Psicologia dello Sviluppo - Lezione 26/11 PDF
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Appunti di psicologia dello sviluppo, concentrati sulla competenza emotiva. Vengono presentate le tre dimensioni principali: espressione, comprensione e regolazione delle emozioni, con esempi e riflessioni. L'accento è posto sull'importanza della competenza emotiva per l'adattamento sociale e sulla comunicazione delle emozioni, dai neonati agli adulti.
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PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO – LEZIONE 26/11/2024 Ricollegandoci a quanto ci siamo detti ieri. Stavamo parlando di competenza emotiva. La competenza emotiva richiede e comprende una serie di abilità, di capacità e il modo in cui poi vengono utilizzate nella vita quotidiana per esprimere emozioni, per...
PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO – LEZIONE 26/11/2024 Ricollegandoci a quanto ci siamo detti ieri. Stavamo parlando di competenza emotiva. La competenza emotiva richiede e comprende una serie di abilità, di capacità e il modo in cui poi vengono utilizzate nella vita quotidiana per esprimere emozioni, per riuscire a riconoscerle e comprenderle, per riuscire a regolarle. Ha a che fare sia con le proprie emozioni sia con le emozioni dell'altro. Quindi la competenza emotiva è sia sapere esprimere le emozioni in modo appropriato rispetto al contesto nel quale mi trovo sia la capacità di riconoscere e comprendere le emozioni che sta provando l’altro. Dicevo che ci sono tante teorie rispetto alla competenza emotiva, tra cui ricadono l’intelligenza emotiva che non è esattamente sovrapponibile con la competenza pur avendo alcuni aspetti che sono comuni, ma la competenza sottolinea maggiormente l’applicabilità in uso nella vita quotidiana. È molto operativa e molto concreta. Sono diverse le prospettive sulla competenza emotiva. Per esempio uno studioso??? elenca 9 abilità tutte legate alla competenza emotiva. Susanne Denham riprendendo la letteratura precedente organizza su 3 dimensioni, questa modalità di organizzazione è piuttosto funzionale, uno non deve entrare nello specifico su alcune di queste competenze, ma ci consente di avere un quadro sufficientemente chiaro di cosa sia la competenza emotiva e perché sia così importante. Le 3 dimensioni sono: l’espressione, il riconoscimento e la comprensione delle emozioni, e la regolazione delle emozioni. Sono tutte e tre importanti e fortemente collegate tra di loro. Non ci può essere la regolazione delle emozioni se non c’è il riconoscimento e la comprensione delle emozioni. Sono tre dimensioni che non viaggiano ognuna per conto proprio ma sono strettamente collegate. Abbiamo detto già la parte sull’espressione delle emozioni, la riprendiamo velocemente e poi andiamo avanti. L’espressione delle emozioni è quella dimensione che ha a che fare con il modo in cui mostriamo all’esterno l’emozione che noi proviamo, il vissuto interno, che non sempre corrisponde a ciò che noi manifestiamo o all’intensità dell’emozione che noi manifestiamo. Comunicare. Noi esprimiamo l’emozione attraverso il canale verbale principalmente quando abbiamo acquisito il linguaggio, ma lo facciamo anche in modo molto spontaneo, molto automatico, anche attraverso la comunicazione non verbale. Il corpo, lo sguardo, la postura, i gesti, i comportamenti sono tutti canali attraverso i quali comunichiamo informazioni e esprimiamo emozioni. Quando abbiamo una discrepanza tra livello verbale e livello non verbale, tendenzialmente tendiamo a prendere come più veritiera la comunicazione che arriva attraverso il canale non verbale, proprio perché è molto più difficile da controllare rispetto al canale verbale. Tendiamo ad affidarci più a questo tipo di informazione piuttosto che sulle parole. La seconda componente è quella della comprensione delle emozioni. Io ho detto riconoscimento e comprensione perché sono due aspetti diversi che nascono dalla stessa dimensione, su cui ci soffermeremo tra poco. La comprensione delle emozioni ha a che fare con tutta una serie di conoscenze che sono fondamentali nel nostro adattamento al mondo, sono fondamentali nella competenza emotiva, che comprende: il sapere che cosa sono le emozioni, come io provo certe emozioni, il sapere riconoscere le emozioni che provo e dare un nome alle emozioni. So che l’emozione che provo è rabbia, delusione, tristezza, orgoglio. So dare un’etichetta, un nome a quell’emozione. Non è solo il riconoscere le diverse emozioni, il sapere come io provo e quale emozione io sto provando in un dato momento, ma anche capire e conoscere quali sono i fattori che possono esercitare una certa emozione: la rabbia si prova in un certo tipo di circostanze. E’ sapere quali tipi di comportamento possono essere abbinati a quell’emozione, cosa segue di solito. Pensate ai bambini della scuola dell’infanzia che quando vedono il comportamento di un altro bimbo- compagno possono dire: “E’ triste perché mamma se n’è andata”, mentre quando mamma torna e lo saluta dire: “Adesso è felice perché mamma è arrivata”. Ripensate a quanto detto sulla teoria della mente. Riconoscere nel comportamento dell’altro la causa che può aver esercitato quell'emozione. Ovviamente con le emozioni più semplici. Per le altre i bambini non saranno capaci, non saranno in grado di comprendere a cosa ci riferiamo né sapranno individuarne le cause o le conseguenze, poi man mano questa competenza aumenta. Rientra nella comprensione delle emozioni anche la conoscenza di cosa posso fare per regolare le emozioni e regolare il mio comportamento. Questa parte, la conoscenza, il modo in cui io utilizzo questa conoscenza, quindi l’applicazione delle strategie per monitorare il mio comportamento e limare il livello di emozione che provo, controllare il comportamento che metto in atto quando provo una particolare emozione è l’oggetto principale della terza dimensione che è quella di monitoraggio e regolazione delle emozioni. Altro aspetto fondamentale per il nostro adattamento alle emozioni, il nostro adattamento al mondo. E’ ciò che ci consente di osservare come stiamo, di capire e monitorare nel corso del tempo la nostra capacità emotiva e mettere in atto delle strategie che ci consentono di attenuare o aumentare il livello di attivazione emotiva che sto provando. Quindi lavorare proprio sull’emozione soggettiva provata e controllare il comportamento in modo che il comportamento sia espresso, come ci dice la prima dimensione, in linea con gli obiettivi e le caratteristiche del contesto. Ovviamente questa terza dimensione è strettamente collegata alle altre due dimensioni. Ieri ci eravamo soffermati sulla espressione delle emozioni. Sappiamo già che la capacità e la possibilità di comunicare qualcosa dei vissuti interni è innata. Noi sappiamo già che è emozione il sorriso del neonato, per la teoria differenziale dello sviluppo emotivo, per altri autori non possiamo chiamarla ancora vera è propria emozione, sono dei prototipi fisiologici, come per la teoria della differenziazione emotiva, ma l’assunzione chiave è sempre la medesima: comunicare qualcosa all’esterno rispetto allo stato interno, esprimere un’informazione rispetto allo stato interno che caratterizza il neonato. Neonato capace fin da subito di comunicare il proprio stato interno attraverso la comunicazione non verbale, il sorriso e il pianto che sono la tipica modalità di espressione emotiva in prima infanzia, fondamentale perché il caregiver (mamma, papà e chi si relaziona con quel neonato) coglierà quell’espressione emotiva e la leggerà come l’emozione che il bambino sta provando in questo momento. E’ agitato, piange, è triste, ha bisogno di qualcosa oppure è felice, in uno stato di benessere, è tranquillo. Sulla base della lettura di questa espressione emotiva organizzerà il suo comportamento. Quindi questa espressione emotiva del neonato è un elemento fondamentale per la costruzione dell’ingresso nella relazione di altri, di chi si prende cura di lui. Vedete che stiamo parlando di un neonato che non ha un ruolo passivo, ma un ruolo attivo: attraverso la comunicazione del suo stato interno, fa qualcosa che impatterà sulla risposta del caregiver, che potrà essere coerente rispetto all’emozione manifestata dal bambino oppure non coerente, se fa fatica a cogliere l’emozione comunicata dal bambino, però il messaggio del bambino è stato letto, è stata vista questa emozione. Quindi questa comunicazione emotiva che nasce dal bambino è il punto centrale nella costruzione dell’interazione diadica di attaccamento che sappiamo essere una componente essenziale dello sviluppo non solo emotivo, ma generale del bambino. Il bambino è in grado di rispondere in modo coerente all’interazione dell’altro, ci ritorneremo, per cui adesso non ci fermiamo. Abbiamo accennato al lessico emotivo, ne abbiamo già parlato, questo è un altro punto molto importante: man mano che i bambini sviluppano il linguaggio, il loro vocabolario emotivo aumenta, ovviamente in modo parallelo al loro vocabolario e alle loro capacità di comunicazione, non è che lo utilizzino, che riescano a utilizzare il lessico emotivo così perché per la biologia il bambino sa utilizzare il lessico emotivo, ma perché imparano a utilizzarlo. Quando osserviamo bambini e bambine che crescono, vediamo che intorno ai 2 anni cominciano a utilizzare parole che fanno parte del lessico emotivo. Iniziano a utilizzare riferimenti al loro stato interno (felice, triste, arrabbiato) e allo stato interno degli altri, quindi riescono a usare il lessico emotivo sia riferito a sé stessi sia riferito agli altri. A implementare la capacità di riconoscere le emozioni proprie e dell’altro. Ovviamente all’inizio con le emozioni più semplici, basiche, alcune delle emozioni primarie e poi pian piano