Riassunti Psicologia Sviluppo PDF

Summary

Questo documento presenta un riassunto sulla psicologia dello sviluppo, esplorando le diverse teorie e prospettive sull'argomento. Vengono discusse le influenze della natura e della cultura, la continuità e la discontinuità dello sviluppo, ed i periodi critici o sensibili. Il documento descrive anche diverse teorie e concetti chiave come il microsistema.

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CAPITOLO 1 La psicologia dello sviluppo si propone di identificare e descrivere i cambiamenti che si verificano nel comportamento, nei processi cognitivi, emotivi e sociali dell’individuo nel corso della vita, al fine di comprendere come e perché avvengono....

CAPITOLO 1 La psicologia dello sviluppo si propone di identificare e descrivere i cambiamenti che si verificano nel comportamento, nei processi cognitivi, emotivi e sociali dell’individuo nel corso della vita, al fine di comprendere come e perché avvengono. Darwin Le prime osservazioni scientifiche sullo sviluppo infantile potrebbero essere state quelle di Charles Darwin, che studiò le capacità sensoriali dei neonati e le emozioni dei bambini. Prima di questo, i bambini erano visti come adulti in miniatura, e spesso lavoravano nei campi, nelle fabbriche o nelle miniere. Solo nel tardo XIX secolo furono introdotte leggi contro il lavoro minorile. Nel 1877, Darwin cambiò questa prospettiva, descrivendo lo sviluppo emotivo del figlio Dobby e applicando metodi sistematici, influenzando così lo studio dell'infanzia come una fase separata dall'età adulta. Grazie a tali metodi le speculazioni filosofiche e aneddotiche di teorici come Locke e Rousseau furono sostituite da osservazioni reali condotte su bambini. Rousseau Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), con la sua teoria naturale dello sviluppo umano, sosteneva che i bambini siano per natura "buoni" e che non necessitino di una guida morale particolare o di imposizioni per uno sviluppo normale. Secondo Rousseau, i bambini crescono seguendo il "disegno della natura". Secondo questa visione, le caratteristiche innate dei bambini sono sufficienti per guidarli verso uno sviluppo sano e equilibrato. Pertanto, l’educazione e le esperienze esterne dovrebbero essere meno interventistiche e più in armonia con il loro sviluppo naturale. Locke John Locke (1632-1704) sosteneva che il bambino nascesse come una tabula rasa, privo di caratteristiche innate, e che ogni sua qualità fosse successivamente modellata dall'esperienza. Secondo questa visione, il neonato non possedeva strutture psicologiche predefinite ed era altamente influenzabile dall'ambiente. Locke, con la sua prospettiva ambientalista, negava l'importanza dei fattori innati e sottolineava l'importanza dell'apprendimento nell'acquisizione della conoscenza. I temi dello sviluppo Lo studio scientifico dello sviluppo umano si è basato su alcune domande chiave relative a temi specifici, spesso contrapposti, che hanno arricchito il dibattito alla base della disciplina. Natura e cultura La maggior parte dei teorici contemporanei riconosce che lo sviluppo umano è influenzato sia da fattori ereditari (innati) sia da caratteri ambientali (acquisiti). Il disaccordo riguarda quanto peso abbiano questi due fattori nello sviluppo. Gli studiosi dello sviluppo odierni hanno osservato il modo in cui sia i fattori biologici sia quelli ambientali, quindi sia i caratteri innati che quelli acquisiti, interagiscono tra loro per produrre variazioni nello sviluppo degli individui. Gli individui non sono contenitori passivi di informazioni, ma l'interazione tra geni e ambiente è un processo attivo e dinamico. Continuità e discontinuità Un altro dibattito affrontato dagli psicologi dello sviluppo riguarda il come descrivere l’andamento del cambiamento nel corso della crescita. Gli andamenti fondamentali al centro del dibattito sono 2: 1) Sviluppo continuo Alcuni psicologi descrivono la crescita come un processo continuo in cui ogni nuovo evento si sviluppa a partire dalle esperienze precedenti, secondo un accumulo armonioso e regolare di abilità, in cui i cambiamenti si sommano o si sviluppano a partire da abilità già acquisite, in maniera cumulativa o quantitativa, senza salti improvvisi tra un cambiamento e quello successivo 2) Sviluppo discontinuo Questa ipotesi propone una sequenza di cambiamenti improvvisi, simili a degli scalini, ognuno qualitativamente diverso da quelli precedenti. Gran parte degli studiosi dello sviluppo contemporanei adottano una terza teoria, che afferma che lo sviluppo è per lo più continuo, ma inframmezzato da transizioni che potrebbero sembrare brusche o inaspettate. Per esempio, il modello di Siegler delle “onde sovrapposte” suggerisce che a qualsiasi età i bambini usano una varietà di strategie per pensare e imparare. Il loro utilizzo diminuisce con l’aumentare degli anni e dell’esperienza, e quelle più efficaci finiscono per predominare solo dopo un processo graduale. Alcune ricerche hanno cercato di comprendere se le esperienze individuali aiutano o interrompono le continuità comportamentali, e come. Sebbene un’interruzione di questa continuità possa sembrare problematica, non è detto che lo sia in tutti i casi: per esempio, hanno trovato che i bambini cresciuti in istituti in condizioni di deprivazione - con mancanza di cure e inadeguata stimolazione a livello sociale, fisico ed emotivo – hanno vissuto un cambiamento positivo dopo essere stati adottati da famiglie accudenti. Critico o sensibile  Periodo critico Si parla di periodo critico in riferimento a un particolare momento dello sviluppo in cui l’individuo deve essere esposto a certe esperienze per acquisire determinate abilità. Queste esperienze sarebbero indispensabili ai fini di uno sviluppo tipico. Gli psicologi che si sono occupati dello studio dello sviluppo del linguaggio, in particolare, si sono chiesti se esista un periodo critico affinchè l’individuo impari a parlare. È difficile stabilire con precisione un'età che si possa definire "critica" e gli studi sono difficilmente replicabili. In un lavoro seminale del 1967 Lenneberg individuava il periodo critico nella fascia d’età compresa tra i 18 mesi e la pubertà. Le ricerche sull'apprendimento di una seconda lingua hanno mostrato che gli immigrati che arrivano negli Stati Uniti prima dei 7 anni tendono a parlare la lingua come i nativi, mentre quelli che arrivano dopo i 15 anni hanno più difficoltà, anche se vivono nel paese per molti anni. Questo suggerisce che l'età di arrivo influenzi la capacità di imparare una lingua, con un declino delle abilità linguistiche man mano che cresce l'età. Tuttavia, non vi è un'età precisa in cui questa fase di maggior apprendimento finisce. Locke ha supportato le idee di Lenneberg, aggiungendo studi su 1) bambini audiolesi (perdita dell’udito) 2) sugli effetti dei danni cerebrali a diverse età 3) sulle storie di bambini cresciuti in isolamento Ha suggerito che, dopo un danno al cervello, è più facile trasferire le funzioni linguistiche da un emisfero all'altro del cervello se si è giovani. Anche se questi studi mostrano che le capacità linguistiche diminuiscono con l'età, non ci sono prove certe di un'età critica specifica. Inoltre, gli esperimenti su bambini cresciuti in isolamento non permettono di capire se la difficoltà nell'apprendere la lingua dipenda solo dalla mancanza di stimoli linguistici o da altri fattori.  Periodo sensibile Altri studiosi preferiscono parlare di periodo sensibile, un momento durante il quale l’individuo ha maggiori probabilità di acquisire determinate abilità. Se queste esperienze sono tardive o assenti, lo sviluppo tipico può comunque avvenire. Che venga definito come periodo critico o sensibile, questa è una fase della vita in cui la plasticità del sistema nervoso centrale è più elevata, cioè il cervello ha una maggiore capacità di adattarsi e di modificare la sua struttura in risposta all’ambiente e alle esperienze vissute. In questo periodo, il cervello è particolarmente sensibile sia agli stimoli positivi, che favoriscono lo sviluppo (come l'arricchimento), sia a quelli negativi, che possono ostacolare lo sviluppo (come la deprivazione). La plasticità cerebrale consente lo sviluppo, ma anche la riparazione: se una parte del cervello subisce un danno, è più probabile che il cervello possa "ripararsi" o riorganizzarsi, spostando alcune funzioni da una zona danneggiata a una zona sana. Questo avviene perché il sistema nervoso è composto da complessi network neurali che controllano diverse funzioni, e funziona grazie alle connessioni tra le cellule nervose che formano circuiti e mappe neurali altamente specializzate. Queste connessioni sono influenzate sia dal patrimonio genetico che dall'interazione con l'ambiente e le esperienze. Subito dopo la nascita, i circuiti corticali del cervello sono particolarmente sensibili agli stimoli. Questa sensibilità è più alta nei primi anni di vita e diminuisce man mano che la persona cresce. Sviluppo dominio-generale o dominio-specifico  Dominio-generale Secondo alcuni studiosi, la misura in cui si sviluppa una nuova abilità o capacità ha un impatto sulla formazione di un'ampia serie di competenze (domini). Questo viene definito un influsso dominio-generale. Gli psicologi, però, sono divisi rispetto alla misura in cui lo sviluppo si possa considerare dominio-generale: Jean Piaget riteneva che quando i bambini sviluppano un nuovo tipo di pensiero logico, questo abbia un impatto su diverse altre abilità, come, per esempio, il pensiero che riguarda lo spazio, i numeri o la categorizzazione.  Dominio-specifico Per altri psicologi, lo sviluppo in un determinato dominio procede in maniera relativamente indipendente dallo sviluppo negli altri domini. Questo viene definito un influsso dominio-specífico. Le prospettive sullo sviluppo Gli psicologi dello sviluppo si sono concentrati in modo diverso su due aspetti: le caratteristiche dell'individuo e le influenze dell'ambiente o delle situazioni in cui si trova. Molti risolvono il problema adottando un punto di vista interazionista: secondo questa visione, comportamento e sviluppo sono il risultato di un’interazione continua tra individuo e contesto. Per esempio, i bambini con tratti aggressivi della personalità vanno spesso in cerca di contesti in cui possono sare queste caratteristiche. Se però si trovano in contesti che non stimolano il loro comportamento aggressivo, potrebbero avere meno probabilità di assumere atteggiamenti ostili e forse potrebbero anche mostrarsi amichevoli e cooperativi. Uno dei modi più comuni per studiare le caratteristiche individuali consiste nell’esaminare come reagiscono i bambini quando si trovano ad affrontare sfide o rischi per uno sviluppo sano. Ciascun bambino risponde ai rischi in maniera diversa: 4) molti sembrano subire danni permanenti allo sviluppo; 5) altri riportano «effetti dormienti»: all’inizio sembrano cavarsela bene, ma manifestano problemi più avanti, come in adolescenza o anche in età adulta; 6) altri ancora dimostrano resilienza e sono in grado di affrontare la sfida senza che il loro comportamento subisca particolari conseguenze. La prospettiva ecologica La prospettiva ecologica è un approccio che sottolinea l’importanza di comprendere non solo i rapporti tra gli organismi e i vari sistemi ambientali (famiglia e comunità), ma anche le relazioni tra i sistemi stessi. Urie Bronfenbrenner è il principale fautore della prospettiva ecologica. La prospettiva ecologica si basa sull'idea che lo sviluppo è composto dalle interazioni del bambino in crescita con un contesto ecologico in mutamento, in tutta la sua complessità. 