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Alma Mater Studiorum - Università di Bologna

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neurochirurgia sindrome ipertensione endocranica patologie neurochirurgiche fisiopatologia

Summary

This document is a lecture or course notes on neurochirurgia. It discusses the syndrome of intracranial hypertension, focusing on its causes, diagnosis, and treatment principles. The text explains how different factors contribute to this condition and elaborates on the Monro-Kellie hypothesis as well as the role of intracranial pressure (ICP) management in neurological disorders.

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NEUROCHIRURGIA Programma di Neurochirurgia Sindrome da ipertensione endocranica e coma Emorragia subaracnoidea e malformazioni vascolari Emorragie intracraniche spontanee e post-traumatiche (extradurale, sottodurale, intracerebrale) Idrocefalo Traumi cranio-...

NEUROCHIRURGIA Programma di Neurochirurgia Sindrome da ipertensione endocranica e coma Emorragia subaracnoidea e malformazioni vascolari Emorragie intracraniche spontanee e post-traumatiche (extradurale, sottodurale, intracerebrale) Idrocefalo Traumi cranio-encefalici Traumi spinali Tumori del SNC (gliomi, meningiomi, metastasi, tumori di origine disembriogenetica – craniofaringiomi, cisti colloide, epidermoidi e dermoidi, teratomi, lipomi, tumori dell’ipofisi, tumori dell’orbita, tumori dei nervi cranici e dei nervi periferici, tumori spinali intradurali) Ernia del disco (cervicale, dorsale, lombare) e patologie degenerative del rachide Dolore e neurochirurgia funzionale Malformazioni cranio-encefaliche e vertebromidollari (craniostenosi, Sindrome di Chiari, encefalocele, spina bifida) SINDROME DA IPERTENSIONE ENDOCRANICA LEZIONE 1 La sindrome da ipertensione endocranica è una sindrome causata dall’aumento di pressione all’interno della scatola cranica, che si verifica in presenza di un processo occupante spazio (non solo i tumori, ma anche emorragie intracerebrali ed intracraniche, ascessi, edema cerebrale), non solo per la massa stessa, ma per le modificazioni che essa produce sulla circolazione cerebrale liquorale ed ematica. E’ un quadro clinico che riguarda gran parte delle patologie neurochirurgiche e se non riconosciuta porta a morte certa il paziente. È presente nella maggioranza dei pazienti con lesioni espansive, perlopiù nelle fasi tardive; quindi nei pazienti con tumori o edema cerebrale, se diagnosticati in tempo, è possibile evitare l’insorgenza di ipertensione endocranica. Una lesione espansiva può provocare l’insorgenza di idrocefalo (ovvero un accumulo di liquido cerebrospinale nella scatola cranica dovuto a una ipersecrezione, a un mancato/alterato riassorbimento o a un’ostruzione alla circolazione del liquor), secondario all’alterata circolazione del liquor cerebrospinale, o indurre reazioni severe sul settore vascolare o interstiziale che conducono alla comparsa di edema cerebrale. (Non chiede la tecnica chirurgica ma pretende la patologia e la diagnosi: definizione, minimo di epidemiologia, eziopatogenesi, quadro clinico, diagnosi, principi generali terapia medica e chirurgica) La sindrome da ipertensione endocranica esprime una sofferenza diffusa di tutto l’encefalo. Fisiopatologia A differenza di qualsiasi altra cavità corporea, la scatola cranica (e anche il canale vertebrale) è una struttura rigida, un contenitore anelastico, inestensibile, assolutamente chiuso a qualsiasi comunicazione con l’esterno e non ha la possibilità di essere messo in comunicazione con altre cavità anatomiche che possano in qualche modo supplire a questa inestensibilità e mancanza di elasticità. Gli unici punti di comunicazione tra la scatola cranica e l’esterno sono i fori che si trovano alla base del cranio. Questi fori consentono il passaggio di strutture vascolari, di strutture nervose e, in parte, soprattutto per quanto riguarda il forame magno (dentro cui si impegna la giunzione tra il tronco dell’encefalo e il midollo spinale), della colonna di liquido cefalorachidiano che sta attorno al midollo spinale stesso. Quindi è una cavità in cui, per via della compliance, i cambiamenti del contenuto sono molto difficili da gestire. Qualsiasi fattore alteri il contenuto della scatola cranica stessa espone al rischio che si instauri un’ipertensione endocranica. La presenza di sangue nella scatola cranica deve far pensare a due cose: Vascolarizzazione arteriosa: il poligono del Willis, struttura vascolare molto importante. Il cervello non ha un peduncolo vascolare, come il rene o il fegato. Questo reticolo di vasi che sostiene la circolazione arteriosa cerebrale serve ad evitare che l’occlusione di uno dei rami arteriosi che arrivano dentro la scatola cranica possa causare la morte con l’infarto dell’organo. I vasi che entrano nella scatola cranica sono sostanzialmente quattro: le due carotidi interne, attraverso i forami che si trovano nel contesto della rocca petrosa del temporale, e le due arterie vertebrali, attraverso il forame magno nella porzione più posteriore. Il circolo di Willis ha una funzione importante di autoregolazione del flusso ematico cerebrale. Gli eventuali sbalzi pressori in eccesso o in difetto, che possono mandare in sofferenza gli altri organi dell’organismo, sono sentiti dal cervello più lentamente e meno significativamente proprio grazie a questa struttura vascolare. Il Willis infatti frena i picchi in eccesso della pressione arteriosa, costituendo una sorta di filtro al picco pressorio stesso; viceversa, compensa quelle carenze di flusso che si possono verificare in condizioni di ipotensione. Quando questo meccanismo, che è regolato dal Sistema Nervoso Autonomo, è scompensato da un qualsiasi fattore a livello vegetativo si verificano fenomeni come vertigini, visione offuscata. Un esempio è dato dal banale passaggio dal clino- all’ortostatismo, dove la variazione della forza di gravità, causa una transitoria riduzione del flusso ematico cerebrale (non è una malattia, è un disturbo banale, molto spesso transitorio e correlato a eventi stressogeni di qualsiasi tipo, dell’autoregolazione del flusso ematico cerebrale). Questo meccanismo di autoregolazione funziona bene solo quando anche gli altri componenti della scatola cranica sono in buon equilibrio tra di loro. Dunque il parenchima cerebrale deve occupare l’80-85 %, il liquor il 5-10 % e così via. In condizioni diverse da queste, l’autoregolazione del flusso ematico cerebrale comincia a difettare. Vascolarizzazione venosa: se è vero che il cervello non ha un unico asse vascolare in ingresso, è altrettanto vero che non ha un unico asse vascolare in uscita. All’interno della scatola cranica sono presenti diversi circuiti e anastomosi tra gli scarichi venosi profondi e gli scarichi venosi superficiali, tali per cui il sistema venoso è variamente organizzato per garantire comunque che tutto il sangue che deve venire fuori dalla scatola cranica ci riesca nell’unità di tempo. Le strutture venose più importanti, ovvero i cosiddetti seni venosi durali (seno sagittale superiore, seni trasversi, seni sigmoidei, che poi scendono verso le giugulari e costituiscono il bulbo stesso delle vene giugulari interne), sono in condizioni di equilibrio nel momento in cui il meccanismo dell’autoregolazione, funziona in maniera corretta. Come può aumentare la quota parenchimale? Come può quell’80-85 % di cervello e di tronco encefalico diventare più di quanto deve essere? Nel momento in cui si instaura la condizione di EDEMA CEREBRALE. L’edema cerebrale è molto simile all’edema che si verifica negli altri organi: è causato dall'aumento della quota idrica che può essere tanto a carico del compartimento intracellulare quanto a carico dell’interstizio, cioè di quella rete extracellulare di fibre e di tessuto collagene che costituisce l’impalcatura stessa di un organo. Nel cervello l’edema assume delle caratteristiche peculiari. Nel cervello ci sono due tipi di edema: l’edema vasogenico e un edema citotossico. In presenza di edema cerebrale, il volume del cervello aumenta e questo porta ad un’alterazione delle condizioni che vigono all’interno della scatola chiusa. La massa intracranica pesa 1.3-1.5 kg, costituita da: 1. LCR (10%) 150ml: la quantità di liquor prodotta in 24h è pari a 450 ml, quindi 150 ml è la quota che si trova nel sistema ventricolare e negli spazi subaracnoidei. 2. Volume tissutale (80%) 3. Sangue (10%): 150ml La PIC o pressione intracranica (PIC) può essere definita come lo stato di equilibrio tra la somma dei valori pressori dipendenti dalle tre componenti presenti all’interno della scatola cranica: parenchima cerebrale, sangue, liquor. In condizioni fisiologiche vi è equilibrio dinamico tra i componenti, in relazione alle normali variazioni del flusso ematico cerebrale e del LCR. Il liquor è dinamico perché viene prodotto e riassorbito, quindi circola all’interno della scatola cranica; il sangue oltre a circolare risente, nonostante l’effetto filtro del Willis, dei valori di pressione arteriosa sistemica. Dunque alla pressione esercitata intrinseca e fisica di queste 3 componenti dovete aggiungere il ruolo che gioca la pressione arteriosa sistemica nel fare aumentare la pressione intracranica. Se per una qualsiasi ragione dovesse aumentare la quota di sangue che arriva dentro il cervello (un esempio è dato dal paziente che ha un transitorio rialzo della pressione che si mantiene stabile per un po’ di tempo, dove il Willis non è in grado di contrastare efficacemente questo rialzo) la massa ematica che ci sarà dentro la testa non sarà più 150 ml, ma sarà ad esempio 180 ml. In qualche modo sarà necessario che le altre due componenti perdano 20 ml per compensare questa differenza. Intuitivamente, qual è la componente sulla quale si può fare più gioco? Quella liquorale, che si può spostare, ad esempio, dal compartimento intracranico al compartimento rachideo. Questo equilibrio dinamico e questo fisiologico adattamento alle variazioni repentine ci consente, ad esempio, di starnutire senza andare in coma. Uno starnuto che comprime il torace determina un incremento brevissimo e transitorio ma importante della pressione venosa nella scatola cranica, causando un ostacolo al deflusso venoso. Di conseguenza aumenta per qualche secondo la quota di sangue venoso all’interno della testa. Allora perché non andiamo in coma con uno starnuto? Perchè l’elasticità del cervello, il liquor che si sposta, l’apporto arterioso che diminuisce, mantengono l’omeostasi. Lo stesso avviene quando si compie uno sforzo per il ponzamento o con la tosse. Ricapitolando, esistono dei meccanismi di compenso che entrano in gioco per maniere entro i limiti fisiologici la PIC: Il sangue può essere “sequestrato” dai seni venosi cerebrali al comparto toracico; Il LCR può essere “spostato” dai ventricoli cerebrali e dagli spazi subaracnoidei cerebrali allo spazio subaracnoideo spinale. La COMPLIANCE, ovvero la capacità del sistema, di fronte ad ogni aumento della pressione intracranica e di adattarsi a tale aumento, è correlata all’intervallo di tempo in cui si verifica questo aumento pressorio. Perché un paziente con tumore cerebrale, come il meningioma, benigno, non va incontro a ipertensione endocranica subito, al contrario un paziente vittima di un forte trauma si? Grazie ai meccanismi di compenso che si istaurano per il differente lasso di tempo in cui si verifica l’incremento di volume. Nel paziente con tumore l’incremento è graduale e progressivo e permette all’encefalo di sfruttare la compliance, al contrario negli ematomi post-traumatici il sistema non sarà in grado di sfruttare al pieno la propria compliance. LEGGE DI MONRO-KELLIE: il volume all’interno della scatola cranica deve rimanere costante. Qualsiasi aumento di uno di essi deve essere compensato dalla diminuzione del volume di uno degli altri componenti. V parenchima + V liquor + V sangue + V altro componente (ematoma