allargando il campo. Perché l’utilizzo del linguaggio è così importante? Perché il linguaggio permette un salto, un passaggio: quello di staccarsi dalle emozioni e riuscire a rappresentarle. Il linguaggio, lo aveva già raccontato Piaget e ormai lo sapete, richiede la capacità simbolica: utilizzo una forma astratta, un segno astratto che rimanda al concetto concreto. Ma nel momento in cui io mi sto dicendo: “Io sono arrabbiato”, già questo passaggio mi consente di guardarmi mentre sono arrabbiato. Questo favorisce processi di riconoscimento delle emozioni, ma anche e soprattutto di comunicazione delle emozioni. Quando il bambino, la bambina diventa in grado di dire: “Sono arrabbiato”, è il primo passaggio che gli consente di non prendere a calci qualcosa per sfogare la sua rabbia, ma di cominciare a fermarsi e non agire sulla base dell’impulso dell’emozione (ricordatevi che le emozioni ci portano a fare qualche cosa, qualche volta non funzionale rispetto agli obiettivi del contesto o rispetto ai miei obiettivi personali). Nel momento in cui io inizio a utilizzare il linguaggio posso rappresentarmi il vissuto che sto provando e rielaborare quel vissuto e questo è il primo passaggio fondamentale per poi riuscire a controllare il mio comportamento. Mi consente di non agire più sull’onda dell’emozione, ma di pensare a come sto e quindi fermarmi. Non agisco più di pancia, ma posso riuscire non a eliminare l’emozione, questo non è l’obiettivo, ma monitorare ciò che accade. Questo passaggio è fondamentale. Se io non posso dirmi che sono arrabbiato perché non riesco a utilizzare il linguaggio, la rappresentazione di ciò che mi sta accadendo, è molto più facile che io agisca sull’onda delle emozioni. Ieri poi abbiamo parlato delle regole di esibizione, di display rules descritte da Ekman. Le regole di esibizione fanno riferimento alle norme sociali, sono culturalmente situate, vuol dire che alcune display rules sono valide qui in Italia e valide qui in Piemonte, ma sono meno valide in altri contesti culturali. Ho fatto l’esempio apposta sulle regioni, per dire che sono molto territoriali, in alcuni casi sono molto specifiche. Alcune sono generali e valgono, sono condivise da un determinato contesto sociale e culturale, altre sono molto specifiche. Sono regole che ci dicono quali emozioni possono essere manifestate, in quale modo e in quale contesto. Norme fondamentali che favoriscono l’adattamento sociale, quindi la relazione all’interno del gruppo, perché servono per dire ciò che accade, so che cosa posso aspettarmi. Le norme sociali e culturali ci dicono come è lecito e come non è lecito manifestare quale emozione e in quale contesto e anche i bambini nel corso del loro sviluppo devono imparare a utilizzare queste regole. Non imparano le regole, che sanno che sono delle regole, ma imparano a utilizzarle, a farle proprie. Imparano molto precocemente a utilizzarle. Ieri facevamo tutta una serie di esempi su bambini molto piccoli, cioè già prima dei 3-4 anni alcune regole sono utilizzate in modo spontaneo dai bambini. La consapevolezza di utilizzare una regola è quella che compare dopo in età scolare a partire dai 6-7 anni. Vuol dire che in età pre-scolare i bambini e le bambine cominciano a utilizzare le regole di esibizione delle emozioni, non sono però consapevoli del fatto che stanno mollando, lo fanno e basta, lo fanno in modo automatico, inconsapevole. Saranno consapevoli di ciò che stanno facendo soltanto dai 6-7 anni. Quali sono queste regole di esibizione delle emozioni? Ekman descrive 4 gruppi di regole. - Massimizzazione - Minimizzazione - Mascheramento - Sostituzione Le prime due regole massimizzazione e minimizzazione sono più semplici da utilizzare. Già nel primo anno di vita, bambini e bambine sanno utilizzare queste regole, che li portano a massimizzare, cioè amplificare la manifestazione delle emozioni che stanno provando o minimizzare quell’espressione. Sanno per esempio aumentare il livello di pianto, sanno anche fare al contrario cioè piangere molto meno di quanto dovrebbero fare perché sanno che in quelle circostanze è meglio non fare. Lo sanno fare alla fine del primo anno e molto bene. Quindi sanno utilizzare molto bene già nel secondo anno di vita massimizzazione e minimizzazione. Le sanno usare, non sanno di utilizzare una regola, lo fanno. Le regole di mascheramento e sostituzione sono un po’ più complesse, ma a 3 anni i bambini sanno già mostrare il sorriso alla nonna che gli ha fatto un bel regalo che loro non hanno apprezzato, sanno sostituire l’emozione che provano con un’emozione di circostanza o sanno nascondere l’emozione che stanno provando con un sorriso. Massimizzazione sono tutte quelle regole che ci dicono in quali contesti è meglio aumentare, mostrarsi più emozionati, aumentare il livello di emozione rispetto a quello che provo. Minimizzazione sono tutte quelle regole che ci dicono in quali circostanze è meglio mostrare un livello di intensità delle emozioni provate minore. Non stiamo parlando dell’emozione che provo, ma come mostro l’emozione. Il mascheramento corrisponde al nascondere l’emozione che provo, a mascherarla con una nuova espressione, quel sorriso di circostanza. La sostituzione è quella che ci porta a sostituire un’emozione con un’altra, quindi mostro un’emozione diversa rispetto a quella che provo. E’ la regola più complicata da utilizzare, perché richiede maggiore controllo, ed è anche la regola più difficile da comprendere, perché bambini e bambine imparano più avanti che ci può essere questa ambivalenza, cioè che posso provare un’emozione diversa da quella che mostro e che anche l’altro può mostrare un’emozione, ma in realtà provarne un’altra. E’ qualcosa che soltanto più avanti si diventa più consapevoli. Quindi la quarta regola, la sostituzione, è la più difficile. I bambini la sanno utilizzare prima, ma sono consapevoli di questa ambivalenza, di questa discrepanza che ci può essere tra la manifestazione esterna delle emozioni e il vissuto soggettivo soltanto un po’ più avanti nel tempo. Ieri ci eravamo fermati qui. La comprensione delle emozioni Proviamo a parlare della seconda dimensione: la comprensione delle emozioni. Che cos’è la comprensione delle emozioni? E’ la capacità di riconoscere un’emozione che provo io, che prova l’altro, quindi dare un’etichetta a quella emozione. Riconoscere che io sto provando un’emozione, riconoscere che emozione sto provando. Riconoscere che l’altro sta esprimendo, sta provando un’emozione e attribuire un’etichetta corretta all’emozione che sta provando l’altro. Conoscere le cause che possono aver portato a quell’emozione mia e dell’altro. Avere consapevolezza di cosa può seguire a quell’emozione, quali sono i comportamenti suscitati da quell’emozione. E sapere che esistono delle possibilità per modulare quell’emozione. Fondamentale perché è un passo prima della regolazione delle emozioni. Se non posso riconoscere che sto provando l’emozione della rabbia, che sono arrabbiato, che le cause della rabbia sono queste e le conseguenze possono essere quest’altre, io non posso mollare, non sono consapevole di provare quell’emozione, che quell’emozione mi può portare a fare qualche cosa di dannoso per me o per l’altro, io non potrò modulare quell’emozione. Quindi la possibilità di riconoscere e comprendere l’emozione è il primo step di consapevolezza dell’emozione, il primo passaggio fondamentale per regolare sia il mio stato interno sia il comportamento che ne deriva. Comprensione è un termine complesso che richiede tutta una serie di capacità che comprendono, ma anche capacità cognitive. Quindi si sviluppa nel corso del tempo, ma se noi osserviamo i bambini molto piccoli vediamo delle precoci capacità di riconoscimento delle emozioni dell’altro. E già nel primo anno bambini e bambine mostrano una precoce capacità di riconoscere l’espressione sul volto dell’altro. E già notiamo che il comportamento dei neonati è strettamente legato all’emozione espressa da chi è davanti a loro (dal caregiver, dal genitore, dalla mamma, dal papà, dalla babysitter, da chi volete, …). Il riconoscimento delle emozioni dell’altro Perché possiamo dire questo? Innanzitutto perché, l’abbiamo già detto, pensate quando abbiamo parlato dello sviluppo neonatale e abbiamo detto che i neonati hanno una preferenza per i volti umani. E se noi osserviamo dove i neonati puntano lo sguardo, quando soffermano la loro attenzione, vediamo che in particolare sono due le zone del volto che vengono osservate: gli occhi e la bocca della persona che sta davanti a loro, che sono proprio le parti del volto che esprimono maggiormente le emozioni. Quindi lo sguardo si fissa maggiormente su queste parti del volto. Il fatto che il neonato abbia una preferenza selettiva Il fatto che il neonato osservi più a lungo certe espressioni (i volti sorridenti, volti che esprimono questo tipo di vissuto emotivo) rispetto ad altri tipi di volti, denota per il volto umano, certo che lo dispone a notare delle variazioni nell’espressione dei volti umani. E poi se ancora osserviamo quanto a lungo fissa i volti umani, noteremo una differenza. La ricerca ci racconta che i neonati tendono a guardare più a lungo volti sorridenti, rispetto a volti che mostrano emozioni a valenza edonica negativa, per esempio rabbia. che sono in grado di discriminare tra questi due vissuti emotivi, che c’è una preferenza per una tipologia di espressione emotiva piuttosto che un’altra. Riconosce queste espressioni facciali. Molto precocemente poi il neonato comincia a dare risposte coerenti rispetto alle emozioni mostrate dalla madre, dal caregiver, dal genitore più in generale. Quando la mamma sorride, il bambino sorride. È vero che c’è in gioco anche il processo di imitazione, magari quando vede il sorriso della mamma, imita l’espressione