Storia Economica della Moda (Completo) PDF

Summary

Questo documento analizza il ruolo della domanda e dell'offerta nella nascita dell'industria tessile e dell'abbigliamento. Esplora i concetti di mercato, reddito e potere d'acquisto, sottolineando come questi elementi interagiscano per determinare il prezzo e la produzione di beni di abbigliamento. Il documento tratta inoltre lo scambio, la domanda collettiva, i beni a domanda rigida ed elastica.

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**IL RUOLO DELLA DOMANDA E DELL'OFFERTA NELLA NASCITA DELL'INDUSTRIA TESSILE E DELL'ABBIGLIAMENTO** 1. Mercato 2. Reddito 3. Potere d'acquisto **IL MERCATO** Il mercato non è un luogo fisico, bensì ideale, ma l'insieme dei venditori e dei compratori che intendono vendere o comprare un certo...

**IL RUOLO DELLA DOMANDA E DELL'OFFERTA NELLA NASCITA DELL'INDUSTRIA TESSILE E DELL'ABBIGLIAMENTO** 1. Mercato 2. Reddito 3. Potere d'acquisto **IL MERCATO** Il mercato non è un luogo fisico, bensì ideale, ma l'insieme dei venditori e dei compratori che intendono vendere o comprare un certo prodotto o servizio, accettando di pagare una certa quantità e determinandone quindi il prezzo. È il luogo dove avviene lo scambio, composto da chi compra (domanda) e chi vende (offerta). I soggetti che operano nel sistema economico sono strettamente indipendenti tra loro e, essendo il mercato un luogo virtuale, si creano scambi di flussi di moneta reali. Quindi il luogo virtuale dove si incontrano la domanda delle famiglie e l'offerta delle imprese viene denominato mercato. L'equilibrio tra domanda e offerta crea il prezzo. Il mercato è la base di un sistema capitalistico all'interno del quale sono presenti produttori e consumatori e, attraverso la moneta (metodo di scambio) si acquista ciò che si produce. Invece, nel sistema primitivo si produceva tutto da soli, non esisteva mercato (autoproduzione). La vendita e l'acquisto di mercato avvengono tramite lo scambio (chi vende, chi compra) con l'utilizzo della moneta. **LO SCAMBIO** Lo scambio è un sistema economico: a. Baratto (in assenza di moneta come nelle civiltà primitive) b. Sistema feudale c. Sistema capitalistico (proprietari e salariati) In presenza di moneta, nelle società avanzate, la moneta è l'intermediaria che permette di vendere e comprare beni e servizi. I soggetti principali sono compratore, venditore prezzo e bene (essenziali per il circolo della moneta). Lo strumento giuridico che permette lo scambio è il contratto di compravendita. Di fatto il contratto viene generato solo in base all'importanza del bene come, ad esempio, del bene immobile (es. casa). **ELEMENTI DEL MERCATO** In ogni mercato è possibile individuare. a. **[La domanda dei compratori]** b. **[L'offerta dei venditori ]** c. **[Il prezzo]** L'esclusività determina il prezzo. In un abito di alta moda c'è più manodopera e materiali più pregiati. Inoltre, abbiamo il costo del brand (genuinità del design e stile) a. **LA DOMANDA** - **[Totale della popolazione]** (minore sarà la popolazione, meno consumerà) - **[Struttura della popolazione]** (tra cui l'età anagrafica). Tra una società in cui ci sono molti giovani e una società dove ci sono molti anziani i bisogni della collettività cambieranno (l'ambiente si adatta alla popolazione) - **[Fattori geo-fisici]** (area geografica). Il modo di vivere, la cultura cambia in base al luogo in cui si trova. Le esigenze saranno differenti in ogni parte del mondo. - **[Fattori socioculturali]**. Ogni paese ha un tipo di cultura differente, quindi i loro bisogni si adatteranno a questa. **IL POTERE D'ACQUISTO** I desideri o i bisogni, per essere realizzabili, devono essere sostenuti dal potere d'acquisto, cioè la capacità del mio reddito, che mi dà la possibilità di comprare sul mercato. Bisogni e desideri fanno i conti con il potere d'acquisto (che determina la domanda effettiva), ma a volte non coincidono. Il reddito non è dato solo dal salario (stipendio e altri investimenti). La domanda non coincide con i bisogni tanto meno con i desideri, questi ultimi possono non essere realizzati poiché la richiesta non coincide con i bisogni tanto meno con i desideri, questi ultimi possono non essere realizzati poiché la domanda non coincide con il potere d'acquisto. **DETERMINAZIONE DELLA DOMANDA EFFETTIVA** La [domanda effettiva] è quella che si concretizza sul mercato, cioè quando i consumatori vanno a comprare. La determinazione della domanda effettiva dipende da: - **[Livello di reddito corrente e accumulato]**, cioè il reddito attuale di un soggetto/ente e il reddito percepito in diversi ambiti temporali - **[Distribuzione del reddito]**, cioè da come il reddito è distribuito in un paese in un determinato tempo - **[Livello dei prezzi]**: diminuisce la qualità del prodotto In età preindustriale c'era una bassa produttività del lavoro, un basso livello salariale e il livello dei prezzi era alto. Tutto era prodotto a mano, poca produzione in un tempo prolungato ma il tempo impiegato con sforzi eccessivi veniva ripagato con prezzi elevati dei beni e ciò garantiva un enorme disparità sociale tra ricchi e povero. Le distanze tra ricchezza e reddito si ampliarono in età moderna, forse anche prima della Rivoluzione Industriale (alti fino al 700). Soprattutto nel XIX secolo, le distanze si accorciarono perché i salari reali cominciarono ad aumentare fino a parlare nell'800 di [consumi di massa]. Il restringimento della distanza del reddito è dovuto a un aumento del salario reale. Questo fa concludere che lo sviluppo ha accorciato le distanze sociale e gli squilibri. Il consumo di massa sconvolge la domanda. Per aumentare la produttività si doveva attivare una tecnologia nuova. **CONSUMO DI MASSA, REDDITO DISTRIBUITO** Con il termine redistribuzione si intende la riduzione del livello di disuguaglianza dei redditi familiari di mercato ottenuta tramite imposte e trasferimenti volti a far confluire risorse dalle famiglie più ricche a quelle meno ricche. La redistribuzione (o ripartizione) del reddito consiste nel suddividere la ricchezza tra i soggetti che hanno contribuito a conseguirla. Come nell\'Ancien Regime, la ripartizione del reddito ha influenza sulla domanda. Questo perché quest\'ultima si adattava al tipo di classe sociale. \"La ricchezza in mano a pochi\" significa che c\'è una domanda che si esprime attraverso l\'acquisto di beni di lusso (fascia sociale elevata). L\'età moderna viene stimolata da una domanda di beni artigianali di qualità che a sua volta ha stimolato la lavorazione dell\'alta qualità degli artigiani ma non la standardizzazione - la sua ricerca- dei beni: l\'ampliamento assente del mercato non ha portato al consumo di massa. Tutto cambia intorno al 700. Quando i salari cominciano ad aumentare, soprattutto in Paesi dell\'Europa del centro nord (Olanda, Inghilterra, Germania) e la popolazione comincia ad acquistare altri beni. Notiamo innovazioni del prodotto (nel 500 nasce la colorazione dei tessuti a stampa), l\'allargamento da mercati internazionali; altre classi sociali si elevano e la moda si allarga ma il poco potere d'acquisto permette un \"uso\" limitato della domanda. Infatti, una squilibrata ripartizione del reddito ha conseguenze sulla struttura della domanda. La domanda complessiva si divide in: - - - - - - **LA DOMANDA** **DOMANDA INDIVIDUALE/COLLETTIVA -- ANDAMENTO** La curva di domanda individuale mostra la quantità domandata del bene ad ogni prezzo da parte di un consumatore. La curva di domanda di mercato è data dalla somma delle domande individuali per ciascun prezzo di tutti i consumatori presenti sul mercato. La domanda collettiva, quindi, è la somma delle domande individuali **SPOSTAMENTI DELLA CURVA DI DOMANDA** La variazione della conduzione di mercato della domanda (reddito, prezzo di altri beni, gusti) determina uno spostamento della domanda. Graficamente se la domanda aumenta, la curva si sposta verso destra e la quantità domandata aumenta. Se la domanda diminuisce, la curva si sposta verso sinistra e la quantità domandata diminuisce. Se il prezzo aumenta la quantità domandata diminuisce, se il prezzo diminuisce la quantità domandata aumenta **ELASTICITA' DELLA DOMANDA** ci indica di quanto variano i consumi rispetto all'andamento del prezzo. L'elasticità della domanda rispetto al prezzo indica di quanto varia la quantità domandata di un bene se il suo prezzo aumenta o diminuisce di una certa percentuale **LEGGE DI ENGEL** Più un paese o un individuo è ricco, minore è la percentuale di spesa rappresentata per l'alimentazione (beni alimentari): è inversamente proporzionale. Questo perché vengono spesi per beni che danno soddisfazioni e comodità. Ad esempio, se il guadagno è di 1000 e ne spendo 300 per l'alimentazione, se il guadagno aumenta e arriva a 1400 spenderò 400 per l'alimentazione. Se il guadagno continua ad aumentare si spenderà anche per beni secondari **DOMANDA DI BENI ALIMENTARI** Nelle società preindustriali il rilievo era più alto che nei paesi sviluppati di oggi. Oggi spesa alimentare 20-30% del reddito. Nel 1950 su totale dei consumi per alimenti si spendeva in USA il 22% del reddito, in Gran Bretagna il 31% del reddito, in Italia il 46% del reddito (l'Italia era la più povera). In Europa la percentuale del reddito per l'alimentazione era fino al 1800 circa il 70%, tra fine 1800 e il 1914 circa il 50% e negli anni successivi circa il 30%. Nel 2021 in Italia il peso di prodotti alimentari e bevande analcoliche sulla spesa totale è stato del 19,3%; nel 2020 era del 20,1% a causa della flessione dovuta ad un incremento di prezzo **BENI A DOMANDA RIGIDA** Esistono beni a domanda rigida per i quali una variazione del prezzo determina una piccola variazione della quantità richiesta. Si tratta di [beni indispensabili] con pochi succedanei e indispensabili (es. pane latte, benzina). La variazione (l'aumento del loro prezzo) non comporta la diminuzione della quantità prodotta. I beni verranno ugualmente acquistati perché indispensabili. **BENI A DOMANDA ELASTICA** Esistono beni a domanda elastica per i quali una variazione del prezzo determina una notevole variazione della quantità richiesta. Si tratta di [beni secondari] con molti succedanei (es. per i detersivi) e non indispensabili (es. gelato, moda, vestiario, dolci). All'acquisto dei beni i loro prezzi saranno confrontati prediligendo (in base al potere d'acquisto) il prodotto meno caro. Se il prezzo rimane invariato possono verificarsi variazioni di altre condizioni di mercato che determinano uno spostamento della domanda del bene: - - - Oggi la moda non viene più decisa dall'aristocrazia e dalla corte ma nasce dal basso (quindi prezzi bassi che incidono sulle domande dei consumatori) **DOMANDA DI BENI DUREVOLI** Nel periodo preindustriale la differenza fra ricchi e poveri era minore dei consumi alimentari rispetto ai beni durevoli (casa, arredamento, vestiario). I beni alimentari non prevedevano una vasta gamma di prodotti come oggi: gli alimenti erano limitati, quindi uguali per tutti, in più c'era la limitazione dei prezzi sui beni primari. La più grande differenza (già dal 200 in poi) stava nelle spezie, importate dell'India erano considerati beni di lusso. La limitata domanda della maggior parte della popolazione (solo il 10% possedeva tutta la ricchezza) per i beni durevoli ostacolava la formazione di un mercato di massa, e quindi la crescita dell'industria. Chi poteva comprare questo tipo di beni (casa, arredo ecc..) era molto ricco, la domanda era quindi molta a un mercato di beni di lusso, quindi di qualità. In particolare, in Italia, tutto ciò diede una tradizione artigianale che portò alla capacità di avere un made in Italy di qualità ma, allo stesso tempo, frenava la nascita di un mercato di massa perché non essendoci domanda di beni di qualità nessuno era interessato a produrli. Con la Rivoluzione Industriale si arriverà poi alla produzione in massa a prezzi bassi. **IL VALORE DEGLI ABITI** Gli abiti avevano un valore importante perché erano beni di lusso. Durante il regno di Luigi XIV (1613-1715) i nobili possedevano vestiario per un valore di 1800 livree, i salariati per 27 livree. Il guardaroba di un nobile aveva un valore tale che si poteva sfamare 50 persone per circa un anno, a un chilo di grano al giorno. Essendo l'abito così costoso, quindi