1) Il microsistema è l’ambiente in cui il bambino vive e interagisce con le persone e le istituzioni a lui più vicini; 2) Il mesosistema include le relazioni reciproche tra i componenti del microsistema: ad esempio, i genitori che interagiscono con gli insegnanti e il sistema scolastico; 3) L’esosistema è composto dagli ambienti che hanno impatto sullo sviluppo del bambino, ma con cui in gran parte non esiste un contatto diretto: ad esempio, il lavoro di un genitore può influenzare la vita del bambino se richiede che viaggi spesso o ritorni a casa tardi la notte; 4) Il macrosistema rappresenta gli schemi ideologici e istituzionali di una particolare cultura o sottocultura. Questi 4 sistemi, infine, cambiano nel tempo in un processo che Brofenbrenner ha denominato cronosistema: con il passare del tempo sia il bambino sia l’ambiente che lo circonda sono sottoposti ai cambiamenti che possono originarsi sia dal singolo (come pubertà o malattie gravi) sia dal mondo esterno (come la nascita di un fratellino, un divorzio, una guerra). La prospettiva del ciclo di vita Sempre più ricercatori si sono resi conto che focalizzare l’attenzione sui primi anni dello sviluppo era limitativo, e avrebbe potuto tralasciare diversi aspetti che si verificano dopo l’infanzia e nel corso della vita adulta. La prospettiva del ciclo di vita è un’ipotesi sullo sviluppo come processo che continua nel corso dell’intero ciclo di vita, dal periodo neonatale alla terza età. Questa prospettiva include nei propri studi anche i fattori storici che potrebbero influenzare lo sviluppo psicologico. Questo fenomeno è generalmente noto come effetto coorte di età (age cohort effect) dove coorte d’età sta per un gruppo di individui nati nello stesso anno o in generale durante uno stesso periodo storico. Mentre la coorte si sviluppa, i suoi membri condividono le stesse esperienze storiche: per esempio, i bambini nati in certi anni possono aver vissuto la propria adolescenza e la prima età adulta in uno scenario di grande turbamento sociale. Queste esperienze in comune possono portare la coorte a sviluppare problemi specifici, come il disturbo da stress post- traumatico (PTSD) negli ex militari che hanno vissuto una guerra. Riepilogo: - Approccio innatista = Rousseau - Approccio ambientalista = Locke - Approccio interazionista = comportamento e sviluppo sono il risultato di un’interazione continua tra individuo e contesto; - Approccio ecologico = Bronfenbrenner - Prospettiva del ciclo di vita = prospettiva interazionista ed ecologica che considera il ruolo determinante del tempo storico CAPITOLO 3 I metodi di ricerca nella psicologia dello sviluppo Una differenza importante tra la ricerca in psicologia dello sviluppo e quella nelle altre branche della psicologia è che, fondamentalmente, lo studio dello sviluppo si propone di identificare la variazione di un fenomeno nel tempo. I ricercatori esaminano il comportamento, il pensiero o il linguaggio per poi inferire* come si sviluppano i processi psicologici. [Inferire= dedurre o trarre una conclusione basata su ciò che si sa, anche se la conclusione non è esplicitamente affermata. Esempio: se vedo una persona bagnata senza ombrello, posso inferire che abbia camminato sotto la pioggia] Per raccogliere dati rispetto allo sviluppo psicologico possono essere utilizzati diversi metodi. I dati raccolti possono essere di tipo: - Quantitativo: ossia legati a numeri e misurazioni - Qualitativo: che si concentrano più sulla comprensione delle esperienze individuali (ad esempio se si tratta di un fenomeno poco studiato, o addirittura nuovo) La psicologia dello sviluppo si avvale del metodo scientifico: l’uso di tecniche misurabili e replicabili quando si formulano ipotesi basate su una teoria, e si raccolgono e analizzano i dati nel tentativo di valutarne la verità o la falsità. Il principio di falsificazione (o di falsificabilità) è l’assunto di base del metodo scientifico secondo cui ogni convinzione può essere sbagliata e che sia necessario mettere alla prova tutte le condizioni in grado di falsificarla o negarla. Ci sono essenzialmente tre modi per raccogliere dati sui bambini 1) Valutazione diretta: chiedere ai bambini stessi 2) Valutazione indiretta: chiedere alle persone vicine ai bambini 3) Osservare direttamente il bambino La valutazione diretta Nell’ambito della valutazione diretta è possibile chiedere al bambino di compilare un questionario su aspetti del suo funzionamento (self report), di svolgere dei test psicologici o di misurare parametri fisiologici.  Self-report Con self-report si fa riferimento alle informazioni personali fornite dai soggetti stessi, tramite un’intervista diretta o un questionario. Con le interviste il ricercatore sottopone al soggetto una serie di domande stabilite in anticipo, seguendo uno schema fisso (interviste strutturate), oppure introduce un certo grado di flessibilità per esplorare più a fondo le risposte del soggetto (interviste semi-strutturate). Con i questionari il soggetto fornisce informazioni su di sé rispondendo a una serie di domande (item) in forma scritta. Nell’utilizzare questo metodo occorre considerare che i bambini, soprattutto quelli più piccoli, potrebbero essere in difficoltà nella comprensione delle domande.  Somministrazione di test (reattivi) psicologici Il soggetto svolge un compito o un’attività (task) che richiede l’uso della capacità oggetto di valutazione. Per esempio, per studiare la memoria a breve termine si propone ai bambini un’attività in cui gli si chiede di ricordare e poi ripetere ad alta voce una serie di informazioni che gli è appena stata comunicata. Un aspetto critico da considerare è che vi possono essere delle differenze tra il comportamento mostrato in fase di test e il comportamento osservabile nel contesto di vita.  Misurazione parametri fisiologici Tra gli indici fisiologici vi sono, per esempio, il battito cardiaco, la frequenza respiratoria, i movimenti oculari, l’attività cerebrale. Grazie alla psicofisiologia, la scienza che studia la relazione tra risposte fisiologiche e i processi psichici, la rilevazione degli indici fisiologici può essere utilizzata per acquisire maggiori informazioni sul funzionamento psicologico fin dalle primissime fasi di sviluppo. Un aspetto di criticità è rappresentato dal costo degli strumenti di rilevazione. L’osservazione L’osservazione è un metodo complesso che prevede che i ricercatori si rechino negli ambienti del mondo naturale o portino i partecipanti in un ambiente artificiale (il laboratorio) per osservarne i comportamenti. Una buona osservazione è scientifica, è un guardare in modo sistematico, quindi è: - Selettiva: perché condotta con un esplicito scopo. - Pianificata: poiché viene organizzata in modo da determinare in anticipo chi, quando, come e dove osservare, evitando che questi aspetti siano casuali. - Documentabile: fornisce il materiale necessario per il suo utilizzo. - Controllabile: passabile di verifica. Essa si può dividere in osservazione libera e osservazione sistematica.  Osservazione libera L’osservazione libera e occasionale è l’attività che quotidianamente ognuno di noi compie, il più delle volte in forma non intenzionale, per l’analisi delle informazioni che i nostri organi di senso raccolgono. Questo tipo di osservazione è caratterizzata dall’assenza di strategie o strumenti selezionati ad hoc per la raccolta di dati.  Osservazione sistematica Generalmente in ambito educativo l’educazione è sistematica, cioè condotta all’interno di un preciso schema di riferimento. In questo caso, l’attenzione è diretta su specifici fenomeni o comportamenti e lo scopo dell’osservazione è quello di individuare eventuali strategie di intervento atte a modificarli. L'osservazione sistematica NON è in contrasto con quella libera. Mentre l'osservazione sistematica è molto strutturata e segue regole precise su cosa, come e quando osservare, l'osservazione libera è più flessibile e spontanea, senza restrizioni rigide. I due tipi di osservazione possono essere visti come due approcci diversi che esistono lungo un continuum, con uno più rigido e l'altro più aperto e adattabile, ma entrambi utili a seconda degli scopi della ricerca. Operazionalizzazione Dal momento che il comportamento consiste in un flusso continuo di eventi, prima di osservarlo dobbiamo in un certo senso scomporlo in unità o categorie. Questo processo si chiama operazionalizzazione, ed è necessario tutte le volte che ci si prefigge di misurare una variabile psicologica, quindi serve anche per la creazione di questionari e test. Operazionalizzare significa elencare le operazioni e/o le azioni attraverso le quali si esplicita il comportamento in oggetto. Questo processo è importante perché consente ai ricercatori di lavorare con comportamenti concreti e osservabili, piuttosto che con concetti generali e vaghi. Ad esempio, invece di osservare l'aggressività in senso ampio, si osservano azioni specifiche come calci, spintoni e parolacce, che sono comportamenti misurabili e definiti. Una volta identificato il comportamento che consideriamo rappresentativo di un aspetto del funzionamento psicologico, è necessario anche stabilire cosa misurare in relazione a questo comportamento. Alcuni esempi di parametri di misura sono: 1) Frequenza: il numero di volte in cui si verifica un determinato comportamento in un'unità di tempo; 2) Durata: l’intervallo di tempo durante il quale si verifica un singolo comportamento; 3) Intensità: la “forza” con cui un comportamento fa la sua comparsa; 4) Latenza: il tempo che intercorre tra un evento specifico e la manifestazione dei primi segni del comportamento. Nella scelta del tipo di parametro di misura da utilizzare è importante distinguere - Comportamenti discreti: eventi che si verificano in momenti specifici nel tempo, come movimenti del corpo o vocalizzazioni. In questo caso il parametro più adatto è la frequenza. - Comportamenti continui: hanno una durata che si protrae nel tempo. In questo caso il parametro più adatto è la durata. La baseline La baseline, o misurazione basale, è il livello iniziale di un comportamento specifico osservato in “situazioni naturali”, quindi prima di intervenire con programmi educativi. Esempio: si vuole monitorare quante volte un bambino in classe si alza dal suo posto senza motivo. Prima di iniziare un programma educativo per migliorare la sua attenzione, si osserva il bambino per una settimana e si annota ogni volta che si alza dal suo posto. In questo modo si scopre che il bambino si alza in media 10 volte al giorno: questa media è la baseline del comportamento del bambino, e sulla base di questa si può introdurre un programma educativo al fine di migliorare la sua attenzione. L’analisi funzionale L'analisi funzionale è un metodo di valutazione utilizzato per comprendere il comportamento osservato. Il comportamento osservato deve essere definito anche in base alle conseguenze che produce, ovvero alla sua funzione. Per capire la funzione di un comportamento, è necessario analizzarlo considerando i suoi antecedenti (gli stimoli che lo precedono) e le sue conseguenze. L’analisi funzionale si struttura attorno ad una sequenza chiamata contingenza a tre termini: antecedente, comportamento e conseguenza. Per fare un'analisi funzionale del comportamento, possiamo osservare due o tre episodi simili e porci alcune domande:  Cosa stava accadendo prima (antecedente distale)?  