o tumore) = K Se, per esempio, non digeriamo bene, accusiamo un senso di pesantezza addominale e gonfiore, perchè sta aumentando il volume dell’intestino e, come, conseguenza la sua pressione interna e quella del cavo addominale. La parete del cavo addominale è costituita da tessuti molli quindi all’aumento di pressione si ha distensione delle pareti stesse per compensare. La scatola cranica non può farlo ragion per cui esiste questa legge. Per incrementi progressivi di volume fino ad un dato cut-off la pressione non si modifica,; superato il cut-off, anche per piccoli incrementi di volume causeranno notevoli incrementi della PIC (l’incremento della pressione diventa logaritmico). L’aumento della pressione intracranica può essere dovuto a: Liquor: idrocefalo, emorragia subaracnoidea (ESA). Volume ematico: vasodilatazione cerebrale, ostacolo al deflusso venoso. Una condizione causa di ostruzione del deflusso venoso in una donna giovane è la formazione di un trombo, causato da contraccettivi orali mentre nel bambino può essere dovuta a CID o trombofilia. Il liquor è continuamente prodotto e riassorbito; affinché avvenga il riassorbimento è necessario che le granulazioni aracnoidali (strutture deputate al riassorbimento), possano scaricare liberamente nel torrente venoso. Quando insorge una Trombosi venosa, anche il riassorbimento del liquor verrà compromesso peggiorando la sindrome da ipertensione endocranica per aumento del sangue e del liquor nella scatola cranica. Volume parenchimale: processi occupante spazio (tumori, emorragie, cisti, edema cerebrale). La PIC rappresenta la pressione all’interno del cranio, al livello del parenchima cerebrale, degli spazi liquorali e degli involucri meningei: le sue variazioni si ripercuotono in maniera uguale al livello dei diversi compartimenti. VALORI PIC: Fisiologici: 5-15 mmHg: non esistono valori stabili di PIC, il range dipende da vari fattori: in condizioni di riposo assoluto e sonno non REM, un paziente normale ha valori vicino a 15 mmHg; durante l’attività lavorativa o le normali azioni quotidiane sarà 12-15 mmHg. Patologica: > 20-25 mmHg → Sindrome da Ipertensione Endocranica Nella diagnosi della sindrome da ipertensione endocranica oltre all’aumento della PIC è necessaria la presenza di una clinica corrispondente. Gradi di aumento progressivo della PIC: Medio: 15-21 mmHg → ben tollerato. Il paziente è asintomatico. Valori non francamente patologici e meccanismi di compenso funzionanti; Moderato: 21-30 mmHg → ipertensione endocranica conclamata; paziente sintomatico che necessita di trattamento farmacologico o chirurgico; Severo: > 35-37 mmHg → segni dell’alterazione dell’attività elettrica cerebrale e di ischemia cerebrale (l’autoregolazione funziona solo quando la PIC è compensata dai meccanismi di autoregolazione; ma se questi risultano essere scompensati si possono verificare ischemie cerebrali. Inoltre i vasi stessi in un parenchima con edema cerebrale, rigonfio a causa del riempimento d’acqua per fenomeni edemigeni, i vasi del microcircolo vengono schiacciati e si arresta la microcircolazione nel punto in cui avvengono gli scambi gassosi, e quindi lo scambio di ossigeno, così una zona del cervello va in ischemia. Può capitare che un’ernia cerebrale chiuda un vaso arterioso nella scatola cranica, provocando un’ischemia su base compressiva di una parte o di un intero lobo del cervello); Fatale: > 60 mmHg → assenza di meccanismi di compenso. Situazione incompatibile con la vita. Normalmente il cervello ha un colorito crema, roseo per la corretta irrorazione sanguigna. Nella immagine è presente un ematoma subdurale acuto e si è formata un’emorragia subaracnoidea. L’aracnoide è come una pellicola, segue le circonvoluzioni cerebrali e passa al di sopra del solco cerebrale contenente vasi. In questo paziente si è sviluppata ipertensione endocranica perché si è sviluppato sia aumento sia di liquor sia del sangue. Perché aumenta liquor nei ventricoli se ho un’emorragia? Per il mancato deflusso, infatti liquor per arrivare allo spazio subarcnoideo deve oltrepassare i ventricoli. Altre cause di aumento PIC: l’immagine della TC è quella in alto al centro, in TC l’osso della scatola cranica si vede bianco, definito come iperdensità. La TC studia la densità dei tessuti ed esiste una scala di riferimento che ha valori da 0-100; valori inferiori a quelli del parenchima cerebrale vengono definiti ipodensità, tessuti di maggior densità sono detti iperdensi. I ventricoli sono neri, ipodensi; sulla metà sinistra c’è un nodulo grigio, isodenso al parenchima cerebrale, è un tumore cerebrale, ed è a sua volta circondato da un alone più scuro, quindi ipodenso che rappresenta l’edema. Il punto bianco dentro il tumore è una calcificazione; anche nella immagine a fianco a destra, quella sulla linea mediana, c’è una calcificazione , stavolta a carico della falce cerebrale. A sinistra invece c’è una visione assiale del cranio in RM; in risonanza si parla di intensità di segnale, quindi le varie strutture sono dette ipo- o iper- intense rispetto al parenchima cerebrale —> il nodulo tumorale è iperintenso, il bianco intorno è un’iperintensità da edema cerebrale. La RM può essere studiata in senso assiale (orizzontale), coronale e saggitale (laterale). Nelle foto in basso vediamo altre cause di aumentata PIC: a destra vediamo una voluminosa cisti nel cervelletto, che causa aumento della pressione a causa dello spazio occupato. Inoltre, in posizione supero mediale, vi è una piccola area ovale nerastra che è il 4° ventricolo, la cisti comprime il quarto ventricolo ostacolando il deflusso e ciò porta ad accumulo di liquor e conseguente idrocefalo che sarà responsabile di ipertensione intracranica. Altre cause di ipertensione intracranica : Traumi cranici (per lo sviluppo di ematoma o edema cerebrale) Emorragie post-traumatiche o spontanee o intracerebrali Trombosi seni venosi Idrocefalo Processi infettivi Ascessi cerebrali Le masse intracraniche, oltre ad aumentare il contenuto della scatola cranica, causano fenomeni di edema cerebrale sul parenchima circostante: EDEMA VASOGENICO: legato ad alterazione del microcircolo e della barriera ematoencefalica (BEE costituita da giunzioni strette tra le cellule gliali che stanno attorno ai vasi. Evita che sostanze presenti nel circolo vascolare come sostanze tossiche, metaboliti, cellule, batteri, anticorpi possano arrivare al compartimento endocranico senza nessuno controllo, provocando danni). La BEE per meccanismi di infiammazione può altere la sua permeabilità facendo entrare parte della componente fluida del sangue: il plasma. Questo passa dal compartimento ematico a quello interstiziale. EDEMA CITOTOSSICO: legato al danno tossico verificato a livello delle cellule cerebrali che presenteranno un contenuto di acqua aumentato in seguito all’attivazione dei fenomeni infiammatori. L’edema sarà più vasogenico nelle emorragie (che distruggono direttamente la BEE); più citotossico nelle ischemie o negli ascessi cerebrali. Sangue fresco in TC è iperdenso, il sangue vecchio appare ipodenso. Immagine al centro con chiazze bianche digitiforme, immagine nodulare a sinistra in corrispondenza della scissura di Silvio —> paziente con emorragia subaracnoidea spontanea secondaria rottura di aneurisma di un arteria contenuta nella scissura di Silvio. Le immagini ovviamente sono al contrario rispetto alla realtà: la sinistra è destra e viceversa. Clinica Clinicamente l’ipertensione endocranica si manifesta con segni subiettivi ed sintomi obiettivi. SEGNI SUBIETTIVI cefalea: spesso rappresenta il sintomo iniziale, può essere intermittente o continua; generalmente è resistente agli analgesici, riferita in sede frontale od occipito-nucale, in molti casi diffusa a tutto il capo. Il paziente generalmente si tocca la testa con entrambe le mani. In un paziente adulto senza storia clinica di cefalea che lamenta questo sintomo importante che non passa con i farmaci e ha un miglioramento che poi si ripresenta, oppure che accusa una cefalea che compare di notte, il medico deve pensare in automatico una patologia grave come causa. vomito: meno costante della cefalea, compare generalmente al mattino e a digiuno, non si accompagna a nausea, viene infatti definito VOMITO NEUROLOGICO. Talvolta invece i pazienti riferiscono nausea e malessere generale e ad altri disturbi vegetativi come vomito alimentare; in PE in fcp segno di irritazione bulbare. Il paziente neurochirugico con tumore cerebrale o ematoma acuto, sarà un paziente soporoso che sta entrato in coma, sarà disteso a letto, ad un certo punto può alzarsi di colpo e vomitare a getto (ovviamente non il paziente in coma ); infatti i centri del vomito sono localizzati nel bulbo, se PIC aumenta, si irritano le strutture bulbari e compare il vomito. diplopia: incostante, transitoria o persistente, è da attribuire ad un’irritazione del nervo abducente, vulnerabile in corrispondenza del suo decorso lungo il bordo del suo territorio: quando questo emerge dal solco bulbo pontino e decorre lungo il bordo libero del tentorio, può essere danneggiato. vertigini: poco frequenti ed aspecifiche. SEGNI OBBIETTIVI alterazioni fondo oculare: edema e stasi papillare, secondarie a ostacolo venoso nella circolazione retinica e/o a blocco della circolazione liquorale nella guaina dei nervi ottici. L’edema papillare compare generalmente 2-3 settimane dopo l’instaurarsi dell’ipertensione endocranica. Può evolvere in atrofia ottica (papilla appiattita decolorata pallida) e, quindi, riduzione del visus fino alla cecità (dipende da come evolve l’ipertensione, ma i primi segni di atrofia compaiono dopo circa 1 mese). turbe psichiche: compaiono tardivamente e non sono caratteristiche; consistono in lentezza dell’idealizzazione della memoria e dell’attenzione, disorientamento temporo-spaziale. alterazioni radiologiche: decalcificazioni della corticale del pavimento del dorsum della sella turcica. Sono meno frequenti da vedere perché non si fa quasi più una radiologica del cranio ma è giusto saperlo. Nei bambini con suture ancora aperte si ha diastasi delle suture con assottigliamento delle pareti della volta ma i principi appena citati valgono ugualmente; la diastasi è osservabile alla visone e alla palpazione. TRIADE DI CUSHING 1. ipertensione arteriosa 2. bradicardia 3. alterazioni del respiro E’ una delle cause di morte dei pazienti in ipertensione intracranica per ignoranza del medico. La triade è patognomonica di gravissimo peggioramento clinico con evoluzione verso l’exitus. Le complicanze più gravi dell’ipertensione endocranica non sono sintomi specifici, bensì sono le ernie cerebrali, ovvero la dislocazione del viscere o in questo caso del cervello dalla sua naturale sede anatomica verso un compartimento anatomico adiacente; le ernie cerebrali sono espressioni patologiche di un meccanismo di compensazione volumetrica conseguente ad un aumento della PIC sopra una determinata soglia. Sono quindi dislocazioni delle componenti parenchimali encefaliche (uncus, circomvoluzione del cingolo, tonsille cerebellari ecc.) dal loro compartimento anatomico proprio, ad uno adiacente attraverso il bordo libero di un’incisura durale (tentorio, falce) o attraverso il forame magno. Sono secondarie all’instaurarsi, in seguito ad un progressivo aumento della pressione intracranica, di gradienti pressori tra i vari compartimenti intracranici, in particolare tra il compartimento sopra e sotto tentoriale e tra il compartimento sottotentoriale e quello spinale. Le ernie cerebrali possono indurre danni ischemici secondari, conseguente a fenomeni di occlusione vascolare con edema citotossico e ulteriore danno cellulare e parenchimale. Ernie intra ed extra assiali Frontale sublfaciale (1a) Sulcale (1b) Scissura silviana (2) Insulare (3) Intraventricolare (4) Uncale transtentoriale (5) Tonsillare foraminale (6a) → diagnosi differenziale con la sindrome di Chiari Cerebellare transtentoriale (6b) Queste ernie cerebrali si possono verificare anche in seguito a tumori cerebrali. La forma più grave è l’ernia uncale che determina la sindrome uncale: nella fase iniziale si ha anisocoria con dilatazione pupilla ipsilaterale alla massa, sensorio e respirazione normali o solo depressi; mentre in una forma progressiva si accompagnerà a ottudimento del sensorio fino a stato di coma, marcata anisocoria , postura decerebrata controlaterale e tachipnea. MONITORAGGIO DELLA PRESSIONE INTRACRANICA Esistono dei sensori dotati di trasduttori sulla punta che possono misurare i valori della PIC; essa può essere fatta in pronto soccorso, in terapia intensiva oppure dal neurochirurgo. Si esegue un taglietto nel sottocute e piccolo foro con il trapano, si lacera la dura madre con un ago e si avvita il bullone nella scatola cranica; attraverso il bullone ne passa il filo con in punta il trasduttore. Esso può anche essere posizionato: - Nello spazio subdurale - Nel parenchima - Nei ventricoli Il catetere dall’altro lato ha un lettore che a sua volta sarà collegato ad una macchinetta montata sul letto del paziente. In acuto posso trattare l’ipertensione endocranica intervenendo sul liquor; infatti, inserendo, il catetere nel ventricolo, oltre a misurare la PIC, posso anche drenare i liquor e decomprimere. PROTOCOLLI DI TRATTAMENTO MEDICO CHIRURGICO - Controllo pervietà delle vie aeree (ipoventilazione e ipossia aumentano l’edema cerebrale e la PIC); - Somministrare diuretici osmotici (mannitolo e furosemide). In paziente ospedalizzato per le gravi condizioni neurologiche: 1) Intubazione e ventilazione assistita 2) Neuroprotezione barbiturici: non è altro che il coma farmacologico. 