La storia delle forme dei repertori musicali PDF

Summary

Questo documento esplora la storia della musica strumentale nel XVI secolo, con un focus sull'emancipazione dalla musica vocale. Vengono analizzate le diverse forme musicali come ricercare, fantasia e canzona, evidenziando il loro sviluppo e le figure chiave del periodo. Il documento si concentra sull'evoluzione delle tecniche compositive e delle funzioni della musica strumentale.

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STORIA DELLE FORME DEI REPERTORI: LA DIFFUSIONE DELLA MUSICA STRUMENTALE NEL XVI Durante il cinquecento la musica strumentale si emancipa dalla musica vocale. Molti brani strumentali erano adattamenti e arrangiamenti di musica vocale, con melodie vocali parafrasate o affidate a strumenti come liut...

STORIA DELLE FORME DEI REPERTORI: LA DIFFUSIONE DELLA MUSICA STRUMENTALE NEL XVI Durante il cinquecento la musica strumentale si emancipa dalla musica vocale. Molti brani strumentali erano adattamenti e arrangiamenti di musica vocale, con melodie vocali parafrasate o affidate a strumenti come liuto e tastiera. La pratica strumentale iniziava a distinguersi,ma le scelte timbriche erano spesso determinate da fattori sociologici e disponibilità strumentale. Con l’evoluzione della tecnica, si afferma il virtuosismo esecutivo e l’esigenza di codificare espressioni musicali complesse. Le diminuzioni ossia gli ornamenti, per esempio, sostituiscono la melodia originaria cercando di rendere il testo musicale più espressivo. Tra i testi di riferimento al virtuosismo troviamo lavori di Girolamo della casa, Giovanni Bassano e Riccardo Rognoni. La diffusione del dilettantismo strumentale fu importante nell’espansione editoriale. Per facilitare la lettura dei brani da eseguire sugli strumenti a corde e a tastiera come liuto e clavicembalo si sviluppa l’intavolatura, un sistema di notazione che specifica esattamente la posizione delle dita sulla tastiera, mediante un sistema di numeri, tipo italiano o spagnolo, di lettere dell’alfabeto (francese) e simboli grafici (tedesco). La trascrizione di musica vocale era una pratica diffusa sia nella musica sacra sia nella musica profana, raccolte in antologie. Il cinquecento vede una maggiore diffusione del dilettantismo musicale, sostenuta dall’interesse dei nobili e dell’editoria musicale, che ebbe inoltre un’evoluzione sulla costruzione degli strumenti musicali per esempio agli strumenti a tastiera si ampliò il numero dei registri, aumentò la qualità dello strumento ad arco. La fabbricazione degli strumenti a fiato era specialmente sviluppata in Germania e in Austria mentre gli strumenti ad arco di più nel Nord Italia come Venezia, Cremona, Brescia. FUNZIONI MUSICA STRUMENTALE La musica strumentale aveva una funzione di intonazione (pratiche e tecniche che miravano a rendere l’intonazione precisa, in particolare nei momenti liturgici. Per esempio nelle corti la musica strumentale veniva utilizzata molto nei momenti di danza. Durante il 16 secolo gli strumenti utilizzati per i momenti liturgici erano molto pochi, tranne per l’organo che troviamo nelle cappelle e nelle chiese poste nei domini di principi ricchi. L’utilizzo di più strumenti musicali lo ritroviamo nelle occasioni di festa religiose importanti, soltanto a partire dagli ultimi decenni numerose cappelle assegnarono un posto stabile agli strumentisti. Sicuramente un luogo di importante sviluppo per il repertorio di musiche strumentali lo troviamo a Venezia (per organo, per complesso e per clavicembalo). Troviamo molte opere strumentali composte per la Basilica di San Marco, che, accanto al Palazzo Ducale, sede del Doge, era il centro della vita religiosa e cerimoniale. I musicisti che vi lavoravano erano gli stessi dogi che si occupavano anche delle dipendenze dello stato, quindi non solo si occupavano di funzioni religiose ma anche pubbliche. In aggiunta ai coristi, un gruppo di 20 persone fissa anche due organisti che si alternavano ma alle domeniche erano richiesti entrambi, in quanto al secondo organista aspettava il compito di accompagnare il complesso strumentale e di offrire delle esibizioni virtuosistiche. Ecco perché molta musica organistica e strumentale fu scritta dai musicisti che suonavano come secondo organo; Claudio Merulo, Andrea Gabrieli. Furono inseriti 12 strumentisti diretti dal cornettista Girolamo dalla Casa poi un anno dopo la nomina di Monteverdi a maestro di cappella, furono sostituiti con 16 suonatori che dovevano sia accompagnare sia il coro ma anche eseguire musica durante la messa. I brani solistici erano inseriti durante momenti specifici della messa. La messa per organo, dimostra l’importanza dato all’organo nel servizio liturgico che prevedeva l’alternarsi tra l’organo e il coro cantate il gregoriano. I brevi pezzi organistici erano fondati su una melodia gregoriana prima elaborata e poi più libera,secondo il cantus firmus. Ricordiamo Girolamo Cavazzoni e Girolamo Frescobaldi. PROCEDIMENTI COMPOSITIVI Il compositore di musica strumentale quando crea le sue opere, deve affrontare il problema di dare una forma chiara e coerente al brano, senza avere il supporto di un testo poetico che ti fornisca una guida emotiva. Nella musica vocale, il testo poetico suggerisce e influenza la struttura e le emozioni del pezzo, fungendo da guida per il compositore. Invece nella musica strumentale che è e fatta solo di suoni senza parole il compositore deve inventare e organizzare una struttura che renda il brano comprensibile. Uno dei metodi più utilizzati riguarda l’elaborazione di un contrappunto sopra una melodia data, di origine vocale ossia una chanson, per esempio. Il tema dato viene ripetuto nel basso o nella linea melodica, e su di esso si scrivevano una serie di variazioni. Un’altro metodo utilizzato era elaborare motivi musicali identici o con variazioni, utilizzando tecniche imitative. Nella musica organistica liturgica spesso si utilizzavano melodie preesistenti, pratica diffusa sin dal 15 secolo. L’assenza di un testo poetico permetteva ai compositori strumentali maggiore libertà nel variare e ampliare le forme musicali. Questo dava modo di esplorare le caratteristiche sonore degli strumenti, grazie ad una maggiore padronanza tecnica. Le composizioni strumentali diventano quindi più varie alternando momenti stabili e ritmici con episodi di tensione e contrasto. Tuttavia, i pezzi destinati ad accompagnare la danza seguivano una struttura più regolare, basata su gesti melodici e ritmici ripetitivi, pensata per lo più per contesti di corte. RICERCARE, FANTASIA E CAPRICCIO Il termine ricercare compare per la prima volta nella pubblicazione di tablatures di liuto di Francesco Spinacino, un brano improvvisatori e rapsodico che aveva la funzione di intonazione. I brani avevano una funzione di preludio e interludio fra le strofe delle opere vocali delle intavolature trascritte per liuto. Nel 1540 il ricercare cambia da carattere improvvisativo a imitativo. Come il mottetto che presentava una struttura imitativa e densa, il ricercare è caratterizzato da un tessuto polifonico e imitativo. (cercare ripetutamente). 1540 ascolto e 1543 ascolto. L’intenzione dei compositori era quella di non solo dimostrare le loro doti contrappuntistiche ma anche di fornire modelli esemplari di composizioni che avevano come funzione il solfeggio, dove troviamo l’espressione “per cantare e sonare”. Nel 500 compare un nuovo termine ossia Fantasia, un ricercare che ha un effettivo uso strumentale, è una forma più libera. Tra il ricercare e la fantasia non troviamo una grandissima differenza stilistica e formale, ma vanno differenziati per criteri sociologici; il ricercare è più diretto verso lo studio e l’apprendimento musicale,mentre la fantasia è stata creata perlopiù per l’esecuzione pratica. I compositori del secondo cinquecento tendevano a mettere in mostra le loro capacità, non solo li ritroviamo con i termini di fantasia e ricercare ma anche con il termine capriccio una composizione destinata all’esecuzione strumentale ma dove il compositore si divertiva con artifici contrappuntistici. Alcuni capricci adottano una struttura unitaria, per esempio il capriccio n.1 LA,SOL,FA,RE,MI una composizione monotematica il cui tema deriva da una canzone LASSA FAR A MI, il soggetto è il stile imitativo con modifiche ritmiche e non viene mai ripetuto nella sua forma originale ma presenta ogni volta alterazioni differenti. Il ricercare si sviluppa principalmente a Venezia e Napoli, i maestri veneziani sono caratterizzati da uno stile più lineare con un tempo in quattro mezzi, tipico di ricercari come Andrea Gabrieli e Merulo. Anche i maestri napoletani utilizzavano il contrappunto arricchendolo con accordi cromatici, dissonanze ecc..A portare a Napoli la tradizione del contrappunto fu Giovanni Macque, che operò come organista in varie chiese cittadine e influenzò molto i suoi allievi tra cui Giovanni Maria Trabaci. Le sue brevi composizioni sono comprese nella raccolta CONSONANZE STRAVAGANTI dove si cercò di inserire dei procedimenti armonici appunto, stravaganti. CANZONA All’inizio del 500 in Italia e altrove era diffusa la pratica di trascrivere la chanson polifonica vocale francese in forma strumentale invariata. Molte di queste canzoni erano destinate già all’esecuzione strumentale o a un doppio uso (voce e strumenti). I brani del periodo intorno al 1500 ci sono giunti privi di testo poetico segno che veniva creati anche per esecuzioni strumentali. La trascrizione per liuto divenne molto comune con autori come Francesco Spinacino (1507) che pubblicavano raccolte di trascrizioni. Nel tempo la “canzona” o canzon francese acquista una struttura più elaborata diventando uno dei generi di musica strumentale, con uno sviluppo della sonata e del concerto. La chanson vocale francese si diffuse ampiamente in Italia, facilitata dai legami culturali e politici tra Francia e Italia. I compositori francesi del periodo come Janequin, svilupparono una tipologia di chanson parigina caratterizzata da ritmi vivaci e un’inclinazione di musica a programma, che utilizzava effetti sonori per evocare scene, come “La guerre, ou la bataille" (1528) che imita i suoni di una battaglia (imitazione di trombe e tamburi, senso di agitazione). La canzona in un primo tempo si basava su tecniche contrappuntistiche, con ritmi vivaci e ripetizioni tipiche della musica per danza. (2/4 ¼ ¼ 2/4). La raccolta di "Ricerche motetti canzoni Libro primo” di Cavazzoni costituisce un punto di partenza per la canzone strumentale rappresentata nella raccolta da quattro trascrizioni pure e semplici per organo di canzoni francesi arricchite da figurazioni tastieristiche. Il secondo stadio è rappresentato dall Intavolatura, la raccolta contiene due canzoni uno delle quali si rifà alla canzone di Desprez. Non si tratta solo di una semplice trascrizione ma di una libera parafrasi, dove i due temi principali A e B vengono rielaborati inserendo nuovi elementi. Le canzoni tastieristiche si diffusero molto nella seconda metà del 500 e molti compositori si cimenteranno in essa. Ne abbiamo un esempio con Andrea Gabrieli dove molte delle sue canzoni sono suddivise in tre sezioni. La sezione iniziale è ripetuta dove una sezione centrale è polifonica, dove troviamo una contrapposizione in coppie tra le voci superiori e voci inferiori. Le voci sono disposte in modo che una imiti l’altra, creando effetti ritmici e vivaci. La sezione media è contrastata con brevi motivi eseguiti in uno stile omofonico e accordale; questo influenzò la pratica veneziana dei “cori spezzati” in cui i cori diversi si alternano per creare effetti d’eco. Per ottenere questi effetti con i cambi di registro l’organo era lo strumento ideale per ottenere questi effetti. Le indicazioni dei segni di dinamica li troviamo ancora prima che nella sonata Pian e Forte di Giovanni Gabrieli in una canzone di Banchieri che porta il sottotitolo di echo (1596), dove nella sezione centrale troviamo le parole forte e piano dove appunto saranno intese come indicazioni dinamiche. Cioè si fanno il piano e il forte che aveva questi effetti d'eco. Nelle partiture strumentali dell’epoca molto raramente si trovavano indicazioni sulla dinamica e questo approccio veniva utilizzato anche molto prima di Banchieri e ne siamo a conoscenza grazie a trattati come il transilvano di Diruta. Dove