lussuoso, a cui solo l'élite poteva arrivare, questo assunse un valore simbolico segno di ricchezza. Da qui in poi, i "nuovi ricchi" (coloro che cominciavano ad arricchirsi) imitano l'abbigliamento degli aristocratici perché vogliono dimostrare la loro "evoluzione" (come riscatto sociale) **VALORE SIMBOLICO DELL'ABITO** Nell'Europa preindustriale comprarsi un abito, o del panno per la confezione di un abito, era un lusso per la gente comune. L'abito acquista un valore simbolico quando esprime il proprio ceto sociale e rango. Nel periodo medievale (dopo il Mille) la "moda" diviene una delle caratteristiche del mondo europeo e acquista questo valore simbolico perché nascono le città: circondate da mura, palazzi l'uno a fianco all'altro, con al centro una piazza dove si potevano riunire le persone. "L'abito fa il monaco" perché diventa una testimonianza sociale. In Francia le persone dei ceti bassi (nel tentativo di mostrarsi all'altezza delle classi superiori) che si vestivano come i ceti alti venivano condanna → nascono per questo le LEGGI SUNTUARIE (che colpivano soprattutto le donne) tra cui quelle dove viene deciso il modo di vestire, in base al ceto sociale. **ABBIGLIAMENTO COME DISTINZIONE SOCIALE** Dal tardo medioevo la \"moda\" diviene una delle caratteristiche del mondo europeo. Dal 1200 in poi nascono le città; nel periodo feudale il mercato girava intorno all\'autoproduzione. Si viveva nel fendo dominato da un feudatario che produceva per l\'autoconsumo. Il suo abbigliamento non era paragonabile all\'abbigliamento dei poveri ma non si avvicinava nemmeno a quello nobiliare. Con la nascita delle città il feudatario diviene cittadino e la terra un bene di investimento. Legata agli sforzi dei ceti privilegiati per distinguersi socialmente e dal tentativo dei gruppi sociali inferiori di mostrarsi all\'altezza delle classi superiori. Con la città nascente, il riscatto sociale dei nuovi ricchi, i nobili sentono il bisogno di distinguersi costruendo palazzi sontuosi, arredati con qualità, all'interno dei quali ogni ceto (es. servitù) aveva un "colore". Si ha bisogno di rappresentazione sociale, di rappresentarsi in base al ceto. **ARTIGIANI** Nelle città si crea il primo ceto borghese di lavoratori, cioè gli artigiani. Con la nascita dell'artigianato, molti artigiani diventano molto ricchi aprendo poi grandi mercati con l'evoluzione dell'artigiano in mercante imprenditore. Per dimostrare la loro ricchezza proveranno ad imitare e vestire come gli aristocratici. Da qui si arriverà alla nascita di un fenomeno: [le leggi suntuarie]. Esse sono delle leggi emanate da ogni comune con le quali veniva stabilito l'abbigliamento dei vari certi e la limitazione di alcuni capi in base alla classe sociale. Erano rivolte principalmente alle donne alle quali venivano limitate oltre agli abiti anche colori e gioielli. Queste leggi cercavano di mettere ordine ad una società che si stava disordinando dal punto di vista gerarchico. Tuttavia, dal 1500 cominciarono a perdere potere. **MODA, COSTUME E CONCETTI NEL TEMPO -- LE DEFINIZIONI** - - Moda e costume si influenzano a vicenda - - - - - - L'abbigliamento ha una valenza simbolica, col tempo sempre più importante **NASCITA DELL'ECONOMIA DELLA MODA** La cosciente creazione della moda e il suo cambiamento stagionale è un fenomeno successivo al tardo Medioevo. L'epoca in cui essa si afferma è la stessa della diffusione internazionale della parola "moda": il Seicento → si comincia a scrivere nel Seicento sulla moda e si comincia a diffondere in Italia il termine «moda». Maria Stella Newborough. nota storica, afferma che la moda comincia a nascere quando si cominciano a distinguere in modo netto gli abiti maschili da quelli femminili. Se la moda come \"status symbol\" comincia nel Medioevo, il momento in cui la moda si afferma al punto tale da coinvolgere altri gruppi sociali è il 500. Il Cinquecento è l\'anno in cui si comincia a globalizzare, in cui una classe sociale si comincia ad occupare dei grandi commerci, cioè i mercanti, che diventeranno ricchi più dei nobili. **MODA COME STRATEGIA IMPRENDITORIALE** Gli imprenditori utilizzano la moda per rimanere i primi nel mercato. I mercanti imprenditori di tessuti di seta di Lione furono i primi ad usare in modo consapevole e su larga scala la differenziazione annuale del prodotto del genere Façonnés (fasonè) come un'arma strategica per il mercato internazionale ogni anno immettevano nel mercato stoffe nuove. Le vicende dei mercanti imprenditori della Grande Fabrique sono indicativi di una svolta epocale nella storia delle pratiche mercantili tessili: quello della differenziazione annuale della produzione programmata e prevista in anticipo secondo consapevoli e sistematiche strategie. La moda, per i produttori serici lionesi, era il prodotto di decisioni strategiche relativamente centralizzate, di scelte formulate da potenti interessi economici, ma già integrati con l'élite del gusto e del potere. Sia la produzione che le comunicazioni erano molto lente: i viaggi troppo lunghi. Così le mode si diffondevano tramite le pupe, ma ciò riguardava solo gli aristocratici. L\'Italia tra il 1200 e il 1400 fu centro economico e artistico, invidiato dagli altri Paesi europei (come Francia e Inghilterra) per imitare la moda italiana producevano degli abiti in miniatura che facevano indossare a delle bambole (di circa 70-80 cm) chiamate [pupe]; queste venivano mandate poi nelle corti europee dove i vestiti venivano imitati. A variare erano però la stoffa e i disegni → successivamente vengono sostituite dalle riviste. Gli italiani dominarono il mercato della seta, dal 1200 in poi. Furono i produttori di seta più importanti al mondo visto che il baco da seta allevato in Italia era di qualità superiore. Nel \'600 però, in Francia a Lione, nella Grande Fabrique, anche grazie ai finanziamenti dello Stato sorsero delle industrie seriche che tolsero all\'Italia il primato internazionale. L\'industria serica di Lione mirava a conservare i segreti della fabbricazione e a preservare l\'innovazione dei disegni, i quali non potevano essere diffusi al di fuori delle fabbriche. Questo perché Lione serviva un mercato internazionale, quindi servivano le stoffe più\' pregiate riservate all\'aristocrazia internazionale, inoltre voleva che i nuovi disegni fossero conosciuti solo quando fossero stati immessi sul mercato. I tessuti erano chiamati Façonnés, molto colorati venivano usati come arma strategica per la conquista internazionale. Gli anni successivi queste venivano copiate poi dagli altri paesi europei diffondendo così, anche se in ritardo, stoffe e colori mutuati dai francesi. I mercanti di Lione furono i primi a usare la moda come affare: programmavano in anticipo i disegni dell'anno successivo. Sapevano che i gusti dei consumatori potevano differire in questo modo. A seconda del mercato a cui venivano spediti i tessuti facevano degli accorgimenti particolari così da conquistare e vendere ai consumatori. La moda, per i produttori seri, era il prodotto di scelte formulate da potenti interessi economici. **MODE E GUSTI** Esiste una relazione diretta fra le variazioni delle mode e dei gusti dei consumatori e le variazioni delle quantità acquistate di un bene. Se un prodotto non va più di moda, la quantità domandata del bene diminuisce molto, anche se il prezzo è rimasto invariato. Un efficacie campagna pubblicitaria provoca un notevole aumento della domanda di un bene, anche se il prezzo è rimasto invariato. Se uno stile (o un prodotto) passa di moda, a prescindere dall'invariabilità del prezzo o dalla sua diminuzione questo non verrà venduto. Oltre a conoscere il mercato e a capire le esigenze dei consumatori si fanno le campagne pubblicitarie con le quali si cerca di far conoscere il prodotto, dunque di conquistare nuovi effetti di mercato. b. **L'OFFERTA** Se la domanda è la quantità di un bene che i consumatori sono disposti ad acquistare ad un certo prezzo, l\'offerta al contrario, è la quantità di un bene che i venditori sono disposti a cedere ad un certo prezzo. I prodotti venduti da un\'impresa (il ricavato della loro vendita) dovrà coprire i costi di produzione ma dare anche profitti. Vari fattori influiscono sull\'offerta, ma il più importante è il prezzo. Altri fattori sono i costi dei fattori produttivi, l\'introduzione di nuove tecnologie, altri fattori (clima, leggi). Un aumento del costo delle materie prime causa, di conseguenza, l\'aumento del prezzo finale di vendita. L\'introduzione di innovazioni potrebbe far risparmiare tempi, quindi nel processo produttivo c'è la possibilità della vendita di beni a prezzi inferiori o invariabili. **VARIAZIONE PREZZO/OFFERTA** In un mercato perfetto: - - Se il prezzo rimane invariato possono verificarsi variazioni di altre condizioni di mercato che determinano uno spostamento dell'offerta: - - - **LE LEGGI SUNTUARIE E LA MODA** *La moda non guarda indietro. Guarda sempre avanti* (Anne Wintour, in The September Issue). La famosa redattrice della rivista «Vogue America», Anne Wintour, in una scena del film The September Issue (2009) dice che la moda è lanciata verso il futuro e non può permettersi di considerare il passato.   La moda «coglie l\'attimo»; è effimera, passeggera, chimerica. Quello che è di moda oggi non lo sarà in futuro e non lo era in passato.  Essere di moda, far moda e produrre moda significa proiettarsi verso il futuro.  Viceversa, il passato, nella moda, è scarto, residuo di quel che era di moda e che rimane a ingombrare armadi sempre più pieni; è «rifiuto» di ciò che è stato, nella convinzione che il nuovo sia migliore di quel che è venuto prima. La storia non si ripete, cioè non si ripresenta mai con gli stessi contenuti o medesimi attori. Viene però praticata, per motivi diversi dalla semplice previsione del futuro.   La storia, specie una storia della moda, considera le persone, le loro azioni e i loro pensieri, ai quali la moda ha dato forma. La moda è quindi un fenomeno attraverso il quale guardare e comprendere la vita delle persone che ci hanno preceduto, capire, ad esempio, perché la maggioranza delle nostre nonne e bisnonne portava un fazzoletto in testa e perché i nostri nonni indossavano spesso la cravatta.   La storia della moda diventa quindi storia di «modi», di comportamenti e azioni quotidiane, non solo di chi fa o è di moda, ma di tutti. La storia trasla quindi il punto di osservazione dalla realtà particolare, attuale, a un\'analisi sul lungo periodo, generale, talvolta astratta.   Lo scopo è comprendere la moda in quanto forza e sviluppo attraverso il tempo. Essa viene spesso vista come qualcosa di effimero, di superficiale; al contrario, la moda rappresenta un processo complesso che lega forze economiche, sociali e politiche nel creare un\'importante forma di cambiamento materiale. In questa sede la moda viene presentata secondo quattro differenti accezioni:   1. **[Processo di individuazione e socializzazione:]** La moda è allo stesso tempo un mezzo per differenziarsi dagli altri e una forma di condivisione sociale. Non si può essere gli unici a rappresentare una determinata moda; in tal caso si è più eccentrici che di moda 2. **[Mezzo di rappresentazione e di mobilità sociale]**: viene usata, cioè, per creare un certo look e per apparire diversi non solo dagli altri ma anche da quello che si ritiene di essere. La moda è un mezzo per reinventarsi, e per apparire più ricchi, più belli e più di moda di quanto si è realmente. 3. **[Relazione tra consumo e produzione]**: Non è solo indossata o usata, ma è anche pensata, creata, prodotta, venduta e promossa sulla carta stampata e sullo schermo. Il consumatore non è quindi l'incontrastato padrone della moda; particolare importanza ha l\'industria della moda, che nel corso della storia è stata al centro di processi di ideazione, innovazione e distribuzione di massa. 