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Questo documento presenta una panoramica di diverse teorie classiche dello sviluppo psicologico nel ciclo di vita. Vengono analizzate le teorie di Freud, Piaget, Montessori ed Erikson, evidenziando i loro concetti chiave e le fasi di sviluppo proposte. Il testo approfondisce le prospettive diverse dello sviluppo umano, dall'infanzia all'età adulta.
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TEORIE TRADIZIONALI DELLO SVILUPPO NEL CICLO DI VITA 1. La teoria di Sigmund Freud (1856-1939) Sigmund Freud, neurologo austriaco si è interessato al funzionamento e allo sviluppo della mente durante l’infanzia, ha sviluppato le sue ipotesi nel campo della psicoterapia. Freud riteneva che gli av...
TEORIE TRADIZIONALI DELLO SVILUPPO NEL CICLO DI VITA 1. La teoria di Sigmund Freud (1856-1939) Sigmund Freud, neurologo austriaco si è interessato al funzionamento e allo sviluppo della mente durante l’infanzia, ha sviluppato le sue ipotesi nel campo della psicoterapia. Freud riteneva che gli aventi accaduti nel corso dell’infanzia avessero profonda influenza sulla vita degli adulti e contribuissero a formare la personalità. Freud ha ipotizzato che i cambiamenti psicologici durante l’infanzia siano governati sia dalla maturazione biologica sia da fattori sociali. Il bambino possiede un insieme di bisogni innati (Es), che talvolta, sono in conflitto con il suo ambiente sociale (es. un bambino che ha fame quando la sua papà ancora non è pronta). Dovendo confrontarsi con i limiti sociali ai propri bisogni, i bambini sviluppano la capacità di ragionare e di trovare strumenti accettabili per soddisfare tali bisogni, sviluppano così l’Io; in più, sviluppano un “censore” interno dei propri desideri e comportamenti: il Super-Io. Per sviluppare e raggiungere un equilibrio tra queste tre componenti della personalità (Es, Io è Super-Io), il bambino attraversa 5 fasi o stadi di sviluppo, ogni fase presenta specifici conflitti tra bisogni del bambino e richieste provenienti dall’ambiente sociale. Qualora il bambino riesca a superare queste fasi, il suo sviluppo si caratterizza come sano e armonico; in caso contrario, possono verificarsi fissazioni che potranno successivamente comportare patologie psicologiche. Nel corso della vita, l’individuo sperimenterà ancora conflitti, l’individuo “sano” li risolverà (modificandoli) in modo produttivo, mentre quello “nevrotico” userà meccanismi di difesa più o meno efficaci per farvi fronte. Le fasi o stadi psico-sociali dello sviluppo del bambino sono: 1. Fase orale (fino a 1 anno di età): i bisogni del bambino sono concentrati sulla bocca e riguardano attività quali l’alimentazione, la suzione, la masticazione e il morso, i conflitti si verificano relativamente a svezzamento, tempi e ritmi dell’alimentazione, tipo di cibo; 2. Fase anale (da 1 a 3 anni): i bisogni ruotano attorno alla minzione e alla defecazione, i conflitti sorgono durante l’allenamento al controllo di tali attività e alla fine di questo periodo, si forma l’Io; 3. Fase fallica (da 3 a 6 anni): il bambino sviluppa bisogni sessuali, cioè il bambino sviluppa un desiderio incestuoso nei confronti della madre(complesso di Edipo) e la bambina nei confronti del padre (complesso di Elettra), tale desiderio li rende prima rivali del genitore del loro stesso genere e poi li conduce all’identificazione con questo genitore, durante questa fase si forma il Super-Io; 4. Fase di latenza (da 6 a 11 anni): gli impulsi sessuali sono ora ripresi e il bambino si concentra sull’istruzione e sull’interesse per gli altri; 5. Fase genitale (dai 12 anni in poi): i bisogni sessuali, l’amore egoistico e altruistico ora cominciano a bilanciarsi e il bisogno di riproduzione della specie porta alla formazione di relazioni adulte; 2. La teoria di Jean Piaget (1896-1980) Jean Piaget a studiato lo sviluppo cognitivo dei bambini, egli ha ipotizzato che lo sviluppo sia un processo di costruzione attivo e dialettico in cui gli individui costruiscono strutture cognitive sempre più differenziate e complesse, nel tentativo di comprendere l’ambiente che li circonda. Quando una nuova esperienza non si adatta alla comprensione del mondo che un individuo ha già costruito, le strutture cognitive esistenti sono messe in crisi e si genera un conflitto cognitivo; per superare tale conflitto bisogna modificare le strutture cognitive esistenti. Ciò può essere fatto aggiungendo alle strutture esistenti le nuove informazioni (assimilazione), oppure modificando tali strutture in modo tale da renderle congruenti con le nuove informazioni (accomodamento). Piaget ha ipotizzato che questo processo di cambiamento evolutivo, denominato “equilibrazione” (equilibrio tra assimilazione e accomodamento) sia il mezzo per raggiungere lo sviluppo cognitivo. Secondo Piaget il bambino attraversa quattro diverse fasi o stadi dello sviluppo cognitivo: 1. Stadio sensomotorio (fino a 2 anni): il bambino esplora il suo ambiente usando i sensi e le abilità psicomotorie, impara che gli oggetti sono separati dalla sua persona e hanno una loro permanenza, e sviluppa il senso di sé come essere indipendente; 2. Stadio preoperatorio (da 2 a 7 anni): il bambino usa il simbolismo (linguaggio e immagini) per comprendere l’ambiente, acquisisce il senso di presente, passato e futuro e può pianificare le proprie azioni, anche se la sua visione e ancora caratterizzata da egocentrismo(considera le esperienze principalmente dalla propria prospettiva); 3. Stadio delle operazioni concrete (da 7 a 11 anni): il bambino comprende sempre meglio le relazioni tra gli oggetti e riesci a considerare le opinioni di altre persone sulla realtà; 4. Stadio delle operazioni formali (da 11 anni in poi): il bambino può pensare in modo sistematico, logico e astratto, puoi sviluppare strategie di apprendimento e impegnarsi in molteplici attività di problem solving; Secondo la teoria di Piaget il bambino apprende e costruisce attivamente le proprie conoscenze. 3. La teoria di Maria Montessori (1870-1952) Maria Montessori è stata medico, educatrice e attivista per i diritti delle donne, ha elaborato una teoria stadiale dello sviluppo del bambino, articolata in quattro fasi fluide o piani di sviluppo, concepiti come basi per l’apprendimento: 1. Il primo stadio va dalla nascita alla prima infanzia (sei anni), è il momento in cui il bambino impara l’autocontrollo e le modalità di interazione con il mondo, assorbe costantemente nuove conoscenze attraverso l’imitazione del comportamento di altre persone. Durante i primi tre anni tutto questo avviene in maniera non consapevole, solo successivamente tale processo diventa sempre più intenzionale; 2. Il secondo stadio (da sei a 12 anni) è il periodo in cui il bambino sviluppa quello che Montessori ha chiamato il piano cosmico, il bambino cerca, cioè, di trovare il suo posto all’interno della cultura in cui è inserito, non è più interessato solo agli oggetti, ma si appassiona a conoscere le funzioni e il perché, cominciando così a capire il suo ruolo nell’interazione con essi; 3. Il terzo stadio riguarda l’adolescenza (12-18 anni) e comprende cambiamenti fisici e lo sviluppo della coscienza sociale, è più focalizzato sulla propria autonomia e sulla conoscenza di sé che, sulle performance scolastiche; 4. Il quarto e ultimo stadio riguarda la giovane età adulta (18-24 anni), dopo aver conquistato autonomia indipendenza, è il momento di trasformare obiettivi personali in obiettivi sociali, concernenti cioè il contributo che ciascuno può dare per migliorare il mondo. La teoria di Montessori non ha avuto un grande impatto, ma i suoi metodi pedagogici hanno ottenuto ampia popolarità. 