Glottodidattica: PDF

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This document explores glottodidattica, the study of second language acquisition. It discusses different theories and approaches to teaching and learning a second language, from historical perspectives to more modern cognitive approaches. The text examines the role of the learner's native language, and the development of interlanguage.

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Glottodidattica La seconda lingua, Pallotti Lo studio della L2 In Italia e nel mondo sono milioni le persone che conoscono e usano più di una lingua. Linguistica acquisizionale: funzionamento di una lingua che viene acquisita -> come si acquisisce una lingua quando è una seconda lingua? Dunque acq...

Glottodidattica La seconda lingua, Pallotti Lo studio della L2 In Italia e nel mondo sono milioni le persone che conoscono e usano più di una lingua. Linguistica acquisizionale: funzionamento di una lingua che viene acquisita -> come si acquisisce una lingua quando è una seconda lingua? Dunque acquisire una seconda lingua è differente dall'acquisire una lingua. In questo caso trattiamo l'italiano come L2. Glottodidattica: didattica della lingua, in particola della seconda lingua che è l'italiano. Da ciò possiamo capire che didattica e linguistica si intersecano e giungono entrambe ad affrontare l'italiano come seconda lingua. L'acquisizione delle lingue seconde è stata osservata e in un certo senso studiata fin dall'antichità -> problema di comunicare con gli altri popoli per guerre, affari, viaggi...e dall'antichità al Medioevo all'età moderna sono state sviluppate varie teorie glottodidattiche: la discussione era però concentrata sul modo migliore di insegnare le lingue, mentre molto scarse erano le osservazioni sul procedimento di apprendimento in sé. Prima ci si occupava dell'acquisizione delle lingue quasi esclusivamente ai fini del loro insegnamento; oggi invece il fenomeno è considerato interessante in sé e per sé e viene studiato senza finalizzare necessariamente le ricerche a scopi pratici. UNA BREVE PROSPETTIVA STORICA: Jespersen, how to teach a foreign language (1904)—> Introduce elementi di forte innovazione che fino agli anni '60 furono criticati: deve perciò essere verosimile! Una lingua è sottoposta a norme ed è necessario insegnare tali norme agli apprendenti. Tutto ciò che viene prodotto dagli apprendenti che non rispetta tali norme non deve essere considerato. Considerare una varietà di lingua come una varietà comune (es italiano standard, neostandard ecc). Ogni apprendente è circondato da produzioni e ha senso insegnare una lingua che corrisponda a tali produzioni -> la lingua insegnata. Non bisogna però considerare gli errori in maniera superficiale -> in prospettiva didattica l'errore è necessario poiché è ricco di informazioni Weinreich, languages in contact (1953) —> Studia elementi forme e strutture legate all'ebraico (base della lingua germanica sulla quale si sono istallate alcune forme linguistiche ebraiche) -> "yiddisch": lingua prototipo che analizza per studiare le interferenze linguistiche. l'interferenza produce qualcosa di non normale se si parla di norma linguistica -> importanza dell'errore. Lado, linguistics across cultures (1957) —> Rappresentante della corrente comportamentista: teoria che considera che l'uso della lingua è assimilabile ad un comportamento —> ogni lingua ha dei procedimenti linguistici differenti che vanno imparati. Ogni lingua è considerata come un insieme di comportamenti —> acquisire una lingua significa allenarsi ad attuare dei comportamenti. Sapendo ciò, poiché ogni lingua può essere associata a comportamenti diversi, conoscendo tali comportamenti, possiamo ipotizzare le difficoltà e la maggioranza degli errori: es. in inglese il soggetto è obbligatorio, in italiano -> ipotesi errore su tale abitudine nel momento in cui un italiano cerca di imparare l'inglese una seconda lingua: soluzione che l'autore propone però ancora tradizionale -> ad es. ripetere 100 volte una frase che se in ita non ha il soggetto in inglese ce l’ha. Allenarsi alla lingua come si allenano i muscoli in palestra. Skinner, verbal behavior (1959): —> comportamentismo —> anni '40/anni '50 —> teorie comportamentiste che attribuivano un'importanza centrale, nel processo di apprendimento, alla formazione di abitudini: apprendere una lingua veniva concepito come un abituarsi a produrre certi comportamenti mediante l'imitazione di un modello e la ripetizione prolungata delle sequenze di azione che dovevano essere apprese -> in questo modo veniva spiegata l'acquisizione della prima lingua e di tutte le abilità ma poneva particolari problemi a spiegare l'acquisizione di una seconda lingua "come si fa ad apprendere le abitudini che servono per parlare l'inglese quando ci si è già abituati a parlare l'italiano?" le abitudini linguistiche precedentemente acquisite allora venivano concepite come un ostacolo all'apprendimento di nuove lingue, ed era ritenuto fondamentale, per una didattica efficiente, il confronto della lingua e cultura nativa con quella straniera per identificare le difficoltà che devono essere sormontate nell'insegnamento. Il filone di ricerche che nasce e si sviluppa in quegli anni viene così chiamato analisi contrastiva: i sistemi linguistici di partenza e di arrivo degli apprendenti venivano messi a confronto e da questo confronto si facevano previsioni sulle aree in cui gli apprendenti avrebbero incontrato maggiore difficoltà. Chomsky, ha recensito alcuni lavori di Skinner —> anni '60: psicologia cognitiva. Le critiche di Chomsky e altri al comportamentismo portano al nascere di quella che viene definita psicologia cognitiva. Mentre nel quadro teorico del comportamentismo l'apprendente viene visto come una tabula rasa, quasi totalmente passivo, alla mercé degli stimoli esterni, nella psicologia cognitiva è concepito come un agente attivo, alla ricerca di dati per confermare ipotesi che formula autonomamente. Chomsky (posizioni innatiste) proponeva una teoria dell'apprendimento completamente diversa da quella comportamentista: il b che sta imparando la lingua non sta interiorizzando abitudini, non sta rendendo automatici certi comportamenti dopo averli osservati e praticati tante volte, ma sta scoprendo delle regole -> la scoperta e l'applicazione della regola richiede un ragionamento di tipo creativo e non un semplice abituarsi a fare qualcosa. Tale scoperta non avviene in maniera induttiva (=solo a partire dai fatti linguistici cui il b è sottoposto) perché sarebbero troppo pochi e poco sistematici affinché il b riesca in poco tempo a scoprire le regole grammaticali di una lingua. Chomsky postula allora l'esistenza di una facoltà di linguaggio innata ("organo mentale" il cui compito è fornire al b solo un insieme molto ridotto di ipotesi possibili sulle regole grammaticali della lingua che deve acquisire: capacità innata dell'uomo di produrre linguaggio, attraverso un dispositivo/organo che elabora il linguaggio —> l'organo è il cervello e il dispositivo di elaborazione del linguaggio viene definito LAD (language acquisition device) -> posizione molto radicale che nel tempo è stata critica e nessuno oggi accetta per vera tale posizione così estrema. Tale posizione ha però avuto una serie di effetti nella linguistica acquisizionale —> non più quali sono le difficoltà che l'apprendente si troverà di fronte ma che cosa fa tale apprendente (giusto sbagliato che sia) —> mette in evidenza il reale processo di produzione della lingua. Seguaci di Chomsky hanno operato una distinzione: principi, parametri. I principi valgono per qualsiasi lingua, sono dunque universali: ci sono elementi che appartengono a tutte le lingue (ciò sembra concordare con le idee di chomsky). Es di principio universale: ogni lingua ha strutture che esprimono singolarità o pluralità; ogni lingua ha strutture che descrivono azioni (i verbi); ecc. tali strutture nelle lingue possono essere considerate di maggiore o minore marcatezza. I principi sono dunque elementi linguistici universali; i parametri sono elementi linguistici non universali che variano da lingua a lingua. Es. alcune lingue tollerano la caduta del soggetto (come l'italiano: non mi ha ancora telefonato), altre non lo tollerano (come l'inglese). Corder, error analysis and interlanguage (1981) —> anni '70 —> analisi degli errori. Una serie di studi contribuì ad aumentare il discredito nei confronti del comportamentismo: in essi si dimostrava che solo in certi casi, piuttosto limitati, gli errori degli apprendenti erano chiaramente attribuibili a interferenze tra la prima e la seconda lingua; molti altri errori non erano giustificabili in questo modo e, soprattutto, molti errori che l'analisi contrastiva prediceva non si verificavano praticamente mai. Corder fu il primo a studiare in maniera consistente l'errore: the significance of learning's error (articolo del 1967) —> Differenze tra error e mistake: quello che è significativo per corder è l'error. Il mistake (errore di produzione non significativo) è una produzione non normale che è stata prodotta ad esempio per distrazione o altre variabili, problemi legati all'esecuzione quindi. Error (errore evolutivo significativo) è invece una struttura significativa: permette di osservare l'evoluzione della lingua. ->"lo studio del linguaggio nelle sue fasi instabili o di cambiamento è uno strumento eccellente per scoprire l'essenza stessa"(Slobin 1977) —> una seconda lingua è sempre una lingua: scoprire come gli esseri umani si rapportano ad essa, sia nell'apprenderla che nell'utilizzarla, contribuisce significativamente a una migliore conoscenza della nostra facoltà di linguaggio. Non solo l'errore non va sanzionato bocciato ecc -> gli errori sono necessari! Non esiste apprendente della lingua che non produce errore. Commettere errori è un modo per l'apprendente di mettere alla prova le sue ipotesi sulla natura della lingua che sta imparando. Vi sono alcune strutture talmente complesse che l'apprendente compie errore e l'errore è assolutamente necessario, senza l'errore non si arriverà alla produzione della struttura corretta, anzi è l'errore stesso che ci annuncia che l'apprendente sta evolvendo e sta arrivando alla produzione corretta. -> l'accento è ora rivolto sull'apprendente, sulle sue strategie di ricostruzione del nuovo codice, che appaiono come una dotazione innata; gli errori devono essere spiegati e previsti a partire da queste strategie e non mettendo semplicemente a confronto i sistemi linguistici di partenza e di arrivo. -> questo però non significa che non esistono errori riconducibili all'interferenza di un sistema linguistico con l'altro: l'influenza della madrelingua viene fortemente ridimensionata e, soprattutto, riconcettualizzata come una strategia tra le tante che l'apprendente impiega nel ricostruire la L2. Es. in italiano presenza morfologica estremamente marcata: sistema verbale! -> saranno le ultime strutture a venire apprese efficacemente. Stranieri ad esempio usano spesso infinto e indicativo presente terza persona singolare: prima conosco verbo mangiare, poi dico io mangiare, poi io mangia (riflessione non consapevole sul morfema a molto presente e ricorrente nei tempi e modi verbali del verbo mangiare -> l'apprendente sta elaborando il linguaggio e sta evolvendo). Non è così semplice riconoscere error/mistake nella lingua dell'apprendente. Seconda distinzione: errore interlinguale (errore indotto da un'interferenza linguistica "egli piove per dire it rains" oppure "rains per dire piove") -> errori condizionati dalla conoscenza di un'altra lingua. Errore evolutivo è più ricorrente. -> questo significa che l'acquisizione di una seconda lingua non è condizionato dalla conoscenza di un'altra lingua -> gli errori non dipendono dalla lingua di partenza ma dalle strutture della lingua che si sta apprendendo. -> questo significa che la lingua materna ha una rilevanza relativa. Selinker, interlanguage (1972) —> Elabora il concetto di interlingua: ovvero un sistema linguistico separato che risulta dai