Traumatologia – unico PDF

Summary

This document covers the field of Traumatology, examining the effects of traumatic actions on the body. It includes sections on muscle contusion, bone contusion, sprains, subluxations, dislocations, and fractures, and associated treatments. The text provides detailed descriptions and classifications of each condition.

Full Transcript

MEDICINA CLINICA I – TRAUMATOLOGIA STORIA L’ortopedia è nata come cura delle deformità traumatiche. Il termine è stato coniato nel 1741 da Nicolas André, tuttavia la riparazione dei difetti dell’apparato scheletrico e dei traumi che coinvolgono ossa e articolazioni ha una storia molto più antica. A...

MEDICINA CLINICA I – TRAUMATOLOGIA STORIA L’ortopedia è nata come cura delle deformità traumatiche. Il termine è stato coniato nel 1741 da Nicolas André, tuttavia la riparazione dei difetti dell’apparato scheletrico e dei traumi che coinvolgono ossa e articolazioni ha una storia molto più antica. Ad Ippocrate è infatti attribuita la tecnica per la lussazione della spalla; mentre Celso e Galeno introdussero i termini di scoliosi, cifosi, lordosi e pseudoartrosi. I primi esponenti dell’ortopedia, intesa come branca della chirurgia, avevano a che fare con studi sulle fratture, lussazioni e fasciature. Nel 1870 Bauer introdusse il termine di chirurgia ortopedica. GENERALITÀ La traumatologia studia gli effetti lesivi prodotti nell’organismo dalle azioni di natura traumatica. Per trauma si intende l’azione di un agente fisico capace di determinare un danno all’integrità somato-psichica della persona, quindi un’alterazione anatomica/funzionale dell’organismo. CONTUSIONE MUSCOLARE Evento traumatico prodotto da un agente esterno che crea un danno alle fibre muscolari (trauma contusivo) la cui entità varia in relazione al numero delle fibre interessate e a quanto meno è contratto il muscolo al momento del trauma. Generalmente le fibre profonde, adiacenti al piano osseo, sono le più colpite. I gradi di gravità di una contusione muscolare sono: Stupore muscolare: non rilevanti lesioni muscolari Ecchimosi muscolare: infiltrazione emorragica per lesione dei capillari Ematoma muscolare: emorragia/coagulo intramuscolare Danno muscolare: spopolamento e mortificazione dei tessuti I segni clinici di una contusione includono dolore, tumefazione (seguita da ecchimosi), ematoma, limitazione funzionale. Il trattamento delle contusioni semplici consiste nel R.I.C.E. (Rest, Ice, Compression, Elevation). In caso di ematoma muscolare sono necessarie l’aspirazione del sangue e l’immobilizzazione rigida, seguita da mobilizzazione precoce. CONTUSIONE OSSEA Si verifica quando la lesione coinvolge anche il tessuto osseo sottostante (es. faccia mediale della diafisi tibiale) con conseguente scollamento del periostio dal tessuto osseo compatto e formazione dell’ematoma. Il trattamento immediato prevede l’applicazione di ghiaccio e l’immobilizzazione; come trattamento tardivo l’eventuale evacuazione dell’ematoma. DISTORSIONE Sollecitazione di un’articolazione oltre il limite della sua normale articolarità, tale da provocare un eccessivo stiramento delle componenti capsulo-legamentose ed una momentanea e reversibile dislocazione e perdita dei rapporti tra i capi articolari (caviglia, ginocchio, spalla, gomito, polso). In base all’entità del trauma e al danno riportato, si classificano in tre gradi: I° GRADO Legamento allungato (di circa 5%) oltre la sua normale riserva di elasticità senza produrre effetti macroscopici. Articolazione conserva resistenza meccanica e stabilità. Dolore ma non ipermobilità. II° GRADO Rottura di più fibre di vari livelli e strati del legamento, con evidenti focolai emorragici. La continuità del legamento è conservata ma la resistenza meccanica è ridotta. III° GRADO Rottura completa del legamento (perdita completa della sua funzione) tale per cui l’articolazione diviene instabile. N.B. Esempi di meccanismi traumatici della distorsione di ginocchio: RE o RI, iperestensione o iperflessione, traumi diretti antero-posteriori (es. colpo sulla tuberosità tibiale anteriore – TTA). SUBLUSSAZIONE Trauma intermedio tra distorsione e lussazione, quindi, lussazione incompleta in cui i capi articolari appaiono parzialmente separati (viene persa la perfetta congruenza articolare). Permane il contatto tra le superfici articolari. LUSSAZIONE Perdita completa e persistente dei rapporti articolari tra due segmenti ossei che concorrono a formare l’articolazione. Si classifica in: recidivante, abituale o inveterata (ormai consolidata). La sintomatologia comprende: deformità della regione articolare; dolore; resistenza al tentativo di mobilizzazione; impotenza funzionale. Le complicanze più frequenti possono essere: frattura del segmento osseo lussato, lesioni vasculo-nervose, lassità articolare residua. Lussazione scapolo-omerale Perdita completa del normale rapporto articolare tra la testa dell’omero e la cavità glenoidea della scapola. Questo comporta un’appiattimento del profilo della spalla e l’abduzione obbligata del braccio per 20-40°. Al sospetto di una lussazione, la spalla non deve essere ridotta (toccata) prima dell’esito della RX. Il trattamento prevede l’immobilizzazione con tutore; l’inizio (talvolta precoce) di un programma di potenziamento muscolare ed esercizi di mobilità articolare (che deve iniziare precocemente in tutti i casi). Lussazione di gomito Spesso associata a fratture. Una causa comune è la caduta sulla mano a gomito flesso (trauma indiretto). Tra i segni clinici si osservano: dolore intenso spontaneo; dolore alla palpazione; deformità dovuta alla salienza dell’olecrano sulla regione posteriore del braccio. In questa situazione la riduzione va effettuata d’urgenza (esercitando distalmente una graduale trazione flettendo l’avambraccio); la RX va effettuata pre-post riduzione per controllare l’allineamento articolare. Il trattamento prevede l’immobilizzazione con tutore per circa tre settimane (ma in generale dipende dall’entità del trauma). Lussazione di falange Riduzione in anestesia locale; immobilizzazione per circa due settimane, poi mobilità. Lussazione di ginocchio Trauma raro, solitamente il femore scivola posteriormente in seguito a traumi diretti sulla TTA. FRATTURA Interruzione, parziale o totale, della continuità di un segmento osseo (o cartilagineo). Un carico sovramassimale determina una torsione tale per cui l’osso fallisce dal punto di vista biomeccanico (la resistenza meccanica di un osso dipende dalla sua elasticità, quindi varia in funzione dell’età). In una frattura si possono osservare: Focolaio di frattura: sede in cui si è verificata la frattura Rima di frattura: linea che divide due o più segmenti ossei fratturati Monconi di frattura: porzioni principali di osso fratturato Frammento di frattura: parte dell’osso separato dal resto dell’osso o dai monconi di frattura L’eziologia di una frattura può essere: chirurgica (post-intervento); patologica (es. osteoporosi); da stress (causata da microtraumi reiterati) oppure traumatica (trauma diretto se il focolaio di frattura coincide con il punto di applicazione della forza oppure indiretto: flessione, torsione, compressione, strappamento). Classificazione delle fratture in base all’integrità del mantello cutaneo La frattura è chiusa se il mantello cutaneo si mantiene integro, al contrario è definita esposta. Le fratture esposte sono classificate sulla scala di Gustilo: Tipo I: ferita di lunghezza < 1 cm senza segni di contaminazione profonda Tipo II: ferita di lunghezza > 1 cm con assenza di gravi danni ai tessuti molli Tipo III A: ferita ampia con buona copertura dei tessuti molli Tipo III B: ferita ampia con esposizione di frammenti ossei Tipo III C: ferita ampia con grave lesione arteriosa Classificazione delle fratture in base all’interessamento dell’articolazione La frattura è extra-articolare se non c’è interessamento dell’articolazione, è intra-articolare se il trauma interessa l’articolazione. Le fratture intra-articolari si classificano in extra-capsulari oppure in intra-capsulari a seconda che la frattura