della mamma, ma non è solo quello. Noi vediamo che anche il comportamento della bambina e del bambino già nel primo anno è fortemente legato all’emozione del genitore. Anche ad esempio il comportamento di curiosità e di esplorazione del bambino, anche quando comincia per esempio ad avere una prima possibilità di movimento autonomo, inizia a gattonare, cambia molto a seconda dello stato emotivo interno del genitore. Questo per esempio, l’altissima quantità di studi condotti sulle mamme che hanno vissuti di depressione, ci racconta quanto questo impatti infatti sul comportamento dei bambini e delle bambine, oltre che sulle manifestazione delle emozioni di questi figli e queste figlie. Gli studi condotti su famiglie nelle quali la mamma mostra sintomi di depressione mostrano che i bambini e le bambine già nel primo anno giocano di meno, esplorano di meno, sono meno curiosi, hanno un comportamento più ritirato, mostrano meno espressioni emotive di gioia e felicità, sorridono meno. Quindi è il vissuto emotivo del genitore che impatta non soltanto sull’espressione emotiva del bambino e della bambina già nel primo anno, ma anche su tutta una serie di suoi comportamenti. Questo comincia a dirci che ciò che accade nei primi anni di vita è importante per lo sviluppo dei bambini e delle bambine, per la competenza emotiva, che infatti ha un importante sviluppo nel periodo pre-scolare, nei primi 3 anni di vita. Ovviamente se qualcosa non accade in questi 3 anni non è irrecuperabile. È un periodo sensibile per lo sviluppo della competenza emotiva, ma fortunatamente tutto può essere col tempo rivisto e rimodulato. L’interazione diadica tra bambino e caregiver Quali altri studi ci raccontano questa capacità precoce dei neonati? Una serie di studi che si sono occupati di bambini molto piccoli e di come l’interazione diadica, quindi l’interesse è sempre non sul bambino da solo, ma sul bambino in interazione con, l’interazione diadica. Si sono osservate le interazioni tra bambino e caregiver, in particolare con la madre, ma funziona allo stesso modo anche con le figure maschili, e quindi col padre. E si osserva qualcosa di particolare: nell’interazione precoce noi osserviamo, quando funziona, una buona sintonia tra il bambino e chi si sta prendendo cura di lui. Significa che tendenzialmente in alcune delle sequenze di interazione tra il neonato/il bambino piccolo e il caregiver noi notiamo una combinazione, una regolazione emotiva comune. Regolazione è un termine che si utilizza in questo caso, una regolazione diadica. Quando un bambino manifesta l’emozione per esempio della gioia, il genitore si sintonizza su quell’emozione, sorride a sua volta e così avviene uno scambio in cui l‘emozione condivisa è il punto di partenza per costruire l’interazione diadica. In altri casi, quando per esempio il bambino manifesta il disagio attraverso il pianto, il genitore si sintonizza su quell’emozione, cioè riconosce quell’emozione, e attraverso il suo comportamento denota la comprensione di quell’emozione. Per esempio dice: “Oh, sei triste?”. Cerca di aiutare il bambino a stare un po’ meglio, utilizzando qualche strategia, che poi diventerà regolare nel tempo. Questa sintonia emotiva che caratterizza i due attori nell’interazione diadica precoce è fondamentale. È un pezzo fondamentale delle nostre relazioni anche quando siamo grandi. Quando siamo in relazione, parliamo con il nostro partner, questa ricerca di essere sintonici dal punto di vista delle emozioni è fondamentale. E quando ci accorgiamo che l’altro non c’è, perché magari io gli parlo di una cosa importante e lo vedo, lo sento assente, facciamo qualcosa per richiamarlo, useremo delle strategie che sono quelle di un adulto, non quelle di un bambino di un anno, ma l’obiettivo è lo stesso: “Torna qui, dammi attenzione che sto dicendo qualcosa di importante. Lo senti che sono arrabbiato? Triste? Felice?,…” Però questa ricerca di contatto, di sintonia è un livello fondamentale. Quando viene meno l’interazione si cerca di ricostruire, di richiamare. Lo fanno i bambini molto piccoli con le poche strategie che hanno a disposizione. Lo facciamo anche noi grandi con altre modalità e altre strategie. Gli studi Still Face di Tronick Che cosa ci ha raccontato la letteratura? La letteratura, in particolare Edward Tronick, attraverso una serie di studi che hanno individuato un protocollo particolare, che lui chiama Still Face, hanno raccontato come questa regolazione diadica avvenga e sia possibile e quale caratteristiche ha. Descrivendo quindi queste precoci capacità di bambini e bambine di cogliere qualcosa delle emozioni dell’altro e di modulare il proprio comportamento sulle emozioni dell’altro. Stiamo parlando di bambini che hanno 3-6 mesi, che vengono seduti sulla sdraietta, perché ancora non hanno la possibilità di stare seduti da soli sulla sedia, che si trovano in una interazione diadica vis-à- vis con il loro caregiver, con la mamma ad esempio, non cambia nulla se abbiamo il papà. La sequenza è abbastanza standard: all’inizio dello studio si chiede al genitore di interagire come farebbe normalmente a casa, di iniziare un’interazione diadica con il bambino seduto davanti a sé il più normale possibile. E qui si comincia ad osservare come questa interazione sia fatta, esattamente come in alcuni video che abbiamo visto, con questa ricerca, l’utilizzo del linguaggio, la marcatura espressiva molto sottolineata e il bambino che risponde. Tutto quello che abbiamo già citato. Due minuti circa che avvengono in questo modo e poi si chiede al genitore presente di modificare la sua interazione, di interrompere la sua interazione, assumendo una Still Face: un volto immobile. Vuol dire che il genitore è lì, presente davanti al bambino, alla bambina, non se ne va, ma smette di essere responsivo, sintonico, è immobile. E si osserva come il bambino o la bambina reagisce a questo cambiamento. Per due minuti. E dopo due minuti il genitore ricomincerà ad interagire normalmente. Che cosa accade nei due minuti di skill face? Innanzitutto che di solito il bambino o la bambina davanti al genitore si accorge che c'è qualche cosa di strano. Comincia ad utilizzare tutta una serie di strategie comportamentali che ha a disposizione, prima di tutto per richiamare l'attenzione del genitore: piange, urla, indica, inizia a muovere le braccia a seconda dell’età che ha. Mette in atto qualcuno di questi comportamenti per cercare di richiamare l'attenzione del genitore e poi fa qualche cosa tipo distogliere lo sguardo, guardare altrove, che serve per abbassare il suo livello di attivazione, alternando alcuni comportamenti di ricerca e di ricambio dell'attenzione con alcuni comportamenti di alta consolazione. Fino a quando, dopo un po', rinuncia a richiamare l'attenzione del genitore. Quando il genitore ritorna in sintonia con il bambino che si risintonizza sull'emozione del bambino, lo scatto è abbastanza rapido, quindi, a seconda delle caratteristiche, delle circostanze, il bambino o la bambina nel giro di poco tempo subito rientra nel nuovo ingaggiato, nell'interazione con il genitore, subito rientra e di nuovo viene ricostruita questa sintonia, questa mutua regolazione. Visione video: Still Face Experiment- E. Tronick Quindi vedete che già i bambini molto piccoli in questa sequenza d'interazione che viene interrotta, il genitore è lì fisicamente presente, ma emotivamente assente, non è più sintonico. Se avete visto tutta la prima sequenza di interazione, la sintonia emotiva, il coordinamento emotivo e la comunicazione emotiva è parte essenziale dell'interazione diadica che nei primi mesi si basava su questo. Quando viene a mancare, il bambino si accorge che c’è qualcosa che non funziona. È come se si fosse già costruito delle aspettative, come il genitore deve essere nell'interazione con l'altro, quando qualcosa non torna mostra disagio. Prima ci prova, richiama l'attenzione dell’altro, alterna comportamento di ricerca di attenzione con guardare altrove, mostrare il suo disagio, fino a quando la mancanza di sintonia è prolungata, allora distoglie completamente lo sguardo. Però avete visto la possibilità di ricostruire questa regolazione emotiva e questa sintonia. Questo è un punto fondamentale. Cioè ci racconta che nella vita quotidiana i momenti di sintonia perfetta, come i primi due minuti che ogni tanto abbiamo nella skill face, sono una piccola percentuale delle interazioni quotidiane tra i bambini e i loro caregiver nella vita normale. Ma ciò che diventa importante non è la sintonia perfetta. Lo accennava alla fine anche di questo video, ma la possibilità che diamo ai bambini di perdere quella sintonia e di poterla ricostruire, perché è lì che si cresce, lì che costruisco qualche cosa di nuovo. Nessun genitore è un automa, che funziona al 100%, quindi sempre perfettamente sintonico e capace di regolarsi rispetto al comportamento del bambino. Ma un genitore sufficientemente buono è quel genitore che è in grado di rendersi conto quando ha perso la sintonia e fa qualcosa per ritrovarla. Ed è in quel momento che il bambino acquisisce molta conoscenza, molta competenza emotiva, innanzitutto rispetto alla sua capacità di riuscire a comunicare l'altro efficacemente e di ingaggiare una relazione. E lì si costruisce qualche cosa di nuovo, di buono, lì si costruisce un'interazione. Questa possibilità di perdere, di ricostruire la sintonia emotiva, la regolazione emotiva è fondamentale. Ovviamente è fondamentale che ci sia, però non è grave, non crea chissà quale trauma il fatto che ogni tanto il genitore non sia sintonico rispetto all’emozione del bambino. E’ normale. Diventa fondamentale il come si sta in quella perdita di sintonia. Gli studi condotti in contesto naturale, tra l'altro, ci raccontano che i bambini e le bambine molto