4. **[Mezzo di differenziazione di genere d'età]**: Inoltre, nel distinguere l\'oggi dal domani, essa crea delle fratture nel tempo. Spesso si tratta di fratture generazionali, che nella moda vedono uno strumento di innovazione sociale in cui «nuovo» diventa tout court «giovane». Come in tutti i progetti, specie quando il terreno da coprire è così vasto, si debbono necessariamente compiere scelte e selezionare materiali. Esiste una linea retta di demarcazione che separa e distingue i sistemi vestimentari dell'antichità da quelli delle epoche successive? Tra Medioevo e prima Età moderna la moda si confonde con l'ostentazione: il lusso risponde a precise esigenze di rappresentazione delle gerarchie sociali in contesti connotati da una accentuata polarizzazione della ricchezza. Un tempo che molti storici hanno considerato al di fuori della storia della moda e contestualizzato invece nella più tradizionale narrativa della storia dell\'abbigliamento e del costume. Si mostra invece come in questo periodo la moda fosse argomento di dibattito e venisse tanto abbracciata quanto osteggiata. È proprio nel medioevo e nella prima età moderna che la moda diventa importante per l\'economia e per la società ben al di là dei ceti più facoltosi.  Una volta avviato il processo né rapido, né lineare di distinzione dal lusso, la moda si va progressivamente affermando come un'istituzione sociale dell\'Europa moderna, con una singolare, ma non casuale, coincidenza di tempi con il «processo di civilizzazione» e la connessa fioritura della «civiltà delle buone maniere», accanto alla quale, appunto, germoglia anche la «civiltà della moda». Tra Sei e Settecento la civiltà della moda si irradia all\'Europa grazie a vari mezzi di comunicazione, dalle bambole alle stampe ai giornali, e all'influenza della corte di Versailles, che assurge a centro di creazione e di diffusione delle mode. Tuttavia, la corte non riesce a conservare il monopolio della civiltà della moda: dapprima lo condivide e poi lo cede a Parigi, che diviene la prima capitale della moda. La stessa Parigi è poi costretta a difendere il primato appena conquistato contro l\'astro nascente di Londra, culla del sobrio stile inglese che si propone come alternativa al lussuoso gusto francese. Nel corso del XVIII secolo la moda diventa anche un settore strategico dell\'economia: la competizione fra lo stile francese e quello inglese si configura come un confronto economico, ideologico, politico. **LA GUERRA DELLA MODA** La moda diviene, infatti, anche terreno di battaglie ideologiche e politiche: tra puritani e cortigiani nell'Inghilterra del Seicento, tra scozzesi e inglesi nella Gran Bretagna del Settecento, tra patrioti e britannici nel New England Della guerra d'indipendenza, tra le varie componenti della Francia rivoluzionaria. Le innovative tecnologie e le nuove forme organizzative dell'industrializzazione trasformano radicalmente il modo di produrre beni di consumo e la loro accessibilità in termini di prezzo. Il periodo che va dalla fine del Settecento alla prima metà del Novecento quando da un lato la moda diventa più femminile (sebbene quella maschile rimanga importante, ma poco visibile) e allo stesso tempo viene a interessare intere società. È questo il caso della moda informale, associata allo sport e al tempo libero, che ancora oggi è un\'importante fonte di innovazione, come nel caso dell'abbigliamento casual. D'altro canto, la moda si istituzionalizza: appaiono l'haute couture, la figura dello stilista e l\'idea di moda così com\'è definita dalle passerelle delle grandi città come Parigi, Londra, New York e Milano. Tra Otto e Novecento si delineano due percorsi nettamente distinti: - **[La nascita dell'alta moda parigina]**, con i suoi celebrati artisti-couturiers, fondatori delle esclusive e aristocratiche maison, che vestono le grandi dame dell\'alta società occidentale. - **[L'ascesa dell\'abito confezionato]**, ossia la crescente popolarità dell\'abbigliamento pronto, prodotto con l\'impiego dei moderni processi industriali, che non è moda, bensì vestiario pratico e funzionale a poco prezzo. È soprattutto negli Stati Uniti che la «cultura» dell\'abito confezionato raggiunge la maggiore consapevolezza in quanto espressione della «democrazia vestimentaria americana». Nei decenni immediatamente successivi alla fine della Seconda guerra mondiale il mondo della moda è scosso da un vero e proprio terremoto: la cosiddetta "rivoluzione giovanile", oltre a imprimere un'accelerazione a qualche preesistente fermento di cambiamento, è portatrice di un profondo rinnovo culturale. I canoni dell\'eleganza tradizionale sono superati e se ne impongono di nuovi: formalismi, rigidità, e ridondanze sono banditi e sostituiti da informalità, funzionalità, praticità, semplicità. Le case di moda devono adeguarsi. Il punto di riferimento della moda non sono più le signore dell\'aristocrazia internazionale, ma le giovani donne che lavorano. Anche l\'uomo, confinato per secoli nell\'armatura dell\'abito scuro, abbandona la tradizione e diventa fashion victim. È l\'epoca dei blue jeans, delle T-shirt, delle felpe, delle maglie. Scompare l\'alta moda e si delinea un sistema produttivo in cui la sinergia tra creazione e industria è l\'unica opzione possibile.  Cinema, televisione, riviste e più recentemente internet e i social media hanno contribuito a cambiarne i meccanismi, creando cosiddette \'sottoculture\' ma dando voce soprattutto ai giovani nella definizione della moda stessa. Un complesso sistema industriale e di distribuzione ha permesso alla moda di entrare a far parte della vita quotidiana: negozi, outlets, catene e online shopping vendono a miliardi di consumatori prodotti che vanno dalla \'fast fashion\' agli oggetti di marca dell\'industria del lusso. La moda si identifica ormai con il prêt-à-porter e gli stilisti, eredi dei couturiers del secolo precedente e attuali sacerdoti della griffe, ne sono gli interpreti. Ma ci sono altre due importanti novità a trasformare la moda del XX secolo: [polimorfismo e policentrismo]. Non esiste più la moda unica, quella ortodossa dettata da Parigi e seguita dal resto del mondo: ora la moda è fatta di una pluralità di stili, alcuni dei quali sorti dalla strada, tutti ugualmente legittimi.  Come non esiste più una singola capitale della moda: Parigi è solo uno dei poli internazionali, al pari di Londra, Milano, Firenze, Roma, New York e Tokyo **ALLE ORIGINI DEL FENOMENO** L\'avvento della moda creò un mondo nuovo, in cui la passione per la novità combinata con la rapidità dei mutamenti del gusto interruppe una tradizione di consolidate abitudini nel modo di vestirsi e nel significato da attribuire all'abbigliamento. Si parla di [costume]: nel caso delle organizzazioni sociali in cui la foggia dell\'abito non era soggetta a frequenti cicli di cambiamento. Si parla di [moda]: nel caso delle organizzazioni sociali in cui la rapida sostituzione dei modelli vestimentari era la regola  L'affermazione della moda rappresenta un punto di svolta nella storia delle società umane in quanto essa ha introdotto nella compagine sociale un sistema di valori nuovo, in grado di condizionare il comportamento degli attori, sia sul versante delle scelte operate dagli individui sia sul fronte delle strategie adottate dalle organizzazioni economiche. La moda, quindi, si può definire come una [istituzione sociale] che regola l\'avvicendamento di cicli di cambiamento delle fogge degli abiti, superando la preesistente regolazione fondata su principi di carattere ascrittivo. La moda può, cioè, essere considerata un sistema di regolazione in cui la sanzione è determinata dalla manifestazione di espressioni di disapprovazione, ridicolizzazione, ostracismo. L\'assunto implica due elementi essenziali: - il primo è dato dal costante cambiamento, più o meno rapido, delle fogge - il secondo consiste nella facoltà degli individui di seguire tali avvicendamenti senza limitazioni normative Non fu un passaggio brusco o repentino, quanto, piuttosto, un cambiamento graduale e progressivo, ma irreversibile. René König ha individuato quattro fasi di diffusione della moda, la prima delle quali sarebbe ravvisabile «nelle civiltà primitive della preistoria e in quelle arcaiche altamente sviluppate dell'Egitto, della Persia, della Grecia, di Roma, e in quelle dell\'India, della Cina, del Medio ed Estremo Oriente». Notare che le aggregazioni umane evolutesi in società sedentarie in grado di introdurre forme di divisione del lavoro, di dotarsi di istituzioni di governo, di articolarsi in stratificazioni sociali, di elaborare tecniche e di esprimere una cultura scritta mostrarono un'attenzione crescente all'abbigliamento per identificare e distinguere le persone. Tale dinamica si sarebbe poi consolidata nelle raffinate civiltà dell\'antichità mediterranea, come è rilevabile dalle numerose testimonianze tratte dalla letteratura e dall\'esordio della [legislazione santuaria], prima ancora che dalle arti figurative.  Di moda si può parlare già in età antica, come è ben visibile negli affreschi di Pompei ed Ercolano. **LE LEGGI SUNTUARIE NELL'ANTICHITA' CLASSICA: L'ANTICA GRECIA** Ad Atene le norme suntuarie fondamentali erano quelle contenute nel corpus promulgato da Solone nel VI secolo a.C. e successive revisioni. Obiettivo principale era quello di regolamentare le cerimonie funerarie e il ruolo assunto in esse dalle donne. In altre città della Grecia classica le norme suntuarie, oltre a occuparsi dei funerali, intervenivano a limitare l\'ostentazione e il lusso nelle doti, nei matrimoni, nei doni e anche nell\'abito. **LE LEGGI SUNTUARIE NELL'ANTICHITA' CLASSICA: L'ANTICA ROMA** Le più antiche leggi suntuarie romane erano anch\'esse indirizzate soprattutto a regolare il ruolo delle donne nei funerali, dei quali si volevano anche limitare i lussi (tombe, banchetti ecc.).   Le leggi successive, la prima fu la [Lex Oppia] (215 a.C.), abbandonarono l\'interesse principale per i funerali, ma si focalizzarono sulla limitazione dell\'ostentazione di lusso da parte delle donne e sugli eccessi nei banchetti.   Negli interventi normativi successivi alla Lex Oppia le restrizioni relative agli eccessi nei banchetti assunsero un ruolo centrale nelle norme suntuarie romane, mentre perdurava il tentativo di limitare l\'ostentazione di lusso da parte delle donne. Non mancarono nemmeno interventi mirati a salvaguardare la funzione dell\'abito come indicatore di status sociale, come la proibizione ai cittadini comuni di vestire la toga riservata ai senatori o di adottare capi di abbigliamento mutuati dai costumi dei barbari.  Le fonti letterarie dell\'Età classica ci restituiscono una rappresentazione del sistema vestimentario caratterizzata, soprattutto nel mondo romano, dal contrasto fra una tradizione fatta di moderazione e sobrietà e i periodici influssi esotici latori di lussi e lascivia. Valutazioni spesso condizionate dalle vampate moralistiche di particolari congiunture o dall\'affilata vena satirica di alcuni autori.   L\'immagine che emerge è quella di società in cui i membri della ristretta cerchia delle élite andavano a gara nell'esibizione di un'opulenza (stile molto elegante) ricercata.  La ricerca del lusso sembra essere il principio ispiratore della strategia dell\'immagine nei ceti dominanti in società rigidamente stratificate come quelle dell\'antichità classica.  La competizione si giocava soprattutto su alcuni aspetti particolari dell\'apparire come gioielli, acconciature, cosmesi, decorazioni preziose, senza però incidere in maniera significativa sul rinnovamento dell\'abito. In effetti, se si vanno a osservare i cambiamenti apportati alle forme dell'abbigliamento greco e romano nel corso del tempo, emerge con chiarezza una stabilità di lunga durata. **L'ABBIGLIAMENTO NEL MONDO GRECO** ![](media/image3.png)![](media/image5.png) Nel mondo greco [l'abbigliamento femminile] era imperniato su tre capi fondamentali: - **[Peplo]**: che era una veste drappeggiata ricavata da un telo quadrangolare e realizzata in due versioni, quella aperta su un fianco e quella chiusa - **[Chitone]**: una soluzione alternativa al peplo, era ricavato dalla sovrapposizione di due teli distinti, dei quali si cucivano i due lembi superiori, quelli che andavano a poggiare sopra le spalle, e quelli laterali, che coprivano i fianchi, lasciando lo spazio per le braccia, che andavano a infilarsi in finte maniche, la cui lunghezza dipendeva dalla dimensione dei teli stessi. Anche in questo caso si trattava di veste drappeggiata. Sia il peplo che il chitone potevano essere stretti in vita. - **[Himation]**: era una sorta di mantello, che veniva portato sopra il peplo o sopra il chitone, drappeggiato in molteplici soluzioni. [L'abbigliamento maschile] era sempre il chitone, nelle due varianti, quella corta, più pratica, e quella lunga, da cerimonia o da occasione ufficiale, era il capo d\'abbigliamento fondamentale anche per gli uomini. Il vestiario maschile era poi completato dal mantello lungo, l'himation, o da quello più corto, la clamide. L\'architettura del sistema vestimentario greco femminile e maschile sembra rimanere in buona sostanza immutata, al di là di variazioni locali e di avvicendamenti decorativi, per il periodo che va dal VI secolo a.C. alla tarda età ellenistica. **L'ABBIGLIAMENTO NEL MONDO ROMANO** La civiltà romana parrebbe anch\'essa connotata da costanza di fogge e da somiglianza tra il vestiario maschile e quello femminile.   ![](media/image7.png) L\'abito delle matrone romane era la [stola], una sorta di toga drappeggiata sui fianchi e talvolta stretta da una cintura, sotto la quale si indossava una semplice tunica. Sopra la stola si portava la [palla], un lungo mantello che arrivava ai piedi. Il cittadino romano vestiva la toga, che in origine era piuttosto corta e stretta per divenire poi più ampia e drappeggiata. I diversi colori della toga indicavano la particolare condizione di chi la indossava: [porpora] per i consoli trionfatori e poi per gli imperatori, [bianco] per i candidati alle cariche pubbliche, [nero] per il lutto, [banda porpora] per le massime autorità. Anche gli uomini portavano una semplice e corta tunica, che era indossata sotto la toga dai cittadini e come abito quotidiano dal popolo minuto. Il vestiario maschile era completato dal mantello, con o senza cappuccio, che si avvolgeva sopra la toga o sopra la tunica. Nella società romana l\'abito era innanzitutto un preciso attributo della condizione sociale di chi lo portava, che, proprio grazie alla veste, poteva essere riconosciuto. Come nell'abbigliamento maschile, anche in quello femminile esistevano consuetudini vestimentarie che prevedevano combinazioni di capi di vestiario distinti, pur nell\'ambito della limitata varietà di fogge in uso, per le giovani, per le spose, per le matrone, per le madri di famiglia, per le vedove, per le zitelle e per le adultere. Rientrava nella stessa concezione anche l\'impiego di accessori come i gioielli, che concorrevano alla definizione dello status: anelli, medaglioni, diademi, corone erano indossate per esibire la condizione di cittadino, di aristocratico, di vittorioso, di favorito dell\'imperatore. Recentemente Kelly Olson ha messo in guardia dal considerare con eccessiva rigidità il vincolo che connetteva abbigliamento e gerarchie sociali nel mondo romano, argomentando che i comportamenti effettivi potevano differire dalla rappresentazione ideale della società che emerge dalla letteratura, soprattutto in considerazione del fatto che non mancarono, seppure entro certi limiti, forme di mobilità sociale. Nel corso dei secoli, infatti, influssi orientali e contatti con i popoli «barbari» contaminarono i costumi tradizionali greci e romani, così come si può immaginare che vi fossero varianti locali, diverse rispetto ai modelli classici. Anche nel caso del più classico dei simboli vestimentari romani, la toga, le fonti consentono di ricostruire la sua graduale trasformazione da veste tipica del cittadino a paludamento indossato in occasioni cerimoniali; sono inoltre stati rilevati cambiamenti intervenuti nel corso del tempo per quanto attiene al drappeggio con cui si vestiva la toga. Altri esempi riguardano il mancato rispetto della tradizione vestimentaria e l'utilizzo di abiti non romani, ma possono essere considerati adattamenti o variazioni che non alterarono radicalmente, se non con estrema lentezza e gradualità, il paradigma vestimentario fondamentale A giustificare la permanenza della tradizione può concorrere più di una spiegazione. Una motivazione di natura tecnica: è stato infatti notato che la forma e le dimensioni della toga sono proporzionate a quella del telaio e quindi la persistenza dei modelli sarebbe da correlare a una cultura sartoriale limitata. Il gusto per l\'opulenza delle società antiche contemplava le forme dell\'apparire, che erano però collocate in una più complessiva strategia, all\'interno della quale il vestiario non svolgeva una funzione predominante.   Così, per esempio, nella società ateniese classica, sebbene l\'abito fosse semplice, i gioielli e le acconciature potevano essere elaborati; considerazioni analoghe si applicano alla società romana. Valutazioni che trovano riscontro in Seneca, il quale, in una delle *Epistulae ad Lucilium*, inserisce l\'abito nel più ampio contesto dell\'aspetto, oltre a invitare a adeguarsi ai costumi vigenti. Nella società romana l'interesse per il cambiamento e il gusto per la novità sembrano focalizzarsi sulle [acconciature] e sui [gioielli], oltre che su altre forme di consumo vistoso come i banchetti, piuttosto che sull'abbigliamento: è difficile stabilire se tale assetto sia da valutare come una forma di moda parziale o imperfetta o se invece, più semplicemente e forse più correttamente, non si tratti di una forma di moda diversa da quella che noi conosciamo, imperniata essenzialmente sull'abito. **IL DECLINO DEL SISTEMA VESTIMENTARIO NELL'ANTICHITA'** Il declino del sistema vestimentario formatosi nell\'antichità sarebbe avvenuto tra il III e il VI secolo, quando le vesti drappeggiate furono progressivamente abbandonate o, come si è detto, relegate a usi cerimoniali, per adottare capi mutuati da quei costumi «barbari», che fino al IV secolo furono inutilmente proibiti dalle norme suntuarie. Henri Irénée Marrou ha evidenziato come tale cambiamento fosse caratterizzato principalmente dalla sostituzione del macchinoso drappeggio con più pratiche fogge modellate in modo da aderire meglio al corpo, classificandolo senza mezzi termini come "la rivoluzione dell'abbigliamento". Questa trasformazione ha segnato una profonda discontinuità con la tradizione classica; tuttavia, la gradualità del cambiamento sembra collocare il rinnovato paradigma nell\'ambito dei lunghi e lenti cicli di avvicendamento (successione) del costume. In quale fase della storia delle società occidentali è possibile ravvisare l\'emergere del «fenomeno moda»? Mary Stella Newton, per esempio, nel suo «Fashion in the Age of the Black Prince», indica negli anni attorno al 1340 il periodo in cui furono introdotte importanti innovazioni nelle acconciature, nelle calzature e soprattutto nella foggia degli abiti: si passò infatti da fogge indifferenziate per l\'abito maschile e quello femminile a una netta distinzione di genere nell\'abbigliamento, nonché dall\'abito drappeggiato all\'abito aderente, grazie a una serie di cambiamenti nel taglio e all\'adozione diffusa di allacciature fissate con i bottoni. L\'introduzione di tali innovazioni avrebbe poi aperto la strada a un\'evoluzione caratterizzata da ciclici cambiamenti nel gusto di vestirsi che avrebbe coinvolto aree delle Fiandre, della Francia, dell\'Inghilterra, dell\'Italia nella seconda metà del Trecento. Gli osservatori contemporanei concordavano nell\'identificare l\'avvento del nuovo modo di vestire con [la stravaganza e il lusso più sfrenati], che avrebbero sommerso come un'ondata inarrestabile la società dell'epoca, mettendo a repentaglio le antiche e sobrie consuetudini e con esse, qualcuno temeva, anche gli ordinamenti sociopolitici. Le critiche dei moralisti erano indirizzate soprattutto a colpire gli aspetti giudicati più indecenti dell\'abbigliamento, come le cortissime tuniche maschili o le fascianti vesti femminili in uso nella seconda metà del Trecento.   La ricerca dello sfarzo più smodato e la passione per l\'eccesso, combinati con una sfrontata spudoratezza, sembrano essere i tratti distintivi dello stile che si affermò in quel periodo.  Il XIV secolo può essere considerato il grande spartiacque tra un\'epoca in cui l\'abbigliamento non si discostava dalla tradizione e un\'epoca in cui, invece, il ritmo del cambiamento subì un\'accelerazione.  Questo cambiamento, però, interessò la società nel suo complesso? E' plausibile ritenere che il mutamento della foggia degli abiti introdotti negli anni centrali del Trecento abbia influenzato in qualche misura l\'intero sistema vestimentario del tempo, raggiungendo anche gli strati sociali inferiori.   Lo attestano non poche testimonianze, documentarie e letterarie, riferite soprattutto al contesto inglese.   Non è possibile, tuttavia, dedurre che tali comportamenti siano da considerare indicativi di una dinamica diffusa, perché in tal caso si tratterebbe di una trasformazione profonda degli assetti sociali necessariamente supportata da rilevanti cambiamenti sul fronte della domanda - innanzitutto per quanto attiene al reddito- o, perlomeno, su quello dell\'offerta - disponibilità di prodotti più economici -, o addirittura su entrambi i versanti. Non possiamo considerare, perciò, che la crisi del sistema feudale e l'ascesa dei ceti mercantili, avanguardie di una società borghese in formazione, siano i motivi principali del rinnovato gusto vestimentario trecentesco. Considerare, piuttosto, il richiamo all\'intervento degli stati nel disciplinamento dei consumi vistosi, che, proprio nel corso del XIV secolo, si fece più frequente che in passato con la promulgazione di leggi santuarie mirate a regolamentare con particolare attenzione l'abbigliamento. È possibile che l\'inusitato fervore normativo fosse stato in qualche misura sollecitato da fenomeni di mobilità sociale, accompagnati dall'adozione di stili di consumo in precedenza riservati ai ceti superiori, verificatisi nel contesto del riassetto della compagine sociale negli anni immediatamente successivi alla crisi determinata dalla peste nera. Secondo Alan Hunt l\'accresciuto ricorso trecentesco alla normativa suntuaria è spiegabile con la necessità di «metabolizzare» i mutamenti introdotti nel sistema vestimentario, collegandoli in maniera precisa alle esigenze di rappresentazione dell\'ordine sociale. La regolamentazione suntuaria dell\'epoca non mirava tanto a rinserrare le file della gerarchia sociale, delimitando gli spazi entro cui si esprimevano le strategie dell\'apparenza dei ceti inferiori, quanto a riclassificare i segni esteriori di identificazione del rango in base ai nuovi modi di vestirsi. Gli abiti attillati, le corte tuniche, le calzature con lunghe punte, le stravaganti e complesse acconciature introdotte nel XIV secolo rinnovarono il gusto per la ricercatezza nel vestire, marcando una netta discontinuità con il passato per quanto concerne l\'avvento di fogge che aderivano al corpo, evidenziandone le forme, invece dei drappeggi, che si limitavano ad avvolgere la figura. Accanto ai vari aspetti di novità, persistevano però anche fattori che sembrerebbero indicare continuità con alcuni elementi già presenti in società del passato, come, per esempio, la stretta correlazione esistente tra l\'abbigliamento, da un lato, e il lusso, la stravaganza e l\'ostentazione, dall\'altro. Fatto, questo, che induce a ritenere che la possibilità di esprimere il proprio gusto in materia di vestiario fosse ancora in larga parte limitata alla ristretta cerchia dei ceti elevati della società e che tale facoltà fosse comunque inserita nel contesto di una precisa strategia dell'apparire definita appunto dall\'appartenenza a un ceto. Inoltre, seppure fu dal Trecento che prese avvio il periodico avvicendarsi degli stili vestimentari, il ritmo del cambiamento appare ancora piuttosto dilatato. Le novità introdotte a cavallo della metà del XIV secolo rappresentano un punto di svolta importante lungo il percorso di affermazione della moda: l\'avvento della moda come istituzione sociale può essere pensato come un processo che si dipana attraverso il tempo non secondo un moto regolare, ma, piuttosto, con accelerazioni seguite da periodi di stasi necessari alla società per «metabolizzare» i cambiamenti.   In questo tipo di evoluzione la tradizione sopravvive a lungo, fianco a fianco con le novità, ma a ogni successiva accelerazione del mutamento diminuisce la resistenza del costume.   