4. La teoria di Erik Homburger Erikson (1902-1994) Erikson sì è concentrato sull’ipotesi stadiale dello sviluppo, pur subendo l’influenza di Freud, ha spostato il suo interesse dalle istanze biologico-pulsionali a quelle psico-sociali, di interazione tra persona e ambiente sociale. Durante l’intero corso della vita, l’individuo si evolve imparando a risolvere una serie di compiti personali e sociali, ognuno dei quali comporta una crisi che l’individuo supera quando impara il modo per farvi fronte e in cui l’obiettivo è quello di raggiungere un equilibrio e il mancato raggiungimento di questo equilibrio può avere conseguenze psicologiche negative. Quindi lo sviluppo è discontinuo, articolato in diversi stadi, ma dura per tutta la vita e le fasi o stadi psico-sociali dello sviluppo identificati da Erikson sono: 1. Infanzia (fino a un anno di età): il momento in cui il bambino dipende dai caregiver per sopravvivere, il compito di questa fase è quello di sviluppare fiducia nei confronti degli altri e la sensazione di poter fare affidamento sulle persone che si prendono cura di lui, se invece il bambino percepisce di essere trascurato un maltrattato, svilupperà un senso di sfiducia, percepire il mondo come ostile e potrebbe incontrare difficoltà a stabilire relazioni gratificanti; 2. Prima infanzia (da uno a tre anni): il bambino impara a muoversi, a parlare e esprimere i suoi desideri, inizia sperimentare i propri limiti. Si è permesso di sperimentare, riesce a sviluppare autocontrollo e autonomia, se al contrario, i suoi tentativi vengono limitati potrebbe sviluppare vergogna e dubbi sulle proprie capacità; 3. Età del gioco (da tre a sei anni): il bambino comincia a sperimentare l’autonomia e a comportarsi in maniera esuberante, riesce a individuare cosa gli è consentito e cosa no sviluppa un senso di iniziativa personale.in questa fase, se ben supportato, impara a mantenere un equilibrio tra i propri bisogni e quelli degli altri e sviluppa capacità di giudizio; se invece la sua esplorazione viene scoraggiata o addirittura punita può iniziare a sviluppare un senso di colpa sia per il suo desiderio di esplorare, sia per la conflittualità tra i propri desideri e quelli degli altri; 4. Età scolare (da sei a 12 anni): all’inizio della scuola, la maggior parte dei bambini si confronta per la prima volta con standard di eccellenza: il lavoro scolastico del bambino e valutato, giudicato, confrontato con quello degli altri bambini; sia lavorato bene, sviluppa un senso di industriosità e di autostima, se invece, sperimenta numerosi insuccessi può sviluppare un senso di inferiorità; 5. Adolescenza (da 12 a vent’anni: è un momento di grandi cambiamenti, di importanti trasformazioni corporee, che implicano nuove sfide relazionali con coetanei, genitori e partner sentimentali, ma anche di importanti decisioni sulla propria vita scolastica, lavorativa, sul proprio futuro. L’adolescente cerca di definire la propria identità sociale, sessuale e professionale, è un processo importante che se interrotto da fattori esterni, può sfociare in una confusione di ruoli; 6. Prima età adulta (da 20 a quarant’anni): è il momento di raggiungere stabilità e intimità, questo comporta l’assunzione d’impegno nei confronti degli altri e di un partner, in particolare, con cui condividere la propria vita e avere i figli.se il giovane non riesce ad assumere impegni autentici nei confronti degli altri, rischia l’isolamento sociale; 7. Media età adulta (da 40 a 65 anni): per la maggior parte delle persone, la vita in questa fase è abbastanza stabile, l’adulto ormai sa chi è e considera come impegno principale della sua vita il prendersi cura degli altri, sia allevando i propri figli, sia contribuendo alla società. Erikson ha definito generatività questo impegno, all’opposto, chi non riesce in questo impegno rischia la stagnazione e l’autoindulgenza; 8. Età della vecchiaia (65 anni in poi): si presuppone che l’individuo abbia raggiunto i propri obiettivi e realizzato i propri bisogni, l’individuo, in questa fase, vanta la propria vita a ritroso: se ritiene che la sua vita sia stata significativa, potrà anche accettare il pensiero di un imminente fine, se invece, prevale il rammarico per le opportunità non colte, il pensiero della morte sarà accompagnato da disperazione. Durante ciascuna di queste fasi, l’individuo è circondato da altre persone, con le quali interagisce e che, a loro volta, stanno vivendo un particolare stadio della vita; mentre la società si adatta all’individuo, questo si adatta la società. Il concetto di equilibrio è importante per l’individuo, ma non tutti gli individui riescono a raggiungere questo equilibrio, andando così incontro a problemi negli stadi successivi del corso della vita. La teoria di Erikson lascia spazio all’ottimismo perché non esclude la possibilità che le esperienze di fasi di sviluppo successive possano aiutare a guarire le ferite e le sofferenze derivanti da esperienze negative della prima infanzia. 5. La teoria di Daniel Levinson (1920-1994) Daniel Levinson ha studiato lo sviluppo nel ciclo di vita e sia dedicato soprattutto allo sviluppo degli adulti, concepito come un susseguirsi di periodi centrato, ciascuno, su questioni diverse; in cui nessuno di questi periodi è più importante degli altri. Levinson non individua obiettivi da raggiungere le implicazioni psicologiche derivanti dal successo o dal fallimento, parla piuttosto di “stagioni della vita di un uomo”. Secondo Levin, durante tutto il corso della vita si alternano due differenti tipi di periodi: uno caratterizzato da una lunga fase di stabilità, cui fa seguito un breve periodo di transizione, che rappresenta spesso una svolta importante nel ciclo di vita e può essere accompagnato da disagi e stress, prima di condurre a un nuovo periodo di consolidamento e stabilità. Levinson divide lo sviluppo dell’adulto in periodi ciclici: 1. Transizione verso la prima età adulta (tra 17 e 22 anni): si affrontano svolte di vita importanti, quali lasciare la casa dei genitori iniziare una vita indipendente, raggiunti questi traguardi, può instaurarsi un periodo definito giovane età adulta, che dura fino all’età di 28 anni. In questo stadio si formano relazioni adulte e si gettano le basi per una struttura di vita futura; 2. Transizione dei 30 anni (da 28 a 33 anni): il giovane adulto è consapevole che il tempo scorre e che deve assumere impegni e scelte che avranno un impatto sul resto della sua vita; 3. Il tempo della stabilizzazione (dai 33 ai quarant’anni): l’individuo ha acquisito sicurezza di sé, stima da parte della comunità e sa quale direzione ha preso la sua vita. Raggiunti i 40 anni, l’individuo inizia a compiere un bilancio della propria vita, valutando obiettivi raggiunti e sogni realizzati; in funzione del risultato l’individuo può raggiungere una nuova stabilità oppure di stabilizzarsi, nel tentativo di cambiare gli aspetti meno soddisfacenti della sua vita e i media hanno definito spesso questo periodo come crisi della mezza età; 4. La transizione di mezza età termina quando l’individuo raggiunge l’età di 45 anni ed entra nella fase più stabile della media età adulta che dura fino all’età di 55 anni, ora l’individuo può godere dei risultati ottenuti; 5. A 50 anni, però, e con un nuovo periodo di instabilità e transizione, diventando consapevole della propria mortalità, l’individuo avverte anche un indebolimento di forza fisica e salute.questo periodo dura fino alla metà dei 50 anni (la transizione dei 50 anni); 6. Da 55 a 60 anni la vita è più stabile, fino al successivo punto di svolta, con l’incombere della pensione l’individuo si accinge ad affrontare un’altra svolta : la transizione alla tarda età adulta, per alcuni, questo periodo apre nuovi orizzonti, mentre per altri segna l’inizio della fine e potrebbe rivelarsi particolarmente doloroso; 7. L’individuo potrebbe dover affrontare nuove scelte fino a quando trova una nuova stabilità nella fase della vecchiaia, quando finalmente può permettersi di essere libero da impegni; Secondo Levinson la vita è un susseguirsi di turbolenze connesse a punti di svolta, seguite da periodi di stabilità e tranquillità. 6. La teoria di Robert Havighurst (1900-1991) Havighurst ipotizza che lo sviluppo avvenga ogni volta che l’individuo incontra un nuovo compito di sviluppo e lo risolve; i compiti di sviluppo rappresentano i principali impegni che l’individuo deve assolvere in determinate fasi della vita. Havighurst distingue compiti di sviluppo di tre tipi: quelli che derivano dalla maturazione fisica, quelli legati ai valori personali e quelli derivanti dalle richieste sociali e suddivide la durata del corso della vita in periodi diversi a seconda della prevalenza di determinati compiti di sviluppo: 1. Durante i primi 18 anni di vita, bambini e adolescenti sono principalmente occupati a risolvere i compiti inerenti ai processi di maturazione (imparare a camminare, a rispondere a richieste sociali..); 2. La prima età adulta dura dai 18 ai 35 anni, in questo periodo i compiti di sviluppo comprendono la ricerca di un partner e la formazione di una famiglia, l’ingresso in un’attività lavorativa e l’assunzione di responsabilità civiche; 3. La mezza età, che comprende dai 35 ai 60, si caratterizza per compiti evolutivi quali l’assumere la piena responsabilità di adulto, il provvedere al sostentamento economico, il fornire cure e assistenza ai bambini, agli adolescenti e ai genitori anziani e l’accettare i cambiamenti evolutivi della mezza età; 4. A partire da 60 anni, i compiti di sviluppo consistono principalmente nell’adattarsi all’invecchiamento e nel saper affrontare le perdite; 7. Una valutazione delle teorie La principale insoddisfazione per tutte le teorie stadiali e il fatto che non possono