tentativi, da parte di un apprendente, di produrre una norma della lingua di arrivo. Viene pienamente riconosciuta la creatività dell'apprendente che, nei suoi tentativi di avvicinarsi alla L2, costruisce un sistema linguistico vero e proprio, dotato di regole e funzioni ben precise. Introduce il concetto di interlingua: una lingua che viene acquisita è una lingua che sta in mezzo a due lingue. Da una parte c'è la lingua madre o L1, dall'altra una lingua L2 che non raggiungeremo mai perché saranno sempre presenti elementi tipici della madre lingua, in mezzo c'è l'interlingua. L'interlingua è sistematica, ovvero non è un'accozzaglia di parole che si sanno ma funziona sempre come un sistema. Secondo tratto è dinamica, ovvero evolve, muta -> se non muta avviene quello che viene definito fossilizzazione -> ad es. quando una persona immigrata si limita ad imparare solo le strutture e il lessico che gli occorre in ambito lavorativo senza arricchire la conoscenza della L2. Fino a metà degli anni '60 l'interesse dei ricercatori era rivolto principalmente ai sistemi linguistici della lingua di partenza e di arrivo, e non all'apprendente e ai suoi tentativi di ricostruzione del codice della L2 -> in quegli anni però si cominciò a parlare di "competenza transitoria"(Corder), "dialettico idiosincratico"(Corder), "sistema approssimativo"(Nemser), "interlingua"(Selinker), tutte nozioni che cercavano di dare conto dell'autonomia e indipendenza delle produzioni degli apprendenti; il termine ormai affermato e diffuso è quello di Selinker. L’interlingua UNA LINGUA SENZA GRAMMATICA Pare che nei primi stadi dell'interlingua siano all'opera principi universali che sono meno evidenti nelle fasi di sviluppo successive. È solo nell'elaborazione successiva a questa varietà di base che forti influenze della lingua materna e la peculiarità della lingua di arrivo diventano visibili -> i passi iniziali dello sviluppo sono prevalentemente guidati da principi universali, mentre fattori attribuibili alle specificità delle lingue individuali sono più caratteristici delle fasi successive. In situazioni di apprendimento naturali, le prime strutture linguistiche a essere apprese sono parole isolate o formule non analizzate: la grammatica viene appresa solo in un secondo momento -> è per questo che si potrebbe definire la varietà di base una lingua senza grammatica. Le prime parole apprese È difficile dire quali sono le prime parole apprese da un adulto che impara una seconda lingua da solo (come contattarlo? Come osservarlo?), per questo motivo gli studi che descrivono le primissime espressioni della L2 riguardano quasi esclusivamente b inseriti in istituzioni scolastiche, nelle quali i b sono osservati fin dal primo giorno di contatto con la nuova lingua. Prima ancora di imparare a descrivere e classificare la realtà mediante aggettivi e verbi, ai b interessa imparare a stabilire e gestire delle relazioni (preoccupazione dell'interazione; aggettivi che servono ad esprimere una valutazione nei confronti di qualcosa, a specificarne il rapporto con il parlante e le sue inclinazioni e preferenze -> nelle interlingue iniziali figurano sempre parole e formule per la gestione della conversazione (es: Hai capito? Come? Sì? No? Non capisco...), parole ad alto grado di generalità (es: questo, così, fare, cosa, qui, là, buono...), formule rituali di cortesia (es: grazie, scusa, per favore...) e di saluto (es: ciao, buongiorno, arrivederci...). Infine ogni apprendente acquisisce per prime le parole che hanno più direttamente a che fare con il proprio universo di esperienza: parole legate al tipo di lavoro, allo studio se è studente, alle istituzioni se intrattiene rapporti con esse -> "in tutte le interlingue iniziali compaiono forme della negazione, forme di saluto e di commiato, di ringraziamento, e altre espressioni frequenti e comunicativamente rilevanti, di solito apprese come formule non analizzate o routine, e naturalmente nomi di persone e di luogo". Formule Formule o routine: sono frasi o parti di frasi non analizzate, veri e propri "moduli prefabbricati" di linguaggio -> capita spesso di sentire apprendenti nelle fasi iniziali produrre enunciati corretti e di una complessità assai maggiore di quella media consentita dalle loro capacità linguistiche (es: i don't know; come si chiama? -> uso corretto della forma riflessiva del verbo, accordata per tempo e numero) -> questi exploit linguistici non sono altro che formule apprese come unità non analizzate e non riflettono l'effettivo livello raggiunto nella produzione creativa -> le formule vengono utilizzate per compiere atti linguistici frequenti -> avendole udite molte volte, e trovandole utili, l'apprendente finisce per memorizzarle come azioni linguistiche complesse ma indifferenziate, e come tali le usa. Nella categoria di linguaggio formulaico si è soliti riprendere sia le formule vere e proprie (come si chiama? How old are you?), sia i frames (o patterns), ovvero segmenti di linguaggio formulaico che presentano spazi in cui possono essere inserite espressioni variabili (would you like some...? Can i have a...?) -> questo pone un confine tra linguaggio formulaico e creativo. Si tratta di produzioni di una complessità strutturale maggiore rispetto a quelle delle produzioni medie dell'apprendente. Sono delle sequenze di espressioni relativamente fissate, usate con una funzione costante e in genere pronunciate in un unico profilo intonazionale, senza esitazioni. In realtà, specie nelle fasi più avanzate, risulta difficile tracciare una separazione netta tra linguaggio formulaico e creativo. Uno degli studi più approfonditi sulle formule è quello condotto da Wong-Fillmore, condotto su 5 ispanofoni che apprendevano l'inglese in una scuola americana. Secondo l'autrice i parlanti hanno fatto ampio ricorso alle formule nelle fasi iniziali del loro apprendimento linguistico -> suddivisione per funzioni proposta dall'autrice:  Interattive (hi, goodbye, oh teacher, hello...);  Domande (how are you? What is that? How much? Ecc);  Risposte a commenti e domande ( nothing, ok, yes, i do, i do not, no...);  Ordini e richieste (hey look, stop, look it, stop it...);  Presentativi e "parallel talk" (here you go, this, like this, one more...);  Gestione del gioco (i got'em, you got'em, she has it, my turn?...);  Varie (it's time for_, ecc). Conviene distinguere le formule vere e proprie dagli "stereotipi", espressioni fisse, ricorrenti, usate sempre nelle stesse circostanze, ma non strutturalmente opache per l'apprendente. Una delle posizioni oggi prevalenti è che sia meglio vedere formulaicità e creatività come poli opposti di un continuum di strategie di produzione linguistica, per cui una gran quantità di frasi non sarà né interamente formulaica né interamente creativa -> la formula rappresenterebbe un punto di partenza per l'elaborazione di frasi originali più complesse -> l'apprendente si baserebbe su un esiguo numero di "moduli prefabbricati" a partire dai quali, mediante ripetuti tentativi di sostituzione e permutazione, giungerebbe a produrre frasi sempre più complesse -> questo meccanismo spiega anche certi percorsi di apprendimento a "U", in cui inizialmente vengono prodotte più forme corrette che in seguito -> le formule apprese e usate dai b non erano importanti solo perché consentivano loro di iniziare a parlare la lingua ben prima di sapere come essa era strutturata, ma anche perché costituivano il materiale linguistico su cui potevano essere svolte molte delle loro attività analitiche. L'uso delle formule è un fenomeno attestato in tutti gli apprendenti, anche se alcuni vi fanno ricorso più frequentemente di altri -> certe persone hanno uno stile di apprendimento più globale, mnemonico, mentre altre imparano in modo più analitico, basato su regole. Inoltre alcune lingue si prestano meglio rispetto ad altre all'utilizzo di moduli prefabbricati. Infine le formule non entrano nell'interlingua solo nelle prime fasi, quando occorre comunicare a tutti i costi senza avere acquisito i mezzi lessicali e grammaticali per farlo produttivamente, ma giocano un ruolo importante anche negli stadi successivi -> si può dire che uno degli aspetti più complessi della competenza comunicativa sia proprio quello di produrre in modo automatico e naturale le formule appropriate a varie situazioni conversazionali: ciò che differenzia il parlante nativo dall'apprendente è proprio tale capacità. La 'grammatica' delle lingue senza grammatica Anche nelle prime fasi gli apprendenti cercano di combinare tra loro le parole e i moduli prefabbricati di cui dispongono - > non esiste comunque ancora qualcosa di paragonabile alla grammatica della lingua d'arrivo, con tutte le regole morfosintattiche ben definite -> già dagli anni '70 alcuni ricercatori avevano notato che gli apprendenti non affrontano la nuova lingua in modo casuale: i loro primi approcci, al contrario, presentano strategie regolari e comuni. Corder confrontò le interlingue nelle prime fasi con altri "codici semplici", come le lingue pidgin (sono esempi di apprendimento di una seconda lingua non giunto o parzialmente giunto alla lingua target -> sono le lingue che si sviluppano in comunità di persone che cercano di apprendere una seconda lingua avendo però un accesso molto limitato ai suoi parlanti nativi -> il sistema risultante sarà estremamente povero e semplificato rispetto alla lingua target -> la maggior parte degli apprendenti si fossilizzano arrestandosi alla varietà di base, es addetti lavoro che imparano solo il necessario per lavorare e rapportarsi coi datori di lavoro) o i registri detti baby talk (è la varietà di lingua usata in rete in certe culture dagli adulti nei confronti dei b piccoli; es "no cosi,̀ cattivo ,marco, fai bua a mamma") e foreigner talk (è una varietà che alcune persone usano nei confronti degli stranieri; es "tu scendi autobus e trovi stazione") -> questi "codici semplici" potrebbero sembrare una semplificazione della lingua di arrivo, tuttavia, si può semplificare solo ciò che già si possiede nella sua forma completa -> si può dire che un adulto che produce frasi di baby talk o foreigner talk stia semplificando la sua lingua, ma non che un immigrato da due mesi in italia stia semplificando l'italiano, piuttosto si dirà che sta parlando una varietà più semplice rispetto a quella standard -> per questo motivo Corder preferisce parlare di "codici semplici" piuttosto di lingue semplificate. Alcuni autori distinguono tra una varietà pre-basica e una varietà basica: pur avendo molte caratteristiche in comune, la seconda si differenzierebbe dalla prima per una maggiore ampiezza del repertorio di avverbi che incorniciano gli eventi, per l'uso di strategie di costruzione di frasi più variate e complesse, per la comparsa di parole che organizzano il discorso e, in generale, per la presenza di principi organizzativi non solo pragmatici, ma anche semantici e sintattici -> l'identificazione di una varietà basica o pre-basica non è sempre facile.  Morfologia assente o molto semplice -> se paragonata con la lingua d'arrivo, l'interlingua nelle sue prime fasi può essere detta una lingua senza grammatica -> gli elementi lessicali sono usati in modo invariabile -> i verbi, ad es, non vengono coniugati ma appaiono sempre in una forma basica corrispondente in molte lingue alla radice verbale (es io mangia, lui mangia, io vuoi, tu vuoi, una volta andare in giro, he go...). Per quanto riguarda l'italiano, però, è stato ripetutamente notato che l'acquisizione della morfologia procede più speditamente rispetto ad altre lingue -> le cause proposte sono diverse: la morfologia flessiva dell'italiano particolarmente ricca, le sue regole si applicano praticamente a ogni item lessicale, i morfemi grammaticali sono percettivamente salienti e ben riconoscibili alla fine delle parole anche nella lingua parlata, un chiaro rapporto fonema-funzione (non capita cioè spesso che lo stesso morfema grammaticale esprima molte diverse nozioni e questo facilita l'acquisizione).  