Cosa è successo subito prima del comportamento (antecedente prossimale)?  Cosa è successo immediatamente dopo il comportamento (conseguenza prossimale)?  E, infine, cosa è successo nei momenti successivi (conseguenze distali)? L’analisi funzionale ci permette di sviluppare interventi educativi mirati. La valutazione indiretta Un altro modo di ottenere dati sullo sviluppo dei bambini è quello di chiedere alle persone più vicine a loro: i caregiver (familiari, insegnanti e pari). Questi report si basano su osservazioni compiute nel tempo in una varietà di situazioni e, anche se si trattasse di percezioni, credenze e interpretazioni, possono essere importanti quanto quella che possiamo solo presumere essere la realtà oggettiva. Per esempio, che un genitore abbia o meno aspettative rispetto a un rendimento accademico molto alto, la credenza del bambino che i suoi genitori vogliono che lui vada bene a scuola influenza il suo modo di comportarsi e la sua autostima. Tuttavia, spesso le persone tendono ad essere soggette alla desiderabilità sociale, quel bias cognitivo causato dalla tendenza degli intervistati a dare risposte socialmente desiderabili, invece di scegliere le risposte riflettano i loro veri sentimenti. Nel tentativo di aumentare l’accuratezza dei racconti dei genitori, i ricercatori hanno ideato numerose strategie. Per esempio:  Possono chiedere di riportare solo gli eventi molto recenti, in modo da assicurarsi che i ricordi siano più affidabili;  Possono telefonare ogni sera e chiedere quali dei comportamenti specifici presenti in una lista siano stati esibiti nelle ultime 24 ore, come il pianto o la disobbedienza;  Possono chiedere di tenere un diario in cui appuntano i comportamenti del bambino a intervalli regolari. Mentre per ricevere informazioni sul comportamento a scuola e in altri contesti della vita del bambino, è possibile chiedere ad altre persone, come insegnanti e coetanei. I ricercatori possono chiedere agli insegnanti di valutare i bambini su diverse dimensioni, come l’attenzione, l’affidabilità e la socialità in classe. Possono essere utilizzate delle tecniche sociometriche, che usano strumenti come la nomina dei pari: si chiede ai bambini di una classe di esprimere le loro preferenze riguardo i compagni, ad esempio indicando chi vorrebbero come amico o chi è più popolare tra loro. In questo modo, si può capire quanto un bambino sia apprezzato o accettato dal gruppo, cioè il suo status sociometrico. Poi, i ricercatori raccolgono tutti questi "voti" o nomine e le usano per creare un sociogramma, che è una rappresentazione visiva che mostra il grado di popolarità e accettazione di ogni bambino nella classe. In pratica, il sociogramma aiuta a capire le dinamiche sociali del gruppo, come chi è più o meno integrato tra i compagni. I metodi di ricerca qualitativa La maggior parte delle ricerche della psicologia dello sviluppo contemporanea consiste nel raccogliere dati quantitativi a partire da esperimenti, sondaggi e osservazioni sistematiche. Questi dati vengono utilizzati per condurre test statistici che possano generalizzare i risultati di un campione ad un gruppo più ampio di popolazione. I dati quantitativi sono utili perché offrono misurazioni chiare e affidabili che sono facili da gestire e analizzare. Tuttavia, quando si vuole esplorare un argomento nuovo o capire meglio come un bambino vive e percepisce una situazione, si potrebbero preferire metodi qualitativi. Questi metodi sono utili per esplorare nuove aree di ricerca, approfondire la comprensione di come un bambino vive e percepisce una determinata situazione, oppure cogliere come influiscono i fattori culturali o contestuali sullo sviluppo. Un metodo qualitativo molto diffuso è l’etnografia. La ricerca etnografica consiste nel immergersi in un gruppo o cultura specifica per comprendere le dinamiche, i valori e le credenze che caratterizzano le relazioni tra i membri. Ad esempio, un etnografo potrebbe vivere con una comunità per settimane per studiare da vicino i loro processi sociali e culturali. Selezionare un campione Il campione è un gruppo di individui rappresentativi di una popolazione più ampia. Il campione deve essere dotato di rappresentatività: la misura in cui un campione possiede effettivamente le caratteristiche della popolazione più ampia che rappresenta. Quando i ricercatori pianificano uno studio, devono prestare molta attenzione alla selezione dei partecipanti. È importante che, quando vengono presentati i risultati, vengano indicate le caratteristiche principali del campione, come genere, etnia e classe sociale. Inoltre, i ricercatori devono essere cauti nel dichiarare fino a che punto le conclusioni dello studio possano essere generalizzate ad altre persone o gruppi. I disegni di ricerca in psicologia dello sviluppo Selezionare un campione aiuta a descrivere lo sviluppo umano, ma per poter usare un campione al meglio bisogna pianificare uno studio che esplori come i fattori dello sviluppo siano collegati tra loro e interagiscano. I metodi di ricerca più comuni per farlo sono il metodo correlazionale, il metodo sperimentale e lo studio di caso. Disegno correlazionale Il disegno correlazionale è un metodo di ricerca che permette di stabilire le relazioni tra le variabili e di valutare la forza di questi legami. Un esempio di questo metodo è lo studio di Jonh Wright e Atena Huston, che ha esaminato il comportamento dei bambini in età prescolare, concentrandosi sul legame tra il tempo che trascorrono guardando i programmi educativi le loro abilità cognitive. I ricercatori hanno scoperto che i bambini che guardavano più programmi educativi ottenevano punteggi più alti nei test cognitivi, mentre quelli che guardavano cartoni o altri programmi ottenevano punteggi più bassi. Tuttavia, una correlazione NON implica una relazione di causa-effetto: non possiamo dire che guardare programmi educativi causi un aumento dei punteggi, perché potrebbe esserci un altro fattore che spiega entrambe le cose. Il disegno correlazionale è utile perché permette di esplorare relazioni tra variabili in situazioni che sono difficili da studiare in laboratorio. Disegno sperimentale Il disegno sperimentale è un metodo di ricerca che permette di determinare la relazione di causa-effetto tra due variabili tramite il controllo di una variabile o l’introduzione di un trattamento (intervento). Il principale mezzo usato dai ricercatori per studiare le connessioni di causa-effetto tra fattori è l’esperimento. In un esperimento di laboratorio i ricercatori possono controllare i fattori che influenzano le variabili. La procedura prevede che si mantengano costanti o equivalenti tutti i possibili fattori di interferenza, ad eccezione di quello che si ipotizza sia la causa della variabile da studiare. Vengono formati due gruppi di partecipanti: 1. Gruppo sperimentale: è il gruppo sottoposto al trattamento o alla variabile indipendente; 2. Gruppo di controllo: è il gruppo che non viene sottoposto al trattamento o alla variabile indipendente. I ricercatori smistano le persone nei due gruppi secondo un’assegnazione casuale, che aiuta a escludere la possibilità che i soggetti di un gruppo differiscano in modo sistematico da quelli dell’altro.  Variabile indipendente: è la variabile che viene manipolata in un esperimento  Variabile dipendente: è la variabile che i ricercatori si aspettano che vari a seguito della manipolazione della variabile indipendente. [Per capire in che modo lo sperimentatore determina una relazione di causa-effetto, esaminiamo uno studio di Liebert e Baron sulla relazione tra la visione di programmi televisivi violenti e il comportamento aggressivo infantile. I bambini sono stati divisi in due gruppi: uno ha visto un programma violento (gruppo sperimentale) e l'altro un programma sportivo non violento (gruppo di controllo). Successivamente, i bambini sono stati messi in una situazione fittizia in cui potevano scegliere se comportarsi aggressivamente o aiutare un "compagno di giochi". I risultati hanno mostrato che i bambini che avevano visto il programma violento erano più aggressivi. Questo studio ha mostrato una relazione causale, ma la sua validità ecologica è limitata, poiché le condizioni sperimentali erano diverse dalla realtà: Liebert e Baron hanno modificato il programma violento in modo da includere in 3,5 minuti più atti di violenza di quelli che si potrebbero trovare in uno spezzone di quella durata selezionato casualmente dalla televisione.] La validità ecologica si riferisce alla misura in cui i risultati di uno studio riflettono ciò che accade realmente nel mondo naturale, fuori dal contesto sperimentale. Se un esperimento è condotto in un ambiente troppo artificiale o se le condizioni sperimentali sono troppo diverse dalla realtà, la validità ecologica potrebbe essere bassa. Quando gli scienziati vogliono usare un esperimento e studiare comunque il comportamento in maniera ecologicamente più valida, conducono un esperimento sul campo. Un esperimento sul campo è uno studio in cui i ricercatori modificano deliberatamente un aspetto del mondo reale per osservare l'effetto di tale cambiamento. [Un