3) Iperventilazione: per avere vasocostrizione; questo dovrebbe aiutare il sistema ad autocompensarsi. TECNICHE NEUROCHIRURGICHE Trauma cranico → evacuazione ematomi focolai lacero contusivi → craniotomia decompressiva CRANIECTOMIA DECOMPRESSIVA → si effettua solo in casi estremi, quando non ci sono alternative per ridurre della PIC. Il 50% sopravvive, spesso con sequele neurologiche importanti. La mortalità di questa procedura è elevata ma non per l’intervento in sé, che non è eccessivamente compless,o ma per due ragioni: 1) Danni importanti già instaurati nel momento in cui si arriva ad effettuare questo trattamento (danno secondario: ischemico, da compressione del microcircolo, vascolare secondario). La craniectomia decompressiva non può “risolvere” un’emorragia cerebrale che ha già distrutto un lobo cerebrale o un violento traumatismo cranico che causa edema di una voluminosa parte del cervello sul quale i farmaci non riescono ad agire; l’intervento permette di porre il cervello in condizioni di non essere compresso dalla scatola cranica in cui è contenuto. Era stata proposta in precedenza dalla società dei neurochirurghi di Roma la craniectomia decompressiva in Golden Hour : dopo aver fatto diagnosi si doveva effettuare il trattamento entro 1h, ma la prognosi non cambia in maniera significativa e si ritiene quindi inutile. Si ritorna infatti all’evidenza scientifica: può essere effettuata anche 2-3h dopo, dopo aver compiuto un primo tentativo di approccio farmacologico con farmaci antiedemigeni. Si effettua quindi la la chirurgia decompressiva solo quando è documentato un aumento della PIC e le altre terapie non sono riuscite a farla abbassare. Questo trattamento non può nulla su un danno primario, ma solo su quello secondario. Inoltre, causa un’alterazione della natura del compartimento chiuso della scatola cranica, sottoponendo il cervello alle pressioni atmosferiche. 2) Il paziente che non muore subito è comunque “condannato” ad un regime fisiopatologico nuovo e alterato. Il cervello deve adattare tutti i meccanismi di autoregolazione (autoregolazione del flusso ematico, sequestro del liquor, spostamento del sangue da un compartimento ad un altro). Possono esserci complicanze del paziente che nel corso delle settimane può andare incontro ad alterazioni dello stato di scienza irreversibile, morte, ecc. Nel momento in cui il cervello si sgonfia, la scatola cranica può essere richiusa con lo stesso osso del paziente o, preferibilmente, con protesi. Tumori → asportazione tumore Idrocefalo → derivazione liquorale esterna o ventricolo-peritoneale Emoraggia intracerebrale → evacuazione dell’emorragia Ascessi cerebrali → asportazione dell’ascesso TRAUMA CRANIO-ENCEFALICO LEZIONE 2 Il TRAUMA CRANICO è un insulto cranio-encefalico determinato da una forza meccanica esterna con possibili conseguenze molto complesse e quadri clinici variabili. È la prima causa di morte tra i 15 e i 35 anni. Epidemiologia Incidenza: 300 casi su 100.000 abitanti all’anno. Mortalità: 24 casi su 100.000 abitanti all’anno. È un problema MOLTO serio. Il 67% dei traumi cranici è secondario ad incidenti stradali. Soltanto una percentuale minima di pazienti (tra il 5% e il 15%) ha bisogno di un trattamento chirurgico: la maggior parte dei traumi cranici va trattato senza l’intervento chirurgico. Nella fascia di età compresa tra i 0 e i 14 anni (con 0 anni intendiamo i neonati, ovvero quei bambini appena nati che cadono dal fasciatoio a causa della sbadataggine dei genitori) 1/10 soggetti riporta ogni anno un trauma cranico tanto serio che richiede un ricovero e quindi un’osservazione ospedaliera. Il 55-60% dei soggetti con trauma cranico grave presenta cointeressamento traumatico di almeno un altro organo (si dice tecnicamente che un soggetto ha avuto un “politrauma”, ovvero, insieme al trauma cranico, può aver avuto una rottura di milza, di fegato, una frattura di coste con pneumotorace o emotorace, un versamento pericardico ecc.). Il 5% dei soggetti presenta traumi vertebromidollari (trauma vertebrale ovvero coinvolge solo le strutture osteoligamentose, trauma vertebromidollare può coinvolegere anche il midollo spinale). Un paziente che fa un incidente stradale, come ad esempio un banale tamponamento con la macchina, nel caso in cui abbia messo la cintura, viene sbalzato in avanti verso il parabrezza per poi fare un movimento di flesso - estensione che lo riporta indietro con la testa. In questi casi si può verificare una lesione alla giunzione cranio-vertebrale. Una volta portato al pronto soccorso , viene eseguita una TC cranio–encefalica, che non evidenzia nulla e il soggetto viene dimesso. Il paziente però continua ad avere un’importante cervicalgia, ovvero un forte mal di collo accompagnato, a volte, da altri disturbi neurologici come formicolii e parestesie agli arti superiori. Si potrebbe trattare, ad esempio, di una lesione dei ligamenti atlanto-epistrofei, per cui si il paziente può aver sviluppato una lesione instabile della giunzione cranio-cervicale. Altre cose che non vengono considerate spesso sono le lesioni del passaggio della cerniera cervico–dorsale. I punti di passaggio tra un segmento ed un altro della colonna vertebrale sono i punti più delicati da un punto di vista dell’eventuale instabilità postraumatica. Quindi, i pazienti che si presentano al pronto soccorso con gravi traumi cranio vertebrali (non sono sempre tutti ovviamente) dovrebbero essere sempre studiati dal punto di vista delle cerniere per escludere la presenza di una patologia a carico della giunzione cranio-cervicale e di quella cervico-dorsale. - FORZE DA IMPATTO: sono le cause più comuni di lesione cranio-encefalica. Si generano come conseguenza di un impatto del capo del paziente contro un ostacolo fisso o per effetto di un corpo contundente. Si associano quasi sempre a forze inerziali. - FORZE INERZIALI: si generano dopo brusche accelerazioni o decelerazioni. I repentini movimenti della massa encefalica all’interno della teca cranica sono causa di lesioni assonali diffuse che causano la perdita di coscienza. Classificazione dei traumi cranici Traumi diretti → quando un corpo contundente urta il capo o il capo in movimento urta un ostacolo fisso. Traumi indiretti → quando le forze traumatiche vengono trasmesse al cranio attraverso altre strutture (es. caduta sui talloni e forza traumatica trasmessa al cranio). Traumi aperti → quando la dura madre è lacerata e vi è comunicazione tra spazio endocranico ed esterno attraverso lesione delle parti molli e fratture della volta e della base cranica. Traumi chiusi → la dura madre è intatta e la superficie di impatto è generalmente più ampia. Trauma non commotivo → un trauma senza perdita di coscienza e senza sintomi neurologici. Trauma commotivo → perdita temporanea di una o più funzioni cerebrali (segni neurologici e/o focali) al momento del trauma senza lesioni strutturali, amnesia retrograda, astenia, cefalea, vertigine, sindrome ansio depressiva reattiva post traumatica. CONCUSSIONE → trauma cranico senza perdita di coscienza ma con un’alterazione anche fugace dello stato di coscienza ( amnesia, cefalea, turbe umore, irritabilità, sonnolenza, difficoltà a concentrarsi ). Spesso legato a sport di contatto. Quando c’è una commozione, c’è sempre una concussione; al contrario la concussione può avvenire anche senza perdita di coscienza. Second impact theory: il trauma concussivo può causare uno stato di vulnerabilità metabolica per un periodo variabile → un secondo trauma in quest’arco di tempo può causare conseguenze ancora più gravi, anche letali. AMNESIA POST TRAUMATICA → può essere retrograda, se associata al trauma commotivo e il paziente non ricorda il momento del trauma e ciò che è avvenuto immediatamente prima del trauma; anterograda, presente in traumi cranici più gravi, in cui il paziente non riesce a fissare i ricordi dal momento del trauma ai minuti/ore successivi all’evento. Fisiopatologia Gravi ferite cutanee possono causare trauma cranico, anche traumi apparentemente banali possono complicare le lesioni endocraniche a distanza di ore e giorni, in particolare in pazienti con alterazioni della coagulazione preesistente. Complicanze settiche si possono verificare in seguito a traumi aperti Nella fisiopatologia del trauma cranico possiamo distinguere: - Danno primario, dovuto all’azione delle forze traumatiche sui tessuti molli, cranio, encefalo e annessi (meningi, vasi, nervi); - Danno secondario a distanza (alterazioni metaboliche, circolatorie). Il danno primario include: 1) Lesioni parti molli: ferite cutanee, tumefazioni, ematomi sottocutanei, ematomi sottogaleali, scotennamento. Lo scotennamento è il distacco di una vasta porzione di galea dal pericardio spesso dovuto a una trazione dei capelli con emorragia e stato shock. 2) Fratture della volta e della base cranica : FRATTURE VOLTA → lineari vs frammentati; esposte (l’osso è visibile esternamente), aperte (lacerazione durale), affondate o avvallate (i frammenti ossei sono dislocati all’interno del cranio), sollevate (i frammenti ossei sono dislocati esternamente alla superficie cranica). FRATTURA BASE → al livello della fossa cranica anteriore (seni frontali, regione etmoidale, ali sfenoide, forami ottici) potremo avere ecchimosi alla regione orbitaria e alla palpebra, epistassi, rinoliquorrea, esoftalmo, ipo- anosmia, disturbi della vista. Al livello della fossa cranica media (rocca petrosa, orecchio medio e meato acustico, seno cavernoso canale carotideo) avremo invece emotimpano, otorragia, otoliquorrea, deficit 5,7,8 nervi cranici, ecchimosi retroautricolare, trombosi seni venosi, panipopituitarismo. Al livello della fossa cranica posteriore avremo ecchimosi nucali e deficit 9,10,11,12 nervi cranici. 