Occhio Pedagogico Definitivo PDF
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This document discusses pedagogy, exploring various educational approaches and perspectives. It examines metaphors, core educational meanings, and the importance of a scientific and practical approach. The text delves into the dynamic nature of education, highlighting the complexities and nuances of the educational process.
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L’ OCCHIO PEDAGOGICO INTRODUZIONE: PEDAGOGIA IN ANZIONE: LE POTENZIALITÀ DI UNO SGUARDO EDUCATIVO UN’ESTRANEA FAMILIARITÀ + L’EDUCAZIONE È LE SUE METAFORE + LE GRANDI METAFORE E IL LORO LIMITE L’educazione è un tema che riguarda tutti, sia adulti che bambini, è un termine che viene usato molto...
L’ OCCHIO PEDAGOGICO INTRODUZIONE: PEDAGOGIA IN ANZIONE: LE POTENZIALITÀ DI UNO SGUARDO EDUCATIVO UN’ESTRANEA FAMILIARITÀ + L’EDUCAZIONE È LE SUE METAFORE + LE GRANDI METAFORE E IL LORO LIMITE L’educazione è un tema che riguarda tutti, sia adulti che bambini, è un termine che viene usato molto spesso nella nostra quotidianità e presenta molti significati diversi. Ci troviamo infatti davanti ad un’estranea familiarità: sappiamo cosa è ma spesso non riusciamo a trovare le parole giuste per spiegarne il significato (infatti molto spesso facciamo riferimento ad immagini e metafore) Immagini: che potrebbero essere esplicite o più simboliche, MA in entrambi i casi vengono valutate in modo corretto per descrivere la nostra idea di educazione Metafore: “l’educazione è come se fosse quella cosa..”- usare le metafore è vedere intorno a noi, pensare a qualcosa di simile al concetto che vogliamo esprimere, significa cogliere la similarità tra le cose. Le grandi metafore dell’educazione, ricercate da Mantegazza sono: - Metafore meccaniche: l’educatore è visto come colui che bada alla spontaneità del bambino ponendo come forza in grado di canalizzare l’energia vitale di chi sta crescendo. - Metafore biologiche-organiche: l’educazione molto spesso la si ricollega al ruolo di un giardiniere e ai processi di coltivazione “innaffiare”, una pianta potrebbe crescere benissimo anche senza l’aiuto di un giardiniere che ne aiuta la crescita, così il processo educativo che avrebbe luogo spontaneamente, ma grazie all’intervento educativo di un esperto si possono ottenere risultati migliori. - Metafore dinamiche: in cui l’educazione viene vista come un viaggio, e il compito del maestro-educatore è quello di accompagnare le tappe di questo cammino. - Metafore poetiche: in cui l’educare è visto come colui in grado di “vedere oltre” allo stato attuale delle cose, perché dotato di qualità creative. IMPORTANTE È RICORDARSI IL “COME SE” PER NON CADERE IN FORZATURE (Pagina appunti a lezione —>) I NUCLEI DEL SIGNIFICATO Generalmente alla parola educazione si indicano due derivazioni: 1. Édere: nutrire, allevare, far crescere (l’azione implica una tensione che dall’esterno conduce verso l’interno del soggetto) 2. Exducere: tirare fuori, far uscire (tutte le componenti del soggetto: le sue potenzialità, capacità e risorse possono uscire fuori ed esprimersi) Dal punto di vista pedagogico, è possibile rilevare alcuni aspetti caratteristici dell’educazione: - Cambiamento: sia l’azione del “nutrire” che quella del “tirare fuori” esprimono per le persone una possibilità di cambiamento (DOMANDA ESAME: Il cambiamento è condizione di possibilità vuo dire che rende possibile che possiamo scegliere) trasformazione che caratterizza tutta la vita di un essere umano. La nostra identità prende forma e si costruire nel corso del tempo in relazione alle esperienze che viviamo. Questo “dover dare da mangiare” consiste nel tirare fuori delle potenzialità mettendomi alla prova. - Necessità vitale: educarsi è una necessità intrinseca dell’uomo. L’uomo non vive solo di automatismo spontanei (mangiare, bere,dormire) ma avverte soprattutto la necessita di formare la propria identità e dar un significato alla propria esistenza. Il lavoro educativo è sempre un’azione di proposte e promozione tirando fuori le qualità dell’altro. Educare non significa togliere gli ostacoli, le difficoltà o le frustrazioni ma significa accompagnare nelle difficoltà, significa promuovere le sue abilità. Tra queste due dimensioni deve esistere una tensione dialettica, cioè deve stare in un equilibrio dinamico, e per far sì che sia così, il lavoro dell’ educatore è quello di trovare un equilibrio tra il proporre e il far emergere, deve fare Kairos ossia “trovare il momento giusto” Kairos: questo termine richiama due dimensioni: - Da un lato riguarda più in generale l’impegno dell’educatore a rendere opportuno e arricchire il tempo dedicato all’incontro educativo - Dall’altro più nello specifico a riflettere sul giusto momento in cui interviene La ricerca del “giusto momento” in relazione alla situazione, deve porsi in modo equilibrato nei confronti di due eccessi: Il precocismo: in cui la proposta educativa oltrepassa le possibilità del soggetto e il probabile fallimento potrebbe alimentare il senso di inadeguatezza Il ritardismo: in cui la proposta educativa potrebbe rilevarsi banale poco sfidante, alimentandone il soggetto alla percezione di essere poco stimato considerato incapace La dimensione temporale e quella dello spazio rappresentano le cornici di ogni relazione educativa. Ogni essere umano è esposto al tempo, e quindi al cambiamento. Esistono diversi tempi di vita che si intrecciano: - Un tempo biologico: collegato al cambiamento fisico - Un tempo sociale: che regola la nostra vita quotidiana - Un tempo personale: che rappresenta il nostro modo di vivere e dare senso agli eventi che incontriamo - Tempo storico: che corrisponde al tempo nel quale siamo immersi La ricerca del momento opportuno da parte di chi educa è una dinamica che può essere concretizzata solo in situazione, tenendo conto di due principi fondamentali: - la gradualità: sottolinea l’esigenza che l’azione educativa sia pensata per gradi e che l’educatore sia capace di collocare la propria proposta all’interno di un processo più ampio - il rispetto dei tempi del soggetto: Quanto la centralità della persona passi anche attraverso il rispetto dei tempi soggettivi di maturazione. Un’ultima considerazione rispetto al tempo è il distacco che può avvenire per svariate ragioni, una di queste potrebbe essere il fatto che il soggetto è autonomo. Questo momento del distacco non è semplice ma opportuno nel momento in cui la relazione sia stata fonte di miglioramento reciproco. Questo processo di cambiamento è dinamico e presenta delle caratteristiche particolari: 1. È un processo personale: ognuno si costruire la propria identità 2. È un processo relazionale: processo che avviene sempre in relazione con gli altri 3. È un processo socio-culturale: (non avviene nel vuoto ma sempre all’interno di particolari contesti socio-culturali). La questione educativa è inoltre UNIVERSALE e ANTROPOLOGICA, ogni epoca si è interrogata e si interroga su cosa significhi l’educazione e contiene implicitamente anche l’idea di “essere umano”. L’educazione è un processo che NON È MAI NEUTRALE, dipende sempre dall’epoca e dal contesto in cui si realizza. PEDAGOGIA IMPLICITA E PEDAGOGIA POPOLARE - Si parla di PEDAGOGIA IMPLICITA quando facciamo ferimento alle nostre idee di educazione, quando usiamo le immagini e le metafore, ma anche le esperienze per esprimerci. Questa è una pedagogia spontanea che non è a priori errata ma non va presa per assodato. Si tratta si un sistema di convinzioni e credenze sul funzionamento dei processi educativi e sulle modalità più idonee per educare che però sono i frutto della nostra personale esperienza vissuta. È una pedagogia inconsapevole e proprio per questo RISCHIA di cadere nel “si fa così, perche si è sempre fatto così”, restando indifferenti alla specificità delle situazioni. - Jerome Bruner definisce “PEDAGOGIA POPOLARE” una conoscenza ingenua perche è frutto dell’esperienza diretta non analizzata criticamente, piena di convinzioni.. Quindi secondo lo studioso, chiunque intendesse adottare dei cambiamenti in ambito educativa doveva prima trasformare queste sue “convinzioni” che guidano insegnati e allievi ed andare oltre al “senso comune” Occorre pertanto tornare all’educazione ricevuta, in modo critico e riflessivo per aver la possibilità di arricchire e integrare le nostre interpretazioni, questo è SAPER PROBLEMATTIZARE. Perchè è vero che tutte le persone possono parlare di educazione perchè, come detto precedentemente, è un’esperienza che ci segna a tutti da vicino, MA NON TUTTI SONO EDUCATORI e quindi è importante che l’educatore di professione sappia discernere le due cose. OLTRE L’EDUCAZIONE VISSUTA: L’ATTEGGIAMENTO SCIENTIFICO + RAZIONALITÀ PRATICA Per allagare i confini della nostra idea di educazione abbiamo bisogno di uscire dalla nostra esperienza vissuta, il che non vuol dire abbandonarla MA re-interpretarla, metterla sotto la luce di altre aspettative che siano meno “di parte”. Partire dai nostri vissuti è UNA CONDIZONE NECESSARIA MA NON SUFFICIENTE per educare gli altri, la possibilità di ampliare il nostro sguardo è offerta dall’adozione di un ATTEGGIEMNTO SCINTIFICO nei confronti dei processi educativi. - mantenere un atteggiamento scientifico non significare mantere una posizione fredda e distaccata PIUTTOSTO con la scienza si cerca di usare dei metodi sistematici che, davanti a dei fatti, ci consentono una migliore comprensione e un controllo più intelligente. Ciò che è ovvio è che anche con la scienza ci saranno dei misteri, delle cose che non conosciamo ma assumere un atteggiamento pedagogico-scientifico nei confronti dei processi educativi significa solo rendere meno confusionario l’intervento perchè è impossibile prevedere a priori il comportamento umano, ma è possibile valutarne le molteplici possibilità da adottare in situazione. Bisogna quindi avere una razionalità pratica ossia fare della pedagogia una scienza pratica (dalla mia esperienza o da ciò che ho studiato posso risolvere questo fatto, in questo modo..) Dopo le guerre mondiali si affermanarono le scienze dell’educazione poichè si smise di pensare che l’educazione fosse solo una questione privata o che abbia a che fare con una dimensione sociale, educazione non significa solo avere a che fare solo con i bambini ma con diverse età di vita, educazione significa avere competenze che vanno oltre la scuola, quindi diviene importante la figura dell’educatore di professione. La pedagogia risponde all’esigenza di coniugare il diritto all’educazione delle giovani generazioni con il dovere degli adulti e le loro caratteristiche e deve rispettare sempre la dignità umana di una persona. Essa è una scienza pratica che utilizza una specifica razionalità: LA RAZIONALITÀ PRATICA. Esistono TRE tipi di RAZIONALITÀ: 1. TEORETICA (O TEORICA): in cui si cercano di capire i fondamenti in generale facendosi grandi domande. Se si utilizza solo questa non si sa intervenire 2. TECNICA (O STRUMENTALE): si interessa alle modalità, “come faccio per..?”, “Qual è lo strumento migliore per…?”. Se si usa solo questo manca l’analisi. 