E' possibile concludere, perciò, che le innovazioni emerse verso la metà del Trecento rappresentano un punto di svolta importante, ma non ancora determinante, perché permanevano una serie di condizionamenti istituzionali che vincolavano l\'abbigliamento a una precisa funzione di rappresentazione e identificazione: l\'abito era espressione diretta dell\'appartenenza a un particolare ordine sociale, il che inibiva il dispiegamento di quella che Simmel ha individuato come una delle caratteristiche tipiche della moda, cioè l\'imitazione. **I RAPPORTI PRODUZIONE POPOLAZIONE PRIMA DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE (parte 1)** **L'ALIMENTAZIONE E LA STORIA DELL'UOMO** La preoccupazione predominante di qualsiasi gruppo umano è quella di assicurare la propria alimentazione, che è la base per la sopravvivenza.  Durante la maggior parte della sua storia l\'uomo è stato un predatore onnivoro.   Si è alimentato delle piante e degli animali del suo ambiente, all\'inizio utilizzando solo la sua abilità corporea e dopo con l\'aiuto di attrezzi via via più complessi. Solo da non più di 10.000 anni alcune comunità umane hanno cominciato ad abbinare all\'attività predatoria la produzione di alimenti e l\'addomesticamento di animali.  Questa rivoluzione agraria della Preistoria segna l\'inizio di un rapido progresso nell\'evoluzione dell\'umanità. **PRINCIPALI CARATTERISTICHE DELLE ECONOMIE PREINDUSTRIALI** Dominate dalla scarsità  Eterogeneità  Sono in grado di generare crescita **LA SCARSITÀ, CONSEGUENZA DELL'INCREMENTO DELLA POPOLAZIONE E DELLA BASSA PRODUTTIVITÀ** La scarsità è il risultato della crescita della popolazione: a misura che aumentando la densità di popolazione risulta sempre più difficile ottenere l'alimentazione sufficiente. La crescita demografica costringe l\'uomo a trasformarsi in produttore, sforzandosi di migliorare la riproduzione di determinati alimenti (piante o animali) per mezzo del lavoro, fattore abbondante, che sostituisce la terra, fattore scarso.  Oggi predomina l\'idea la pressione demografica spinge all\'utilizzazione di tecniche conosciute, che però non hanno alcun vantaggio fino a quando la predazione consente di ottenere una alimentazione sufficiente.   L\'uomo predatore, infatti, si procura con meno sforzo prodotti alimentari più abbondanti, migliori e più diversificati.   Il problema è che queste comunità necessitano di uno spazio vitale molto ampio: i pigmei, 8 km per persona; gli aborigeni australiani, 30 km²; gli esquimesi, 200 km²: si è calcolato che il globo terrestre non potrebbe alimentare più di 15 milioni di uomini predatori. La sequenza aumento della densità della popolazione-intensificazione del lavoro fu teorizzata da Boserup (1967).   Secondo questa autrice, quando la fame cominciò a fare atto di presenza l\'uomo si vide costretto a confidare per la sua sussistenza nel lavoro, intensificandolo all\'aumentare della pressione demografica.  A partire dalla rivoluzione agraria della Preistoria o rivoluzione neolitica, le innovazioni e il progresso delle società agrarie continuarono a intensificarsi nei secoli successivi.   L\'agricoltura è stata l\'attività economica fondamentale in tutti i paesi fino alla metà del secolo XIX e continua ad esserlo ancora oggi per molte società del nostro tempo.  Le nuove tecniche agricole e dell\'allevamento permettevano di mantenere una maggiore popolazione, ma non sempre di migliorare le sue condizioni: la forza lavoro (umano o animale9 e le tecniche disponibili erano poco efficienti per cui la produttività era scarsa e ogni gruppo o famiglia frequentemente incontrava difficoltà ad assicurarsi l'alimentazione nel corso dell'anno, soprattutto tenendo conto della grande irregolarità dei raccolti. **LA DISUGUAGLIANZA E IL PREDOMINIO DI ALCUNI UOMINI SUGLI ALTRI** La scarsità non era dovuta soltanto alla incapacità di produrre di più.   Le società agrarie richiedono la sedentarizzazione, che ha una lunga serie di effetti economici e culturali: il miglioramento dell\'attrezzatura, degli strumenti e dei sistemi di magazzinaggio; la divisione del lavoro, con la comparsa dei primi mestieri specializzati e delle società strutturate, che senza dubbio hanno molti vantaggi.   Comportarono però la formazione di una classe dirigente che non solo viveva del lavoro degli altri, ma spesso si appropriava di una parte importante della produzione: - **[Società tributarie ]** - **[Società schiavistiche]** --\> tipiche del mondo antico (Egitto, Grecia, Roma) - **[Società feudali]** --\> nuova forma di organizzazione sociale e sfruttamento dopo la caduta dell'Impero Romano.  In queste la disuguaglianza e lo sfruttamento si producono per il dominio che i signori esercitano contemporaneamente sia sulle terre che sugli uomini.   La loro egemonia genera la cosiddetta [rendita feudale], molto diversa a seconda dei momenti, dei luoghi e delle circostanze, ma che a differenza dello schiavismo non priva gli uomini della condizione di persona. **L'EVOLUZIONE DELLA POPOLAZIONE NELLE SOCIETÀ AGRARIE** La mortalità era molto irregolare, con frequenti punte di mortalità straordinaria a causa di epidemie e, in misura minore, di fame e di guerre. Da un anno all\'altro il numero di morti poteva facilmente raddoppiare o triplicare (punte di mortalità).   Come risultato la popolazione cresceva a denti di sega: l\'eccedenza dei nati vivi sui decessi, accumulata durante un certo tempo, spariva di colpo ingoiata da una punta di mortalità.   La popolazione cresceva a breve termine, ma si stabilizzava o aumentava molto lentamente nel lungo periodo (Nadal, 1996) e in alcuni momenti di epidemie forti e generalizzate poteva registrare una riduzione importante: è quello che successe in Europa come conseguenza della Peste Nera del 1348, che provocò la morte di circa un terzo della popolazione.   In complesso, però, la tendenza generale era l\'incremento della popolazione, sebbene a tassi molto bassi. Anche se si tratta di stime solo approssimative, tra l\'anno 1 e il 1750 la popolazione mondiale triplicò e quella europea si moltiplicò per più di 3,5. \ \ L\'evoluzione della popolazione dipende dalla vitalità naturale, cioè dalla differenza tra il numero dei nati vivi e il numero dei morti e dal saldo migratorio, che può essere positivo o negativo.   Dato che nelle società preindustriali il controllo volontario della gravidanza era poco utilizzato, il numero delle nascite dipendeva da fattori culturali (matrimoni più o meno giovani, accettazione della singletudine definitiva, infanticidi) e a volte anche da fattori economici (terre o posti di lavoro disponibili).   A sua volta, il numero di morti dipendeva da fattori aleatori (contagi, guerre, disastri naturali) ed anche da fattori economici (capacità di produzione di alimenti e di altri beni primari, distribuzione del reddito). ![](media/image9.png) Il tetto malthusiano (Thomas R. Malthus, Saggio sulla popolazione, 1798) La popolazione di una determinata area è limitata dalla quantità di alimenti di cui può disporre.  Qualunque società si avvicina rapidamente a questo tetto perché mentre la produzione di alimenti cresce in proporzione aritmetica, il numero delle bocche da sfamare lo fa in proporzione geometrica.  Gli impulsi sessuali mantengono la popolazione al massimo livello possibile, cosa che condanna la maggior parte della popolazione a una alimentazione scarsa.  Questa impostazione pessimistica è stata oggetto di due critiche principali:  - Quella di coloro che negano valore alla teoria, per il fatto che le crisi demografiche si manifestano molto prima di arrivare al tetto teorico malthusiano a causa della disuguale ripartizione del reddito;  - Quella di coloro che accusano Malthus di scarso senso di osservazione per non aver notato che le rivoluzioni agraria e industriale, delle quali era contemporaneo, stavano producendo un forte aumento dei mezzi di sussistenza disponibili, per cui avrebbero fatto svanire il limite alla crescita demografica.  Nessuna di queste critiche però arriva al fondo della questione: il tetto malthusiano si allontana sia se la distribuzione del reddito è meno disuguale sia se la capacità di produzione di cibo aumenta, per cui si può anche perdere di vista temporaneamente, ma avendo sempre presente che continua ad esistere il tetto, tuttavia, NON VIENE MAI RAGGIUNTO perché, quando si avvicina il limite, cominciano a  funzionare una serie di controlli o freni che decelerano la crescita della popolazione e,  temporaneamente, possono anche determinare una diminuzione in valore assoluto. **CONTROLLI O FRENI** Possono essere: - **[Freni compulsivi]**: funzionano automaticamente; l\'alimentazione insufficiente priva il corpo delle difese di fronte alle malattie e aumenta la mortalità, limitando così la popolazione: durante un certo periodo la mortalità può arrivare ad essere perfino superiore alla natalità, soprattutto se si manifesta una mortalità catastrofica. - **[Freni preventivi]**: riducono e possono arrivare a fermare la crescita della popolazione mediante la diminuzione del tasso di natalità.  Storicamente i principali strumenti di questa riduzione sono il ritardo dell\'età del matrimonio e l\'aumento della singletudine definitiva; solo in tempi relativamente recenti hanno assunto importanza le pratiche contraccettive. I freni preventivi operano prima di quelli compulsivi e, nelle società che li utilizzano, la crescita della popolazione si ferma molto prima del tetto malthusiano: queste sono società a BASSA PRESSIONE DEMOGRAFICA.  Queste non arrivano ai livelli di povertà di quelle dove la causa principale della limitazione della popolazione è la mortalità (freno compulsivo), le quali sono considerate ad ALTA PRESSIONE DEMOGRAFICA. **L'EVOLUZIONE DELLA POPOLAZIONE PREINDUSTRIALE EUROPEA** Dalla caduta dell'Impero Romano tre cicli di crescita: 1. 650 -- metà XIV 2. Fine XIV -- XVI 3. Metà XVII -- XVIII **CARATTERISTICHE DELL'AGRICOLTURA TRADIZIONALE** Dipende dalla dotazione di fattori di produzione: terra, lavoro e capitale. Dipende dalle tecniche disponibili La terra è limitata e non omogenea: il valore cambia a seconda della qualità e dell'ubicazione (posizione rispetto alle zone abitate, all'acqua e alle vie di comunicazione). Il fattore capitale è relativamente poco importante, poiché sostituito dal lavoro. La capacità di trasformazione sull'agricoltura, tuttavia, è notevole; tanto che i progressi agrari più significativi dipesero in gran parte dal capitale e dal suo massiccio impiego (nell'agricoltura moderna). Le economie organiche, dove tutto procede dalla terra: alimentazione, energia, attrezzi e beni di consumo. Vi fu anche una difficile crescita economica **L'ORGANIZZAZIONE DELLA PRODUZIONE** È possibile notare differenze sostanziali tra Europa settentrionale e meridionale. Uso del semplice aratro romano intorno al Mediterraneo. Le terre, tuttavia, erano poco produttive ed esposte a siccità. A nord dominava il bosco e l'allevamento: - Agricoltura itinerante - Sfruttamento radure assolate - Agricoltura a bassa intensità di lavoro e necessita di molta terra L'unica soluzione possibile fu l'aratro a ruote (più pesante e caro del'aratro romano) Si aggiungono collare per cavalli, la ferratura e il mulino idraulico. **ANALOGIE TRA AGRICOLTURA SETTENTRIONALE E MERIDIONALE NEL CONTINENTE EUROPEO** La caratteristica comune più importante è l'isolamento. La popolazione era scarsa e viveva in piccoli insediamenti, molto dispersi nel territorio; d'altra parte, il trasporto era caro e pericoloso. Si trattava di economie chiuse, che dovevano produrre praticamente tutto quello di cui potessero aver bisogno per la sussistenza: il fine ultimo dell'attività economica non era aumentare la produzione e il reddito, ma [assicurare la riproduzione umana] (cereali, vino, lana, carne, cuoio, legna) e animali (pascoli) come pure la capacità rigenerativa della terra mediante la concimazione e il maggese, il riposo della terra per anni alterni. Il principale problema era la CONCORRENZA PER LA TERRA tra l\'agricoltura e l\'allevamento, ossia il problema di alimentare allo stesso tempo gli uomini e il bestiame: quando aumentava il numero degli uomini e si mettevano a coltivazione più terre mancavano gli animali da lavoro, poiché l\'ampliamento delle coltivazioni si doveva fare negli spazi destinati a pascoli. **LE DIFFERENZE TRA AGRICOLTURA SETTENTRIONALE E MERIDIONALE NEL CONTINENTE EUROPEO ** La principale differenza tra il mondo mediterraneo e quello nordico radicava nell'organizzazione della produzione.  