esempio è lo studio sull'impatto della violenza in TV sul comportamento infantile condotto da Friedrich e Stein. I bambini in età prescolare sono stati osservati in un ambiente di gioco per misurare la loro aggressività prima e dopo aver visto diversi tipi di programmi TV. I bambini sono stati divisi in tre gruppi: uno che guardava cartoni violenti, uno con programmi di amore e gentilezza, e uno con programmi neutrali. I risultati hanno mostrato che solo i bambini già aggressivi mostrano un aumento dell'aggressività dopo aver visto programmi violenti, mentre quelli con basso livello di aggressività non sono stati influenzati.] Gli osservatori hanno cercato di ridurre il bias dell'osservatore, cioè la tendenza dei giudizi degli osservatori a essere influenzati dalla conoscenza delle ipotesi alla base della ricerca. Un vantaggio degli esperimenti sul campo è che i risultati sono più facilmente generalizzabili alla vita quotidiana, poiché si svolgono in contesti naturali. Allo stesso tempo, mantiene il controllo delle variabili come negli esperimenti di laboratorio, come l'assegnazione casuale dei partecipanti. Esiste un altro tipo di esperimento chiamato esperimento naturalistico, un esperimento in cui si misurano i risultati degli eventi che avvengono naturalmente nel mondo reale. In questo tipo di esperimento i ricercatori non utilizzano il metodo di assegnazione casuale dei partecipanti, al contrario: i partecipanti vengono scelti perché già esposti a certe condizioni che si vogliono studiare. Un esempio è uno studio che ha monitorato il comportamento aggressivo dei bambini in una comunità canadese prima e dopo l'arrivo della televisione, trovando un aumento dell'aggressività dopo l'introduzione della TV. Se un ricercatore non può controllare tutte le condizioni, si parla di quasi-esperimento (o disegno quasi sperimentale), che mantiene il controllo delle variabili di disturbo ma ha un controllo incompleto sulla variabile indipendente. I quasi-esperimenti possono avere una maggiore validità ecologica (relazione con la vita reale), ma presentano problemi di validità interna, poiché non possiamo essere certi che le differenze osservate siano causate dalla variabile manipolata. Il case study o studio di caso Lo studio di casi è lo studio approfondito delle singole persone o di un gruppo. Lo studio di caso permette ai ricercatori di esplorare un fenomeno che non incontrano spesso, come un talento insolito, un disturbo raro dello sviluppo o una classe modello. Il limite principale dell’approccio al singolo caso è che in assenza di studi ulteriori o di un campione più ampio è difficile sapere se i risultati sono generalizzabili dal caso ad altre persone o situazioni. Studiare il cambiamento nel tempo Per studiare il cambiamento nel corso dello sviluppo, esistono approcci di tipo trasversale, longitudinale e sequenziale. Approccio Trasversale: Questo approccio prevede il confronto tra individui di diverse età in un momento preciso per analizzare le differenze legate all'età, come comportamenti o abilità cognitive. È utile per identificare come variano certi aspetti dello sviluppo tra bambini di diverse età. Tuttavia, non fornisce informazioni sulle cause di tali differenze, poiché non si sa come si comportassero gli stessi bambini in età più giovane, quindi non consente di tracciare i cambiamenti nel tempo. Approccio Longitudinale: L'approccio longitudinale studia gli stessi soggetti per un lungo periodo di tempo, permettendo di osservare come si sviluppano nel tempo e di indagare le cause dei cambiamenti. È utile per esplorare l'impatto di eventi o fattori recenti sul comportamento a lungo termine. Gli svantaggi includono:  La raccolta di dati richiede molti anni.  La perdita di partecipanti nel tempo, poiché alcuni potrebbero abbandonare lo studio o non essere più disponibili.  L'effetto di apprendimento, cioè che i partecipanti potrebbero influenzare le proprie risposte semplicemente a causa della familiarità con le misurazioni ripetute.  Difficoltà nella generalizzazione dei risultati ad altre generazioni, poiché le condizioni sociali e culturali cambiano nel tempo, riducendo la pertinenza dei risultati per le generazioni future. Un tipo di studio longitudinale a breve termine può ridurre alcuni di questi svantaggi, studiando un gruppo per un periodo più breve (da pochi mesi a qualche anno), focalizzandosi su domande specifiche, e raccogliendo dati in un tempo più breve per limitare la dispersione del campione. Approccio Sequenziale: Combina gli approcci trasversale e longitudinale. Inizia con la selezione di gruppi di bambini di età diverse (come nel trasversale), ma li segue nel tempo, come nel longitudinale. Questo approccio presenta vantaggi significativi: 1. Permette di osservare i cambiamenti legati all'età (longitudinale). 2. Analizza anche gli effetti generazionali, cioè come gli eventi o le esperienze di un periodo storico influenzano diversi gruppi di età (trasversale). 3. Esplora i cambiamenti nei bambini che vivono in contesti diversi nel tempo. 4. È più efficiente in termini di tempo rispetto a uno studio longitudinale a lungo termine, poiché combina entrambi gli approcci in uno studio più rapido. Questioni etiche nella ricerca con i bambini Una considerazione fondamentale quando si sceglie una strategia di ricerca è l'impatto che le procedure avranno sui partecipanti. Per garantire il trattamento appropriato dei soggetti umani, le commissioni di controllo istituzionali e governative, insieme alle organizzazioni professionali, stabiliscono linee guida etiche. Una delle norme più importanti è il consenso informato, che deve essere ottenuto prima che i partecipanti prendano parte alla ricerca. Per i bambini, questo consenso deve essere fornito dai genitori o caregiver, e richiede una particolare attenzione per assicurarsi che abbiano compreso pienamente a cosa si stanno prestando. Consenso informato = accordo di partecipazione a uno studio di ricerca sulla base della piena e chiara comprensione degli scopi e delle procedure adottate in esso. CAPITOLO 6 Le emozioni Le emozioni sono:  Reazioni soggettive all’ambiente, in funzione dei vissuti e della storia personale  Percepite a livello cognitivo come positive, negative o miste  Accompagnate da una stimolazione fisiologica  Comunicate agli altri attraverso il comportamento (deliberato o volontario) Le emozioni svolgono un’ampia varietà di funzioni:  Ruolo di comunicazione intrasoggettiva: forniscono feedback di quanto sta accadendo all’interno del nostro corpo  Ruolo di comunicazione intersoggettiva: comunicare sentimenti e stati di benessere  Influenzare lo stato di salute fisica e mentale di un individuo  Supportare lo sviluppo dell’intelligenza emotiva. Questo aspetto è rilevante per sviluppare la competenza emotiva La competenza emotiva La competenza emotiva è l’abilità di comprendere e affrontare in maniera funzionale le proprie emozioni e quelle degli altri nell’ambito della vita quotidiana, per affrontare in modo socialmente appropriato le situazioni e gli scambi che avvengono nell’ambiente. Essa si sviluppa già durante l'età prescolare (prima della scuola primaria), quando i bambini diventano in grado di esprimere una varietà di emozioni appropriate al contesto socio-culturale dal quale provengono. Durante questa fase i bambini:  sperimentano una diminuzione di rabbia e frustrazione  imparano a regolare il proprio comportamento  imparano a esprimere i propri sentimenti  imparano a usare il linguaggio per influenzare gli altri al fine di soddisfare i propri bisogni e raggiungere i propri obbiettivi La competenza emotiva si sviluppa attraverso le interazioni tra il bambino e il caregiver, tramite un processo di "co-regolazione", in cui i caregiver aiutano il bambino a sviluppare la sua capacità di esprimere, comprendere e regolare le emozioni. Successivamente, questa co-regolazione muterà in auto-regolazione. La competenza emotiva:  È una componente fondamentale della competenza sociale ed è alla base della capacità di instaurare rapporti interpersonali funzionali e duraturi. Allo stesso tempo, la competenza emotiva si sviluppa all’interno delle relazioni interpersonali.  Supporta il bambino nelle competenze legate all'apprendimento (ad es. concentrazione). I caregiver educatori possono socializzare alle emozioni attraverso: MODELING COACHING CONTINGENCY Le modalità attraverso cui L’educatore insegna al Di fronte a situazioni l'adulto esprime e autoregola le bambino/studente come emotivamente salienti, proprie emozioni nella vita riconoscere ed esprimere le l’educatore interviene con quotidiana forniscono al emozioni nelle diverse situazioni. l'obiettivo di regolare bambino/studente esempi l'espressione delle emozioni del concreti da cui imparare. bambino/studente.  Il modeling si basa su un apprendimento e insegnamento impliciti, spesso non consapevoli.  Il coaching e la contigency si basano su apprendimento e insegnamento espliciti e consapevoli, con l'adulto che guida attivamente il bambino nel riconoscere e regolare le emozioni. Le variabili determinanti per l'efficacia di questi stili sono:  Continuità: la costanza dell'interazione emotiva tra educatore e bambino.  Reciprocità: il dialogo emotivo bilaterale tra le parti.  Intimità: la profondità e la vicinanza nella relazione Secondo la psicologa Susan Denham la competenza emotiva è l’abilità di gestire tre dimensioni: 1) Espressione delle emozioni Esprimere messaggi emotivi non verbali, coinvolgimento empatico ed emozioni sociali. L’espressione delle emozioni è governata dalle cosiddette display rules: norme di manifestazione delle emozioni che si riferiscono al quando, al dove e al come le emozioni dovrebbero essere espresse. Esse non sono universali, ma dipendono da diverse culture. Al fine di valutare l’epressione delle emozioni in modo il più possibile oggettivo si usano schemi di codifica: strumenti per osservare come un bambino esprime emozioni attraverso il volto e i movimenti del corpo, tramite l’assegnazione di punteggi. Questi punteggi vengono poi usati per capire se il bambino ha espresso una particolare emozione. Izard ha sviluppato il sistema di codifica delle espressioni emotive infantili più elaborati: sistema di codifica MAX. 2) Comprensione delle emozioni La comprensione delle emozioni è la capacità di dare significato a eventi emotivi propri e altrui, anche riconoscendone le cause – sia esterne alla persona che interne, come desideri, credenze, valori e ricordi. Rilevanti per la comprensione delle emozioni sono la comprensione delle espressioni facciali, l’utilizzo di un lessico psicologico che comprende un vocabolario emotivo, la comprensione delle emozioni complesse (come orgoglio, ansia e vergogna) e la comprensione di poter provare più emozioni contemporaneamente, spesso discordi tra loro. 3) Regolazione delle emozioni Consiste nel controllare o attenuare il proprio stato di attivazione o eccitamento psico-fisiologico (arousal) per adattarsi e raggiungere uno scopo. Imparare come controllare le emozioni è una sfida importante per bambini e neonati. Spesso gli esseri umani apprendono forme di regolazione emotiva in maniera del tutto casuale, magari ancor prima di nascere: scoprire che mettersi il pollice in bocca aiuta a tranquillzzarli ne è un esempio. La competenza emotiva si sviluppa gradualmente, e non è solo una questione individuale, ma è profondamente influenzata sia dagli stili di socializzazione alle emozioni (il contesto educativo) sia dal fattore culturale in cui una persona cresce. Le teorie dello sviluppo emotivo Prospettiva Genetico- Prospettiva dell’apprendimento Prospettiva funzionalista maturazionista Robert Plomin Susan Denham Carolyne Saarni  Le emozioni hanno basi  Il modo, l’età di inizio, la  Le emozioni sono biologiche. frequenza e l’intensità funzionali per raggiungere con cui le emozioni gli obiettivi e adattarsi  Le differenze individuali vengono espresse all’ambiente. nel temperamento sono di variano da bambino a grande rilevanza. bambino.  