3) Raccolte ematiche extracerebrali: Ematoma extradurale/epidurale: ha un’incidenza dell’1% in tutti i traumi cranici osservati ma si associa a mortalità elevata se non riconosciuto. Consiste in una raccolta ematica tra dura madre e la teca cranica, ed è dovuto ad un grave trauma cranico diretto o nel 90-95% a lacerazione rami arteriosi meningei. Si riscontra più frequentemente nella zona di Marchant, dove la dura madre è più facilmente scollabile, in particolare nel giovane (convessità temporoparietale). Tale regione anatomica ha una grande importanza dal punto di vista chirurgico perché è una zona che si utilizza come via d’accesso in alcuni interventi, per esempio nel caso di aneurisma del poligono di Willis. Quindi lo spazio scollabile di Marchant è una zona da un punto di vista chirurgico in cui si può avere un approccio migliore con la dura madre; però il fatto che essa sia meno tenacemente adesa all’osso la rende più soggetta alla creazione di uno spazio dentro il quale trova strada l’ematoma extradurale. Questo perché a livello dello spazio scollabile si trova il decorso dell’arteria meningea media, ramo extradurale (da non confondere con l’arteria cerebrale media che nasce dal poligono di Willis e irrora la scissura di Silvio). Una lesione della base cranica che interessa il forame spinoso, punto in cui l’arteria meningea media emerge dalla base cranica e si porta verso la dura del lobo temporale, può causare appunto un ematoma extradurale. Si manifesta con perdita di coscienza, spesso seguita da un miglioramento detto “intervallo libero”, a cui seguirà un peggioramento clinico con ottundimento del sensorio, anisocoria con pupilla midriatica ipsilaterale ed emiparesi controlaterale fino al coma e l’exitus. La diagnosi avverrà con TC in cui si riscontra una raccolta iperdensa a lente biconvessa. Vi è indicazione al trattamento chirurgico per gli ematomi sintomatici e nei soggetti asintomatici se lo spessore misurato alla TC è > 1cm e il volume è > 30cm. Mortalità del 20-50%. L’evolutività morfologica nel tempo si correla all’evolutività clinica consente di comprendere i meccanismi del determinismo dell’ipertensione endocranica. Ematoma sottodurale acuto (entro 3 giorni dall’evento traumatico) e subacuto (entro 21 giorni dall’evento traumatico): ha un’incidenza del 2%, consiste in una raccolta ematica che si estende tra la dura madre e l’aracnoide. È dovuto a traumi cranici lievi, moderati o gravi che causano lacerazioni di “vene a ponte” che sono localizzate nello spazio subdurale. Nella forma acuta si ha uno stato di coma immediato o graduale, progressivo disturbo di coscienza accompagnato da segni neurologici focali che possono evolvere rapidamente fino al coma. La diagnosi si fa con la TC e la lesione sarà una falda ematica iperdensa a forma di falce, lungo tutta la convessità cerebrale. Vi è indicazione al trattamento chirurgico in emergenza se l’ematoma è sintomatico con spessore < 1cm ( 0,5 in età pediatrica), o in caso di scivolamento della linea mediana (midline shift) > 5mm. La mortalità è molto elevata. Outcome peggiore nei pazienti > 65 anni. Ematoma sottodurale cronico (dopo 3 settimane dall’evento traumatico): legato ad un trauma cranico di lieve entità, il tipico trauma cranico del vecchietto, in cui si ha un’importante atrofia corticale. L’aumento di volume della falda avviene lentamente per lisi degli eritrociti, aumento delle proteine e aumento della pressione oncotica con conseguente richiamo di acqua negli spazi subdurali e piccole ripetute emorragie. I sintomi possono comparire dopo settimane o mesi e sono spesso aspecifici. La diagnosi alla TC mostra una falda ipodensa a falce con possibili componenti iperdense ematiche da sanguinamenti più recenti. La lenta evoluzione nel tempo dell’ematoma e la distanza dall’evento traumatico possono indurre a insidiosi errori diagnostici (demenza multinfartuale, malattia di Alzherimer, ecc.). L’indicazione chirurgica è valutata in base alla sintomatologia e all’effetto massa. Emorragia subaracnoidea subacuta (ESAt): consiste in uno spandimento ematico tra aracnoide e pia madre, legato a traumi cranici gravi, spesso conseguenza di contusioni corticali anche lievi con rottura dei piccoli vasi. Va in diagnosi differenziale con ESA da rottura da aneurisma, infatti: - ESAt alla TC mostra iperdensità lungo i solchi corticali, più frequentemnte alla convessità; tende alla risoluzione dopo 48-72h; - ESAa alla TC mostra iperdensità più tipicamente nelle cisterne della base cranica; riconoscibile anche per 15 giorni. Una grave complicanza è l’idrocefalo post traumatico. 4) Lesioni encefaliche (contusioni, lacerazioni, danno assonale diffuso, ematoma intraparenchimale post traumatico): CONTUSIONI E LACERAZIONI CEREBRALI consistono in danni diretti al livello del cervello inseguito al trauma cranico; nello specifico le “contusioni cerebrali” sono lesioni focali prodotti da un danno ai piccoli vasi sanguigni e altri componenti tissutali del parenchima neuronale. Identifichiamo vari tipi di contusioni cerebrali, a seconda della loro localizzazione (ciò condiziona inevitabilmente il quadro sintomatologico associato): - Coup contusion → in corrispondenza dell’area traumatizzata - Contrecoup contusion → in sede opposta all’area traumatizzata - Intermediate coup contusion → a sede intermedia tra l’area traumatizzata e il luogo opposto all’impatto - Fracture contusion → contusione associata a frattura - Gliding contusion → interessamento strutture localizzate in profondità, spesso associata a DAI - Herniation contusion Il danno parenchimale diretto conseguente alla necrosi emorragica del tessuto nervoso è aggravato dall’edema perilesionale sercondario. La sintomatologia è variabile sulla base della localizzazione dell’estensione delle lesioni. I sintomi sono: cefalea, associata o meno a deterioramento cognitivo, ed in caso di lesioni più gravi ed estese, deficit neurologici focali e rapida progressione verso lo stato comatoso; possibili crisi comiziali. DANNO ASSONALE DIFFUSO (DAI): con il termine di “danno assonale diffuso” si indica un insieme di molteplici lesioni, che coinvolge molte cellule cerebrali contemporaneamente, quale conseguenza di un trauma cranico. Queste lesioni hanno due caratteristiche principali: riguardano una parte ben precisa della cellula nervosa, l’assone, e sono largamente distribuite in tutto il cervello. Esso si sviluppa a seguito di un trauma cranico moderato o grave a seguito delle forze di inerzia che agiscono sull’encefalo durante il movimento di flesso-estensione e accelerazione del capo causato dal trauma. Le regioni cerebrali più esposte a tale danno sono proprio le cosiddette “zone di confine”, ad esempio il confine tra sostanza bianca e sostanza grigia degli emisferi cerebrali, che hanno consistenza diversa, il corpo calloso ed alcune strutture del tronco encefalico, proprio a causa dei diversi coefficienti di elasticità e viscosità: in altre parole, il cervello sollecitato dalla forza non si muove tutto insieme ma subisce movimenti di accelerazione- decelerazione deformando le sue strutture interne, in tempi diversi: questo provoca lacerazione e strappamento degli assoni. Il DAI è considerato la causa primaria di coma post-traumatico immediato in paziente con esame TC negativo per lesioni endocraniche → infatti, il DAI si caratterizza per la discrepanza tra l’assenza o la scarsità di lesioni evidenti in TC in fase acuta e la gravità dell’alterazione dello stato di coscienza fino al coma La TC è spesso negativa, soprattutto in fase iniziale, o solo minimamente alterata (piccole lesioni ovoidali emorragiche sottocorticali), mentre il il danno assonale può già essere molto grave. Nelle fasi successive si sviluppano focolai emorragici di maggiori dimensioni a livello della sostanza bianca sottocorticale e profonda (con risparmio della corteccia), corpo calloso giunzione ponto-mesencefalica e formazione reticolare ascendente. La prognosi sarà dunque direttamente proporzionale al danno, con una percentuale di recupero del 90% se non presenti lesioni del tronco encefalico. La terapia è mirata alla risoluzione dell’edema citotossico associato. Il danno post-traumatico dell’assone è per la maggior parte definito dall’entità del trauma stesso. Il danno assonale diffuso viene considerato dunque (per lo più) una conseguenza diretta dell’insulto meccanico e viene attribuito al cosiddetto trauma da stiramento o shearing injury. Evidenze scientifiche hanno chiarito che la differenza sostanziale in termini di danno post-traumatico tra gli altri organi ed il cervello risiede proprio nella peculiare risposta di quest’ultimo ad una forza d’urto. Esso è infatti racchiuso nel cranio, struttura poco deformabile, ed immersa in un fluido, fattori questi che impediscono il diffondersi delle onde meccaniche inizialmente generate dall’urto. Quando una forza colpisce il cranio dunque tutta l’energia cinetica lo spingerà a muoversi insieme al cervello contenuto al suo interno; il tessuto cerebrale continuerà tuttavia a muoversi con la stessa anche una volta che il capo si sia fermato e subirà un nuovo urto contro la superficie interna del cranio stesso (c.d. danno da contraccolpo). Inoltre, anche in caso di trauma indiretto (cioè senza che il cranio venga direttamente colpito), la colonna cervicale agisce come fulcro e tutte le forze vengono facilmente trasmesse sempre e comunque al cervello con conseguenti fenomeni di compressione e stiramento degli assoni, come accade nei gravi “colpi di frusta”. DANNO VASCOLARE DIFFUSO (DIV): in caso di traumi cranici molto gravi è possibile osservare numerosi e diffusi focolai emorragici negli spazi perivascolari della sostanza bianca e dei gangli della base, in seguito alla lacerazione di piccoli vasi causata da forze estreme di accelerazione/rotazione. Se si associa dislocazione cranio-caudale o laterale del mesencefalo contro l’incisura tentoriale con conseguente focolaio contusivo- emorragico, si riscontra il quadro di emorragia intraventricolare. EMATOMA INTRACEREBRALE: raccolta ematica nella sostanza bianca, più frequentemente in sede temporale, di solito a distanza dalla sede di impatto (> 2cm), osservabile dopo ore o giorni dal trauma o come conseguenza di un trattamento chirurgico di emorragia epidurale o subdurale acuta (25%). Viene risolta mediante l’intervento di evacuazione. EMORRAGIA INTRAVENTRICOLARE: in alcuni casi, il trauma grave può provocare una improvvisa dislocazione cranio-caudale o laterale del mesencefalo contro l’insicura tensoriale con conseguente focolaio contusivi-emorragico ed emorragia intraventricolare. Il danno secondario si verifica successivamente al trauma per complesse reazioni fisiopatologiche e può avere conseguenze più gravi del danno primario. Esso è dovuto a fattori extracerebrali (distrubi circolatori, ipossia, ipercapnia e ipoglicemia), i quali, se sommati alla presenza di lesione endocraniche, determinano un danno ancora più grave. Queste alterazioni fisiopatologiche comprendono stati di ipotensione arteriosa protratta e shock, insufficienza respiratoria di origine centrale e periferica, grave anemia per emorragia, ipoglicemia. Nel trauma cranico viene persa la capacità di autoregolazione cerebrale con possibile insorgenza della triade di Cushing (ipertensione arteriosa, bradicardia, respiro irregolare). Il danno secondario quindi include: 1) EDEMA CEREBRALE POST TRAUMATICO: - Edema vasogenico → le forze traumatiche determinano uno stiramento delle strutture vascolari con modificazioni morfofunzionali della BEE e aumento della permeabilità vascolare e imbibizione interstiziale. - Edema citotossico → legato ai disturbi ischemici e/o ipossici, si caratterizza per l’accumulo idrico endocellulare (astrociti). L’edema cerebrale è un’importante causa di aumento della PIC, questo perché, a seguito del trauma cranico, si perdono i meccanismi di autoregolazione cerebrale. 3) AUMENTO PRESSIONE INTRACRANICA: In un primo momento l’aumento della PIC è compensato dal parziale svuotamento dei seni venosi durali e dall’aumentato assorbimento liquorale (leggi di Monro-Kellie soddisfatta); dopo di ciò si iniziano a perdere i meccanismi di compenso (PIC > 20 mmHg) e si manifestano i sintomi dell’ipertensione endocranica (PIC > 22-25 mmHg) e il mancato riconoscimento della condizione del paziente determina coma ed exitus. 