avvenga rispettivamente all’esterno della capsula oppure all’interno (in tal caso è necessaria la protesi). Classificazione delle fratture in base al numero di interruzioni scheletriche di uno stesso osso Frattura unifocale: singola frattura, due segmenti ossei (monconi) Frattura bifocale: doppia frattura, tre segmenti ossei (monconi) Classificazione delle fratture in base al livello scheletrico Frattura epifisaria; frattura metafisaria; frattura diafisaria; frattura intra-articolare. Classificazione delle fratture in base all’entità del danno scheletrico Le fratture si classificano come complete se il trauma divide completamente il segmento osseo (trasversale; obliqua; spiroide; comminuta). Se il segmento osseo viene fratturato ma non si separa completamente in due o più segmenti la frattura è incompleta (a legno verde – tipiche dei ragazzi le cui ossa sono elastiche e non si spezzano; infossamento). Quadro clinico della frattura Crepitazione: rumore di fregamento tra segmenti ossei Motilità preternaturale: movimento tra segmenti dell’osso fratturato Dolore Atteggiamento-deformità: dipende dall’osso fratturato e dal livello scheletrico Ecchimosi (macchia cutanea che si forma in seguito a sanguinamento sottocutaneo) Tumefazione (gonfiore) Impotenza funzionale Guarigione delle fratture – processo fisiologico Frattura di Monteggia Frattura della diafisi ulnare associata a lussazione del capitello radiale. Frattura associata a lesione del nervo radiale In seguito a frattura, il nervo radiale può essere sezionato di netto; lesionato o rimanere intrappolato nel focolaio. Post-intervento viene applicato un tutore iperesteso; successivamente alla rimozione è compito del fisioterapista attuare nel paziente la mobilizzazione del polso per evitare la detrazione di tendini e muscoli coinvolti. Complicanze locali precoci (nei primi 2-3 giorni) 1) SOFFERENZA CUTANEA Flittene: lesione cutanea caratterizzata dalla presenza di una vescica contenente liquido sieroso o siero-ematico (espressione di tumefazione dei tessuti molli). 2) SINDROME COMPARTIMENTALE Condizione nella quale si verifica un accumulo di liquido a forte pressione all’interno di uno spazio fasciale chiuso (compartimento) con conseguente riduzione della perfusione capillare. Le tre cause principali di questa complicanza sono: Detrazione del compartimento muscolo-fasciale (es. costrittiva) = restringimento dei tessuti Aumentato accumulo di liquido ematico nel compartimento (causa più frequente) Riduzione della possibilità di espansione causata da compressione esterna (bendaggio stretto) N.B. La sindrome ischemica di Volkmann consiste in una deformità fisica (es. avambraccio/mano) causata dalla retrazione irreversibile dei muscoli flessori che risultano ipotrofici e trasformati in un piastrone duro, anaelastico e indolente. Segni clinici Dolore allo stiramento (può mancare in caso di lesione nervosa) Paresi: ipostenia muscolare (riduzione della forza muscolare) Parestesia: formicolio Colorito roseo Pressione aumentata nel compartimento Trattamento Il trattamento consiste in una fasciotomia, ossia un intervento decompressivo effettuato entro 8h dalla comparsa dei sintomi caratterizzato da un’incisione fasciale volta a liberare il compartimento. 3) INFEZIONE OSSEA Le infezioni post-traumatiche sono classificate come esogene se causate da agenti patogeni che provengono dall’ambiente esterno; possono avvenire al momento del trauma (per fratture esposte); durante l’intervento o a distanza nel tempo. Sono endogene se causate da un’infezione preesistente nell’organismo che raggiunge il luogo del trauma (es. infezione della flora batterica intestinale). Le infezioni possono essere acute precoci (entro 2 settimane), acute ritardate (oltre 2 settimane perché mascherate dagli antibiotici) oppure croniche. La diagnosi dell’infezione ossea avviene per esame clinico ematico, batteriologico/istologico oppure strumentale (ecografia, RX, RM, TAC). I sintomi comprendono: dolore, febbre, secrezione della ferita e soprattutto presenza di tramite