Le emozioni enfatizzano i ruoli nelle relazioni  Le ricerche sui gemelli  Le esperienze suscitano, sociali, "guidando" le monozigoti mostrano rinforzano (es. sorriso) e nostre emozioni e i nostri pattern di risposta inibiscono (es. punizioni) comportamenti. emotiva simili, sia nelle le risposte emotive. tempistiche in cui iniziano  Le esperienze passate a sorridere, sia nella  Gli stili educativi e le creano un modello di quantità di tempo risposte emotive risposta emotiva del impiegato a sorridere. genitoriali possono bambino rispetto a una suscitare o rinforzare le determinata situazione. emozioni Lo sviluppo emotivo Lo sviluppo emotivo del bambino si forma sulla base di un'interazione complessa tra fattori:  Ereditari e genetici (da dove si proviene),  Ambientali (dove si nasce e cresce),  Sociali (famiglia e pari). I bambini possiedono un'ampia gamma di emozioni fin da una età molto precoce: i neonati mostrano emozioni specifiche e compaiono le espressioni facciali. Emozioni Sentimenti Sono reazioni immediate e transitorie a stimoli I sentimenti sono risposte emotive più durature e esterni o interni. Si manifestano come risposte complesse rispetto alle emozioni. biologiche e fisiologiche rapide. Coinvolgono un'elaborazione cognitiva e dipendono dalle esperienze passate e dal significato che una persona dà a un'emozione. I sentimenti sono più legati alla formazione della propria identità emotiva. Le emozioni primarie Le emozioni primarie sono:  Gioia  Rabbia  Paura  Tristezza  Disgusto  Sorpresa o stupore GIOIA Espressione facciale Reazione fisiologica Funzione adattiva  Angoli della bocca  Battito cardiaco Manifesta la disponibilità ad sollevati e indietro accelerato un'interazione amichevole.  Guance alzate  Respirazione irregolare  Occhi ravvicinati  Elevata conduttività epidermica Non tutti i bambini sorridono con la stessa frequenza: esistono differenze individuali, culturali e di genere. I bambini mostrano preferenze per i volti umani fin dai primi mesi di vita. I neonati tendono a fissare più a lungo i volti rispetto ad altri stimoli visivi, e sono attratti da caratteristiche come gli occhi e la bocca, che sono essenziali per la comunicazione non verbale. Questa preferenza aiuta il bambino a sviluppare competenze sociali, facilitando l'attaccamento e l'interazione con i caregiver.  I sorrisi di riflesso (o sorrisi endogeni) sono sorrisi di natura solitamente spontanea, e paiono legati a qualche stimolo interno invece che a qualcosa di esterno, come le azioni di un’altra persona.  I sorrisi di Duchenne (10 mesi) sono sorrisi autentici che coinvolgono non solo la bocca, ma anche delle rughe intorno agli occhi le quali fanno sembrare che la faccia intera si stia illuminando di gioia. I bambini sviluppano questa forma di sorriso genuino per le madri come parte di un meccanismo evolutivo: non è solo un'espressione di piacere, ma anche un potente strumento di comunicazione  Il sorriso di Duchenne a bocca aperta (o sorriso scoperto) è una combinazione del sorriso di Duchenne e un’espressione di stupore a bocca spalancata. In questa versione, oltre a essere attivi i muscoli che sollevano gli angoli della bocca e creano le "rughe della gioia" attorno agli occhi, anche la bocca si apre. Può essere più evidente nei bambini quando si sentono particolarmente felici o eccitati, ad esempio durante momenti di gioco o interazione con le persone a loro care. In genere le femmine mostrano sorrisi più spontanei dei maschi. Cosa fa ridere i bambini? La risata è un’abilità di cui i bambini diventano esperti intorno ai 4 mesi. Tra l’età di 4 mesi e 1 anno i bambini avevano una tendenza generale maggiore a ridere agli stimoli visivi e sociali, come un oggetto che scompare o giocare a bubù-settete. Dal primo e per tutto il secondo anno, i bambini ridono e sorridono sempre più in risposta ad attività che creano in autonomia. Con la crescita, la risata aumenta e diventa più un evento sociale. In uno studio condotto su bambini dai 3 ai 5 anni quasi il 95% delle risate avveniva in presenza di altri bambini e adulti. PAURA Espressione facciale Reazione fisiologica Funzione adattiva  Sopracciglia sollevate  Aumento del battito Comprendere la minaccia,  Occhi spalancati e fissi cardiaco evitare il pericolo  Bassa temperatura della pelle  Respirazione ansimante La paura è una tra le prime emozioni provate e sperimentate dal bambino. Stroufe distingue due fasi di manifestazione: 1) A circa 3 mesi i bambini mostrano diffidenza: reagiscono con turbamento ad un evento composto da aspetti familiari ed estranei. 2) Dai 7-9 mesi il bambino mostra una vera paura: una reazione negativa immediata a un evento che ha un significato specifico per il bambino, come vedere la faccia di uno sconosciuto (la cosiddetta paura dell’estraneo). I bambini che sono stati maltrattati o abbandonati possono manifestare delle differenze rispetto ad altri bambini. Questi bambini possono mostrare segni di paura anche prima dei 3 mesi di età. A causa della mancanza di una figura di attaccamento sicura e della presenza di esperienze negative, i bambini maltrattati o abbandonati possono presentare difficoltà nell’esplorare l’ambiente circostante. Questi bambini potrebbero anche manifestare segni di chiusura emotiva o difficoltà nel formare legami affettivi. In alcuni casi, le esperienze traumatiche possono portare a ritardi nello sviluppo o disabilità cognitive, poiché il trauma interferisce con la normale crescita cerebrale e il processo di apprendimento → La paura dell’estraneo è una forma di angoscia che si manifesta tipicamente nei bambini intorno all’età di 9 mesi in relazione alla presenza di estranei. Un tempo si pensava che questa paura fosse inevitabile e universale; tuttavia, in altre culture (come tra gli Efe in Africa) i bambini mostrano una scarsa paura verso gli estranei. Infatti, questo fenomeno dipende da una grande serie di variabili:  Chi è l’estraneo  Come si comporta: i bambini hanno più paura quando l’estraneo è passivo e mostra un’espressione neutra  Dove avviene l’incontro: i bambini hanno più paura in un contesto non familiare  Età dell’estraneo a quella del bambino: in uno studio sulla paura dell’estraneo è emerso che i bambini non percepivano gli estranei di 4 anni come minacciosi, mentre reagivano in maniera molto negativa agli adulti.  Vicinanza dell’estraneo: l’avvicinamento di un estraneo di 4 anni aveva un effetto relativamente limitato sul bambino. Al contrario, per quanto riguarda l’adulto, più era vicina la distanza e più intensa era la manifestazione di stress del bambino.  Reazione della madre: se il bambino vede la madre reagire positivamente, tende a fare lo stesso, a sorridere di più, ad avvicinarsi e a offrigli giocattoli.  Grado di controllo sulla persona o oggetto insolito: più è basso il livello di previdibilità e di controllo sulla persona/oggetto insolito, più è alta la paura del bambino. → L’ansia da separazione è una reazione di turbamento associata alla separazione dalla madre o da altri caregiver familiari. Questo tipo di paura trova espressione in segnali di protesta alla separazione (tra questi il pianto). Tende a raggiungere un picco nei bambini occidentali tra i 13 e i 15 mesi, e presenta tempistiche molto simili anche in culture diverse. Sebbene l’ansia da separazione diventi sempre meno comune nel corso dell’infanzia, a volte ricompare in altre forme. DISGUSTO Espressione facciale Risposta fisiologica Funzione adattiva - Fronte aggrottata - Battito cardiaco lento Evitare l'elemento che origina il - Naso arricciato - Aumento della resistenza disgusto - Guance e labbro epidermica superiore sollevati RABBIA Espressione facciale Risposta fisiologica Funzione adattiva - Fronte aggrottata - Aumento del battito Superare l’ostacolo, raggiungere - Bocca aperta o labbra cardiaco l’obiettivo strette - Aumento della temperatura della pelle - Viso rosso Le espressioni emotive dei neonati sono chiaramente simili alle controparti adulte, ma quella che sembra rabbia, per esempio, potrebbe rappresentare in realtà uno stato generalizzato di stress. In modo non dissimile dagli adulti, i bambini sono soliti a mostrare rabbia in risposta a particolari eventi esterni, come essere esposti alla frustrazione di un desiderio o la somministrazione di un vaccino. TRISTEZZA Espressione facciale Risposta fisiologica Funzione adattiva - Estremità interna delle - Battito cardiaco rallentato Stimolare gli altri ad offrire sopracciglia alzata - Bassa temperatura della consolazione - Angoli della bocca verso il pelle basso - Bassa conduttività - Parte centrale del mento epidermica sollevata La tristezza è una reazione al dolore, alla fame o alla mancanza di controllo, manifestata meno spesso della rabbia. I bambini manifestano tristezza quando si producono delle interruzioni nella comunicazione genitore-figlio. Il pianto Il pianto è il meccanismo di comunicazione più importante più importante per i neonati. Studi precedenti ritenevano che non si dovesse consolare troppo il bambino che piange. Studi più recenti hanno dimostrato invece che consolare il bambino che piange incrementa la connessione con tra esso e il caregiver. Social Referencing: Questo termine si riferisce al processo con cui un bambino osserva le reazioni emotive degli altri, in particolare dei caregiver, per capire come comportarsi in situazioni nuove o ambigue. Ad esempio, se un bambino si trova di fronte a una situazione incerta (come un oggetto