4) ERNIE CEREBRALI: l’aumento pressorio compartimentalizzato provoca un gradiente endocranico tra i vari comparti responsabile dell’erniazione COMPLICANZE TRAUMI CRANICI Pneumocefalo: presenza di aria all’interno della scatola cranica, in sede extracerebrale, dovuta ad una lesione della dura madre. L’ingresso di aria generalmente non determina un aumento della PIC poiché compensato dalla fuoriuscita di liquor ma l’instaurarsi un meccanismo a valvola può determinare uno pneumocefalo iperteso. Una complicanza associata può essere la fistola liquorale. Pneumoencefalo Fistola liquorale: la presenza di una lesione della dura madre e dell’aracnoide determina la fuoriuscita di liquor all’esterno. La fuoriuscita può essere frutto o di una semplice frattura con lacerazione delle meningi oppure di una frattura con lacerazione meningea coinvolgente aree pneumatizzate della base cranica, in questo caso vi si associa anche rinoliquorrea e /o otoliquorrea. Tale complicanza può manifestarsi subito dopo il trauma o a distanza di giorni e può essere spontanea o indotta. Clinicamente si manifesteranno cefalea e possibile complicanze settiche (meningite). La diagnosi di fistola liquorale la si effettua sia clinicamente (evidenza della fuoriuscita di liquor dalla frattura, rinoliquorrea, otoliquorrea, anosmia, cefalea) che in laboratorio, dimostrando la presenza di beta2-trasnferrina nel liquor fuoriscito e di beta-trace protein nelle secrezioni nasali. TC e RM sono utili per localizzare la frattura e darci informazioni sul parenchima cerebrale ( erniazioni, meningocele, meningoencefalocele). Idrocefalo post traumatico (PTH): complicanza abbastanza frequente del trauma cranico moderato- grave, sarà legato ad uno squilibrio tra produzione ed assorbimento del liquor. Esso compare nel primo mese post-operatorio ma talvolta la diagnosi può essere ritardata poiché la sintomatologia sarà lentamente ingravescente e verrà sospettata solo al manifestarsi di un rallentamento o alla cessazione del recupero neurologico. Epilessia post traumatica: complicanza secondaria al danno corticale encefalico indotto dal trauma e dai successivi fenomeni di cicatrizzazione; l’incidenza della forma precoce (< 7 giorni) è elevata in età pediatrica (il 3% dei bambini sviluppa crisi epilettiche a seguito di traumi cranici anche lievi), mentre la forma tardiva (>7gg) è più frequentemente riscontrabile nel soggetto adulto (> 7 giorni), nello specifico nel 15% dei pazienti con traumi cranici gravi. È consigliato il trattamento farmacologico profilattico in caso di: - GCS > 10 - Presenza di ematoma intracranico - Presenza di frattura avvallata con lesione parenchimale sottostante - Presenza di focolai contusivi encefalici - Traumi in alcolisti Complicanze extracraniche: consistono per lo più in aumenti dei livelli di catecolamine circolanti con conseguente ipertensione arteriosa, tachicardia, ipertermia e gravi tachiaritmie fino ad IMA, manifestazioni polmonari (EPA neurogeno, broncopolmoniti ab ingestis), manifestazioni sistemiche (CID per la liberazione di tromboplastina tissutale dal tessuto cerebrale contuso). Per quanto riguarda le polmoniti ab ingestis sono pazienti che hanno dei riflessi del tronco ridotti, quindi dato che il movimento dell’epiglottide e la continenza del laringe e della trachea durante l’atto della deglutizione è legato all’attività del tronco (tanto è vero che pazienti con malattie degenerative neurologiche come il morbo di Parkinson hanno anche una disfagia), un paziente che ha un coinvolgimento diffuso della trasmissione nervosa che arriva a coinvolgere anche il tronco-encefalo potrebbe essere a rischio di sviluppare una polmonite ab ingestis. Valutazione del paziente La diagnosi clinica deve essere rapida e deve consentire di formulare un sospetto di lesione intracranica che richieda trattamento medico chirurgico urgente, dunque prioritario; inoltre deve permettere di guidare la scelta di un corretto iter diagnostico strumentale successivo e di valutare l’eventuale evoluzione del quadro clinico. Utilizziamo la Glasgow Coma Scale, una scala di valutazione neurologica utilizzata per tenere traccia dello stato di coscienza del paziente. Essa si basa su tre tipi di riposte (oculare, verbale e motoria) e si esprime sinteticamente con un numero che è la somma delle valutazioni di ogni singola funzione. Il massimo punteggio è 15, condizione di normalità dello stato di coscienza, il minimo è 3, nessuna riposta dunque stato di profonda incoscienza. - Trauma lieve (GCS 14-15) - Trauma moderato (GCS 9-13) - Trauma grave (GCS 3-8) La GCS ha scopo prognostico e terapeutico e permette di valutare lo stato di coscienza del paziente ma non considera le funzioni del tronco cerebrale. Criteri clinici di previsione del rischio di lesione intracranica post traumatica: Rischio basso: paziente asintomatico o con lieve cefalea e vertigini, senza perdita di coscienza; presenza di ferite lacero-contuse del cuoio capelluto e di ematomi sottogaleatici. Rischio moderato: episodio di perdita di coscienza inferiore ai 15 minuti con cefalea progressiva, epilessia post traumatica e vomito; trauma cranio facciale serio, politrauma. Rischio severo: episodio di perdita di coscienza prolungato, progressivo ottundimento del sensorio, presenza di deficit neurologici focali, ferite craniche penetranti. Linee guida diagnostiche e di comportamento: Rischio basso: osservazione in ambiente domiciliare, esame TC non trova indicazione né l’esame radiografico. Rischio moderato: il 10-40% dei pazienti presenta contusioni encefaliche dunque osservazione clinica in ambiente ospedaliero o domiciliare con scheda di istruzioni cliniche se TC negativa e paziente stabile. Rischio severo: TC immediata, se positiva per lesioni emorragiche si avvisa l’equipe chirurgica; l’esame radiografico può avere un ruolo nell’identificazione del corpo penetrante. Fattori prognostici/decisionali (Classificazione di Marshall): Stato cisterne della base Shift della linea mediana Presenza ESAt Volume della lesione ematica I deficit neuropsicologici post-traumatici sono presenti quasi invariabilmente in ogni soggetto che sia stato vittima di un trauma cranico, con una espressività clinica estremamente varia (da lievi turbe mnesiche, attentive o comportamentali a veri e propri disturbi psichiatrici strutturati). E’ pertanto indispensabile, nella fase di recupero del paziente, un accurato studio neuropsicologico con l’obiettivo di classificare l’entità del danno cognitivo che condizionerà il reinserimento del paziente nell’ambiente familiare e sociale. Prevenzione È indispensabile attuare una capillare attività di prevenzione che raggiunga tutti i target (studenti, genitori, insegnanti, lavoratori, forze dell’ordine, ecc.) attraverso tutti gli strumenti di comunicazione oggi disponibili. Studi epidemiologici condotti nella regione Emilia-Romagna, che da anni è leader nella gestione dei programmi di prevenzione del trauma cranico, dimostrano una significativa riduzione dell’incidenza e della gravità dei traumi cranici dopo l’attuazione di tali programmi. EMORRAGIE CEREBRALI E MALFORMAZIONI VASCOLARI LEZIONE 3 Le emorragie intracraniche si distinguono in base alla localizzazione all’interno della scatola cranica in: - EMORRAGIA INTRACANICHE INTRACEREBRALI: 10-12% di tutti gli episodi ictali, spontanee, più frequenti nei maschi tra i 45 e i 75 anni; - EMORRAGIA INTRACRANICHE EXTRACEREBRALE: generalmente post-traumatiche, in base alla localizzazione posso essere distinte in extradurali, subdurale acuta e cronica. Un capitolo a parte è rappresentato dall’emorragia subaracnoidea, che deve essere riconosciuta al più presto, a causa della sua gravità. Le emorragie spontanee riconoscono come cause: ipertensione arteriosa, la più frequente (40%) rottura di malformazioni vascolari (aneurismi, MAV, angioma cavernoso) alterazioni della coagulazione (emopatie, leucemie, piastrinopenie, terapie anticoagulanti), malattie vascolari (arterite nodosa, angiopatia amiloide la più frequente causa tra le malattie vascolari, flebotrombosi) tumori cerebrali (gliomi, metastasi) sine causa (15%) Le cause più frequenti sono l’ipertensione arteriosa e le malformazioni vascolari; queste cause ci permettono di differenziare le emorragie cerebrali in emorragie : - a “sede tipica”: secondarie a ipertensione arteriosa, dovute alla rottura di arteriole alterate da fenomeni aterosclerotici. - a “sede atipica”: secondarie a rottura di malformazioni vascolari; il termine “atipica” si riferisce al fatto che non si verificano nelle sedi in cui generalmente si registra emorragia cerebrale ipertensiva, ovvero la regione profonda nucleocapsulare. Gli ANEURISMI MILIARI di Charcot-Bouchart sono piccole dilatazioni aneurismatiche (0.05-2.0mm) che, normalmente, sono localizzate a carico delle arterie lenticolo-striate che irrorano le strutture grigie profonde del cervello, i nuclei della base e la capsula interna (da qui il deficit neurologico). Rappresentano un’entità nosologica totalmente diversa dagli aneurismi cerebrali propriamente detti, che sono invece delle malformazioni vascolari che si formano a carico delle maggiori arterie del poligono di Willis e che sono responsabili dell’emorragia subaracnoidea. Queste arterie, in seguito a fenomeni aterosclerotici, vanno incontro a stenosi del vaso, indurimento della parete vasale e degenerazione ialina che possono indurre la rottura della parete vasale con EMORRAGIA SU BASE IPERTENSIVA o a sede tipica. Il cervello a differenza di altri organi non possiede dei setti o altre strutture mesenchimali che possano confinare l’emorragia, e limitarla; dunque, in caso di emorragia cerebrale, l’intero parenchima cerebrale sarà completamente distrutto e lacerato dal sangue che esce ad elevata pressione da un’arteria cerebrale. Nelle strutture grigie profonde il sangue si infiltra diffusamente, quindi è raro trovare un ematoma, ovvero un focolaio circoscritto; al contrario, nella sostanza bianca, si forma una raccolta delimitata (ematoma) che comprime disloca il parenchima circostante con scarsa infiltrazione. A volte possono esserci emorragie per diapedesi, ovvero senza rottura del vaso. Nella maggior parte dei casi l’emorragia sarà in sede sopratentoriale (70%, capsula interna ed esterna, putamen), sottotentoriale (cerveletto e tronco) nel 20% dei casi. EMORRAGGIA CEREBRALE A SEDE TIPICA Le emorragie cerebrali a sede tipica sono secondarie alla rottura di arterie lenticolo-striate, spesso in pazienti ipertesi. L’emorragia coinvolge e distrugge i nuclei della base e la capsula interna ed esterna (emiplegia o emiparesi nel caso di coinvolgimento di quest’ultime strutture). L’emorragia può farsi strada anche medialmente verso il terzo ventricolo con emoventricolo e idrocefalo. I sintomi e segni dell’emorragia cerebrale a sede tipica sono: cefalea intensa vertigini malessere vomito crisi epilettiche afasia (se è interessato l’emisfero dominante) Un’emorragia a sede tipica potrebbe coinvolgere secondariamente il talamo oppure verificarsi primariamente a carico di esso con insorgenza, oltre che di deficit motori, anche di deficit sensoriali. Emorragia del putamen Il paziente avrà: Coma Emiparesi-Emiplegia controlaterale Babinski bilaterale Risposta in decerebrazione allo stimolo doloroso Disturbi vegetativi gravi come ipertermia, alterazioni del respiro e del circolo Questa emorragia è gravata da un’elevata mortalità (70%), e coloro che sopravvivono presentano spesso gravi deficit neurologici. Emorragia del talamo In questo caso, come già accennato prima, il paziente si presenterà con: Emiparesi-Emiplegia controlaterale: i talami sono due strutture ovoidali situate medialmente ad una striscia di sostanza bianca, ovvero il braccio inferiore della capsula interna che, quindi, data l’assenza di sepimenti, sarà raggiunta dall’emorragia talamica, distruggendo le fibre motorie della corona radiata con conseguente emiparesi-emiplegia. Ipoestesia-Anestesia controlaterale; Afasia: se interessa l’emisfero dominante; Emi-inattenzione controlaterale: se non interessa l’emisfero