Uso scarso o assente della copula -> es questo mapo (questo è un mapo), brutto carne (la carne è brutta), no good mexico (il messico non è buono), jean a teacher (jean è un'insegnante).  Mancanza o uso limitato di articoli e preposizioni -> es questo mapo, andiamo giardino, pappa buona.  Uso di funtori grammaticali in contesti e con funzioni non standard -> normalmente gli apprendenti tendono a eliminare il più possibile le parole funzionali, come articoli e preposizioni, accade in certi casi anche il contrario: alcune particelle vengono usate abbondantemente ma a sproposito, cioè in contesti in cui di solito non appaiono nella lingua dei parlanti nativi ("questa chi fiore"- questo è un fiore, "guarda di finito"- guarda ho finito) -> gradualmente gli usi devianti delle particelle grammaticali verranno eliminati e verranno conservati solo quelli appropriati. -> all'inizio la loro funzione sembra essere forse solo quella di imitare il suono della morfologia grammaticale, per dare un'idea di lingua grammaticalmente articolata -> questo uso/abuso dei funtori grammaticali è una delle strategie basilari per la loro acquisizione.  Negazione espressa mediante una particella invariabile -> i codici semplici tendono a esprimere ogni significato attraverso un'unica forma invariabile: è il principio "una forma-una funzione" -> il significato della negazione verrà perciò espresso sempre allo stesso modo, indipendentemente dal fatto che si stia negando un verbo, un aggettivo o un'intera frase (no io freddo, no così, no mangia, no cold, no sleep) -> questa fase sembra essere seguita dalla negazione interna alla frase (i no can see, i no understand), tipicamente prima del verbo (la posizione della particella negativa pare essere universale in tutte le interlingue iniziali)-> in alcuni apprendenti queste prime due fasi emergono contemporaneamente -> in certi casi si possono incontrare nelle varietà iniziali anche delle negazioni posposte al verbo: questi casi però vanno analizzati come enunciati topic-focus, in cui si stabilisce un argomento (topic) e lo si commenta. In questi casi si può notare una cesura intonativa tra il topic e il focus (no unico profilo intonazionale) -> nella negazione posposta viene usano esclusivamente il NO, mentre NO e NON si alternano in quella preposta.  Ordine delle parole -> non è facile ricostruire le regole che seguono gli apprendenti nelle fasi iniziali per combinare le parole tra loro a formare degli enunciati -> ambito di studi ancora in evoluzione. Costruzioni topic-comment o topic-focus: troviamo dapprima l'enunciazione di un argomento (il topic), che viene messo in rilievo dalla sua posizione iniziale e da una pausa che lo stacca dal resto della frase, poi un commento su di esso. In questo modo l'apprendente sembra voler stabilire chiaramente l'argomento di cui si sta parlando, prima di aggiungere altre informazioni/elementi nuovi -> le osservazioni su tale struttura degli enunciati sono sicuramente valide ma non rendono conto di tutti i casi e non costituiscono un quadro generale sulla sintassi delle interlingue iniziali -> es. the cat, he want to eat the bird, the young boy, he can get this fish... Esistono due principi pragmatici e uno semantico che danno conto di un gran numero di enunciati delle varietà di apprendimento iniziali:  Primo principio pragmatico: il focus viene per ultimo (con focus Klein e Perdue intendono qualcosa di simile al comment delle frasi topic-comment) -> se ogni frase può essere considerata come risposta a una domanda allora tutte le risposte possibili saranno il topic, mentre quella effettivamente selezionata sarà il focus —> es: una frase "John ieri è andato a York" può essere considerata una risposta a diverse domande: se la domanda fosse "cosa ha fatto ieri John?" il topic sarebbero tutte le cose che John ha fatto ieri e il focus sarebbe l'andare a York; se la domanda fosse "dove è andato ieri John?" il topic sarebbero tutti i posti dove è andato ieri John e York sarebbe il focus della frase -> poiché il focus viene per ultimo troveremo John va a York e non York va John.  Il secondo principio pragmatico è in realtà una serie di osservazioni su come si mantiene il riferimento a una stessa entità -> quando viene introdotta una nuova entità in una narrazione in generale, questa viene espressa da una unità lessicale (un nome comune o proprio); quando ci si riferisce di nuovo ad essa in frasi contigue, senza che ne venga mutato il ruolo di focus o topic o di controllo, spesso essa non viene più nominata, talvolta viene mantenuta mediante pronomi o riprendendo l'item lessicale con un articolo determinativo. La struttura delle frasi dipende anche da un principio semantico: l'elemento che controlla viene per primo -> molti enunciati rappresentano situazioni in cui un attore esercita un controllo maggiore dell'altro -> es: Maria schiaffo Giovanni (potremmo dire con una certa sicurezza che il nome che compare per primo rappresenta l'elemento con maggiore controllo -> Maria da uno schiaffo a Giovanni), questo è un fiore, "guarda di finito"- guarda ho finito) -> gradualmente gli usi devianti delle particelle grammaticali verranno eliminati e verranno conservati solo quelli appropriati. -> all'inizio la loro funzione sembra essere forse solo quella di imitare il suono della morfologia grammaticale, per dare un'idea di lingua grammaticalmente articolata -> questo uso/abuso dei funtori grammaticali è una delle strategie basilari per la loro acquisizione. Negazione espressa mediante una particella invariabile -> i codici semplici tendono a esprimere ogni significato attraverso un'unica forma invariabile: è il principio "una forma-una funzione" -> il significato della negazione verrà perciò espresso sempre allo stesso modo, indipendentemente dal fatto che si stia negando un verbo, un aggettivo o un'intera frase (no io freddo, no così, no mangia, no cold, no sleep) -> questa fase sembra essere seguita dalla negazione interna alla frase (i no can see, i no understand), tipicamente prima del verbo (la posizione della particella negativa pare essere universale in tutte le interlingue iniziali)-> in alcuni apprendenti queste prime due fasi emergono contemporaneamente -> in certi casi si possono incontrare nelle varietà iniziali anche delle negazioni posposte al verbo: questi casi però vanno analizzati come enunciati topic-focus, in cui si stabilisce un argomento (topic) e lo si commenta. In questi casi si può notare una cesura intonativa tra il topic e il focus (no unico profilo intonazionale) -> nella negazione posposta viene usano esclusivamente il NO, mentre NO e NON si alternano in quella preposta. Ordine delle parole -> non è facile ricostruire le regole che seguono gli apprendenti nelle fasi iniziali per combinare le parole tra loro a formare degli enunciati -> ambito di studi ancora in evoluzione. Combinazione di frasi -> quando si produce un discorso complesso nella varietà di base, occorre indicare in qualche modo quali sono le relazioni tra le frasi, anche in questo caso adottando i mezzi più semplici possibili -> le relazioni temporali tra eventi vengono espresse iconicamente rispettando rigorosamente la relazione "la produzione che viene prima esprime l'evento che è accaduto prima" (o principio dell'ordine naturale) -> "mi sono fermato al bar e poi sono salito in casa" e non "sono salito in casa dopo essere andato al bar" -> i rapporti di tipo subordinativo tra proposizioni sono espressi da poche congiunzioni (in italiano appaiono quando, per e perché) talvolta sono assenti ("Si Rashid regalo, no Fatma regalo" -> se fai un regalo a Rashid, perché non fai un regalo a Fatma). Queste osservazioni mostrano che l'interlingua nelle sue fasi iniziali non è un insieme sparso di parole che ogni apprendente assembla in modo idiosincratico, ma presenta delle regolarità che possono essere definite universali o quasi- universali. -> l'idea di corder che tutti gli apprendenti partano da una "ipotesi euristica iniziale", consistente in un codice semplice con caratteristiche ben precise, pare confermata dalle osservazioni empiriche: le "lingue senza grammatica" non sono solo ammassi di produzioni devianti, ma hanno una loro grammatica. L'acquisizione di una seconda lingua, dunque, non dovrebbe essere vista tanto come un processo che inizia con una semplificazione, che viene man mano abbandonata, ma piuttosto come un processo di ricostruzione che parte da un'ipotesi iniziale semplice e conosce successivamente una graduale complicazione. Questa ipotesi euristica iniziale è disponibile, oltre che per i b che apprendono una prima lingua, anche per tutti gli adulti, che vi fanno ricorso non solo quando devono apprendere spontaneamente una seconda lingua, ma anche quando devono cercare di esprimersi semplicemente come nella comunicazione con i b (baby talk) o gli stranieri (foreigner talk). Le ricerche sulla varietà iniziale mostrano quindi come l'acquisizione di una seconda lingua sia un processo ricostruttivo caratterizzato dalle ipotesi dell'apprendente, che cerca attivamente di produrre regole sempre più efficaci comunicativamente e che sempre più si avvicinino alle norme della lingua di arrivo. Il processo di acquisizione pare così essere guidato da un "sillabo incorporato" nell'apprendente, il quale, sia che venga istruito esplicitamente, sia che debba ricostruire la lingua solo dalle interazioni in cui viene coinvolto, procede in modo almeno in parte prevedibile. SEQUENZE DI APPRENDIMENTO Krasher giunge a proporre la seguente sequenza acquisizionale:   -ing, -s plurale, copula;   Ausiliare be, articoli the/a;   Passato irregolare;   Passato regolare, -s terza persona singolare presente indicativo, -s' possessivo; Perché il passato irregolare viene acquisito prima del passato regolare? Perché la parola è scritta in maniera diversa ed è autonoma -> es. se un tizio anglosassone parla e pronuncia 'arrive' o pronuncia 'arrived', per uno straniero che non sa la lingua è impercettibile la differenza; se invece sente 'go' piuttosto che 'went' in questo caso la differenza viene percepita. Inoltre nei passati irregolari si tratta di memorizzare delle parole in più, mentre per il passato regolare bisogna acquisire un morfema ed è più complicato. Inoltre se una parola è simile ad un'altra, un apprendente tende a non usarla per non confondersi. Critiche:  L'uniformità dei risultati ottenuti dipende dallo strumento di indagine utilizzato -> a parte qualche eccezione, tale ordine di accuratezza nell'uso dei morfemi è stato ottenuto anche mediante compiti sperimentali differenti (comprensione/composizione di testi scritti, ripetizioni di frasi...);  Contare solo le occasioni di uso corretto di una certa forma non è un indicatore affidabile della sua reale acquisizione -> es. si è notato che molti soggetti sovraestendendono il morfema -ing anche ai contesti in cui non è richiesto, e quindi il fatto che esso sia usato tutte le volte che è necessario non equivale a dire che esso viene usato correttamente come lo usano i nativi -> Pica, però, tenendo conto delle sovraestensioni ha ottenuto ordini di accuratezza simili a quelli descritti da Dulay e Burt. Tutto sommato si può dire che i risultati ottenuti sullo studio dei morfemi siano validi -> essi hanno avuto il merito di mostrare per la prima volta l'esistenza di una gerarchia di difficoltà indipendenti dalla L1 nell'acquisizione e uso di certe strutture grammaticali. Le critiche che oggi sono rivolte loro riguardano il valore e l'utilità dei dati che forniscono -> ci danno un'idea della relativa difficoltà di alcune forme linguistiche -> ma quello che interessa riguardo l'acquisizione di una lingua non è la semplice addizione di 'pezzi' di linguaggio disparati, ma la continua costruzione e ristrutturazione di un sistema con funzioni comunicative precise. L'acquisizione della negazione in inglese Soggetti diversi per età, L1 e condizioni socio-economiche attraversano stadi analoghi nell'acquisizione della negazione: Negazione esterna alla frase -> un'unica particella negativa, in inglese no, viene preposta a tutto l'enunciato da negare (no cold, no you playing here...l'elemento negativo si trova prima della frase)Negazione interna, invariabile o variabile asistematicamente -> gradualmente, l'elemento negativo viene spostato all'interno della frase, immediatamente prima del verbo. A questo punto alcuni apprendenti potrebbero usare forme di negazione quali don't o not, oltre a no (they no have water, i not can see, i don't have a dog...) -> il don't è però solo una particella invariabile usata in alternanza asistematica di no -> non è perciò ancora stata appresa la regola della negazione (altrimenti ad esempio userebbe can't al posto di not can) Negazione dopo gli ausiliari -> la negazione viene messa dopo gli ausiliari (i can't see) -> oltre a can, un altro verbo che riceve precocemente la negazione postverbale è la copula be (it's not danger). Negazione su do analizzato -> l'ausiliare do viene analizzato come verbo, in quanto tale coniugato, e la sua funzione di negazione è definitivamente riconosciuta (it doesn't spin, she didn't said it...). Gli studi sulla negazione mostrano come l'evoluzione dell'interlingua non sia descrivibile unicamente nei termini della L1 o della L2 -> vengono seguite le regole di un codice semplice dell'apprendente che esprime la negazione sempre allo stesso modo, con una particella preposta al verbo (i no see). Sequenze di acquisizione dell'italiano come seconda lingua:  La temporalità: 1. Primo stadio -> non esistono mezzi morfologici usati produttivamente per esprimere la temporalità. Gli apprendenti usano una forma unica del verbo, corrispondente tipicamente alla radice verbale (io mangia carne, no mangia così, io capisci italiano...) -> in alcuni apprendenti compare precocemente anche l'infinito (normalmente capita in condizioni molto particolari, con apprendenti di madrelingua isolante, esposti e input ridotto e/o distorto dal foreigner talk). 