Nell'Europa mediterranea la terra coltivata era sfruttata in forma individuale da ciascun contadino. I campi erano rettangolari in pianura e irregolari o a terrazze nelle pendici montuose.   L\'alimentazione del bestiame nel corso dell\'anno, che era il problema più importante da affrontare, si risolveva con la transumanza, la quale consentiva di equilibrare la scarsità di erba nel periodo estivo in pianura e in quello invernale in montagna.   Boschi e pascoli potevano essere proprietà congiunta degli abitanti del paese o del signore, ma in ogni caso erano a loro disposizione, anche se nel secondo caso contro il pagamento di una imposta. Nell'Europa del nord l\'organizzazione del lavoro agricolo era comunitaria: la comunità del paese determinava quali terre si dovevano lavorare, che cosa si doveva coltivare e quando si doveva svolgere qualsiasi operazione.   La terra disponibile era organizzata in grandi campi o partite, all\'interno dei quali si divideva in particelle lunghe e strette.   Tutti i contadini del paese dovevano avere almeno una particella in ogni campo, dato che l\'intero campo era destinato a un determinato prodotto o lasciato a maggese.  L\'organizzazione in grandi campi dell\'agricoltura nell\'Europa del nord aveva come fine ultimo quello di poter disporre di più pascoli in estate, quando l\'erba era più scarsa: in inverno il bestiame pascolava nei campi a maggese, ai quali d\'estate, dopo il raccolto, si aggiungevano i campi di stoppie; si chiamavano [campi aperti] (open fields) in quanto erano soggetti alla servitù del pascolo comunitario. **LE SOCIETÀ FEUDALI** A seguito della caduta dell'Impero Romano ci fu la fine della società schiavistica. Era impossibile sostenere un costante rapporto di schiavi attraverso le guerre o la pirateria. Da qui la nascita della società feudale (feudalesimo). Fu il sistema politico, sociale e economico predominante in Europa dal XI fino alla formazione delle società feudali. **LE CARATTERISTICHE PRINCIPALI DEL FEUDALESIMO** Dal punto di vista POLITICO, l'appropriazione e privatizzazione del potere pubblico e delle sue entrate (imposte, terre \...) da parte dei detentori delle cariche pubbliche (conti, marchesi\...), delle istituzioni ecclesiastiche (cattedrali, monasteri \...) e dei grandi proprietari, che si convertono così in signori di terre e di uomini. Si mantenne l'idea di Stato ma il potere del monarca dipendeva soprattutto dalle terre e dagli uomini che dominava come signore feudale. Dal punto di vista GIURIDICO, la norma principale è la disuguaglianza legale: gli uomini non sono uguali davanti alla legge (i signori hanno diritti e i sudditi doveri). La privatizzazione del potere pubblico implicò anche l'appropriazione dell'esercizio della giustizia da parte dei signori, cosa che permetteva loro di essere giudice e parte in causa, con la conseguenza di poter praticare quasi impunemente la coazione e la violenza.  Dal punto di vista ECONOMICO, i signori mantengono diritti sulla terra della signoria, in gran parte ripartita in tenute familiari, che era la forma più efficace di organizzare il lavoro agrario, date le condizioni politiche ed economiche dell'epoca. La situazione dei contadini rispetto al signore feudale e alla terra era molto diversificata. Per quanto riguarda la dipendenza personale, lo spettro andava da quella dei servi, che dipendevano personalmente dal signore e avevano poca libertà individuale (erano obbligati a servire il signore e spesso non potevano abbandonare la terra) fino a quella degli uomini liberi. La rendita feudale permetteva al signore di appropriarsi di una parte della produzione e del lavoro dei contadini: questi dovevano consegnare una quota (fissa o proporzionale) del raccolto, che normalmente si chiamava censo, come pure altri prodotti (galline, uova, formaggi, prosciutti \...) e piccole quantità di denaro. I contadini dovevano anche partecipare alla coltivazione delle terre del signore (RISERVA SIGNORILE). Un'altra imposizione feudale era la DECIMA, teoricamente una imposta per mantenere la chiesa, fissato in un decimo dei raccolti. Il contadino, dopo aver soddisfatto tutte le imposizioni, poteva disporre di una parte della terra (CONCESSIONE CONTADINA), organizzarne lo sfruttamento e utilizzare liberamente la quota del raccolto residua. A partire da questa situazione originaria relativamente omogenea nell'insieme dell'Europa, il sistema feudale sperimentò dei cambiamenti nei suoi due aspetti fondamentali: - la dipendenza personale - la proprietà della terra Queste trasformazioni furono molto lente, disuguali e incomplete, con grandi differenze persino all'interno di una stessa zona. Nell'Europa occidentale si manifestò la tendenza a sostituire le prestazioni in lavoro e le consegne di una parte del raccolto con pagamenti fissi in moneta (monetizzazione della rendita) accompagnati spesso da nuove imposizioni.  In molti luoghi i contadini andarono conseguendo il pieno dominio delle concessioni, che si trasformavano così in aziende. La concessione comportava la disponibilità della terra a lungo termine o addirittura a tempo indefinito.  La forma più evoluta era l\'ENFITEUSI o FONDO ENFITEUTICO, contratto di durata indefinita che implicava di fatto la divisione dei diritti sulla terra: il signore conservava il cosiddetto dominio diretto, che gli dava il diritto a percepire i censi e le prestazioni che gravavano sulla terra o sul bene immobile e a recuperarne la disponibilità in caso di abbandono o mancato pagamento. A sua volta l\'enfiteuta doveva pagare un canone e si impegnava ad apportare migliorie al bene; in contropartita riceveva il dominio utile, cioè il possesso della terra e il prodotto della coltivazione, una volta soddisfatte le esazioni del signore feudale: poteva lasciare la terra in eredità, cederla ad altri coltivatori, impegnarla o venderla. Il dominio eminente (del signore) si riduceva ad una specie di ipoteca perpetua sulla terra. Questa evoluzione dell'Europa occidentale contrasta con la situazione dell'Europa orientale, dove molti territori sono arrivati al secolo XIX con un regime feudale che ancora comportava prestazioni in lavoro, cessioni di parte del raccolto e in fin dei conti servitù. Di fatto la caratteristica principale del feudalesimo è: - l'assenza di normativa - il particolarismo - una grande varietà di situazioni **IL PROCESSO DI DIFFERENZIAZIONE DEL MONDO CONTADINO** A partire dal momento in cui i contadini poterono disporre di fondi in concessione, cominciò un processo di differenziazione che permise l'arricchimento e persino l\'ascesa sociale di alcune famiglie, ma allo stesso tempo condannò molte altre a non poter disporre di terra sufficiente per assicurare la riproduzione familiare. La differenziazione era dovuta, in primo luogo, ad imprevedibili eventi familiari (come la morte del capofamiglia e la divisione delle proprietà).   Queste circostanze impoverivano le famiglie o determinavano la formazione di tenute insufficienti.   Al contrario, la fragile demografia dell\'epoca produceva facilmente anche concentrazioni di eredità. Una seconda fonte di differenziazione, di carattere economico, era dovuta all\'abilità e allo sforzo di ciascun contadino per ottenere più o meno prodotti dalla coltivazione o maggiori o minori guadagni dalla loro commercializzazione.  LA DIFFERENZIAZIONE È CUMULATIVA, tende ad essere sempre più grande come conseguenza del processo di indebitamento: il contadino che non poteva conservare sufficienti cereali per passare l\'anno era costretto a chiedere grano in prestito da un vicino ricco, normalmente con la condizione di restituirne dopo il raccolto una quantità che avesse lo stesso valore di quella ricevuta. Dal momento che il prezzo dopo il raccolto era più basso di quello dei mesi in cui scarseggiava il debitore doveva restituire molto più grano di quello che aveva ricevuto e pertanto era facile che l\'anno successivo dovesse ricorrere ancora prima al prestito e domandarne una quantità maggiore.   Questa ruota di debiti finiva quasi sempre con la perdita della terra, per sequestro o vendita, a favore dei proprietari abbienti.   Come conseguenza di questo processo la maggior parte dei paesi occidentali mostra ben presto una struttura tipica, rappresentata da uno o pochi contadini ricchi proprietari delle terre e delle mandrie, i quali offrono lavoro a giornata e prestiti e dominano la vita della comunità; un numero ristretto di contadini medi, capaci di vivere della loro azienda e un gran numero di contadini poveri, che hanno terra insufficiente o addirittura ne sono privi del tutto. **LE FORME DI PROPRIETÀ E DI POSSESSO DELLA TERRA** In definitiva c\'erano terreni dominati dai signori feudali i cui concessionari ne cedevano la coltivazione ad altri. **Gerarchie sociali e gerarchie delle appartenenze** La moda, come la intendiamo oggi ebbe origine in età medievale e si sviluppò nel corso del Cinque e Seicento, fino ad assumere molti dei caratteri della «moda moderna».  L'origine medievale inoltre è "doppia": 1. Si impone come parte della cultura delle corti europee: è la moda come lusso, magnificenza e raffinatezza, che diviene un tratto distintivo delle élite sociali. 2. Allo stesso tempo è un fenomeno più esteso, che interessa ampi strati della popolazione urbana europea: è la moda della strada, fonte di preoccupazione tra le gerarchie ecclesiastiche e politiche Per comprendere questo concetto bisogna richiamare il contesto in cui la moda emerse nel due e trecento. La società medievale era fortemente gerarchizzata, con un'accentuata divisione in classi (guerrieri, sacerdoti e contadini) e forti legami verticali di potere, ad esempio tra vassalli, valvassori e valvassini. Nella prima età medievale non si parla di moda ma di abbigliamento, che identifica e distingue gruppi di individui. Il vestiario distingue la donna sposata da quella nubile, il cristiano dall'infedele, il forestiero dal cittadino e così via. Una strada dell\'Europa medievale presentava contrasti visivi molto accentuati non solo tra ricchi (sontuosamente agghindati con vestiti dagli splendidi colori, sete e decorazioni dorate ed argentate) e poveri (spesso con pochi cenci addosso), ma anche fra persone di professione diversa. Spesso l\'affiliazione politica o la protezione da parte di famiglie nobili e potenti si traducevano visivamente nell\'uso di specifici colori, di simboli e abiti che venivano indossati quali segni distintivi, in quella che viene definita «livrea».   Nella società medievale, quindi, l\'abito serviva non solo a rendere manifesta la gerarchia sociale, ma anche a rappresentare le più minute divisioni fra i diversi ceti e i differenti gruppi di potere: «abiti e oggetti di lusso servivano a costruire, mantenere e rafforzare identità collettive». Il vestiario aveva un [costo elevato], e inoltre chi voleva un nuovo abito doveva "farselo fare". **IL TESSUTO** In molti casi la materia prima (prevalentemente lana e lino) veniva prodotta in casa, filata da mogli e figlie e tessuta dai mariti.   I tessuti, specie quelli di lana, di solito venivano infeltriti, poi cardati per renderli più uniformi e infine tinti in laboratori specializzati.   La produzione di tessuti e abiti di maggiore qualità avveniva invece in città:   ci si rivolgeva a una bottega di commercianti di pannilana e sarti, a «pellicciai» e «zupparii» (che confezionavano giacche, dette «zuponi»);   per i meno abbienti c\'erano gli «strazzaroli» e altri venditori di abiti di seconda mano. Il costo di un abito era notevole a paragone di quanto spendiamo oggi per il nostro vestiario. Una parte consistente della spesa totale derivava dal materiale stesso. **LA CONFEZIONE** La confezione, invece, incideva in misura minore, e tuttavia risultava anch\'essa alquanto esosa, dal momento che richiedeva continui aggiustamenti e numerose sedute di prova da parte del cliente.  Gli indumenti prodotti in massa erano pochi. La maggior parte del vestiario, infatti, era confezionata artigianalmente in casa o su misura da sarti e sarte: produrre abiti che non si adattavano al corpo del cliente sarebbe stato un terribile spreco di costosissimo materiale. L\'acquisto di un nuovo abito non era dunque un capriccio, ma un\'attività ben pianificata, che spesso veniva fatta coincidere con le festività cittadine o religiose più importanti, o con matrimoni e funerali. E che richiedeva di essere decisa per tempo, affinché ci fosse un arco temporale sufficiente per scegliere il tessuto e confezionare l\'abito. **VESTIRE L'UOMO E LA DONNA** La moda va interpretata come una forma di cambiamento del vestiario nel tempo. L\'inizio di questo cambiamento ha luogo nel corso del XIV secolo, quando la silhouette maschile comincia a differenziarsi da quella femminile.  