davvero descrivere la vita di ciascun individuo; nella migliore ipotesi, possono essere viste come descrizioni teoriche ampie e generali del cambiamento evolutivo nel corso della vita, in cui i punti salienti sono: 1. A seconda delle esperienze personali e degli eventi che si presentano, il corso della vita può essere molto diverso per le persone che vivono nello stesso paese, ciò significa che le teorie stadiali sono troppo generiche per descrivere efficacemente il corso della vita; 2. In paesi molto diversi dall’Europa e dagli Stati Uniti, i compiti di sviluppo e le questioni inerenti al cambiamento non sono gli stessi e quindi le persone possono sperimentare traiettorie di vita differenti, ad esempio in alcune culture l’adolescenza non esiste. Le teorie stadiali possono quindi essere considerate come etnocentriche: ignorano altre culture e suggeriscono che la vita nel mondo occidentale sia la norma, mentre tutti gli altri stili di vita rappresentano eccezioni; 3. I mutamenti sociali, come i tipi di governo, la situazione economica e lo sviluppo delle nuove tecnologie hanno un impatto sul modo in cui le persone vivono, sui compiti di sviluppo che devono fronteggiare i suoi tempi in cui li incontrano durante la loro vita. Guardando alle teorie discusse è facile vedere che molti assunzioni relative agli stadi appaiono superati e obsolete (l’età in cui si lascia la casa dei genitori); 4. Le criticità delle teorie discusse potrebbero dipendere dalla metodologia di ricerca utilizzata da questi pionieristici ricercatori che hanno studiato lo sviluppo del ciclo di vita; Erikson ad esempio ha basato gran parte della sua teoria sull’analisi della vita di alcuni personaggi famosi come Martin Lutero e sulle osservazioni personali del suo ambiente. Freud ha basato la sua teoria sulle storie di vita dei suoi pazienti; Levinson ha focalizzato la sua teoria centrale su ripetuti interviste approfondite, ma condotte soltanto con 40 soggetti di sesso maschile; Piaget ha osservato principalmente i propri figli e i figli di professionisti di alto livello culturale e socio economico. Tutte le informazioni che gli scienziati hanno utilizzato per elaborare le proprie teorie riguardano soggetti appartenenti a paesi occidentali industrializzati, spesso bianchi, di classe media e di sesso maschile. Questi studi a volte commettono l’errore di ignorare la variabilità individuale e culturale e quindi hanno un valore limitato. Un secondo punto critico consiste nel fatto che le teorie stadiali rappresentano soprattutto delle generalizzazioni descrittive, dipingono un quadro di ciò che accade dalla nascita alla morte, ma non spiegano come avviene lo sviluppo. TEORIE ECOLOGICHE DELLO SVILUPPO UMANO (cap. 2) 1. Il modello ecologico di Urie Bronfenbrenner (1917-2005) Urie Bronfenbrenner si è interessato all’influenza della cultura sullo sviluppo del bambino, riteneva che i risultati di ricerca ottenuti tramite l’osservazione del comportamento infantile in ambiente di laboratorio non riflettessero ciò che accade nel mondo reale. Era convinto che lo sviluppo andasse studiato nei contesti reali e ha sviluppato un nuovo modello per spiegare cosa accade quando gli individui interagiscono con il mondo che li circonda, ha definito il suo modello come ecology of human development, mutando il termine ecology dalla biologia che indica le varie interazioni degli organismi viventi con il proprio ambiente. Per Bronfenbrenner, le condizioni in cui gli uomini crescono e si sviluppano sono molto simili a un ecosistema, poiché gli esseri umani sono esseri sociali, il loro sviluppo dipende dalle relazioni che formano durante la loro vita; alcune sono immediate e dirette, altre sono più distanti e indirette. Queste relazioni possono essere descritte come differenti sistemi, ognuno dei quali fornisce a ciascun individuo ruoli (leader, follower, caregiver ), limiti, norme e aspettative. Gli individui, quindi, non soltanto sono influenzati dei sistemi relazionali in cui sono inseriti, ma influenzano a loro volta i sistemi stessi. Bronfenbrenner ha descritto le relazioni su livelli diversi, come sistemi innestati l’uno nell’altro, come avviene con le matrioske. Oltre ai contesti diretti in cui l’individuo è immerso, come la famiglia o il gruppo dei coetanei, esistono anche ulteriori sistemi di influenza, ad esempio, se i membri di un micro sistema (i genitori) interagiscono con i membri di un altro micro sistema (insegnanti), ciò avrà effetti indiretti sullo sviluppo del bambino che potrebbe sperimentare valori contrastanti tra il sistema casa e quello scolastico. Dunque, le interazioni che si verificano tra i membri dei diversi micro sistemi costituiscono un mesosistema. Le persone, all’interno dei propri micro sistemi sono influenzate anche da persone di micro sistemi dei quali non fanno parte e di quali potrebbero non essere nemmeno a conoscenza: l’esosistema. Infine, la cultura più ampia, con le leggi e le norme della società in cui l’individuo vive, ha una forte influenza su tutti livelli del sistema: macrosistema. La chiave ecologica della teoria di Bronfenbrenner è l’idea che le influenze interattive siano multidirezionali, gli individui influenzano i sistemi in cui sono immersi, i quali li influenzano a loro volta; allo stesso tempo, i vari sistemi sono interdipendenti tra loro, influenzandosi a vicenda. Lo sviluppo quindi non è qualcosa che riguarda soltanto l’individuo, ma un processo interattivo e dinamico che coinvolge tutti i livelli della società ed è impossibile spiegare lo sviluppo umano sulla base di un’unica variabile di causa-effetto; ecco perché Bronfenbrenner ha definito la sua teoria ecologica. 2. Jaan Valsiner e la psicologia culturale dello sviluppo Valsiner presentato la sua teoria “psicologia culturale dello sviluppo“ in cui esamina come le diverse culture e i diversi contesti sociali conducano a diversi percorsi di sviluppo, in cui quest’ultimo è un processo dinamico interattivo: i sistemi biologici, psicologici e sociali sono aperti e i sistemi aperti sono in grado di svilupparsi. Nell’analizzare il comportamento individuale Valsiner definisce quattro livelli di sviluppo: 1. Per comprendere il comportamento umano universale, dobbiamo guardare allo sviluppo della specie umana: filogenesi; 2. Per comprendere il comportamento umano in una specifica cultura, dobbiamo comprenderne le regole, le tradizioni e i costumi scritti e non scritti: genesi della cultura; 3. Per comprendere le tendenze comportamentali di un singolo individuo, dovremmo conoscere la sua storia personale: ontogenesi; 4. Per comprendere il comportamento reale di un individuo nel qui e ora dobbiamo tener conto dell’intero contesto: microgenesi; L’ambiente pone dei vincoli sulla gamma di comportamenti che un individuo può mettere in atto, questi vincoli possono essere esterni (una norma) o interni (una convenzione); possono essere modificati dalle azioni individuali, dall’ambiente dell’individuo o dall’interazione di entrambi, dunque, l’ambiente fornisce la struttura in cui avviene lo sviluppo individuale e Valsiner definisce questo concetto come principio della natura strutturata dell’ambiente. Secondo lui l’ambiente è strutturato in tre modi: 1. La zona di libero movimento definisce l’accesso dell’individuo a diverse aree dell’ambiente, a diversi oggetti all’interno di esso e al modo in cui il bambino agisce con gli oggetti disponibili nell’area a lui dedicata. Valsiner Illustra questo principio attraverso l’esempio del seggiolone utilizzato per i bambini piccoli durante la pappa; 2. La zona di promozione dell’attività ha come scopo l’incoraggiamento di nuove competenze; genitori, insegnanti e coetanei possono incoraggiare determinate azioni e le persone possono scegliere da sole, con un certo margine, se seguire un meno i suggerimenti degli altri; 3. La zona di sviluppo prossimale e ricalca la descrizione “dell’area prossimale di sviluppo”: essa racchiude una serie di possibili interazioni con l’ambiente, azioni che l’individuo non ha ancora intrapreso, ma che sarebbe in grado di fare con un aiuto esterno; Queste tre zone e la loro interazione dinamica implicano lo sviluppo: gli individui ampliano il loro repertorio di azioni (zona di libero movimento) espandendo provvisoriamente i loro confini all’interno del loro potenziale (zona di sviluppo prossimale e), in particolare se dotati di margine di manovra e incoraggiati a farlo (zona di promozione dell’attività). 