2. Secondo stadio -> la prima opposizione morfologia a comparire è quella tra azioni passate o concluse e azioni presenti o continuate (suffisso -to del participio passato per esprimere le azioni passate/concluse) -> l'opposizione in realtà non è solamente temporale ma anche aspettuale: il participio passato non indica semplicemente ogni azione accaduta prima del momento dell'enunciazione, ma tipicamente quelle azioni con un aspetto perfettivo, di evento delimitato e concluso (guarda di finito, questo fatto male) -> situazioni passate ma con aspetto continuativo vengono ancora espresse dalla forma basica ("io arrivato a piedi in kassalà, kassalà non c'è lavoro"). 3. Terzo stadio -> gli apprendenti sentono la necessità di esprimere morfologicamente la distinzione tra eventi passati a carattere puntuale ed eventi passati a carattere durativo. l'imperfetto viene a svolgere questa funzione. Frequenti gli imperfetti ero/a in funzione di copula, del verbo avere e potere. 4. Quarto stadio -> compaiono futuro e condizionale, seguiti dal congiuntivo. La principale distinzione che appare a questo livello è quella tra fattualità e non fattualità (tra ciò che è presentato linguisticamente dal parlante come vero, come un fatto, e ciò che è presentato come possibile, ma di cui non si hanno prove certe, oppure come ipotizzato o desiderato -> questo livello viene raggiunto normalmente da parlanti colti che hanno ricevuto qualche tipo di istruzione esplicita oppure da apprendenti la cui L1 sia abbastanza simile all'italiano.  La modalità: l'insieme delle nozioni modali (modalità di dubbio, di ipotesi, di desiderio) riguardano il modo in cui il parlante si pone verso certe proposizioni (e che vengono perciò dette epistemiche, aventi cioè a che fare con la conoscenza), esistono modalità che riguardano la libertà e gli obblighi (dette deontiche, del dovere) e modalità che riguardano la volontà (dette dinamiche). I mezzi per esprimere la modalità sono molti e nell'acquisizione della seconda lingua essi vengono appresi attraversando delle sequenze regolari, nelle quali si possono individuare tre stadi: 1. Modalità implicita -> non esistono mezzi linguistici per esprimere modalità -> gli apprendenti fanno ricorso a segnali non verbali (intonazione, espressione del volto, gesti) per segnalare il loro atteggiamento di dubbio o di desiderio -> Dittman parla a questo proposito di proto-modalità: la ricostruzione dei contenuti modali viene affidata alle capacità interpretative del parlante nativo, che formula delle ipotesi basandosi sul contesto generale della conversazione. 2. Modalità lessicale -> in questa fase prevale la strategia dell'interlingua di base che consiste nell'utilizzare elementi lessicali piuttosto che grammaticali -> compaiono forme verbali fisse (credo, penso, non so), avverbi (forse, magari, possibile), verbi appositi (volere, potere, dovere, bisogna) -> anche l'infinito può essere usato per esprimere una modalità deontica (perché studiare = perché dovevo studiare) -> si noti che questi indicatori mostrano incertezza, dubbio (la comparsa di codificatori che esprimono certezza "sicuramente, certamente" è assai più tardiva). 3. Modalità grammaticale -> i mezzi grammaticali per codificare la modalità appaiono piuttosto tardi: le forme specifiche per questa funzione, condizionale e congiuntivo, sono acquisite in modo produttivo solo dagli apprendenti avanzati -> alcuni condizionali emergono relativamente presto ma si tratta di forme per lo più non analizzate: vorrei, sarebbe. Padroneggiare il congiuntivo è particolarmente difficile per almeno due ragioni: 1) implica un paradigma verbale complesso, 2) riveste due funzioni difficili da distinguere nell'input, quella di esprimere una dipendenza sintattica e quella di indicare la modalità poetica -> è indice di un'interlingua sviluppata l'utilizzo in senso modale dell'imperfetto e del futuro (se io era suo padre a quella ragazza la sgridava; avrà lasciato la macchina con un disastro per cercare il gatto). Un discorso a parte merita l'imperativo -> viene codificato, in quasi tutte le lingue del mondo, da una forma molto basica del verbo, spesso equivalente alla radice verbale; la sua funzione inoltre è comunicativamente fondamentale , consistendo nel richiedere all'interlocutore di fare qualcosa -> ci si potrebbe aspettare che l'imperativo sia una delle prime forme verbali a venire apprese nella seconda lingua -> in realtà normalmente si tratta di formule non analizzate, utilizzate per raggiungere uno scopo pragmatico immediato ma non risultanti dall'applicazione di precise regole per la formazione dell'imperativo -> le regole dell'imperativo in italiano sono molto complesse: cambia la vocale finale alla seconda persona singolare a seconda della coniugazione e si può confondere con il presente indicativo (tu mangi -> mangia; tu leggi -> leggi), la forma negativa implica l'uso dell'infinito (non mangiare), la forma di cortesia lei sovverte il comportamento delle vocali finali (legga, scriva, mangi) -> tutte queste regole vengono apprese lentamente e seguendo una sequenza evolutiva così riassunta da Berretta: 1) verbi in -ere e -ire, 2) forma negativa, 3) plurale, 4) verbi in -are, 5) forma di cortesia.  Il genere -> è una forma di classificazione dei nomi in categorie: in italiano sono due (maschile, femminile), in altre lingue sono tre (maschile, femminile, neutro), in altre ancora sono di più. Nel caso dei nomi che si riferiscono a esseri animati, il genere è legato al sesso del referente ( il maestro, la maestra); in latri casi invece viene assegnato arbitrariamente (il tavolo, la sedia) -> il genere del nome dà luogo a un importante fenomeno grammaticale: l'accordo (le mie care bambine sono tornate) -> l'acquisizione del genere pone due ordini di problemi: da un lato essi devono ricostruire il genere di tutti i nomi (certi indizi formali, come -o per il maschile e -a per il femminile possono essere in linea di massima utili, ma esistono alcune eccezioni come "il problema"; inoltre molti nomi non terminano con -a/-o come "il maglione"); dall'altro essi devono rispettare l'accordo tra il genere del nome e quello di altri elementi della frase come avverbi, articoli, verbi. Questi problemi vengono risolti gradualmente, attraversando una sequenza così sintetizzabile: 1. Primo stadio -> all'inizio il genere, come tutte le categorie grammaticali, non viene nemmeno notato dagli apprendenti, che imparano gli item lessicali come unità opache, non analizzate -> la terminologia appresa è normalmente quella corretta -> compare anche precocemente l'opposizione lui/lei, di notevole importanza comunicativa; 2. Secondo stadio -> appena superata la varietà basica, gli apprendenti cominciano a combinare le parole unite in enunciati e sintagmi, per quanto semplici, e si pongono il problema dell'accordo -> questo si fonda inizialmente su strategie basate sull'assonanza o rima che spesso danno esiti corretti (la maestra, la scuola); talvolta tali strategie sono fuorvianti e portano alla formazione di sintagmi come "la cinema, mamma felicia, una problema, una sogna (vi è una tendenza a sovraestendere la terminazione in -a) -> appare la consapevolezza che le parole terminanti in -a spesso sono relative a referenti di sesso femminile, mentre quelle terminanti in -o a referenti maschili (anche in questo caso la generalizzazione di questa regola porta a degli errori); 3. Terzo stadio -> l'accordo coinvolge l'aggettivo attributivo. Fino a questo punto venivano prodotte forme come "nessuno persona, amici italiano", in cui la forma maschile dell'aggettivo è sovraestesa. Ora invece compaiono tracce di accordo, per lo più basate sulla strategia dell'assonanza (quindi accanto ad un uso corretto di 'acqua calda' troviamo 'grande case') -> non vengono ancora accordati gli aggettivi predicativi (la cucina è piccolo, Siena è bello); 4. Quarto stadio -> l'accordo viene esteso agli aggettivi predicativi (la cucina è piccola, siena è bella); 5. Quinto stadio -> negli apprendenti avanzati viene acquisito l'accordo tra nome e participio passato -> non si avranno più forme come "l'ho studiato questa lingua" ma "siamo partite, sei partito". Un tratto generale che merita essere notato riguarda la distanza sintattica tra il nome che controlla l'accordo di genere e gli elementi controllati: le prime forme di accordo coinvolgono gli articoli e gli aggettivi attributivi, che fanno parte dello stesso 'gruppo sintattico' del nome (il sintagma nominale); nelle forme di accordo acquisite successivamente invece il nome controlla elementi all'interno del 'gruppo sintattico' governato dal verbo (il sintagma verbale): Es: le mie care bambine (sintagma nominale) sono tornate (sintagma verbale). L'INFLUENZA DELLA LINGUA MATERNA Gli apprendenti con retroterra linguistici diversi seguono tutti lo stesso percorso nell'acquisizione di certe strutture che pare essere determinato da due fattori: la struttura della lingua da apprendere e l'organizzazione della mente umana. Non si vede più il rapporto tra sequenze evolutive universali e condizionamenti della L1 come di esclusione reciproca, ma piuttosto si tratta di determinare quali aspetti di una particolare interlingua possano essere descritti come prodotto di strategie universali e quali debbano essere spiegati facendo riferimento alla lingua materna dell'apprendente. -> l'influenza della lingua materna viene chiamata transfer. -> ci sono due problemi con questo termine: 1) è associato alle teorie comportamentiste dell'apprendimento, 2) implica che qualcosa di una lingua venga trasferito nell'altra. Selinker -> è meglio considerare il transfer linguistico un termine generico per un'intera classe di comportamenti, processi e condizionamenti, ciascuno dei quali ha a che fare con l'influenza e l'uso di conoscenze linguistiche precedenti, solitamente ma non esclusivamente della lingua materna. Questa conoscenza contribuisce alla costruzione dell'interlingua interagendo in modo selettivo con l'input della lingua di arrivo e con proprietà universali di vario genere. ->questa definizione esprime il modo moderno di intendere il transfer: 1) si tratta di influenze di vario genere, non di trasferimento di strutture da una lingua all'altra, 2) può verificarsi anche da altre lingue precedentemente apprese e non solo