sconosciuto) e vede che la madre sorride e si mostra tranquilla, il bambino potrebbe sentirsi rassicurato e interagire senza paura. Al contrario, se vede che la madre si preoccupa o si spaventa, potrebbe decidere di essere cauto o evitare l'oggetto. Regolazione emotiva e coping: A partire circa dal primo anno di vita, il bambino comincia a sviluppare la capacità di regolare le proprie emozioni, cioè di modulare l'intensità e la durata delle sue reazioni emotive. Ad esempio, se si sente frustrato, potrebbe imparare a calmarsi da solo, magari succhiandosi il pollice o cercando conforto nel caregiver. La regolazione emotiva include anche il processo di coping, che si riferisce alle strategie che il bambino utilizza per affrontare lo stress o le emozioni difficili. Questo sviluppo dipende molto dall’ambiente circostante: un contesto affettuoso e sicuro può favorire la capacità del bambino di gestire le emozioni in modo efficace, mentre situazioni più stressanti o caotiche potrebbero ostacolarne l'apprendimento delle strategie di coping. SORPRESA O STUPORE Espressione facciale Risposta fisiologica Funzione adattiva - Bocca aperta e occhi - Battito cardiaco rallentato - Prepararsi ad assimilare spalancati - Respirazione sospesa per una nuova esperienza - Sopracciglia sollevate un breve periodo - Ampliare il campo visivo - Continuo orientamento - Diminuzione generale del agli stimoli tono muscolare Teoria differenziale - Izard Secono la teoria differenziale di Carrol Izard, il bambino fin dalla nascita è in grado di esperire emozioni primarie. Esse emergono nelle prime fasi di vita in modo naturale e automatico, grazie a un programma maturativo universale. Questo programma è biologicamente determinato, quindi non richiede che il bambino faccia un processo di introspezione o di riflessione su se stesso. Entro la fine dei 18 mesi, con l’emergere della consapevolezza di sé, alle emozioni di base si aggiungono altre emozioni, dette complesse o secondarie, che sono autoconsapevoli. Teoria della differenziazione – Sroufe Secondo la teoria della differenziazione di Alan Sroufe, le emozioni non sono innate, ma si sviluppano gradualmente a partire da un iniziale stato di eccitazione generica/indifferenziata. Nei primi momenti di vita, il neonato sperimenta una sorta di stato emotivo generico, senza differenziare le singole emozioni (ad esempio, confonde la paura con la frustrazione). Successivamente, man mano che il bambino cresce e interagisce con l'ambiente, queste emozioni iniziano a diventare precursori delle emozioni più complesse, che passano da essere una forma di eccitazione generica a divenire stati emotivi più specifici, come gioia, tristezza e paura. La teoria della differenziazione sostiene che le emozioni si sviluppano attraverso un processo evolutivo complesso. Inizialmente, l'organismo reagisce a stimoli sociali e ambientali, e successivamente percepisce e interpreta queste reazioni in relazione agli eventi che le hanno causate. Secondo questa prospettiva, la consapevolezza di sé costituisce la base per l’emergere di emozioni complesse, quali frustrazione, invidia, colpa e vergogna. Deprivazione emotiva Il concetto di "Ambiente Arricchito" è strettamente legato al lavoro di René Spitz. "Ambiente Arricchito" si riferisce a un contesto che fornisce stimoli e supporto positivi per lo sviluppo di un bambino. Il principale fattore ambientale che svolge questa funzione è la relazione tra il caregiver e il bambino. Il lavoro di Spitz ha evidenziato che i bambini che non ricevono un ambiente affettivo ricco possono sviluppare gravi problemi emotivi e cognitivi. Questo include, ad esempio, il famoso studio sui bambini orfani, dove mostrò che la mancanza di interazioni affettuose e stimolanti poteva portare a gravi ritardi nello sviluppo, e non solo: la deprivazione emotiva portava anche a ritardi nelle capacità motorie e cognitive. Nei bambini a rischio neuro-evolutivo (cioè quelli che potrebbero sviluppare disturbi del sviluppo), è particolarmente importante intervenire precocemente, nel periodo sensibile dello sviluppo del bambino, quando la plasticità cerebrale è al suo massimo. Quindi, un Ambiente Arricchito è essenziale quando ci sono segni di sviluppo atipico, o quando sono presenti fattori di rischio conosciuti. Le emozioni secondarie Tra il primo e il terzo anno di vita emergono le emozioni definite secondarie (o complesse). Tra queste vi sono: - Ansia - Invidia - Noia - Orgoglio: viene espresso quando i bambini provano un sentimento di gioia in seguito all’esito positivo di un’azione particolare - Vergogna: emerge quando i bambini percepiscono che non hanno raggiunto dei comportamenti standard o degli obiettivi - Senso di colpa: emerge quando i bambini giudicano il loro comportamento un fallimento o comprendono di essere responsabili di un dato evento - Gelosia: emerge quando si desidera l’attenzione esclusiva di una persona (es. caregiver), minacciata dalla presenza di un ‘terzo’ - Empatia e imbarazzo: appaiono per la prima volta a circa un anno e mezzo (a seguito dell’emergere della consapevolezza di sè) Robert Plutchik, negli anni Ottanta, sosteneva che lo spettro delle emozioni che un essere umano prova durante la vita può essere riassunto in otto emozioni primarie o di base, organizzate in quattro coppie di opposti, che possono mescolarsi tra loro. Il fiore di Plutchik è la rappresentazione grafica di questo concetto: ogni “petalo” contiene un’emozione e sul lato opposto, l’opposta emozione. La gradazione varia facendosi meno intensa man mano che ci si allontana dal centro del fiore. Tra un petalo e l’altro, si trova lo spazio dove le emozioni si combinano tra loro, dando luogo alle emozioni complesse o secondarie. Ansia PAURA ANSIA È una risposta emotiva a una minaccia concreta È una risposta emotiva legata a una possibile e immediata. La paura è legata a qualcosa che è minaccia futura, e riguarda eventi che potrebbero percepito come realmente pericoloso e presente accadere, ma che sono ancora incerti. È più legata (un evento che sta accadendo o che sta per alla preoccupazione per le conseguenze di un accadere) possibile evento che al fatto stesso che l'evento accada. 1) Funzione adattiva dell’ansia: funzionale alla sopravvivenza, poiché attiva un sistema fisiologico preposto al mantenimento dell’attenzione. 2) Funzione disadattiva e patologica: procura emozioni negative e una sensazione di impotenza. Ansia che diventa patologia Nella maggior parte dei casi, il disturbo che si manifesta durante l'età evolutiva è transitorio e di entità non grave. Tuttavia, circa il 4% degli adolescenti sviluppa un disturbo d'ansia severo, mentre un ulteriore 4% presenta sintomi di intensità moderata che compromettono il funzionamento sociale, scolastico o familiare. Se il disturbo d'ansia che insorge in età evolutiva non viene trattato adeguatamente, c'è il rischio che si cronicizzi e persista anche in età adulta, potendo evolvere in disturbi come la depressione. I disturbi d’ansia I disturbi d’ansia differiscono dall’ansia transitoria poiché persistenti (6+ mesi) e si differenziano tra loro per la tipologia di oggetti, situazioni o contenuto del pensiero che li provocano.  Disturbo d’ansia di separazione Ansia intensa e persistente di essere lontano da casa o essere separato dalle persone a cui il bambino è legato, in genere la madre. La maggior parte dei bambini prova una forma di ansia da separazione, che si risolve crescendo. La diagnosi del disturbo d’ansia da separazione si basa su una descrizione del comportamento passato del bambino e talvolta sull’osservazione delle scene di separazione. Paura, ansia e evitamento sono persistenti, con una durata di: almeno 4 settimane in bambini e adolescenti, e 6 o più mesi negli adulti.  Mutismo selettivo Costante incapacità di parlare in situazioni sociali specifiche in cui ci si aspetta che si parli (es., a scuola), nonostante si sia in grado di parlare in altre situazioni. Questo causa problemi con i risultati scolastici o lavorativi, o con la comunicazione sociale. La durata deve essere di almeno 1 mese (non limitato al primo mese di scuola).  Disturbo fobico La fobia è una paura irrealistica, sproporzionata rispetto al pericolo reale, così intensa da impedire di svolgere le attività normali. Per diagnosticare un disturbo fobico, si considera che la paura: - Modifichi il comportamento, portando a evitare una determinata cosa o situazione. - Sia più intensa di quanto sarebbe appropriato in relazione al reale livello di pericolo. - Comprometta le normali funzioni della vita quotidiana. Le fobie sono varie, le più comuni coinvolgono: animali (zoofobia) altezze (acrofobia) luoghi chiusi (claustrofobia) temporali (astrafobia o brontofobia). Trovarsi in prossimità delle cose che si temono, può portare all’attacco di panico.  Fobia scolare La fobia scolastica è considerata una tipologia specifica di disturbo fobico. La fobia scolare si verifica in circa il 5% di tutti i bambini in età scolare e colpisce femmine e maschi allo stesso modo. In genere si verifica tra i 5 e gli 11 anni. Se la fobia scolare si intensifica fino al punto in cui un bambino fa un numero eccessivo di assenze da scuola, tale comportamento può essere la spia di problemi più gravi, quali: - un disturbo depressivo dell'infanzia - uno o più disturbi d'ansia, in particolare il disturbo d'ansia sociale, il disturbo d'ansia da separazione e/o il disturbo di panico. Un fattore di differenziazione è che i bambini con fobia scolare manifestano difficoltà solo in relazione alla scuola, mentre con altri disturbi i bambini hanno anche sintomi che coinvolgono altre aree della loro vita. La causa della fobia scolare è spesso poco chiara, ma possono contribuire fattori psicologici (es., ansia, depressione) e fattori sociali (es., non avere amici, sentirsi rifiutato dai compagni, essere vittima di bullismo).  Disturbo d’ansia sociale / Fobia sociale La fobia sociale (o disturbo d'ansia sociale) è caratterizzata dalla preoccupazione e dal timore che le proprie azioni o comportamenti possano sembrare inadeguati agli occhi degli altri. Il soggetto teme di essere giudicato negativamente e si preoccupa che il suo stato di ansia sia visibile (ad esempio, sudore, arrossire, tremare, vomitare o avere la voce tremolante). Questi sintomi si manifestano esclusivamente in situazioni pubbliche o sociali, mentre le stesse attività, se svolte da soli, non suscitano ansia. Per fare una diagnosi di fobia sociale, la paura deve soddisfare i seguenti criteri: - Durare da almeno 6 mesi o più. - Riguardare una o più situazioni sociali, in cui il soggetto teme di essere giudicato negativamente dagli altri. - Indurre l'individuo a evitare la situazione o a tollerarla con grande disagio. - Essere sproporzionata rispetto al reale pericolo o minaccia. - Causare un significativo malessere o interferire in modo rilevante con le normali funzioni quotidiane, come la vita sociale, lavorativa o scolastica.  