3. PRATICA : è la razionalità della pedagogia. Che sta in mezzo alla teoria e tecnica e cerca di tenerle insieme perchè l’una serve all’altra. L’educatore deve essere in grado di agire in situazioni e far propria la razionalità pratica, cercando un equilibrio. Bisogna agirà e con saggezza (phronesis) In situazione: perche nella prospettiva pedagogica, assumere un atteggiamento scientifico NON SIGNIFICA produrre delle risposte pre-confezionate ed applicare in modo meccanico ciò che si è imparato PERCHÉ non è detto che ciò che ha funzionato per un contesto allora produrrà gli stessi effetti per un altro. La conclusione a cui prevengono le ricerche scientifiche o le nostre e speranze in ambito educativo non possono e NON devono trasformarsi in “regole d’azione” consentendo di rifugiarsi nel “si fa sempre così”, MA occorre far INCURSIONE NELLA SCIENZA: ossia ampliare le mie prospettive oltre quello ce io ritengo giusto di per sè. L’ OCCHIO PEDAGOGICO Nella lettera di Abraham Wald “rafforzare le parti bianche”: si sono utilizzare delle inferenze, ossia dei ragionamento, si è partito da qualcuna di implicito per arrivare ad una conclusione, si è pensato pedagogicamente, secondo una prospettiva pedagogica avendo uno stretto rapporto tra pensiero e linguaggio. Si diventa dei buoni educatori se usiamo le parole le modo corretto e continuiamo ad educatore noi stessi. Avere una BUONA RELAZIONE significa affinare le parole che utilizziamo poiché nel linguaggio come potrebbero avere delle semantiche diverse (Domanda esame: la relazione educativa ci dice o meno se noi o pensiamo pedagogicamente se sappiamo dare il significato di una parola in prospettiva pedagogica) Avere “occhio” significa saper fare attenzione, fare una stima, aver la capacità di riconoscere ecc. l’occhio pedagogico è un occhio che sa vedere la realtà per come è, MA È ANCHE un occhio prospettivo, che sappia “trascendere”, perché ci permette di vedere una “realtà probabile” che non si è ancora realizzata ma che può andar incontro ad un trasformazione, un occhio pedagogico, vede le disuguaglianze ed agisce per superare, cambiarle. L’educatore ha un visione dinamica della realtà, in continua trasformazione, il che ci rende delle FIGURE ATTIVE. L’educatore deve essere dotato di “SPERANZA PEDAGOGICA” cioè di un’istanza tarsformativa in cui crede che le cose possono cambiare. Le caratteristiche dell’occhio pedagogico: 1. Attento all’esistere: ha cura dei dettagli, osserva tutto, cercando il piu possibile di trovare informazioni utili sui soggetti, sui contesti e risorse. 2. Prospettico: “sognare ad occhi aperti”, sogni che però devono essere fattibili, realizzzabili, trasformando le nostre aspettive in un piano d’azione. Ernest Bloch parla di una visione binoculare ed usa la metafora “lasciare una porta semi-aperta” tra il reale e ciò che non si vede ma c’è. Occorre RESTARE POSSIBILISTI, anche se una cosa è difficile mi do la possibilità di provarci “Anche se vale poco, quel poco vale sempre la pena di farlo” 3. Accetta l’invisibile: anche se una cosa non c’è non è detto che non ci sia veramente, un educatore deve vedere sempre di più rispetto al filtro che abbiamo davanti agli occhi, un buon educatore non deve soffermarsi davanti a qualcosa solo perchè non la riusciamo a vedere, bisogna solo porla sotto una luce diversa, quella giusta. CAPITOLO 1. QUESTIONE DI FINI: PERCHÉ EDUCARE? UNA DISCUSSIONE IN CLASSE Durante il cambio d’ora in una classe si aprì un acceso confronto in seguito ad un video virale che mostrava alcuni ragazzi a deturpare uno spazio pubblico. Quando la professoressa entra in classe sente una frase: “ è questione di educazione!” e decise di chiedere ai ragazzi qual è lo scopo dell’educazione. Tra questi, c’è chi sostiene che: - serva per inserirsi nella società e trovare un lavoro - Per diventare buoni cittadini - Per imparare a scegliere ciò che fa stare meglio e sviluppare al massimo le potenzialità degli individui - E chi sostiene che l’educazione non serva a niente 1. EDUCARE IL LAVORATORE Vedere l’educazione come qualcosa che serve per inserirsi nella società e trovare lavoro vuol dire avere una PROSPETTIVA FUNZIONALISTA ossia concepire l’educazione in funzione delle mete indicate dalla collettività. Questa prospettiva non è sbagliata perché è giusto trasmettere conoscenze e competenze spendibili nel mondo del lavoro MA occorre anche porre attenzione valorizzare le qualità personali come, ad esempio la capacità di collaborare con gli altri e reagire alle difficoltà. Questa visione rischia di dimenticare aspetti importanti della formazione dell’uomo e per la sua crescita personale 2. EDUCARE IL CITTADINO Altri invece ritengono che lo scopo dell’educazione sia quello di diventare buoni cittadini. Anche questa prospettiva, la prospettiva funzionalista, però presenta un limite che si manifesta se si interpreta la dimensione personale come semplice adattamento dell’educando alle sue funzioni di cittadino, affinché una società possa definirsi democratica occorre che ognuno coltivi le proprie potenzialità, interessi culturali e le risorse personali affinché possa mettere a disposizione della collettività ciò che sa. 3. EDUCARE L’INDIVIDUO Un requisito fondamentale del processo educativo e che l’educando stia bene. I processi educativi dovrebbero avere il compito di coltivare le capacità individuali motivando il soggetto ad un continuo lavoro di crescita e di cura di sé: l’educatore deve stimolare l’educando al pieno raggiungimento della sua eccellenza. Questa prospettiva può mostrare alcuni elementi critici: - Assenza di frustrazione: se i processi educativi si mettessero a considerare esclusivamente la gratificazione immediata si potrebbe cedere alla tentazione di cercar di eliminare ogni difficoltà; INVECE è proprio dal mancato soddisfacimento immediato che siamo spinti a migliorare - Scoprire qualità inattese: Coltivare esclusivamente le potenzialità del soggetto presenterebbe il rischio di considerare queste potenzialità come un elemento “gia dato”, quando in realtà il potenziale umano si arricchisce costantemente nel confronto con la realtà - Parcellizzazione: rischia di identificare la totalità della persona con una parte delle sue potenzialità (colui che sta crescendo potrebbe essere considerato “ meritevole di educazione” esclusivamente per i suoi aspetti cognitivi. Di fronte a questa varietà di motivi dell’azione educativa, nessuna di queste però è valida perché sono unilaterali, non sono statici ma possono modificarsi nel corso del tempo in relazione alla propria esperienza e ai contesti in cui si opera. La prospettiva pedagogica invita ad avere una visione dell’essere umano in termini globali, ogni essere umano deve essere conosciuto come un essere completo fatto di tanti pezzettini. Una vita umana ed degna di essere vissuta quando è in grado di tenere assieme questi pezzettini, creando un equilibrio tra di essi. Jacques Maritan rimprovera la riflessione pedagogica di aver assegnato un’eccessiva enfasi ai metodi e alle strategie educative, ponendo in secondo piano la questione centrale dell’azione educativa ovvero il problema del fine. Gli educatori, poiché assorbiti dal proprio lavoro sul campo, possono correre il rischio di lasciare o di non tenere conto delle ragioni del perché educare. Riflettere sull’educazione in relazione ai fini implica la capacità di pensare “in prospettiva”: vale a dire stabilire un continuum tra mezzi e fini, accordare le scelte metodologiche e strategiche da mettere in campo in un determinato contesto. la prospettiva considera la persona come un fine in sé e l’educazione non può essere solo funzionale a qualcosa di esterno. DOVE “MIRA” L’EDUCAZIONE ? Il pedagogista polacco Suchodolsky Individuava la presenza di due tendenze contrapposte, ma correlate, nella storia della pedagogia: - Le “pedagogie dell’essenza”: accomunate dalla convinzione che fosse possibile individuare l’essenza dell’uomo in quanto essere umano, che vada oltre le differenze culturali, e interpretavano l’educazione come quel processo volto alla realizzazione della natura umana ideale. - Le “ pedagogia dell’esistenza”: interpretavano invece l’educazione come quel processo in grado di promuovere la piena realizzazione del soggetto, senza riferirsi a un modello ideale con il quale confrontarsi L’ATTENZIONE PEDAGOGICA: LA PERSONA COME FINE IN SÉ L’ATTENZIONE PEDAGOGICA si caratterizza per mantenere e coltivare una visione unitaria della persona umana, considerata come un fine in sé e mai come un mezzo per fini di altra natura. La pedagogia mira al miglioramento “ dell’uomo completo”: ciascun essere umano può essere considerato, nello stesso tempo, come un lavoratore ma allo stesso tempo come un cittadino, soggetto, lavoratore con le proprie abilità da promuovere, e non dovremmo cadere nella trappola della lettura riduzionista (ad esempio noi non valiamo come persona in base a quanto guadagniamo o a quanti amici abbiamo). Tutte le dimensioni dell’uomo difficilmente sono tra loro separabili ma anzi vanno a creare la dimensione unitaria della persona. È PROPRIO QUESTO IL FINE PIÙ GRANDE DI OGNI INTERVENTO EDUCATIVO. - L’idea di “uomo completo” funge da principio regolativo che assume una funzione critica che consente a chi educa di valutare le diverse proposte educative attive in un determinato contesto evitando contraddizioni. Questa funzione: 4. Incoraggia il miglioramento della persona 5. Rappresenta anche un OCCHIO CRITICO nel denunciare forme unilaterali di educazione O. Reboul: I fini dell'educazione: per la società o per il bambino? Nel testo evidenzia come il fine di ogni azione educativa non possa prescindere dal miglioramento della persona in quanto essere umano. Due visioni: - Dottrine empiriste o culturaliste: il bambino viene educato per la società in funzione dei valori di questa e non sarà un emarginato (cosi si opera per il suo bene). Ci sono valori senza cui la vita sociale sarebbe impossibile. (la lingua, la scienza, arte e morale) che permettono di diventare adulti. - Difensori della natura: rispondono che questa dottrina si basa su pretese norme scientifiche (adattamento, socializzazione), Beethoven Rousseau Einstein sono disadattati ma il loro genio si basava proprio su questo. L'educazione è ciò che ci distingue dagli animali. G.Vico Teologia pedagogica L'autore recupera l'idea kantiana della persona come fine e mai come mezzo. Una riflessione sulla persona umana in tutta la sua complessità come criterio dei processi educativi. Gli imperativi morali nell'incontro di ogni uomo con la propria ricerca della verita. Un tutto aperto alle comunicazioni della conoscenza e dell'amore come universo che si apre e si protende nella sua unità e integralità: - alla propria pienezza e la propria attitudine a realizzarsi - alla socialità, al volto dell'altro, la dialogica, - all'interpretazione del racconto la memoria del passato e della immaginazione del futuro, al perseguimento di qualcosa di bene e del bene, - esercizio della virtù per cui l'uomo diviene buono e per la quale realizza il proprio compito. La persona è un tutto che si apre un universo che tende all'unità e un'idea orientativa che deve tendere a: - alla propria pienezza fino alla trasparenza dei propri vissuti - all'essere degli altri essenziale per la realizzazione della logica della socialità - al volto dell'altro nelle sue emergenze urgenze - alla cultura nel suo valore di espressione creativa di libertà - al dialogo tra fede religiosa e fede laica (rispetto prioritario della persona) a una fenomenologia ermeneutica della persona - al senso di Dio CAPITOLO 2. RICONOSCERE PER AIUTARE A CRESCERE IN LUDOTECA Gli educatori di una ludoteca si scambiano alcune riflessioni sui bambini che partecipano alle attività. Gli educatori sostengono: - i bambini in hanno bisogno di noi in ogni cosa e si aspettano da loro più “intraprendenza” - Sostengono che essi si perdano in un bicchiere d’acqua - Ritengono che i bambini di oggi siano tutti immersi nei videogiochi e quindi “meno attivi” - Si domandano se sia giusto confrontare le due generazioni, la loro e quella dei bambini - Altri sostengono che dovrebbero riconoscere le loro qualità e non solo i loro limiti RICONOSCERE L’EDUCANDO In questa situazione appena descritta emerge che, per fare un lavoro educativo significa rifarsi alla condizione del riconoscimento dell’altro come qualcuno di significativo. Tutti i bambini, sin dai primi giorni di vita, hanno bisogno di essere riconosciuti dai genitori, che dedicano loro le cure necessarie, ed allo stesso tempo, riconoscere u genitori come quelle persone di cui potersi fidare. Così anche a scuola, lo studente HA NECESSITÀ di essere ascoltato dal docente, indipendentemente dal suo rendimento scolastico. - perchè dovremmo riconoscere l’altro? 