dominante, per interessamento del lobo parietale; Emianopsia laterale omonima: perché nel lobo parietale, nella parte inferiore, passano parti delle radiazioni ottiche con conseguente deficit del campo visivo. Deficit del III nervo cranico omolaterale con anisocoria EMORRAGIA CEREBRALE A SEDE ATIPICA Le emorragie cerebrali che non si localizzano a livello delle strutture nucleocapsulari sono definite atipiche, per esempio quelle in sede lobare, spesso associate ad emorragia subaracnoidea (ESA) oppure a emorragia intraventricolare (EIV). Le emorragie a sede atipica necessiteranno di ulteriore approfondimento diagnostico. Anamnesticamente questi pazienti non sono ipertesi, tipicamente con età < di 60 anni. Altro elemento importante è la presenza, in alcuni di casi, di segni evocatori di lesione causa dell’emorragia nella TC con e senza m.d.c., come l’edema sproporzionato al volume dell’ematoma o una massa contigua all’ematoma. In presenza di un’emorragia a sede tipica si richiedono TC con e senza m.d.c., RM con gadolino (mezzo di contrasto paramagnetico della risonanza magnetica) e un’angiografia cerebrale per ricercare le possibili cause, ovvero tumori, MAV, aneurismi (propriamente detto, con questi termini non ci si riferisce a quelli miliari), cavernomi o altro (come l’angiopatia amiloide, frequente causa di emorragia lobare nei pazienti anziani). Emorragia cerebellare I segni e i sintomi eventualmente presenti in corso di emorragia cerebellare saranno riconducibili ad alterazioni della funzionalità del cervelletto con: vomito cefalea vertigini disturbi della deambulazione miosi nistagmo atassia disartria disfagia In generale, in seguito a una lesione del cervelletto di qualsiasi natura, se è interessata la linea mediana e quindi il verme cerebellare, il paziente presenterà alterazione dell’equilibrio e dell’andatura (prova di Romberg), mentre nel caso di una localizzazione a carico degli emisferi cerebellari si presenteranno disturbi della coordinazione (dismetria). Emorragia pontina Nel tronco cerebrale decorrono tutti i fasci di fibre ascendenti e discendenti, nonché i nervi cranici; quindi, in caso di emorragia localizzata a questo livello si potranno avere segni e sintomi riconducibili ad alterazioni a carico di queste strutture: coma emiparesi emianestesia rigidità decerebrata miosi alterazioni della motilità oculare deficit nervi cranici ipertermia turbe respiratorie TC DELL’EMORRAGIA INTRACEREBRALE 1. iperdensità per I-II settimane 2. isodensità per III-IV settimane 3. ipodensità successivamente Se si somministra m.d.c. nella fase acuta si avrà enhancement dovuta alla rottura della barriera ematoencefalica; in realtà clinicamente non darà alcuna informazione aggiuntiva. Trattamento La gran parte delle emorragie cerebrali non necessitano intervento chirurgico, in particolare quelle a sede tipica; anzi vanno trattate in maniera conservativa, con progressivo riassorbimento dello stravaso ematico e restitutio (a volte ad integrum) del quadro neurologico. Nei pazienti in cui l’emorragia raggiunge dimensioni tali da determinare compressione delle strutture cerebrali adiacenti, shift strutture dalla linea mediana (> 5mm) si ricorre a trattamento chirurgico; anche nei rari di emorragie a sede tipica casi in cui il sanguinolento raggiunge dimensioni tali da comportarsi come una massa occupante spazio, determinando l’insorgenza di sindrome da ipertensione endocranica, si ha indicazione alla chirurgia. Il trattamento medico prevede: Monitoraggio della PIC; Terapia anti-ipertensiva, volta al trattamento della principale causa dell’emorragia a sede tipica; Sospensione degli antiagregganti e anticoagulanti eventualmente assunti. Come già accennato, il trattamento chirurgico viene riservato in caso di progressione dei sintomi neurologici o se è presente effetto massa. Trattamento chirurgico emorragia intracerebrale ipertensiva INDICAZIONI CONTROINDICAZIONI Volume > 10ml Gravi controindicazioni all’esordio (GCS 4cm oppure < 4cm e Parametri di coagulazione alterati (INR>3) GCS > 13 Ematomi del tronco encefalico Se un’emorragia cerebrale inizialmente non è di dimensioni tali da richiedere un trattamento chirurgico ma nei giorni successivi dovesse aumentare di dimensioni, anche per un secondo sanguinamento, e il paziente dovesse presentare un peggioramento neurologico, allora in questo caso vi è indicazione alla chirurgica. Se un paziente presenta un’emorragia a livello cerebellare, adiacente al IV ventricolo, la compressione che l’ematoma potrebbe esercitare sullo stesso determinerebbe ostruzione del deflusso di liquor, con insorgenza di idrocefalo ostruttivo; anche in questo caso si potrebbe avere indicazione al trattamento chirurgico. Assicurare la pervietà delle vie aeree Trattamento dell’ipertensione endocranica Trattamento dell’ipertensione arteriosa Profilassi anticomiziale: non bisogna trattare tutti i pazienti con crisi epilettica, ma quando questi episodi si presentano in numero maggiore di 1 Trattamento di febbre, aritmie cardiache EMORRAGIA SUBARACNOIDEA E MALFORMAZIONI VASCOLARI L’emorragia subaracnoidea (ESA, SAH) si definisce come uno spandimento ematico negli spazi subaracnoidei. Può essere spontanea, per sanguinamento di una MAV, o avvenire in seguito ad un trauma. Il sangue può interessare in maggiore misura le cisterne subaracnoidee della base (aneurismi endocranici) o gli spazi subaracnoidee della volta cranica (emorragie post- traumatiche). Esse esprimono cose profondamente diverse; le prime sono molto gravi. REGOLA DEL TERZO → 1/3 muore prima del trattamento, 1/3 muore o ha esiti invalidanti dopo il trattamento, 1/3 riprende una vita normale dopo il trattamento. Incidenza generale del 3.5-6%, ma se non le riconosciamo il paziente muore o rimane fortemente compromesso. Mortalità del 45% a 30 giorni, morbilità dei sopravvissuti 50%. Le cause della morte/morbilità a seguito di ESA sono ischemia e risanguinamenti, da qui la gravità della patologia. Nell’80% dei casi l’ESA è sostenuta dalla rottura di un aneurisma intracranico sacculare. L’ESA da rottura aneurismatica è più frequente nel sesso femminile e nella popolazione caucasica, a partire dai 40-50 anni. L’ESA da rottura di una MAV colpisce invece una popolazione più giovane, intorno i 20-30 anni. Nel caso dei pazienti con cefalea sentinella, ci può essere il minor bleeding, cioè una microfissurazione della parete dell’aneurisma che fa uscire qualche goccia di sangue, sufficiente per dare sintomatologia di irritazione meningea e la cefalea sentinella, ma non per dare una vera e propria emorragia subaracnoidea. La microfissurazione, quando poi si romperà definitivamente, darà origine alla vera e propria emorragia subaracnoidea. I fattori di rischio di ESA sono il fumo e l’ipertensione, ovvero gli stessi che incidono sulla rottura degli aneurismi; altri fattori di rischio sono: rene policistico, displasia fibrosa, coartazione aortica, collagenopatia. La rottura di un aneurisma cerebrale può essere favorita da attività che determinano rapide oscillazioni della pressione arteriosa come sforzo fisico, defecazione, coito, tosse; anche la gravidanza e il parto (in particolare durante il 3° trimestre, e parto naturale e post-partum) costituiscono fattori favorenti. La classificazione fisiopatologica formulata dalla International Classification of Disease della WHO suddivide le emorragie subaracnoidee in due grandi gruppi: ESA post traumatica ESA spontanea → nell’80% dei casi da rottura dell’aneurisma sacculare, nel 7% rottura del MAV, nel 10% da causa sconosciuta (ESA perimesencefaliche o diffuse con angiografia negativa), 3% da altre cause (MAV spinali, anemia falciforme, neoplasie endocraniche, vasculiti, disordini coagulazione, trombosi seni durali). *Con angiografia perché noi dobbiamo dimostrare che l’emorragia sia dovuta alla rottura di un aneurisma Classificazione ESA L’emorragie subaracnoidee possono essere classificate in diversi modi: Clinica: scala di Hunt-Hess e scala WFNS, entrambe identificano 5 gruppi di pazienti in base alla gravità clinica; dal grado 1 in buone condizioni cliniche al grado 5 in condizioni cliniche molto severe. Radiologica: scala di Fischer, valuta sull’esame TC la quantità di sangue presente nelle cisterne subaracnoidee nella base cranica. La quantità di sangue nelle cisterne della base è statisticamente correlata all’insorgenza di complicanze: la più temibile è il VASOSPAMO CEREBRALE, la cui conseguenza più tipica è l’ischemia cerebrale. Maggiore è la quantità di sangue, come ad esempio nel grado di Fischer 3, maggiore sarà il rischio di comparsa di vasospasmo. Per valutare l’outcome del pazienti utilizziamo la Glasgow Outcome Scale (GOS) oppure con il Ranking Scale. Sintomatologia La caratteristica che contraggistungue l’ESA è la comparsa in pieno benessere cefalea acuta ed improvvisa (spesso definita dal paziente come la peggiore mai provata nella vita). La sede della cefalea non è indicativa della sede dell’aneurisma; spesso essa è frontale o frontale e irradiata alla nuca (sede occipito-nucale), raramente unilaterale. Altri segni e sintomi sono: i segni di irritazione meninge (rigor nucalis, fotofobia, fonofobia, Brundzinski+, Kernig+, Laségue), nausea e vomito, febbre, crisi epilettiche, sindorme di Terson (sensazione di vederci male o non vederci; non bisogna pensare che essa sia conseguenza della fotofobia, bensì un’emorragia del corpo vitreo come complicanza di ESA). Possono essere associati disturbi vegetativi: pallore, sudorazione, vertigini, tachi- o bradicardia con extrasistolie. Se l’ESA è associata a sanguinamento intraparenchimale si parlerà di emorragia cerebro- meningea. Questa è caratterizzata, in associazione con la cefalea, da deficit neurologici focali come disturbi della stenia o del linguaggio e, molto più frequentemente, da perdita di coscienza fino al coma. ESA “SINE MATERIA” → nel 10% dei casi di ESA spontanea, l’emorragia non è sostenuta da una malformazione vascolare; infatti in questi casi lo studio angiografico sarà negativo. L’esordio clinico sarà identico a quello da rottura di un aneurisma sacculare, anche se raramente alla cefalea saranno associati deficit neurologici focali o disturbi della coscienza. In tutti i casi è consigliabile la ripetizione di un’angiografia cerebrale a distanza di 10-15 giorni dalla prima, per escludere la presenza di un aneurisma sacculare, eventualmente non visibile al primo studio angiografico. La prognosi dell’ESA sine materia è in genere migliore. Altre cause di ESA sono: vasculiti (con formazione di aneurismi micotici), fistole artero-venose durali, neoplasie cerebrali, adenomi ipofisari (apoplessia ipofisaria), alterazioni della coagulazione (anche iatrogene), dissecazione di arterie cerebrali, trombosi dei seni (a seguito della trombosi, si crea un’ipertensione venosa con conseguente ipertensione endocranica e rottura della parete venosa). Molti uomini arrivano in PS mostrando sangue nelle cisterne perimesencefaliche con angiografia negativa → tipica del post coito. COMPLICANZE ESA Le principali complicanze dell’ESA sono 3: 1) Risanguinamento: la percentuale di risanguinamento è del 25% nelle prime settimane, ed è massima nelle prime 72 ore; il secondo picco di incidenza (minore) si ha tra la decima e la quattordicesima giornata. E’ per questo motivo che la diagnosi di ESA e il trattamento dell’eventuale aneurisma causa dell’ESA è da considerarsi d’urgenza. Dopo la diagnosi di ESA, dunque, il paziente deve essere trasferito al più presto in un centro attrezzato al trattamento, che tratterà precocemente la causa del sanguinamento. Mortalità estremamente elevata. 