dalla L1, 3) è uno dei processi che contribuiscono a dare forma all'interlingua. Il transfer avviene a tutti i livelli del linguaggio  La fonologia è senz'altro quello dove l'influenza della L1 è più evidente e più difficile da eliminare: si può avere una conoscenza della lingua quasi perfetta sotto tutti i punti di vista, ma conservare ugualmente un accento straniero. Quando formalmente si parla di accento non ci si riferisce solo alla pronuncia dei fonemi, ma anche a fenomeni prosodici e paralinguistici, che sono ancora più difficili da indentificare -> ciò che viene trasferito dalla L1 è tutto il sistema che governa l'intonazione, il ritmo, le accentuazioni della frase. -> alcuni di questi tratti (detti soprasegmentati perché riguardanti unità linguistiche di livello superiore rispetto a quello segmentabile dei fonemi) sono determinati per differenziare le intenzioni comunicative del parlante;  Esiste un vasto folklore sugli errori dovuti al transfer a livello del lessico -> vi rientrano i cosiddetti "falsi amici", parole che si assomigliano a livello fonico po grafico ma esprimono significati completamente diversi (to pretend (fingere)-> pretendere);  Anche nella sintassi si possono verificare fenomeni di transfer -> es i parlanti cinesi producono costruzioni in italiano che riflettono regole sintattiche della L1; in cinese, il determinante precede il nome: (banana di pelle -> buccia di banana); ugualmente molto italiani producono frasi in inglese come "i take always the train", al posto di "i always take the train", che riflettono l'ordine delle parole della frase italiana "io prendo sempre il treno" -> sulla base di dati come questi, Andersen suggerisce l'esistenza di una strategia interlinguistica generale, il principio di rilessificazione: quando non riesci a percepire le strutture della lingua che stai cercando di acquisire, usa le strutture della tua lingua materna con elementi lessicali della L2;  In genere, si tende a considerare il livello della morfologia relativamente immune da fenomeni di transfer: pare in effetti piuttosto strano che un apprendente trasferisca al verbo inglese le regole per la formazione del passato in italiano (ad es un ipotetico writato come passato di write) -> come nota Odlin, la possibilità non è da escludersi completamente: se lo stesso morfema sussiste nelle due lingue, e viene usato in modo simile in almeno alcuni contesti (esistono dunque i presupposti per un possibile transfer) -> es per un ispanofono che pronuncia "too manys cars", ponendo la marca del plurale non solo sul sostantivo (come richiede l'inglese), ma anche sull'aggettivo (come in spagnolo);  Notevoli fenomeni di transfer appaiono invece al livello del discorso, il modo in cui i parlanti collegano gli enunciati tra loro e li utilizzano per raggiungere determinati obiettivi interazionali. Il transfer non è solo negativo Il transfer non deve essere considerato solo come trasferimento delle abitudini linguistiche dalla L1 alla L2 (fenomeno negativo) -> non bisogna dimenticare il ruolo positivo che svolge la madrelingua nell'acquisizione della L2 -> tutti gli individui, chi più chi meno, fanno ricorso alla loro prima lingua (o alle loro prime lingue) quando ne apprendono una nuova -> la lingua materna ha un ruolo principalmente facilitativo nel creare l'interlingua, qualora l'apprendente percepisca, mediante delle identificazioni interlinguistiche, una corrispondenza tra qualche proprietà della L1 e della L2 - > le identificazioni interlinguistiche sono per Selinker una delle strategie di base dell'apprendente, mediante le quali viene gradualmente ricostruito il sistema linguistico della lingua di arrivo (quadro teorico di tipo cognitivista: l'apprendente costruisce ipotesi utilizzando varie strategie, una delle quali è il ricorso alla L1 -> c'è quindi una netta differenza rispetto alle teorie comportamentiste che si limitavano a parlare di abitudini e del loro trasferimento più o meno involontario) -> es è stato notato che, tra gli apprendenti dell'italiano come L2, i parlanti lingue tipologicamente affini (come lo spagnolo o il francese), procedono più speditamente di altri che parlano lingue europee non del ceppo romanzo (come il tedesco) o più distanti (come ad es il cinese). Esempio di transfer positivo: esperimenti di White -> a soggetti francofoni, ispanofoni e italofoni venivano mostrate delle frasi inglese, alcune delle quali erano scorrette in quanto prive del pronome soggetto. Mentre l'italiano e lo spagnolo sono lingue che non richiedono obbligatoriamente l'espressione del pronome soggetto in una frase, il francese, come l'inglese, lo richiede. Quindi spagnoli e italiani tendevano a considerare corrette le frasi senza pronome molto più dei francesi: quest'ultimi venivano aiutati dal fatto di parlare una lingua che, da questo punto di vista, assomiglia all'inglese. Elusione Nulla viene "trasferito" da una lingua all'altra, anzi accade il contrario -> può accadere che certi apprendenti trovino alcune strutture della L2 particolarmente difficili poiché molto diverse da strutture analoghe nella L1 o perché nella L1 non esistono affatto: in questo caso l'influenza della L1 consiste nell'indurre gli apprendenti a evitare l'uso di tali strutture -> Schachter dimostrò che i parlanti cinesi e giapponesi tendevano a produrre molte meno proposizioni relative in inglese dei parlanti arabo o persiani. Tutte queste lingue hanno proposizioni relative però l'arabo e il persiano le costruiscono in modo analogo all'inglese. -> un altro studio più recente ha dimostrato l'influenza della L1 sull'evitamento di certi aspetti della L2: Laufer e Eliasson: hanno somministrato test di traduzione e a scelta multipla sui phrasal verbs ad apprendenti avanzati dell'inglese, le cui prime lingue erano lo svedese e l'ebraico. l'inglese presenta un gran numero di phrasal verbs (una parola lessicale più una particella, di solito una preposizione), proprio come lo svedese (no l'ebraico). Alcuni significati di questi phrasal verbs sono intuibili (es. take away = portare via) altri invece sono imprevedibili (es turn up -> letteralmente 'girare su' ma = arrivare). I soggetti con l'ebraico come L1 tendevano in media a sbagliare più risposte, a differenza degli svedesi che li impiegano più comunemente -> anche in questo caso si vede come la L1 condizioni i parlanti a evitare certe strutture della L2 particolarmente estranee. Quando avviene il transfer?  Distanze reali e distanze percepite -> di solito si parla della distanza tra lingue come di un fatto oggettivo. Esistono dei parametri linguistici che ci possono indicare (seppur non in maniera definitiva e inequivocabile) quanto due lingue siano vicine: si può guardare se le due lingue sono imparentate (in prospettiva storica); c'è inoltre una branca della linguistica, la linguistica tipologica e comparativa, che ha proprio il compito di confrontare le lingue tra loro e raggrupparle a seconda delle caratteristiche che condividono, mettendo in luce somiglianze e differenze -> tuttavia, quando si parla di differenze translinguistiche nell'apprendimento della L2, oltre a queste differenze oggettive, bisogna tener conto anche delle percezioni soggettive -> Kellerman parla a questo proposito di una 'psicologia' degli apprendenti, i quali percepirebbero in vari modi le lingue come più vicine o più lontane: queste psicotipologie determinano quanto un individuo sia disposto a rischiare nel trasferire alla L2 elementi e strutture della L1. -> una volta che l'apprendente abbia stabilito quanto la L2 sia lontana, non deciderà però di trasferirvi o meno gli elementi della L1 sempre allo stesso modo, poiché alcuni di essi saranno percepiti come più trasferibili (language neutral) di altri (language specific) -> le intuizioni degli apprendenti su ciò che è più o meno centrale nella loro L1 paiono quindi essere un elemento importante nel determinare cosa verrà trasferito nella L2 -> un limite di questo studio è che i dati si basano su giudizi intuitivi e non frasi effettivamente prodotte dagli apprendenti: anche se appare plausibile, non è stato ancora empiricamente dimostrato che ciò che ai soggetti sembra "traducibile" è anche ciò che viene effettivamente trasferito dalla L1 alla L2;  Transfer to somewhere (transfer da qualche parte) -> questo principio proposto da Andersen serve a spiegare perché non tutti gli aspetti della L1 vengono trasferiti nella L2 -> se il francese assomiglia all'inglese come l'inglese assomiglia al francese, ci si potrebbe attendere che i transfer funzionino allo stesso modo nelle due direzioni -> invece per quanto riguarda i pronomi ciò non si verifica: il francese mette i pronomi complemento oggetto prima del verbo (le chien les a mangés = il cane li ha mangiati), mentre i sintagmi nominali pieni seguono il verbo (le chien a mangés les chats = i cani hanno mangiato i gatti). In inglese invece sia i pronomi che i sostantivi seguono sempre il verbo (the dog ate them/the dog ate the cats) -> gli anglofoni che imparano il francese potrebbero produrre frasi come "le chien a manges les" in cui trasferiscono al francese la loro strategia di mettere i pronomi oggetto dopo il verbo, eppure non si è mai sentito un francofono produrre una frase "the dog them ate", trasferendo all'inglese il sistema dei pronomi preverbali del francese. -> come spiegare questa asimmetria? Il principio del transfer da qualche parte prevede che il transfer possa verificare se e solo se esiste già nell'input della L2 il potenziale per delle (sovra-)generalizzazioni, cioè solo quando certi aspetti della L1 possono essere trasferiti in "qualche parte" della L2 che si presti a ciò -> gli anglofoni notano che in francese è possibile far seguire i complementi oggetto ai verbi e quindi sovregeneralizzano anche ai pronomi questa possibilità, seguendo la loro L1; i francofoni invece non osservano mai frasi inglesi in cui il complemento oggetto precede il verbo e così non sono tentati di trasferire la strategia francese del pronome preverbale;  Livello di acquisizione -> a ogni stadio del processo di acquisizione esistono possibilità di influenza della L1: in pratica, ogniqualvolta un apprendente inizia a sperimentare nuove forme o nuove funzioni del linguaggio, ci si potranno attendere dei tentativi di trasferire le proprie conoscenze linguistiche pregresse. In quella sorta di protolingua che è la varietà di base saranno più evidenti le caratteristiche universali dei codici semplici e meno pronunciate le influenze di lingue pienamente sviluppate quali sono la L1 e la L2 -> perché certe strutture della L1 possano venire trasferite sarà necessario che l'apprendente abbia raggiunto un livello tale da consentire una misura cruciale di somiglianza tra una struttura della L2 e il suo analogo della L1 —> es negazione: finché gli apprendenti sono al livello della negazione esterna non ci saranno fenomeni di transfer tra tedesco L1 e inglese L2; con la negazione interna dopo l'ausiliare, come 'that's no right' sarà possibile che l'apprendente inizi ad applicare all'inglese la regola della negazione tedesca, che appare sempre dopo il verbo, producendo frasi come 'marylin like no sleepy -> si tratta di un es di transfer da qualche parte, in cui la possibilità di mettere la negazione dopo certi verbi (gli ausiliari) viene sovrageneralizzata a tutti i verbi, seguendo la regola della L1. LA VARIABILITA’ DELL'INTERLINGUA Tutti i sistemi hanno degli elementi di variabilità: data una certa intenzione comunicativa, in qualunque lingua esistono molti modi per poterla realizzare -> se queste diverse realizzazioni sono sistematicamente associate a particolari fattori, linguistici o extralinguistici, si parla di variabilità sistematica -> ad es (varibilità che dipende da fattori linguistici) in italiano l'articolo indeterminativo femminile può essere espresso da una e un', a seconda che la parola che segue inizi per consonante o vocale: si tratta dunque di una variabilità dipendente dal contesto; es variabilità dipendente da fattori extralinguistici: posso usare la parola casa se parlo con un amico, mentre se sto