore revisione delle circoscrizioni + nessun obbligo di proprietà per essere eletti (= non dovevi necessariamente essere ricco per essere eletto) + si richiedevano le garanzie per un corretto svolgimento del lavoro parlamentare (nei lavori parlamentari non doveva interferire nessuno, e men che meno la monarchia). All’inizio questi punti vengono rifiutati. Il cartismo è simile al concetto delle leghe di Ostrogorskij; il movimento cartista durò solo un decennio; alcuni elementi della “Carta del Popolo” saranno recepiti però successivamente, e non subito. Nasce una lega per l’abolizione dei dazi sul grano a Manchester (sopravvive un paio di anni e poi si scioglie, come molte leghe d’altronde; se ne creeranno anche altre in diverse città inglesi; non avrà grande seguito politico) negli stessi anni del cartismo; i cartisti anticipano tecniche di mobilitazione che poi saranno fatte proprie dai partiti politici (comizi, assemblee pubbliche, manifestazioni di piazza, le fiaccolate, i sit-in – tutti strumenti utili per la costruzione e la raccolta del consenso). I partiti nascono quando le società sono altamente analfabete; come fai a creare consenso se la gente non sa leggere o scrivere (ad esempio non ha senso scrivere manifesti o saggi politici se nessuno li sa leggere!)? Attraverso la mobilitazione fisica (comizi, assemblee, identificazione del leader intesa come premiership, slogan vari) + attraverso i simboli (importanza della simbologia; essi hanno un valore culturale e storico; i simboli sono visivi, non hanno scritte, manifestano un’identità precisa e sono per lo più disegni) e le immagini + l’uso del colore (altro strumento di riconoscibilità e di identificazione). Le prime forme di utilizzo di queste tecniche le troveremo in UK, dunque, con i cartisti. Il secondo Reform Act: 1867; siamo nel regno della regina Vittoria (regno: 1834-1901); alternanza ciclica tra William Gladstone (liberale) e Benjamin Disraeli (conservatore) al potere parlamentare. Per volontà di Disraeli entrò in vigore il Secondo Reform Act (il primo invece era subentrato per volontà di un progressista). Anche i conservatori preferirono allargare il sistema piuttosto che restringerlo, per poterlo estendere e mantenere così stabile. Essere conservatori nell’Europa continentale = protezione e consolidamento dello status quo (in UK tuttavia è diverso). Disraeli: pesante politica riformista estremamente avanzata sulla scuola pubblica, sulla sanità, sul lavoro – misure a sostegno della malattia del lavoratore (per potenziare il welfare e i diritti sociali). I conservatori inglesi sono diversi da quelli dell’Europa continentale: essi non hanno nulla intatto da conservare, essi possono permettersi di essere riformisti (quasi come i liberali) perché la storia inglese non è stata fatta da rovesciamenti o colpi di stato troppo destabilizzanti (in Italia, Germania, Francia invece si); c’è un consensualismo di fondo che non viene mai messo in discussione. Certamente i conservatori faranno riforme su temi diversi da quelli dei liberali, ma comunque saranno anch’essi riformisti. Il provvedimento del 1867 passò dunque facilmente. Fu molto simile al primo Reform Act, ma ci fu stata la seconda rivoluzione industriale di mezzo (effetti: modifica della composizione sociale, vi sono più borghesi e più proletari, cambia ulteriormente il volto delle città industriali): si ridisegnarono allora nuovamente le circoscrizioni, ma il numero dei parlamentari rimase stabile. Si allargò ancora il suffragio/elettorato attivo (e si abbassarono i requisiti di reddito, etc…). Si volle rendere il Parlamento più rappresentativo; l’elettorato si allargò, ma non di tanto (si arrivò infatti a far votare il 15% della popolazione). Con il nuovo Reform Act poté votare l’elettorato urbano/delle città + 2 nuove classi sociali: gli operai più ricchi e gli artigiani più benestanti. Gli elettorati delle zone agricole voteranno i Tories, i cittadini/industriali invece i Whigs; ora il Parlamento rappresentava meglio la configurazione territoriale del regno. L’allargamento fu però sempre graduale! Il cambiamento non deve essere destabilizzante. Effetti politici del Reform Act II: si amplificano le conseguenze del Reform Act I; si accentuano le differenze tra liberali e conservatori; diventa importante il ruolo della propaganda (poichè l’elettorato si amplia); si ha la nazionalizzazione della politica (la partecipazione politica comincia a diventare un fatto nazionale; la politica cambia scala e si nazionalizza); la propaganda passa non attraverso la stampa, ma attraverso comizi, assemblee, etc. per costruire e rafforzare il consenso politico. Emerge la figura del leader di partito, in cui l’opinione pubblica si può identificare. È il più riconoscibile dei membri e rappresenta l’identità politica del partito cui appartiene + è la figura in cui tutti si possono riconoscere. In tutto questo, con il Reform Act II, il Parlamento si rafforza ulteriormente poiché si è allargata la base elettorale (portandosi così dietro, sempre maggiore consenso e legittimazione). Ecco l’effetto più importante del 15% dei votanti: per poter essere eletti, non si può più contare sul modello patronale (NO elezione diretta e personale; la politica si è infatti nazionalizzata; si ha bisogno necessariamente del partito politico!). Con il Reform Act II, si creò la necessità di dotarsi di strumenti di organizzazione politica nuova, ossia di partiti politici veri e propri, moderni. Nacque in UK per la prima volta ufficialmente il partito politico moderno (!). Il primo partito moderno a nascere sarà a Londra nel 1867 la Nucca (un partito conservatore). Il secondo sarà qualche anno più tardi nel 1877 a Birmingham l’NLF (un partito liberale). Lezione 8 La Nucca, diversamente dalla NLF, non è ancora un partito moderno. È un’organizzazione extra- parlamentare, ossia è una struttura che opera fuori dal Parlamento; nasce su iniziativa, però, del gruppo parlamentare dei conservatori. Ha un’organizzazione esterna al Parlamento, per raggiungere così più consenso possibile