fistoloso, ossia di una fistola (buco/canale) che va dalla cute al sito dell’infezione. Complicanze locali tardive (a distanza di settimane o mesi) 1) RITARDO DI CONSOLIDAZIONE o PSEUDOARTROSI: movimento tra superfici vicine 2) NECROSI OSSEA: non arriva abbastanza sangue 3) VIZI DI CONSOLIDAZIONE: in varo, in valgo, procurvato, recurvato 4) ARTROSI POST-TRAUMATICA: per fratture intra-articolari 5) RIGIDITÀ ARTICOLARE: per fratture intra-articolari FRATTURE NELL’ANZIANO Classificazione delle fratture secondo AO Tipo A: frattura extra-articolare monofocale Tipo B: frattura extra-articolare bifocale Tipo C: frattura con interessamento articolare (intra-articolare) Criteri decisionali per il trattamento Per decidere se optare per un trattamento conservativo o uno chirurgico, si valutano sia i fattori legati al paziente: età, richiesta funzionale, arto dominante, comorbidità (presenza contemporanea di due o più condizioni patologiche) che i fattori legati alla frattura: scomposizione della frattura, qualità ossea, tipologia della frattura secondo AO, vascolarizzazione dei segmenti. Trattamento chirurgico ricostruttivo dell’omero – fratture di tipo A Sintesi con viti e tirante: se frattura isolata del trochite Sintesi con placca a stabilità angolare: se frammento di grosse dimensioni Sintesi con chiodo emomidollare (> complicanze come dolore e riduzione ROM) Riduzione e sintesi con placca PHLCP o PHILOS: nelle fratture scomposte e instabili Trattamento chirurgico ricostruttivo dell’omero – fratture di tipo B e C Se la frattura è intra-articolare (tipo C) è necessaria una sostituzione protesica per via della perdita di sostanza ossea della testa dell’omero che impedisce il fissaggio delle viti (e per il rischio alto di necrosi nell’anziano). FRATTURE DEL COLLO DEL FEMORE Nell’anziano il rischio di mortalità e di disabilità nei 6 mesi post-operatori diminuisce se viene effettuato l’intervento nelle prime 48 ore dal trauma. Talvolta però non è possibile operare per via della somministrazione di anticoagulanti. Per una questione di vascolarizzazione della capsula articolare, le fratture intra-capsulari sono ad elevato rischio di necrosi, perciò vanno protesizzate. Al contrario le frattura extra-capsulari possono essere sintetizzate. Trattamento chirurgico delle fratture mediali al femore Il trattamento incruento non è applicabile (riposo a letto, immobilizzazione, eventuale trazione, antidolorifici e applicazione di gesso). Perciò si rende necessaria la protesizzazione: endoprotesi, se si sostituisce solo il femore ma non l’acetabolo; artroprotesi, se viene sostituito sia il femore che l’acetabolo (più utilizzata in pazienti giovani con maggiore richiesta funzionale). Trattamento chirurgico delle fratture laterali al femore In presenza di fratture pertrocanteriche si inserisce un chiodo endomidollare. La procedura è molto semplice e poco invasiva, caratterizzata da una precoce mobilizzazione post-intervento e da una stabilità ottima, con il rischio però di scomposizione secondaria. Se la frattura si estende anche al sottotrocantere, invece, vengono applicati dei chiodi endomidollari più lunghi, per garantire la corretta distribuzione delle forze (chirurgia più impegnativa). FRATTURE DI BACINO Nei giovani la causa è un trauma ad alta energia (caduta dall’alto, incidente stradale..), negli anziani avviene in seguito a traumi a bassa energia (es. caduta dalla sedia). Le fratture di bacino sono molto complesse e si classificano in fratture: stabili, parzialmente stabili e instabili. Fratture stabili Non coinvolgono l’anello pelvico, che rimane intatto, ma prevalentemente le branche o le ali iliache. Il trattamento gold standard prevede un riposo a letto per 30 giorni (trattamento chirurgico solo in caso di alta richiesta funzionale). Talvolta la chirurgia può diventare un’opzione in seconda battuta, in caso di pseudoartrosi dolorosa o scomposizione secondaria. Fratture parzialmente stabili Possono avere differenti gradi di stabilità-instabilità; la maggior parte vengono trattate con trattamento