6. In primo luogo consente all’educatore di conoscere l’educando per quello che è o potrebbe essere 7. L’atteggiamento di riconoscimento favorisce la costruzione di un legame (che sia esso affettivo o cognitivo) tra i due protagonisti dell’incontro educativo 8. Esso risponde ad uno bisogno fondamentale dle soggetto in crescita, esso rappresenta la condizione necessaria per una maturazione emotiva, crescita della fiducia ed autostima. Insomma, PERMETTE DI COSTRUIRE UN’IMMAGINE POSITIVA DI SE. E se questo ricoscimento viene a mancare? IL MANCATO RICONOSCIMENTO Il mancato riconoscimento rappresenta una minaccia per l’identità personale sociale del soggetto. Esistono diverse forme di mancato riconoscimento, Honneth ha proposto tre forme di queste: 1. Maltrattamento fisico: una persona non riconosce un’altra, quando si sente in diritto di poterne disporre da un punto di vista fisico. Si tratta di un’azione dannosa per la crescita delle persone, come ha segnalato la riflessione educativa a proposito della pedagogia nera. il rapporto caratterizzato dal maltrattamento e spersonalizzante e nega la sua dignità umana. 2. Umiliazione: che è una conseguenza della privazione di determinati diritti, questo tipo di maltrattamento produce l’effetto di distruggere l’autocoscienza del soggetto informazione e renderlo “incerto e complessato”. 3. Disprezzo: che significa negare le capacità dell’educando e le sue possibilità di autorealizzazione. Pedagogia nera: studiata all’inizio degli anni 70-80 da Miller Il compito dell’educatore consiste nell’aver cura degli allievi, ossia: preoccuparsi e aver premura del loro benessere fisico e psicologico, della loro crescita cognitiva, affettiva e morale. CHE COSA RICONOSCERE NEL SOGGETTO IN FORMAZIONE? + SPERANZA PEDAGOGICA Paolo Dusi, docente all’Università di Verona, sostiene che il riconoscimento nella persona è importante e ha distinto 3 ACCEZIONI DI RICONOSCIMENTO: - Riconoscimento-identificazione: “quell’essere umano è umano come me”. Questo implica che il soggetto sia riconosciuto con un valore di sé in quanto essere umano. (nell’esempio della ludoteca, Un tipo questo riconoscimento si è potuto verificare quando l’educatore insisteva sul far notare i punti che accomunano gli educatori ai bambini della ludoteca) - Riconoscimento- comprensione: “ sei uguale a me in quanto umano MA DIVERSO perché hai delle qualità diverse”. In questa concezione l’educatore riconosce e comprende le caratteristiche che rendono l’altro unico e singolare. Ciò significa anche che: se ogni soggetto è diverso dagli altri richiede anche differenti modalità relazionali, non per accentuare le differenze ma per offrire a ciascuno opportunità di successo ed espressione di sé. (nell’esempio della ludoteca sarebbe potuto venir meno questo riconoscimento nel momento in cui vengono confrontate le due generazioni) - Riconoscimento-attestazione: L’educatore riconosce quello che una persona potrebbe diventare, ciò implica quindi che l’educatore abbia fiducia nell’educando e la dimostri, in questo modo si favorisce il consolidarsi della fiducia reciproca. Porre l’attenzione sul riconoscimento delle capacità significa che l’educatore assume un occhio prospettico: “ non mi concentro su ciò che l’educando non sa fare, ma su ciò che sa già fare e soprattutto ciò che saprà fare successivamente al mio aiuto”. (nell’esempio della ludoteca questo riconoscimento lo si nota quando gli educatori sostengono di focalizzarsi sulle potenzialità dei bambini piuttosto che sui loro limiti). Questa terza forma di riconoscimento richiama il concetto di SPERANZA PEDAGOGICA: l’educatore deve essere animato dalla convinzione che ogni persona porti con sé risorse positive, anche se a volte nascoste e poco evidenti. la speranza pedagogica implica la capacità dell’educatore di “ vedere nel soggetto possibilità e futuro che neppure lui è ancora in grado di prevedere” (nell’esempio della ludoteca: questa speranza pedagogica la si poteva vedere in quegli educatori che sostenevano di “darsi tempo” Sicuri che altri cambiamenti positivi potranno verificarsi). “Aver speranza pedagogica” non significa aspettare passivamente, poiché la speranza ha bisogno di ancorarsi alla pratica (Freire), impegnandosi quotidianamente ad avvicinarsi verso la meta o condizione auspicabile per l’educando. Quotidianità: la relazione educativa si realizza sempre nel quotidiano e all’interno di una cornice spazio temporale ben definita. Educatori, insegnanti, formatori e animatori si collocano sempre in una posizione intermedia tra soggetto e relata, tra le istanze individuali e quelle socioculturali, cercando di sintonizzarsi e intgrarsk in queste istanze. - la speranza pedagogica si pone come un atteggiamento cardine perché è prerequisito della fiducia reciproca, in mancanza di questa dimensione di educatori perdono la fiducia nelle potenzialità degli educanti e nelle loro capacità formative. ACCETTAZIONE INCONDIZIONATA Roger, fondatore della psicologia umanista, parla di un concetto fondamentale di cui un educatore ne deve essere sprovvisto: il concetto di accettazione incondizionata. Questo concetto costituisce il presupposto affinché il soggetto informazione riconosca l’educatore come una figura significativa, degna di fiducia e di essere scelta come punto di riferimento. - Accettare incondizionatamente non significa accettare tutte le sue azioni. I comportamenti “negativi” possono essere compresi e corretti proprio grazie alla fiducia guadagnata dall’educatore. Chi sperimenta l’accettazione incondizionata a maggior possibilità di diventare una persona ottimista di fronte alle situazioni difficili, sviluppa una considerazione positiva di sé proprio perché è stato amato, accudito, ed educato per la persona che è. Lorenzo Milani, Riconoscimento e uguaglianza Nel testo ci racconta di due ragazzi che volevano che ripetessero la scuola e cambiando scuola fu cambiato anche il programma e Milani cita “voi li volevate tenere fermi alla ricerca della perfezione, una perfezione che assurda perché il ragazzo sente le stesse cose fino alla noia e intanto cresce le cose restano le stesse ma cambia”. Uno nei due c'è la fa reagisce invece l'altro alla fine molla proprio per la durezza degli insegnanti. R. Fadda riconoscere l'altro per averne cura I suoi studi si sono concentrati sul come approccio pedagogico sui fondamenti della pedagogia della cura nel tentativo di offrime uno sfondo ontologico della formazione il cuore dell'argomento e l'idea che per avere cura di un altro è necessario che egli sia riconosciuto come persona punto infatti nel testo si dice che di fronte a colui che si è perduto nella malattia solo la cura come ascolto dialogo e comprensione può salvare dal mancare l'esistenza cercando pazientemente quegli spiragli che segnalano un'esistenza cosi compromessi compromessa. La salvaguardia e riconoscimento dell'educando come altro da noi che costituisce la base per cui il soggetto possa diventare se stesso. ( Appunti presi a lezione —>) CAPITOLO 3: L’ESPERIENZA EDUCATIVA FAR FARE ESPERIENZA Alcuni educatori di un centro di aggregazione giovanile si domandano su quali attività del servizio da progettare, in un momento critico poiché l’affluenza è più bassa rispetto agli anni precedenti. Alcuni di questi educatori ritengono sia importante agganciare i ragazzi promuovendo un maggior numero di proposte che siano innovative e colgano la loro attenzione, ritenendo di dover far fare esperienze ai ragazzi ! UNA PLURALITÀ DI ESPERIENZE L’esperienza ha un valore decisivo in tutti i processi educativi: si educa attraverso l’esperienza e allo stesso tempo ci si educa. Essa è realmente educativa quando quella esperienza ci cambia, ci trasforma, e deve essere di qualità e non di quantità e non devono essere necessariamente positive, non dipende dal grado di piacevolezza “ è stata un’esperienza spiacevole, ma mi ha insegnato tanto”. Quindi un’esperienza piacevole a tutte le carte in regola per valere come un’esperienza educativa, ma anche una situazione spiacevole può averne le stesse possibilità. è possibile evidenziare due livelli su quali si gioca il valore educativo di un’esperienza: - il primo ha a che fare con il grado di attrattività e di piacevolezza: un’esperienza può essere definita piacevole o meno in relazione a vari fattori come: età, contesto, interessi - Il secondo ha una dimensione più implicita, in cui l’esperienza diventa oggetto di riflessione e il soggetto se ne appropria per comprenderne il senso e far di quell’esperienza,. Ciò che differenzia questi due livelli è che: l’elemento attrattivo è un aspetto che serve per “ agganciare” uno o più soggetti, MA ciò che qualifica un’esperienza è perlopiù il secondo livello attraverso il quale le persone hanno la possibilità di costruire, ricostruire o rielaborare il proprio punto di vista sulla realtà o su se stessi. JONH DEWEY E I CRITERI DELL’ ESPERIENZA Dewey evidenzia due aspetti importanti della questione: 1. Principio di continuità: l’esperienza si apre a nuove esperienze e quello che ho imparato mi serve per farne di altre. Questo perché non è educativa quell’esperienza che inizia e finisce in se stessa, ma deve farmi pensare e mi deve servire per utilizzarla in altri contesti 2. Principio di interazione: in cui l’esperienza deve predisporre un confronto tra il soggetto e la realtà. Deve incentivare il contatto e far scattare il “senso di auto efficacia” ossia quella convinzione che un soggetto ha di affrontare ciò che accade nella realtà realtà. Deve scattare il senso di auto efficacia (ossia quella convinzione che il soggetto ha di sé per affrontare una difficoltà nella realtà). FORMALE, NON FORMALE, INFORMALE L’educazione è ubiquitaria, ha molti modi e molti luoghi per realizzarsi: nello sport, scuola, Internet ecc. Come disse Tramma, l’educazione è un processo diffuso e continuo che non finisce mai anzi, continua per tutta la vita. Ci sono però 3 modi diversi di agire dell’educazione: - Educazione formale: facciamo riferimento a quei processi che avvengono in luoghi istituzionali e l’educazione è esplicitamente dichiarata (scuola) - Educazione non formale: ci troviamo in un contesto extra scolastico (sport, oratorio). E anche in questi contesti l’educazione può essere un pensiero, un volere - Educazione informale: e sostanzialmente l’esperienza quotidiana che non è volontariamente educativa. I criteri, che diversificano i diversi ambiti, cui la riflessione pedagogica divide questi ambiti dell’educazione sono: 1. Intenzionale: Quando “ è fatta apposta per..” 2. Progettuale: quando un’azione è pensata. Un buon lavoro educativo e quello di rendere autonome le persone. Bisogna organizzare, liberare e rendere libere le esperienze delle persone che si incontrano durante l’arco della vita. Le potenzialità educative offerte dall’esperienze di vita (educazione informale) sono quantitativamente più ampie rispetto alle proposte provenienti dai contesti formali e non formali. Questo però potrebbe condurre a due atteggiamenti opposti: - da un lato lasciare che sia la vita ad educare, senza alcun intervento di straccio dell’esperienza, e il rischio sarebbe proprio quello di accettare una serie di cose che non darebbe luogo ad alcuna trasformazione. - Dall’altro lato essere tentati di formalizzare ogni possibile esperienza di vita Ciò che è importante è che l’esperienza non sia fine a se stessa. Dewey, Non basta fare esperienza. Secondo il pedagogista in ogni nuovo movimento educativo vi è sempre pericolo nel respingere i fini e i metodi di quello che vuole soppiantare. Anche la valorizzazione dell'esperienza se non intesa correttamente rischia di andare incontro a questo pericolo. Tutto dipende dalla qualità dell'esperienza che si fa, che ha due aspetti: da un lato può essere immediatamente piacevole dall'altra darci la tua influenza sulle esperienze ulteriori. I principi della continuità e dell'interazione non sono separati ma si collegano e si uniscono. In situazioni differenti si succedono l'un l'altra ma in virtù del principio di continuità qualcosa apparsa da quella che precede quella che si sussegue. L'immediata diretta preoccupazione di un educatore è la situazione in cui ha luogo l'interazione. Tramma, L'educazione informale Riflette sulle peculiarità dell'educazione informale, essa è trasversale ogni esperienza di vita e si