e far eleggere i conservatori. Nasce, infatti, con lo scopo di creare tra le nuove masse di elettori più consenso per i conservatori. È il braccio esterno del partito parlamentare dei conservatori. È un partito legato a filo doppio ai conservatori (elettorato più largo: si deve diffondere anche tra di essi l’ideale conservatore). Si raccoglie, ma si crea anche, il consenso necessario. Per circa un ventennio la Nucca manterrà un carattere transitorio, e diventerà operativa solo a ridosso delle tornate elettorali del 1874, del 1880 e del 1884; funziona come i comitati elettorali + non ha un carattere permanente. È diffusa su tutto il territorio nazionale; è strutturata internamente, ma non è stabile/fissa (sarà invece intermittente; diventerà stabile negli anni ’90 del 1800 – si chiamerà allora non più Nucca, ma “Partito Conservatore”). L’NLF: è a tutti gli effetti il primo partito politico effettivo della storia inglese; viene fondato da Joseph Chamberlain (liberal-progressista, era un liberale radicale molto riformista); nasce per iniziativa del partito parlamentare liberale con lo stesso scopo della Nucca ( = di adeguare un nuovo strumento politico alle mutate condizioni del rapporto tra eletti ed elettori). Ha carattere extraparlamentare; è diffusa su tutto il territorio nazionale; favorisce l’adesione del nuovo elettorato alle idee liberali attraverso un programma (ha un carattere permanente, e non transitorio!). È stabile, fissa, non si ricongiunge solo per le tornate elettorali come la Nucca. Al vertice della piramide gerarchica dell’NLF c’è un Presidente, sotto di esso un Segretario di Partito e infine un Tesoriere (è una figura nuova e particolarmente importante; gestisce i fondi del partito; deve fare attività di found-raising, ovvero di raccolta fondi, per poter così sostenere economicamente i candidati alle campagne elettorali). L’NLF vuole rinsaldare il rapporto tra il candidato ed il suo territorio/circoscrizione in cui si è candidato, per poter così essere eletto più facilmente (= miravano ad una forte rappresentanza territoriale). Polemiche derivanti dalla nascita dell’NLF: fu definita come la “the Caucus” (= organizzazione mafiosa) di Birmingham. Prima critica: la nascita dei partiti politici avrebbe segnato la fine del modello inglese. Cambiano i presupposti del sistema edificatosi precedentemente. Si è allargato il suffragio + sono nate organizzazioni politiche extra-parlamentari (minore centralità del Parlamento) = il sistema entra in crisi. Seconda critica: la comparsa del partito politico extra-parlamentare determinerà come conseguenza diretta che gli interessi particolari/settoriali prevarranno sull’interesse generale. Terza critica: una politica fatta da partiti extra-parlamentari metterà prima o poi in discussione la concordia generale sui capisaldi del sistema; ognuno difenderà i propri interessi, e non più quello comune. Una politica di partiti bloccherà inoltre la dialettica politica + la capacità di mediazione e la ricerca del compromesso + snaturerà la funzione del Parlamento stesso. Tra partiti, si discute, ma non più fino al punto da mettere in discussione le proprie identità; nell’ Italia pre-fascista fu reso impossibile il compromesso tra i partiti (vi fu il cosiddetto “veto Sturzo-Giolitti”; Sturzo, popolare, non si alleò con i socialisti di Turati); c’è un punto oltre il quale i partiti non si spingono più. Le identità forti dei partiti rendono più difficile la ricerca del compromesso, ossia si è meno disposti ad accettare la logica del compromesso una volta che i partiti si sono strutturati maggiormente al loro interno. Altra critica: la comparsa dei partiti nel sistema inglese determina un cambiamento nella selezione della classe politica (non c’è più il patronato; prima la classe politica si formava degli “elementi migliori” – i più acculturati/più ricchi della società; ora, il processo di selezione della classe politica cambia: i partiti scelgono chi candidare – selezioneranno, dunque, ancora gli elementi veramente migliori? NO). I partiti selezioneranno, per i critici, i demagoghi (= i più capaci di attrarre il consenso delle masse, i sobillatori delle folle), e non più gli elementi migliori della società. Una politica di partiti guarda alla pancia/ventre, e non alla testa/ragione, e per gli estimatori del vecchio sistema inglese ciò è estremamente spaventoso. Vincerà, dunque, chi saprà conquistarsi più consenso non con la ragione, ma convincendo le masse irrazionali e credulone attraverso la passione (passione vs ragione!). Penultima critica sui partiti: i parlamentari non risponderanno più dell’esercizio delle loro funzioni alla nazione intera, ma solo al partito/ai partiti che li avranno eletti in Parlamento; risponderanno, pertanto, ad interessi di partito e non più ad interessi nazionali (sono, infatti, funzionari di partito, e non più rappresentanti della nazione). Ultima critica al sistema inglese: i partiti decreteranno la fine del modello del “government by discussion” (ora, si ha il “modello Westminster”, detto anche “party system” o “party government”), e ciò porterà ad una perdita totale della centralità del Parlamento (=la politica diventerà extra-parlamentare); la politica non sarà più un luogo di discussione e di mediazione di interessi diversi (= si rappresenteranno gli interessi, ma non li si metteranno più in discussione). L’esecutivo doveva mettere in pratica la logica di discussione compromissoria che caratterizzava i lavori parlamentari, ma tutto ciò è ormai saltato. Per i critici, dunque, i partiti d’ora in poi non miglioreranno più il funzionamento/perfezionamento del sistema, ma lo corromperanno fino ad un punto tale da farlo saltare/implodere/crollare su se stesso. Tuttavia, ciò in realtà non si verificherà mai storicamente nel UK. Ciò accadrà, invece, nell’Europa continentale (Francia, Germania, Italia). Per i critici, i partiti sono un male, una minaccia, corrompono e fanno degenerare i sistemi politici!. Dopo il Reform Act II, nascono i partiti politici veri e propri, con funzione