precocemente sono capaci di discriminare situazioni diverse in cui viene persa la sintonia. Cioè se in una situazione di interazione diadica bambino-genitore, il genitore riceve una telefonata e risponde al telefono o parla con una persona nell'altra stanza, la reazione del bambino di solito è diversa. Non è questa. È come se si accorgesse che il genitore non è assente dalla relazione ma è impegniamo in altro. La ricerca ci dice però anche che le differenze individuali nell’interazione già a 3-4 mesi sono molto elevate. Poi ci ritorneremo. La ricerca di sintonia e di mutua regolazione è importante nei bambini molto piccoli, ma è anche importante e continuerà ad essere importante anche negli anni successivi. Ci dicevano, anche in realtà tra noi adulti diventa appunto importante. Vediamo un altro filmato. Visione video: Tronick’s Still Face Paradigm Avete visto già prima la mamma che fa il solletico in questo gioco con la bambina. La bambina sorride, poi distoglie un attimo lo sguardo. Quello è un punto importante perché in quel momento la bambina sta comunicando in modo consapevole che il livello di stimolazione è troppo alto, ha bisogno di staccare un attimo, deve scendere per abbassare un attimo il livello di stimolazione. Questo distogliere lo sguardo da ciò che sta accadendo è una prima forma di regolazione emotiva che i neonati hanno a disposizione tra le forme che riescono già ad utilizzare nei primi mesi di vita ed è una parte importante di comunicazione sulla quale spesso il genitore regola il suo comportamento. Il bambino distoglie lo sguardo dall'attivazione, vuol dire che la stimolazione è troppo alta, quindi bisogna abbassare l'intensità. Non era quello che ci interessa in questo filmato, ma è un esempio importante. Ripresa della visione del video: Tronick’s Still Face Paradigm Avete sentito nella parte finale quando dice che nelle relazioni quotidiane, nelle relazioni normali in media il 20-30% del tempo è caratterizzato da queste sequenze sintoniche perfette, mentre tutto il resto del tempo è uscire ed entrare, perdere e ricostruire. Poi, come avevo anticipato, sottolinea che sia proprio questo il processo fondamentale, questa possibilità di perdere e ricostruire, perché quando io ricostruisco costruisco, quando io rientro costruisco qualche cosa di nuovo, costruisco significato e imparo qualcosa. Quindi vedete che già molto precocemente i bambini e le bambine denotano questa capacità di riconoscere l'espressione del volto del genitore, denotano quanto sia importante la presenza di questa comunicazione sintonica. Freud parla di mutua regolazione, cioè nell’interazione diadica il bambino e il caregiver si regolano reciprocamente; quando uno dei due non è presente, non è sintonico, non si regola rispetto alle emozioni e allo stato dell'altro emerge questa discrepanza, questa perdita di sintonia, questo momento di stacco che viene percepito già dal bambino molto piccolo per qualche cosa di anomalo. Le differenze individuali sono altissime, perché già a queste età le bambine e i bambini hanno esperienze e sono nelle interazioni in modo diverso, stanno nelle interazioni in modo diverso. Quindi le aspettative che i bambini si stanno costruendo cambiano a seconda degli stili di interazione dei genitori. Social referencing Un altro pezzetto importante di sviluppo legato alla comprensione delle emozioni lo osserviamo alla fine del primo anno, quello che in letteratura si chiama Social referencing, il riferimento sociale. Ancora si sottolinea la capacità dei bambini e delle bambine di osservare la propria figura significativa, il proprio caregiver, riconoscere l'emozione che sta provando, che sta manifestando, e decidere sulla base di questa espressione sul volto del genitore, che cosa fare in una certa situazione. L'adulto significativo diventa la figura di riferimento sulla quale basare il senso dell'episodio che il bambino o la bambina sta incontrando in quel momento. Il bambino fa riferimento all'adulto, si trova in una situazione ambigua, non sa che significato dare a ciò che sta accadendo e quindi, prima di decidere che cosa fare e come reagire a quella situazione, guarda papà, guarda mamma, guarda la figura significativa, sulla base dell'espressione del genitore, deciderà che cosa fare. Non so se vi è mai capitato di guardare i bambini e le bambine che stanno iniziando magari a camminare: fanno qualche passo, ovviamente come è normale che sia cadono. In questa fascia di età possiamo vedere il bambino o la bambina che è caduto prima di fare qualunque cosa, c’è una frazione di secondo, un tempo più o meno lungo, in cui si ferma e guarda chi è con lui, con lei. Guarda mamma, mamma con la faccia disperata: “Oddio no. Che cosa è successo? Vedi devi stare seduto sul seggiolone con le cinture tutto il tempo!”. Il bambino cosa fa? Scoppia a piangere. La mamma che sorride e dice: “Dai, non è niente, succede. Su dai, rialziamoci”. Ti aiuta a rialzarti, ricomincia a camminare, il bambino non fa una piega, si alza e continua a camminare. Sta utilizzando il genitore come riferimento sociale. È accaduto qualcosa, non so bene che significato dare a quello che è accaduto. Guardo cosa mi dice papà, mamma, nonna, una mia figura significativa e do a quell'evento lo stesso significato che sulla base dell'espressione del genitore decido che danno loro. Un’altra situazione tipica in cui osserviamo il Social referencing è in relazione alle figure estranee. Sappiamo, l’abbiamo già visto ieri, che è presente la diffidenza proprio nei confronti dell’estraneo. Bene, vedo la persona estranea che si avvicina, che saluta, prima di decidere se dare confidenza o no, se sorridere o no a un estraneo, guardo papà, guardo mamma. Che mi dice: “Sì, sì, non ti preoccupare, lo conosco” sorride, si mostra benevolo nei confronti dell’estraneo, allora il bambino interagisce più tranquillamente. Se invece il genitore mostra la faccia un po' preoccupata di ciò che sta accadendo, per ciò che sta accadendo, il bambino si ferma. Il bambino ha questo atteggiamento perché cerca questa risposta nell’espressione del genitore. Il riferimento sociale è un fenomeno che compare alla fine del primo anno di vita ed è proprio caratteristico del secondo anno di vita. Si manifesta di fronte alle situazioni che il bambino non sa interpretare in modo autonomo, meglio situazioni ambigue, nuove, particolari. É chiaro che se il bambino è caduto e si è fatto male, non ha bisogno di guardare mamma, piange. Se però è caduto, ma non è successo niente di così grave, non si è fatto male, prima di decidere cosa fare, guarda il genitore. Quindi, di fronte a quelle situazioni sulle quali ha qualche dubbio sul significato, attribuisce il significato a quell'evento che il genitore ha dato, che è la sua figura significativa. L'informazione che arriva dall'espressione del genitore diventa l'informazione che consente al bambino di modulare, organizzare il suo comportamento. Esempio: sono nei giardini, c'è un gioco strano, mi avventuro o non mi avventuro? Guardo mamma, guardo papà, mi sorride, mi incoraggia, mi sostiene ad andare, vado. Se mi guarda tutto preoccupato, non vado. Il comportamento e l'organizzazione del comportamento del bambino e della bambina di fronte a certe situazioni che non sa come interpretare, è basato sull’espressione che il genitore mostra. Visione video: Social referencing Il rumore proviene da un certo punto. A seconda della risposta del genitore, il bambino o la bambina decide come orientare il suo comportamento. Tipico nelle situazioni ambigue c'è: il rumore che non conosco, le persone sconosciute e situazioni come quelle. Intervento di uno studente: “Mi è capitato di vedere dei video di esperimenti in cui i genitori avevano dei bambini piccoli in braccio, si avvicinavano a un muro, battevano la mano sul muro e avevano una reazione, come se il bambino avesse battuto la testa. Quindi gli dicevano “Oh, cosa è successo?” E il bambino scoppiava a piangere.” Lì è l’emozione del genitore che spaventa poi il bambino, anche questa forma di contagio emotivo c'è. Qui c'è il pezzo in cui non solo manifesta l'emozione del genitore, ma cambia il suo comportamento a seconda dell'espressione dei genitori, quindi decide come muoversi o non muoversi nell'ambiente a seconda dell’espressione del genitore, quindi non solo provo l'emozione in braccio al genitore, che sta provando il genitore, ma faccio o non faccio qualcosa a seconda dell'espressione del genitore. Visual cliff Un ambito particolare in cui è stato osservato l'effetto del social referencing è negli studi che hanno utilizzato il visual cliff. Se vi ricordate, l’abbiamo già incontrato un po' di settimane fa quando abbiamo parlato della percezione della profondità nei neonati. Ecco, in questo caso non si intende studiare la percezione o meno della profondità. Ma in questo caso si vuole studiare se e come i bambini si avventurano su questo precipizio per prendere il giocattolo che è dall'altra parte del precipizio se si guarda l'espressione dei genitori. Quello che è stato osservato da Campos e da altri colleghi che hanno utilizzato il Visual cliff con questo obiettivo, è che bambini e bambine arrivano al limite del precipizio visivo e se vedono il genitore dall'altra parte tutto sorridente, incoraggiante, tendono più facilmente ad avventurarsi sul precipizio visivo. Se invece il genitore dall'altra parte ha la faccia terrorizzata o spaventata, i bambini si fermano e non passano sul plexiglass, non affrontano il precipizio visivo. Visione video: Social referencing: the visual cliff- Joseph Campos In una situazione ambigua che non sa come interpretare, il bambino si rivolge non a chiunque, ma a una figura di fiducia, una figura di riferimento e sulla base della reazione emotiva di questa persona, deciderà come organizzare il suo