oltre ad inserire informazioni sulla diteggiatura e sulle ornamentazioni da praticare, Diruta offre consigli su come mettere in evidenza il carattere del brano, la velocità ecc…Diruta si richiama al suo maestro Merulo che fu uno dei primi ad allontanare la canzone strumentale dalla chanson francese. Questo lo notiamo dall’utilizzo dei titoli, come per esempio La Zambeccara, titoli che invece di riferirsi a composizioni vocali sono tratte dall’ispirazione dell’autore. Merulo fu un virtuoso della tastiera e le sue canzoni consistevano in più sezioni che si differenziano non solo dal punto di vista tematico ma anche dal loro stile dove un stile imitativo poteva essere seguito da uno stile accordale. A volte le due sezioni sono collegate tra loro dall’uso ma con qualche variazione. Il principio formale di suddividere una composizione in più sezioni contrastanti e indipendenti rappresenta un’innovazione. Ogni sezione ha una propria identità sia per il ritmo sia per il carattere ma può essere collegata alle altre tramite variazioni dello stesso tema musicale. Questa struttura contribuirà in seguito alla nascita della sonata da chiesa dove la suddivisione in movimenti distinti e contrastanti diventerà una caratteristica fondamentale, con tempi e stili diversi sviluppando una pluralità di tempo ossia movimenti nella forma della sonata strumentale. In comune con la toccata le canzoni di merulo presentano passaggi veloci, figurazioni ornamentali, accordi massicci. Alcune canzoni del libro di Merulo sono versioni per organo destinate per strumenti d’insieme, per esempio la prima canzona fu “La bella". Canzone da sonare”. In molte opere non ci sono indicazioni di strumenti specifici ma sembrerebbe che a Brescia furono destinate a strumenti ad arco mentre a Venezia a strumenti a fiato. Nelle canzoni di Giovanni Gabrieli troviamo la partecipazione di due o più gruppi di strumenti che rendeva possibile l’abbandono della polifonia imitativa sostituendola con l’omofonia accordale dove le parti strumentali estreme assumono un ruolo di preminenza mentre quelle mediane vengono ridotte a semplici ripieni sonori. Gabrieli pubblica una raccolta chiamata Canzoni e sonate quindi non c’è più una differenza, non c’è più importanza sulla parola, si riferiscono entrambe alle stesse composizioni. Praetorius particolarmente influenzato dalla musica veneziana afferma che la differenza consiste nel fatto che le sonate sono gravi mentre le canzoni sono gaie. TOCCATA La toccata all’inizio del 500 era un brano libero,caratterizzato da uno stile improvvisativo. Il termine ne specifica la maniera di realizzazione sonora ottenuta mediante il toccare lo strumento. Gli elementi tipici della toccata sono rapidi passaggi, ricchezze ornamentali, struttura formale libera. A metà del 500 la toccata era solo il genere del repertorio da chiesa coltivato a Venezia destinato esclusivamente all’organo. Veloci passaggi a base di scale per una mano e accordi per l’altra, troviamo anche una sezione mediana di semplice scrittura imitativa. Nella raccolta di Gabrieli troviamo il termine intonazione che serviva per intonare il coro. Erano composizioni molto brevi dal carattere improvvisativo che venivano eseguite in una determinata tonalità. La toccata trovò favore nella musica per tastiera dei compositori attivi a Napoli tra cui Trabaci e Mayone che frammentarono la toccata in sezioni più piccole. SONATA E'una combinazione di strumenti a corde o a fiato oppure archi e basso continuo. Molte delle prime sonate consistono in una successione di sezioni brevi tra loro contrastanti, per ritmo, andatura melodica….Data la ricchezza tecnico-espressiva del repertorio strumentale italiano del primo 600 non si può riconoscere un modello fisso, ma le composizione tendevano a includere fino a 20 sezioni. A partire dalle 1630-1640,sì assistente a una riduzione dei numeri di sezione, accompagnata da un maggiore sviluppo delle tecniche strumentali e da una più precisa caratterizzazione agogica dei movimenti ad esempio(allegro, Adagio). I tempi veloci erano spesso contrappuntistici e più estesi rispetto a quelli lenti, che erano più brevi. la Sonata era destinata a pochi strumenti rispetto alla canzone del primo Seicento e poteva essere composta per due,tre o quattro parti strumentali, accompagnata dal basso continuo. Dal 16550 circa prevalse il formato delle sonate a tre caratterizzato da tre parti melodiche eseguibili da un numero variabile di interpreti e strumenti. La sonata Veneziana del 1620-1630 combinava spesso strumenti a fiato e a corde mentre altrove si preferiva solo archi e continuo. Biagio Marini occupa un ruolo centrale nella letteratura strumentale del periodo, grazie alla sua vena creativa e alle innovazioni tecniche. Virtuoso del violino introdusse sezioni lente come preludi, procedimenti di variazioni ornamentali, collegamenti tematici tra movimenti e precise indicazioni esecutive ( tempi dinamiche, accordatura e tecniche speciali come corde doppie e triple). In Marini si nota l'intensificazione degli affetti ovvero la componente emotiva delle composizioni strumentali, spesso prerogativa della musica vocale. Il termine affetto compare per la prima volta in una raccolta di soli brani strumentali nella sua pubblicazione del 1626. Le sue sonate come quelle della raccolta “sonate sinfonie” 1626 sfruttano effetti violinistici sperimentali e innovativi. Marini influenzò profondamente i compositori successivi in Austria e in Germania come Biber. Nelle Sonate della sua ultima raccolta emerge l'uso del basso passeggiato, con un andamento uniforme. Oltre a Biagio Marini numerosi altri compositori del Seicento contribuirono all'evoluzione dell'assunta e delle tecniche che violinistiche, tra cui Dario Castello, Tarquinio Merula, Marco uccellini e Maurizio cazzati e altri attivi a Bologna, specialmente nell'accademia a filarmonica e nella Basilica di San Petronio. questi musicisti ampliarono significativi Il repertorio sonatistico introdusse innovazioni tecniche come assoli virtuosistici, ritornelli o munici, imitazioni a Canone, progressioni melodiche e ritmi di danza. Tra le tecniche violinistiche sperimentate spiccano l'uso delle posizioni acute, le scordature, i cristalli, i Tremoli, i pizzicati. un elemento cruciale dell'evoluzione dell'assunta fu la distinzione introdotta da Marini nell'opera sonate da chiesa e suonata da camera una novità nel repertorio strumentale punto in precedenza questa distinzione riguarda solo la musica vocale come nel caso dei Cento concerti ecclesiastici di Luigi grossi. Tuttavia la presenza di questi termini nei titoli della raccolta non significava necessariamente una separazione rigida tra i brani da eseguire in chiesa e quelli da per ambienti domestici e nobiliari. le suonate infatti erano polivalenti potevano essere utilizzate durante i momenti liturgici, ma anche come musica per feste e intrattenimento danze in ambiente private. Inoltre due ambiti sacro e profano non erano separati nettamente nemmeno nello stile musicale. la musica da chiesa incorpora spesso elementi tipici della danza melodie e armonie e ritmi mentre la composizione profane utilizzavano tecniche polifoniche e rigorose, tipiche dello stile ecclesiastico. le fonti a stampa dell'epoca evitavano di definire chiaramente questa distinzione e spesso le indicazioni da chiesa e da camera rifletteva più la possibilità di una doppia destinazione delle sonate, piuttosto che una caratteristica categorizzazione rigida appunto solo in generale i casi tale distinzione era esplicitata. Nel primo Settecento, i termini da chiesa e da camera cominciano a riferirsi più ai tratti stilistici al metodo compositivo: l'as sonata da chiesa tende a essere contrappuntistica e libera mentre quella da camera si struttura come una serie di danze stilizzate, a volte precedute da un preludio e solitamente nella stessa tonalità appunto il musicologo francese de brossard distingue formalmente i due generi nel suo dizionario di musica siamo a Parigi nel 1701, lodando come esempio Corelli per il suo uso dei due stili. le sonate italiane del tardo Seicento in particolare quella di Arcangelo Corelli e dei compositori Italiani, mostrano una progressiva interazione degli stili da chiesa e da camera Appunto ad esempio nelle sonate da chiesa di Corelli si trovano momenti e movimenti di danza stilizzati, Mentre nelle sonate da camera paiono movimenti di stile più serio e fugato. una struttura tipica dell'assunta dell'epoca spesso a quattro movimenti, segue il modello lento veloce lento veloce: primo movimento: lento e breve solitamente in quattro quarti con ritmi puntati e dissonanze. secondo movimento: veloce e fugato pure con una progressione armoniche e melodiche. terzo movimento: lento, spesso breve. quarto movimento: veloce a volte in metro composto 12 ottavi o sei ottavi con stile omofonico o pseudo polifonico. infine molti compositori veneziane e bolognesi si dedicarono con particolari attenzioni alla struttura in tre movimenti veloci e lento e veloce per la Sonata solistica o di insieme punto nel Seicento la musica strumentale Ed insieme si diffonde principalmente attraverso un pubblicazioni a stampa destinate soprattutto a un pubblico privato di dilettanti. L'editoria musicale italiana del tempo sostenuta a Bologna da editori come Antonio Alessandro pisarri e Giacomo Monti soffre però la concorrenza straniera da parte dell'Olanda e dell'Inghilterra. Questi paesi utilizzano tecniche moderne di incisioni su lastre di rame che permettono di stampare a basso costo mentre in Italia il processo editoriale è ancora costoso rendendolo la musica stampata meno accessibile. le suonate vengono pubblicate di norma e la raccolta di 6 o 12 brani spesso termina con una Sonata in forma di variazioni su melodie popolari. Queste note introduttive spesso dedicate al lettore forniscono indicazioni sulla prassi esecutiva autentica dell'epoca. MUSICA DA DANZA Fino alla metà del XVI secolo, la musica da ballo aveva una funzione principalmente di accompagnamento per i balli di corte, che erano eventi molto frequenti nei palazzi e nelle corti nobili. Questi balli venivano eseguiti in contesti sociali e festivi, talvolta accompagnati da elementi teatrali, come pantomime o dramma recitato. La musica per questi balli era per lo più composta da danze che appartenevano alla sfera della musica di consumo, un tipo di musica destinato a un uso quotidiano e sociale. Le danze erano per lo più strutturate in forme semplici e venivano pubblicate in raccolte, a volte insieme a musiche vocali o strumentali, e trasmesse anche in copie manoscritte, scritte in intavolature per strumenti come il liuto e il clavicembalo. Nel corso del XVI secolo, si verificò un rapido cambiamento nelle danze popolari, alcune delle quali mantennero la loro popolarità per lunghi periodi, mentre altre caddero in disuso. Le danze che rimasero in voga furono progressivamente stilizzate, ossia vennero trasformate in forme più elaborate e complesse, distaccandosi dalla loro funzione originaria di accompagnamento al ballo. Questo processo di stilizzazione e di assolutizzazione della musica da ballo iniziò a trasformare questi brani in veri e propri pezzi di musica d’arte, una musica che, pur mantenendo le caratteristiche originali delle danze, veniva eseguita in contesti più raffinati come la musica da camera, destinata a essere ascoltata e non più ballata. Le caratteristiche principali delle musiche da ballo di questo periodo erano la loro semplicità e la regolarità ritmica. La struttura di queste musiche era generalmente omofonica, cioè con una sola melodia principale supportata da un accompagnamento armonico. Le melodie tendevano a essere chiare e semplici, spesso affidate alla parte superiore, mentre l’armonia seguiva schemi regolari che accentuano la simmetria ritmica, con periodi di 4, 8 o 16 battute, ciascuna con una cadenza ben definita. Questo tipo di scrittura musicale mirava a favorire il fluire dei movimenti di danza, con cambiamenti minimi nel metro e nel tempo, permettendo così di variare la durata delle danze a seconda delle necessità dell’esecuzione. La musica da ballo del Cinquecento è simile, sotto certi aspetti, all’improvvisazione moderna, come nel jazz, dove si può alterare la durata o il numero di ripetizioni di un tema senza modificarne la struttura fondamentale. Un altro aspetto