sistemica (NLF sicuramente si, la Nucca pure, ma inizialmente in parte poichè avrà soltanto un carattere transitorio/transeunte; funzione sistemica = partiti che diventano i bracci esterni del Parlamento) e carattere extra-parlamentare. Effetti sociali del Reform Act II: si amplificano gli effetti del Reform Act I, si allarga l’elettorato, politica che si nazionalizza, alfabetizzazione politica che cresce sempre più, accanto ai partiti nascono anche i club, associazioni con lo scopo di organizzare attività ricreative (dopo-lavoro, infanzia, famiglia) affiancando i partiti nell’intento di costruire una precisa idea politica (conservatrice o liberale che fosse). I club vogliono formare culturalmente l’opinione pubblica, sin dalla tenera età (il primo club nacque nel 1883 con Randolf Churchill, un conservatore: fu la Primerose League, così denominato in onore della regina Vittoria). La Primerose League aprì alla partecipazione femminile (novità!) + non c’erano vincoli sociali (potevano partecipare tutti i ceti della società del tempo). Mettendo a contatto persone del popolo con aristocratici, si dava l’illusione al popolo di essere maggiormente vicino alla classe aristocratica. All’interno dei club, vi erano poi alcune regole che ricordavano molto la massoneria (c’erano gradi di iniziazione, dame, cavalieri). Nacquero, poi, con il Reform Act II delle organizzazioni a tutela dei lavoratori (in un momento storico in cui esistevano già Marx e la Prima Internazionale). Gli operai votano più per i liberali, ma anche per i conservatori durante i loro periodi più riformisti (l’elettorato inglese, infatti, non avrà mai complessivamente dei valori ideologici fissi/sempre predeterminati). L’UK è il primo paese in cui nascono i sindacati (le Trade Unions a fine 1800; in Europa continentale nasceranno solo all’inizio del 1900 – ovvero circa 80 anni più tardi). Le Trade Unions sono ammortizzatori sociali, che difendono i lavoratori (proprio per questo motivo in Uk non sono mai serviti dei partiti specifici a tutela dei lavoratori, in quanto essi erano già abbondantemente difesi dai sindacati). In Francia e Germania accadde invece l’inverso. Il sindacato (ricorda: essi hanno carattere giuridico!) legalizza ed incanala la protesta e la lotta politica dei lavoratori verso le istituzioni. Così facendo, i partiti dei lavoratori erano superflui in Uk, poiché esistevano già le Trade Unions. In Italia e in Europa, invece, gli interessi dei lavoratori non erano affatto ben tutelati, e i sindacati nacquero e si svilupparono insieme ai partiti politici proprio a sostegno dei lavoratori stessi. Paolo Pombeni = storico e politologo italiano molto importante. Lezione 9 Le Trade Unions = gruppi di pressione; nonostante il discorso fatto, negli anni ’80 nascono delle organizzazioni (2) per difendere (al di fuori dei partiti e dei sindacati) gli interessi delle classi lavoratrici: sono il risultato del marxismo europeo. Posseggono però le specificità del caso inglese, in quanto sarà un marxismo temperato/attenuato/incorniciato proprio nel sistema politico inglese (e, dunque, non un marxismo radicale). La Socialdemocratic Federation (nata nel 1881): nasce con l’obbiettivo di richiedere la terra per i contadini; cambia subito fisionomia – nel 1881-82 cambia faccia: abbandona la lotta di classe per i contadini e gli agricoltori allineandosi agli ideali/postulati teorici marxisti continentali. I membri ti tale federazione inserirono pertanto nel loro programma politico diversi punti da realizzare: la costruzione delle “workhouses” per i lavoratori + la scuola gratuita per tutte le classi sociali + la riduzione dell’orario di lavoro (max. 8 ore di lavoro al giorno) + la statalizzazione delle banche e delle ferrovie + la nazionalizzazione della terra. Dal 1883 al 1890, la S. Federation sarà attiva, e organizzerà molti scioperi e manifestazioni dei lavoratori contro la disoccupazione ed i bassi salari (e questo in tutto il paese; ha, infatti, carattere nazionale). Impatta poco sull’agenda politica di Gladstone (liberale); la sopravvivenza di questa organizzazione dura un decennio – essa andrà poi in crisi per una ragione tipica delle associazioni socialiste, ovvero per un dissidio interno tra i dirigenti della S.F. sul metodo della lotta politica – ovvero su come si dovesse combattere. La S.F si spaccò allora in 2; i minoritari (marxisti) pensavano che lo strumento della lotta politica dovesse essere la rivoluzione/la lotta extraparlamentare (e non l’uso di strategie legalitarie) + i maggioritari all’interno dell’organizzazione erano invece allineati al socialismo europeo dell’epoca: per essi, infatti, la strada del cambiamento doveva essere quella legalitaria, ossia del difendere gli interessi dei lavoratori all’interno delle stesse istituzioni (attraverso la cosiddetta “costruzione del socialismo di Stato dall’alto” + delle riforme; sarà una strategia ripresa in futuro dal PSI italiano e anche dal SPD tedesco). Proprio questa diversa visione strategica ne decretò lo scioglimento. Filippo Turati e August Bebel sono marxisti. Il Labour Party. Lenin attuerà una rivoluzione marxista-comunista vera e propria in Russia. La Fabian Society (nata nel 1884): nasce più vicina al Reform Act III che non al II, a Londra. Thomas Davidson (filosofo) è il loro punto di riferimento. Si vuole costruire una società socialista; è una visione socialista-utopista, simile a quella di Owen, Proudhon, Saint-Simon, Blanqui. Il progresso dipende dal benessere di tutta la società, che a sua volta dipende dal benessere dei singoli individui. La cooperazione di classe e gli “ateliers nationaux”; benessere sociale. Si vogliono mettere in atto misure per un’elevazione generale di tutte le classi sociali della società. Con la cooperazione sociale, le classi meno abbienti possono avvicinarsi alle classi sociali più abbienti. Si vuole lavorare ad un programma di riforme; si vuole costruire il socialismo attraverso una “via graduale” di riforme, col tempo/gradualmente. Tale tipo di socialismo deve però essere attuato