comportamento. Ci siamo? La comprensione delle emozioni in età prescolare La comprensione delle emozioni ovviamente procede, va avanti nel corso del tempo. E tendenzialmente in età prescolare, intorno ai tre anni, noi vediamo bambini e bambine con tutte le differenze individuali che possono essere presenti, che però tendenzialmente sanno etichettare in modo corretto le emozioni di base, le emozioni fondamentali, le emozioni principali, sanno riconoscere le loro espressioni, sanno quali possono essere i fattori che suscitano quelle emozioni e sanno quali sono le conseguenze che seguono a questa emozione. Anche quello che abbiamo detto rispetto allo sviluppo della teoria della mente basata sui desideri. A quattro anni, ci riallacciamo a quello che abbiamo raccontato rispetto alla teoria della mente, cominciano ad avere una comprensione più complessa, cominciano a sapere che i nostri comportamenti, i nostri vissuti sono legati non solo a circostanze esterne o a desideri, ma che esistono anche le rappresentazioni, le credenze, ciò che noi sappiamo degli eventi e che questo può impattare sul comportamento delle altre persone, quindi su ciò che pensiamo, proviamo e così via. Potremmo anche simulare un’emozione, possiamo chiedere al bambino di mostrare com'è un volto, saprà non solo riconoscere un volto sugli altri, ma saprà anche far tinta: “mostrami un volto felice” e lo mostra. La regolazione delle emozioni E arriviamo all'ultima dimensione, la regolazione delle emozioni che, come abbiamo detto, è la capacità di modulare sia il proprio comportamento sia il vissuto interno. Due aspetti diversi, non necessariamente viaggiano in parallelo, che però hanno sempre a che fare con la modulazione e con la regolazione delle emozioni. Quindi da una parte la regolazione emotiva può prevedere e cercare di aumentare o diminuire il livello dell'emozione che sto provando. Dall'altra parte anche cercare di modulare il comportamento che metto in atto a seguito di un'azione è sempre regolazione dell'esperienza emotiva. Importante per garantire questo adattamento sociale. D'altra parte abbiamo già fatto degli esempi in alcuni casi non è appropriato, a seconda del contesto nel quale mi trovo, mostrare l'emozione così come la sto provando. In alcuni casi, già ci hanno raccontato le regole di esibizione delle emozioni, dobbiamo minimizzare l'esecuzione delle emozioni che proviamo, in altri casi dobbiamo massimizzare, in altri casi dobbiamo sostituire, dobbiamo modulare l'espressione delle emozioni, quindi regolare il nostro comportamento sulla base del contesto nel quale ci troviamo, degli obiettivi che noi abbiamo, delle relazioni nelle quali siamo. Ovviamente per poter fare tutto questo deve avere delle conoscenze, devo comprendere, deve avere consapevolezza del comprendere molto delle emozioni che provo. In quale modo posso sollecitarle? Quali conseguenze possono seguire? Come si manifestano? Devo avere una buona conoscenza, una buona comprensione e consapevolezza dell'emozione, altrimenti diventa impossibile riuscire a regolarla. Il primo passo per regolare l'emozione è riconosco di provare un'emozione, so che esiste un modo per riuscire a regolarla, tutto ciò per ha a che fare con la conoscenza e poi applico la strategia che serve per regolare l’emozione. Senza tutta la prima parte, non posso regolarla. Come faccio a regolare le mie emozioni? Voi pensate cosa fate, usate strategie diverse. Alcune strategie sono percettive: guardo qualcos’altro, mi distraggo, cerco di fare, di cambiare ciò che percepisco, quello stimolo mi dà fastidio, guardo qualcos'altro. Questo è molto semplice, molto basilare. Altre strategie possono essere comportamentali: quella cosa che mi dà fastidio, che non mi piace, che mi fa arrabbiare, mi allontano, vado da un'altra parte, queste sono strategie comportamentali. Altre strategie sono cognitive: cerco di guardarle, di elaborare in modo diverso ciò che sta accadendo, di leggerlo in un'altro modo. Strategie diverse che hanno tutte la stessa funzione: modificare e modulare il livello dell’attivazione interna che provo e controllare il comportamento che metto in atto a seguito delle emozioni che sto provando. I bambini e le bambine vengono al mondo e non sono tanto capaci di regolare la loro attivazione emotiva e tanto meno il loro comportamento rispetto all’emozione che provano, ma devono imparare a fare questo. È fondamentale imparare a regolare le proprie emozioni perché ci consente un miglior benessere, un migliore adattamento socio emotivo. Quindi, nel corso del loro sviluppo, i bambini e le bambine apprendono che esistono le emozioni, che hanno un nome, che possono essere regolate e apprendono come fare a regolarle, quali strategie possono essere utilizzate per regolarle. E nel percorso di crescita noi dovremmo notare anche uno spostamento. Ci sono strategie che sono più semplici, più immediate da utilizzare, che vengono quindi apprese e utilizzate prima, e strategie che sono un po' più complesse perché richiedono competenze maggiori e che compaiono magari nel corso del tempo, un po' dopo. E quindi noi le sappiamo che all'inizio abbiamo una maggioranza di strategie percettive comportamentali. E poi le strategie invece di tipo cognitivo che utilizzano le capacità rappresentative, ovviamente compaiono dopo perché richiedono competenze differenti, competenze che compaiono nel corso dello sviluppo. Vedete che stiamo parlando di emozioni, ma in realtà ciò che accade anche all'interno dello sviluppo di questa dimensione è strettamente legato a ciò che accade a livello sociale, a livello relazionale, affettivo, e a livello evolutivo. Non sono ambiti completamente separati. Che cosa succede quindi nel corso dello sviluppo? Abbiamo un passaggio, uno spostamento da una situazione iniziale nella quale la regolazione avviene grazie alla presenza del caregiver, e quindi una forma di regolazione interpersonale, diadica: il bambino piccolo alla nascita non è in grado di gestire e di modulare il suo livello di attivazione emotiva. È fondamentale la presenza dell'adulto, del caregiver, del genitore che lo aiuta a regolare la sua emozione. Cosa fa il genitore quando il bambino piange perché sta male? Si prende cura di quel disagio, lo consola in qualunque forma, qualunque sia il tipo di stato, ma l'intervento dell'adulto è volto ad aiutare il bambino a gestire quello stato emotivo e a risolvere quello stato emotivo. La regolazione emotiva all'inizio avviene sostanzialmente soltanto all'interno di un'interazione diadica. Il bambino o la bambina ha a disposizione pochissime strategie per regolare la sua attivazione emotiva. Una è quella che mostravo prima nel video: distolgo lo sguardo. E in questo modo distogliendo lo sguardo, per esempio, in questo caso sto interagendo con il genitore a livello di stimolazione molto alto. Mi sto divertendo, ma a un livello troppo alto. Il bambino distoglie lo sguardo, già a poche settimane di vita, distoglie lo sguardo per cercare di abbassare il suo livello d’attivazione emotiva troppo alta. La prima forma di regolazione emotiva che mette in atto è molto semplice: distogliere lo sguardo dallo stimolo che è troppo, che aumenta troppo l'intensità dell’attivazione del bambino. Ci dice ancora Tronick che la persona che presta le cure agisce da componente regolatoria esterna del sistema di regolazione interna del bambino. Non c’è ancora un sistema di regolazione interna del bambino, non può funzionare, c'è bisogno dell'adulto all'esterno che aiuta il bambino a regolare la sua attivazione emotiva e quindi regola il caregiver dall'esterno il livello di stimolazione, le caratteristiche dell'ambiente, il modo in cui lo consola. E’ fondamentale. E nel corso del tempo, nel corso dello sviluppo da questa regolazione interpersonale diadica, mano a mano si passerà e si arriverà verso l'autoregolazione che invece è caratterizzata dalla possibilità di regolare in modo autonomo, regolare da soli la propria attivazione emotiva e il proprio comportamento in risposta alle emozioni provate. Nel corso del tempo, quindi, il bambino e la bambina farà proprie e utilizzerà le strategie che all'inizio erano utilizzate dal caregiver nella relazione con lui o con lei. Il passaggio da qualche cosa che prima è diadico a qualcosa che poi invece diventa capacità personale. Attenzione però, perché questo percorso verso l'autoregolazione è un percorso che in realtà non arriva mai a pieno compimento. Nessuno di noi anche adulto, è completamente autonomo nella regolazione delle emozioni. Ci possono essere situazioni, momenti particolari in cui anche un adulto ha bisogno del sostegno esterno per aiutare a regolare le emozioni. Pensate a tutte le volte in cui siamo troppo emozionati, qualunque sia l'emozione che noi proviamo, da aver bisogno dell’aiuto di qualcuno per aiutare a regolarci. Qualche volta, anche solo per dialogo, ci parliamo e parlare con qualcuno, ovviamente qualcuno di nostra fiducia, ci aiuta a modulare meglio l’intensità dell’emozione che stiamo provando. Quindi un percorso verso l'autoregolazione, non siamo però individui del tutto autonomi che riescono a gestire qualunque cosa in modo autonomo. La possibilità, la capacità di fare riferimento alla regolazione di habitat attraverso l'altro comunque è sempre presente anche quando si diventa più grandi. Però quello che noi osserviamo nel corso dello sviluppo è questo passaggio: all'inizio i bambini e le bambine non riescono, non possono regolare in modo autonomo la loro attivazione emotiva e quindi è fondamentale l'intervento del caregiver, mano a mano nel corso del tempo faranno proprie le esperienze, le strategie che hanno visto utilizzare dal caregiver nel corso del tempo, e pertanto impareranno a regolare le loro emozioni. Intervento di uno studente: “Per forza acquisiscono