importante della musica da ballo del Cinquecento è l’uso del tema variato. Già nelle prime raccolte di danze per liuto e strumenti a tastiera si trova una tendenza a variare il materiale melodico, mantenendo lo stesso schema di base, ma modificando le sue ripetizioni in modo da creare un effetto di novità. Un esempio di questa pratica è l’accoppiamento di danze di metro binario e ternario, che spesso venivano collegate da analogie melodiche. Un caso molto noto è quello della pavana, una danza lenta di metro binario, che veniva frequentemente affiancata da danze più rapide come il saltarello o la gagliarda, creando una successione di danze all’interno di un’unica esecuzione. Questa combinazione di danze costituiva una delle prime forme di suite, un concetto che sarebbe stato ulteriormente sviluppato nei secoli successivi. Il termine “suite” comparve per la prima volta in una raccolta di danze del primo Cinquecento, e indicava l’accostamento di diverse danze con uno stesso materiale melodico, ma variato nel ritmo e nell’armonia. Le danze più popolari di questo periodo includono la pavana, il salterello, la gagliarda, la corrente, la domanda, la sarabanda, il brando, la padovana, la piva, la giga e il passamezzo. Il passamezzo, in particolare, divenne una delle danze principali nelle suite a partire dalla metà del Cinquecento, sostituendo la pavana come danza di apertura in molte raccolte. La musica da ballo di questo periodo seguiva uno schema armonico e melodico ricorrente, che si prestava a vari elaborazioni e variazioni, soprattutto nella forma di “basso ostinato”, dove una linea di basso veniva ripetuta, mentre sopra di essa venivano sovrapposte variazioni melodiche e ritmiche. Nel Seicento, la funzione coreutica della musica da ballo iniziò a sparire e le danze vennero ormai composte per l’uso esclusivamente cameristico. Sebbene le composizioni continuassero a rispettare le strutture ritmiche e armoniche delle danze originali, queste vennero trasformate in brani strumentali per clavicembalo e altri strumenti da camera, perdendo la loro connessione diretta con il ballo. All’inizio del Seicento, molte danze, pur mantenendo le caratteristiche stilistiche delle forme originarie, vennero eseguite come vere e proprie composizioni strumentali, senza il legame con i movimenti coreografici. A metà del secolo, in Francia e in Germania, si sviluppò la suite come forma musicale definitiva, composta di danze stilizzate e indipendenti, destinate a un pubblico che non era più legato alla danza fisica. In questo contesto, il termine “suite” assunse nuovi significati, venendo utilizzato per indicare una serie di pezzi strumentali, spesso per clavicembalo, che non avevano più lo scopo di accompagnare il ballo ma si inserivano nel repertorio da camera. Ogni paese sviluppò una propria nomenclatura per queste composizioni: in Germania si parlava di “parti”, in Francia di "Gordes" e in Inghilterra di “Les Sons”. La suite, come forma musicale, divenne una delle più importanti strutture della musica strumentale nei secoli successivi. GIROLAMO FRESCOBALDI L’Opera di Frescobaldi e il Suo Impatto Frescobaldi ha occupato una posizione centrale nella musica strumentale del Seicento, soprattutto nella musica per tastiera. Le sue composizioni hanno avuto un impatto duraturo e significativo, non solo in Italia ma anche in tutta Europa. L’influenza delle sue opere si estende oltre la sua morte, e l’interesse per la sua musica è stato persistente anche un secolo dopo la sua scomparsa. La sua arte si è confrontata con quella di Palestrina nella polifonia vocale: mentre quest’ultimo fornisce un modello ideale per la polifonia vocale rinascimentale, le composizioni di Frescobaldi diventeranno un modello fondamentale per i musicisti barocchi che scrivevano per il clavicembalo e l’organo. La sua influenza è visibile in numerosi compositori, tra cui grandi nomi come Johann Sebastian Bach. In Italia, due dei suoi eredi più illustri sono stati Bernardo Pasquini e Domenico Scarlatti, che seguirono le orme di Frescobaldi nel panorama musicale romano e europeo. Nei paesi di lingua tedesca, la sua musica veniva spesso copiata e trascritta in numerosi manoscritti, con particolare attenzione ai suoi motivi ornamentali e ai passaggi virtuosistici tipici delle sue toccate, che venivano considerati modelli da imitare. La sua musica è ricca di varietà tecnica, combinando il contrapunto tradizionale e l’influenza della “seconda pratica”, cioè quella corrente che enfatizza l’espressione emotiva e l’uso innovativo delle dissonanze. Lo Stile e la Composizione di Frescobaldi La grandezza di Frescobaldi risiede nella sua incessante ricerca di varietà nelle tecniche compositive. Egli riesce a combinare un’acuta consapevolezza teorica del contrapunto, derivata dalla tradizione del Cinquecento, con uno stile più moderno, che anticipa le sensibilità della seconda pratica. La sua musica è intellettualmente ricca, ma anche emotivamente coinvolgente. Si può dire che le sue composizioni siano caratterizzate da una continua alternanza tra rigorosa perizia tecnica e una grande libertà espressiva, frutto della sua predisposizione all’improvvisazione, una qualità che emerge soprattutto nelle sue toccate. La Vita e la Carriera di Frescobaldi Frescobaldi nacque a Ferrara, dove ricevette una formazione musicale sotto la guida di maestri come Luzzaschi e Ercole Pasquini, che erano rappresentanti della scuola ferrarese, nota per la sua raffinata musica per tastiera. Durante la sua giovinezza, Frescobaldi fu anche influenzato da alcuni musicisti napoletani, che si trovavano a Ferrara al seguito di Gesualdo. Nel 1604, grazie alla protezione del prelato Guido Bentivoglio, Frescobaldi si trasferì a Roma, dove trascorse gran parte della sua vita. Nella capitale, ricoprì il ruolo di organista presso la Cappella Giulia di San Pietro dal 1608 e partecipò attivamente alla vita musicale romana. Roma, a quel tempo, offriva molte opportunità per i musicisti, e Frescobaldi, come organista e cembalista, si inserì facilmente in varie istituzioni musicali e accademie. Le accademie erano eventi intellettuali in cui la musica non era l’attività principale, ma veniva spesso intercalata a discussioni letterarie e filosofiche. Anche se Frescobaldi non partecipò a produzioni operistiche, era ben inserito nel mondo musicale romano, dove suonava sia da solista che come accompagnatore di brani vocali. La sua straordinaria abilità nell’improvvisazione lo rendeva un elemento fondamentale nelle accademie e nelle feste, dove venivano eseguite opere di grande complessità, che spesso richiedevano l’uso di numerosi cori e organi. Le Toccate e la Sua Improvvisazione Le toccate di Frescobaldi sono tra le sue composizioni più celebri e rappresentano uno degli aspetti più innovativi della sua musica. La forma della toccata è libera e flessibile, con sezioni che a volte non sono nettamente separabili e che talvolta si sovrappongono emotivamente. Le sue toccate sono caratterizzate da motivi ornamentali e passaggi virtuosistici che riflettono il suo approccio all’improvvisazione. Frescobaldi trattava le toccate come delle composizioni libere, in cui le sezioni formali possono essere fluide e adattarsi alle esigenze esecutive del momento. Il suo approccio alle toccate includeva l’apertura con un tema relativamente statico che poi si evolve in una parte più dinamica, caratterizzata da motivi ornamentali e passaggi virtuosi. Frescobaldi impiega una scrittura molto complessa per tastiera, in cui l’esecutore doveva affrontare difficoltà tecniche e interpretative. Le sue toccate, come quelle contenute nei libri del 1615, 1627 e 1637, sono ricche di passaggi che richiedono una grande abilità tecnica, ma che non mancano di un forte coinvolgimento emotivo. Le difficoltà di esecuzione sono accompagnate da una notevole varietà di colori musicali, che spaziano da momenti di grande intensità emotiva a quelli di puro virtuosismo. Le Dodici Fantasie e il Cantus Firmus Le dodici fantasie di Frescobaldi, composte quando era appena venticinquenne, mostrano una struttura contrappuntistica complessa, basata sull’uso del cantus firmus. Questo tema fisso, che può essere melodico o armonico, serve da base su cui vengono costruite altre voci. La struttura delle fantasie è generalmente tripartita, con una sezione centrale in ritmo ternario, e ogni fantasia si caratterizza per un uso particolarmente originale e complesso del cantus firmus. Frescobaldi impiega una scrittura rigorosamente contrappuntistica, ma allo stesso tempo sorprendentemente espressiva, manipolando i temi e costruendo sviluppi musicali molto articolati. Il cantus firmus funge da ancoraggio per l’intera composizione, attorno al quale si sviluppano voci che si intrecciano in modi sempre più complessi. Le fantasie di Frescobaldi sono esempi straordinari di contrappunto, in cui ogni voce è trattata in maniera indipendente, ma tutte insieme creano una tessitura ricca e coerente. I Capricci e Le Tecniche Compositive I capricci sono composizioni brevi e polifoniche che mostrano la ricerca di Frescobaldi nel trovare soluzioni originali a problemi compositivi complessi. Ogni capriccio si basa su un principio o “obbligo” compositivo che l’autore si impone. Ad esempio, i primi due capricci della raccolta si basano sull’utilizzo di motivi derivanti da una sequenza di solmisazione, come l’esacordo ascendente (ut, re, mi, fa, sol, la) e il suo rovescio (la, sol, fa, mi, re, ut). La scrittura dei capricci è complessa, con ampio uso di contrappunto e variazioni su un tema di base. Frescobaldi include anche indicazioni pratiche nell’interpretazione di questi pezzi, avvertendo gli esecutori della difficoltà tecnica e suggerendo il tempo appropriato per ciascuna parte, che può essere veloce o lento, a seconda delle necessità stilistiche. “Fiori Musicali” e il Picco della Musica Organistica La raccolta Fiori Musicali (1635), l’ultima e forse la più celebre opera di Frescobaldi, rappresenta il culmine della sua produzione per tastiera, in particolare per organo. In quest’opera, Frescobaldi raggiunge un grado di perfezione compositiva straordinario, mescolando tecniche di contrappunto con sperimentazioni armoniche avanzate. La raccolta include una varietà di composizioni, tra cui toccate, ricercari e canzoni, destinate principalmente all’esecuzione liturgica. Le sue toccate in quest’opera sono ancora più raffinate, con una maggiore varietà di artifici contrappuntistici e un uso innovativo delle dissonanze. La sua musica in Fiori Musicali si distingue per l’abilità nell'intrecciarsi virtuosismo e profondità emotiva, in un’epoca in cui il linguaggio armonico cominciava a orientarsi verso il tonale, ma continuava a mantenere tratti della tradizione rinascimentale. Arcangelo Corelli (1653-1713) fu uno dei compositori più influenti della musica strumentale barocca. La sua opera, composta esclusivamente da musica strumentale e mai vocale, si caratterizzò per equilibrio, razionalità e perfezione formale, rappresentando un punto di svolta nella tradizione musicale europea. Nato a Fusignano, vicino Ravenna, e formatosi a Bologna, Corelli si trasferì a Roma, dove lavorò per tutta la sua carriera, eccezion fatta per brevi soggiorni documentati. Produzione Musicale e Influenza Corelli fu un compositore metodico, pubblicando solo sei raccolte di opere (72 composizioni) in 35 anni. Ogni raccolta fu il risultato di un attento lavoro stilistico, con una cadenza regolare delle pubblicazioni. Il successo editoriale delle sue opere fu senza precedenti: l’Opera I venne ristampata 78 volte nel XVII secolo, mentre l’Opera V, celebre per i suoi 23 temi variati su “La Follia”, divenne un riferimento per la tecnica violinistica. La sua musica influenzò profondamente sia i contemporanei sia le generazioni successive, sia in Italia che in Europa. A Roma, attrasse allievi come Giovanni Battista Somis, fondatore della scuola violinistica piemontese; Pietro Antonio Locatelli, che anticipò la tecnica virtuosistica ottocentesca; e Francesco Geminiani, che diffondeva i precetti corelliani in Inghilterra. Corelli fu il primo compositore a ottenere una fama internazionale dedicandosi esclusivamente alla musica strumentale, senza mai avvicinarsi al teatro d’opera. Relazioni e Mecenatismo A Roma, Corelli trovò mecenati influenti come la regina Cristina di Svezia