dentro le istituzioni (ossia per vie legalitarie; è diverso da ciò che presupponeva Marx). Bisogna portare le istituzioni attuali verso il socialismo. È un progressivo riformismo. Il fabianesimo (detto anche fabianismo) è un movimento politico e sociale britannico di ispirazione socialdemocratica. Il nome Fabian si ispira a Quinto Fabio Massimo. Il nome della Società deriva infatti da quello del generale romano, detto il Temporeggiatore, che evitava le battaglie campali per poi gradualmente logorare le forze nemiche. Anche la F.S. non ha grande impatto sul sistema, ma sopravvive più a lungo della prima associazione (sarà infatti operativa fino al 1946). L’ultimo blocco di riforme: il Reform Act III. È del 1884-1885: ha aspetti molti simili ai primi due (allargare l’elettorato + ridisegnare le circoscrizioni territoriali). In UK, fu varato dal primo ministro Gladstone. EFFETTI: si allarga l’elettorato fino al 35-40% della popolazione totale; si rafforza il bipartitismo; fusione delle strutture parlamentari ed extra-parlamentari; si radicalizza il confronto politico; la politica si nazionalizza e si politicizza socialmente sempre più; si riduce la frattura società civile- istituzioni (=si riduce la forbice/la distanza tra paese legale e paese reale). Il “paese legale” sono le istituzioni; il “paese reale” la società. La forbice si chiude definitivamente solo col suffragio universale. In Italia la forbice è momentaneamente aperta. In Uk, invece, attraverso i partiti, la forbice si chiude. Con il Reform Act III, l’Uk passa DEFINITIVAMENTE da una forma di governo parlamentare (= “government by discussion”) al modello o sistema Westminster (= “party government/system”). Il “Government by Discussion” è quel metodo di governo che nacque e si rafforzò dal Bill of Rights fino al Reform Act II. Vige la centralità del Parlamento + si governa esso, concependolo come il luogo per antonomasia di rappresentanza e di discussione/dibattito/confronto/scelta politica + si ha con esso la progressiva affermazione dei partiti, prima come famiglie politiche, poi come partiti di rappresentanza individuale e, infine, con la Nucca e l’Nlf. In Parlamento (= il potere forte), attraverso la mediazione ed il confronto, si prendono le varie decisioni politiche. Il “Sistema Westminster”: qui i poteri forti sono il Parlamento, affiancato dalla legge elettorale + il Governo; è un modello parlamentare (= parlamentarismo); il Parlamento è il cardine dell’assetto istituzionale + resta un organo rappresentativo e decisionale. Il Parlamento rimane invariato. Il sistema maggioritario uninominale a turno unico consente ancora che la rappresentanza sia semplificata, e ridotta a 2 uniche forze politiche + pochi partiti in Parlamento (fino ad un massimo di 3: liberali, laburisti e conservatori); tale sistema maggioritario consente una maggioranza ed una minoranza omogenee. Vi sarà, infatti, una maggioranza coesa, ma un’opposizione altrettanto coesa/non frastagliata (in modo da non far disperdere voti). Il Governo: dipende dal Parlamento e ne è dipendente; vige la questione di fiducia tra i 2; il Governo presta giuramento davanti al Parlamento, ma è investito formalmente e simbolicamente dal re. Provvedimento di D.L. George (liberale) nel 1909-1910: il People’s budget (è una tassa patrimoniale); i Lord vi si oppongono ed il sovrano interviene. W. Churchill era pure favorevole a tale provvedimento. Il re minaccia i Lord di un rimpasto, e li fa votare a favore del “People’s Budget”. È un raro caso di un diretto intervento del re in politica (un altro si avrà quando la Corona – ossia la regina Elisabetta - interverrà nei confronti di Margaret Thacther nella guerra delle isole Falkland/Islas Malvinas, per indurla a non fargliela combattere). Il “Parliament Act” del 1911: sancisce ufficialmente il principio del “no taxation without representation”. E’ approvato da entrambe le camere. I Lord non possono più esprimere pareri sul bilancio statale. Il primo ministro non è un “primus inter pares”, ma è superiore rispetto agli altri (in Italia, il Presidente del Consiglio dei ministri lo è, poiché i ministri giurano davanti al Presidente della Repubblica, e non davanti al Presidente del Consiglio dei ministri, o PcM). In UK, il Primo Ministro ha poteri ufficiali/formali di nomina e revoca dei ministri. In UK ed in Italia, il primo ministro è eletto indirettamente, poiché si sa già che il leader di partito costituirà il leader della maggioranza parlamentare, e sarà infine investito come primo ministro (tuttavia ciò non avviene formalmente attraverso un’elezione diretta). In base alla legge elettorale, in UK, vince o un partito o l’altro; chi è leader di partito non va a guidare il governo, ma da leader di partito diventa conseguentemente leader della maggioranza parlamentare (e poi direttamente primo ministro). Il partito allora ha un ruolo di secondo piano: a quel punto, si avrà esclusivamente l’obbiettivo di compattare la propria maggioranza, e non ci sarà più bisogno del ruolo di leader di partito. In un sistema multipartitico, invece, come in Italia, sono in vigore le coalizioni, e non è detto che, come in UK, il leader di partito sia anche leader della maggioranza. Es. del governo pentapartito/multicolore italiano: Spadolini prima, e Craxi poi (non si scelse dunque a capo della coalizione dopo De Gasperi un altro leader democristiano). Lezione 10 Riassunto sul modello inglese: Organicismo sociale di fondo inglese: vi sono idee di fondo condivise che non vengono però mai messe in discussione (es. la monarchia); si ha una determinata legge elettorale (uninominale a turno unico; mai modificata) che riflette la rappresentanza in un sistema bipartitico come quello anglosassone. Nucca + NLF; quelli inglesi rimangono partiti sempre sistemici; dal II al III Reform Act, l’organo/istituto centrale resta il Parlamento, nonostante l’esistenza dei partiti. Il Primo Ministro (PM) è l’elemento di cerniera tra i due. In Europa continentale si agì diversamente. I partiti nel modello continentale (=in EC, Europa