3. Grande depressione e ciclo di vita: Glen Elder Abbiamo finora descritto e discusso lo sviluppo umano adottando un approccio focalizzato sull’individuo, tipico delle teorie psicologiche; è possibile però approcciarsi al tema anche adottando un punto di vista diverso, tipico della sociologia, interessandoci a quello che Bronfenbrenner chiamerebbe il macrosistema, che riguarda cioè il funzionamento della società e dei gruppi sociali. Elder junior si è impegnato nel tenere uniti entrambi gli approcci, nacque in un momento storico in cui l’America il resto del mondo furono scossi dalla grande depressione; un tale cambiamento della società può avere avuto effetti a lungo termine sulle persone che ne sono state coinvolte. Elder è stato quindi spinto a esplorare quale effetto avrebbe prodotto sugli individui un cambiamento sociale di tale portata, il suo lavoro di ricerca si è potuto basare su un censimento longitudinale con grosse quantità di informazioni sulle persone vissute durante la grande depressione, ha ricavato risultati straordinari, per esempio, per quanto riguarda la grande domanda sugli effetti della crisi economica sugli individui, egli ha avuto modo di renderti conto che alcuni non erano stati colpiti per niente. I bambini della grande depressione generalmente sono stati colpiti solo indirettamente dalle difficoltà economiche, attraverso le reazioni dei loro genitori; nella maggior parte dei casi, è stato il padre a rispondere alle difficoltà economiche con una maggiore aggressività e ostilità e con comportamenti non consoni nei confronti del coniuge. La negatività all’interno della relazione coniugale, unita alle difficoltà finanziarie, ha portato a stili genitoriali punitivi, autoritari e freddi. Questi cambiamenti nel comportamento dei genitori hanno spesso prodotto effetti negativi nei comportamenti dei figli, soprattutto adolescenti, aumentandone il rischio di aggressività e depressione; al contrario, quando le difficoltà economiche non hanno influenzato la relazione di coppia, non si è evidenziata quella spirale discendente riscontrata in altre relazioni. È importante illustrare dunque come sia particolarmente complesso il rapporto tra gli eventi e loro effetti: un medesimo evento può innescare effetti completamente diversi tra loro (positivi, negativi o neutri) sulle persone coinvolte. Questi risultati hanno portato Elder a formulare una nuova teoria dello sviluppo umano, basata su quattro principi fondamentali: 1. Il principio del tempo storico e del luogo: il corso della vita degli individui è legato e modellato dal tempo storico e dal luogo nei quali essi sono immersi, lo stesso evento può avere conseguenze completamente diverse per l’individuo, a seconda di quando e dove accade; 2. Il principio del timing: l’impatto di un evento sullo sviluppo dipende da quando questi fatti si verificano nella vita di una persona; 3. Il principio delle vite collegate: le vite sono vissute in modo interdipendente e le influenze sociali e storiche sono espresse attraverso questa rete di relazioni condivise. Quando alcune persone sostengono che le loro decisioni influenzano solo la propria vita e che gli altri non dovrebbero occuparsene, non hanno una visione completa della realtà, qualunque cosa facciamo, o ciò che ci accade, avrà anche un effetto sugli altri; 4. Il principio dell’agentività umana: gli individui costruiscono il proprio percorso di vita attraverso scelte e azioni individuate tra le diverse opportunità e i vincoli posti dalla storia e dalle circostanze sociali; ciò significa che gli esseri umani, nello scegliere il proprio percorso, modificano l’ambiente, e questo avrà a sua volta ripercussioni su di loro; In sintesi, Elder sottolinea l’importanza delle transizioni di vita nel dare forma allo sviluppo individuale; tuttavia non si focalizza su eventi particolari in periodi specifici della vita, ma guarda alle diverse reazioni degli individui agli eventi in funzione del periodo storico, del luogo e del momento in cui essi devono affrontarli. Infine, Elder sottolinea l’interdipendenza delle vite all’interno dei microsistemi reciproci. 4. Use it or lose it: invecchiamento e ciclo di vita in Paul Baltes (1939-2006) Era particolarmente affascinato dall’invecchiamento e dalle prove evidenti della continuità dello sviluppo individuale anche negli ultimi anni di vita; centrali nella sua ricerca sono le elaborazioni di alcuni principi fondamentali: 1. Lo sviluppo si estende per tutto il corso della vita e in esso sono coinvolti processi ad attivi, e durante tutta l’esistenza i cambiamenti possono avere lo stesso potente impatto sullo sviluppo. È possibile, infatti, che i processi di sviluppo si verifichino sia in modalità lenta e continua (cambiamenti cumulativi) sia in maniera improvvisa e discontinua (cambiamenti innovativi; 2. Come Elder, anche Baltes, Reese e Lipsitt, ritengono che lo sviluppo sia inserito in contesti storici e culturali più ampi e propongono tre fonti di influenze contestuali: influenza normative basate sull’età, influenze e normative basate sui processi storici e influenze non normative; 3. Baltes postula i concetti di multidirezionalità e multifinalità, egli ritiene che lo stesso evento possa avere esiti diversi (multidirezionalità) o che esperienze molto diverse nella vita di una persona possono portare a esiti simili (multifinalità); 4. Lo sviluppo comporta sempre sia perdite che guadagni. Perdite, carenze e limitazioni sono viste in questo approccio come dei veri e propri catalizzatori di cambiamenti positivi, poiché possono provocare risposte sia nell’individuo che nell’ambiente, possono cioè, attivare una risposta adattiva, potenziando risorse che aiutino gli individui ad adattarsi ai cambiamenti della loro vita. Lo sviluppo di successo e di conseguenza definito come “massimizzazione dei guadagni e minimizzazione delle perdite”; 5. Baltes E colleghi introducono un concetto di base, quello di plasticità, che provo a descrivere l’evidenza per la quale esiste una differenza tra ciò che una persona è già in grado di fare (capacità di riserva di base) e ciò che potrebbe essere in grado di fare se supportata o aiutata (capacità di riserve di sviluppo); Le risorse che un individuo possiede sono secondo Baltes distribuite in modo diverso lungo il ciclo di vita e svolgono funzioni differenti: nella prima infanzia, sono destinate a funzioni associate alla crescita; durante l’età adulta, sono dirette al mantenimento e in tarda età, sono destinate alla gestione delle perdite. Baltes, Lindenberger e Staudinger propongono un modello di sviluppo che prevede l’interconnessione di processi di selezione (degli obiettivi di sviluppo), ottimizzazione (generazione e attivazione di risorse relative agli obiettivi) e compensazione (risposte funzionali alla perdita di risorse utili per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo). Pertanto, definiscono le seguenti strategie per un invecchiamento di successo: 1. Selezione: in età avanzata, gli individui possono trovarsi di fronte a risorse sempre più scarse come deterioramento dell’udito, della vista e della capacità di memoria, ad esempio, richiedono degli sforzi di compensazione, che possono rendere difficile fare più cose contemporaneamente. Una strategia per affrontare tali difficoltà consiste nel selezionare gli obiettivi importanti ed eliminare quelli meno significativi, in questo modo l’individuo può canalizzare le proprie energie su pochi obiettivi, ma raggiungibili; 2. Ottimizzazione delle risorse utili a raggiungere i risultati desiderati; 3. Compensazione: riguarda il contro bilanciamento delle risorse perdute con altre risorse congruenti; Dunque per Baltes lo sviluppo umano è il risultato del superamento delle sfide che la vita ci pone, quali siano e come influiscano sull’individuo sono questioni che variano in funzione del contesto di appartenenza, dell’età e della cultura in cui si è immersi e il fatto che possano essere risolte con successo meno dipende da una vasta gamma di fattori. Baltes e il suo team considerano la sfida come un elemento necessario per innescare lo sviluppo, la sfida, però, non deve necessariamente essere posta dall’ambiente esterno, ma può concretizzarsi anche nella perdita di una funzione o di un deficit nell’individuo. Baltes inoltre concepisce lo sviluppo quale processo dinamico, che dura l’intera vita. 5. Dagli atomi all’universo: la teoria dei sistemi dinamici La teoria dei sistemi dinamici tenta di spiegare che cosa provoca il cambiamento nei vari sistemi, e quindi lo sviluppo. Si sviluppa a partire dalla fisica e dalla matematica applicata e appunto si riferisce ai sistemi; un sistema è un insieme di elementi interagenti tra loro e con altri e nella teoria dei sistemi dinamici vengono considerati molti più elementi e su molti più livelli. Il sistema ormonale all’interno di un corpo, ad esempio, è da considerarsi un sistema tanto quanto l’organizzazione politica di un paese o la costellazione del sistema solare nell’universo; in