costruisce in relazione allo spirito dei tempi di una determinata di un determinato contesto socioculturale tuttavia è presente e si rende esplicita soprattutto quando sostiene la formazione di abiti mentali. Nelle esperienze non intenzionali si generano apprendimenti; eppure, non essendovi un'esplicita intenzione in tale direzione. (es. una relazione tra pari, un incontro con un'opera letteraria, organizzazione di uno spazio territoriale). Le educazioni informali possono essere caratterizzate da naturalità spontaneità e ingenuità e casualità. L'educazione informale e potenzialmente presente in ogni luogo ed esperienza. CAPITOLO 4: INTERESSE: DA “CIÒ CHE INTERESSA” A “CIÒ CHE È NEL TUO INTERESSE” TRA EDUCATORI Dopo la chiusura del centro educativo post scolastico, due educatori discutono di quanto è successo durante il servizio e si focalizzano su un ragazzo, svogliato e non si impegna. un educatore sostiene che se facesse quello che gli piace non farebbe in questa maniera, l’altra educatrice però sostiene che non sempre si può fare solo ciò che si interessa o in cui si fa meno fatica. L’INTERESSE AL CENTRO DELLA RIFLESSIONE EDUCATIVA Quando si affronta il tema dell’interesse dal punto di vista della pedagogia è possibile ritrovarlo nelle teorie “dell’educazione nuova” e nell’attivismo pedagogico, di cui fecero parte autori come: - Dewey - Claparède - Montessori - Declory ecc. In particolare Dewey, fa riferimento a questo spostamento dell’attenzione sul fanciullo, come protagonista, ad alcune vere e propria “ rivoluzione copernicana”, in cui metaforicamente il fanciullo “diventa il sole” attorno al quale girano gli strumenti dell’educazione. Questa “ rivoluzione” implica due aspetti essenziali: 1. ETÀ DELLA VITA: si inizia a concepire le tappe evolutive come delle vere e proprie età della vita con determinate e precise caratteristiche. Infanzia, fanciullezza ed adolescenza non vengono più viste come delle tappe che preparano all’età adulta, MA momenti di crescita che hanno un determinato valore intrinseco. 2. INTERESSI DEL BAMBINO: Si passa da ciò che gli adulti ritengono importante per il bambino, a ciò che piace spontaneamente al bambino Questi aspetti richiedono che l’educatore: - conosca i tratti tipici delle diverse età della vita - approfondisca le peculiarità del singolo soggetto - E soprattutto che i minori non vengano più considerati “ adulti in miniatura” OVIDE DECROLY E I “CENTRI DI INTERESSE” Secondo il pedagogista l’istruzione dovrebbe interessarsi della dinamica “interesse bisogno” che caratterizza ogni bambino. - L’interesse visto come segno interno E comune a tutti i bisogni - La curiosità invece sarebbe il segno esterno L’interesse è una modalità attraverso cui si attribuisce valore a qualcosa e questo ci spinge all’azione. (nell’esempio dei due educatori sopra: un educatore ha decodificato il segno esterno dello studente, ossia l’assenza di curiosità, e ne ha riferito uno interno. Ossia la mancanza di interesse verso la geografia). Secondo Decroly in ogni essere umano esistono quattro bisogni fondamentali a cui corrispondono degli interessi: - Nutrirsi - Lottare contro le intemperie - Difendersi - Lavorare - Riposare da solo o in compagnia - È una volta raggiunta la maturità dovrà essere capace di badare a se stesso (quindi aver sviluppato delle funzioni individuali). Ma anche di soddisfare le esigenze della sua famiglia e tutti i suoi obblighi sociali (quindi aver sviluppato delle funzioni sociali Questi quattro bisogni dovevano essere messi come “ centri di interesse” attorno ai quali sviluppare il programma scolastico. Partendo dalla convinzione che l’allievo può compiere esperienze educative solo se queste si rifanno ai suoi bisogni/interessi fondamentali. Decroly rifiutava l’insegnamento tradizionale sostituendolo con un insegnamento che si interessasse di più agli interessi e ai bisogni, ma soprattutto sosteneva che i nuovi programmi avrebbero dovuto tener conto di due esigenze fondamentali: - Quella soggettiva: e quindi il riconoscimento è l’arricchimento dell’individualità - Quella oggettiva-sociale: che consiste nel riconoscimento e arricchimento da un punto di vista socioculturale. Quindi il sistema formativo doveva tener conto delle facoltà del bambino e del suo adattamento all’ambiente in cui dovrà. (Sempre prendendo in considerazione l’esempio precedente: al ragazzo non piace la geografia, ma secondo un’educatrice lo studio di essa potrebbe essere utile al suo adattamento al mondo, sia nel caso in cui egli volesse viaggiare, sia per comprendere il mondo in cui vive) PER UNA LETTURA COMPLESSA:SUSCITARE INTERESSE L’argomento di mettere al centro interessi del bambino, è un argomento che mette pressoché tutti d’accordo MA - ancora troppo spesso il punto di vista del minore non è preso in considerazione e i suoi interessi continuano a essere messi in secondo piano. Anche Decroly, aveva fatto notare il rischio di una banalizzazione di questo argomento: infatti concentrare l’attenzione sugli interessi del minore non significa collegare attorno a questi interessi qualunque percorso formativo, ciò da cui si deve partire e l’interesse del minore MA il ruolo dell’educatore consiste anche nell’ampliare gli interessi, suscitarne di nuovi trasformando gli impulsi in un un piano d’azione. Ciò che è vero è che ognuno di noi ha delle “ inclinazioni naturali” ossia ambiti o attività in cui il soggetto si sente maggiormente coinvolto ma non per questo non potrà vedere altri interessi in futuro. L’educatore deve, soprattutto, comprendere che ha a che fare con una “ natura dinamica” ovvero suscettibile a variazioni in base all’età, alle esperienze ed ai contesti di vita. Proprio in base a questa dinamicità, bisogna pensare all’intervento educativo in due prospettive: - Seguire le inclinazioni personali in cui il soggetto si sente più a suo agio - E incoraggiare il confronto con la realtà, alimentando l’incontro con nuovi stimoli che possono diventare nuovi ambiti di interesse per il soggetto. (Quindi se dovessimo dire cosa devono fare gli educatori nell’esempio iniziale, non ci sarebbe una risposta: la sfida dell’educazione è quella di evitare sia le derive individualistiche “ faccio solo quello che mi piace” MA ANCHE quelle funzionalistiche “sono costretto a farlo anche se non mi interessa”, BISOGNA TROVARE IL GIUSTO EQUILIBRIO) Claparède Interessi e attività Poneva alla base della scuola attiva, il principio di bisogno e di interesse come fondamento di ogni attività vitale e quindi di ogni intervento educativo. Il compito dell'educatore consiste nel mettere il soggetto informazioni nella situazione adatta a risvegliare un interesse o un bisogno a favorire l'apprendimento di quelle conoscenze adatte a soddisfarlo. Un atto che non è direttamente o indirettamente collegato ad un bisogno è contro natura. Ed è ciò che la scuola tradizionale si ostina a fare agli scolari delle cose che non corrispondono ai bisogni dei ragazzi, se obbligati ricorrere ad una serie di mezzi punizioni. Qualunque sia l'attività se avete trovato il mezzo di presentarglielo in modo che la veda come un gioco sarà suscettibile di liberare suo profitto dei tesori di energia. Ed è questo il punto di Unione con la scuola e la vita. Il processo educativo della scuola attiva: - risvegliarsi di un bisogno mettendo lo scolaro nella situazione a suscitarlo - sviluppo del bisogno dalla reazione propria soddisfarlo - Apprendimento di conoscenza adatte a controllare questa reazione Il termine attività è ambiguo in una prima accezione attività un senso funzionale e attiva una relazione reazione che risponde ad un bisogno che sorge per un desiderio Meirieu, i diritti di bambini e la funzione educativa dell'adulto Analizzando la convenzione dell'ONU sui diritti dell'infanzia il pedagogista conduce una riflessione critica volta a cogliere le ricadute pedagogiche su ciò che è sancito dalla convenzione. Dal suo punto di vista, infatti, può coincidere con il depotenziamento del ruolo educativo degli adulti a cui è richiesta un'attenzione, una presenza e un rigor continui nel promuovere la crescita delle nuove generazioni. Ci sono due tipi di diritti: - I diritti-crediti che tutte le società devono garantire ai propri bambini e che rappresentano altrettanti obblighi (diritto a un nome, nazionalità, conoscere i propri genitori). - I diritti -libertà riconoscono al bambino di esercitare autonomamente varie libertà civili (esprimere la propria opinione, essere ascoltato, ricevere e diffondere informazioni). PARTE SECONDA!!! CAPITOLO 1: L’INTERVENTO EDUCATIVO LASCIARE O CONTINUARE ? È una bambina molto allegra ma anche molto timida, a scuola non va male ma ogni volta che la maestra in classe affronta un nuovo argomento, il suo viso si contrae ed esprime parole come “non lo capirò mai”, si fa prendere dal timore e torna a casa triste perché è convinta di non aver capito niente. Nei giorni successivi con l’aiuto dei genitori e dell’educatore del doposcuola Anna riguarda con meno agitazione il nuovo argomento. Successivamente si interessò alla musica e volle iniziare a suonare pianoforte MA dopo qualche lezione, una sera torno a casa e sconsolata dice che non ce la farà mai. i genitori di Anna riconoscono che imparare a suonare sia un’attività molto interessante per la bambina ma anche molto faticosa. da una parte il papà si chiede se abbia senso che sua figlia sperimenti il sentimento di inadeguatezza anche nel tempo libero, e la Mamma sostiene invece che questa potrebbe essere un’occasione per aiutare Anna ad affrontare con maggior fiducia queste sfide, senza rinunciarci e alimenta quel sentimento del “non ce la farò mai”. Non sapendo cosa fare allora i genitori si rivolgono all’educatore del dopo scuola. UN’AZIONE PENSATA In merito alla situazione appena descritta è necessario far passare il desiderio iniziale, da un “mi piacerebbe” al confronto diretto con l’esperienza vera e propria. I processi educativi formali non formali possiedono una funzione specifica: grazie alla loro strutturazione promuovono nei soggetti la possibilità di imparare a conferire un significato a ciò che succede, rendendo le persone più consapevoli nella scelta di quelle esperienze che incontrano nella vita quotidiana e che possono permettere loro di continuare a crescere. - L’esperienza della vita quotidiana in cui siamo immersi agiscono in modo perlopiù implicito e casuale, pur determinando una forma di apprendimento nei soggetti - L’azione educativa invece che si forma nei contesti formali, non formali persegue esplicitamente la crescita della persona in alcune sue dimensioni. Un intervento, per essere definito educativo, deve essere sistematico OSSIA, pensato e strutturato affinché possa dare gli esiti di cui ci si aspetta. In ambito pedagogico questa sistematicità espressa attraverso i termini di INTENZIONALITÀ e PROGETTUALITÀ. Esse sono due dimensioni strettamente connesse l’una all’ altra e danno vita ad una visione prospettica e circostanziata del cambiamento. Circostanziata perché l’educatore non abbandona il “ senso di realtà” ma presuppone anche di andare oltre il “già dato” (nell’esempio di Anna: il suo desiderio di voler imparare a suonare suonare pianoforte è stato accolto dai genitori che hanno sostenuto questa passione. Allo stesso tempo lo smarrimento di Anna davanti alle difficoltà deve essere preso in considerazione, analizzato ed approfondito con la bambina per essere trasformato in un’azione volta ad affrontare la difficoltà vissuta) 1. INTENZIONALITÀ: L’azione dell’educatore non è casuale o rafforzata, ma è un agire orientata a un fine che può essere ricondotto alla crescita e al miglioramento della persona. È un agire “mirato” ed è un “campo relazionale”. Campo relazionale: significa che ha senso in una relazione. - L’intenzione dell’educatore non può nascere solo nella sua testa ma deve esserci uno scambio con le persone con cui lavora, senza proteggere indipendentemente da esse. In campo educativo ogni azione deve essere orientata verso un fine. Quando parliamo di “fine” ci si riferisce ad un ideale ossia un principio astratto che orienta il processo educativo. Il fine ultimo dell’educazione è quello di generare un essere umano anche se, il più delle volte, molti educatori si dimenticano del tale fine andando a definire solo gli obiettivi, dando più importanza ai mezzi piuttosto che alle finalità educative, che rappresentano: A. le idee che ispirano l’azione B. alimentano l’azione C. costituiscono l’orizzonte verso cui tendere. Esse non rappresentano qualcosa di effettivamente raggiungibile ma cercano di indicare la direzione intrapresa dall’educatore. L’intenzionalità educativa quindi si esprime nell’individuazione consapevole di una DIREZIONE ESPLICITA verso cui tende l’intervento dell’educatore riconoscendo di star “lavorando in vista di…”. Infatti quando un educatore dice di aver “intenzionalità” all’interno di questa parola ci sono alcuni “ingredienti” per un corretto agire intenzionale: - VOLONTÀ: esprimo la mia volontà, ponendomi la domanda “ dove voglio arrivare?” - CAPACITÀ: mi domando se ho le capacità per fare una determinata cosa e se sono in grado di tollerare (tollerare perché parlare di “intenzionalità educativa” significa anche parlare della fatica di un educatore quando, nonostante il bel progetto che aveva in mente, non può attuarlo come aveva pensato perché deve adattarlo alla situazione e alla persona che si trova davanti. Deve saper bilanciare le intenzioni e le iniziative: Le prime sono quello che penso e che vorrei fare, le seconde invece sono la parte pratica) - RESPONSABILITÀ: chiedersi se si sa rispondere di un processo ed essere umanamente previdente a quello che potrà succedere nel progetto Essere umanamente previdente: significa essere coscienti, consapevoli. 