Continentale): i partiti politici in Europa nacquero solo con la presenza di alcune specifiche condizioni, ossia solo con la formazione di regimi politici moderni (=GB/UK; anche qui infatti ci dovevano essere le medesime condizioni: legittimazione dal basso, ossia un ampio suffragio + divisione dei poteri + nascita di istituzioni rappresentative, con i sistemi di rappresentanza e di delega); come e quando si determinano dunque tali condizioni in Europa? Con quali processi storici? In che modo? Periodizzazione: la data è il 1789 (la Rivoluzione Francese), ossia un secolo dopo il Bill of Rights inglese; l’impulso alla trasformazione dei regimi politici parte in Francia, ma poi si estende in tutti i paesi europei limitrofi con tempistiche diverse. C’è una matrice comune per tutti i paesi europei continentali, ma poi le diverse parabole dei vari paesi si declinano diversamente. In Europa, il cambiamento avviene attraverso rivoluzioni, traumi profondi, moti rivoluzionari e rovesciamenti violenti del potere + NON si conservano elementi di continuità con il passato/con i regimi precedenti + il soggetto di tali rivoluzioni è la borghesia, che, per difendere i valori ispirati all’Illuminismo ed al razionalismo, mirano a rovesciare l’ancien regime e a costruire sistemi politici nuovi (in UK, i motori della rivoluzione sono invece la monarchia ed il Parlamento stesso; in Europa, il soggetto sociale non è un’istituzione esistente promossa dal continente!). La rivoluzione vuole costruire qualcosa di nuovo + investe a pieno l’assetto politico ed istituzionale; cambia il terreno della rivoluzione; non è uno scontro tra poteri, ma variano del tutto la forma di stato e/o di governo, implicando un rovesciamento politico-istituzionale totale (in UK, invece, vi era un insieme di fattori meta-politici, religiosi e, solo infine, politici [e non solo politici, dunque, come in Europa per causare una rivoluzione]). Quali sono i principi su cui su deve basare il nuovo regime? Si aspira ad una nuova forma di Stato + al principio della separazione dei poteri + ad una diversa idea di sovranità, con un rovesciamento dell’ancien regime. La sovranità deve spettare al popolo (visto non come sudditi, ma come cittadini) mediante l’uso di istituzioni rappresentative (si all’uso della delega); qual è l’idea di rappresentanza alla base dei sistemi politici moderni nell’Europa continentale? È diversa dall’idea di rappresentanza inglese? Assolutamente si, perché è una rappresentanza ispirata ad un pensiero politico (deriva da Rousseau; si fa riferimento, infatti, alla “volontà generale”). La rappresentanza (unitaria, integrale ed organica) deve essere ispirata alla volontà generale; si governa in nome di tutta la nazione, intesa come entità omogenea, unitaria e priva di articolazioni. Non c’è, dunque, spazio per il pluralismo e le articolazioni, né devono esistere spazi intermedi tra i cittadini e lo Stato; vi è un rapporto diretto tra la sovranità popolare e le istituzioni rappresentative. Ogni individuo ha un rapporto diretto col potere + no pluralità + no spazi intermedi (in UK, invece il sistema nacque presupponendo proprio alla base il pluralismo, che abbiamo visto essere un fattore positivo e di stabilità del sistema politico stesso!). Perché allora in Europa il pluralismo ha un’accezione negativa? Perché non esiste proprio il pluralismo? In Europa, i nuovi regimi politici sono costruiti contro una controparte/contro qualcuno; in Francia, ad es. la Terza Repubblica (che fu la forma di Stato repubblicana nata in Francia dopo la sconfitta di Sedan [1º settembre 1870] durante la guerra franco-prussiana) fu un regime nato contro Boulanger, Mac-Mahon + l’affaire Dreyfus; vi è una idea di rappresentanza difensiva in Francia (in UK c’è sempre stato consensualismo diffuso, ma in Europa no: vi sono sempre state contrapposizioni sul sistema politico). Si utilizza una logica difensiva quando un regime non è condiviso da tutti. L’idea alla base è: la rappresentanza è intesa in senso unitario e organico (= chi governa rappresenta tutta la nazione + non ci sono articolazioni); la nazione è intesa in senso unitario; non esiste uno spazio intermedio tra i cittadini e lo Stato. La logica di tale rappresentanza è di tipo difensivo, ossia dipende dal modo in cui questi nuovi regimi politici sono stati costituiti; per difenderli, infatti, bisogna negare il pluralismo, poiché può essere pericoloso per la sopravvivenza del regime stesso. I nuovi sistemi politici nascono su una profonda frattura istituzionale, che si accompagna ad un’idea di rappresentanza che rifiuta il pluralismo + il concetto di avere tante parti e che di conseguenza rifiuta i presupposti su cui dovrebbero nascere i partiti. Ciononostante i partiti in Europa nascono comunque, ma all’interno di questa distanza, in questa frattura/forbice esistente tra l’idea di rappresentanza “chiusa” e la società stessa. Non nascono (i partiti) per unire paese reale e società come nel sistema inglese, ma per rappresentare una società che le istituzioni non ritraggono affatto; i partiti europei nascono, dunque, dentro la società e contro il sistema (in origine saranno tutti partiti extra-parlamentari ed anti-sistemici, per rappresentare parti di società che le istituzioni non vogliono ritrarre). Si usa una strategia difensiva per difendere i sistemi appena creati senza rappresentare la diversità ed il pluralismo (i partiti invece hanno proprio la funzione opposta, ed è proprio per questo che nascono in maniera extra-parlamentare; sono anti-sistemici perché vogliono portare la rappresentanza totale in un sistema che non la presuppone minimamente). Ci si chiude per difendersi: il pluralismo porta nemici dentro le istituzioni; chiudendosi, però, più si tende ad escludere più chi si organizza mirerà a modificare e/o a rovesciare il sistema. Questa è la matrice comune di tutti i partiti che nascenti nell’Europa continentale. La Francia non la studieremo, l’Italia e la Germania invece sì. Diversamente dalla Francia, l’Italia e la Germania non solo cambiano regime, ma