cui ogni componente e sia un sistema in sé Che è un elemento di un sistema più grande. Secondo la teoria dei sistemi dinamici, tutti i cambiamenti umani avvengono seguendo alcune regole fondamentali e alcuni meccanismi, uno dei principi più importanti della teoria è quello dell’autorganizzazione, il modo in cui un sistema è strutturato e il modo in cui i suoi elementi sono messi relazione tra loro derivano e si costruiscono attraverso l’interazione tra i suoi stessi elementi. E anche se all’inizio questa modalità di organizzazione sembra caotica, alla fine ogni elemento trova il suo posto, acquisisce il suo ruolo o la sua forma fino a produrre un nuovo sistema organizzato. Nel corso della vita, ciascun individuo prende parte a molti sistemi diversi in continuo cambiamento, così come i membri al loro interno; un singolo fattore è raramente responsabile di un cambiamento, sono, piuttosto, le complicate interazioni, a volte brusche, a volte graduali, di molti elementi diversi a produrre dei risultati. La sviluppo individuale, invece, è un processo dinamico all’interno del quale sono coinvolti molti elementi che all’inizio interagiscono tra loro in modo fortemente caotico, fino a quando non trovano una sorta di struttura all’interno della quale porsi relazione tra loro. I ricercatori hanno nominato questa struttura in fase di evoluzione punto di attrazione, in funzione di questa gli elementi che interagiscono limitano reciprocamente e progressivamente i rispettivi gradi di libertà d’azione. In termini psicologici, un altro attore può essere un’abitudine, un valore, l’emozione, un tratto di personalità, una strategia di risoluzione dei problemi o modello di interazione diadica. Gli stadi degli attrattori sono relativamente stabili, fino a quando uno o più elementi cambiano, vengono aggiunti o scompaiono. La teoria dei sistemi dinamici guarda il ciclo di vita di ogni individuo come a un percorso unico, che risulta dalla combinazione di tutti i diversi sistemi di ciascun individuo. Ciò che interessa in questo approccio è lo studio dei processi e dei meccanismi che producono il cambiamento, piuttosto che i suoi effetti; è possibile evidenziare periodi di relativa stabilità nella vita di ciascuno, intervallati da periodi di fermento o turbolenza, innescati da un cambiamento che disturba la routine quotidiana e costringe l’individuo ad adattarsi alla nuova situazione. Cioè il sistema aperto il suo equilibrio e c’è bisogno di un po’ più di tempo prima che tutti gli elementi possano riorganizzarsi e stabilizzarsi. Ciò che differenzia i teorici dei sistemi dinamici dai teorici stadiali è la convinzione che non possono essere assegnate fasce d’età ai periodi di cambiamento, ma che invece esista una miriade di microcambiamenti che avvengono continuamente e danno forma al percorso unico e irripetibile dello sviluppo di ciascuno; dunque è impossibile costruire una descrizione generale dello sviluppo per tutta la durata della vita che possa ritenersi valida per tutti gli esseri umani. Lo sviluppo avviene nel qui e ora, di secondo in secondo (caratteristica microgenetica), nel corso della vita (ontogenetica), e anche in tutta l’umanità (filogenetica). I cambiamenti nel qui e ora influenzano i cambiamenti futuri verso alcune specifiche direzioni piuttosto che altre e questo fenomeno viene definito come cascading constraints, ovvero come effetto cumulativo di una sequenza di vincoli nel tempo. Molto spesso i cambiamenti dello sviluppo sono di tipo qualitativo, si verifica cioè una vera e propria trasformazione in funzione della quale il sistema si riorganizza intorno ad altri attrattori diversi; in questo caso il cambiamento è abbastanza repentino e viene definito come saldo qualitativo. Ovviamente, il tipo e il numero di transizioni che gli individui attraversano subiscono un’influenza culturale, coloro che vivono in contesti caratterizzati da rapido mutamento si trovano più spesso nella necessità di adattarsi; altri, vivendo in condizioni relativamente stabili, potrebbero cambiare molto meno nel corso della loro vita e trovarsi di rado nel tumulto di una fase di transizione. In sintesi, i percorsi di sviluppo individuale lungo l’arco della vita sono estremamente diversi, a seconda della cultura, della classe sociale, del genere, del tempo, della genetica e degli eventi idiosincratici della vita; non sarà mai possibile costruire una teoria generale dello sviluppo umano semplicemente descrivendo una serie di fasi che alcune persone, in una certa società, stanno attraversando in un determinato periodo storico, perché ciò significherebbe ignorare tutte le eccezioni e la teoria formulata diventerebbe obsoleta. Lo studio del cambiamento Studiare lo sviluppo nel ciclo di vita significa voler imparare come gli esseri umani cambiano nel tempo. Effetto coorte : i membri di ogni fascia di età crescono in condizioni sociali diverse (mode, gusti, valori e sistemi di vita) e sono influenzati da queste esperienze condivise. È impossibile sapere se una differenza che troviamo tra i gruppi di età in un disegno trasversale sia dovuto all’aumentare dell’età o alle diverse esperienze nel corso della loro vita. La migliore soluzione per i ricercatori e condurre studi che combinino entrambi gli approcci, non solo una coorte viene selezionata e seguita longitudinalmente, ma a distanza di qualche anno, una nuova coorte più giovane viene aggiunta al progetto; cioè potrebbe esserci un campione di 15, 20,25 anni e così via, tutti esaminati ogni cinque anni: questo è chiamato progetto longitudinale sequenziale. 6. Risorse, sfide e rischi: il lifespan model of develomental change di Hendry e Kloep Per comprendere differenze e similarità nello sviluppo, abbiamo distinto tre tipi di cambiamenti evolutivi che possono verificarsi durante la vita delle persone: 1. Il primo tipo, definito cambiamenti maturazionali, cioè mutamenti di matrice biologica che coinvolgono tutti, si tratta di cambiamenti corporei (crescita, pubertà e invecchiamento), comuni a tutte le persone; 2. I cambiamenti sociali normativi, mutamenti prescritti dalla cultura di riferimento dell’individuo, dalle norme legislative, dalla religione o dalle norme sociali, come ad esempio la frequenza scolastica, il servizio militare o la pensione; 3. I cambiamenti non normativi, quelli che non si verificano per tutti, ma sono diversi per ciascun individuo; Tutti questi mutamenti si presentano all’individuo sottoforma di sfide, che richiedono un nuovo adattamento e per far fronte a queste sfide, sono necessarie risorse. Possiamo considerare la gamma di risorse cui ciascun individuo può attingere come il suo sistema di risorse, è questo, un sistema aperto che consiste in una varietà di elementi interagenti tra loro: il numero e il tipo di risorse possono variare in qualsiasi momento e per tutta la durata della vita; nuove risorse possono essere aggiunte, altre scompaiono e alcune caratteristiche diventano risorse mentre altre, al contrario, perdono questa qualità. Ogni caratteristica individuale, può rivelarsi sia una risorsa, sia una caratteristica irrilevante svantaggio; dunque ognuna di queste potenziali risorse diventa una risorsa reale solo in interazione con il tipo di compito o di sfida che deve essere affrontato. Una sfida, quindi, può essere un’esperienza del tutto positiva o può contenere elementi negativi che portano comunque allo sviluppo. Un’altra importante variabile che influenza la bontà di adattamento tra risorse sfide può essere il numero di sfide diverse che l’individuo deve affrontare contemporaneamente e la bontà di adattamento tra le risorse personali potenziali e le sfide è diversa tra gli individui, ma anche all’interno di ciascun individuo. Affrontare una sfida può aumentare le risorse della persona e portare a un ulteriore sviluppo, tuttavia può anche prosciugare le risorse e quindi rendere più difficile affrontare le sfide future; quando le potenziali sfide sono estremi troppo difficili per essere affrontati con le risorse che si possiedono, la situazione o l’evento che l’individuo deve affrontare può essere definito rischioso e può portare all’esaurimento delle risorse disponibili. Se un individuo considera in adeguate le proprie risorse per risolvere una determinata sfida, andrà in ansia e cercherà di evitare di affrontarla. Se il sistema di risorse è relativamente ricco nei emergeranno uno stato di appagamento e un senso di sicurezza, questo senso di appagamento di per sé è un piacevole stato di benessere, ma dopo qualche tempo può portare sentimenti di noia e l’individuo sarà spinto a cercare una nuova sfida da affrontare e superare per aumentare il suo sistema di risorse. Le persone cercheranno di partire dei piccoli compiti