le strategie dei genitori?” No, perché, ahimè, ci sono bambini e bambine che non hanno avuto questa grande possibilità di acquisire strategie dai genitori di regolazione delle emozioni, perché magari i genitori non sono in grado di regolare le loro emozioni. Se non so regolare le mie, non posso insegnare al bambino come regolare le sue. Intervento di uno studente: “Quindi di norma comunque vanno in linea con il comportamento dei genitori”. Ni! Fortunatamente non esistono solo i genitori, fortunatamente e sfortunatamente. Poi ci torniamo però, perché sulla socializzazione c'è altro da dire. Nella slide vedete due immagini che richiamano un modo importante che i bambini e le bambine utilizzano per cominciare a regolare in modo autonomo le proprie emozioni, che è l'utilizzo degli oggetti transizionali. L’oggetto transizionale Un oggetto transizionale sapete che è un costrutto che è stato introdotto da Winnicott, importante psicoanalista. E l'oggetto transizionale è un oggetto particolare. Molti di voi immagino abbiamo avuto, magari conservano ancora, l'oggetto transizionale della loro infanzia. Tipicamente è un oggetto morbido e molti bambini hanno una copertina spesso con la testolina di pupazzetto (del coniglietto) attaccata alla copertina. Altri hanno un peluche, comunque è un oggetto particolare che già nel corso del primo anno di vita, di solito prima della metà del primo anno, viene individuato e scelto dal bambino. Ha caratteristiche particolari: di solito è un oggetto morbido, non è un oggetto freddo. Molto spesso è un peluche o una copertina ed è un oggetto al quale il bambino è molto legato, che viene utilizzato soprattutto nei momenti di attivazione emotiva. Tipico è quando vanno a dormire perché in quel momento c’è un distacco dal genitore, devo separare dal genitore. O quando per esempio al nido si devo effettivamente fisicamente separare dal genitore o quando sono particolarmente agitati, diremo particolarmente sotto stress, che la loro attivazione emotiva sale in quella situazione il ricorso all'oggetto transizionale è più elevato. È un oggetto che ha certe caratteristiche, che ha certi odori, certe consistenze, che quando viene lavato dai genitori spesso non piace più così tanto perché perde appunto queste caratteristiche, tipicamente l'odore, che ricorda al bambino, che è anche rassicurante per il bambino. E’ un oggetto che poi perde i pezzi, si stacca il braccino, si stacca la testolina, ma ha sempre un valore affettivo. Winnicott poi ci racconta che un oggetto transizionale che sta a metà tra l'interno e l'esterno, tra la realtà interna e la realtà esterna che ha un valore particolare che sono associati momenti particolari. Vi dicevo, viene utilizzato già nel primo anno di vita, accompagna i bambini nel corso del primo anno, in alcuni casi anche dopo, ed è un'importante oggetto attraverso il quale bambini e bambine riescono a regolare lo stato di attivazione. Ci sono però molte altre strategie che vengono utilizzate nella tabella che tanto dovrebbero esserci nelle nostre slides. Proviamo a vederla insieme. Distoglimento dell'attenzione già nei primi tre mesi. Quella che abbiamo visto nel filmato è la prima più semplice forma basica di regolazione emotiva che ci porta a distogliere lo sguardo dallo stimolo, dalla fonte che in quel momento sta alzando proprio il nostro livello di attivazione emotiva. Ricordiamoci che le strategie di regolazione emotiva possono essere utilizzate sia per relazione a valenza positiva: anche un troppo alto livello di eccitazione positiva per il bambino è fastidioso, è troppo alta, troppo stimolante e quindi ha bisogno di abbassare il livello di attivazione. Sto giocando piacevolmente con papà che mi lancia per aria e poi mi riprende, mi fa tutti i giochini, le filastrocche, mi tocca il corpo e fa il solletico, tutto quello che volete, ma è troppo. Pensate al solletico, è piacevole per tutti, ma a piccole dosi, se è troppo è troppo. E quindi in questo caso distogliere lo sguardo e quindi abbassare e cercare in questo modo di abbassare il livello di attivazione emotiva è la prima forma di regolazione che i bambini possono utilizzare. L'autoconsolazione che abbiamo già incontrato: succhiare i pollici, toccarsi i capelli, dondolarsi, cullarsi sono tutte strategie attraverso le quali il bambino cerca di regolare lo stato d’attivazione emotiva. Sono presenti nel primo anno, tipicamente dopo il primo anno diminuiscono perché invece aumentano le strategie che vedete nella terza riga. Nella terza riga la ricerca dell'adulto. Chiamo l'adulto, faccio qualche cosa, tutta una serie di comportamenti per stare vicino all'adulto, per chiedere all'adulto di aiutarmi a regolare le emozioni, quindi abbracciare, seguire l'adulto, richiamare. Pensate a tutto quello che abbiamo anche visto nel filmato quando i due bimbi più grandi cercavano di richiamare l'attenzione. Quindi tutta una serie di comportamenti che, vedremo, sono comportamenti di attaccamento che servono per far sì che l'adulto si avvicini e si prenda cura, si cura di noi. Compaiono dalla seconda metà del primo anno di vita. Alcuni possono essere presenti in modo spontaneo prima e diventeranno più caratteristici del comportamento di regolazione del bambino rispetto al comportamento di autoconsolazione. Poi abbiamo il riorientamento dell'attenzione: cercare di focalizzare l'attenzione su qualcos'altro, non distolgo lo sguardo nel vuoto, ma cerco un altro stimolo che possa sostituire quello per rifocalizzare l'attenzione, e non su quello che in quel momento sta attivando eccessivamente. L'uso degli oggetti transazionali, lo abbiamo detto prima. L'evitamento fisico possibile da quando diventa possibile per il bambino materialmente spostarsi dall'evento, dalla situazione; prima di poter gattonare- camminare questo non è possibile: se il bambino è lì, è lì non si può spostare. Da quando invece diventa possibile gattonare o camminare o prima anche strisciare, qualunque sia la modalità utilizzata dal bambino, diventa possibile utilizzare l'evitamento fisico: strategia comportamentale che mi porta ad allontanarmi fisicamente dall'evento eccessivamente stimolante, eccessivamente attivante. Poi abbiamo tutta una serie di strategie che utilizzano i simboli. Tra queste in prima - seconda infanzia fondamentale è il gioco simbolico perché attraverso il gioco simbolico il bambino o la bambina può rielaborare ciò che sta accadendo. Il gioco simbolico ha questa valenza fondamentale: nel fare finta che accada qualche cosa, io posso provare a stare in quell'emozione e provare modi diversi di regolarla senza temere le conseguenze che nella vita reale ci potrebbero essere. Sto facendo finta e in questo modo posso allenarmi alla gestione di quell’emozione. Posso cercare di stare in modi diversi, modi diversi di gestirla, in comportamenti diversi che possono seguire quell’emozione e quindi posso ampliare la mia conoscenza sull'emozione e ampliare la mia conoscenza, la mia consapevolezza, la mia capacità di utilizzare strategie diverse per regolare quell’emozione. Quindi è una componente fondamentale anche dello sviluppo della competenza emotiva. Il disegno ha la stessa funzione. E’ ancora un'attività attraverso la quale rappresento semplicemente. Però passano tutti attraverso il distacco: non vivo più l'emozione reale, ma la racconto (perché poi anche il linguaggio fa parte di queste strategie), la disegno, la gioco, la agisco in un contesto diverso da quello reale. Quindi sto passando dalla realtà alla rappresentazione della realtà. E questo mi consente un passaggio molto importante per la regolazione emotiva. La parola, una volta acquisita, diventa un elemento fondamentale, ovviamente non è sempre così facile da utilizzare. Il linguaggio è quello che ci consente una rappresentazione ancora più astratta rispetto al gioco simbolico o rispetto al disegno, e diventerà sempre più uno strumento molto importante per riuscire a regolare la propria attivazione emotiva. Linguaggio che può essere utilizzato sia nell’interazione diadica (parlo con papà, con mamma, con fratello- sorella più grande, con l’amico, il compagno) per riuscire a regolare le emozioni o parlo a me stesso con lo stesso fine. Le strategie cognitive più complesse, oltre ad utilizzare il linguaggio, una forma di rappresentazione di riattribuzione di significato, rifletto. Quindi è accaduto qualcosa e io attraverso il linguaggio narro ciò che è accaduto e ricostruisco, cerco di dare un nuovo senso a ciò che sta accadendo. Provo a presentarmi comportamenti diversi che potrebbero seguire quell'emozione che è stata citata, che ho provato in quella situazione provo a pensare quali strategie posso utilizzare, cioè faccio nella mia mente o nel dialogo con l'altro, qualcosa che magari i bambini piccoli facevano ovviamente con strategie diverse nel gioco simbolico, lo racconto, ne parlo, rinarro ciò che accade. E questa è la strategia decisamente più complessa, perché richiede una serie di competenze anche narrative e rappresentative e diventa specifica del periodo scolare, degli adolescenti e degli adulti. In alcuni casi le strategie non ci abbandonano anche quando siamo grandi. Lo sono tutte le strategie comportamentali che una volta si dicevano tipicamente femminili. Quando abbiamo una grande delusione spesso passiamo attraverso una serie di strategie comportamentali che vanno dal vado dal parrucchiere, vado a fare shopping, che sono strategie comportamentali, in cui cerco di distrarmi. Comportamentali perché faccio qualcosa nello stesso momento. Cerco di distrarre, di portare la mia attenzione su altro che non sia quello che stavo facendo in questa esperienza. La socializzazione delle emozioni Ci manca ancora un punto fondamentale: la socializzazione delle emozioni. Fin qui abbiamo detto le emozioni che