hanno una sfida in più: l’unità. I processi di unificazione la Francia non li deve affrontare, Germania e Italia invece si. Si ha una rivoluzione nella rivoluzione. In Germania, si passa da una confederazione di stati tedeschi ad un Reich; in Italia, si deve passare invece da 7 stati al Regno d’Italia. Bismarck in Germania + Destra e Sinistra storica in Italia. I partiti nascono in seguito a cambiamenti di regime + a seguito dei processi di unificazione e delle conseguenti fratture che tali processi hanno apportato nei 2 paesi. Italia: Risorgimento + moti unitari in Italia; 1871 nasce il Regno d’Italia. Ha fratture territoriali (Nord- Sud), economiche (“Italia a tre trazioni”), diversità culturali, sociali e amministrative. È un regno che nasce diviso; è attraversato da fratture che Dx. e Sx. Storica dovranno provare a risolvere e a sanare. Vi è l’idea della rappresentanza unitaria. Ora, definiamo l’assetto costituzionale del Regno italiano + quali siano le forze politiche legittimate a governare. Lo Statuto Albertino equivaleva alla carta sabauda/del regno di Sardegna estesa a tutta Italia (fu poi abolito solo nel 1946), a definizione dell’assetto costituzionale italiano. Il governo è una monarchia costituzionale; ci sono il re + i ministri del re; l’esecutivo è nelle mani del re ed il governo è determinato solo dal sovrano (non vi è alcun rapporto di fiducia con il Parlamento da parte del re); il re ha ampi poteri in politica estera (si veda l’art. 5 dello S.A.) e sull’esercito; manca tuttavia il rapporto fiduciario. Il Parlamento è invece previsto + ha un assetto bicamerale (Camera dei deputati + Senato del Regno; sono = alle due camere inglesi). La legge elettorale è maggioritaria, uninominale ed a doppio turno (ovvero prevede il ballottaggio). Si aveva il meccanismo di conversione dei voti in seggi + l’esercizio del diritto di voto lo possedevano i soli maschi alfabetizzati + vi erano requisiti di censo (si doveva essere in grado di pagare un tot. [quante?] di lire all’anno) e di età (limite dei 24 anni; l’80% della popolazione = analfabeti); gli aventi diritto al voto costituivano il 2% della popolazione italiana + tasso di astensione = 56%. In Italia, la legge elettorale servì in definitiva a chiudere la rappresentanza. Lezione 11 L’Italia mantiene il sistema chiuso/stretto; si avranno solo pochi plebisciti nelle regioni più sviluppate. Dal 1861 fino ad Agostino Depretis il sistema politico italiano è bipartitico; la Destra storica e la Sinistra storica non sono ancora veri e propri partiti politici, ma famiglie politiche/partiti notabilari/partiti di rappresentanza individuale. Sono privi di organizzazione extra-parlamentare e di strutture esterne poiché non hanno bisogno di esse per raggiungere il consenso necessario. Sono 2 schieramenti fluidi, non ben definiti politicamente. Sono ancora privi di una loro struttura interna al parlamento. La Destra era inizialmente la forza di maggioranza (e la Sinistra la minoranza). Destra Storica: ha elementi di omogeneità e di disomogeneità. Omogeneità (3 elementi): è omogenea come riferimento ideale –si fa riferimento idealmente alle idee di Cavour; il ceto sociale di provenienza = nobiltà terriera + l’alta borghesia umanistica (sono classi colte, ricche ed alfabetizzate + molto vicine tra loro); qual è l’area di insediamento comune (=l’area precisa in cui una determinata famiglia politica è più forte)? Nel loro caso è il Centro-Nord dall’Emilia-Romagna in su e soprattutto il Piemonte sabaudo (specialmente, insomma, le regioni settentrionali). Disomogeneità (3 elementi): riguardano le scelte, il modo in cui si governa e le visioni progettuali da realizzare; 3 grandi temi. Tema 1: il rapporto con la monarchia (sono tutti monarchici nella D.S., ma ve ne è una parte che è fedele alla monarchia costituzionale per il ruolo che essa acquisisce a partire dal 1861 per il mantenimento dello status quo + un’altra parte che è fedele alla monarchia, ma non a quella costituzionale – per essi si deve passare, infatti, ad una monarchia parlamentare). Esiste dunque una “destra” della D.S. più conservatrice, ed una “sinistra” della D.S. più moderata. Tema 2: lo Statuto; una parte della D.S. vuole un’interpretazione letterale dello statuto così com’è (Sydney Sonnino: “Torniamo allo statuto”; lo vuole la “destra” della D.S.) + la componente che vuole un’interpretazione più flessibile dello statuto è invece “sinistra” della D.S.. Tema 3: rapporto Stato-Chiesa; la “destra” della D.S. vuole con qualsiasi mezzo, anche attraverso l’uso della forza, sottrarre al papa i territori pontifici e conquistare Roma, mentre la “sinistra” della D.S vuole usare il più possibile (pur partendo da una posizione di forza/di vantaggio) lo strumento della diplomazia per togliere territori al papa. Come gestire la “questione romana”? Che si fa del papa? Roma non è ancora stata presa (lo sarà solo nel 1870); nel territorio pontificio ancora ci sono anche delle truppe francesi. Principio cavouriano della “libera Chiesa in libero Stato”. In questa fase, essere conservatori, non vuol dire essere anche difensori della Chiesa, anzi (!). Il problema della partecipazione dei cattolici alla vita politica dello Stato se lo pone la “sinistra” della D.S. La “Destra Storica” non è dunque super compatta, ma è formata da due anime: una più moderata ed una più conservatrice. La parte più riformista della D.S. è più favorevole al decentramento politico. La Destra Storica è totalmente diversa dal concetto di che abbiamo di “destra” nel 1900. Nella D.S. i tratti di disomogeneità sono maggiori rispetto a quelli omogeneità (ma il gruppo politico è molto grande, quindi è ampiamente comprensibile che ci siano alcune idee contrastanti tra di loro; il rapporto D.S.