quotidiani, alla ricerca di sensazioni nuove, fino a veri e propri cambi di vita; quindi, nel tentativo di trovare il giusto equilibrio tra sicurezza e noia da un lato e ansia e rischio dall’altro, si attiva un processo dinamico e cumulativo: maggiori sono le potenziali risorse su cui l’individuo può contare, più audace la nuova sfida. in questo modo l’individuo sarà incline a cercare nuove sfide e il loro eventuale superamento incrementerà ulteriormente il suo sistema. Ma così come è possibile che si verifichi una spirale crescenti di aumento di risorse dovuta al superamento di nuove sfide, allo stesso modo è possibile che si verifichi una spirale discendente: minori sono le risorse disponibili, maggiore sarà l’ansia dell’individuo di fronte a nuovi compiti il minore sarà la probabilità che egli possa autonomamente e volontariamente cercare nuove sfide. La stagnazione dello sviluppo è un periodo in cui non avvengono acquisite nuove risorse. Queste diverse condizioni di vita sono temporanee e possono essere modificate o invertite in qualsiasi momento, infatti nei sistemi dinamici aperti non esiste uno stato stabile o statico, ma esiste un’interazione in continuo mutamento tra gli elementi che li compongono. PRIMI CAMBIAMENTI E SVILUPPO (cap. 3) 1. Alle origini dell’ individualità: i tratti temperamentali ciascun bambino, fin dei primi giorni di vita, esibisce tratti temperamentali e caratteristiche peculiari che ne fanno fin da subito un individuo unico. La ricerca ha evidenziato che ciascun bambino possiede, fin dalle fasi più precoci del suo sviluppo, un bagaglio di caratteristiche che non dipendono solo dal suo essere bambino: l’età è una delle variabili in gioco, congiuntamente a un insieme di tratti temperamentali, a un patrimonio di risorse personali che saranno relativamente stabili nel corso della vita in situazioni diverse ma che possono trasformarsi nel tempo , mediante reciproche interazioni con l’ambiente del quale fa parte. Sul piano psicologico, le prime caratteristiche individuali che emergono sono i tratti temperamentali che costituiscono la base dell’individualità; tra questi rientrano caratteristiche quali il livello di attività, la regolarità, l’adattabilità, la qualità dell’umore, la capacità di controllo, che orientano in modo differenziato il comportamento di ciascuno ma che suscitano fin da subito reazioni diverse da parte dei genitori, dei caregiver, innescando una serie di reazioni a catena, in virtù delle quali i percorsi del cambiamento evolutivo risultano variamente differenziati. Gli studiosi definiscono i tratti temperamentali come un complesso di caratteristiche individuali, tendenze o disposizioni innate persistenti, che differenziano una persona dall’altra nello stile e nelle modalità di comportamento che ciascuno adopera nel rispondere a cose persone del proprio mondo. La persistenza dei tratti temperamentali si evince dalla loro stabilità e comporta inoltre la continuità nel tempo; uno stesso tratto continua nel tempo anche se, col progredire dell’età, può manifestarsi in modi differenti, per effetto dello sviluppo e dei cambiamenti. L’insieme dei tratti temperamentali può essere considerato il precursore biologico dell’individualità, ne rappresenta cioè le fondamenta biologiche. Gli studiosi ritengono che il temperamento sia costituito da un insieme di caratteristiche individuali innate, derivanti dall’eredità biologica, associati a processi neurofisiologici; tuttavia, la ricerca a cominciato a valutare il ruolo dell’interazione fra i fattori biologici originari i fattori esterni, quelli cioè che ciascun bambino elicita e via via riceve dagli altri, soprattutto per quel che concerne lo sviluppo immediatamente successivo alla nascita. Si è sottolineato che i genitori possono influenzare lo sviluppo dei tratti temperamentali, ma anche i bambini possono influenzare i genitori. Accanto alla relativa stabilità e continuità dei tratti temperamentali gli studiosi hanno sottolineato un’altra caratteristica consistente nella dipendenza dal contesto, in cui il bambino sembra in grado di acquisire col tempo modalità differenti di manifestare un medesimo tratto temperamentali: si è osservato che non si comporta allo stesso modo con qualsiasi interlocutore in qualsiasi circostanza della propria vita. Numerose sono ricerche volti a individuare e classificare i tratti temperamentali, uno dei primi tentativi e quello condotto da Chess e Thomas in uno studio longitudinale su 138 bambini, seguiti dalla nascita per nove anni, questi sono stati suddivisi in diverse categorie: quella definita dei “bambini facili“, bambini adattabili che mostrano umore positivo e sono capaci di accettare le frustrazioni; quella dei “bambini difficili“, bambini poco adattabili, che manifestano stati d’animo negativi; quella dei “bambini di lenta attivazione“, bambini inizialmente cauti ma capace di risposte positive dopo un certo periodo di adattamento. Chess e Thomas sottolineano come i bambini facili, difficili o di lenta attivazione non potranno che suscitare reazioni molto diverse nei loro genitori, nei caregiver e nel contesto sociale che li circonda, attivando così, quel complesso intreccio di interazioni bidirezionali che caratterizza i processi di sviluppo in generale e del temperamento in particolare. Buss e Plomin propongono un differente modello di classificazione dei tratti temperamentali, fondato sulle categorie di emotività, attività e socievolezza: l’emotività è intesa come la tendenza a provare paura o collera, l’attività come il ritmo più o meno sostenuto del comportamento, la socievolezza come la tendenza a ricercare gratificazioni dalle relazioni con gli altri. Buss e Plomin confermano l’incidenza della componente genetica sulle differenze individuate, che tende a mantenersi stabile nel corso dell’infanzia. Un ulteriore classificazione e quella proposta da Rothbart e Bates, che individuano tre principali dimensioni del temperamento: quelle inerenti alle risposte emotive, associati alla qualità generale dell’umore del bambino; quelle inerenti all’orientamento attentivo, riferito ai livelli di distribuibilità nello svolgimento di un compito; e quelle inerenti all’attività motoria, intesa sia come frequenza sia come intensità dell’attività infantile. Una caratteristica temperamentali che ha attirato l’attenzione degli studiosi e l’inibizione di fronte agli eventi o alle persone sconosciute, intesa come la tendenza ad accogliere o evitare la novità; questa si manifesta soprattutto attraverso quei comportamenti infantili come paura o timidezza o tendenza a rinchiudersi in se stesso. Kagan individua due distinti gruppi di bambini: gli “inibiti” che tendono ad essere timidi, cauti e controllati; e i “disinibiti” che sono estroversi, spontanei e aperti alle novità. Un’altra caratteristica individuale è quella rappresentata dal diverso grado di vulnerabilità alle avversità e allo stress, si tratta di differenti modalità di risposta di fronte esperienze di frustrazione, deprivazione, trascuratezza, stress e abbandono, fino a violenza e abuso. Alcuni bambini, sembrano fare fronte a tali eventi in maniera attiva e adattiva, mentre altri ne riportano gravi conseguenze. Recentemente Rothbart ha elaborato una nuova classificazione comprendente tre ampie dimensioni del temperamento: estroversione/disinibizione, affettività negativa, capacità di controllo. La prima include caratteristiche quali l’impulsività, il livello di attività, la ricerca di sensazioni; la seconda include caratteristiche quali irritabilità e paura; l’ultima include caratteristiche quali la focalizzazione dell’attenzione, la sensitività percettiva e il controllo inibitorio, quest’ultima rappresenta una novità rispetto ai modelli precedenti in quanto assume che gli individui differiscono anche per il modo in cui regolano e gestiscono le proprie risposte. L’autoregolazione, o controllo volontario, è considerata un tratto che, se presente sin dai primi anni di vita, può contribuire a sviluppare le funzioni esecutive. Col progredire dello sviluppo e l’ampliarsi delle esperienze, il “corredo“ originario di disposizioni innate o tratti temperamentali va incontro a trasformazioni. La struttura di personalità è , e diventa via via nel corso dello sviluppo, una organizzazione ben più complessa di un insieme di tratti temperamentali e sarà soggetta a innumerevoli e significativi cambiamenti indotti dall’esperienza e dall’interazioni del bambino con la sua realtà relazionale sociale. Quando il bambino comincia essere in grado di avvertire se stesso come separato e distinto dagli altri e a percepire le proprie peculiari caratteristiche, comincia sviluppare quello che gli studiosi hanno definito la rappresentazione di se, il senso del sé, acquisendo e costruendo una sempre maggiore consapevolezza di sé e delle proprie personali qualità distintive. 