scrivendo una relazione tecnica userò la parola edificio. La variazione casa/edificio dipenderà dunque dalla situazione comunicativa, da chi è coinvolto, dagli scopi per cui si configura ecc -> esistono però dei casi che non paiono riconducibili a nessuna regola: si parla in questo caso di variazione libera -> es posso usare le forma in casa/a casa alternandole a mio piacimento senza essere in grado di trovare regolarità nei loro utilizzi. -> una variazione libera deve sempre essere trattata come provvisoria: in un secondo momento essa potrebbe rivelarsi condizionata da fattori inizialmente non presi in considerazione. Ellis propone i seguenti criteri (casi in cui si può parlare di variazione libera):  Le due forme si presentano nello stesso contesto situazionale;  Le due forme contribuiscono a realizzare lo stesso significato illocutorio;  Le due forme si presentano nello stesso contesto linguistico;  Le due forme si presentano nello stesso contesto di discorso;  Non c'è, nel modo in cui sono prodotte, alcun indizio che riveli un diverso grado di attenzione rivolto alla forma degli enunciati. La variabilità sistematica Tre sono i fattori che la causano:  Il contesto linguistico -> la produzione di certi fonemi varia a seconda della loro posizione nella sequenza fonica: Dickerson ha notato come i giapponesi producevano in maniera corretta il fonema inglese /z/ se questo era seguito da vocale, in maniera scorretta se era seguito da consonante o nulla -> anche a livello morfologico il contesto linguistico influenza il tipo di strutture usate: Ellis nota che certi apprendenti dell'inglese marcano la terza persona singolare del presente con il suffisso -s negli enunciati isolati o, nei periodi complessi, solo nella prima proposizione;  Il contesto extralinguistico -> questo tipo di variazione è molto studiato nei parlanti nativi i quali usano particolari varianti fonologiche, morfologiche, sintattiche e lessicali a seconda della situazione sociale in cui si trovano -> teoria di Giles dell' "aggiustamento linguistico" (speech accomodation): in situazione di comunicazione interculturale i parlanti farebbero complessi giochi di aggiustamento reciproco per dimostrare quali relazioni e distanze intendono stabilire -> l'uso di particolari varianti linguistiche sarebbe uno degli strumenti più importanti per manifestare queste relazioni di maggiore o minore convergenza;  Il tipo di compito -> gli apprendenti non producono gli stessi errori quando svolgono attività diverse: intuitivamente si sarebbe portati a ipotizzare che nelle attività che permettono di concentrarsi maggiormente sulla forma linguistica gli apprendenti si avvicinino di più alle forme standard della lingua d'arrivo -> Ellis ha notato che certe strutture sono prodotte con più accuratezza quando gli apprendenti hanno più tempo per pensare, ad esempio nelle composizioni scritte o nei discorsi orali preparati in precedenza, rispetto a produzioni più estemporanee come una conversazione. Ellis però precisa che la variabile del tempo di pianificazione condiziona la produzione di forme che obbediscono ad una regola costante (come il passato regolare -ed), mentre non influisce sulle forme che non possono essere analizzate secondo strutture regolari, come i passati dei verbi irregolari inglesi (es go->went) -> l'identificazione 'maggior attenzione alla forma=maggiore accuratezza' non è dunque sempre valida -> Tarone: studio sperimentale; 3 gruppi di soggetti, il primo doveva giudicare la correttezza di alcuni enunciati, il secondo doveva sostenere un'intervista orale, il terzo doveva raccontare cosa accadeva in un filmato a un interlocutore che non era in grado di vederlo -> ci si aspettava che l'attenzione alla forma fosse massima nel primo, intermedia nel secondo e minima nel terzo gruppo; invece i risultati non furono come previsto. Come spiegare questi risultati? I compiti sperimentali variavano non solo per la quantità di attenzione alla forma richiesta ma anche per il bisogno di rendere gli enunciati coesi e comunicativamente efficaci. -> per fare ciò le strutture che segnalano coesione e il riferimento a diverse entità, come gli articoli e i pronomi, sono estremamente importanti: questo spiegherebbe il loro uso più accurato nelle situazioni di comunicazione orale. Solo raramente la variabilità sistematica dipende da un unico fattore -> Young ha osservato alcune di queste variabili: variano da quelle di tipo sociologico, come l'identità dell'interlocutore, a quelle di tipo semantico (referente animato o inanimato), a quelle sintattiche (ad es posizione del nome nel sintagma nominale), fino a quelle pragmatiche (ad es presenza nel testo di indicatori di pluralità) e fonologiche -> tutte queste variabili, a loro volta, interagiscono con quella fondamentale del livello di competenza raggiunto nella L2: alcune possono far sentire il loro effetto più nei principianti che negli avanzati, altre il contrario, e altre infine agiscono a tutti gli stadi di acquisizione. -> è impossibile prevedere con certezza quali forme userà un apprendente in un determinato enunciato -> alcuni ricercatori sostengono a questo proposito che le interlingue sono meglio descrivibili nei termini di una grammatica probabilistica, piuttosto che mediante regole categoriche: la loro sistematicità sarebbe legata a una serie di fattori, la cui convergenza determinerebbe il grado di probabilità con cui ci si può attendere una forma o un'altra. Questa probabilità può essere molto alta: in questi casi si potrebbe parlare anche di regola categorica o quasi categorica; con probabilità più basse, potremmo attenderci una forma con maggiore o minore certezza, in base a certi fattori empiricamente studiati; quando invece forme diverse si alternano in modo apparentemente casuale, senza che sia possibile rinvenire alcun fattore in grado di indicare almeno una maggiore probabilità dell'una rispetto all'altra, abbiamo a che fare con la variazione libera. La variazione libera Ellis: se due forme appaiono alternativamente in contesti simili dal punto di vista linguistico ed extralinguistico, per realizzare un identico significato e con uno sforzo di attenzione da parte dell'apprendente apparentemente uguale, si potrebbe dire che esse sono in variazione libera. -> es: un b che imparava l'inglese, nel giro di pochi minuti, mentre giocava a tombola pronunciò 'no look my card' e 'don't look my card' -> non c'è una ragione del perché il b abbia usato due forme differenti, nel senso di una scelta sistematicamente associata a particolari circostanze: si tratta di un caso di pura variazione libera. -> secondo Ellis, molte nuove forme vengono apprese in questo modo: all'inizio esse sono semplicemente notate e sperimentate senza che ne sia chiara la diversa funzione rispetto alle forme già in uso ("fase di acquisizione"); poi vengono attribuite loro delle funzioni più precise, in modo che si affianchino funzionalmente ad altre forme del sistema interlinguistico, oppure le sostituiscano in un progressivo avvicinarsi alle norme d'arrivo ("fase di riorganizzazione") -> per Ellis l'interlingua implica almeno tre processi: 1. l'acquisizione di nuove forme linguistiche; 2. la progressiva organizzazione di relazioni tra forme e funzioni; 3. l'eliminazione delle forme ridondanti. -> es: b faceva un uso indiscriminato di "di" nei contesti (linguistici e non) più vari corrisponde a quello che Huebner chiama "inondazione", una fase in cui una certa struttura viene sperimentata in tutti i contesti -> a questo periodo di inondazione segue un secondo periodo detto di "sofisticazione": l'uso della struttura viene sfrondato gradualmente fino a che, se tutto va bene, rimangono solo gli usi corrispondenti alle norme della lingua d'arrivo. Conclusioni Vedovelli -> propone di considerare l'interlingua come una rete a maglie più o meno elastiche. Le maglie rigide rappresenterebbero i punti dell'interlingua in cui è in atto un processo di fossilizzazione; le maglie più elastiche indicano invece le zone fluide del sistema, in corso di ristrutturazione. Infatti, non sempre è possibile parlare di fossilizzazione per un intero sistema interlinguistico: di solito ci sono parti più o meno stabilizzate (anche se non si può mai considerarle tali in modo definitivo: l'evoluzione resta sempre una possibilità in qualunque interlingua) e parti più o meno suscettibili di cambiamento. La rete inoltre è anche organizzata gerarchicamente : ogni elemento -in base a fattori quali la "naturalezza", il carico di elaborazione cognitiva necessario al suo uso e acquisizione, la disponibilità dell'input- avrà un peso diverso e un diverso grado di avvicinamento alle norme della lingua d'arrivo. ALCUNE TEORIE GENERALI SULLO SVILUPPO DELL'INTERLINGUA La gerarchia di processabilità Fine anni '70 -> un gruppo di ricercatori tedeschi intrapresero un progetto denominato "acquisizione della seconda lingua da parte di lavoratori italiani e spagnoli", abbreviato come ZISA. Attraverso lo studio longitudinale e trasversale di apprendenti a vari livelli, si volevano studiare le sequenze evolutive del tedesco L2 —> due furono i risultati principali: 1) la scoperta di un ordine di acquisizione di certe regole sintattiche comune a tutti gli apprendenti, 2) la constatazione che solo alcune di queste regole seguono questo ordine fisso, mentre altre appaiono in modo variabile nelle interlingue di apprendenti anche a livelli di abilità molto diversi. -> i ricercatori tentarono di dare una spiegazione attraverso un modello che definirono "multidimensionale": la multidimensionalità consiste proprio nell'esistenza di queste due dimensioni: una evolutiva, uguale per tutti, riguardante certe strutture linguistiche, e una di "variabilità", riguardante altre strutture linguistiche. -> l'ordine evolutivo può essere spiegato in base a diverse strategie cognitive che emergono man mano nel corso dell'acquisizione, la variabilità dipenderebbe invece da fattori psicosociali, come la motivazione o il desiderio di integrarsi nella comunità ospitante. Gli apprendenti del tedesco L2 acquisiscono le regole sintattiche in un ordine ben definito. Dopo una prima fase in cui vengono prodotte solo parole isolate e formule, i primi tentativi di sintassi sono caratterizzati da un ordine delle parole fisso: per lo più SVO (=soggetto, verbo, oggetto; es: i b giocano con la palla -> uso strategie cognitive generali; si rispetta un "ordine canonico" rigido), ma in alcuni apprendenti anche SOV. Poco dopo appaiono i primi avverbi in posizione iniziale, come modificatori dell'intera frase (es. là b giocano -> uso di strategie cognitive generali; anteposizione di un elemento importante per inquadrare la frase): tuttavia, la presenza del modificatore iniziale non porta all'inversione soggetto-verbo, richiesta nel tedesco standard. Una fase più avanzata è quella in cui si verifica, in accordo con le regole della lingua d'arrivo, la separazione tra i verbi ausiliari e modali e i loro verbi di modo non finito (es: tutti i b devono l'intervallo fare -> inizia l'analisi sintattica vare e propria, in quanto costituenti che nell'ordine canonico sono tenuti rigidamente insieme, come il gruppo modale-verbo, vengono scomposti, rendendo possibile il movimento di uno dei due sottocostituenti -> questo movimento però, pur partendo dall'interno di un costituente, ha come punto di arrivo una posizione 'esterna', e cioè ancora particolarmente saliente dal punto di vista percettivo). Segue un'altra ristrutturazione in direzione della lingua di arrivo: l'inversione soggetto-verbo nelle frasi che iniziano con un avverbio (es: poi ha lei ancora l'osso portato -> si ha uno scambio interno-interno tra costituenti, con l'inversione verbo-soggetto -> compare l'accordo tra costituenti). Infine, viene acquisita la distinzione tra frasi principali e subordinate, portando i verbi finiti di queste ultime in posizione finale (es: lui dice che lui a casa viene -> strategia tipicamente linguistica: differenziazione tra proposizioni principali e subordinate). L'idea di fondo è che nelle prime fasi si affronta la nuova lingua con