2. Per quanto riguarda invece l’AGIRE PROGETTUALE, è un’azione in cui si va incontro ed è quello che dà vita ai progetti educativi. In ambito pedagogico si parla di “progetto educativo” e non di “programma educativo” poiché il programma è molto più rigido rispetto ad un progetto che è più flessibile e si può cambiare. L’agire progettuale ha tre dimensioni: Progettualità: quando si fa riferimento alla progettualità si fa riferimento ad un atteggiamento di apertura nei confronti del cambiamento. Parlare di progettualità è una postura, un modo diverso e prospettico vedere la realtà: Un buon educatore deve cogliere le potenzialità di trasformazione che non si sono ancora espresse, Deve Vedere i soggetti in formazione, non solo per quello che già sono ma anche per quello che potrebbero essere. Progettazione: la progettazione è un’attività pratico-riflessiva attuata dall’educatore e volta alla messa appunto delle strategie più utili: vengono indicate le finalità dell’intervento , gli obiettivi, le risorse e i vincoli della proposta per dar vita al cambiamento.Attraverso la progettazione l’educatore traduce un’idea in piani d’azione (colui che parla di piani d’azione è Dewey) Progetto: il progetto è la descrizione su carta di quello che l’educatore andrà a fare indicando le diverse fasi che caratterizzano l’intervento (capire con chi sia a che fare, dove voglio arrivare definendo gli obiettivi generali, definiscono le tappe di quello che andrò a fare, valuto il cambiamento andando a chiedermi se ciò che ho fatto ha funzionato o no) FORNIRE “BUONE RAGIONI” Con giudizio educativo indichiamo quella facoltà umana di esaminare a fondo una questione e dar vita ad una scelta. Il giudizio è fallibile ma è importante, in ambito educativo, fornire buone ragioni rispetto alle proprie scelte, anche se dovessero rivelarsi errate. Saper formulare un giudizio è una questione molto difficile per questo motivo è importante saper scegliere i criteri sui quali fondare il giudizio educativo. L’educatore deve compiere un esercizio di previsione capace di prefigurare ciò che potrebbe accadere sia a breve termine sia a medio lungo periodo (nell’esempio di Anna: il Papà si focalizza più sull’ immediato e di come Anna adesso sia in pensiero, la Mamma ha una visione che guarda più da lontano sostenendo che abbandonare la musica non la aiuterà ad essere più società delle sue capacità). Per trovare una soluzione a queste previsioni bisogna trovare il GIUSTO MEZZO, equilibrare le differenti istanze piuttosto che propendere verso una scelta escludendo l’altra. L’educatore deve formulare buoni giudizi pedagogici a partire dalla propria esperienza personale ma anche dalle conoscenze tecnico-scientifiche. Il proprio giudizio può essere considerato più affidabile: derivante anche dal confronto con i colleghi o dall’analisi di esperienze analoghe O più ragionevole: derivante da un’attività pensata alla luce di una situazione specifica Affidabilità e ragionevolezza costituiscono un elemento indispensabile del giudizio educativo: - da un lato perché il lavoro educativo è tenuto a esprimere le ragioni della propria azione sia se stessi sia nei confronti di coloro a cui l’intervento si rivolge - Dall’altro lato fornire buone ragioni educative diventa indispensabile durante tutto il processo soprattutto nel momento in cui queste ragioni si rivela errate. PROMUOVERE SENSO DI AUTOEFFICACIA Ogni intervento educativo deve tenere in considerazione la costruzione del senso di autoefficacia nei soggetti coinvolti (self-efficacy). Il senso di auto-efficacia è un concetto psicologico introdotto dallo psicologo Albert Bandura, che si riferisce alla percezione positiva (collegato al concetto di autostima) che una persona ha della propria capacità di affrontare e gestire con successo situazioni o compiti specifici. Nel senso di autoefficacia non è una disposizione innata o biologica ma si origina attraverso l’apprendimento. Le caratteristiche principali di esso sono: 1. Percezione della competenza: L'individuo crede di avere le abilità necessarie per affrontare una sfida. 2. Controllo e motivazione: Un alto senso di auto-efficacia tende ad aumentare la motivazione e la perseveranza di una persona. In caso di difficoltà, le persone con alta auto-efficacia sono più propense a cercare soluzioni, a non arrendersi facilmente e a utilizzare strategie diverse per risolvere il problema. 3. Influenza sull'emotività: Un buon senso di auto-efficacia può contribuire a ridurre ansia e stress in situazioni difficili, mentre una bassa auto-efficacia può portare a frustrazione, insicurezza e maggiore ansia. I fattori che influenzano l’auto-efficacia: 1. Esperienza diretta: Le esperienze passate di successo o fallimento in compiti simili sono uno dei fattori principali che influenzano il senso di auto-efficacia. Il successo precedente aumenta la fiducia nelle proprie capacità. 2. Esperienza vicaria: Osservare altre persone affrontare con successo compiti simili può aumentare la propria fiducia nelle proprie capacità. 3. Persuasione sociale: Incoraggiamenti o feedback positivi da parte di altre persone (ad esempio, allenatori, amici o familiari) possono rinforzare il senso di auto-efficacia. 4. Stato fisiologico e emotivo: Come ci sentiamo fisicamente ed emotivamente in un dato momento può influire sulla percezione delle nostre capacità. Ad esempio, una persona che si sente energica e motivata sarà probabilmente più sicura di sé rispetto a quando si sente stanca o ansiosa Secondo Bandura occorre che le persone non sperimentino solo successi facili perché altrimenti tenderanno ad aspettarsi solo risultati positivi e si scoraggeranno di fronte agli insuccessi. Lorenza Milani, le dimensioni dell'agire intenzionale nelle professioni educative L'autore qualifica esplicitamente tre dimensioni che caratterizzano il senso di un'intenzionalità pensata per la progettualità e sono: - l'intenzionalità dell'educatore deve esprimere il prevedere il fine e l'azione educativa (fare una sintesi tra memoria e futuro) - l'intenzionalità guarda l'intenzionalità dell'altro come soggetto in formazione questa affermazione non solo riconoscere il soggetto in formazione un valore e un essere dotato di senso ma indica la necessità di includere nell'agire e di educativo quelle ipotesi che concepiscono l'educazione riconducibile a schemi - l'intenzionalità come potenzialità da sviluppare nel soggetto umano perché l'essere possa prender forma e formarsi attraverso raggiungimento di una personale visione del mondo Natascia Bobbo, Progettare con saggezza La progettazione non va intesa in modo rigido ciò che è stato progettato va realizzato viceversa lavoro educativo richiede già in fase progettuale la capacità di riflette sulle circostanze in cui opera e sulle possibili conseguenze Ehi individua nella phronesis una delle dimensioni fondamentali dell'autonomia professionale dell'educatore nella fase della progettazione la proemio saggezza pratica e la l'abilità di decidere come agire nell'ambito di situazioni particolari e come puoi trasformare tale decisione in un'azione concreta e produttrice di bene nel caso del pensiero progettuale educativo si intende quella conoscenza in azione che nasce e matura nell'accumulo di esperienze pratiche dall'acquisizione di una capacità di buon ragionamento. CAPITOLO 2. LA RELAZIONE EDUCATIVA PAUSA CAFFÈ Quindi un papà un papà torna a casa LA RELAZIONE COME CORNICE DI OGNI INTERVENTO EDUCATIVO La relazione assume un ruolo primario nell’intervento educativo poiché un buon educatore deve prima costruire una buona relazione e poi può aver inizio il lavoro educativo. Questo perché senza relazione non c’è educazione La relazione è: - Una cornice che rende possibile qualunque intervento educativo - Rappresenta lo strumento principale dell’azione messa dall’educatore La relazione educativa è importante dal punto di vista pedagogico anche perché richiama all’ INTERSOGGETTIVITÁ umana: che pone i soggetti che sono coinvolti in prima persona nella costruzione della propria identità. Ogni buona relazione umana presenta i TRATTI della RECIPROCITÀ: tra i partecipanti vi è sempre uno scambio di vissuti, stati d’animo e credenze. In questo incontro, si confrontano la personalità dell’educatore e quella dell’educando. Sottolineare la reciprocità all’interno di una relazione educativa significa anche evidenziare l’individualità delle persone: esse infatti, entrando in contatto con gli altri rimangono comunque distinte e con delle proprie peculiarità. L’apertura relazionale si manifesta attraverso tre azioni: - Aver cura della situazione - Prestare attenzione - Andare incontro Questi tre aspetti formano in modo specifico un particolare tipo di relazione che è quella educativa, che non è semplicemente uno scambio di informazioni, ma verrà utilizzata come uno strumento pedagogico. La relazione educativa diventa quindi uno strumento fondamentale attraverso il quale sostenere la crescita e il miglioramento delle persone e il primo passo per questa è il consolidamento di un buon legame interpersonale con le persone alle quali questa relazione educativa si riferisce, infatti questa relazione ha un carattere orientativo: che consisterebbe in uno stare bene insieme che pone chi educa nella consapevolezza di rappresentare un punto di riferimento per l’altro, favorendo il confronto necessario a sostenere il processo di trasformazione dei soggetti. I tratti distintivi di questa relazione sono: i codici relazionali e l’asimmetria. - CODICI RELAZIONALI Una buona relazione educativa deve essere stimolante, deve saper provocare chi cresce e spingere la persona che sta crescendo a mettersi alla prova, affrontare sfide in un ambiente in cui esse siano controllate (supportate e guidate dall’educatore). Questa condizione però può portare a delle perturbazioni, proprio perché spingendo una persona a mettersi alla prova si possono generare momenti di incertezza, disagio o difficoltà. L’educatore deve saper diventare occasione di apprendimento, senza lasciar che siano troppo destabilizzanti. Questo duplice aspetto è espresso nel riconoscimento del valore assegnato da due codici relazionali complementari che devono essere presenti entrambi nella costruzione di una buona relazione educativa: - Codice materno: che si concentra sulle dimensioni dell’accoglienza, della cura e dell’accudimento empatico - Codice paterno: che si concentra maggiormente sulla richiesta di prestazione. Questi due codici hanno un valore simbolico e non sono strettamente connessi al maschile o al femminile. Devono essere presenti entrambi in modo equilibrato altrimenti si incorre verso dei rischi: - se si usa solo il codice materno l’intervento educativo rischia di trasformarsi esclusivamente in una azione di assistenza - Se si usa invece solo il codice paterno si può trasformare i lavori educativo in una semplice azione di addestramento senza tener conto delle caratteristiche personali del soggetto - L’ASIMETRIA L’ assimmetria in ambito educativo è di carattere funzionale, e stollinea come all’interno della relazione educativa ognuno ha una sua funzione funzioni ed i ruoli sono differenti. Il mancato riconoscimento di questa disparità di ruoli porterebbe ad un semplice incontro amicale. - Quando parliamo di “asimmetria funzionale” si indica come tra l'educatore e le persone con cui lavora c'è una differenza di ruolo e di responsabilità, ma non perché uno sia migliore dell'altro. La differenza sta nel fatto che l'educatore ha un ruolo specifico, quello di guidare e progettare le attività educative, lui progettata degli obiettivi che vuole raggiungere con l’educando attraverso il rapporto con gli altri. Invece lo studente o il bambino ecc. ha il suolo di imparare ed essere accompagnato nel suo percorso. L'educatore ha una sorta di piano o scopo chiaro nella relazione educativa, mentre gli altri non sono necessariamente coinvolti in questo aspetto. Per questo motivo l’ asimmetria sposta il peso della relazione sul versante dell’educatore poiché ha una maggior consapevolezza e responsabilità. Questa differenza di ruolo è temporanea poiché nel corso del tempo questa è destinata a scomparire, poiché il suo scopo è quello di trasferire quella momentanea asimmetria della responsabilità e della consapevolezza nelle mani di chi sta crescendo, trasformando la relazione asimmetrica in una relazione simmetrica. La relazione simmetrica si instaura nel momento in cui i soggetti hanno imparato ad esercitare quella responsabilità e consapevolezza che prima esercitava l’educatore e che ora invece sono in grado di continuare e di autoeducarsi. L’elemento dell’asimmetria si esprime sempre all’interno di specifici contesti educativi - all’interno di un contesto strutturato (ambiente scolastico), il tema della simmetria può essere più esplicito - Invece all’interno di un contesto meno strutturato ( interventi svolte nei quartieri o nelle attività di educativa territoriale) la questione dell’asimmetria si rivela molto molto più complessa Inoltre appare molto più difficile instaurare una relazione asimmetrica con alcuni soggetti in base all’età anagrafica come ad esempio nei bambini questa è più semplice, mentre appare molto più difficile nei casi in cui ci si confronta con adulti o anziani - La gestione dell’asimmetria: l’asimmetria è un rapporto di potere in cui si incontrano due forze, l’autorità dell’educando e la libertà del soggetto in formazione. Una lettura sbagliata del principio di autorità potrebbe sfociare nell’ autoritarismo o nel permissivismo e un educatore deve essere autorevole NON AUTORITARIO. Scivolare nell’autoritarismo significa soffocarne la libertà. Il principio di autorità deve essere al servizio della libertà e deve essere funzionale alla crescita del soggetto in formazione. COSTRUIRE UNA BUONA RELAZIONE Per costruire una buona relazione vi sono due concetti molto importanti che sono: - la zona di sviluppo prossimale: elaborata da Vygotskij che era contro rispetto a quelle posizioni definite “botaniche” o “zoologiche” di intendere l’educazione “soggetto va coltivato”. L'educazione per Vygotskij non è un processo semplice o lineare, ma qualcosa di più complesso, non è solo una questione di trasmettere informazioni dall'educatore all'allievo, ma l'apprendimento avviene attraverso un continuo scambio tra la persona che impara (l'individuo) e il mondo che lo circonda (l'ambiente). Durante l’apprendimento sono presenti molti “salti” o cambiamenti improvvisi nel comportamento, conflitti tra idee diverse o tra vecchi e nuovi modi di pensare, che portano alla crescita. La zona di sviluppo prossimale va intesa come la distanza tra il livello effettivo di sviluppo determinato dal problem solving autonomo E il livello di sviluppo prossimale determinato attraverso il problem solving sotto la guida di un adulto. Con la zona di sviluppo prossimale Vygotskij attribuisce alla partecipazione dinamica dei soggetti un ruolo decisivo, sottolinea l’importanza di pensare alla relazione educativa come occasione attraverso il quale un soggetto può mettersi alla prova, non tanto attraverso ciò che sa fare da solo ma come ampliamento delle proprie risorse. L’educatore deve essere una figura ponte che non solo costruisce una relazione profonda con le persone di chi ha cura ma allo stesso tempo arricchisce questo legame aprendolo a nuove interazioni. Si cerca di pensare alla relazione educativa in termini prospettici come occasione attraverso cui il soggetto può mettersi alla prova a ampliando le proprie risorse. - Scaffolding: elaborata da Brunner. Con il termine Scaffolding Brunner individua, in forma metaforica, la relazione educativa come un’impalcatura. L’impalcatura ha il compito di proteggere il palazzo e sostenerlo durante i lavori di manutenzione, così la relazione educativa: sostiene l’educando nel consolidamento e nella costruzione della propria identità. L’immagine dell’impalcatura è vista come una struttura provvisoria e cge sarà destinata a scomparire per permettere al soggetto di ampliare la propria autonomia. La funzione di Scaffolding si realizza sulla base di sei operazioni: 1. Adesione al compito: l’educatore deve agganciare l’interesse del soggetto e mantenere focalizzata l’attenzione in relazione alle richieste legate allo svolgimento del compito 2. Riduzione di grandi libertà: ovvero ridurre momentaneamente la complessità dell’attività da svolgere in azioni più semplici, proseguendo per gradi 3. Mantenimento della direzione: sostenere ed incoraggiare la possibilità che la persona intraprenda anche strade o soluzioni alternative all’esecuzione del compito 4. La segnalazione delle caratteristiche determinanti: nell’incoraggiare ad affrontare un compito, l’educatore sostiene il soggetto nell’individuare quali siano gli aspetti più importanti per procedere alla soluzione del problema 5. Il controllo della frustrazione: il ruolo dell’educatore non è quello di eliminarono i frustrazione piuttosto utile calibrare un livello ottimale di frustrazione che non deve essere eccessivo né inesistente. Deve trovare il giusto equilibrio poiché un eccesso di frustrazione rischia di inibire l’azione del soggetto e allo stesso tempo un’insufficienza di frustrazione rallenta l’impegno 6. L’azione di dimostrazione: presentare un abbozzo di modelli possibili su come si fa il compito “ ti faccio vedere come si potrebbe fare” Entrambe le riflessioni, sia la zona di sviluppo prossimale che lo scafolding nascono a partire da alcuni studi condotti all’interno dell’ambito scolastico ma estendibile anche ad altri contesti. Buber, la simmetria come ricomprensione Mil pasa che lage la individua ela coasei in a radi perico della funzione contemporaneamente la situazione sia dal proprio punto di vista, sia da quello dell'educando per fornire a chi cresce ciò di cui ha bisogno per imparare ad autoeducarsi. Si tratta di una capacità che non può essere richiesta all'educandato e per questo rappresenta un elemento che esprime quella maggiore consapevolezza e responsabilità proprie di chi educa. Franta, il comportamento relazionale degli educatori Tremi diri fare del pesano eleti e e Prono distino, con spo edgagia, lavoro educativo un particolare modo di interagire pro-sociale. Questa modalità testimonia la consapevolezza da parte dell'educatore di voler costruire un'interazione tesa a far crescere l'altro. CAPITOLO 3. I SIGNIFICATI DELL’ AUTONOMIA UNA DISCUSSIONE IN FAMIGLIA Un papà, tornando a casa dopo aver fatto i colloqui con le maestre di sua figlia, riflette sulle parole che gli hanno detto: sua figlia non è autonoma. Allora pensò a tutte le volte che uscirono di casa e alle mille discussioni per vestirsi e prepararsi e si convince che le maestre avessero ragione. Anche sua moglie pensò questo, sostenendo che lui faccia tutto al posto della figlia e che gliele dia sempre vinte, mentre quando esce lei con la figlia, quest’ultima si prepara senza lamentarsi tanto. In quel momento arriva la nonna che era andata a prendere l’altro figlio alla festa di compleanno di un suo compagno. La nonna riferì ai genitori che il ragazzo aveva fatto una gara con i suoi amici su chi beveva più lattine di Coca-Cola, sostenendo inaccettabile questo suo comportamento e dicendo ai genitori avrebbero dovuto far qualcosa in merito, dovevano aiutarlo ad agire in modo autonomo e responsabile. Da un lato vi era il padre che giustificava il suo comportamento data la giovane età e riteneva che andrebbe lasciato far fare un po’ da solo (cosa che invece non pensava per la figlia), dall’altro lato la mamma invece che sosteneva che non si poteva accettare tutto quello che faceva il figlio. UN PRINCIPIO REGOLATIVO L’autonomia può essere considerata come un principio regolativo dei processi educativi, ovvero un punto di riferimento ideale che ha lo scopo di dare unità all’azione educativa. Essa, intesa come principio regolativo, si configura come una meta da perseguire: osservando infatti la crescita dell’essere umano, dall’infanzia alla vecchiaia, è possibile sostenere che questa autonomia costituisce un’istanza fondamentale dei processi di crescita. - inizialmente la vita dell’uomo nasce da una CONDIZIONE DI DIPENDENZA. La parola dipendenza però non è una condizione negativa anzi nella vita infantile il fatto di poter dipendere da un adulto e indispensabile, rappresentando il legame necessario che si instaura tra il neonato e i genitori funzionale ad una crescita sana oppure costituisce il punto di partenza di una relazione educativa proficua tra alunno e maestro (pensiamo ad esempio all’inizio di un percorso di apprendimento dipendiamo dal maestro perché in quel momento “ne sa più di noi”). - Nella fase adolescenziale il soggetto inizia a voler esplorare e sperimentare relazioni al di fuori della famiglia. Gli adolescenti possono sviluppare un atteggiamento di CONTRO- DIPENDENZA, ad esempio entra in conflitto con i genitori. Durante questa fase, l’adolescenza, si può vedere una separazione dai modelli genitoriali e la costruzione di una propria identità personale attraverso un processo di individuazione che si forma nelle relazioni con altri adulti di riferimento e i coetanei. IL COMPITO DEL GENITORE e quello di modificare e modulare i propri comportamenti non pretendendo il mantenimento dello stesso legame di dipendenza che vi era invece nella sua prima fase di vita - Nella fase dell’età adulta e dell’anzianità, i soggetti pongono in primo piano la sfida di conservare e coltivare diverse forme di autonomia. In tutte le fasi della vita il principio di autonomia rappresenta un ideale regolativo che guida ogni percorso educativo. Esistono diverse forme in cui l’autonomia si manifesta: 1. AUTONOMIA PERSONALE: Questa forma è evidente nei bambini piccoli MA è presente anche quando si parla di persone adu,lte con disabilità. (Nell’esempio sopra indicato è l’auTonoia che cercano le maestre nei confronti della bambina). Il compito di chi si occupa di educazione, in questi casi, è quello di coltivare la capacità dei soggetti di muoversi nello spazio e portare a termine attività quotidiane senza il bisogno di qualcuno. 2. AUTONOMIA COGNITIVA: È il cosiddetto “pensare con la propria testa”. Essa permette di individuare la possibilità di comprendere, di essere compresi e di pensare a se stessi. Ci si riferisce alle caratteristiche proprie di un individuo di elaborare le informazioni necessarie per risolvere una situazione. In questo caso, l’educatore ha il compito di sviluppare nell’educando la sua capacità di fare autocritica e di auto organizzare il proprio pensiero e le proprie facoltà cognitive per rispondere in modo adeguato alle situazioni in cui si trova. 