2. Lo sviluppo della persona a partire dalle interazioni precoci: la natura sociale del sè Schaffer affronta la questione della genesi dell’individualità, evidenziando come anche questa emerga che si sviluppi grazie a un’interazione attiva del soggetto con l’ambiente. Alla base della sua concezione c’è l’ipotesi che l’interazione con l’altro sia l’elemento costitutivo del processo di sviluppo del sé e rappresenti la matrice delle forme che questo assumerà nel corso del tempo. Nel sottolineare la natura intrinsecamente relazionale sociale del sè Schaffer lo definisce come una teoria sfaccettata che tutti noi costruiamo riguardo a chi siamo e a come ci inseriamo nella società, in cui la consapevolezza di sé si fonda su un senso di identità permanente. Fin dalla nascita e dei primi istanti di vita, attraverso le prime interazioni del bambino con la madre e con i suoi caregiver inizia a formarsi il sè, quale forma organizzata e del tutto soggettiva di sentirti al mondo e percepire il proprio rapporto con esso; in tal senso, lo sviluppo del sé si realizza sempre in un contesto di relazioni. Il ruolo dell’esperienza sociale nella formazione del sé individuale non rappresenta un’ipotesi solo recente, infatti, William James ebbe il merito di introdurre la nozione del sé nella ricerca psicologica proponendo la fondamentale distinzione tra io e me; Cooley ha elaborato la nozione di “se come specchio”, sottolineando il ruolo dell’esperienza sociale nella formazione del sé individuale; anche Winnicott condivide l’ipotesi di un’origine sociale del sé, egli pone l’accento sul processo di differenziazione del bambino dalla madre e sulla qualità delle relazioni con quest’ultima. La madre può favorire, o meno, lo sviluppo delle capacità del bambino di stare solo e può fornire, o meno, quell’ambiente di cui il bambino ha bisogno per strutturarti come persona distinta dalla madre. Un ulteriore elaborazione sviluppata dai teorici dell’attaccamento: il bambino che abbia avuto una madre responsive sensibile ai suoi bisogni avrà maggiori probabilità di sviluppare un’immagine positiva di sé e nutrirà più facilmente fiducia in se stesso. Tutti sottolineano che lo sviluppo del sé e procede di pari passo con l’inserimento del bambino nella propria comunità di appartenenza e rappresenta l’effetto di processi di co-costruzione da parte di un bambino attivo e competente con figure adulte. Nel corso dei primi due anni, lo sviluppo del sé e comprende l’acquisizione della capacità di autoriconoscersi, successivamente di essere consapevole di te e quindi di autovalutarsi; dai due anni in poi, il bambino costruisce un’immagine di sé che diviene sempre più differenziata, coerente, astratta, capace di fare comparazioni e di distinguere aspetti del sé privato da aspetti del sé pubblico. In ogni caso il sé, fin dalle sue fasi più precoci è considerato un fondamentale organizzatore dello sviluppo e rappresenta l’istanza che consente la mediazione tra il mondo interno e il mondo esterno. Nello sviluppo del sé è importante anche la sua natura multidimensionale, il sei individuale, infatti, è concepito come un sistema, costituito da fattori diversi ma interrelati (consapevolezza di sè, concetto di sè, stima di sè) e organizzato in una struttura gerarchica a più livelli. La consapevolezza di sé è la prima componente del sistema del sé a emergere e a manifestarsi, consiste nella comprensione da parte del bambino di essere un’entità distinta e separata, nella capacità di riconoscere la propria immagine e quindi, di assegnare a se stesso una serie di attributi peculiari; e nel corso dei primi due anni che il bambino realizza tali conquiste. Intorno ai due anni il bambino forma quello che Lewis definisce il sé categorico e Stern il senso del sé verbale. Dai due anni in poi, il bambino costruisce un’immagine del proprio sè sempre più somigliante a un concetto di sè in grado di rispondere alla domanda “chi sono io?“. Le modifiche che intervengono nel concetto di te sono associati allo sviluppo delle abilità di perspective taking , il bambino diventa più coerente, comprendendo la stabilità del sè, e più sociocentrico, in quanto riesce a fare riferimenti comparativi con le altre persone. Inoltre oltre alle caratteristiche fisiche, si iniziano a considerare anche quelle interiori, di natura psicologica, il bambino considera la natura interiore del sé e distingue il sé privato, percepito come il vero sè, dal sé pubblico; in cui l’idea di un sé privato continua la sua evoluzione fino all’età adolescenziale. La terza dimensione è costituita dalla stima di sè, che esprime un atteggiamento di approvazione o disapprovazione e indica il grado in cui una persona si ritiene capace, apprezzabile e meritevole. L’elaborazione di tali dimensioni si realizza nel contesto di interazioni sociali via via più complesse. Il bambino rendendosi conto che gli altri lo osservano e lo giudicano, internalizza i modelli tramite i quali gli altri producono giudizi e valutazioni, sviluppando così capacità di autocritica; ciò implica una vulnerabilità emotiva che può associarsi a stress e conflitti, e che mette in luce una relazione tra aspetti emotivi e cognitivi del sé. Harter considera la stima di sé come il valore che ciascuno attribuisce alla propria persona, ciò è influenzato dal supporto degli altri significativi, come accettazione, valutazione, guardo valorizzante che ciascuno percepisce da parte degli altri; inoltre considera anche le valutazioni, positive o negative, che ciascuno ha di sè, e che contribuisce alla tua stima complessiva. 3. Scoperta del mondo: esplorazione, apprendimento e socializzazione l’uomo nelle sue prime fasi di vita e immerso nella scoperta del mondo e per farlo fronteggia ostacoli fisici e personali; l’individuo ci appare immerso nella sfida della scoperta: curiosità, gioco, sviluppo motorio, apprendimento ma anche annusare, manipolare, rompere e creare diventano le parole d’ordine dell’infanzia. In questa fase tutto è nuovo e tutto va compreso, assimilato per la prima volta per poter poi essere riutilizzato in futuro , il bambino usa il suo corpo per arricchire e dare sostanza ai suoi processi cognitivi, vive una tensione verso qualcosa, una curiosità e una motivazione che lo conducono a valutare, forzare e travalicare le proprie capacità e i propri limiti. Lo sviluppo infantile procede attraverso una serie di sfide che implicano cambiamenti di maturazione e acquisizione progressiva di abilità psicomotorie, finalizzate all’apprendimento, il quale si configura come una sfida per lo sviluppo complessivo della persona e l’imparare a imparare rappresenta una risorsa che si acquisita fin dall’infanzia, può rappresentare una skill trasversale per tutti i campi della vita è lungo tutto il ciclo di vita. Nelle prime fasi dello sviluppo a prendere e giocare fanno parte di un unico continuum, se giocare è una dell’attività umane di base, la modalità di apprendimento basata sull’esperienza diretta che il gioco comporta costituisce un tassello fondamentale nella comprensione del mondo del bambino; il gioco è l’esplorazione danno come esito l’acquisizione di qualcosa di nuovo. Ciò che rafforza e sostiene l’apprendimento, è una sincronia tra esperienza diretta, “sorpresa produttiva” e attribuzione di significato all’esperienza stessa, solo quest’intersezione consente di modificare le strutture cognitive preesistenti e di accomodarle alle nuove informazioni. Quando un bambino scopre, attraverso il gioco, un elemento nuovo, differente dalla sua esperienza routinaria quotidiana egli vi conferisce attenzione, si concentra su di esso al fine di comprenderne il senso, la causa e gli effetti; nel fare ciò mette in discussione le conoscenze precedenti e attua continui confronti e modulazioni al fine di acquisire il nuovo concetto. La sorpresa produttiva (cioè una modificazione concreta inaspettata nelle diverse attività in cui si è coinvolti) ha un ruolo chiave in questo processo. La digitalizzazione e l’immersione massiva anche nel mercato ludico ed educativo delle nuove tecnologie hanno prodotto una serie di nuovi “stimoli-mezzo“ rappresentati da giochi digitali, che posseggono caratteristiche capaci di attirare l’attenzione di bambini e adolescenti; le nuove tecnologie catturano l’attenzione del bambino e ne producono un momento di sorpresa, che genera e aumenta la curiosità per la sorpresa successiva. La semplicità con cui i bambini utilizzano i si procurano applicazioni di gioco sul tablet è un comportamento che stupisce gli adulti e le generazioni che hanno dovuto acquisire le abilità richieste per