strategie cognitive di carattere generale, in seguito se ne adottano altre più specificatamente linguistiche. Un concetto chiave in questa descrizione è il concetto di "costituente", ossia un'unità di analisi linguistica a qualsiasi livello -> una frase può essere analizzata in due costituenti, il soggetto e il predicato; il soggetto può essere a sua volta analizzato in costituenti, come l'articolo e il nome; il nome a sua volta può essere visto come la radice lessicale e un eventuale suffisso singolare o plurale, ecc. -> un'analisi che tenga conto di tutti i livelli della struttura in costituenti è un'analisi che può essere detta specificamente linguistica -> una simile analisi richiede, oltre ad aver sviluppato delle categorie specifiche e aver capito come esse vengono applicate nella lingua, un particolare tipo di memoria per la sintassi (syntactic buffer) —> es se voglio produrre una frase con un modale in tedesco, occorre conoscere i due costituenti (il verbo lessicale e il modale), il primo verrà prodotto subito mentre l'altro dovrà essere tenuto nella memoria sintattica finché non siano stati prodotti tutti gli elementi intermedi. L'ipotesi della processabilità non è limitata solo al tedesco. -> Pienemann e colleghi l'hanno applicata all'inglese come L2 confermandone la validità. -> queste analisi hanno esteso l'ambito di indagine alla morfologia oltre che alla sintassi. -> quello che è stato chiamato "movimento di costituenti" è in realtà meglio caratterizzabile come "scambio di informazioni tra costituenti" —> nelle fasi iniziali i costituenti non sono analizzati, sono delle unità lessicali per così dire opache, monolitiche. Col progredire dell'acquisizione, l'apprendente raccoglie sempre più informazioni sui costituenti: distingue i nomi dai verbi, gli ausiliari dai participi ecc. -> il fenomeno dell'accordo è un esempio di scambio di informazioni tra costituenti. Non è stato provato nulla relativamente all'italiano, ma possiamo fare delle ipotesi: i fenomeni di movimento sintattico dei costituenti nell'italiano sono minimi -> le ipotesi di Pienemann predicono anche ordini di acquisizione relativi alla morfologia -> le prime fasi sono come per le altre lingue: dapprima formule o parole isolate, poi frasi costruite secondo schemi fissi, senza alcun uso produttivo della morfologia. Durante la seconda fase ci sarebbe da attendersi l'insorgere di un uso 'locale' della morfologia: morfemi che modificano esclusivamente la voce lessicale a cui sono applicati, come quelli del genere (maschile/femminile), del plurale, del tempo (in particolare quello passato); dovrebbero comparire, inoltre, i modificatori (avverbi e sintagmi preposizionali) all'inizio della frase. Solo in seguito si avrebbe la comparsa del fenomeno dell'accordo tra costituenti e tra macro-costituenti sintattici diversi (il sintagma nominale e il sintagma verbale). In ultima fase comparirebbe la differenziazione di frasi principali e subordinate; si potrebbe inoltre considerare in questa ultima fase il congiuntivo. -> esistono altri tratti della sequenza evolutiva che le ipotesi di Pienemann non spiegano, come il fatto che il participio passato emerga prima dell'imperfetto e questo prima del futuro, ma è lo stesso autore ad affermare che le ipotesi della processabilità non pretendono di spiegare tutto, ma solo alcuni fenomeni, tra i quali non può essere inclusa la sequenza evolutiva della temporalità in italiano. -> nonostante queste limitazioni, il modello della processabilità ha sicuramente molti aspetti positivi, in quanto costituisce uno dei primi tentativi di dare un quadro teorico complessivo che renda conto delle sequenze di apprendimento. Tale quadro teorico, se corretto, avrebbe un carattere di universalità e permetterebbe perciò di prevedere in qualunque lingua quali saranno le fasi attraversate dagli apprendenti nell'acquisire certe strutture, prima ancora di raccogliere la grande quantità di dati evolutivi che sono stati necessari finora per tracciare, a posteriori, le varie sequenze di apprendimento. -> indicazioni per la didattica: gli interventi educativi veramente utili sono solo quelli che permettono a un apprendente di passare da una fase a quella successiva in modo più rapido ed efficiente, mentre interventi che non tengano conto di questa progressione graduale sono inutili, se non addirittura dannosi. Le ipotesi sulla processabilità permettono allora di diagnosticare il livello di un apprendente e di determinare su quali aspetti della L2 sia più produttivo attrarre la sua attenzione. La grammatica universale Per Chomsky il b che impara la lingua materna è dotato di un 'dispositivo di acquisizione linguistica' innato, che gli permette di formulare regole sulla lingua e produrre, in base ad esse, costruzioni creative che non possono essere ricondotte a un semplice condizionamento da parte dell'input: proprio perché ha l'obiettivo di formulare esplicitamente tali regole che "generano" le frasi, la teoria di Chomsky viene detta anche grammatica generativa. -> l'obiettivo è delineare quale sia la 'grammatica universale' che ogni essere umano porta con sé dalla nascita e che permette di acquisire le lingue. Secondo Chomsky è necessario postulare l'esistenza di questo dispositivo innato perché la semplice esposizione all'input più il ricorso a meccanismi cognitivi generali, come la capacità di induzione o di formare analogie, non sono sufficienti per spiegare come i b acquisiscono tutti, nel giro di pochi anni, un sistema complesso e in un certo senso unico (rispetto ad altri tipi di conoscenza) quale è la lingua naturale -> come si può caratterizzare la grammatica universale? Consiste in principi (=leggi assolute, universali, invariabili, che si manifestano in modo essenzialmente negativo: non esisterebbe cioè alcuna lingua che violi i principi della grammatica universale -> tali principi saranno estremamente generali, nonché specifici del linguaggio) e parametri (=danno conto della diversità delle lingue, riportandola non a una variazione totalmente libera ma a un ristretto sistema di opzioni predeterminate -> quindi i parametri, come gamma di opzioni, sono innati, mentre ciò che deve venire appreso è la selezione di un'opzione piuttosto che un'altra). Es: principio della dipendenza della struttura —> afferma che le lingue umane funzionano in base a categorie strutturali e non a criteri puramente distribuzionali: la regola dovrà essere formulata in termini strutturali, dicendo che si deve portare all'inizio il verbo della frase principale e non quello della subordinata -> le lingue umane si basano dunque su nozioni strutturali come 'frase principale', 'frase subordinata', e non su nozioni lineari quali 'primo verbo', 'terza parola'.  E’ l’uomo che è in giardino alto? —> corretta  E’ l’uomo che in giardino è alto —> sbagliata Es: parametro -> fenomeno dell'omissione del soggetto: in alcune lingue come l'italiano o lo spagnolo si possono produrre frasi senza soggetto, mentre in altre lingue come l'inglese o il francese, l'espressione del soggetto è obbligatoria. -> parametro relativo all'opzionalità dell'espressione del soggetto: il b che apprende la sua L1 parte già equipaggiato con questo parametro e non deve far altro che scoprire se, nella lingua con cui ha a che fare, esso deve essere fissato in un modo o nell'altro. Ciascun parametro non specifica una proprietà individuale, ma è legato ad altre proprietà della lingua da apprendere -> es: il parametro dell'omissione del soggetto comporta altre caratteristiche apparentemente indipendenti da esso -> nelle lingue in cui il soggetto può essere omesso i verbi impersonali appaiono sempre in costruzioni senza soggetto (piove; sembra che le cose stiano cambiando); nelle lingue con espressione obbligatoria del soggetto, queste frasi avranno un soggetto fantoccio/espletivo (it rain, it seem that things are changing). L'obiettivo delle ricerche sulla grammatica universale è dunque quello di ricostruire tutti i principi e i parametri che formano lo 'stato iniziale' innato da cui ogni essere umano parte nell'apprendere le sua lingua materna. -> costruire un apparato teorico per descrivere in modo esplicito il funzionamento della grammatica di una lingua —> due obiettivi:  Dare una descrizione il più possibile adeguata dei fenomeni linguistici  Formulare delle ipotesi che spieghino tali fenomeni e le relazioni tra essi a partire da nozioni di carattere generale come i principi e i parametri C'è chi dice che la teoria di Chomsky non tiene conto dei fattori pragmatici, dei rapporti tra linguaggio e altre dimensioni della vita sociale, dei concreti processi psicologici responsabili della produzione e comprensione del linguaggio -> tutto questo è vero; i ricercatori hanno consapevolmente scelto di concentrarsi solo su alcuni aspetti relativi alla comunicazione umana -> Chomsky ad es ha sempre tenuto a mantenere distinta la competenza (=conoscenza che un soggetto ha delle regole grammaticali, descrivibile come un sistema astratto) dall'esecuzione (=l'uso di tali regole nei contesti concreti). -> quando parliamo è normale produrre ogni tanto delle frasi sgrammaticate: tutto ciò non significa che non conosciamo le regole, ma che in quel particolare atto di esecuzione sono entrati in gioco fattori come la stanchezza, la distrazione, l'inconscio, ecc, che ci hanno fatto produrre quella determinata frase. -> la grammatica generativa ha come obiettivo lo studio della competenza. Un altro limite di questo studio è che l'oggetto di studio privilegiato sarà tutto ciò che nel linguaggio è o potrebbe essere universale: ciò significa escludere dalla considerazione tutti quegli aspetti idiosincratici e 'periferici' della grammatica (ad es l'esistenza di locuzioni senza verbo -> "rosso di sera, bel tempo si spera") che non sono innati e devono essere pertanto appresi in modo non condizionato dai principi e parametri. La grammatica universale è stata intenzionalmente proposta per dar conto dell'acquisizione della L1: si tratta di vedere se essa sia ancora operativa nell'acquisizione della L2 -> esistono tre posizioni in merito:  Dopo l'acquisizione della L1, la grammatica universale è 'morta', pertanto inaccessibile -> chi sostiene la posizione dell'inacessibilità deve dimostrare che gli apprendenti costruiscono quelle che vengono dette 'grammatiche mariole' o 'grammatiche selvagge', vale a dire che le loro interlingue consentono violazioni sistematiche dei principi della grammatica universale. -> dato che L1 e L2 sono lingue naturali soggette ai vincoli della grammatica universale, è improbabile che gli apprendenti finiscano con qualcosa di molto diverso da una lingua umana possibile, vale a dire con grammatiche decisamente selvagge o mariole: tuttavia, essi vi arriverebbero per una strada diversa da quella seguita dai b piccoli che apprendono la L1.  Essa al contrario è perfettamente accessibile e condiziona l'acquisizione della L2 negli stessi modi in cui condiziona l'acquisizione della L1 -> è possibile che la grammatica universale agisca nell'acquisizione linguistica in età adulta, ma in qualche forma attenuata -> gli apprendenti partono con valori fissati nella L1 ma tali valori è possibile risistemarli in accordo con la L2.  