e i cardinali Benedetto Pamphilj e Pietro Ottoboni. Gli anni trascorsi al servizio di Ottoboni furono i più gloriosi della sua carriera e culminarono con l’iscrizione all’Accademia dell’Arcadia nel 1706. Corelli ebbe inoltre legami con la corte tedesca, dedicando l’Opera V a Sofia Carlotta di Brandeburgo e l’Opera VI a Giovanni Guglielmo, principe palatino del Reno. Stile Musicale Corelli rappresenta una sintesi di tecniche e stili violinistici precedenti, che elevò a forme compiute e paradigmatiche. La sua musica, basata su semplicità e controllo, fu priva di virtuosismi eccessivi, prediligendo tessiture vocali cantabili. I movimenti lenti delle sue sonate rivelano un profondo legame con la vocalità teatrale, come nel celebre Adagio della Sonata n. 9, Opera V. Contrappunto e armonia: Corelli sfruttò il contrappunto imitativo con solidi fondamenti armonici, riprendendo elementi della tradizione polifonica rinascimentale palestriniana. Il suo stile integrava omofonia e polifonia, sviluppando un senso moderno di tonalità maggiore-minore. Progressioni e simmetria: Elementi distintivi includono punti fermi su cadenze perfette, progressioni armoniche, e sequenze simmetriche di melodie, rendendo la sua arte razionale e didattica. Tecnica violinistica: Pur limitandosi alle posizioni basse (fino alla quinta posizione), Corelli raffinate tecniche essenziali, come tricordi, arpeggi e doppi suoni, sempre in funzione della contabilità e dell’equilibrio formale. I Concerti Grossi Corelli è noto anche per i suoi Concerti Grossi (Op VI), che stabilirono un modello per questa forma. Il concerto grosso contrappone un piccolo gruppo di strumenti solisti (concertino) all’orchestra d’archi (concerto grosso), senza assegnare al concertino temi indipendenti. Ogni concerto è composto da movimenti alternati tra lenti e veloci, mantenendo la stessa tonalità principale, salvo variazioni al relativo minore. L’influenza della pratica policorale veneziana è evidente, ma Corelli cristallizzò l’organico del concerto grosso. Importanza e Eredità Corelli portò la musica strumentale barocca a uno stato di perfezione formale e stilistica. La sua arte si impose come modello didattico e tecnico, combinando semplicità esecutiva e profondità musicale, adatta sia a dilettanti che a professionisti. La fortuna di Corelli si riflette nell’imitazione delle sue opere in tutta Europa, paragonabile solo a quella di Palestrina e Frescobaldi. LA MUSICA PER CLAVICEMBALO IN FRANCIA Nel Seicento, la musica per clavicembalo in Francia e Germania si sviluppò con caratteristiche distintive, ma anche con forti influenze reciproche. In Francia, questo repertorio ebbe il suo centro nevralgico a Parigi e presso la corte di Versailles, dove trovò grande apprezzamento e diffusione. Un nome di spicco in questo contesto è quello di Jacques Champion Chambonnières (ca. 1601-1672), considerato uno dei padri della scuola clavicembalistica francese. Di Chambonnières ci sono pervenuti circa 150 brani, in gran parte tramandati attraverso manoscritti, come il celebre Ms. Bauyn, conservato alla Biblioteca Nazionale di Parigi. Poco prima della sua morte, Chambonnières pubblicò due libri intitolati Pièces de clavecin (1670), che rappresentano un’importante testimonianza del gusto musicale francese dell’epoca. Le sue opere sono organizzate secondo le tonalità e rispecchiano la struttura tipica della suite di danza: ogni raccolta include una successione di Allemande, Corrente, Sarabanda e Giga. Questo schema, tipico del repertorio francese, enfatizzava un ordine preciso e una varietà di caratteri, dove le danze – pur stilizzate – conservavano un legame con le loro origini popolari o aristocratiche. Inoltre, i brani sono ricchi di abbellimenti e sfruttano tecniche caratteristiche come il “style brisé”, che frammenta gli accordi in arpeggi, creando un suono delicato e una scrittura quasi sospesa, molto apprezzata per la sua raffinatezza.. Nel frattempo, in Germania, la musica per clavicembalo fu influenzata dallo stile francese, ma anche da quello italiano, grazie a compositori come Johann Jakob Froberger (1616-1667). Froberger, nato in Germania meridionale, ebbe una carriera cosmopolita: studiò a Roma con il celebre organista Girolamo Frescobaldi e lavorò a Vienna presso la corte imperiale. Viaggiò molto in Europa, visitando Dresda, Bruxelles, Londra e Parigi, dove intrattenne rapporti con Chambonnières e altri musicisti francesi. Questa sua vita itinerante gli permise di assorbire e combinare diversi stili nazionali nella sua musica. Froberger è considerato un innovatore nella forma della suite. Nei suoi lavori introdusse una successione di danze simile a quella francese (Allemanda, Corrente, Sarabanda, Giga), creando una struttura che sarebbe diventata il modello per i compositori successivi. Inizialmente, nel primo volume autografo del 1649, le sue suite erano in tre movimenti (Allemanda, Corrente, Sarabanda), ma successivamente, nel secondo volume del 1657, aggiunse una Giga al secondo posto (Allemanda, Giga, Corrente, Sarabanda). Questo schema divenne un punto di riferimento nella storia della musica per tastiera. Froberger, pur assorbendo lo stile francese, sviluppò una scrittura personale, caratterizzata da un uso intenso del “style brisé” e da un’eleganza melodica che combinava cromatismi e temi contrastanti. Le sue composizioni si distinguevano per il continuo fluire della trama musicale e la ricchezza dei dettagli espressivi. Inoltre, alcune delle sue opere per clavicembalo sono veri e propri “lamenti”, come il brano scritto in memoria dell’imperatore Ferdinando III (1657), che rappresentano uno degli apici del suo linguaggio emotivo e sperimentale. Nel Vasto repertorio clavicembalistico francese di fine Seicento e primo Settecento prevale la tendenza all'espressione di elementi descrittivi come per esempio raffinato gusto armonico dualità delle figurazioni melodiche ritmiche uso frequente di un'ampia varietà di abbellimenti e un pieno sfruttamento delle risorse sonore dello strumento. Passando al XVIII secolo, troviamo François Couperin (1668-1733), una figura eminente nella musica clavicembalistica francese. Couperin, conosciuto come “Le Grand”, apparteneva a una famiglia di musicisti e studiò con suo padre, Charles II. La sua carriera lo portò a ricoprire il ruolo di organista presso la cappella reale di Luigi XIV, e successivamente divenne maestro di clavicembalo e composizione per i figli del re. Couperin frequentava i salotti aristocratici di Parigi, dove trovò ispirazione per le sue opere. La sua produzione clavicembalistica è raccolta nei quattro libri di Pièces de clavecin (1713, 1717, 1722, 1730), che comprendono 223 brani organizzati in 27 “ordres” (o suite). Questi “ordres” sono una combinazione di danze stilizzate e pezzi descrittivi. Couperin attribuì ai suoi brani titoli evocativi e poetici, che spesso richiamano persone, sentimenti, paesaggi o caratteristiche allegoriche. Ad esempio, troviamo riferimenti a emozioni, come Les Regrets; a personaggi mitologici, come La Terpsichore; oppure a scene burlesche, come La Pantomime. L’approccio di Couperin riflette un gusto estetico raffinato, legato alla cultura aristocratica del suo tempo, ma anche un profondo senso di espressività personale. Attraverso la sua musica, Couperin cercò di creare una sintesi perfetta tra l’intellettualismo della musica francese e la spontaneità della musica italiana. Couperin stesso, nella prefazione al primo libro, dichiarò che i titoli dei suoi brani rispondevano alle idee che aveva avuto durante la composizione. Questa affermazione testimonia il suo desiderio di trasmettere immagini, emozioni e situazioni attraverso la musica, rendendo ogni pezzo un piccolo mondo da esplorare. LA MUSICA STRUMENTALE NEL PRIMO 700 Il Settecento, un’epoca in cui si assiste a un’espansione significativa sia delle istituzioni musicali sia del pubblico interessato alla musica, specialmente strumentale. Questo periodo non è solo quello in cui si intensifica la diffusione di spettacoli teatrali e operistici anche nei centri più piccoli e periferici, ma è soprattutto un’epoca di straordinaria crescita per la musica strumentale, sia in termini di produzione sia di consumo. Questa espansione si deve a cambiamenti sociali e culturali, che portarono all’ampliamento del repertorio musicale e alla nascita di tecniche esecutive ed espressive più sofisticate. Nel Settecento aumenta anche la dimensione pubblica della musica: nascono le prime manifestazioni concertistiche pubbliche, dove la musica non è più relegata a contesti aristocratici o privati, ma diventa accessibile a un pubblico più ampio, comprendendo borghesi, dilettanti e appassionati. Ad esempio, le cosiddette “Accademie musicali” organizza regolarmente eventi pubblici, spesso a pagamento, in teatri cittadini, taverne, piazze o giardini. Si sottolinea però che le prime vere sale da concerto, progettate appositamente per ospitare musica, furono costruite solo nel XIX secolo. Tuttavia, già nel Settecento i concerti pubblici cominciano a creare spazi di condivisione musicale in vari contesti. Un esempio significativo è Londra, dove il violinista John Banister fu tra i primi a promuovere concerti a pagamento già nel 1672-1678. L’iniziativa inglese si diffuse rapidamente in altre città europee, come Parigi, dove dal 1725 si organizzarono i celebri Concerts spirituels. Questi concerti, inizialmente dedicati a musica vocale sacra, dal 1728 iniziarono a includere anche brani strumentali per valorizzare i virtuosi locali e stranieri, ampliando così l’offerta musicale. Un altro aspetto rilevante è il ruolo del dilettantismo, che nel Settecento assume una dimensione importante. Questa pratica, diffusa soprattutto tra la borghesia, non implica una formazione professionale ma una conoscenza musicale coltivata per piacere personale. Le associazioni come i Collegia musica tedeschi permettevano ai dilettanti di partecipare alla vita musicale. Anche in Italia, sebbene le istituzioni dedicate fossero meno organizzate, si registrano significative manifestazioni di interesse per la musica strumentale, soprattutto nelle città del nord come Venezia. Con il crescente interesse per la musica, i compositori iniziano a produrre opere sempre più elaborate, adattandosi ai gusti di un pubblico più vasto e richiedendo un maggiore virtuosismo da parte degli interpreti. Questo porta alla definizione di un nuovo stile musicale, fortemente incentrato sulla valorizzazione delle capacità tecniche ed espressive dello strumento. Solisti come Giuseppe Tartini o Antonio Locatelli, ad esempio, non solo componevano musica, ma erano anche interpreti straordinari delle loro stesse opere. La crescente domanda di musica strumentale nel Settecento ha influenzato i compositori e il mercato musicale, portando alla produzione di generi musicali più commerciabili, a scapito di opere destinate a un uso locale, come quelle liturgiche o profane. Questo processo di commercializzazione fu supportato dallo sviluppo dell’editoria musicale, che, per prosperare, necessitava di un mercato ampio e internazionale. Nel Nord-Ovest dell’Europa, a partire dalla fine del Seicento, si sviluppò una vivace industria della stampa musicale, che per la prima volta applicò la tecnica moderna dell’incisione su lastre di rame. Questo metodo rese la stampa più veloce ed economica rispetto al precedente sistema dei caratteri mobili. Mentre con i caratteri mobili ogni nota doveva essere composta separatamente con piccoli pezzi di piombo, il nuovo metodo permette di riutilizzare le stesse lastre per successive ristampe, riducendo i costi e migliorando la leggibilità delle partiture. Inoltre, l’incisione su rame consentiva di rappresentare i raggruppamenti di note brevi in modo più chiaro e ordinato, superando l’aspetto confuso delle edizioni precedenti. Uno dei pionieri di questa innovazione fu Estienne Roger, un editore francese attivo ad Amsterdam dal 1696 fino alla sua morte. Roger adottò su larga scala le nuove tecniche di incisione e introdusse significativi miglioramenti nella stampa delle opere musicali. Per esempio, collegava le note brevi con sbarrette orizzontali per evidenziare i gruppi ritmici, migliorando la leggibilità per i musicisti. Le sue edizioni ebbero grande successo e venivano distribuite in città come Londra, Parigi, Bruxelles e altre