cosa sono, perché sono importanti, come si sviluppano nei bambini e nelle bambine. Abbiamo parlato della competenza emotiva, ci manca il capire come i bambini imparano tutte queste cose, come i bambini vengono socializzati, cioè fanno proprie tutta una serie di conoscenze e di competenze che hanno a che fare con le emozioni. E quindi come vengono socializzate al mondo delle emozioni. Come si imparano conoscenze, informazioni, valori, credenze, strategie sulle emozioni. Quando parliamo di socializzazione emotiva facciamo riferimento proprio a questo, cioè come vengono trasmessi da una generazione all'altra, quindi come bambini e bambine possano fare propria tutta questa serie di conoscenze e di competenze legate alla sfera delle emozioni. La Saarni ci dice quindi che facciamo riferimento a tutte quelle strategie non sempre consapevoli, che gli adulti, o comunque che le altre persone mettono in atto per far sì che il bambino acquisisca tutte queste conoscenze e queste competenze. Cioè il modo in cui gli adulti, in questo caso agenti socializzatori perché socializzano il bambino rispetto alle regole legate alla dimensione emotiva, come gli agenti socializzatori promuovono la conoscenza e la competenza emotiva dei bambini e delle bambine. Come insegniamo alle bambine e alle bambine cosa sono le emozioni, come facciamo a riconoscerle, quali etichette hanno, come facciamo a gestirle e annullarle nella loro intensità e nel comportamento che suscita questa emozione. Come insegniamo ai bambini che certe emozioni sono lecite, possono essere espresse, e certe altre invece forse è meglio non esprimerle, perlomeno in certi contesti, perlomeno di fronte a certe persone. Pensate allo studio che citavamo quando abbiamo parlato delle regole di esibizione di Ekman. I socializzatori emotivi, gli adulti giapponesi devono insegnare ai bambini giapponesi che emozioni come la rabbia, la tristezza in pubblico non devono essere espresse. I genitori americani invece insegnano che questo si può fare. E quando noi vediamo bambini molto piccoli che crescono, vediamo che già in prima infanzia sono possibili e sono presenti comportamenti di espressione emotiva pressoché stabili. Cioè se noi osserviamo lo stesso bambino in contesti diversi, noi osserveremmo modalità stabili di espressione delle emozioni che sono sì legate ad alcune caratteristiche personali del bambino, ma non è solo questo, ma è anche l'effetto della socializzazione emotiva, cioè del modo in cui gli agenti socializzatori stanno insegnando al bambino o alla bambina a mostrare o a non mostrare certe emozioni. Ovviamente se parliamo di bambini molto piccoli parliamo soprattutto dell'influenza del contesto familiare, ma se il bambino o la bambina frequenta anche altri contesti extrafamiliari, potremmo osservare anche l'influenza di contesti extrafamiliari, più sono piccoli minore è il contesto di microsistemi nei quali hanno interazione, quindi minore influenza, minori agenti di socializzazione che hanno incontrato. Il primo agente di socializzazione quindi sono i genitori nell'ambito familiare e quindi possiamo prendere in considerazione le differenze che il contesto familiare ha sulla socializzazione delle emozioni. Perché? Perché quello è il primo contesto nel quale i bambini imparano a riconoscere le emozioni, a regolare le emozioni, imparano quali sono le regole di espressione delle emozioni. Che cosa imparano nelle relazioni familiari? Imparano che certe emozioni si possono esprimere tranquillamente, che hanno un nome, ma possono anche imparare che certe emozioni è meglio non manifestarle. Che forse non hanno nessun nome, che quando sono presenti creano qualche difficoltà in più in famiglia, quindi meglio non mostrare. Imparano molto presto anche a utilizzare le loro espressioni emotive anche a seconda delle persone con cui sono. E quindi lo stesso bambino in alcuni casi per esempio piange, protesta parecchio quando è con papà e invece quando è con mamma è assolutamente tranquillo. Al contrario solitamente perché si pensa di più alla mamma come iperpresente, che suscita maggiormente la disperazione dei bambini e delle bambine, ma può capitare anche il contrario. Lo stesso bambino che incontra l'estraneo quando è con il papà risulta assolutamente preoccupato, che non da nessuna confidenza, che non vuole andare, non vuole entrare per esempio al nido dell'educatore, dall'educatrice. Con la mamma invece è tranquillo e sereno. Quando poi il papà si allontana, piange disperato, non vuole mangiare. Invece se si allontana la mamma la saluta con il sorriso, aspettando che poi torni. O viceversa. Un’espressività stabile dell'emozione che non è tanto legata al temperamento del bambino, ma anche e soprattutto alla qualità dell'interazione, alle caratteristiche della storia che ha cominciato a costruire con quella persona. Qui poi entriamo ovviamente nella qualità della relazione di attaccamento, per cui ne parleremo più avanti e non adesso. Si impara anche quali sono le regole: che alcune emozioni possono essere espresse in un certo modo, che quando la nonna fa un regalo dobbiamo sorridere e ringraziare, tutto quello che ci siamo raccontati. I bambini imparano presto nell'età prescolare, lo imparano in famiglia già nelle prime interazioni. Imparano, per esempio, e vedono anche che papà, mamma ogni tanto è triste, è arrabbiata e vedono anche che cosa fa mamma quando è triste o arrabbiata, come regola la sua attivazione emotiva e anche da questo i bambini imparano. E questa osservazione ci dice che per promuovere la competenza emotiva dei bambini e delle bambine è fondamentale che il caregiver abbia una buona competenza emotiva. Prima di tutto il genitore deve riconoscere le emozioni, quelle del bambino, ma può riconoscere, attribuire un'etichetta all’emozione del bambino soltanto se ha una buona consapevolezza emotiva, se riconosce e riesce ad attribuire un'etichetta. Posso sapere in quale caso ho scatenato l'emozione del mio bambino piccolo solo se so che cos'è quell’emozione, quali situazioni possono sollecitare quelle emozioni, quali conseguenze può avere. Devo anche avere una rappresentazione dell'importanza che hanno i vissuti emotivi. Se io penso che il piangere quando si cade perché sto camminando sia una manifestazione inutile della debolezza, io questo trasmetto a mio figlio. Che quella è una emozione che non deve essere appresa, perché non è importante, perché non ha valore. Quindi i bambini nel corso delle prime relazioni imparano tutto questo sull'emozione: che cos'è un'emozione, quali emozioni sono lecite, hanno un valore. Pensate a tutta la comunicazione molto stereotipata, di genere che fortunatamente sta diminuendo. Quando i bambini piccoli maschi piangevano, la frase tipica che veniva detta al bambino maschio era: “Non fare la femminuccia”. Stiamo trasmettendo un messaggio importante che non è solo legato al ruolo di genere, ma al valore di quell’emozione che è nulla. Il maschio non la deve provare. Ma i maschi la provano, è normale che la provino ed è lecito che la possano esprimere. Però nel momento in cui il genitore comunica la frase di quel tipo, invece alla femmina dice: “sì, va bene, fallo pure, sei il sesso debole ed è giusto che tu pianga”, sta comunicando qualche cosa del significato di quell’emozione che è lecita in un caso, non è lecita nell'altro. Il contrario sulla rabbia e sull’aggressività che nei maschi veniva tollerata, nelle femmine molto meno. Con un’altra differenza di fatto di genere, legate alla nostra rappresentazione di genere, l'adulto che te la passa in modo automatico alla generazione successiva. I bambini e le bambine non vivono solo nei contesti familiari, ma anche nei contesti extrafamiliari. Quindi in realtà sono agenti di socializzazione anche altre persone, non solo mamma, papà, nonna, nonno, babysitter, tutti quelli che gravitano nel contesto familiare del bambino, ma anche per esempio l’educatore dell'asilo nido, il maestro della scuola dell'infanzia, nella prima infanzia, ma anche chi incontreranno dopo. È ovvio che i bambini più piccoli stanno costruendo la loro competenza emotiva e i primi tre anni su questo sono fondamentali e quindi i primi agenti di socializzazione che incontrano sono fondamentali. Ma è altrettanto vero che la competenza emotiva è qualcosa su cui si può continuare a lavorare anche in seconda infanzia, in fanciullezza e in adolescenza e, perché no, anche in età adulta. Possiamo sempre migliorare la nostra capacità di riconoscere e regolare le emozioni. Tre meccanismi di socializzazione emotiva La socializzazione emotiva fa riferimento sostanzialmente a tre meccanismi fondamentali di socializzazione emotiva, come gli adulti insegnano ai bambini a regolare le loro emozioni. Attraverso il modellamento, l’esempio che facevo prima il modo in cui il caregiver, e qui ho utilizzato caregiver proprio in senso generico, genitori, babysitter, educatore, educatrice, maestro, maestro, non cambia, l'adulto. Il modo in cui il caregiver manifesta l'emozione anche quando il bambino non è coinvolto in quella situazione. Quindi non stiamo parlando dell'emozione provata dal bambino, ma dell'emozione provata dall'adulto. Il modo in cui l'adulto la esprime, il modo in cui l'adulto la regola, anche quando il bambino non è direttamente coinvolto, ma sta soltanto guardando, sta osservando, quello diventa un modello fondamentale, cioè quello del modellamento, che aiuta il bambino a comprendere come quell'emozione può essere manifestata e come può essere gestita. Riguardo l'adulto, il bambino è precocemente capace di riconoscere tutto quello che abbiamo detto, precocemente capace di riconoscere l'espressione sul volto del genitore, non ancora di comprendere, ma di riconoscere sì. Proprio quello diventa un modello importante: che cosa fa l'adulto? Come