-S.S. è in parlamento di 3/4 a 1/4)! Sinistra Storica: prende più voti nel Centro-Sud d’Italia. Disomogeneità ed omogeneità: sul piano ideale, gli elementi di disomogeneità sono maggiori; i punti di riferimento sono i democratici risorgimentali, come Mazzini (tradizione repubblicana, democratica ed unitaria) e Garibaldi. Gli eredi di Mazzini costituiranno all’interno della S.S. la “sinistra” della S.S., mentre i seguaci di Garibaldi costituiranno la “destra” della S.S.. Garibaldi (monarchico) era, infatti, il capo dei “Cacciatori delle Alpi” dell’esercito sabaudo, che Cavour mandò al confine con la Lombardia per far scatenare la Seconda Guerra d’Indipendenza (e, in seguito, gli accordi di Plombières). Mazzini è invece un repubblicano rivoluzionario; per Mazzini, serve una rivoluzione popolare dal basso + non vuole assolutamente la monarchia. Depretis e Crispi erano monarchici (il mito di Crispi è Bismarck). Una grande parte della S.S. è infatti monarchica moderata: Depretis è monarchico moderato, mentre Crispi è monarchico assoluto. Il PdC più monarchico di tutti fino alla WWI fu Giolitti (era liberale, ma pur sempre monarchico). Disomogeneità sulla provenienza sociale: la S.S. è omogenea come provenienza sociale e territoriale (i suoi componenti, infatti, provengono dall’alta borghesia commerciale ed economica; sono i professionisti, gli impiegati e i ricchi commercianti) + i suoi membri provengono per lo più dal Centro- Sud italiano. Anche la S.S. ha una corrente più moderata ed una più estrema/radicale (assolutamente NON conservatrice). La questione della monarchia divide la S.S.: alcuni (la “destra” della S.S.) sono più propensi ad una monarchia progressista-parlamentare, altri (la “sinistra” della S.S.) vorrebbero superarla a favore di un regime diverso (la monarchia deve essere una fase transitoria in quanto si ha l’obbiettivo finale di sovvertirla); lo stesso vale per lo Statuto: alcuni vogliono poterlo interpretare flessibilmente seppur mantenendolo, altri, invece, non lo vorrebbero proprio (es. la “sx.” della S.S, che vorrebbe la Repubblica) in quanto vorrebbero come atto finale superare proprio la monarchia e lo Statuto Albertino stesso. Dunque, di conseguenza, i moderati di entrambe le famiglie politiche avranno idee quasi identiche. Le 2 ali moderate delle 2 famiglie politiche si somigliano molto di più di quanto ciascuna ala moderata assomigli al suo estremo della stessa famiglia politica!!! Ecco spiegato il cosiddetto “trasformismo” di Depretis, che intendeva mettere insieme i moderati di entrambe le famiglie politiche. Ciò, tuttavia, contribuirà a chiuderà ulteriormente il sistema politico italiano, favorendo conseguentemente la nascita di partiti politici al di fuori di questo sistema. Con il “trasformismo”, infatti, non vi fu definitivamente più spazio per la nascita di partiti politici interni al sistema politico stesso. Lezione 12 Profonda frattura del modello continentale; nei primi 15 anni di D.S., la struttura è tendenzialmente bipartitica a livello di famiglie politiche; è l’unica fase della storia politica italiana in cui il nostro sistema si avvicina come struttura e dinamiche a quello inglese; unica differenza: non è esclusivamente bipartitico poichè nel Parlamento troveremo anche una terza forza oltre a D.S. e S.S., ovvero l’Estrema. L’Estrema è collocata alla sinistra della S.S.; avrà un ruolo importante per la formazione dei partiti politici italiani veri e propri; ha il 2-3% di rappresentanza; al suo interno troviamo una prima parte composta da repubblicani ed una seconda parte composta da radicali. I repubblicani sono quegli eredi di Mazzini che non convergono nella S.S. (della quale fecero però in realtà anche parte molti repubblicani). Origini: le si trovano nella componente di sinistra del Risorgimento democratico, ossia nascono dalla matrice democratico-repubblicana-risorgimentale. Riferimenti ideali: Mazzini in primis + Aurelio Saffi + il giacobinismo francese. Valori: l’esaltazione della democrazia (una democrazia, però, avanzata) + l’allargamento del suffragio fino a renderlo universale + la difesa di tutte le libertà (civili e politiche) + la tutela delle classi lavoratrici e dei lavoratori. Obiettivi: completare il processo di unificazione italiano + dare vita ad un ordinamento repubblicano, ossia superare definitivamente la Monarchia per instaurare la Repubblica. Il loro strumento di lotta politica è l’organizzazione! Presupponevano la costruzione dell’unità dal basso “alla Mazzini” (il quale fondò la Giovine Italia e la Giovane Europa). Si combatte in associazioni, e mai individualmente. Strategia politica in due tempi/fasi: nel 1861-1866 i repubblicani difendono i propri valori attraverso la strategia della partecipazione, ossia cercando di far parte del processo decisionale per mezzo di vie legalitarie (si lotta istituzionale + parlamentarizzazione); partecipano alle elezioni ed ottengono dei propri seggi; si trovano in Parlamento a sinistra della S.S.; sono tuttavia una componente anti-sistemica, che scelse però un tipo di lotta legalitaria – tipo di lotta usato anche dai socialisti; nel 1866, ci fu un Congresso a Parma, che creò un contrasto interno ai repubblicani circa la strategia politica da utilizzare; bisogna continuare ad usare la strategia legalitaria/combattere da dentro il Parlamento o bisogna cambiare? Alla fine, decideranno di uscire dal Parlamento, dopo che furono nate 3 correnti diverse tra i repubblicani stessi: intransigenti, mediatori e parlamentari. I parlamentari, i più moderati, vogliono restare in Parlamento/scelgono la via legalitaria; gli intransigenti, invece, non vogliono accettare l’ordine monarchico a nessun costo, e vorrebbero spostare la lotta politica dal Parlamento alla società civile; i mediatori/centristi, cercheranno di tenere unite insieme le 2 strategie: è una posizione di temporeggiamento/strategia in 2 tempi (= in un tempo 1 staranno in Parlamento fino a quando non ci saranno le condizioni necessarie per attuare una rivoluzione dal basso in un tempo 2; tempo 2 = la rivoluzione); vincono alla fine gli intransigenti, ossia i repubblicani più puri; dal 1866, dunque, i repubblicani escono dal Parlamento, rivolgendosi direttamente alla società civile (rientreranno in Parlamento circa dopo la WWII, quando nel 1946 nascerà la Repubblica). I repubblicani, divenuti una