località del Nord Europa. Inoltre, Roger fu tra i primi a introdurre il sistema del numero editoriale nel 1710, una pratica che identifica ogni brano con un numero progressivo. Questo sistema, pur facilitando la produzione, rende oggi difficile determinare le date precise di pubblicazione delle sue opere. Roger contribuì notevolmente alla diffusione della musica strumentale italiana, pubblicando edizioni “pirata” di opere italiane che spesso venivano messe sul mercato subito dopo la loro apparizione in Italia. Dopo la sua morte, la sua attività fu portata avanti dal genero fino al 1743, mentre nuovi editori concorrenti, come John Walsh a Londra, emersero in altre città europee. In Italia, invece, gli editori musicali erano rimasti legati alle tecniche tradizionali dei caratteri mobili, e la loro produzione, seppur solida nel Seicento, risultava ormai superata rispetto agli standard europei. Questo ritardo tecnologico limitò la capacità degli editori italiani di competere sul mercato internazionale. Molte opere di compositori italiani furono quindi stampate all’estero, soprattutto ad Amsterdam, Londra e Parigi. Persino Antonio Vivaldi lamentò la scarsa qualità delle edizioni veneziane, elogiando invece la precisione e la chiarezza delle stampe di Roger, che pubblicò alcune delle sue opere più celebri, come L’Estro Armonico. Nonostante l’intensa attività editoriale e di copiatura a Venezia, che rimase un centro musicale vivace nei primi decenni del Settecento, dopo il 1750 la musica strumentale italiana iniziò a perdere il suo prestigio internazionale. La concorrenza delle case editrici di Londra, Parigi, Vienna e Lipsia, che offrivano prodotti di maggiore qualità e con migliori strategie commerciali, contribuì al declino della musica strumentale italiana come modello per l’Europa. Questo periodo segnò quindi il passaggio dell’egemonia musicale dall’Italia ad altri centri europei emergenti. SINFONIA,SONATA,CONCERTO SOLISTICO Tra il 1680 e il 1710, i termini utilizzati per indicare i brani strumentali erano ancora intercambiabili, riflettendo la varietà di destinazioni e strutture delle composizioni. Ad esempio, il termine sinfonia veniva impiegato con significati diversi: per indicare composizioni eseguite da molti strumenti, oppure brani introduttivi o interludi in contesti teatrali, oratori, cantate, accademie pubbliche o liturgie. Le sinfonie interne erano particolarmente diffuse negli oratori latini e italiani tra il 1670 e il 1690, ma poche sono giunte fino a noi, poiché spesso circolavano separatamente rispetto alle opere principali. Nel teatro musicale del Seicento, le sinfonie accompagnavano cambiamenti scenografici o momenti particolari, come scene di tempesta o liriche. Verso la fine del secolo, si diffuse la pratica delle sinfonie introduttive o avanti l’opera, brani articolati in due, tre o più movimenti, senza uno schema formale fisso. Giacomo Perti fu tra i primi a stabilire la successione in tre movimenti veloce-lento-veloce, un modello che sarebbe stato poi adottato stabilmente nel Settecento. Alessandro Scarlatti, nelle sue opere e oratori, contribuì a rendere familiare questo schema, pur sperimentando altre sequenze di movimenti. La costante ricerca di contrasti ritmici, sonori e stilistici caratterizzava queste composizioni, alternando scritture omofoniche e imitative. Dopo il 1720, i maestri napoletani ampliarono i movimenti delle sinfonie operistiche e svilupparono una struttura più elaborata, ponendo le basi per la sinfonia classica. Nei tempi lenti si affermò uno stile cantabile, mentre i finali adottarono spesso ritmi danzanti in tempo ternario. Questi brani si presentavano come pezzi autonomi, accessibili anche a orchestre dilettantesche, grazie alla semplicità tecnica e all’organico limitato. Tuttavia, il momento in cui la sinfonia si separò dal melodramma non è chiaramente identificabile, ma sembra essersi verificato gradualmente tra il 1720 e il 1730. Un’importante innovazione del periodo fu l’introduzione della tromba nell’orchestra, utilizzata per esprimere affetti eroici o sentimenti di collera e vendetta. Antonio Sartorio fu tra i primi a impiegare la tromba in una sinfonia operistica, lasciando un’impronta che influenzò il concerto solistico. A Bologna, nel tardo Seicento, fiorì un repertorio significativo per tromba e archi, grazie alla presenza di numerosi trombettisti nella Cappella di San Petronio. Maurizio Cazzati e Giuseppe Torelli furono figure centrali: quest’ultimo innovò il genere del concerto solistico, adottando lo schema in tre movimenti veloce-lento-veloce. Torelli introdusse il principio del ritornello, alternando sezioni orchestrali (tutti) e episodi solistici virtuosistici. A differenza del concerto grosso corelliano, caratterizzato da effetti omogenei, il concerto solistico di Torelli enfatizzava la netta separazione tra solo e tutti. Questa struttura è chiaramente visibile nei suoi ultimi lavori, come i Concerti Musicali Opera 6 e i Concerti Grossi Opera 8, dove per la prima volta compare l’indicazione esplicita di solo e tutti. Torelli gettò così le basi per il concerto solistico moderno, sviluppato poi da Albinoni e Vivaldi. Nell’avvertenza che introduce l’edizione delle sue opere, Giuseppe Torelli fornisce indicazioni specifiche sull’esecuzione dei suoi concerti. Egli stabilisce che i passi solistici devono essere eseguiti da un solo violino, mentre le parti orchestrali (tutti) devono essere rinforzate con più strumenti, fino a tre o quattro per parte. Queste istruzioni riflettono l’elasticità delle prassi esecutive del tempo, che prevedevano un ampliamento variabile dell’organico. Tale flessibilità contribuì a consolidare il modello del concerto solistico, destinato a contesti cameristici ma anche a esecuzioni più ampie. Nell’Opera 8, composta da dodici concerti grossi, emerge chiaramente il principio solistico nella distribuzione delle parti. Gli episodi affidati ai solisti richiedono un livello tecnico superiore rispetto ai ritornelli eseguiti dal tutti, con difficoltà pensate per mettere in risalto le abilità dei singoli virtuosi. Torelli sottolinea nella prefazione che i violini del concertino devono essere suonati senza raddoppiamenti, al fine di evitare confusione sonora, mentre gli strumenti di rinforzo possono essere moltiplicati per il tutti. Questo approccio ribadisce la netta distinzione tra solo e tutti e il carattere virtuosistico delle parti solistiche. Nei tempi vivaci dei concerti dell’Opera 8, i passaggi solistici culminano spesso in sezioni di grande virtuosismo, talvolta definite perfidie. Questi passi, particolarmente complessi, potevano essere preparati separatamente e inseriti durante l’esecuzione, simili alle cadenze moderne. Un esempio sono le tre perfidie di Torelli per due violini e basso, conservate nell’archivio di San Petronio, che testimoniano l’attenzione del compositore verso l’improvvisazione e il virtuosismo individuale. VIVALDI Antonio Vivaldi e il suo rapporto con l’Ospedale della Pietà Antonio Vivaldi (1678-1741) è stato una figura dominante della musica strumentale del primo Settecento. È noto per il contributo straordinario alla scrittura violinistica e alla tecnica strumentale dell’epoca, arricchita da effetti espressivi e innovativi che influenzarono profondamente il panorama musicale. In particolare, il suo ruolo presso l’Ospedale della Pietà di Venezia, un’istituzione religiosa e sociale, fu fondamentale per lo sviluppo della sua carriera e della sua produzione musicale. Il ruolo degli Ospedali e il contesto veneziano Gli ospedali veneziani (come la Pietà, i Mendicanti, gli Incurabili e lo “Ospedaletto”) erano istituzioni che univano l’assistenza ai poveri con l’educazione musicale, rivolta principalmente a ragazze orfane, indigenti o abbandonate. Queste strutture erano finanziate da fondi pubblici o lasciti privati, ma a differenza dei conservatori napoletani, le ospiti erano esclusivamente donne. Alla Pietà, le ragazze ricevevano una formazione musicale di alto livello, imparando il canto e l’uso di diversi strumenti, un’educazione che permetteva loro di esibirsi regolarmente nelle messe solenni o in concerti pubblici. Queste esibizioni erano eventi di grande rilievo sociale e culturale, attiravano il pubblico e compositori da tutta Europa, e contribuivano al sostegno economico degli istituti stessi, anche attraverso il pagamento di posti a sedere per ascoltare le esecuzioni. Secondo le cronache del tempo, la qualità delle esecuzioni dell’Ospedale della Pietà era eccezionalmente alta. Il lavoro di Vivaldi alla Pietà (1713-1740) Vivaldi iniziò a lavorare alla Pietà nel 1713 e vi rimase fino al 1740, seppure con interruzioni. Qui svolse due incarichi principali: 1. Insegnamento musicale delle allieve: Si occupava della loro formazione musicale, insegnando sia il canto sia l’esecuzione strumentale. 2. Produzione musicale regolare: Compose un vasto repertorio di musiche vocali e strumentali per essere eseguite durante le funzioni religiose e i concerti pubblici. Questo lavoro lo tenne costantemente impegnato nella creazione di nuovi brani per rispondere alle esigenze del repertorio dell’istituto. La produzione musicale di Vivaldi legata alla Pietà fu immensa: egli compose molte opere che divennero simbolo del suo stile, noto per vitalità ritmica, chiarezza melodica e un senso innovativo della semplicità formale. La diffusione delle opere di Vivaldi Vivaldi non si limitò al lavoro all’interno della Pietà: molte sue composizioni furono pubblicate e diffuse ampiamente in Europa, contribuendo alla sua fama internazionale. Molti manoscritti delle sue opere furono copiati da scrivani veneziani che lavoravano sotto la sua supervisione. Tuttavia, diverse sue opere giunsero anche all’estero, soprattutto grazie alla figura di Johann Georg Pisendel, un violinista tedesco che studiò con Vivaldi a Venezia tra il 1716 e il 1717. Pisendel, che serviva presso la corte di Dresda, portò con sé una grande quantità di manoscritti di Vivaldi, aiutando a diffonderne le opere nel repertorio musicale tedesco. Questo trasferimento culturale fece di Dresda un importante centro per la circolazione delle composizioni vivaldiane. Allo stesso tempo, molte opere di Vivaldi furono copiate e distribuite da altri musicisti e copisti d’oltralpe, contribuendo alla diffusione della sua musica anche nei centri di Amburgo, Darmstadt, Lipsia e Berlino. La produzione musicale vivaldiana arrivava in questi luoghi in forma manoscritta, e spesso i copisti locali si occupavano di replicarle. Il catalogo delle opere e il contributo di Peter Ryom Oggi, il lavoro di Vivaldi è documentato grazie a un catalogo sistematico elaborato dal musicologo danese Peter Ryom. Il “Ryom Verzeichnis” (RV), ovvero il catalogo tematico delle opere di Vivaldi, è la fonte più completa per identificare e classificare le sue composizioni. Questo catalogo ha superato i precedenti per precisione e completezza ed è diventato uno standard nella ricerca musicologica. Le composizioni vivaldiane sono numerate progressivamente (dall’1 al 780), facilitando lo studio della loro cronologia e del contesto di pubblicazione. La produzione musicale di Vivaldi La produzione musicale di Vivaldi è immensa e testimonia la sua instancabile creatività. Egli scrisse almeno: 478 concerti, di cui 329 per strumento solista (220 per violino solista). 90 concerti per due o più strumenti. 14 sinfonie, per un totale di 582 composizioni strumentali. Un aspetto interessante della produzione di Vivaldi è la sua capacità di scrivere in tempi molto rapidi. Secondo un resoconto del 1739, il viaggiatore francese Charles de Brosses raccontò che Vivaldi poteva comporre un concerto, trascriverlo interamente e farlo copiare in una sola giornata. Le raccolte più famose e la loro pubblicazione Tra le raccolte più note di Vivaldi spiccano: 1. “L’Estro Armonico” (1711): una raccolta di 12 concerti che riscosse grande successo e fu pubblicata ad Amsterdam. 2. “La Stravaganza” (1716): altra raccolta di 12 concerti, esempio del virtuosismo strumentale tipico di Vivaldi. 