Disturbo di panico Il disturbo di panico è caratterizzato dalla comparsa improvvisa e intensa di paura o disagio, che raggiungono il picco in pochi minuti. Gli attacchi di panico possono essere: - Inaspettati: Si verificano senza un chiaro elemento scatenante, come ad esempio un attacco di panico notturno, che può accadere "di punto in bianco". - Attesi: Si verificano in presenza di un chiaro elemento scatenante. Il disturbo di panico si manifesta con almeno 4 sintomi fisici o cognitivi tra i seguenti: 1. Palpitazioni e tachicardia 2. Sudorazione 3. Tremori 4. Dispnea (fame d'aria) 5. Sensazione di asfissia 6. Dolore al petto 7. Nausea o disturbi addominali 8. Sensazioni di vertigine, instabilità o svenimento 9. Brividi o vampate di calore 10. Parestesie (sensazione di torpore o formicolio) 11. Derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (sensazione di distacco da sé) 12. Paura di perdere il controllo o di "impazzire" 13. Paura di morire In base alla quantità di sintomi, l'attacco può essere: - Completo: con quattro o più sintomi. - Paucisintomatico: con meno di quattro sintomi. Per la diagnosi di disturbo di panico, è necessario che ci siano più di un attacco di panico inaspettato e che almeno uno di essi porti a un cambiamento significativo nel comportamento, come la paura di nuovi attacchi.  Agorafobia L’agorafobia è un disturbo caratterizzato da ansia o paura di trovarsi in luoghi aperti o chiusi dai quali sarebbe difficile scappare o chiedere aiuto. La paura è così intensa che spesso la persona sente il bisogno di essere accompagnata. Nelle forme più gravi di agorafobia, gli individui possono diventare incapaci di uscire di casa e dipendere da altre persone per svolgere le necessità quotidiane. Questo disturbo può portare a demoralizzazione, sintomi depressivi e un abuso di alcol o farmaci sedativi come forme di automedicazione. Per diagnosticare l'agorafobia, i criteri sono simili a quelli per altri disturbi d'ansia: - La paura deve durare almeno 6 mesi o più. - Deve riguardare una o più situazioni sociali - La paura deve essere sproporzionata rispetto al pericolo reale. - Deve causare un significativo malessere o interferire con le normali funzioni quotidiane, come la vita sociale, lavorativa o familiare. - Può portare all'evitamento di determinate situazioni o a tollerarle solo con grande disagio.  Disturbo d’ansia generalizzata Il disturbo d'ansia generalizzata (GAD) è caratterizzato da una preoccupazione e ansia eccessiva e persistente riguardo a diverse situazioni quotidiane, come lavoro, scuola o altri aspetti della vita, che si manifestano per la maggior parte dei giorni, per almeno 6 mesi. I sintomi fisici comuni includono: - Mani sudate - Tensione muscolare - Accelerazione cardiaca - Capogiri Inoltre, chi soffre di questo disturbo ha difficoltà a controllare l'ansia e spesso si preoccupa eccessivamente di cose che potrebbero non essere realmente pericolose. Nel caso dei bambini, solo uno dei seguenti sintomi è necessario per la diagnosi: 1. Irrequietezza, tensione 2. Facile affaticamento 3. Difficoltà a concentrarsi o vuoti di memoria 4. Irritabilità 5. Tensione muscolare 6. Alterazioni del sonno Tre fattori possono contribuire all’insorgenza e al mantenimento dei disturbi d’ansia in età evolutiva: 1. Fattori genetici e neurobiologici 2. Fattori ambientali e sociali 3. Temperamento Ciascun fattore non è di per sé causa, ma può costituire una vulnerabilità per il disturbo. Fattori genetici e neurobiologici Fattori genetici = I figli di genitori che presentano un disturbo d'ansia hanno un rischio almeno 7 volte maggiore di sviluppare anch'essi lo stesso disturbo. Tuttavia, studi condotti su gemelli omozigoti mostrano che la genetica può spiegare solo alcune forme di trasmissione del disturbo, indicando che la genetica non è l'unica causa dei disturbi d'ansia. Fattori neurobiologici = Nei disturbi d'ansia, si osserva una disfunzione nei circuiti neuronali che collegano la corteccia prefrontale all'amigdala. Nei soggetti con disturbi d'ansia, questi circuiti risultano alterati, e si registra: - una maggiore attività dell'amigdala (l'area del cervello associata alla gestione delle emozioni e della paura) - una minore attivazione della corteccia prefrontale (la parte del cervello che è coinvolta nel controllo delle emozioni e nella regolazione delle risposte emotive). Questa alterazione comporta una risposta emotiva eccessiva e incontrollata, tipica dei disturbi d'ansia. Fattori ambientali e sociali - Assenza di promozione dell'autonomia: La mancanza di supporto per sviluppare indipendenza - Impotenza appresa: Se i bambini sperimentano ripetuti fallimenti o sentono di non avere controllo sulle situazioni, possono sviluppare un senso di impotenza, che aumenta la vulnerabilità all'ansia. - Stili genitoriali ansiosi: Genitori che mostrano ansia o comportamenti eccessivamente protettivi possono trasmettere al bambino modelli di ansia e preoccupazione - Eventi stressanti in famiglia e a scuola L'età evolutiva è un periodo particolarmente vulnerabile al disagio psicologico. Eventi traumatici o stressanti durante questa fase possono avere un impatto significativo sullo sviluppo emotivo e comportamentale del bambino. Temperamento Il temperamento si riferisce alla disposizione di base presente in ogni bambino fin dalla nascita. Esso modula l'espressione delle emozioni, il livello di attività, la qualità dell'umore e la propensione a relazionarsi con gli altri. Caratteristiche del temperamento: - Individuale - Natura innata e biologica - Relativamente stabile - Influenza la relazione tra bambino e caregiver Il carattere, invece, si sviluppa sotto l'influenza dell'ambiente, ed è il risultato delle scelte del bambino, che le compie in base alle sue esperienze. La personalità unisce gli aspetti biologici del temperamento con quelli psicologici del carattere. È anche influenzata dall'ambiente e include valori, modelli di comportamento e forme di organizzazione sociale, che possono modificare sia l'ambiente che la stessa personalità. L’ATTACCAMENTO Il termine attaccamento indica il particolare legame emotivo che unisce stabilmente il bambino al caregiver. NON è un legame di dipendenza del bambino dalla madre, bensì un legame intimo, costante e duraturo che lega i due membri in modo da garantire a entrambi vicinanza, protezione e sicurezza. Questo legame si basa sulla tendenza a cercare una base sicura, e se interrotto può provocare ansia da separazione. Sigmund Freud e John Bowbly La teoria psicoanalitica considera il legame emotivo con il caregiver come il risultato di una pulsione secondaria, che si basa sulla soddisfazione dei bisogni fisici. Le teorie dominanti sull'origine dei legami affettivi, proposte nella prima metà del XX secolo, non soddisfacevano completamente Bowlby, che esaminava i risultati provenienti dall'etologia. Secondo Freud, il legame affettivo con la madre si basa su una motivazione secondaria, cioè sul soddisfacimento di bisogni primari come alimentazione e pulizia. La madre, inizialmente vista come un oggetto per la gratificazione di questi bisogni, diventa poi anche oggetto di pulsioni libidiche e aggressive. Al contrario, Bowlby sosteneva che il legame con la figura di accudimento (caregiver) è una relazione primaria, che si sviluppa come risposta a un bisogno intrinseco di contatto e conforto. La ricerca della vicinanza alla figura di accudimento è la manifestazione più chiara di questo bisogno. Per Bowlby, questa relazione costituisce il prototipo per tutte le successive relazioni affettive. Konead Lorenz Konrad Lorenz, studiando il comportamento delle oche selvatiche nel loro habitat naturale, scoprì l’esistenza di un periodo critico durante il quale il cervello è predisposto ad apprendere e a riconoscere la figura di riferimento. Le oche, entro le prime 48 ore dalla nascita, imparano a riconoscere la figura che vedono come madre e a seguirla. Questo processo ha lo scopo di garantire che i piccoli rimangano vicini alla madre, che è fondamentale per la loro sopravvivenza. Tuttavia, se alla nascita i piccoli incontrano una figura diversa dalla madre naturale, seguiranno comunque quella figura. Ad esempio, i piccoli di oca che avevano visto Lorenz lo riconoscevano come figura di riferimento e lo seguivano, nuotando con lui come se fosse la loro 'madre'. Questo fenomeno, una predisposizione innata ad apprendere, fu chiamato imprinting, ed è guidato da funzioni come nutrire e confortare, svolte dalla figura di riferimento. Harry Harlow Harry Harlow condusse degli esperimenti sui cuccioli di scimmia macaco per studiare il loro bisogno di attaccamento. Le reazioni del pubblico agli esperimenti di Harlow furono una delle principali cause della crescente sensibilizzazione animalista negli Stati Uniti, che ha portato allo sviluppo di normative etiche per gli studi sugli animali. Nei suoi esperimenti, le scimmiette appena nate trascorrevano il tempo necessario per nutrirsi da un poppatoio posto su una "madre" di ferro, ma sviluppavano un forte attaccamento verso una "madre" di pezza. Quando veniva introdotto un oggetto minaccioso che le spaventava, le scimmiette correvano verso la madre di pezza per cercare conforto, poiché questa era percepita come fonte di sicurezza, essendo morbida e associata al calore. John Bowbly John Bowlby nasce a Londra il 26 febbraio 1907, quarto figlio di una famiglia vittoriana altoborghese. Suo padre è un medico chirurgo che serve la corte di re Edoardo VII, mentre lui viene cresciuto da Minnie, una educatrice che svolge il ruolo di bambinaia. La madre lo vede solo per un'ora al giorno, dopo il tè, poiché ritiene che troppo affetto e attenzione possano viziare i bambini. Quando Bowlby ha quattro anni, la sua bambinaia lascia la famiglia, e a sette anni viene inviato in collegio. Si laurea in medicina a 25 anni e a 30 anni diventa psicoanalista. Lo sviluppo del legame di attaccamento Dallo studio dell’imprinting nelle oche di Lorenz e delle ricerche sull’accudimento nei Macachi di Harlow, Bowlby sviluppa la teoria dell’attaccamento come una predisposizione biologica inscritta nel codice genetico del bambino, che lo spinge a instaurare una relazione con la figura che garantisce la sua sopravvivenza, cioè il caregiver, che si prende cura di lui. Perché gli anatroccoli seguono Lorenz anche se non possono ricevere cibo da lui? Gli anatroccoli seguono Lorenz non per il bisogno di nutrirsi, ma per una predisposizione biologica a seguire la figura che percepiscono come madre, indipendentemente dal fatto che possa soddisfare il loro bisogno fisiologico. Perché il piccolo di macaco preferisce il pupazzo di stoffa a quello di metallo che gli dà il cibo? Il piccolo di macaco preferisce il pupazzo di stoffa perché il bisogno di conforto e sicurezza è più forte del bisogno fisiologico di cibo. La morbidezza e la rassicurazione che offre la madre di pezza sono più importanti per il piccolo rispetto alla sola funzione nutrizionale. Lo scopo dell’attaccamento, secondo Bowlby, non è la semplice riduzione dei bisogni fisiologici, ma la creazione di legami con le figure primarie che garantiscano protezione dall’adulto, aumentando la possibilità di sopravvivenza e la capacità di adattamento in presenza di minacce (in termini evoluzionistici). Sono 3 i concetti centrali nella teoria dell'attaccamento di Bowlby: 1) Legame: un legame che unisce due persone nello spazio e che si protrae nel tempo. 