Fino all\'inizio del Trecento uomini e donne indossavano lunghe tuniche o camicioni portati senza cintura.  Dante, ad esempio, è rappresentato, a fine Duecento-inizi Trecento, con un lungo abito rosso (e il copricapo distintivo) non molto differente da quello che veniva indossato da una donna del tempo. Un'analisi visiva, anche sommaria, di dipinti e freschi del Tre e Quattrocento mostra con molta evidenza il cambiamento degli abiti maschili. I giovani, soprattutto, preferivano abiti più corti, con calzoni di maglia alquanto attillati, scarpe in forma semplice calze solate e giubboni imbottiti che, con l'uso di una cintura in vita, formavano una specie di gonnellino al di sopra della calzamaglia. Le donne, invece, continuarono ad indossare abiti lunghi, talvolta forniti di strascico, che davano particolare prominenza al busto. La donna non si presentava mai in pubblico senza copricapo: semplici veli di lino per le donne di basso rango; forme e materiali più sofisticati, con merletti e fili d'oro, per le donne di ceto elevato. Questa trasformazione fu possibile grazie a innovazioni tecniche che oggi diamo per scontate. In primo luogo, gli abiti vennero realizzati sempre più frequentemente attraverso processi di cucitura.   L\'abito dritto, «a casacca», venne rimpiazzato da indumenti che dovevano essere adattati alla figura del corpo, cosa che richiedeva più lavoro e maggiori competenze da parte dei sarti.   Iniziarono anche a diffondersi le TECNICHE DELLA MAGLIA E DELL\'UNCINETTO: per realizzare un paio di calze o un maglione non era più necessario produrre il materiale tessile, tagliarlo e poi cucirlo, ma si poteva adottare un procedimento che permetteva di creare il tessuto contemporaneamente al capo di vestiario in tridimensionale, diremmo oggi.   Il vantaggio di abiti e capi di vestiario di maglia è che, grazie alla loro elasticità, si adattano perfettamente alle forme del corpo. Infine, bottoni ed altri tipi di allacciature, a cominciare dai semplici spilli, divennero sempre più comuni, come testimoniano i molti ritrovamenti archeologici. A partire dagli inizi del Trecento si assiste dunque a una differenziazione sartoriale fra i due sessi.   Tale cambiamento viene considerato dagli studiosi come uno dei fenomeni chiave nell\'intera storia della moda, per due ragioni: a. La differenziazione di genere nell\'abbigliamento è rimasta una caratteristica distintiva della moda e della relazione fra i sessi fino ad oggi: uomini e donne non sono solo biologicamente diversi, e riaffermano la loro differenza fisica, psicologica e sessuale anche attraverso ciò che indossano. b. Si ritiene, inoltre, che la differenziazione dell\'abito maschile da quello femminile fu per entrambi i generi un primo passo verso una visione dinamica del vestiario che iniziò a diversificare e a diversificarsi nel tempo. E questa diversificazione - delle forme e dei gusti - si impose anche grazie all\'emergere di nuovi contesti in cui mostrare e indossare la moda. **LA NASCITA DELLE CITTÀ E LA MODA** Fra l\'anno Mille e la peste del 1348 la popolazione europea quasi triplicò e le città, soprattutto nelle ricche zone del Sud dell\'Europa, aumentarono in numero e in grandezza.   Nuove città e centri urbani più popolosi si svilupparono grazie all\'aumento della produttività agricola, che permise a un numero sempre crescente di persone di affrancarsi dalla terra ed esercitare il commercio e varie attività artigianali.   La città del tardo Medioevo diviene quindi un luogo di dinamismo sociale, di eccellenza nella produzione di artefatti di vario tipo e di commerci sulla breve e lunga distanza.   L\'Italia era la zona europea con il maggiore tasso di urbanizzazione e città come Firenze, Venezia, Milano, Roma e Napoli costituivano delle vere e proprie «megalopoli». Le città dell\'Europa medievale erano centri non solo di produzione e commercio, ma anche di consumo.   È qui che si potevano comprare i migliori tessuti, qui che sarti, orefici e altri artigiani confezionavano e producevano vestiti, monili ed altri oggetti alla moda.  La città era anche il luogo in cui sfoggiare nuovi abiti, specie per le élites, che sempre più spesso sceglievano di risiedere all\'interno delle mura urbane.  La città diventa quindi, nel Medioevo, il palcoscenico perfetto per la creazione e la rappresentazione di nuove mode.   È anche il luogo in cui il principio della gerarchia medievale, in cui lo status sociale di un individuo era determinato dalla nascita, viene ad essere messo in discussione.  Nello spazio urbano, diversamente da quello del feudo, la condizione sociale è determinata dalla ricchezza più che dai natali, ed ecco quindi che abiti eleganti, costosi e all\'ultima moda possono innalzare lo status sociale di persone ricche ma dal lignaggio breve quali, ad esempio, facoltosi mercanti e artigiani. La moda diviene così uno strumento di competizione sociale in una società ancora fortemente gerarchizzata. Questa competizione è basata sull\'obiettivo di apparire migliori di quello che si è. In questo caso è proprio vero che «l\'abito fa il monaco», nel senso che dà accesso a contesti sociali da cui altrimenti si sarebbe esclusi.   Questa interpretazione della nascita della moda è stata tuttavia alquanto criticata. La città, almeno sino alla fine dell\'età moderna, era un\'eccezione alla regola che vedeva la maggioranza della popolazione ancora legata alla terra. Fino a otto persone su dieci vivevano in campagna e si dedicavano alla produzione di cibo per sfamare una popolazione in crescita.   La moda urbana caratterizza quindi soltanto una minoranza della popolazione europea fra il Trecento e il Settecento.   Gli storici sono cauti anche nel sottolineare come i limiti dell\'espansione della moda non erano determinati solamente dal numero di persone che potevano partecipare a questo nuovo fenomeno, ma anche dalla capacità di produrre oggetti di moda.   La percentuale di artigiani sulla popolazione totale era molto piccola, e ancora più modesto era il numero di coloro che avevano le capacità professionali e la maestria per produrre vestiti ed accessori di alta qualità. ** LA MODA E LA CORTE** Molti storici affermano che ciò che oggi chiamiamo moda doveva essere un fenomeno alquanto limitato, che interessava solo i ceti urbani più abbienti.   Altri invece - come Odile Blanc - sottolineano che la comparsa della moda fu un cambiamento \'rivoluzionario\' che, indipendentemente dalla sua estensione, venne a destabilizzare i precetti sociali e morali del tempo.   Altri ancora sostengono che fu la corte ad avere un ruolo fondamentale nella nascita della moda.   La distinzione fra abbigliamento maschile e femminile, vista come l\'incipit della moda stessa, è considerata da molti il risultato dell\'uso di armature da parte di nobili e cavalieri di corte. L\'armatura è simbolo del valore maschile e della sua capacità di scendere in battaglia, di lottare invece di pregare o, ancor peggio, di lavorare la terra.   L\'armatura, però, non poteva essere indossata sopra abiti lunghi, ed era necessario portare indumenti imbottiti, soprattutto per coprire il busto. Nasce così, alla metà del Duecento, il *pourpoint*, un giubbino imbottito che avvolgeva il corpo e si indossava sotto l\'armatura, e che a partire dagli anni Trenta del Trecento cominciò ad essere indossato anche senza l\'armatura. Al di là delle forme del vestiario, dal Quattrocento in poi e durante i due secoli successivi la CORTE divenne uno dei più importanti luoghi non solo di creazione di nuove mode, ma anche di produzione di nuovi codici di comportamento.   Formata dalla famiglia regnante e da un vasto suo entourage, essa aveva le possibilità finanziarie per competere in magnificenza, lusso e spesso stravaganza con altre corti.   L\'abito diventa così, all\'interno della CULTURA DI CORTE, un importante simbolo, oltre che manifestazione materiale di ricchezza e potere: lo si può vedere nei tanti ritratti di principi, re ed imperatori del Quattro e Cinquecento.   La rilevanza dell\'abito e delle maniere si estende anche all'intero gruppo della corte, fatto di artisti, musicisti, uomini d\'armi e letterati. **LA MODA E I CORTIGIANI -- *IL CORTEGIANO*** Nella storia della moda è la figura del «cortigiano» a primeggiare. Il cortigiano è un uomo di cultura, abile nelle arti e in battaglia e soprattutto capace di plasmare la propria immagine al fine di acquisire potere.   L\'opera più conosciuta sulla vita delle corti italiane del Rinascimento è *Il Cortegiano* di Baldassarre Castiglione (1478- 1529), pubblicato nel 1528. Secondo Castiglione, il cortigiano è un uomo, preferibilmente di nobili natali o appartenente a una ricca casata, capace di ottenere una posizione di rilievo nella vita della corte grazie alle sue virtù morali e intellettuali.   È un uomo, diremmo oggi, di grande fascino, ma anche una persona determinata, consapevole che il suo traguardo è quello di ottenere potere ed influenza presso il principe: un obiettivo possibile grazie alla sua capacità di creare un\'immagine di sé che non sia una maschera, ma una vera e propria identità basata su qualità come coraggio, valore e autorevolezza.   I vestiti corredano l\'immagine di \'superuomo\' del cortigiano, dice Castiglione, in quanto il messaggio che egli deve trasmettere non si esprime solamente nelle sue azioni, nella sua produzione letteraria o in combattimento, ma anche attraverso l\'abbigliamento. Castiglione - lui stesso uomo di lettere e cortigiano alla corte di Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino, uno dei centri più importanti del Rinascimento italiano del Cinquecento - descrive nella sua opera una società in cui il presente degli inizi del Cinquecento si differenzia, negli usi e nei costumi, non solo dall\'antichità, ovvero dalla cultura della Grecia antica e di Roma, ma anche dalle generazioni precedenti.   Il modo di vestire del Quattrocento si basava sul concetto di abbondanza o superfluità. Alla fine del Quattrocento Lorenzo de\' Medici, signore di Firenze, viene dipinto con indosso un\'ampia gamma di tessuti pregiati, gioielli e una profusione di colori sgargianti. Facendo un salto cronologico di circa due generazioni, fin verso la metà del Cinquecento, Lorenzo de\' Medici sarebbe stato deriso e il suo abbigliamento ritenuto non solo fuori moda, ma anche pacchiano.   L\'uomo del Cinquecento indossa infatti una giubba di seta nera da cui fuoriescono le maniche di una casacca in seta bianca.   Ricercatezza ed eleganza sono ottenute grazie al raffinato abbinamento di colori primari, senza ricorrere ad accessori e materiali sfarzosi, e nondimeno riuscendo a trasmettere un senso di lusso e di semplice splendore. Da un lato quindi lo sfarzo, la sontuosità e la pompa attraverso lo sfoggio di abiti ricchi; dall\'altro una ricercatezza non meno costosa ma pacata, misurata e sicuramente giudiziosa.   Lo psicologo della moda John Carl Flügelis spiega come queste divergenti scelte sartoriali siano in realtà parte di uno spettro di preferenze che spazia dall'«ostentazione» fino alla «modestia».   L\'accumulazione, che si potrebbe definire «ridondanza» sartoriale, si contrappone alla modestia, vista quasi come una forma di «rinuncia». Per Flügel «ostentazione-ridondanza» e «modestia-rinuncia» non sono scelte opposte, ma rappresentano le forze della lotta psicologica, insita in ognuno di noi, fra il bisogno di essere unici, di sorprendere e di apparire, e quello di essere quasi invisibili, di perderci nella folla. **ETICHETTA E MANIERE** L\'abbigliamento, tuttavia, è solo una parte di questa nuova «cultura delle apparenze».   