3. “Il Cimento dell’Armonia e dell’Invenzione” (1725): comprende le celebri “Quattro Stagioni”, una delle opere più conosciute nella storia della musica. Le sue raccolte furono pubblicate tra il 1711 e il 1729 principalmente ad Amsterdam, grazie all’editore Roger, un fatto che contribuì alla loro rapida diffusione in Europa. La celebrità dell’Opera 3 di Vivaldi e gli adattamenti di Bach L’Opera 3 di Antonio Vivaldi, intitolata L’estro armonico, conobbe una grande notorietà già nel XVIII secolo e successivamente nel Novecento, in particolare grazie agli adattamenti per tastiera di sei concerti realizzati da Johann Sebastian Bach. Bach trascrisse queste composizioni per strumenti come il clavicembalo, l’organo e, nel caso del Concerto in La minore per due violini (RV 522), per quattro clavicembali. Questi adattamenti testimoniano l’ammirazione che Bach nutriva per Vivaldi e rappresentano uno dei principali veicoli di diffusione della sua opera nell’Europa centrale. Vivaldi dedicò questa raccolta al principe Ferdinando III de’ Medici, un grande appassionato di musica. Ferdinando, che proteggeva e incoraggiava artisti come Alessandro e Domenico Scarlatti, Händel e Bartolomeo Cristofori (inventore del pianoforte), dimostrò di apprezzare il talento di Vivaldi, rafforzandone il prestigio nel panorama musicale europeo. Struttura e caratteristiche dell’Opera 3 L’estro armonico è una raccolta composta da dodici concerti per archi e basso continuo, caratterizzata da una struttura simmetrica e ben studiata: 4 concerti per quattro violini solisti. 4 concerti per due violini solisti. 4 concerti per un violino solista. Nei concerti per quattro violini solisti si percepisce un’influenza del concerto grosso corelliano, basato sul contrasto tra il gruppo concertante (i solisti) e il tutti orchestrale. Tuttavia, i concerti per uno o due violini rivelano un approccio innovativo e una spiccata ricerca timbrica e formale, che preannuncia la maturità stilistica di Vivaldi. Questa raccolta rappresenta uno degli esempi più significativi dell’evoluzione del concerto solistico veneziano. Vivaldi esplora qui sia la tradizione del concerto grosso sia le possibilità espressive di un solista o di piccoli gruppi strumentali, raggiungendo un equilibrio tra sperimentazione e struttura. L’Opera 8 e il successo delle composizioni programmatiche Anche l’Opera 8, Il cimento dell’armonia e dell’inventione, riscosse grande successo nel XVIII secolo, in parte grazie ai titoli descrittivi di alcune composizioni della raccolta, attribuiti da Vivaldi o dal suo editore per favorirne la diffusione. Tra questi titoli spiccano: Le quattro stagioni (quattro concerti programmatici). La tempesta di mare. Il piacere. La caccia. L’uso degli elementi programmatici L’inserimento di elementi descrittivi o programmatici nella musica di Vivaldi riflette una tendenza già presente nella tradizione veneziana, sia nel repertorio strumentale che in quello operistico. Per esempio: 1. Le tempeste musicali, rappresentazioni di fenomeni naturali che il pubblico del Settecento apprezzava moltissimo, erano comuni nei melodrammi italiani. Questa tradizione è visibile ancora nel Barbiere di Siviglia di Rossini. 2. Il sonno, spesso rappresentato nella musica seicentesca. 3. L’imitazione del canto degli uccelli, un elemento presente in varie tradizioni musicali europee. Nei concerti di Vivaldi, questi elementi programmatici vengono integrati in strutture musicali autonome, dotate di una logica interna rigorosa. Nonostante la presenza di riferimenti extramusicali, la musica mantiene sempre la sua indipendenza espressiva. Le quattro stagioni: musica e sonetti I quattro concerti de Le quattro stagioni sono accompagnati da altrettanti sonetti, attribuiti forse allo stesso Vivaldi. Questi sonetti non solo rafforzano il carattere descrittivo della musica, ma forniscono anche una guida per il pubblico, indicando i momenti musicali in cui si trovano le corrispondenze con il testo poetico. Ad esempio, nella Primavera: Il primo movimento (Allegro) evoca l’arrivo della primavera con canti di uccelli e ruscelli che scorrono. Il secondo movimento (Largo) descrive un pastore che dorme mentre il cane abbaia in lontananza. Il terzo movimento (Allegro) rappresenta una danza festosa sotto un cielo limpido. Questa stretta relazione tra testo e musica si ritrova anche negli altri concerti del ciclo: 1. L’Estate, con il canto di uccelli come il cuculo, la tortora e il cardellino, descrive l’afa opprimente e l’arrivo di una tempesta improvvisa. 2. L’Inverno, attraverso l’uso di trilli e ritmi veloci, evoca il freddo pungente, il vento gelido e la tranquillità di un caminetto acceso. Questi esempi dimostrano come Vivaldi riesca a trasformare immagini e sensazioni in musica, sfruttando elementi stilistici che rafforzano il contrasto tra i movimenti, rendendo ogni concerto una rappresentazione quasi pittorica di una stagione. Giuseppe Tartini: Vita, carriera e contributi fondamentali alla musica Giuseppe Tartini nacque nel 1692 a Pirano, nell’Istria (oggi Slovenia). È considerato una delle figure più influenti nella storia della musica per il suo contributo alla tecnica violinistica, alla teoria musicale e all’evoluzione del linguaggio strumentale. Oltre ad essere un violinista e compositore di straordinaria abilità, Tartini fu anche un attento studioso dei fenomeni fisico-acustici che regolano il suono, anticipando molti concetti moderni in campo musicale. I primi anni e la formazione Tartini iniziò la sua carriera con studi all’Università di Padova, dove si dedicò inizialmente al diritto e alla teologia. Tuttavia, dopo alcune vicissitudini personali, si ritirò nel convento di San Francesco in Assisi, dove da autodidatta si avvicinò allo studio del violino. Qui sviluppò una passione per la musica che lo spinse a perfezionare le sue capacità strumentali e a guadagnarsi da vivere suonando nelle orchestre dei teatri d’opera nelle Marche. Lo studio del violino e l’incontro con Veracini Ritornato nel Veneto nel 1716, Tartini si dedicò con maggiore intensità allo studio del violino, concentrandosi in particolare sulla tecnica dell’arco. L’incontro con il virtuoso violinista Francesco Maria Veracini a Venezia fu un momento decisivo: ispirato dalla maestria di Veracini, Tartini approfondì la tecnica violinistica, elevandola a un nuovo livello di espressività. L’attività a Padova e la scuola delle nazioni Nel 1721, Tartini fu nominato primo violino e capo di concerto dell’orchestra della Basilica del Santo di Padova, una posizione prestigiosa che gli permise di consolidare la sua carriera musicale. Successivamente, trascorse tre anni a Praga, dove perfezionò ulteriormente la propria tecnica. Tornato definitivamente a Padova, Tartini vi rimase per il resto della sua vita, dedicandosi all’insegnamento. La sua scuola di violino a Padova divenne una delle più celebri dell’epoca, attirando studenti da tutta Europa. Grazie al gran numero di allievi provenienti da diversi Paesi, tra cui italiani, tedeschi, olandesi, prussiani e inglesi, la scuola di Tartini fu soprannominata “la scuola delle nazioni”. Gli insegnamenti del maestro non si limitavano alla tecnica violinistica, ma comprendevano anche lezioni di contrappunto e composizione, rendendo il suo metodo formativo estremamente completo. Tra i suoi allievi più celebri si distingue Pietro Nardini, che ebbe un’influenza importante sul giovane Wolfgang Amadeus Mozart. Il Trattato sugli abbellimenti e la cantabilità strumentale Uno degli aspetti distintivi della scuola violinistica di Tartini era l’attenzione alla cantabilità strumentale. Egli riteneva che il violino dovesse essere in grado di “cantare”, cioè di esprimere emozioni attraverso una linea melodica fluida e ricca di sfumature. Tartini attribuiva un ruolo fondamentale agli abbellimenti, che secondo lui non dovevano mai essere utilizzati in modo casuale, ma con un preciso scopo espressivo. Per istruire i suoi allievi sull’uso corretto degli abbellimenti, scrisse il “Trattato degli abbellimenti della musica”, pubblicato postumo a Parigi nel 1771. Questo trattato rappresenta la prima opera della storia della musica dedicata interamente alla pratica degli abbellimenti e si rivolgeva sia ai violinisti che ai cantanti. Nel trattato, Tartini suddivide gli abbellimenti in due sezioni: 1. Descrizione dei singoli abbellimenti: appoggiature, trilli, tremoli e mordenti, ordinati dal più semplice al più complesso. 2. Funzione degli abbellimenti: spiegazione del loro ruolo espressivo e di come integrarli nella melodia. Grazie a questo lavoro, gli abbellimenti diventarono parte integrante della melodia, non più un semplice ornamento, ma uno strumento espressivo che arricchiva il significato del brano. La scoperta del terzo suono e l’importanza dell’intonazione Un altro contributo fondamentale di Tartini fu la scoperta del terzo suono, un fenomeno fisico-acustico. Durante l’esecuzione simultanea di due note sul violino (bicordo), egli notò che si generava un terzo suono più grave, che definì il basso fondamentale della serie di armoniche superiori. Tartini sfruttò questa scoperta per sviluppare un metodo pratico per migliorare la precisione dell’intonazione. Nel suo Trattato di musica secondo la vera scienza dell’armonia, Tartini descrive l’importanza del terzo suono per il controllo dell’esatta intonazione, sottolineando come fosse utile per lui e per i suoi allievi. Questa idea influenzò anche Leopold Mozart, padre di Wolfgang Amadeus Mozart, che la integrò nel suo metodo per violino del 1756. La produzione musicale La musica di Tartini si concentra principalmente su due generi: 1. Concerti per violino e orchestra. 2. Sonate per violino e basso continuo (o senza basso continuo). Molte delle sue opere sono rimaste manoscritte, mentre solo una parte venne pubblicata ad Amsterdam in raccolte di sei concerti. L’opera più famosa è la Sonata in Sol minore, nota come il Trillo del Diavolo. Secondo la leggenda, Tartini sognò il diavolo che eseguiva un trillo straordinariamente complesso e, al risveglio, cercò di riprodurlo. Il risultato fu una sonata di grande difficoltà tecnica, in cui il trillo si presenta due volte nel movimento finale, accompagnato da suoni ribattuti sulla corda inferiore. L’eredità teorica e l’influenza su altri musicisti Tartini non si limitò alla composizione e all’insegnamento, ma contribuì anche alla teoria musicale, collaborando con musicisti e teorici dell’epoca, come Francesco Antonio Vallotti. Le sue idee influenzarono molti compositori e violinisti, soprattutto in Germania, dove i suoi allievi si affermarono presso diverse corti europee. Il suo approccio metodico, la cura per la cantabilità e la perfezione tecnica, insieme alla scoperta del terzo suono, fecero di Tartini una figura centrale nella musica del XVIII secolo. Lo stile galante rappresentò una svolta significativa nella musica strumentale del XVIII secolo, segnando un momento in cui la semplicità e l’espressione diretta del sentimento vennero privilegiate rispetto alla complessità contrappuntistica e alla speculazione tecnica tipiche dello stile barocco. Questo stile trovò terreno fertile soprattutto nella musica destinata agli strumenti a tastiera, quali il clavicembalo e il clavicordo, strumenti ideali per la pratica musicale domestica e per l’intrattenimento privato. Di seguito esamineremo i principali tratti dello stile galante, il suo contesto storico e culturale, e alcuni dei suoi protagonisti più significativi. Contesto e caratteristiche dello stile galante Lo stile galante si sviluppò in parallelo con il crescente interesse per un’estetica musicale più moderna e accessibile, rivolta a un pubblico composto non solo da musicisti professionisti, ma anche da dilettanti e amatori della musica. Questo nuovo stile si contrapponeva allo “stile severo” del passato, tipico del barocco, caratterizzato da elaborazione tematica e complessi intrecci contrappuntistici. Le principali caratteristiche dello stile galante possono essere così riassunte: 1. Semplicità della scrittura musicale: Il tessuto musicale si basava su un netto dualismo tra una linea melodica principale (affidata solitamente alla mano destra) e un accompagnamento armonico (eseguito dalla mano sinistra). La melodia assumeva un ruolo dominante, relegando l’armonia a un ruolo subordinato, spesso limitato alla semplice polarità tonica-dominante. 2. Melodie cantabili e simmetriche: Le melodie erano strutturate secondo il principio della simmetria, con frasi di uguale lunghezza, distinte e ben articolate. Si utilizzava frequentemente lo schema “proposta-risposta” (antecedente-conseguente). I movimenti lenti venivano arricchiti da abbellimenti quali appoggiature, trilli, mordenti e gruppetti, che contribuivano a una maggiore espressività. 