2) Vasospasmo: è una riduzione di calibro delle arterie cerebrali che si manifesta non immediatamente dopo l’emorragia subaracnoidea, ma dalla terza-quarta giornata. Lo spasmo può interessare l’arteria dell’aneurisma responsabile del sanguinamento o anche altre arterie. In alcuni pazienti il vasospasmo è tale da creare un grave ipoafflusso del distretto dell’arteria colpita dallo spasmo ed un’ischemia cerebrale. L’ischemia si verifica nel 10% dei casi dei soggetti con ESA. Grazie al doppler transcranico è possibile porre sospetto di vasospasmo, il quale sarà poi accertato attraverso una angiografia cerebrale che valuterà il calibro delle arterie. Il vasospasmo si risolverà spontaneamente dopo il 21° giorno. Per prevenirne la comparsa si effettua una profilassi con calcio-antagonisti. Una volta instauratosi il vasospasmo, l’unica terapia sarà il trattamento intrarterioso durante l’angiografia cerebrale con vasodilatatori e angioplastica. Dal punto di vista clinico si manifesta con aumento della temperatura corporea e deficit neurologici focali (permanenti se si instaura ischemia) o disturbi della coscienza. 3) Idrocefalo: l’idrocefalo post-ESA si può differenziare in acuto e cronico. L’idrocefalo acuto insorge da poche ore a pochi giorni dopo l’evento. Nella fase acuta dell’emorragia subaracnoidea il sangue si diffonde alle cisterne della base e si diffonde in tutti i solchi corticali sino alle granulazioni del Pacchioni e dalla cisterna cerebello-midollare all’interno del 4° ventricolo, del 3° e dei ventricoli laterali (emorragia intraventricolare). Il sangue coagulatosi può determinare ostruzione alla normale circolazione liquorale determinando idrocefalo ostruttivo. Il paziente avrà cefalea, irritazione meningea, inizia ad avere disturbi della coscienza fino al coma se l’idrocefalo non è risolto chirurgicamente. La diagnosi si esegue con TC del cranio senza m.d.c. e il trattamento consiste nell’esecuzione di una derivazione ventricolare esterna. L’idrocefalo cronico insorge dopo 30 giorni dall’evento. Risoltasi la fase acuta dell’ESA, la circolazione liquorale può comunque aver subito una grave alterazione. Dopo diversi giorni dall’ESA può comparire una progressiva dilatazione dei ventricoli cerebrali che di solito inizia dai corni temporali (che si vedranno alla TC, normalmente non dovrebbero vedersi) dei ventricoli laterali. Si instaura idrocefalo che non è ostruttivo come nella fase acuta, ma sempre tetraventricolare, prevalentemente determinato da un difetto di riassorbimento del liquor al livello delle granulazioni del Pacchioni. COMPLICANZE SISTEMICHE DELL’ESA Fino al 70% dei pazienti al momento del sanguinamento possono evidenziare alterazioni elettrocardiografiche: accorciamento ST, alterazioni QT, onda T negativa. L’aumento della pressione sistemica che si registra al momento dell’ESA è in parte conseguenza dell’ipertensione endocranica e in parte all’aumento delle catecolammine. Diagnosi Nelle prime ore la TC ha elevatissima sensibilità (>95%) nel rilevare la presenza di sangue negli spazi subaracnoidei. Nei rari casi in cui la TC non mostra ESA, è indispensabile effettuare la rachicentesi che mostrerà LCR emorragico anche dopo il drenaggio di alcuni cc (prova delle tre provette). Se sono trascorsi alcuni giorni dall’esordio dell’ESA, la TC sarà meno sensibile e la rachicentesi rivelerà LCR xantocromico (lievemente giallo) e all’analisi sarà presente metaemoglobina, segno certo di pregresso sanguinamento. Il gold standard per l’identificazione delle malformazioni vascolari è l’arteriografia cerebrale con iniezione di m.d.c. nei 4 vasi cerebrali, cioè nelle arterie carotidi e nelle arterie vertebrali. L’esecuzione dell’esame permette molto spesso anche il trattamento dell’aneurisma causa del sanguinamento, mediante la tecnica di “coiling”. MALFORMAZIONI VASCOLARI Aneurismi cerebrali Malformazioni artero-venose (MAV) Cavernomi Fistole artero-venose durali (FADV) Aneurismi cerebrali Un aneurisma cerebrale è una malformazione vascolare che prende origine dalle arterie cerebrali. Si stratta di dilatazioni circoscritte delle arterie intracraniche, che si formano per il progressivo sfiancamento di un tratto della parete arteriosa, la cui resistenza alla pressione sanguigna è ridotta per cause diverse. A differenza degli altri aneurismi della circolazione sistemica, di solito fusiformi, ha aspetto sacculare. E’ costituito da una porzione ristretta che è in collegamento con l’arteria, detta colletto, ed una porzione più dilatata detta sacca. Si distinguono aneurismi: - Sacculari: qualunque arteria intracranica; sono connessi al vaso mediante un sottile colletto o una larga base d’impianto. - Fusiformi: più rari, interessano l’intera circonferenza del vaso; si riscontrano a livello delle arterie carotidi, vertebrali e basilare. - Dissecanti: rari; si formano per solamente della tunica media, con successiva dilatazione del vaso. Bisogna conoscere gli aneurismi fusiformi e dissecanti per due motivi; il primo è perché esistono i traumi cranici. Se abbiamo un importante trauma cranico, una frattura di una rocca petrosa, di un condilo occipitale, cioè della base cranica o la frattura anteriore di uno sfenoide, si può avere a distanza di settimane o di qualche mese un aneurisma che può essere dissecante di un’arteria vertebrale, di un’arteria carotidea. Se questo si rompesse darà un ESA con o senza emorragia intracerebrale. Il secondo motivo è perché esistono delle localizzazioni aneurismatiche di tipo sacculari secondarie agli ascessi cerebrali, quindi ad infezioni. Però bisogna ricordare che nelle infezioni cerebrali importanti, su base tra l’altro embolica, cioè emboli settici, possono svilupparsi degli aneurismi fusiformi. Inoltre, dal punto di vista eziologico, gli aneurismi si distinguono in: “Congeniti”: prima era in voga la teoria secondo la quale la maggior parte degli aneurismi fosse causata dall’assenza della lamina elastica interna e degli strati muscolari della media. Da qualche decennio invece si pensa che gli aneurismi possano essere anche “Acquisiti” ovvero legati a un processo infiammatorio-degenerativo che coinvolge la parete del vaso. Aterosclerotici: degenerazione ialina e fibrosi della membrana elastica, deposizione di colesterolo ed emorragia subintimale. Traumatici: dopo traumi aperti, per lesioni vasali in corso di interventi chirurgici o trattamento endovascolare. Infiammatori (micotici): per localizzazione sulla parete vasale di emboli settici provenienti da focolai infiammatori a distanza; da endocarditi streptococciche e setticemie o candidosi, aspergillosi. Affezioni del vaso: displasia fibromuscolare, sindrome di Marfan, arterite a cellule giganti, LES. Da studi autoptici emerge che un’alta percentuale della popolazione (circa il 4%) è portatrice di aneurismi cerebrali, molti dei quali quindi non sanguinano per tutta la vita dell’individuo. La probabilità di rottura è in relazione alle dimensioni dell’aneurisma (aneurismi di maggior volume hanno maggior probabilità di sanguinamento), alla sede (quelli del circolo posteriore hanno maggiore probabilità di sanguinare) e con i fattori di rischio ambientali quali fra tutti fumo e ipertensione. La familiarità gioca un ruolo importante ed è indicato uno studio delle arterie cerebrali con esame angio-TC o RM nelle famiglie in cui due o più parenti di primo grado abbiano un aneurisma cerebrale. Il 90% sarà localizzata al livello del circolo di Willis. Nell’85% dei casi gli aneurismi colpiscono la porzione anteriore, solo il 15% sarà a carico della porzione posteriore. Il 15% delle persone può avere aneurismi multipli e quindi è sempre necessario uno studio completo del circolo cerebrale. L’aneurisma non da segno di sé fino alla rottura; in casi rari, aneurismi di grande volume possono determinare un effetto massa sul parenchima con sintomatologia pseudotumorale. Aneurismi che si localizzano in particolari sedi vicino a nervi cranici, come accade ad esempio per alcuni aneurismi della giunzione arteria carotide-arteria comunicante posteriore, vicini al terzo nervo cranico, si può manifestare una sintomatologia neuro-paralitica con un deficit del nervo che si può instaurare anche in un tempo relativamente rapido (giorni o ore). Il trattamento dell’aneurisma può essere: 1) Endovascolare: con inserimento di microspirali (coils) che riempiono completamente la sacca +/- stent; 2) Chirurgico: con posizionamento di clip metallica attorno al colletto o posizionamento di stent. Per potere trattare con tecnica endovascolare un aneurisma è necessario che vi sia un preciso rapporto tra dimensioni della sacca aneurismatica e dimensioni del colletto; il diametro della sacca deve essere infatti molto maggiore rispetto a quello del colletto sennò vi è un elevato rischio che le spirali poste all’interno dell’aneurisma fuoriescano nel vaso principale e diano una trombosi del vaso stesso. Il ruolo delle spirali è quello di favorire la trombosi all’interno dell’aneurisma stesso. Oggi è possibile (vedi immagine C e D) utilizzare degli stent, sia nel caso di trattamento endovascolare sia nel caso di trattamento chirurgico, con la funzione di chiudere la comunicazione tra arteria e aneurisma. La terapia medica in caso di ESA da rottura di aneurisma consiste in: - Controllo della PA sistemica e della PPC (tripla H → HYPERTENSION, HYPERVOLEMIA, HEMODILUTION), soprattutto dopo aver trattato l’aneurisma: Mantenere PA sistolica fra 150 e 120 mmHg per contrastare gli effetti del vasospasmo e ridurre i rischi di sanguinamento Infusione di nimodipina Modica emodiluzione ed iperidratazione Mg Queste sono delle strategie terapeutiche valide dopo aver trattato l’aneurisma e averlo messo in sicurezza, in quanto, se non fosse così, si aumenterebbe in maniera significativa il rischio di risanguinamento. - Analgesia e modica sedazione - Terapia antiedemigena cerebrale - Trattamento nausea e vomito: gli sbalzi pressori secondari potrebbero favorire ulteriormente il sanguinamento. - Profilassi anticomiziale (non sempre necessaria) Il rischio di risanguinamento dopo ESA è maggiore nelle 24h, aumenta ogni giorno dell’1,5% ogni giorno fino alla quattordicesima giornata, quando raggiunge il 15-20%. A 6 mesi del 50%. L’intervento chirurgico precoce (entro 48h) ha una mortalità intraoperatoria maggiore ma una mortalità totale minore, rispetto l’intervento tardivo. Incidenza vasospasmo è maggiore tra la terza-quinta giornata. Il TRATTAMENTO PRECOCE è indicato IN ASSENZA DI CONTROINDICAZIONI quali: grado H- H 3-5 senza ematoma, grave patologia sistemica, età > 75 anni. Il trattamento chirurgico PRECOCE presenta vantaggi e svantaggi: - Vantaggi: elimina i rischi di sanguinamento, facilita il trattamento del vasospasmo, permette di rimuovere il sangue dalle cisterne. - Svantaggi: maggiori difficolta tecniche (retrazione del cervello più difficile e potenzialmente più dannosa, coaguli ematici ostacolano la dissezione chirugica), maggior rischio di rottura intraoperatoria dell’aneurisma, maggiore incidenza di vasospasmo. Il trattamento chirurgico è indicato: Se il trattamento endovascolare non è praticabile. Se si devono trattare complicanze da sanguinamento spontaneo dell’aneurisma (ematoma, idrocefalo, ipertensione endocranica non controllabile). Se si verificano complicanze del trattamento endovascolare (rottura dell’aneurisma durante embolizzazione, fuoriuscita delle spirali dall’aneurisma con rischio di trombosi del vaso portante). Se vi è occlusione parziale dell’aneurisma dopo embolizzazione. Se vi è ripermeabilizzazione dell’aneurisma dopo embolizzazione. Se vi sono controindicazioni al trattamento endovascolare → aneurisma sacciforme piccolo o “large” con colletto > 4 mm o con rapporto Sacco/Colletto = 1; se S/C è > 1,5 l’aneurisma può essere totalmente occluso, se S/C ≤ 1 l’aneurisma può essere occluso solo parzialmente poiché le spirali tenderanno a protrudere nel vaso portante. Malformazioni arterovenose (MAV) La malformazione artero-venosa (MAV) è un’alterata comunicazione tra arterie e vene cerebrali senza un letto capillare interposto. Multiple arterie possono essere coinvolte nella malformazione e le vene si possono dilatare e infine rompere. Se tra arterie e vene è presente un groviglio di vasi (nidus) si parla di malformazione