3. AUTONOMIA SOCIALE: è definita dalla capacità di saper convivere con gli altri, sapendo interagire e interiorizzare le norme della convivenza sociale. In questo caso l’educatore avrà il compito di sostenere la capacità di un’equilibrata auto espressione e autoaffermazione dell’educando all’interno di un contesto sociale relazionale. In caso di autonomia sociale si manifesta una TENSIONE DALETTICA Tra espressione ed affermazione di sé. 4. AUTONOMIA AFFETTIVA: indica la possibilità per un individuo di vivere le proprie emozioni e desideri, separandosi dall’aiuto dell’altro. Il compito dell’educatore è quella di agire affinché la persona possa prendere posizione e sostenere le proprie scelte di fronte ai problemi, sia che si tratti del soggetto in crescita, dell’adulto disabile o con l’anziano perché ogni persona può imparare ad avere cura dei propri sentimenti. L’educatore deve fare in modo che questi soggetti coltivino in primo luogo l’autocontrollo della dimensione affettiva e, in secondo luogo, di vivere pienamente emozioni e sentimenti 5. AUTONOMIA MORALE: Quando si parla di autonomia morale, si fa riferimento a un concetto di Kant, secondo il quale questa forma di autonomia ha come significato il fatto che una persona è in grado di determinare da sola le proprie azioni seguendo una propria legge morale, cioè sapendo cosa è giusto o sbagliato senza essere costretta o influenzata da altri, poiche in questo caso si parla di etiche eteronome (quando una persona agisce seguendo leggi o regole imposte dall'esterno senza una propria riflessione morale. UN CONCETTO DENSO Il percorso dell’autonomia è processo lungo, complesso e non lineare, sempre aperto ai cambiamenti ma questo porta ad una condizione precaria poiché non è mai definitiva. Dal punto di vista psicologico richiede molte energie questo perchè perché implica un cambiamento profondo nella modo di pensare, sentire e agire di una persona, che non avviene in modo automatico o senza difficoltà. Secondo Masset (ricercatrice e psicologa) l’autonomia è definita attorno a tre assi che tengono conto: - degli altri - Delle regole - Della responsabilità individuale 1. PRIMO ASSE. Dipendenza-Indipendenza: tra questi due vi è una tensione dialettica poiché non si è mai né completamente dipendenti, né completamente indipendenti dagli altri. L’autonomia consiste nel riconoscere le proprie dipendenze ed evolvere verso l’indipendenza che si manifesta nella comunicazione e nella condivisione con gli altri (nell’esempio opra indicato, questo è evidente nel fatto che un genitore Dimostri autonomia personale (la mamma) a differenza dell’altro (il papà). 2. SECONDO ASSE. Rispetto delle norme e della libertà: Questo secondo asse vede la tensione dialettica tra rispetto delle norme e della libertà. In questo caso si vogliono stabilire confini e regole per un’interazione armoniosa e la collaborazione con le altre persone nella società. Queste regole poste da figure educative, non rappresentano necessariamente delle forme di coercizione o impediscano l’espressione dell’individuo ma delimitano il contesto e lo spazio d’azione rendendo possibili le relazioni interpersonali (seguendo l’esempio: la nonna che chiede al papà di intervenire sul figlio con delle regole e dei vincoli per far maturare la sua capacità di autodeterminarsi). Regole: un bambino può crescere come un essere autonomo solo solo se incontra un genitore, o un maestro, che pone delle regole, spiegando a lui il senso e promuovendone la comprensione). 3. TERZO ASSE. Sè dominato e il sè dominante: In questo caso vi è una tensione dialettica tra il sé dominato il sé dominante. Un soggetto autonomo riconosce che non può mai avere un potere assoluto su se stesso (e cioè essere liberi da qualunque influenza esterna o aver pieno controllo su ogni aspetto della sua vita, perche viviamo in un contesto sociale che ci influenza) , perché è sempre in relazione con gli altri, ma sa anche di avere un certo margine di libertà e scelte a disposizione. Libertà intesa come la possibilità di decidere in base alle proprie inclinazioni, pur essendo consapevoli delle influenze esterne. In questo caso emerge il concetto di AGENCY ossia la capcita degli individui di avere il potere e le risorse per realizzare il proprio potenziale e prendere decisioni consapevoli nonostante le influenze esterne. L’agency evidenzia la possibilità di come noi possiamo utilizzare il confronto con gli altri come risorsa per il proprio benessere individuale e soaicle, senza cadere in forme di individualismo. IL COMPITO DELL’EDUCATORE è quello di trovare un giusto equilibrio, non ponendo al soggetto solo limiti e regole ma anche “lasciar spazio” di esprimersi. AUTONOMIA COME INTERDIPENDENZA Un chiaro esempio di autonomia come interdipendenza lo si puo vedere nell’esempio iniziale in cui il papà faceva tutto al posto della figlia perchè, secondo lui, la figlia non era capace di affrontare quei compiti da sola (cosa che invece non era vera perchè con la madre riusciva benissimo). Il concetto di interdipendenza riguarda molte fasi della nostra vita, la prima fase ma anche la fase della preadolescenza in cui ci si dimostra incapaci di dimostrare e regolare le proprie emozioni o l’anziano che non riesce più a fare le cose più basilari della vita quotidiana, e quindi avrà bisogno di qualcuno. MA INTENDERE L’AUTONOMIA SOLAMENTE COME INDIPENDENZA PORTEREBBE AL RISCHIO DI PROPORRE UN’IMMAGINE DI PERSONA RINCHIUSA IN SE STESSA. Si parla in questo caso delle OMBRE dell’INDIPENDENZA: - La prima è quella del “bambino lasciato solo”. In questo caso gli adulti lo “abbandonano” a se stesso. In questo caso il bambino è vero che diventerebbe indipendente ma non perche ha avuto un processo di crescita e presa di consapevolezza, attraverso il supporto e la vicinanza di figure educative (che esse siano professionali o non) MA perché È STATO OBBLIGATO a badare a sè stesso. - La seconda è quella del “bambino tiranno”. Questo bambino è un bambino senza regole, che non ha interiorizzato le norme della convivenza. In questo caso il bambino diventerà indipendente perché crede che “può fare ciò che vuole”, convinto di poter disporre degli altri a proprio piacimento. In questo caso c’è stato un errore da parte della figura educatrice poichè costruire autonomia o preserverla non significa assecondare tutte le richieste dell’educand ma come si diceva prima porre lui dei limiti, dei margini. Autonomia non significa non aver bisogno di nessuno MA essere capaci di essere consapevoli della rete relazione nella quale ognuno di noi è inserito e trovare un giusto equilibrio dinamico tra appartenga, saper stare insieme e saper stare da soli. SOSTENERE L’ACQUISIZIONE DI UN’AUTONOMIA MATURA Per la conquista di una buona autonomia matura bisogna mettersi alla prova, ma soprattutto DARSI LA POSSIBILITÀ DI SBAGLIARE, di commettere errori ma sempre in presenza dell’educatore che ci aiuta a comprendere i motivi dei propri errori, occorre sperimentare il senso di frustrazione che se correttamente sostenuto dall’educatore può rivelarsi molto positivo. L’educatore infatti deve “aver tatto”, essere tollerante e promuoverne la crescita, ponendo sempre un atteggiamento di fiducia e compressione verso l’educando Paulo Freire, l'autonomia è un processo Ribadisce ancora una volta come uno dei saperi necessari all'educazione è la consapevolezza di dover sviluppare nell'educando la convinzione di essere un soggetto che produce conoscenza; l'educazione è pertanto concepita come la creazione della possibilità di produrre e costruire conoscenza. Da questo punto di vista la formazione si distingue dall'addestramento. Allo stesso tempo afferma con convinzione che l'educazione è un atto politico perché richiede sempre una decisione, scelta per favorire il cambiamento. Nel testo cita che uno dei compiti dei genitori è di rendere chiaro al figlio che la loro partecipazione all'assunzione delle decisioni non è un'intromissione anzi un dovere; e che sono proprio loro che con suggeriscono quali sono le conseguenze che implicano le decisioni prese. La posizione della madre o del padre deve essere quella di accettare senza intaccare o ridurre la propria autorità del figlio. Il figlio si deve far carico della propria decisione che pone le basi della sua autonomia. L'autonomia in quanto maturazione dell'essere è un processo è un divenire. Non scatta una data precisa. Marchisio, la vita indipendente: un nuovo paradigma per le persone con disabilità L'autrice affronta la relazione tra i concetti di autonomia-indipendenza-interdipendenza nell'ambito della disabilità intellettiva. La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità ha determinato un cambiamento di paradigma segnalando il diritto a una vita indipendente per le persone disabili. Uno degli articoli più interessanti è l'articolo 19 che afferma che le persone con disabilità devono poter scegliere dove e con chi vivere sulla base di uguaglianza con gli altri. La persona, quindi, deve essere parte della comunità accompagnata nel suo percorso della vita adulta. CAPITOLO 4. LE DINAMICHE DELL’ INCONTRO EDUCATIVO IL DILEMMA DEL PORCOSPINO Una compagnia di porcospini, per proteggersi dal freddo, si stringono vicini facendosi calore l’uno con l’altro ma le spine degli aculei li costrinsero ad allontanarsi per poi riprovarci di nuovo fino a quando riuscirono a trovare la GIUSTA DISTANZA nonostante la situazione complessa. DENTRO LA RELAZIONE Occorre trovare una moderata distanza reciproca che possa caratterizzare i dinamismi che qualificano l’incontro tra educatore ed educando anche verso quelle dinamiche sottili e complesse la cui gestione coinvolge in prima persona la consapevolezza e la responsabilità dell’educatore. L’etica delle professionalità educative invita ciascun educatore all’aggiornamento continuo, valorizzando le proprie competenze senza “sedersi” sulle esperienze maturate nel corso della propria attività professionale. Ogni educatore è chiamato: - Da un alto, a conoscere e riconoscere quanto è già stato vissuto, mantenendo un atteggiamento di rispetto e accettazione - Dall’altro lato, a trasformare il vissuto in risorsa, aiutando chi è coinvolto nel processo educativo a rielaborare le esperienze pregresse. Le esperienze vissute dell’educando possono essere molteplici e talvolta possono riguardare anche episodi di fragilità e vulnerabilità. La relazione educativa può incontrare anche momenti di conflitti che possono diventare arricchenti per entrambi gli interlocutori se opportunamente gestite. I “FANTASMI” DEL LAVORO EDUCATIVO Gli educatori sono consapevoli che dietro alle loro scelte ci siano delle “auto- rappresentazioni” che guidano la loro azione e rappresentano i “fantasmi” chiamati in questo modo poichè il più delle volte queste rappresentazioni non sono strettamente legate alla realtà concreta, MA si originano piuttosto da convinzioni, esperienze ed idee personali dell’educatore che agiscono nella situazione educativa in modo implicito e talvolta anche senza che l’educatore ne sia pienamente consapevole. Queste interpretazioni, non sono sbagliate o errate MA possono rivelarsi tali impediscono a chi educa di analizzare in modo critico la situazione. I FANTASMI sono: 1. Il FORMATORE: l’educatore pensa che il suo compito sia quello di dare una buona forma all’altro. In questa rappresentazione l’altro è considerato come un essere imperfetto o materia da plasmare. Questo fantasma ha dei punti di forza: è abbastanza sicuro di se ma il problema è che questo tipo di educatore RISCHIA di avere in mente solo quello che lui o lei ritiene una buona forma senza tener conto dell’altro o cogliendone le sue imperfezioni. 2. Il TERAPEUTA: è colui che vuole far guarire o restaurare. Quindi valorizza gli aspetti “riparativi” del lavoro educativo ma RISCHIA ANCHE di individuare l’educando solo come colui che ha bisogno di essere curato e ha bisogno di assistenza perdendo di vista la persona nella sua interezza. 