componente extra-parlamentare, si asterranno dunque da tutte le competizioni elettorali. L’astensionismo e la lotta sociale saranno le loro 2 nuove strategie. Organizzeranno la loro lotta politica attraverso la nascita di associazioni organizzative, a tutela delle classi sociali meno abbienti + rappresentando parti della società che la D.S. e la S.S. ignorarono a causa della loro logica di chiusura. Esempi di associazionismo organizzativo repubblicano sono le “società di mutuo soccorso” (soprattutto in Toscana, Emilia-Romagna ed in Umbria, ossia le cosiddette “regioni rosse mazziniane”); vogliono mettere insieme classi sociali diverse + richiedono una solidarietà/cooperazione tra classi (essi miravano infatti ad un assetto interclassista); esempio 2: le “cooperative di consumo e cooperazione” – nate con l’obbiettivo di sostenere le classi sociali meno abbienti + di integrare le varie classi sociali attraverso l’incontro tra lavoratori e datori di lavoro. Qual è l’effetto di tale cambiamento della strategia repubblicana? 3 effetti. Effetto 1: il sistema politico e parlamentare si chiude ancora di più (minore rappresentanza in Parlamento; il sistema è ancora più chiuso). Effetto 2: nascono delle organizzazioni nella società, ma in polemica col sistema politico (ossia con l’obbiettivo di ribaltare il sistema, che non è affatto condiviso). Aumentò, dunque, la frattura tra paese reale e legale. Effetto 3: si rafforzano le sacche di dissenso; la società inizia ad organizzarsi in maniera autonoma per cambiare un sistema che non funziona più tanto bene. Rimasero in Parlamento soltanto i pochi repubblicani che facevano parte della S.S. (anche se la maggioranza dei repubblicani troveranno le idee della S.S. troppo moderate e, dunque, inadeguate/inefficaci). I radicali fanno sempre parte dell’Estrema (ossia ne costituiscono la seconda componente). Origini: derivano dal movimento democratico risorgimentale (hanno, perciò, la medesima matrice dei repubblicani). Riferimenti ideali: sono eredi dei federalisti, quindi delle idee di Ferrari, Cattaneo e Pisacane (leader) + ha influenza su di essi anche il socialismo romantico francese (Proudhon, Blanqui, Saint- Simon). Obiettivi: realizzare uno stato unitario ma federato (NON accentrato; si invece ad una Federazione) + costruzione di uno stato moderno e democratico, basato sull’estensione del suffragio (non subito universale; estensione progressiva del suffragio); sostengono un certo decentramento amministrativo in quanto federalisti + intendevano difendere le classi sociali meno abbienti, in particolare i lavoratori + importanza dell’istruzione scolastica obbligatoria e gratuita. Strumenti di lotta politica: l’uso di risorse simboliche, come i miti e i simboli (inventano il mito dell’eroismo risorgimentale, come quello dei Fratelli Bandiera o dei “martiri della libertà”) + un primo giornale ufficiale “di partito” (tra virgolette perché non esistono ancora in Italia i partiti politici moderni veri e propri!): il loro giornale nacque nel 1865 a Milano ed era chiamato “il Secolo”; aveva una periodicità altalenante + ecco i suoi obbiettivi: voleva rivolgersi all’esterno + creare un’opinione pubblica laica, democratica e progressista (i radicali sono molto anti-clericali) + voleva inoltre formare una nuova classe dirigente. La stampa però la leggevano ancora poche persone (per questo non avranno mai un seguito largo, poi, si sentivano superiori alla massa + erano elitari e guardavano alle masse come composte da esseri inferiori da formare ed educare attraverso ordini impartiti dall’alto da un’élite di “intellettuali” più colti ed istruiti). I radicali diventeranno più importanti con Giolitti, ma saranno sempre una sorta di “stampella delle maggioranze” (si veda l’espressione “governo ai margini”). Strategia politica: saranno sempre una componente parlamentare; si trovano sempre dentro il sistema, ma lo vorrebbero in realtà modificare (sono quindi anche loro in parte anti-sistema, pur essendo anch’essi a favore di una via di cambiamento legalitaria). A partire dalla metà degli anni ’70 costituiranno anche strutture extra-parlamentari. 1866-1872: nell’Estrema rimasero solo i Radicali (nel 1866, infatti, i repubblicani uscirono da essa). Lezione 13 Nel 1876-1887 iniziò la stagione dei governi della S.S. di Depretis; Depretis fu un’esponente della S.S. più moderata (era infatti un garibaldino). Con lui, il sistema politico italiano cambiò e nacquero formalmente i partiti politici in Italia. 1875: Depretis non è ancora presidente del consiglio, ma pronuncia il “Discorso di Stradella” (1875), in cui dice che è arrivato il momento di superare gli steccati, ossia le divisioni. Bisogna garantire governi forti, modernizzare il paese e riformarlo democraticamente: per fare ciò, bisogna mettere insieme chi condivide un medesimo progetto. Come fare a far diventare il Regno d’Italia un paese moderno e più democratico? Per fare ciò, egli dice che bisogni realizzare una convergenza su un piano di riforme programmatico il più possibile condiviso; a tale scopo bisogna mettere insieme chi condivida i medesimi ideali; nel marzo 1876, Depretis assunse la guida del governo attraverso una “rivoluzione parlamentare”. Marco Minghetti (D.S.) non ottiene la fiducia in Parlamento né da parte della S.S. né da parte di alcuni membri della D.S. stessa; a quel punto, il re Vittorio Emanuele II dà l’incarico a Depretis di formare il governo. Questo fu l’unico caso in tutta la storia italiana in cui il sistema di successione politica funzionò quasi esattamente come il modello inglese (e ciò proprio durante la successione Minghetti-Depretis); unica differenza: l’alternanza D.S.-S.S. non è elettorale (= non si tennero le elezioni + non la decisero gli elettori, ma il re seguendo lo Statuto Albertino; è per questo un’alternanza anomala; in UK invece si che decidevano gli elettori!). Solo successivamente, l’elettorato interverrà direttamente confermando la scelta del re di nominare Depretis con le elezio

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