arterovenosa, se invece un’arteria riversa direttamente il suo sangue in una vena cerebrale di parla di fistola arterovenosa. A differenza degli aneurismi cerebrali che danno segno di sé solo dopo la rottura, se non in casi rari, le MAV possono manifestarsi con crisi epilettiche oltre che con un sanguinamento che spesso non è solo subaracnoideo, ma cerebro-meningeo, cioè con la presenza anche di un ematoma intracerebrale e talvolta, in base alla localizzazione della malformazione artero-venosa, con emorragia endoventricolare. Il sanguinamento della MAV avviene solitamente in età più giovane rispetto a quello degli aneurismi cioè intorno ai 20-30 anni. Il rischio di sanguinamento di una MAV è 2% all’anno, molto superiore a quello di un aneurisma non rotto, ma la mortalità conseguente al sanguinamento è di circa il 10%, inferiore quindi a quella dovuta alla rottura di un aneurisma che è di circa il 50%. La diagnosi viene effettuata con angiografia cerebrale che permette di visualizzare correttamente le arterie che nutrono la malformazione e le vene di drenaggio. Esistono tre opzioni terapeutiche per le MAV: Chirurgia con asportazione della malformazione Trattamento endovascolare con embolizzazione dei rami arteriosi Trattamento radiochirurgico con Gamma Knife Fistole atero-venose durali (FAVD) Se le malformazioni arterovenose cerebrali sono la comunicazione tra arterie e vene cerebrali, le fistole arterovenose durali sono una comunicazione tra un’arteria durale ed una vena cerebrale. Sono malformazioni non congenite ma acquisite. La sintomatologia delle fistole artero-venose durali è legata al sanguinamento che determina sempre un’emorragia cerebro-meningea. In presenza di un’emorragia lobare o di un’emorragia subaracnoidea in cui non si evidenzia né un aneurisma né una MAV, bisogna ricercare la presenza di una fistola artero-venosa durale. Meno frequentemente i pazienti possono lamentare sintomi di ipertensione endocranica, legata all’ipertensione nel sistema venoso cerebrale o crisi epilettiche. Talvolta, se la fistola coinvolge un seno venoso adiacente alla rocca petrosa (seno petroso superiore, seno sigmoideo), il paziente può avvertire un acufene pulsante determinato proprio dalla fistola. La diagnosi viene effettuata mediante angiografia cerebrale con visualizzazione delle arterie meningee che nutrono la malformazione AV e delle vene di scarico. Il trattamento può essere chirurgico o endovascolare. Malformazioni cavernose cerebrali o cavernomi La lesione è caratterizzata da dilatazioni di capillari raccolti in gomitoli e privi di parenchima nervoso. La loro prevalenza nella popolazione generale è stimata in circa il 0,1-0,5% dei casi. I cavernomi sono lesioni dinamiche che possono formarsi o regredire nel corso degli anni. La malattia si presenta in forma sporadica o familiare. Quest’ultima è trasmessa come carattere autosomico dominante a penetranza incompleta. Le forme sporadiche si manifestano come lesioni singole mentre quelle familiari presentano lesioni multiple. Ad oggi sono noti tre geni responsabili della malattia familiare, chiamati CCM1(7q 21.2), CCM2(7p 13) e CCM3(3q 25.2) Il locus CCM1 è responsabile del 40% circa delle forme familiari, mentre il locus CCM2 e il locus CCM3 sono responsabili rispettivamente del restante 20% e 40%. l sistema nervoso centrale (SNC) è l’area più frequentemente colpita dalla malattia (70-90% dei casi). La maggior parte delle lesioni cerebrali sono corticali o sottocorticali. La maggior parte di queste lesioni sono asintomatiche o hanno un decorso relativamente benigno, ma una piccola minoranza si comporta in modo aggressivo e presenta episodi ricorrenti di emorragia sintomatica. Le manifestazioni cliniche neurologiche iniziano tipicamente tra la seconda e quinta decade di vita, sebbene le lesioni anatomiche siano osservabili in tutte le età. I cavernomi possono causare crisi comiziali focali o secondariamente generalizzate, emorragie cerebrali, deficit neurologici focali o cefalea ricorrente. La diagnosi viene fatta con RM utilizzando la sequenza gradient echo, in grado di evidenziare la presenza di emosiderina all’interno del cavernoma. L’angiografia non è indicata. La resezione chirurgica è la principale modalità di trattamento per le malformazioni cavernose cerebrali nei pazienti che presentano un’emorragia sintomatica. Malformazioni vascolari spinali Le malformazioni artero-venose spinali sono lesioni rare il cui sanguinamento determina un’ematomielia oltre che un’emorragia subaracnoidea perimidollare. Il quadro clinico sarà para- o tetraparesi in rapporto al livello della lesione, con disturbi sensitivi e autonomici. La diagnosi potrà essere effettuata con risonanza magnetica ed angiografia vertebrale. Fistole artero-venose durali spinali Nelle fistole artero-venose durali spinali, a differenza delle fistole durali craniche, il sanguinamento è un evento rarissimo e la sintomatologia è determinata dall’aumento di pressione venosa data dalla fistola. La diagnosi potrà essere sospettata con risonanza magnetica che mostrerà le vene midollari dilatate. ERNIE DISCALI E SPOINDOLODISCOARTROSI LEZIONE 4 CASCATA DEGENERATIVA DELLA COLONNA VERTEBRALE Il disco intervertebrale rappresenta una struttura fondamentale per la stabilizzazione dell’unità motoria. Se esso si danneggia la colonna va incontro ad una eccessiva mobilità intersegmentale e si possono verificare degli scivolamenti vertebrali (spondilolistesi); lo scivolamento può avvenire anteriormente, posteriormente o lateralmente. Il primum movens è rappresentato dalla degenerazione del disco intervertebrale, quella che comunemente viene definita come “invecchiamento del disco invertebrale”; tuttavia, il termine invecchiamento non deve essere confuso con l’età biologica avanzata del paziente perché è possibile che il disco intervertebrale degeneri o si alteri nella sua struttura interna anche in fasi più precoci della vita. Le cause di degenerazione disco intervertebrale sono quindi la disidratazione, fissurazione dell’anulus e la possibile estrusione del nucleo polposo (ernia). Alla degenerazione del disco intervertebrale fa seguito l’instabilità biomeccanica. La colonna vertebrale pur presentando delle curvature fisiologiche come la lordosi cervicale o la cifosi toracica, è una struttura che gode di perfetto equilibrio biomeccanico. Essendo il disco intervertebrale una delle strutture integranti più importanti della colonna vertebrale e la più importante dell’unità motoria (l’insieme di due vertebre e del disco intervertebrale interposto), la sua degenerazione comporta l’instaurarsi di instabilità biomeccanica con incremento della motilità intersegmentale. Questa instabilità può determinare l’insorgenza di spondilolistesi, ovvero lo scivolamento di una vertebra rispetto a quella sovrastante o sottostante, che può avvenire anteriormente, posteriormente o in senso latero-laterale. Alla fase di instabilità fa seguito la fase reattiva, che consiste in un ispessimento delle strutture legamentose ed osteoarticolari con riduzione dei diametri canalari come tentativo di compenso per ripristinare la stabilità persa. Questa riduzione del diametro (stenosi del canale vertebrale) viene determinata da fenomeni artrosici e prende il nome di spondilodiscoartrosi. La SPONDILODISCOARTROSI può causare quindi un restringimento dei diametri del canale vertebrale con incongruenza, tra strutture contenenti e strutture contenute; si ha quindi una sproporzione tra il canale vertebrale ed il sacco durale, con lo sviluppo di dolore e/o deficit neurologici. La spondilodiscoartrosi è quindi un fenomeno patologico di tipo artrosico che coinvolge sia i dischi intervertebrali che l’osso delle vertebre; non è detto che causi necessariamente una stenosi della porzione centrale del canale vertebrale, anzi potrebbe anche dare una stenosi foraminale e, dunque, un restringimento dei canali attraverso cui passano le radici nervose (forame intervertebrale). La stenosi forminale potrebbe causata data da: Sublussazione delle faccette articolari Osteofiti Ernia del disco L’ernia del disco lombare consiste nella fuoriuscita del nucleo polposo dall’anulus fibroso con compressione delle strutture nervose e infiammazione delle stesse. Le ernie del disco, in realtà, possono colpire qualsiasi segmento del rachide ma le regioni maggiormente interessate sono quella lombare e quella cervicale. A livello lombare i tratti più frequentemente sedi di ernia del disco sono L4-L5 e L5-S1; ciò è legato al fatto che il tratto L4-L5 risulta essere estremamente mobile, mentre il tratto L5-S1 rappresenta un punto di passaggio da un tratto mobile, quello lombare, ad uno molto rigido, quello sacrale. Le ernie discali lombari possono essere classificate secondi diversi criteri: In base al livello del disco (es. L4-L5) In base alla posizione nel canale vertebrale: mediana, paramediana, intraforaminale, extraforaminale. In base alla rottura del legamento longitudinale posteriore: contenuta (il legamento è integro e può contenere la fuoriuscita di una parte del nucleo polposo), espulsa (nel caso contrario). In base alla migrazione: caudale, ovvero la più frequente, o craniale Si può passare dalla condizione di degenerazione del disco intervertebrale (vedi immagine in basso, figura 1), alla condizione di protrusione discale o prolapse, cioè il primo gradino dell’invecchiamento vertebrale e che può rimanere tale oppure con il tempo può trasformarsi in un’ernia del disco vera e propria, talvolta anche espulsa e migrata. La degenerazione discale crea un vacuum al livello del disco intervertebrale. Prolasso (o prolapse) → una parte di nucleo polposo inizia a farsi strada verso l’esterno ma è ancora contenuta dall’anulus fibroso (figura 2). Ernia del disco vera e propria → si rompe l’anulus ed un frammento di nucleo polposo viene estruso all’esterno (figura 3). Sequestro → un frammento di disco intervertebrale che migra all’interno del canale vertebrale e rimane intrappolato in direzione craniale o caudale all’interno del canale vertebrale (figura 4). Epidemiologia Sul fronte epidemiologico vedremo che l’incidenza maggior si ha tra i 30 e i 40 anni e le donne sono colpite più tardivamente; in realtà ormai questa differenza si sta appianando, in quanto prima gli uomini più frequentemente eseguivano lavori pesanti mentre le donne spesso non lavoravano. La prevalenza è dell’1-3%, relativamente bassa poiché valutando i numeri in Italia si avranno circa 15.000.000 di pazienti affetti da questa patologia. Nel 95% dei casi è colpito il segmento L4-L5, meno frequentemente L3-L5, raramente L2-L3 o L2- L1. I principali fattori di rischio sono sicuramente la sedentarietà, sovrappeso, lavori pesanti e le gravidanze. Fisiopatologia Il primum movems è l’invecchiamento del disco intervertebrale con riduzione del contenuto di proteoglicani nel nucleo polposo e disorganizzazione strutturale dell’anulus con fissurazione. Si avranno dunque alterazioni biomeccaniche con modificazioni delle articolazioni e delle limitanti somatiche, ovvero del terzo inferiore e superiore dei corpi vertebrali a contatto con il disco vertebrale. A carico del tessuto osseo dei corpi vertebrali si avranno infatti delle alterazioni che sfoceranno nella formazione degli osteofiti (piccole escrescenze patologiche del tessuto osseo, generalmente a forma di becco o di cresta) a causa della reazione indotta dai fenomeni degenerativi. Sovraccarichi funzionali o traumi (non necessariamente gravi come quelli indotti dagli incidenti stradali, ma anche sollecitazioni ripetute) possono accelerare il processo. Complessivamente avremo la fuoriuscita del nucleo polposo in sede di minore resistenza (dove l’annulus è fissurato) in sede paramediana. Quest’ultima risulta essere la sede più frequentemente interessata perché il legamento longitudinale posteriore è più spesso in corrispondenza della regione mediana del canale verte

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