3. Il MAIEUTA: questo educatore vuole far emergere, il suo ruolo è quello di “far partorire” le potenzialità dell’educando. L’educatore in questo caso considerato l’altro buono per natura ma che ancora hanno bisogno di essere tirate fuori. Tra i rischi ci sono l’iper- protezione non riuscendo a vedere la realtà così come è, nella convinzione che che sia sufficiente costruire un clima relazionale caldo ed accogliente per sostenere il miglioramento delle persone. 4. L’ INTERPRETE: è colui che vuole far prendere coscienza, quell’educatore che immagina il proprio lavoro come un continuo lavoro di interpretazione: è ottimista nei confronti delle possibilità di cambiamento dell’altro ma rimane anche imprigionato nelle proprie interpretazioni. Questo tipo di educatore però RISCHIA di restare intrappolato nelle proprie interpretazioni. 5. Il MILITANTE: esso attribuisce grandi potenzialità verso i soggetti in crescita, guarda con sospetto tutti quegli aspetti della realtà che non gli forniscono le opportunità migliori per la sua crescit, anzi crede che l’educando sia una vittima del sistema. Tra i suoi punti di forza troviamo una grande autostima ma anche un profondo allentamento dal reale. 6. Il RIPARATORE: è colui per il quale le difficolta degli altri diventano le sue. Questo tipo di educatore è sensibile e attento a cogliere le sofferenze altrui ma questo porta molti RISCHI come ad essere di essere troppo coinvolto e quindi si verificherebbe Una mancanza di lucidità d’intervento che si acquista solo attraverso quella “moderata distanza reciproca”. Deve saper gestire le dinamiche affettive: le emozioni positive ma anche quelle negative sono da accettare mantenendo però sempre una certa distanza e un certo distacco dal coinvolgimento emotivo, bisogna avere una moderata vicinanza reciproca senza farsi coinvolgere ma nemmeno essendo troppo coinvolti. Ciò significa rendersi disponibili all’ascolto ed essere in grado di attivare modalità di comunicazione empatica ma allo stesso tempo di prestare attenzione a non scivolare a forme di iperattivazione che condurrebbero ad un eccessivo coinvolgimento e a conseguenti difficolta nella gestione della relazione. Non bisogna per forza restare freddi e distati di fronte alle emozioni degli altri, piuttosto attivare un coinvolgimento equilibrato che consenta di intervenire in modo opportuno. 7. Il TRASGRESSORE: è colui che vuole liberare l’educando dai tabù e dai divieti perche visti come elementi che soffocano la crescita del soggetto. Non si è immuni dai fantasmi ma non è detto che tutti i “fantasmi” siano presenti in ogni educatore Ciò che è opportuno è conoscere e analizzare criticamente le proprie auto- rappresentazione, divenendo consapevoli dei punti di forza di questi ma anche dei limiti. LA GESTIONE DELLA RELAZIONE EDUCATIVA All’interno della relazione educativa vi sono molte dinamiche (come la gestione dell’asimmetria, la gestione delle dinamiche affettive e il “giusto tempo”) e sarà compito dell’educatore gestirne le criticità. LA POSTURA EDUCATIVA Nella cassetta degli attrezzi delle professionalità educative si possono trovare molti strumenti e metodologie da adottare durante il lavoro educativo, ma anche la capacità di saperle utilizzare. Si tratta di adottare posture personali e professionali che ogni educatore deve avere. Buoni educatori si diventa usando le parole in modo corretto e continuando ad educare noi stessi. Le caratteristiche di una buona postura pedagogica sono: - L’autenticità: l’educatore sa riconoscere la propria funzione all’interno della relazione educativa, presentandosi all’educando così come è, con i propri punti di forza e i propri limiti - La trasparenza: l’educatore deve essere trasparente nel dire quelle che sono le proprie scelte educative, motivando le proprie azioni - La congruenza: si intende quell’atteggiamento di coerenza tra ciò che l’educatore afferma o chiede all’educando. “ non posso chiedere agli altri qualcosa che non so fare io” - La capacità negativa: significa essere capaci di rimanere nell’incertezza e nella complessità accettando che qualche volta non sappiamo fare. È molto meglio riconoscersi in difficoltà piuttosto che prendere una decisione a caso. Questo non significa non risolvere la cosa ma non aver fretta di farlo ed osservare bene qualcosa. Tramma, i valori propri e i valori altrui Una dinamica interessante che abita alla relazione educativa è la questione valoriale se infatti i valori possono rappresentare dei criteri di giudizio coi quali ciascuno di noi prende posizione nella realtà quando questa dimensione coinvolge l'incontro educativo con l'altro occorre prestare attenzione. Nessuna azione educativa può essere considerata neutrale, tuttavia, il rapporto tra le convinzioni dell'educatore e quelle dell'educando deve essere gestito dall'educatore con consapevolezza. I valori sono dunque i criteri rispetto ai quali si costruisce il consenso o il conflitto di una determinata collettività o gruppo, che nella realtà quotidiana si traducono in norme sociali. Rossi, il potere su per il potere di Dopo aver osservato che il potere è strumentale all’educazione. Bruno Rossi evidenzia come tale potere esercitato nella forma dell’autorevolezza possa avere una funzione liberante per i soggetti formazione. si tratta di esercitare l’autorità in modo critico e consapevole in funzione della crescita dell’altro. Ciò consente di passare da un’idea di potere su qualcuno al potere di promuovere le potenzialità di chi sta crescendo. L’educando ha bisogno di presenze autorevoli, coerenti e fedeli in grado di ascoltarlo e interpretarne la domanda formativa. L’aver cura autorevole aiuta l’altro a divenire consapevole e libero. Il fine dell’autorità dell’educatore e la libertà dell’educando. PARTE TERZA!!!!!! I CONTESTI PER EDUCARE ED EDUCARSI CAPITOLO 1. L’ EDUCAZIONE FAMILIARE AGGANCIARE I GENITORI? Alcuni educatori ed educatrici ritengono importante integrare anche le famiglie nelle attività proposte dal servizi, sostenendo che questa occasione potrebbe creare nuovi legami, conoscere meglio i genitori e allo stesso tempo creare grandi occasioni di incontro e confronto con loro. Altri educatori però ritengono che questa loro proposta potrebbe non essere compresa appieno dalle famiglie, che in alcuni casi certi educatori avrebbero dovuto interfacciarsi con genitori che non si sono comportati bene in determinate situazioni. In questa situazione interviene una mediatrice culturale del servizio, il cui compito era quello di lavorare con bambini stranieri, lei sosteneva che valesse la pena conoscere meglio le persone che vivono con i bambini, sapere i loro punti di vista anche se non si è sempre d’accordo poiché è sempre un valore aggiuntivo, inoltre sosteneva che non si potesse lavorare bene con i bambini senza coinvolgere le famiglie IL NODO DI UNA RETE Molto spesso nelle situazioni di fragilità in età adulta o nei processi formativi che coinvolgono progetti di vita delle persone con disabilità, spesso il legame familiare è al centro del lavoro dell’educatore e può rilevarsi allo stesso tempo: - Un elemento critico: perché le relazioni sono inesistenti, o rappresentano una fonte di preoccupazione per i soggetti coinvolti - Oppure può costituire un fattore di protezione per migliorare le condizioni di vita e l’autonomia delle persone Ciò che bisogna considerare è che il lavoro dell’educatore deve cercare di coinvolgere i legami relazionali più importanti dei soggetti in formazione, sottolineando la centralità della famiglia (nonché primo spazio educativo per ogni essere umano, in cui le prime relazioni familiari ci hanno permesso di essere introdotti nel mondo. Per questo motivo possiamo dire che l’educazione familiare sia il luogo originario dell’educazione ) ma tenendo conto che vi sono anche altre occasioni formative. L’educazione familiare, quindi, è un fattore importante, ma se questa è inadeguata il successo educativo non è possibile. UN CONTESTO DI CRESCITA PERSONALE Come abbiamo potuto vedere nell’esempio iniziale alcuni educatori ritengono che coinvolgere le famiglie nelle attività di servizio rappresenti “un’invasione” nella sfera privata che vada oltre i compiti di un educatore che si occupa di minori. Questo prende il nome di RISCHIO DI INTRUSIVITÀ da parte dell’educatore che vede i genitori inadatti a svolgere i propri compiti educativi ma è anche vero che tra le mura domestiche spesso si manifestano dei comportamenti genitoriali inadeguati che rischiano di lasciare il minore da solo. Quindi dobbiamo tenere presente che esistono due aspetti che rappresentano le fonti dell’educazione familiare: - la reciprocità esistenziale ( indica il rapporto che si ha con gli individui all’interno della famiglia: genitori, nonni o fratelli e sorelle ) - e il senso di appartenenza (consiste nella partecipazione a una realtà concreta che delinea esperienze, ruoli e compiti da svolgere nel quotidiano). La famiglia è il primo sistema relazionale, attraverso il quale questi due aspetti si sperimentano. Essa viene definita sia come un “esistenziale” luogo importante per la crescita delle persone MA ANCHE come un aspetto che contribuisce, attraverso aspetti più impliciti, come: gli atteggiamenti, il clima e l’atmosfera tra le mura domestiche, a costruire un’immagine di sé del mondo. UN CONTESTO DI EMANCIPAZIONE SOCIALE La famiglia è considerata come un luogo di relazione: - da una parte protegge i suoi membri dalle difficoltà esterne (sopratutto i piu vulnerabili come anziani e giovani/bambini), difendendoli, a livello soaicle ma anche emotivo, dalle difficoltà e dai conflitti che possono arrivare dall’esterno. - Dall’altro lato ha anche un ruolo attivo, non si limita solo a proteggere ma anche a far crescere le persone in modo che possano partecipare attivamente alla vita sociale, svolgendo un ruolo fondamentale per l’elaborazione di modelli e idee di società capaci di rilevarsi compatibili per le generazioni successive. Come sostenne Hannah Arent i genitori hanno il compito di assistenza e crescita del bambino, ma hanno anche una grande responsabilità per quanto riguarda la continuazione del mondo. Dal punto di vista pedagogico bisogna considerare l’educazione familiare attraverso un approccio ecologico: nel senso che la famiglia è il prodotto di dinamiche soggettive private Ma allo stesso tempo, la famiglia è i risultato di altri sistemi relazionali, ambientali e socioculturali. Nella prospettiva bio-ecologica lo sviluppo umano è il frutto di un’interazione dinamica che si fa sempre più complessa tra i diversi sistemi ai quali ciascuno appartiene: - Ontosistema: che racchiude le caratteristiche biologiche dei soggetti - Microsistema: che riguarda l’insieme delle relazioni più prossime (genitori-figli, fratelli- sorelle) - Mesosistema: che è l’insieme dell’interazioni tra diversi microsistemi (interazioni con i vicini o i parenti) - Esosistema: Che riguarda tutti quei rapporti che coinvolgono solo alcuni componenti della famiglia che ricadono indirettamente sulla vita di questa. - Macrosistema: fa riferimento ai fattori socioculturali, le scelte politiche che pur non interagendo direttamente con una singola famiglia ne orientano le scelte Queste relazioni sono sempre collocate in una situazione E costituiscono le ecosistema formativo sugli adulti già cresciuti. LAVORO EDUCATIVO E L’EDUCAZIONE FAMILIARE Nelle famiglie contemporanee: - L’andamento demografico italiano è in calo - Molti scelgono di non sposarsi in modo formale, attraverso matrimonio civile o religioso ma piuttosto vi è un aumento delle coppie. - Allo stesso tempo l’allungamento della vita media ha determinato un incremento delle attenzioni familiari e delle politiche socio educative - Mentre per i giovani si registra una certa fatica a conquistare l’autonomia dell’età adulta. Parallelamente a queste trasformazioni strutturali nelle famiglie contemporanee si assistette ad una pluralizzazione di forme familiari: 1. Le famiglie monoparentali (ricomposte in seguito ad una separazione di un divorzio un