Si può ipotizzare una forma di condizionamento parziale sulla L2, che avviene attraverso la mediazione della L1 - > White afferma che alcuni parametri paiono in effetti accessibili e rivedibili, mentre altri presentano maggiori difficoltà, rendendo l'accesso alla grammatica universale dunque parziale. Essendo la teoria della grammatica universale aperta a continue revisioni e reinterpretazioni e sussistendo sempre discussioni sulla metodologia appropriata per rilevare la competenza dei parlanti, gli stessi dati empirici possono essere interpretati in modi diversi invocando diverse versioni della teoria o diverse opzioni metodologiche, che è così difficile falsificare le varie ipotesi. -> in tutte queste teorie il ruolo dei valori parametrici della L1 ha una certa importanza, specie nelle fasi iniziali dell'apprendimento: si tratta in pratica del problema del transfer. I punti di forza di questo approccio (grammatica universale) sono il suo offrire una teoria generale della facoltà di linguaggio, unita a un apparato descrittivo sofisticato in grado di dare conto dei fenomeni fonologici, morfologici e sintattici; in questo modo l'acquisizione della L2 viene inserita in un contesto che include anche l'acquisizione della L1. un altro pregio di questa impostazione consiste nel fatto che permette di generare ipotesi precise, verificabili empiricamente, sullo sviluppo dell'interlingua. D'altra parte, c'è un limite fondamentale che condiziona praticamente tutte le ricerche in questo ambito: lo stato di costante rielaborazione empirica della teoria generale rende difficile trovare un accordo teorico e metodologico tra i ricercatori che pure dicono di ispirarsi tutti al paradigma della grammatica universale; questo conduce ai problemi relativi alla falsicabilità delle ipotesi. Comunicare nella seconda lingua La competenza comunicativa Anni '60 -> alcuni anni dopo l'introduzione da parte di Chomsky della nozione di 'competenza linguistica' (=tutto ciò che un parlante deve sapere per costruire enunciati ben formati da un punto di vista strettamente linguistico), Hymes propose di considerare anche una "competenza comunicativa", che permette di usare efficacemente e appropriatamente le produzioni linguistiche all'interno di precisi contesti sociali. In cosa consiste questa competenza comunicativa? Innanzitutto, la competenza linguistica ne è parte integrante: saper costruire frasi grammaticali è fondamentale per saper comunicare efficacemente. Ma questa competenza non è sufficiente: per descrivere le varie altre competenze che formano la competenza comunicativa andremo dal più semplice al più complesso, o meglio dal più ristretto al più vasto. A un livello di unità minime sta la competenza che ci permette di usare le frasi per compiere atti linguistici (=azioni compiute mediante il linguaggio. Ogni frase che produciamo è un'azione: può essere una domanda, una richiesta, un ordine, una scusa, ecc, ma in ogni caso ogni volta che parliamo facciamo qualcosa. Lo stesso atto linguistico può essere realizzato in modi molto diversi a seconda di chi sia l'interlocutore o la situazione in cui ci si trova -> es: scusi, avrebbe da accendere? Mi fa accendere? Hai da accendere? Fammi accendere). Un altro livello della competenza comunicativa riguarda la capacità di costruire sequenze di frasi: Sequenza corretta: Pronto? Ciao, sono roberta. Ah ciao. Come va? Mah, insomma, benino. E tu? Non c'è male, sono un po' stanca. Dimmi. Ecco... volevo chiederti un favore. Potresti accompagnare tu giacomo in piscina martedì? Sequenza non corretta: Pronto? Ecco... volevo chiederti un favore. Potresti accompagnare tu giacomo in piscina martedi?̀ La stessa frase è appropriata o meno a seconda della sua posizione in una sequenza di altre frasi. È sempre la competenza comunicativa a dirci quali frasi produrre in un determinato momento. Molte delle frasi che pronunciamo possono assumere diversi valori a seconda di come esse vengono contestualizzate -> es: "che scemo che sei" rivolto con un tono simpatico, sorridendo, ad un amico può significare "fai sempre delle battute, sei simpatico", rivolto con un tono serio durante una conversazione tesa può invece significare "hai fatto una stupidaggine, sono molto arrabbiato". Gumperz chiama tutti questi segnali che accompagnano la frase (tono di voce, espressione del volto, movimenti del corpo) indizi di contestualizzazione: essi aiutano a interpretare una frase al di là del suo semplice significato letterale e fanno sì che una frase come "che scemo che sei" riesca a non risultare offensiva, se contestualizzata opportunamente. L'attribuzione di significato a ogni enunciato linguistico richiede sempre un lavoro di interpretazione, consistente nel fare delle 'interferenze' (cioè dei ragionamenti, anche se non sempre coscienti) che, a partire nell'enunciato, da tutti gli indizi di contestualizzazione e dalle nostre conoscenze generali, portano a concludere cosa voleva effettivamente fare l'interlocutore pronunciando quelle parole. La conoscenza del mondo è infatti un ultimo aspetto che forma la competenza comunicativa, tanto vasto e importante che spesso ci dimentichiamo della sua esistenza: eppure, l'interpretazione delle conversazioni dipende in larga misura dalle nostre conoscenze generali. STRATEGIE COMUNICATIVE DEI PARLANTI NATIVI Il foreigner talk È una varietà di lingua parlata da alcune persone quando si rivolgono agli stranieri. È una varietà semplificata che presenta molte caratteristiche comuni ai codici semplici come l'interlingua iniziale, il baby talk o i pidgin, tra cui una certa dosa di 'sgrammaticatura' rispetto alla varietà standard. Caratteristiche tipiche del foreigner talk -> Ferguson le raggruppa in tre categorie: 1. L'omissione di funtori grammaticali (ad es gli articoli, la copula, le congiunzioni...); 2. L'espansione delle strutture della lingua standard (ad es l'uso ridondante dei pronomi anche nelle lingue in cui possono essere omessi); 3. La sostituzione/riorganizzazione delle forme linguistiche (ad es, nell'italiano, la sostituzione di tutte le forme verbali con l'infinito). Nel foreigner talk sono all'opera delle tendenze di semplificazione che paiono universali: parlanti di lingue diverse tra loro, quando cercano di ridurre la loro lingua in favore degli stranieri, seguono strategie sorprendentemente simili (anche b molto piccoli paiono essere consapevoli di queste strategie e paiono utilizzarle). È possibile per i nativi semplificare la propria lingua senza per forza giungere ad enunciati sgrammaticati allora quando e perché i nativi usano il foreigner talk? Appare più facilmente nelle conversazioni spontanee, quando il parlante non nativo ha una competenza molto bassa della L2, e quando ha uno status sociale inferiore rispetto al nativo. -> in relazione a quest'ultimo punto, il foreigner talk è stato associato talvolta a situazioni razziste e classiste, come forma di discriminazione linguistica verso i parlanti non nativi: ciò può essere vero in alcuni casi, ma non sempre ->"razzismo comunicativo": non si limita esclusivamente all'uso del foreigner talk, ma include tutta una serie di atteggiamenti che vanno dall'input semplificato o distorto fino all'assenza di comunicazione. -> certi parlanti possono credere sinceramente di aiutare l'interlocutore semplificando la propria lingua fino a farla diventare sgrammaticata, senza con ciò intendere in alcun modo di offenderlo o sottovalutarlo: è stato dimostrato che il foreigner talk diventa sempre più semplificato (e quindi sgrammaticato) quanto più l'interlocutore dimostra di avere uno scarso controllo della L2, e non in relazione a fattori socio-economici. Alcune ricerche hanno riportato l'uso del foreigner talk anche da parte di alcuni insegnanti. Il foreigner talk può risultare offensivo alle orecchie dei parlanti non nativi, o degli astanti, per la sua forma di linguaggio primitivo; se ne può mettere in discussione l'utilità per la comprensione e l'apprendimento delle lingue, ma non implica sempre e comunque un atteggiamento negativo verso l'interlocutore. Le semplificazioni Non consiste soltanto nel sottrarre o ridurre alcune caratteristiche della lingua standard: in certi casi la lingua semplificata rivolta agli stranieri è anzi più ridondante, più 'ricca' di quella normale, ad esempio quando vengono usati nomi pieni al posto dei pronomi, forme non contratte, morfologia esplicita. In generale, si può dire che la varietà semplificata tende a regolarizzare, a evidenziare, a esplicitare, insomma a rendere più agevole all'apprendente il problema di analizzare la L2. Fonologia: 1. Riduzione -> nessuna; 2. Elaborazione -> articolazione più precisa, rallentata; maggiore uso di accenti e pause; gamma intonazionale più ampia; maggior uso di forme linguistiche complete, evitate le contrazioni. Morfologia e sintassi: 3. Riduzione -> enunciati più brevi (meno parole per enunciato); enunciati meno complessi (meno proposizioni subordinate, meno modificatori); più verbi al presente/ meno verbi con riferimento temporale non presente; 4. Elaborazione -> più enunciati ben formati; meno disfluenze; più regolarità; ordine canonico delle parole; maggiore mantenimento di costituenti opzionali; relazioni grammaticali marcate più esplicitamente; enunciati topic-comment; più domande; più domande sì/no, meno domande aperte. Lessico: 5. Riduzione -> uso ripetuto di poche forme lessicali, meno variazione; meno espressioni idiomatiche; nomi e verbi di alta frequenza; meno forme opache (sostantivi preferiti ai pronomi; verbi concreti); 6. Elaborazione -> uso di sinonimi, parafrasi; scomposizione dei concetti di significato più complesso in concetti più semplici; uso di parole in posizione saliente per inquadrare il resto dell'enunciato; ripetizione delle parole più importanti. Alcune delle principali strategie di semplificazione consistono nell'accentuazione delle parole chiave, nel maggior numero di ripetizioni, nell'uso di termini più generici e di forme non contratte, nell'evitare le forme figurative e i tempi verbali complessi. STRATEGIE COMUNICATIVE DEGLI APPRENDENTI Strategie usate dai parlanti non nativi per compensare i loro limiti nella L2. le strategie comunicative sono piani potenzialmente consapevoli per risolvere ciò che si presenta a un individuo come un problema nel raggiungere un obiettivo comunicativo: 1. Strategie di elusione -> innanzitutto bisogna distinguere le strategie di elusione da quelle di conseguimento (conseguire un obiettivo comunicativo in termine di significati -> es voglio dire una certa cosa ma non dispongo delle parole adatte. Una delle strategie più utilizzata è la parafrasi, ovvero cerco di trasmetter un certo significato quando manca il termine specifico. Esistono però anche tante altre strategie, ecco le più significative). Ma l'obiettivo comunicativo potrebbe essere diverso dal trasmettere un significato: ad es esprimersi correttamente o in maniera fluida -> per raggiungere questi obiettivi l'apprendente può decidere di evitare alcune aree potenzialmente problematiche. Si possono distinguere due tipi di strategie di elusione: riduzione formale e funzionale. Con la riduzione l'apprendente 'riduce' il suo sistema interlinguistico per evitare, usando forme linguistiche poco automatizzate o poco analizzate, di produrre frasi errate o non scorrevoli. Vengono così evitate certe parole, certe forme morfologiche, certe costruzioni sintattiche non abbastanza consolidate, ma l'obiettivo comunicativo, con la riduzione formale, viene nel suo complesso mantenuto. Con la riduzione funzionale, invece, l'obiettivo comunicativo viene abbandonato per evitare l'insorgere di problemi. Ciò accade quando si evitano certi argomenti o certe funzioni comunicative perché richiedono mezzi linguistici troppo complessi: ad es narrazioni al passato, frasi ipotetiche, discussioni su questioni astratte come i sentimenti, i valori, le qualità... 2. Strategie di conseguimento -> l'obiettivo comunicativo originale viene mantenuto nonostante ci siano dei problemi a esprimerlo nella seconda lingua (es la parafrasi -> sono possibili anche combinazioni di più tipi di parafrasi: ad es per 'sedia a rotelle' si può dire 'ha delle ruote' e 'ti ci siedi se non puoi camminare'). Un'altra strategia consiste nel ricorso a termini semanticamente imparentati con quello che si vuole esprimere (es: uomo invisibile per dire fantasma; patate, carote e piselli per dire verdure). Infine, è possibile coniare nuove parole sfruttando le risorse morfologiche della L2 (es: 'il rotondamento dello stadio' per dire la curva dello stadio). LE CONVERSAZIONI IN UNA SECONDA LINGUA Le conversazioni tra nativi e non nativi differiscono da quelle tra nativi anche per quanto riguarda i rapporti tra turni di discorso. Di solito, nella conversazione tra nativi il significato delle parole e delle frasi è un dato non problematico, non deve essere messo in discussione, e l'unica preoccu

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