incruento e guariscono con un processo conservativo (riposo 30 giorni). In altri casi si ricorre all’utilizzo di un fissatore esterno o ad intervento chirurgico con viti e placche (se il paziente è in grado di sostenere la chirurgia e l’anestesia). Fratture instabili Molto rare nell’anziano (< 2%) e molto diverse tra loro. Hanno in comune un’instabilità dell’anello pelvico. Il trattamento consiste sempre in una riduzione e sintesi chirurgica (fissatore esterno oppure mezzi di sintesi interni) per ristabilire la stabilità e l’anatomia dell’anello pelvico. FRATTURE VERTEBRALI Fratture molto frequenti, talvolta in persone affette da osteoporosi sono addirittura spontanee. Il paziente affetto da crollo vertebrale presenta il rischio di sviluppare altre fratture da osteoporosi. Il trattamento conservativo prevede il riposo a letto, con l’utilizzo del busto a tre punti e di farmaci. Il trattamento chirurgico, invece, si distingue in vertebroplastica (iniezione di cemento all’interno del soma vertebrale) e in cifoplastica (introduzione di un palloncino che viene gonfiato per ristabilire l’altezza del soma vertebrale creando una cavità che viene poi riempita con cemento). FRATTURE DI CAVIGLIA Le cadute accidentali con trauma distorsivo sono il fattore eziologico principale con traumi a a medio-bassa energia (incidenza maggiore nel sesso femminile). Si classificano in fratture di: Tipo A: frattura distale alla sindesmosi Tipo B: frattura a livello della sindesmosi Tipo C: frattura prossimale alla sindesmosi Il trattamento conservativo prevede l’applicazione del gesso da tenere per sei settimane evitando il carico o con carico sfiorante. In casi di: fratture scomposte; medio-elevate richieste funzionali e una buona qualità dell’osso si può ricorrere al trattamento chirurgico (buon ritorno al livello dell’attività pre-trauma). FRATTURE PEDIATRICHE Il problema principale di un trauma nel bambino rispetto all’anziano è il suo processo di crescita.. Le fratture nei bambini sono più frequenti nel sesso maschile, e l’arto superiore è la sede più frequentemente interessata. Il diverso approccio terapeutico sulla frattura pediatrica, rispetto all’adulto, è dovuto alla presenza di cartilagine di accrescimento e alla diversa capacità di rimodellamento scheletrico (variabile in funzione dell’età). Il bambino, inoltre, può presentare delle apofisi, ovvero dei piccoli frammenti ossei che si accrescono separatamente. FRATTURE TORUS Interruzione di una sola corticale e corticale opposta intatta, che si verifica in seguito ad una sollecitazione in compressione, longitudinalmente rispetto all’asse dell’osso lungo (es. caduta sul palmo della mano con arto superiore posto a difesa). Questa fratture si presentano con tumefazione della regione corticale, che viene limitata e mantenuta in sede dal periostio. BOWING-FRACTURE o Deformazione plastica post-traumatica Stabile deformazione dell’osso in seguito a trauma, che tende ad assumere un aspetto arcuato. Quando una forza longitudinale crescente è applicata ad un osso lungo questo risponde deformandosi in maniera elastica, ritornando subito nelle condizioni di partenza se lo stress è di breve intensità e durata. Per insulti meccanici di intensità e durata maggiori l’osso si deforma in maniera plastica (permanente). In questo caso la deformazione dell’osso persiste anche al cessare dello stress applicato. Questo tipo di frattura può essere considerata come la lesione che precede la frattura a legno verde; dev’essere considerata come una frattura e trattata come tale. FRATTURA A LEGNO VERDE Frattura con angolazione senza spostamento dei capi di frattura. Si presenta come una interruzione della corticale e del periostio nella regione convessa, mentre come una lesione della corticale e del periostio nella regione concava (si rompe). A differenza delle fratture tipo torus tendono ad essere instabili e possono continuare a scomporsi anche dopo le prime 2 settimane. Frattura a legno verde e frattura Torus FRATTURA COMPLETA Frattura con dislocazione dei monconi