3. Ritmi uniformi e semplici: Il ritmo si ispirava spesso alla danza, con schemi regolari e facilmente riconoscibili. Questi ritmi conferivano alle composizioni una piacevolezza immediata, in linea con il gusto del pubblico dell’epoca. 4. Riduzione dell’elaborazione armonica: L’armonia era ridotta alla sua essenza, con modulazioni limitate a tonalità vicine e funzioni armoniche semplificate. 5. Uso del basso albertino: Una tecnica caratteristica dello stile galante era il basso albertino, una formula di accompagnamento basata su accordi spezzati o arpeggiati. Questo tipo di accompagnamento prende il nome dal veneziano Domenico Alberti, che lo utilizzò frequentemente nelle sue composizioni. Contesto sociale e culturale Lo stile galante rifletteva il cambiamento dei gusti estetici e sociali dell’epoca, passando da una musica concepita per i contesti liturgici o pubblici a una musica più intima, pensata per l’intrattenimento privato. Questo nuovo stile era particolarmente apprezzato dalla nobiltà e dai dilettanti colti, che ricercavano una musica elegante, piacevole e di facile esecuzione. La diffusione dello stile galante fu legata anche al pubblico che frequentava i teatri d’opera. Molti tratti dello stile galante derivano infatti dal linguaggio operistico dell’epoca, come la cantabilità delle melodie, la semplicità delle strutture formali e l’uso di abbellimenti. I principali centri dello stile galante in Italia Due città italiane ebbero un ruolo di primo piano nello sviluppo della letteratura tastieristica in stile galante: Venezia e Napoli. Venezia: Baldassare Galuppi Uno dei principali rappresentanti dello stile galante a Venezia fu Baldassare Galuppi, noto sia come compositore di opere buffe che di musica strumentale. Galuppi contribuì in modo significativo alla diffusione di questo stile, grazie alla chiarezza delle sue strutture formali e alla cantabilità delle sue melodie. Napoli: Domenico Alberti e Giovanni Marco Rutini Domenico Alberti, oltre a essere il creatore del basso albertino, lasciò una serie di composizioni per tastiera che incarnano perfettamente i principi dello stile galante. Le sue raccolte di sonate per clavicembalo, spesso articolate in due movimenti (un tempo veloce seguito da un movimento lento o di danza), furono molto apprezzate in tutta Europa. Giovanni Marco Rutini, formatosi a Napoli, portò lo stile galante anche in altre città europee, come Praga e San Pietroburgo. Le sue raccolte di sonate furono pubblicate in Germania e influenzarono lo stile giovanile di Mozart. La struttura delle sonate galanti Le sonate per tastiera in stile galante erano caratterizzate da un’articolazione semplice e chiara, generalmente composta da due movimenti: 1. Primo movimento: Di solito in tempo veloce e in ritmo binario. Basato su una struttura melodica regolare e simmetrica. 2. Secondo movimento: Un tempo più moderato, spesso con caratteristiche di danza (minuetto o giga). Spesso decorato con abbellimenti per esaltarne la cantabilità. Influenza dello stile galante Lo stile galante non si limitò alla musica per tastiera, ma influenzò profondamente anche altri generi musicali, tra cui la musica da camera e persino alcune forme orchestrali. Inoltre, la sua diffusione preparò il terreno per lo sviluppo dello stile classico, che si affermò nella seconda metà del Settecento con compositori come Haydn e Mozart. In particolare, Wolfgang Amadeus Mozart conobbe e assimilò molte delle caratteristiche dello stile galante attraverso la musica italiana, tra cui quella di Domenico Alberti, Galuppi e Rutini. La chiarezza formale, la cantabilità delle melodie e l’eleganza espressiva tipiche dello stile galante rappresentarono una base fondamentale per lo sviluppo del linguaggio musicale classico. In conclusione, lo stile galante rappresentò una svolta importante nella storia della musica strumentale, aprendo la strada a un’estetica musicale più accessibile e intima. Attraverso l’uso di melodie semplici e cantabili, armonie essenziali e ritmi regolari, lo stile galante rifletteva il gusto e le esigenze di un pubblico nuovo, dando vita a una produzione musicale che ancora oggi testimonia il passaggio dal barocco al classicismo. Domenico Scarlatti e le sue sonate per clavicembalo Domenico Scarlatti (1685–1757) è considerato il principale compositore italiano per tastiera del XVIII secolo e uno dei più grandi innovatori della scrittura cembalistica. Con le sue 555 sonate per clavicembalo, Scarlatti ha lasciato un corpus di opere straordinariamente ricco e vario, capace di unire tradizione e innovazione, tecnica virtuosistica ed espressività. Il contesto biografico Domenico Scarlatti nacque a Napoli, figlio del celebre compositore Alessandro Scarlatti, e ricevette una formazione musicale di alto livello, mostrando fin da giovane straordinarie doti di tastierista. Dopo aver intrapreso una carriera inizialmente operistica, si trasferì nel 1719 a Lisbona, dove lavorò come maestro di cappella alla corte del re Giovanni V del Portogallo e come insegnante di musica della principessa Maria Barbara. Quando Maria Barbara sposò il futuro re Ferdinando VI di Spagna, Scarlatti la seguì alla corte spagnola, stabilendosi a Siviglia e poi a Madrid, dove trascorse il resto della sua vita. La permanenza nella penisola iberica ebbe un profondo impatto sulla musica di Scarlatti: i ritmi e le melodie popolari spagnole e portoghesi influenzarono sensibilmente il suo stile, conferendo alle sue sonate una freschezza e un carattere unico. Le sonate per clavicembalo Le sonate di Domenico Scarlatti rappresentano un unicum nella storia della musica tastieristica del Settecento. Si tratta di composizioni quasi sempre in un solo movimento, che seguono una struttura bipartita. Tuttavia, la loro varietà tematica, armonica e ritmica le rende estremamente innovative e ricche di spunti creativi. Struttura bipartita La forma bipartita delle sonate di Scarlatti si caratterizza per: 1. Prima sezione (A): Si sviluppa nella tonalità principale, modulando solitamente alla dominante o al relativo maggiore/minore. 2. Seconda sezione (B): Ritorna alla tonalità iniziale dopo un giro modulante. Il rapporto tonale tra le due sezioni è chiaro e simmetrico, ma il trattamento del materiale tematico varia molto, riflettendo l’originalità di Scarlatti. Monotematicità e varietà Nonostante la loro apparente semplicità formale, le sonate di Scarlatti non seguono schemi rigidi: Alcune sono monotematiche, come la Sonata K.67, in cui il tema viene trasformato e variato con grande libertà. Altre, invece, presentano una molteplicità di motivi che si intrecciano e si sovrappongono, dando vita a uno sviluppo musicale ricco di sorprese. Caratteristiche stilistiche Le sonate di Scarlatti sono celebri per una serie di caratteristiche uniche, che le distinguono dal repertorio coevo: 1. Innovazione timbrica e tecnica cembalistica: L’uso delle ottave, dei registri estremi della tastiera e delle note ribattute crea effetti sorprendenti, quasi orchestrali. Alcune sonate evocano suoni popolari spagnoli, come le chitarre (grazie a figurazioni arpeggiate) o il ritmo della danza popolare, come nella famosa Iota aragonese. 2. Scrittura imitativa e omofonica: Sebbene talvolta adotti una scrittura contrappuntistica, Scarlatti preferisce spesso uno stile omofonico, più immediato e cantabile. In alcuni casi, si serve di uno stile fughistico (ad esempio, nella Sonata K.93), ma con un approccio sempre personale. 3. Sensibilità ritmica: I ritmi serrati e incisivi, spesso ispirati alle danze popolari, caratterizzano molte sonate. Tra i ritmi più utilizzati ci sono il compás spagnolo e il carattere vivace della fandango. 4. Ricchezza armonica: Le sonate di Scarlatti mostrano una grande inventiva armonica, con frequenti modulazioni inattese, successioni accordali irregolari e l’uso di procedimenti enarmonici che ampliano il vocabolario armonico dell’epoca. 5. Influenza popolare: Scarlatti fu uno dei primi compositori a incorporare elementi della musica popolare spagnola e portoghese nelle sue opere per tastiera, rendendo le sue sonate un esempio precoce di folk music colta. Le edizioni e la trasmissione delle sonate La maggior parte delle sonate di Scarlatti è giunta a noi grazie a due grandi raccolte manoscritte, ognuna composta da 15 volumi, compilate in Spagna probabilmente sotto la supervisione dello stesso compositore. Tuttavia, solo poche sonate furono pubblicate durante la sua vita. Gli “Esercizi per Gravicembalo” (1738–1739): L’unica raccolta a stampa autorizzata da Scarlatti contiene 30 sonate, pubblicate a Londra. Nella prefazione, il compositore sottolinea l’intento pedagogico di queste opere, considerate “esercizi” per migliorare la tecnica dei tastieristi. Numerazione delle sonate: Le sonate sono catalogate principalmente secondo due sistemi: K (Kirkpatrick): Ralph Kirkpatrick ha numerato le sonate secondo criteri cronologici e stilistici. L (Longo): Alessandro Longo ha adottato un ordine differente, non sempre fedele alla cronologia. Esempi celebri e particolari Alcune sonate di Scarlatti sono particolarmente famose per il loro carattere unico: Sonata K.87 (“Del Gatto”): Il tema, bizzarro e capriccioso, ricorda il miagolio di un gatto, e riflette la vena ironica di Scarlatti. Sonata K.119: Celebre per le sue ardite modulazioni e la scrittura virtuosistica. Sonata K.427: Evoca il ritmo della danza spagnola, con un linguaggio armonico innovativo. L’eredità musicale Le sonate di Domenico Scarlatti esercitarono una grande influenza sui compositori successivi, tra cui Mozart e Haydn, che ammirarono la sua inventiva tematica e il suo approccio libero alla forma. Sebbene non sia corretto considerare Scarlatti un precursore diretto dello stile classico, il suo contributo alla musica tastieristica rimane fondamentale per la transizione dal barocco al classicismo. La sintesi tra tradizione e innovazione presente nelle sue sonate continua a ispirare interpreti e musicologi, rendendo Scarlatti una figura centrale nella storia della musica occidentale. Lo stile Empfindsamer e Carl Philipp Emanuel Bach Lo stile Empfindsamer (o “stile sentimentale”) si sviluppò principalmente nella Germania settentrionale e a Berlino a partire dal 1740. Questo stile, legato alla sensibilità e all’espressione delle emozioni più intime, si affermò come una delle correnti più innovative del Settecento musicale, influenzando non solo il repertorio cembalistico ma anche altri generi strumentali. Si trattava di una reazione al formalismo dello stile galante, arricchita da tratti più intensi ed emotivamente coinvolgenti. Caratteristiche dello stile Empfindsamer Il termine Empfindsamkeit (sensibilità) è legato a un’estetica che valorizza la spontaneità del sentimento, spesso oscillante tra stati d’animo contrastanti, come malinconia e gioia. Questa corrente trova ispirazione nella letteratura del tempo, in particolare nei romanzi di Samuel Richardson e nei drammi tedeschi, che enfatizzano il sentimento e l’interiorità. Le caratteristiche principali dello stile Empfindsamer sono: 1. Tensione emotiva e delicatezza intima: Predilezione per il commovente e il sublime, a scapito del piacevole e del grazioso tipico dello stile galante. Esaltazione di stati d’animo mutevoli, con sbalzi emotivi repentini. 2. Melodia frammentata e discorsiva: Linee melodiche spezzate, con brusche interruzioni e scarti improvvisi. Pratica del rubato, che dona un senso di libertà ritmica e imprevedibilità. 3. Ricerca timbrica ed effetti dinamici: Contrasti dinamici estremi, con rapidi passaggi dal fortissimo al pianissimo. Accompagnamenti più vivi rispetto alla semplicità dello stile galante. 4. Armonie innovative: Improvvise modulazioni tra tonalità maggiori e minori. Uso di cadenze inaspettate e scelta di tonalità eccentriche. 