Castiglione, a dire il vero, non dà alcun consiglio sulla moda, preferendo concentrarsi sulle maniere e le azioni dell\'uomo di corte. Ma egli non è l\'unico a cimentarsi su questi argomenti. Giovanni Della Casa pubblica nel 1558 il suo famoso Galateo, in cui fornisce un vademecum su come comportarsi, su quali tipi di abiti indossare, e così via. Questo passaggio sottolinea come non sia sufficiente indossare l'abito giusto per l\'occasione o potersi permettere tessuti pregiati, all\'ultima moda. La cultura e l\'educazione sono elementi altrettanto importanti e si dimostra di possederle non solo attraverso quel che si può acquistare con il denaro, ma anche con le buone maniere. Il gentiluomo del Rinascimento deve conoscere i movimenti da eseguire nelle frequenti danze, deve sapere come comportarsi a tavola, nelle processioni, nei rituali e nelle cerimonie pubbliche, mostrando un valore morale superiore a quello di un semplice «villano». Insomma, le maniere della corte, dell\'aristocrazia, ma sempre più anche quelle delle ricche classi medie dell\'età moderna, si raffinano. È necessario conoscere anche l\'etichetta. Questo elenco di regole è parte di un «processo di civilizzazione», di transizione verso una cultura delle maniere - specie delle buone maniere, che si ritrova anche nell\'età moderna e che si basa su processi di apprendimento sociale di regole che vengono poi teatralmente ripetute a dimostrazione della propria raffinatezza. Ecco, quindi, che l\'uomo (e la donna) «elegante» del Rinascimento e dell\'età moderna è tale non solo grazie all\'abito ma anche all\'habitus, il modo di comportarsi: non ci si soffia il naso con la tovaglia, si usano le posate a tavola, ci si trattiene dal mettere le dita nel naso, e non si passa mai - raccomanda Della Casa - il proprio fazzoletto a qualcun altro. Si tratta di uno dei maggiori processi di cambiamento sociale avvenuti negli ultimi secoli, che portano alla creazione di una società che non è per nulla «naturale»,  ma piuttosto costruita o, si potrebbe dire, «artefatta». **LE CORTI EUROPEE DELLA MODA** Fino ai primi del Cinquecento l'Italia ebbe un posto di riguardo nella creazione di mode, facendo da modello per il resto dell\'Europa. Regnanti come Federico da Montefeltro e sua moglie Battista Sforza o, una generazione dopo, Elisabetta Gonzaga non lesinavano in abiti, gioielli e stoffe costosissime.   Tuttavia, proprio nel momento del trionfo della moda l\'Italia entrava in una fase di declino politico che portò i francesi prima, e gli spagnoli successivamente, a controllare gran parte della penisola. La debolezza politica dell\'Italia ebbe effetti diversi sulla moda.   Francesco I, re di Francia, fra il 1515 e il 1525 fu impegnato in campagne militari nel Nord Italia contro l\'imperatore Carlo V. Si racconta che al suo ritorno in Francia, dopo una sconfitta mortificante e la prigionia a Madrid, il colto Francesco impose a tutta la sua corte nuove mode e nuovi oggetti di lusso d\'origine italiana.   È, questa, la prima ondata del successo internazionale della moda italiana, continuata poi a partire dagli anni Cinquanta del Cinquecento da Caterina de\' Medici, figlia di Lorenzo II de\' Medici nonché consorte di Enrico II di Francia e successivamente figura chiave nella vita politica francese. Nel corso del Cinquecento, tuttavia, altre nazioni europee, specie la Francia e la Spagna, diventarono più influenti nella moda di corte.   La [Spagna], ad esempio, vede l\'elaborazione di un suo specifico linguaggio decorativo già a partire dagli anni Venti e nel corso del secolo la ricca corte spagnola diventò simbolo di un'eleganza misurata e spesso in nero.   La [Francia], invece, emerge con una propria moda solo nel Seicento.   Il consolidamento della monarchia con Enrico IV (m. 1610), e soprattutto a partire dal regno di Luigi XIV (1643-1715), non solo crea una moda francese, ma potenzia e porta al suo massimo splendore la corte come ambiente di creazione e consumo della moda.   Nel realizzare la sontuosa reggia di Versailles, Luigi XIV dà vita ad un palcoscenico in cui la famiglia reale e tutta la nobiltà di Francia passano il loro tempo rispettando rigidi protocolli di azioni simboliche, come la levata mattutina del re.   Nel Seicento le corti di Francia e Spagna diventano modelli alternativi di moda in Europa. Seguendo la dicotomia «ostentazione versus modestia», la corte francese rappresenta sicuramente la massima forma di ostentazione, mentre quella spagnola rimane simbolo di una falsa modestia. L\'[Inghilterra] dei Tudor invece, di fede protestante, non guardava né alla moda della corte di Francia né tantomeno a quella della Spagna, entrambe monarchie cattoliche.   Il matrimonio di Maria Tudor con Filippo II di Spagna, nel 1554, introdusse alcuni elementi spagnoleggianti, ma la prematura morte di Maria pose fine a queste influenze.   La nuova regina, Elisabetta I, era acerrima nemica di tutto ciò che fosse spagnolo. Mentre la corte di Spagna indicava il nero come colore appropriato, la regina «vergine» faceva del bianco e dei colori pastello la paletta della moda della corte inglese.   Solo dopo l\'interregno di metà Seicento e il ritorno di Carlo II dal suo esilio in Francia la moda inglese, non solo di corte, si aprì alle influenze francesi. Nel Seicento la corte diviene luogo di creazione di moda ancor più di quanto lo sia stata durante il Medioevo e il Cinquecento, e non soltanto in Francia, Inghilterra e Spagna:   l\'Europa pullulava di corti di Stati minori, da quelli di Germania e Italia ai nuovi Stati emergenti come la Svezia, ma anche la Prussia e la Russia.   In Stati grandi e piccoli, ricchi o instabili, la vita di corte diviene il mondo attorno a cui gravita la nobiltà. Vivere vicino al re significava avere la possibilità di accedere a favori e potere, ma era anche una costrizione voluta dal regnante per tenersi «gli amici stretti e i nemici ancora più stretti». Luigi XIV è forse il regnante di maggiore successo in questa strategia che vede Versailles simile a una giostra del lusso, della sregolatezza e dell'eccesso, che si accompagnano a forme sempre più rigide di protocollo ed etichetta.  Alla fine del Seicento, grazie all\'attenzione maniacale delle corti per le buone maniere, ma grazie anche al diffondersi della moda urbana fra i ceti mercantili e professionali, si assiste alla nascita, anche concettuale, della moda, che entra così a far parte del vocabolario di molte lingue europee.   È questo il momento in cui moda e modernità entrano in una nuova fase che le porterà, nei secoli successivi, a permeare ogni aspetto della vita sociale ed economica europea. **LA GERARCHIA DELLE APPARENZE** Almeno fino al XVI secolo l\'abbigliamento non cessò di essere considerato un preciso segnale di appartenenza a un ceto sociale e/o a una comunità etnica, ma anche un efficace indicatore dell'età, della professione e, ovviamente, di genere: le gerarchie sociali si rispecchiavano fedelmente nelle gerarchie delle apparenze.  La trattatistica cinquecentesca, sia quella che offriva orientamenti morali e di comportamento, sia quella di contenuto sociopolitico, ha dedicato attente riflessioni all\'abbigliamento e alla sua funzione sociale, evidenziando proprio lo stretto legame esistente tra l\'abito e l\'appartenenza sociale. Giovanni Della Casa, autore del fortunato trattato sulle buone maniere Galateo, scriveva dicendo di vestire in modo appropriato alla propria età e al ceto di appartenenza. Stesse conclusioni provenivano dalla Spagna l\'«arbitrista» Pedro Fernández Navarrete. Michel de Montaigne, acuto commentatore dei costumi del suo tempo, rilevava: «Fra il modo di vestire e quello di un contadino del mio paese trovo molta più differenza che fra la sua foggia e quella di un uomo che è vestito solo della sua pelle».   Non mancavano di riservare particolare attenzione e sottili considerazioni alla questione dell\'abbigliamento i protagonisti del celeberrimo dialogo rappresentato da Baldassarre Castiglione ne Il Cortegiano, dove messer Federico argomentava come l\'uomo di corte debba vestire allo stesso modo di come vuol essere considerato. L\'abito non era soltanto funzione della condizione sociale di chi lo portava, ma anche delle particolari tradizioni invalse nelle diverse comunità, alle quali era doveroso adeguarsi.   Come suggeriva Della Casa, era opportuno che l\'abbigliamento «si convenga etiandio alla contrada ove noi dimoriamo, con ciò sia cosa che sì come in altri paesi sono altre misure, e non di meno il vendere et il comperare et il mercatantare ha luogo in ciascuna terra, così sono in diverse contrade diverse usanze, e in ogni paese può l'uomo usare e ripararsi acconciamente».  Così, per esempio, ne Il Cortegiano si faceva menzione delle caratteristiche tipiche del vestire fiorentino e veneziano e si segnalavano criticamente gli eccessi degli stili vestimentari francese e tedesco, così come si lamentava la mancanza di uno stile italiano. Frequente è il richiamo a non «distinguersi» dalla consuetudine con vestiario eccentrico o vistoso, come rilevava ancora Della Casa.   Avvertenze che riecheggiano nell\'opera di Baldassarre Castiglione: «Ma non voglio che noi entriamo in ragionamenti di fastidio; però ben sarà dir degli abiti del nostro cortegiano, i quali io estimo che, pur che non siano fuor della consuetudine, né contrari alla professione».   Tale comportamento doveva essere stato recepito anche oltremanica, se nell'Amleto Polonio offre a Laerte, che si accinge a partire i seguenti consigli: vestire in modo elegante e con vestiti costosi, ma non troppo vistosi, eleganti, ma sobri. Che l\'abito fosse considerato un mezzo di comunicazione e di rappresentazione dell\'appartenenza è testimoniato anche dalla fortuna editoriale dei trattati illustrati sull\'abbigliamento, nei quali venivano proposte vere e proprie gallerie di costumi, sfilate su carta di abiti, classificati per area geografica, sesso, età e, naturalmente, condizione sociale di chi li indossava.  Jost Amman pubblicava nel 1568 il Libro degli ordini (Ständebuche), le cui incisioni raffiguravano mestieri e attività dell\'epoca, collocandoli in un coerente ordinamento sociale. È probabile che tra le ragioni del successo di tali pubblicazioni vi fosse la curiosità per usi e costumi di popoli lontani, sollecitata dalle scoperte geografiche, ma ritengo che una motivazione altrettanto importante sia individuabile nell\'interesse per quei volumi che offrivano un repertorio per immagini delle gerarchie sociali. - **[Cesare Vecellio, *Habiti antichi e moderni di tutto il mondo*]**: - ***[L'avventuroso Simplicissimus]*** Anche Giovanni Della Casa invitava a considerare con prudenza l'adozione di cambiamenti radicali nel modo di vestire e, soprattutto, metteva in guardia dalla tentazione di porsi come antesignani delle novità, quelli che nel linguaggio degli studiosi delle tendenze di mercato sono definiti consumatori «innovatori» o «pionieri»; la sua visione del mutamento delle abitudini vestimentarie non lasciava troppo spazio alla moda.  **L'UOMO ARISTOCRATICO IN NERO** Nel Cinquecento l\'ostentazione, da forma fisica e materiale, diviene un attributo intellettuale: rappresenta la capacità di esibire la propria cultura, le proprie conoscenze, e di fare scelte oculate.   Come si manifestava questa tendenza alla semplicità apparente, al rifiuto di qualsiasi esagerazione e alla rinuncia alla dimostrazione materiale del valore monetario dell\'abito a favore di una scelta sartoriale che sottolineasse invece i valori estetici, culturali e intellettuali?   ![](media/image11.png)Si trattava di dar forma a virtù che non potevano essere comprate come si comprano sete preziose o oggetti di lusso, ma che dovevano essere fatte proprie attraverso l\'educazione e la formazione personale.   Questa rinuncia al mondano, all\'esteriore e al superficiale a favore di qualità interiori si esprime con particolare efficacia nell\'uso del nero.   Il Cinque e il Seicento sono i secoli del nero per antonomasia. La gerarchia delle apparenze, infatti, si rifletteva in una [gerarchia di colori], che contribuivano in maniera determinante all'identificazione del rango sociale di appartenenza.   Tuttavia, [era il nero il colore dominante] nell'abbigliamento, soprattutto maschile, dei ceti elevati; era scura la nota cromatica che permetteva di identificare immediatamente i gentiluomini dei secoli dell'Età moderna.   Benché la storia del nero abbia radici antiche, si ritiene che la consacrazione dell\'abito nero come modello dell\'apparire aristocratico sia avvenuta nel corso del XV secolo, a opera di Filippo il Buono, duca di Borgogna, e che tale gusto si sia po

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