ossei. DISTACCHI CONDRO-EPIFISARI Per distacco condro-epi sario si intende una lesione traumatica dello scheletro in cui la si di accrescimento e l’epi si si separano dal resto dell’osso. Questi traumi sono responsabili di un danno alla si che può tradursi in eventuali anomalie dell’accrescimento. Salter ed Harris (1968) hanno proposto una classi cazione in base alla sede di frattura. fi fi fi fi fi Se la frattura interessa una sola metà dell’osso (tipo III), vi è la possibilità che l’osso crescerà in una deformazione in varo o in valgo in base alla metà interessata. Una deformità angolare che si aggravi con la crescita presuppone la contemporanea lesione di una cartilagine di accrescimento (si rende evidente non prima di un anno). Il problema è tanto più importante quanto è maggiormente interessata la zona della frattura e quanto maggiore è la crescita residua del bambino. Quando possibile si preferisce il trattamento incruento. FRATTURE DA STRESS Bone stress injuries (BSI) Incapacità dell’osso di sopportare forze ripetitive submassimali che porta ad un rimodellamento osseo senza evidenza di rima di frattura. Frattura da stress Lesioni ossee provocate da microtraumi iterativi o da una serie di macrotraumi in numero variabile che provocano il cedimento della corticale e di parte della spongiosa, con evidenza all’imaging di una rima di frattura. Prevenzione - trattamento - riabilitazione Assicurarsi che il paziente assuma sufficienti quantità di calcio e vitamina D; eseguire screening per assicurarsi che i fattori di rischio siano minimizzati (es. running). Il trattamento è principalmente conservativo, talvolta anche chirurgico. La riabilitazione, importantissima per evitare le recidive, si suddivide in due fasi: Prima fase: - riposo del sito anatomico - esercizi in carico senza sovraccaricare il sito - mantenimento della capacità aerobica - terapie fisiche (es. campi magnetici pulsati) Seconda fase – dopo 2 settimane senza dolore: - allenamento di resistenza muscolare - esercizi di stabilità e propriocezione - flessibilità FRATTURE ACETABOLARI E LUSSAZIONI DELL’ANCA Le fratture dell’anca avvengono quando la testa del femore agisce come un ariete contro il bacino (trauma soprattutto ad alta, ma anche bassa energia). La diagnosi avviene dal confronto tra le lastre, basandosi su linee radiogra che prede nite. La TAC è il gold standard per studiare questo tipo di fratture; talvolta si ricorre anche all’utilizzo del 3D printing. Quando il trauma non è forte al punto di causare una frattura acetabolare, si incorre nella lussazione dell’anca, che talvolta può generare delle microfratture (scala di Pipkin) dovute all’impatto tra testa del femore e l’acetabolo. Per il tipo di forze che intervengono, solitamente la testa dell’omero si lussa posteriormente. fi fi n one graded answer, were evaluated as grade C approximately 5 mm. A typical example is a longitudi- r D (n = 10), indicating that a low level of scien- nal tear, which might temporarily evolve into a bucket han- nce is available for most of the answers. Only two dle tear. Another example might be a flap tear that engages were graded better than C, one with a grade of A between the femoral condyle and the tibial plateau [22–24]. er with a grade of B. Two answers were not rated In terms of partial or very short meniscus tears, a stable f missing literature at the time the answers of this tear is defined as a tear that is not displaceable with the were prepared. LESIONI MENISCALI probe. Radial tears are generally defined as unstable (Grade D). La forma del menisco laterale (ML) e mediale (MM) è diversa, entrambi si ancorano alla tibia ons and answers 3. What is the definition of a stable and unstable knee? attraverso le radici. Dall’esterno all’interno del ginocchio, i menischi hanno zone differentemente tion Functional instability is a symptom. Laxity is a measurable vascolarizzate. Nella zona sign. rossa (esterna), In the current molto study, a stable vascolarizzata, knee has intact ligaments. è possibile effettuare riparazioni the