esprime l'adulto? Come l'adulto esprime la rabbia? Che cosa fa quando è arrabbiato? E quello diventa un modello di comportamento: se l’adulto significativo per me fa così, vuol dire che quello è giusto e quindi posso fare mio quel modo di esprimere, quella strategia per regolare. Secondo meccanismo fondamentale dell'apprendimento contingente che ha a che fare con il modo in cui l'adulto, il caregiver, reagisce, in questo caso all'emozione che sta provando il bambino. In alcuni casi può riconoscere quell'emozione, sottolinearne il valore, dire: “E’ importante. Cosa sta succedendo? Stai provando rabbia, tristezza, felicità”, cioè dare valore, riconoscere e poi aiutare il bambino a gestire quell'emozione. E poi potremmo anche pensare ad altri tipi di reazione dell'adulto che minimizzano magari “Non è il caso di fare tutte queste scene, non è successo niente di grave”. Oppure svalorizzano l’attivazione emotiva del bambino. In alcuni casi vanno anche oltre, lo minacciano, lo puniscono perché ha manifestato certe emozioni. Quindi in questo caso non stiamo parlando di cosa fa l'adulto per le sue emozioni, ma come reagisce alle emozioni provate dal bambino. Sostenendole e valorizzandole oppure sminuendole, minimizzandole. E poi abbiamo un terzo meccanismo di socializzazione che è l'addestramento esplicito, l'addestramento emotivo, che sono tutte quelle situazioni nel quale il caregiver intenzionalmente fa qualcosa per il bambino, per trasmettere conoscenze sulla dimensione emotiva. Per esempio leggiamo insieme il libro sulle emozioni, guardiamo insieme Inside Out, parliamo di emozioni, cioè facciamo qualche cosa insieme in modo esplicito. L'intento dell'adulto è di lavorare, di potenziare, di far riflettere il bambino sulle emozioni. Tipiche sono le letture in questo caso, in alcuni casi attraverso la lettura di un albo illustrato, anche altri strumenti, anche soltanto da una reazione. In questo caso però l'intento dell'adulto è esplicito e lo fa in questo modo, non è mentre il bambino sta provando l'emozione, come invece abbiamo l’apprendimento contingente, qui è una situazione così a freddo: riprendiamo, ripensiamo a quello che è successo l'altro giorno, oppure prendiamo il libro, oppure raccontiamoci una storia con l'intento di ampliare le conoscenze del bambino sulle emozioni, ma non sulle emozioni che sta provando in quel momento. Socializzazione emotiva diretta e indiretta Vedete quindi che abbiamo processi di socializzazione sia diretti sia indiretti. In alcuni casi l'adulto vuole ha l'intenzione diretta, pensiamo all'ultimo esempio che dicevamo rispetto all'addestramento esplicito, è intenzionale, vuole potenziare le conoscenze del bambino, della bambina, la sua competenza emotiva. In molte altre situazioni invece, questo meccanismo di socializzazione è di più indiretto, accade e basta. Quindi è fondamentale il ruolo del socializzatore emotivo, perché la socializzazione coinvolge non solo ciò che il caregiver fa direttamente con il bambino in modo consapevole, ma anche e soprattutto tutto ciò che il caregiver fa, anche in modo inconsapevole, rispetto alle situazioni. È inutile che noi diciamo ai nostri bambini, alle nostre bambine in classe, che devono tenere un tono di voce basso, che non devono arrabbiarsi, quando noi alziamo la voce, urliamo e perdiamo la pazienza 50 volte al giorno, perché col modellamento gli stiamo dicendo altro. È inutile che io dica al bambino che non deve alzare le mani, se a casa per esempio come modalità di punizione utilizzo lo schiaffo o un’altra forma di manifestazione aggressiva fisica, perché con il modellamento io sto dicendo altro, io sto dicendo: “Tu fai così, ma io faccio un'altra cosa”. Perché conta sia il modo in cui rispondiamo alle emozioni del bambino, ma anche e soprattutto il modo in cui agiamo con le nostre di emozioni. Non è solo ciò che diciamo, ma come ci mostriamo con il bambino. E quindi il ruolo dell'adulto come socializzatore è fondamentale, il modo in cui il bambino o la bambina imparerà a riconoscere, a etichettare, regolare le proprie emozioni ha molto a che fare con il modo in cui l'adulto ha aiutato il bambino a farlo, il modo in cui l'adulto si approccia e risponde alle proprie emozioni. Prima dicevamo che passa dall’etero-regolazione all'autoregolazione, dalla regolazione nella relazione diadica alla regolazione autonoma. Però quella parte di regolazione nella relazione diadica è fondamentale, è l'adulto che insegna al bambino le strategie, che all'inizio sostiene il bambino nell’utilizzare le strategie di regolazione e quindi questo punto è importante. È attraverso i primi messaggi che il bambino impara quali emozioni possono essere espresse, come si chiamano. Se l'adulto insegna, in modo anche inconsapevole, al bambino che certe emozioni non sono appropriate, non sono lecite “perché sei maschio, perché sei femmina o perché sei un essere umano” indipendentemente dal genere. Il bambino impara questo. Impara che quell'emozione non può essere manifestata. Ma quell'emozione esiste, non possiamo negarlo, ci siamo detti prima, perché sono una risposta normale, fisiologica, di fronte a certe situazioni, a certi eventi salienti. Esistono, ma devo imparare a riconoscerle e regolarle. Dobbiamo distinguere tra l'emozione che è sempre lecita e il comportamento che segue quell’emozione che non sempre è lecito. Io ho sempre il diritto di essere arrabbiato. Non ho però il diritto di fare qualunque comportamento a seguito della rabbia che provo. Sono due sfere diverse. L'emozione è sempre lecita, al bambino va insegnato che è lecita, è il comportamento che deve essere controllato. L'emozione può essere modulata, non è qualche cosa che rimane lì e non cambia mai per sempre. L'emozione non è sanzionabile perché è la risposta fisiologica di fronte a qualche cosa che è accaduto, ha un suo valore. Siamo partiti da quello: l’emozione per quanto ha valenza edonica negativa, ci comunica qualche cosa di una situazione che magari sicuramente ci fa fermare. Non posso far finta che non esiste, quell'emozione esiste e ci comunica qualche cosa. Il problema sta nel che cosa me ne faccio io di quell’emozione. Come gestisco io quell’emozione. Come riesco o non riesco a regolare il livello di intensità dell'emozione che provo e il comportamento che metto in atto. Ai bambini e alle bambine va insegnato non che non deve provare rabbia o qualunque altra cosa nei confronti degli altri, è lecito che la provi, ma che deve imparare a regolare la sua emozione, soprattutto deve imparare a regolare il suo comportamento a seconda della situazione nella quale si trova, che certi comportamenti non sono mai leciti. Che l'emozione non giustifica qualunque comportamento. Ma non è l'emozione che è sbagliata, è il comportamento ad essere sbagliato ed è quello che deve essere sanzionato. C'è quindi una differenza tra l'emozione che provo e il comportamento che metto in atto. Ma ci deve essere una buona consapevolezza perché se io non so che sto provando un'emozione, agisco sulla base di quell’emozione, non so neanche cosa sto facendo, non ho il controllo di me. Sapete quando siete molto arrabbiati può capitare di perdere il controllo. Il problema è che io devo cogliere che sono arrabbiato prima di arrivare oltre il limite, oltre quella soglia che fa perdere il controllo. Ma per fare questo devo essere molto consapevole della mia situazione emotiva e riconoscere quella rabbia che sta crescendo e capire qual è la causa e lavorare su quella rabbia, non lasciarla crescere e poi esplodere, come l'eruzione di un vulcano, quello non è più gestibile, devo fermarmi prima. Devo riconoscere quali sono i segnali della mia rabbia, riconoscere quali sono le cause che mi portano ad essere arrabbiato e lavorare su quello, imparare a modulare e poi a gestire. Però il messaggio fondamentale che deve passare è questo: tutte le emozioni sono lecite, hanno un valore, un senso, una funzione; è il comportamento che ad esse segue, che non sempre è lecito, è corretto, su quello bisogna imparare a lavorare. Ci sono domande, dubbi? Siamo andati un po' lunghi, però volevo finire il discorso, poi domani magari riprendiamo. Intervento di uno studente: “Io ho assistito a una cena in cui c’erano due bambini. Un bambino di 9 anni più o meno era molto arrabbiato e la mamma non riusciva a gestire in nessun modo la rabbia. Il bambino diventava aggressivo anche nei confronti della mamma oltre che dell'altro bimbo e facevano tenerezza tutti e due perché anche la mamma non sapeva cosa fare. Cioè c'è bisogno di un aiuto eterno?”. Ogni storia è una storia a sé, quindi io non potrei darle una risposta non sapendo qual è la storia di quella relazione, di quella mamma e di quel bambino. Quindi non possiamo dire sì, probabilmente sì. Il vissuto di tenerezza nei confronti anche del genitore non è una risposta atipica. Molto spesso quando sono i nostri figli quelli coinvolti in questi momenti, la risposta non è fatta di empatia nei confronti dei genitori. Ma una risposta, anche questa è assolutamente fisiologica e normale, richiede un atto ulteriore di rappresentazione di che cosa c'è dietro. Ma l’impatto è immediato, se suo figlio e suo figlia si trovavano vicino a questo bimbo, immagino che la sua risposta non sarebbe stata “Oh poverina. La signora ha qualche difficoltà a gestire la rabbia del figlio”. La prima reazione è di pancia, poi quando, e anche qui è la differenza tra la pancia e la testa, la risposta emotiva sarebbe quella, ma quando la rileggo con la mente, la ricostruisco, mi posso dire: “Però anche lei ha delle difficoltà, sono situazioni difficili da gestire”. La risposta è di pancia, la risposta è di tutt'altro tipo, anche questo è importante riconoscere. Probabilmente sì, però noi non possiamo entrare nelle storie. Vorrei sapere che cosa ci sia.