5. Esplorazione ritmica e strutturale: Ritmi irregolari e frequenti cambiamenti d’umore. Evitamento delle simmetrie tipiche delle frasi melodiche galanti. Carl Philipp Emanuel Bach e lo stile Empfindsamer Il principale esponente dello stile Empfindsamer fu Carl Philipp Emanuel Bach (1714–1788), uno dei figli di Johann Sebastian Bach. La sua lunga attività come cembalista di corte a Berlino, sotto il regno di Federico II di Prussia, lo pose al centro della scena musicale dell’epoca. Produzione musicale Carl Philipp Emanuel Bach compose circa 340 opere per strumenti a tastiera, tra cui clavicembalo, clavicordo e fortepiano. Le sue composizioni mostrano un forte interesse per l’espressione emotiva, specialmente nei movimenti lenti, che spesso assumono il carattere di ariosi operistici interrotti da passaggi recitativi. Tra le raccolte più importanti troviamo: Sei Sonate Prussiane (1742), dedicate a Federico II di Prussia. Sei Sonate Württembergiche (1744), dedicate al Duca Carlo Eugenio del Württemberg. Sei Sonate per fortepiano e clavicembalo. Influenza sul repertorio tastieristico C.P.E. Bach fu un innovatore che anticipò molti aspetti del classicismo: Lo schema tripartito delle sue sonate (veloce-lento-veloce) influenzò Haydn e Mozart. La sua attenzione per la varietà timbrica e dinamica aprì la strada al pianoforte come strumento espressivo. Le sue opere furono studiate attentamente da Haydn, che possedeva una copia del “Versuch über die wahre Art das Clavier zu spielen” (Trattato sulla vera maniera di suonare gli strumenti a tastiera), il manuale di riferimento per l’esecuzione degli strumenti a tastiera nel Settecento. L’Andante della Prima Sonata Prussiana Tra le opere più rappresentative di C.P.E. Bach troviamo l’Andante della Prima Sonata Prussiana. Questo movimento racchiude molte delle caratteristiche dello stile Empfindsamer: Struttura ariosa e operistica: La melodia ha il carattere di un recitativo lirico, con pause e interruzioni che creano un dialogo intimo. Contrasti dinamici e armonici: La musica è segnata da frequenti modulazioni e un uso espressivo della dinamica. Tensione emotiva: La malinconia e l’inquietudine pervadono l’intero movimento, alternando momenti di lirismo a passaggi drammatici. Conclusioni Lo stile Empfindsamer rappresenta una tappa fondamentale nella storia della musica, segnando il passaggio dal barocco al classicismo. Carl Philipp Emanuel Bach, con la sua musica audace e innovativa, divenne il simbolo di questo movimento, influenzando profondamente i compositori della generazione successiva e affermando il ruolo dell’espressione personale nella musica strumentale. CAPITOLO 21. BACH La Fuga e le Opere per Tastiera di Johann Sebastian Bach Introduzione alla Fuga: Origini e Significato La fuga è una delle forme più elaborate della musica occidentale ed è strettamente legata all’evoluzione del contrappunto. La parola “fuga” deriva dal latino fuga, che significa “fuga” o “scappare”, e fa riferimento all’idea di una melodia che “insegue” se stessa attraverso diverse voci. Questo termine sottolinea il principio fondamentale della fuga: un tema (detto soggetto) viene esposto in una voce e poi imitato da altre voci che lo ripetono, lo trasformano e lo combinano tra loro in un intreccio musicale sofisticato. La fuga si sviluppa soprattutto nel periodo barocco (1600-1750), ma le sue radici risalgono al Rinascimento e ai primi esperimenti polifonici medievali. Durante il Barocco, il contrappunto raggiunge il suo massimo sviluppo, e la fuga diventa una forma di grande prestigio, utilizzata nei contesti sacri e profani. Johann Sebastian Bach porta questa forma a livelli di perfezione mai raggiunti prima, facendola diventare un pilastro della musica per tastiera e dell’arte compositiva in generale. La Struttura della Fuga: Elementi Fondamentali Una fuga segue uno schema preciso, sebbene vi siano numerose varianti. I principali elementi strutturali sono: 1. Il Soggetto Il soggetto è la melodia principale su cui si basa l’intera fuga. Deve avere alcune caratteristiche fondamentali: Chiarezza melodica, affinché possa essere riconosciuto facilmente ogni volta che riappare. Struttura ritmica ben definita, spesso con un profilo distintivo che ne facilita il riconoscimento. Flessibilità contrappuntistica, cioè deve poter essere combinato con se stesso in diverse varianti, come inversione, aumentazione, diminuzione, ecc. Ad esempio, un soggetto potrebbe essere costituito da poche note con un ritmo incisivo, oppure da una linea melodica più ampia e cantabile. Bach sceglie soggetti che possano essere facilmente sviluppati e trasformati senza perdere la loro identità. 2. La Risposta Dopo che la prima voce ha esposto il soggetto, entra una seconda voce che esegue la risposta. La risposta è una ripetizione del soggetto, ma può presentarsi in due forme: Risposta reale: il soggetto è ripetuto esattamente identico, ma trasportato alla quinta superiore o alla quarta inferiore. Risposta tonale: il soggetto è leggermente modificato per adattarsi meglio all’armonia generale della fuga. L’alternanza tra soggetto e risposta crea il primo senso di dialogo e imitazione tipico della fuga. 3. Il Controsoggetto Spesso, mentre la seconda voce introduce la risposta, la prima voce continua con una nuova linea melodica detta controsoggetto. Questo elemento accompagna il soggetto nelle successive esposizioni, creando un ulteriore livello di complessità contrappuntistica. Il controsoggetto è particolarmente importante perché aggiunge varietà e ricchezza al discorso musicale. Bach utilizza spesso controsoggetti che possano combinarsi perfettamente con il soggetto in tutte le sue trasformazioni. 4. L’Esposizione L’esposizione è la prima sezione della fuga e serve a presentare tutti gli elementi principali. Seguendo questo schema: La prima voce introduce il soggetto. La seconda voce entra con la risposta, mentre la prima continua con il controsoggetto o un altro accompagnamento. La terza voce (se presente) entra con il soggetto, seguita dalla quarta, fino a completare il ciclo di presentazione. Al termine dell’esposizione, tutte le voci hanno eseguito il soggetto almeno una volta e la fuga si avvia verso la sezione successiva. 5. Gli Episodi e lo Sviluppo Dopo l’esposizione, la fuga entra in una fase più libera, caratterizzata dagli episodi. Gli episodi servono a: Creare varietà allontanandosi momentaneamente dal soggetto. Sviluppare il materiale tematico attraverso modulazioni, inversioni e altre tecniche. Costruire una tensione che porterà alla ripresa del soggetto in nuove tonalità. Le principali tecniche usate in questa fase sono: Modulazione: il soggetto e il controsoggetto vengono trasposti in tonalità diverse. Inversione: il soggetto viene ribaltato, cioè se originariamente saliva di una terza, ora scende di una terza. Retrogradazione: il soggetto viene suonato al contrario, partendo dall’ultima nota fino alla prima. Diminuzione e aumentazione: il ritmo del soggetto viene accelerato o rallentato. Questi procedimenti danno dinamicità alla fuga e permettono di sviluppare il materiale in modo creativo e imprevedibile. 6. Gli Stretti e la Conclusione Verso la fine della fuga, il soggetto ritorna in modo più serrato, attraverso gli stretti. In uno stretto, le voci entrano a distanza ravvicinata, sovrapponendosi sempre di più. Questo crea un senso di climax e intensificazione musicale. Infine, la fuga si conclude con un pedale sulla tonica, cioè una nota lunga e sostenuta nel basso che rafforza la sensazione di chiusura. La Fuga come Manifestazione del Pensiero Barocco La fuga non è solo una forma musicale, ma una rappresentazione perfetta della mentalità barocca. Nel Seicento e Settecento, l’arte, la filosofia, la scienza e la religione erano attraversate da un forte senso di ordine, contrasto e complessità. Il mondo barocco era un mondo in cui il dinamismo, l’eccesso decorativo e il concetto di infinito convivevano con regole geometriche e razionali. La fuga, con la sua costruzione rigorosa ma ricca di tensioni, incarna perfettamente questa visione. Per comprendere meglio questo legame, analizziamo tre aspetti fondamentali: 1. L’idea dell’ordine e della struttura 2. La dialettica del contrasto e della contrapposizione 3. L’espressione dell’infinito e della trascendenza L’Ordine e la Struttura: Razionalità e Matematica nella Musica Barocca Il Barocco è un’epoca in cui si sviluppano nuove teorie scientifiche e matematiche. Pensatori come Galileo Galilei, Cartesio, Newton e Leibniz cercano di spiegare il mondo attraverso leggi precise, credendo che la realtà sia regolata da un ordine profondo e matematico. Questa mentalità si riflette anche nella musica, che viene concepita come un’arte basata su proporzioni numeriche e rapporti armonici. La fuga incarna questa concezione perché segue regole ferree: Il soggetto si ripete secondo schemi precisi. Le voci devono incastrarsi perfettamente, rispettando equilibri matematici. L’intero sviluppo è regolato da principi geometrici di simmetria e proporzione. Johann Sebastian Bach era profondamente influenzato da questa visione razionale della musica. Le sue fughe sono costruite con un rigore matematico impressionante, quasi come fossero dimostrazioni geometriche. Per esempio, in molte sue fughe troviamo: Canoni perfetti, in cui le voci si imitano in modo speculare. Strutture simmetriche, con l’inversione del soggetto nella seconda parte. Sviluppi proporzionati, basati su sezioni di lunghezza bilanciata. L’idea barocca della musica come scienza dell’armonia cosmica trova quindi nella fuga la sua massima espressione. Essa non è un semplice brano musicale, ma una costruzione logica e razionale, quasi come un esperimento scientifico. 2. Contrapposizione e Dialettica: Il Concetto Barocco di Tensione e Dramma Uno degli elementi chiave dell’estetica barocca è il contrasto. Il Seicento è un secolo di grandi conflitti, sia politici che religiosi: la Riforma Protestante e la Controriforma, la Guerra dei Trent’Anni, le scoperte scientifiche che mettono in discussione le credenze tradizionali. Questo clima di tensione si riflette nell’arte, che cerca di rappresentare la lotta tra forze opposte: luce e ombra nella pittura, ordine e decorazione nell’architettura, tensione e rilassamento nella musica. La fuga incarna perfettamente questa dialettica, perché è basata sull’idea della contrapposizione tra soggetto e controsoggetto. Ogni fuga è una sorta di dibattito musicale, in cui: Il soggetto viene affermato e poi contraddetto dal controsoggetto. Le voci si alternano in un gioco continuo di domande e risposte. Si creano tensioni attraverso gli stretti e le modulazioni. Questa dinamica è tipicamente barocca: non c’è un’unica melodia predominante, ma più linee indipendenti che dialogano tra loro. La musica diventa quindi una rappresentazione del mondo, in cui diverse forze si scontrano e si influenzano a vicenda. Bach porta questo principio all’estremo, creando fughe in cui: Il soggetto viene trasformato, invertito, ribaltato, frammentato. Le voci si inseguono con entrate sempre più ravvicinate (stretti). Il discorso musicale sembra un dialogo filosofico tra idee contrastanti. Tutto questo riflette la visione barocca dell’universo come un campo di tensione tra opposti, dove la bellezza nasce dal conflitto tra ordine e movimento. 3. L’Espressione dell’Infinito: La Fuga come Metafora del Tempo e della Trascendenza Un altro tema centrale del Barocco è l’infinito. Gli artisti barocchi cercano di rappresentare l’idea di qualcosa che non ha fine, che si ripete all’infinito, come una spirale senza un vero punto di arrivo. Questa concezione si manifesta in architettura (con le prospettive illusionistiche), in pittura (con i cieli sconfinati dei quadri di Rubens o il senso di movimento nelle opere di Bernini) e nella musica. La fuga è una delle forme musicali che meglio esprimono questo concetto, perché dà l’impressione di un movimento perpetuo. Ciò avviene attraverso diversi meccanismi: Le continue imitazioni tra le voci creano un’idea di circolarità, come se la musica non finisse mai. Gli episodi modulanti danno una sensazione di viaggio, di un percorso che si allontana e poi ritorna. Gli stretti finali danno l’illusione di un’accelerazione verso l’infinito, come una spirale che si restringe sempre di più. Un esempio perfetto di questa idea è L’Arte della Fuga, una raccolta di fughe che esplorano tutte le possibilità contrappuntistiche su un unico tema. Quest’opera rimane incompiuta, quasi a suggerire che la fuga, e con essa l’arte, non abbia una fine definitiva, ma continui oltre la vita del compositore. Questo legame con l’infinito ha anche un significato spirituale. Per i barocchi, la musica era un m

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