definition of a traumatic meniscus tear? This definition also includes a stabilized knee, e.g., after ef caci; invece, nella zona bianca non vascolarizzata non è possibile fare riparazioni. Le lesioni ACL reconstruction, although the success of the reconstruc- ic meniscus tear ismeniscali a meniscus tear that is associ- possono tionsemplici essere: was not fullyoconsidered in most isolate complesse; of the studies [26, 27] o associate a lesioni capsulo-legamentose. a sufficient knee injury and a sudden onset of knee (Grade D). ical tears, such asIn generale, longitudinal la riparazione (including bucket meniscale dipende da: età e attività del paziente (lavorativa/sportiva); rs) and radial tears, are primarily included in this 4. Which classification should be used to describe tipo, posterolateral. Flap tears and mainly sede e natura dellathelesione root tears location ofea meniscus dall’assetear?meccanico di carico. Il menisco esterno è comunque cluded. Tears of the meniscus ramp are also trau- sempre più dif cile da trattare s, but some debate persists regarding the defini- rispetto a quello interno. A seconda del tipo di lesione e della sutura The meniscus should be classified into circumferential neral, they are believed to occur at meniscale a ligamentouscambieranno associata, and radial zonessia(Fig. 2) [28, 29]. The la prognosi cheradial zones have la riabilitazione. y proposed clas- r the localization tears (modified ginally introduced t al. and modified et al. [29, 69]) 3 Opzioni terapeutiche Meniscectomia: rimozione di un frammento (complicanze: condrolisi poi osteonecrosi) Riparazione meniscale Reinserzione radice Riparazione ramp lesions Sostituto meniscale polimerico (scaffold) Trapianto meniscale Viscosupplementazione: infiltrazione con acido ialuronico fi fi Radici meniscali La lesione della radice meniscale si comporta come una meniscectomia totale. Il menisco viene riportato in posizione tramite ssazione e ancoraggio transtibiale. Conclusioni ✓ Salvare il menisco (se possibile) in lesioni acute o subacute ✓ Radici, manico di secchio, ap e blocchi articolari con possibile instabilità meccanica: chirurgia ✓ Lesioni degenerative: sio e viscosupplementazione ✓ Dolore cronico con evidenza di OA e di lesioni stabili meniscali: sio e viscosupplementazione LESIONI MUSCOLARI Una lesione muscolare è un danno a uno o più muscoli spesso causato da uno sforzo eccessivo o da un trauma diretto/indiretto. La lesione muscolare, rispetto a quelle tendinee o legamentose, consente generalmente un rapido ritorno alle competizioni. La diagnosi si esegue con: - Ricostruzione del meccanismo lesivo: trauma diretto (urto) o indiretto (trauma da fatica) - Valutazione clinica - Imaging: ecogra a (minor sensibilità) o risonanza magnetica (maggior sensibilità). Nell’arco della storia sono state proposte numerose modalità di classi cazione di lesioni muscolari nel tentativo di fornire dati prognostici ed indirizzi terapeutici. Tutt’oggi però risulta assai dif cile correlare una lesione ad una prognosi precisa, in quanto la variabilità interindividuale. I principali obiettivi del trattamento delle lesioni muscolari sono rapido rientro in campo; recupero funzionale; evitare la brosi e prevenire re-infortuni. Nella fase acuta il miglior approccio è il P.R.I.C.E. (Protection, Rest, Ice, Compression, Elevation). Per le lesioni di basso grado è opportuno un trattamento conservativo, attuando un programma riabilitativo che preveda una mobilizzazione precoce e un recupero rapido ma progressivo. Per le lesioni di alto grado il programma riabilitativo va integrato con il trattamento PRP (Plasma Ricco di Piastrine), che non tanto riduce i tempi di guarigione, ma riduce l’incidenza di re-infortunio. Talvolta si ricorre alla chirurgia in acuto con gli obiettivi di: ricostruzione anatomica (svuotamento ematoma, reinserzione, sutura); preservazione della funzione e della forza muscolare; prevenzione della brosi, di aderenze e di complicanze. fi fi fi fl fi fi fi fi fi

Use Quizgecko on...
Browser
Browser