2) Bisogno: il bisogno di contatto e di conforto che spinge il bambino a cercare la figura di attaccamento. 3) Teoria spaziale: il bambino si sente sicuro e a suo agio quando è vicino al caregiver. Lo sviluppo del legame di attaccamento Alla nascita, il bambino non distingue ancora le persone che lo circondano, ma con il passare del tempo inizia a riconoscere e a discriminare le persone con cui entra in contatto. Dal nono mese, la relazione con la figura di attaccamento diventa più stabile: il bambino cerca di richiamare l'attenzione del caregiver e lo utilizza come base sicura per esplorare l'ambiente, cercando al contempo protezione e approvazione. Il comportamento di attaccamento rimane stabile fino ai tre anni, quando il bambino acquisisce la capacità di sentirsi sicuro anche in ambienti nuovi e sconosciuti. L'esplorazione dell'ambiente circostante avviene con un alternarsi tra allontanarsi e riavvicinarsi alla figura di attaccamento, per evitare l'angoscia di sentirsi abbandonato. Una solida base familiare permette al bambino, poi all'adolescente e infine all'adulto, di intraprendere esplorazioni sempre più lontane. Questi modelli rimangono costanti nel corso della vita e fungono da base per la costruzione di nuovi legami affettivi. La base sicura L'attaccamento si sviluppa attraverso due comportamenti principali:  Accostamento (aggrapparsi, seguire, succhiare per scopi non alimentari), che ha l’obiettivo di avvicinare il bambino al caregiver.  Segnalazione (pianto, sorriso, gesti, vocalizzi, richiami), che serve a richiamare l'attenzione del caregiver, per farlo riavvicinare al bambino. Tramite l’interazione tra il comportamento del bambino e le risposte dell'adulto, il caregiver diventa una base sicura, un "luogo" a cui il bambino può fare riferimento: si allontana da essa per esplorare il mondo circostante e vi ritorna quando ha bisogno di conforto o in presenza di difficoltà e minacce. Secondo Donald Winnicott, alla nascita il bambino non è ancora un individuo separato, ma è fuso con la realtà esterna, poiché non ha consapevolezza dei confini tra il dentro e il fuori. Per uno sviluppo sano, il bambino ha bisogno di una madre "sufficientemente buona", capace di adattarsi ai suoi bisogni. Winnicott afferma che il caregiver debba: Contenere l’HOLDING Manipolare l’HANDLING Il caregiver sostiene fisicamente ed emotivamente Il contatto corporeo della madre definisce i confini il bambino, proteggendolo da stimoli eccessivi e fisici del bambino, contribuendo a farlo sentire aiutandolo a sentirsi sicuro. integrato e protetto. Mary Ainsworth Mary Ainsworth ha studiato l'attaccamento utilizzando un metodo sperimentale chiamato Strange Situation Procedure (Procedura della Situazione Straniera), che consente di osservare le differenze individuali nella sicurezza dell'attaccamento nei bambini di età compresa tra 12 e 18 mesi. L'obiettivo di questo esperimento è esporre il bambino a situazioni di stress moderato, come separazioni e ricongiungimenti con il caregiver, per osservare i comportamenti innati di ricerca di vicinanza affettiva e comfort. La Strange Situation Procedure si svolge in un laboratorio con un contesto non familiare e comprende 8 episodi, ciascuno della durata di 3 minuti, per un totale di 30 minuti di osservazione. Ogni episodio valuta diversi aspetti del comportamento del bambino: 1. Introduzione: Il caregiver e il bambino entrano nella stanza con molti giocattoli. Il bambino inizia a esplorare l'ambiente mentre il caregiver è passivo. Se necessario, l'osservatore stimola il gioco del bambino. 2. Entrata dell'estraneo: Un estraneo entra nella stanza, inizialmente non interagisce, ma poi comincia a parlare con il caregiver e successivamente con il bambino. Si osserva la reazione del bambino, come utilizza il caregiver per valutare la situazione, e quanto si lascia coinvolgere dall'interazione. 3. Primo episodio di separazione: Il caregiver esce dalla stanza, lasciando il bambino da solo con l'estraneo. Si osserva la reazione del bambino al disagio e alla separazione. 4. Primo episodio di ricongiungimento: Il caregiver ritorna e il bambino si ricongiunge con lui. Si valuta come il bambino si comporta durante il ricongiungimento. 5. Secondo episodio di separazione: Il caregiver esce nuovamente dalla stanza, lasciando il bambino da solo. 6. Rientro dell'estraneo: L'estraneo rientra nella stanza e si osserva come il bambino reagisce e se si lascia confortare dall'estraneo come figura sostitutiva del caregiver. 7. Secondo episodio di ricongiungimento: Il caregiver torna nella stanza, saluta il bambino e lo prende in braccio, mentre l'estraneo se ne va senza fare rumore. Viene osservato come il bambino reagisce al ritorno del caregiver. Durante l'intero esperimento, vengono osservati vari indicatori, come l'ansia da separazione, l'esplorazione, la paura dell'estraneo e il comportamento di ricongiungimento, per valutare il livello di sicurezza dell'attaccamento del bambino. Pattern di attaccamento Attaccamento Sicuro Con il caregiver presente Momento della separazione Momento del ricongiungimento Il bambino mostra segnali di: Il bambino mostra segnali di: Il bambino mostra segnali di:  relativa autonomia  stress o di disagio in  attaccamento nei nell’esplorazione relazione all’assenza confronti del genitore dell’ambiente della figura di  richiede contatto fisico e  ricercare in modo attivo attaccamento consolazione della partecipazione  può lasciarsi coinvolgere  manifesta i propri bisogni dell’adulto dal gioco con l’estraneo psicologici di conforto e di protezione  si lascia consolare e riprende subito il gioco  non manifesta esitamento o resistenze verso il genitore A 1 anno: A 6 anni: Dopo la separazione, il bambino cerca Dopo la separazione, il bambino inizia una piacevole interazione contatto fisico, prossimità e interazione con il caregiver o risponde positivamente alle sue proposte. Il con il caregiver. Una volta ricevuto bambino può avvicinarsi o cercare contatto fisico (ad esempio conforto, si tranquillizza rapidamente e per prendere un gioco) e rimane calmo durante tutta l’attività, ritorna a esplorare e giocare mostrando una buona regolazione emotiva. Attaccamento insicuro-evitante Con il caregiver presente Momento della separazione Momento del ricongiungimento Il bambino mostra segnali di: Il bambino mostra segnali di: Il bambino mostra segnali di:  autonomia e  pochi segni di disagio e di  maggiore indipendenza, indipendenza ricerca nei confronti del autonomia e  maggiormente centrati caregiver autosufficienza affettiva sull’esplorazione (es. nei confronti del caregiver giocattoli)  tendenza a inibire la manifestazione dei  propri bisogni psicologici di conforto e protezione A 1 anno: A 6 anni: Dopo la separazione il bambino evita Dopo la separazione, il bambino minimizza o limita le o ignora attivamente il caregiver, opportunità di interazione con il caregiver, rivolgendo lo sguardo altrove e guardandolo e parlandogli solo se necessario e tenendosi occupato con i giocattoli. tenendosi occupato con giochi o attività. Attaccamento insicuro-ambivalente Con il caregiver presente Momento della separazione Momento del ricongiungimento Il bambino mostra segnali di: Il bambino mostra segnali di: Il bambino mostra segnali di:  minore capacità del  notevole disagio e  difficoltà e resistenza a bambino di esplorare sconforto lasciarsi consolare l’ambiente in modo  non esplora l’ambiente  rabbia e ambivalenza autonomo verso il caregiver (es.  minore capacità di sentimenti di rabbia o da interagire con la figura passività implacabili estranea quando il caregiver tenta di consolare) A 6 anni: KA 1 anno: Sebbene sembri desiderare vicinanza e Sebbene provi a cercare la vicinanza del caregiver contatto, dopo la separazione il caregiver non tramite il movimento, la postura e il tono della riesce ad alleviare il malessere e la rabbia del voce, esagerandone l'intimità e la dipendenza, bambino, che cerca la prossimità ma mostra dopo la separazione il bambino potrebbe mostrare resistenza. disagio (es. stare in braccio al caregiver, ma agitandosi e divincolandosi) e segni di ostilità. Attaccamento disorganizzato Alla fine degli anni '80 Mary Main, Nancy Kaplan e Jude Cassidy identificarono un nuovo pattern definito attaccamento disorganizzato, caratterizzato dalla mancanza di una strategia organizzata nei comportamenti del bambino. Questo tipo di attaccamento si distingue per alcune caratteristiche evidenti:  Movimenti contraddittori: Il bambino mostra comportamenti che appaiono incoerenti o opposti  Disorientamento: Il bambino sembra perdere l'orientamento nell'ambiente circostante, mostrando confusione riguardo a come reagire e comportarsi.  Atteggiamenti corporei e espressivi: Il bambino manifesta paura, confusione e rigidità nei suoi atteggiamenti e nelle espressioni facciali e corporee, segno di un'emotività contrastante e difficile da gestire. Nel complesso, il bambino con attaccamento disorganizzato mostra comportamenti che, a prima vista, possono sembrare simili a quelli di bambini con attaccamento sicuro, evitante o ambivalente. Tuttavia, in momenti specifici, il bambino appare privo di una strategia coerente nel suo comportamento verso il genitore. I comportamenti disorganizzati emergono principalmente quando il genitore è presente, specialmente durante i momenti di riunione dopo una separazione. Questo suggerisce che non si tratti di una caratteristica fissa del bambino, ma piuttosto di un tratto che definisce la relazione tra il bambino e il genitore. L'attaccamento è influenzato dallo stile genitoriale: - Un caregiver sensibile e responsivo tende a favorire un attaccamento sicuro. - Un caregiver distanziante o rifiutante può essere associato a un attaccamento insicuro. L'attaccamento tende a rimanere generalmente stabile nel tempo, evolvendo da u