utilizzare le nuove tecnologie; lo spostamento del panorama culturale verso una società multimediale, tecnologicamente avanzata, oltre ad aver prodotto uno spostamento nelle modalità di interazione con l’ambiente, sta modificando anche i processi dell’apprendimento nella prima fanciullezza. Le nuove tecnologie rappresentano pertanto uno dei primi contesti sociali con i quali l’individuo interagisce e al contempo uno strumento attraverso il quale gli adulti possono veicolare contenuti didattici. Il contesto digitale è sicuramente uno dei nuovi contesti nei quali il bambino cresce il preadolescente si sviluppa, un contesto che assume una doppia funzione: sia quella di veicolo di informazioni e di contenuti (a scuola l’uso di Digital device può essere utile per raggiungere anche i bambini assenti) sia quello di luogo alternativo di interazione con gli altri e di costruzione di relazioni. Il contesto scolastico (che rappresenta il primo contesto sociale significativo con il quale il bambino interagisce, dopo quello familiare) si propone oggi come un vero e proprio territorio di sfida, in esso, infatti, avvengono sia cambiamenti strettamente legati all’interazione con i coetanei e al confronto con le prime modalità relazionali diverse da quelle utilizzate con i genitori, sia cambiamenti legati alla stimolazione focalizzata dell’apprendimento. Oggi la tecnologia rappresenta un vero e proprio strumento di mediazione e il suo uso una competenza da acquisire; infatti lo smartphone, il tablet, il pc sono oggi il più potente potenziatore di rappresentazioni. SFIDE NELLA CRESCITA: CAMBIAMENTI BIOLOGICI E COMPORTAMENTALI 1. La pubertà generalmente l’inizio della pubertà coincide con l’inizio delle mestruazioni delle ragazze e con l’emergere dei peli pubici nei ragazzi, tuttavia entrambi i cambiamenti rappresentano solo un aspetto di un quadro complessivo più ampio, poiché la pubertà e a sua volta un processo complesso che coinvolge molte funzioni corporee associate alla maturazione sessuale. Oltre ai cambiamenti che riguardano il sistema riproduttivo, ne intervengono molti altri che riguardano il funzionamento del sistema cardiovascolare e muscolare; i cambiamenti puberali sono introdotti da segnali ormonali che riguardano le ovaie e i testicoli, che rilasciano una vasta gamma di ormoni diversi che stimolano altri cambiamenti nel corpo. Fattori sociali e caratteristiche nutrizionali possono influenzare i tempi della pubertà. La ricerca interdisciplinare a mostrato che i prodotti chimici presenti negli alimenti, i pesticidi, la plastica, i detergenti i prodotti per la cura personale possono avere un impatto sui tempi della pubertà; inoltre che i ragazzi, di entrambi sessi, aumentano di peso. Il passo successivo consiste nel cambiamento degli organi riproduttivi, che iniziano a maturare contemporaneamente alle caratteristiche sessuali secondarie; questo processo di solito è accompagnato dalla comparsa dei peli sul corpo, i cambiamenti ormonali possono causare anche acne e sudorazione maleodorante. Ragazzi e ragazze vivono la pubertà in modo leggermente diverso, Martin ha evidenziato che per i ragazzi essa è caratterizzata dall’impazienza di diventare uomini, acquisire forza, libertà e status; mentre per le ragazze ha un significato ambivalente, se non del tutto negativo, dato che i valori sociali attribuiscono ancora alle donne uno status differenziato e quindi identificarsi con ruoli femminili e adulti implica l’accettazione di tali valori. Inoltre le ragazze subiscono una restrizione della loro libertà, perché il corpo femminile in via di sviluppo deve essere ora protetto da pericoli (molestie, stupri, gravidanze indesiderate). Tuttora molte ragazze all’inizio della pubertà cominciano a sviluppare una serie di sintomi depressivi e l’entità della depressione diventa significativamente più elevata e rimane stabile per il resto della vita; una delle ragioni potrebbe risiedere nel confronto che le ragazze fanno tra il proprio corpo è un modello di corpo ideale. La soddisfazione per la propria immagine corporea è fortemente correlata ai sintomi depressivi e, nella maggior parte dei casi, gli adolescenti si percepiscono come troppo grassi, anche quando hanno un peso normale; la soddisfazione per la propria immagine corporea e l’idealizzazione culturale della magrezza sono solo alcuni dei molti fattori coinvolti nello sviluppo di disturbi Alimentari che iniziano spesso durante l’adolescenza. Le differenze di genere nel caso della depressione sono particolarmente accentuati per quegli adolescenti che entrano nella pubertà più precocemente o più tardi rispetto ai loro coetanei, per le ragazze, la pubertà precoce è associata a tassi di depressione più elevati, mentre per i ragazzi è un inizio tardivo della pubertà Che predice la depressione; la pubertà precoce per le ragazze comporta inoltre una più elevata probabilità di rischio psicosociale. inconscio di dare continuità alle proprie caratteristiche individuali mantenendo, una stretta relazione con gli ideali del proprio gruppo sociale di riferimento. Individua alcuni elementi che costituiscono l’identità personale: le caratteristiche biologiche, i bisogni psicologici, gli interessi, le difese peculiari e l’ambiente culturale in cui ciascuno emerso. In generale, gli adolescenti sperimentano una crisi mentre stanno affrontando il dilemma di chi sono, di chi diventeranno e di chi non desiderano essere. Erikson è stato piuttosto vago nella sua definizione dell’identità e oggi abbiamo numerose differenti interpretazioni, diversi approcci di ricerca, ma la più influente interpretazione dell’identità nell’età adolescenziale è rappresentata dalla teoria degli Stati di identità di Marcia, secondo la quale lo sviluppo dell’identità si articola in quattro stadi: 1. Diffusione dell’identità: il giovane non ha ancora iniziato a esplorare le domande relative alla propria identità e non ha ancora effettuato alcuna valutazione personale sui se possibili ne assunto alcun impegno; 2. La preclusione, nella quale l’adolescente assume degli impegni rispetto a determinati valori senza aver esplorato possibili differenti alternative, spesso tali scelte tali impegni sono il risultato dell’influenza dei genitori o dei coetanei piuttosto che il frutto di una decisione consapevole e personale; 3. Moratoria, un rinvio del processo decisionale, è questo il vero periodo di crisi, durante il quale vengono esplorate diverse opzioni, prima di assumere un impegno ben definito; 4. Quando il giovane assume degli impegni, sceglie determinati valori e decide chi desidera essere, perviene allo stato più maturo definito raggiungimento dell’identità; secondo Marcia ciò si verifica tra i 18 e i 22 anni; Dunque l’identità si forma attraverso la crisi (un momento in cui l’individuo rivaluta i propri valori e le proprie scelte) e l’assunzione di impegni. 3. Identità generale o identità dominio-specifica? Solomontos-Kountouri e Hurry hanno condotto una ricerca su un campione di giovani greco-ciprioti secondo cui i giovani non raggiungono lo stesso status identitario in tutti i domini dell’identità (globale, politica, religiosa e professionale); inoltre la loro ricerca ha evidenziato il ruolo giocato dal contesto. In un contesto come quello italiano, in cui la definizione della propria identità professionale è strettamente collegata alle scarse opportunità lavorative e la forte precarizzazione del mondo del lavoro, l’acquisizione dell’identità globale non va in sincrono con la risoluzione della crisi nel dominio professionale: è possibile cioè, che alcuni giovani possono avere una chiara idea di chi sono e di chi vogliono essere come persone, rimanendo incerti sul proprio destino lavorativo e professionale. 3.1 La teoria (di Marcia) è valida a livello cross-culturale? Marcia ha inizialmente proposto la sua teoria come valida a livello globale, presto si è reso conto egli stesso che così non era e studiando la formazione dell’identità nei paesi non occidentali, ho osservato che nelle culture che non incoraggiano l’individualismo, ma enfatizzano la coesione di gruppo e il collettivismo, la formazione dell’identità segue un percorso diverso. Marcia ha dovuto dunque riconoscere che la sua teoria dello sviluppo dell’identità non può applicarsi a tutte le culture. 3.2 Le fasi descritte da Marcia si susseguono sempre nella stessa sequenza ? La ricerca a mostrato come i giovani non attraversano le quattro fasi postulati seguendo sempre la stessa sequenza, i ricercatori, oggi, sono d’accordo nel ritenere che i quattro Stati non possano essere ordinati in base a un continuum evolutivo una rassegna delle ricerche sul processo di formazione dell’identità mostra che possono individuarsi traiettorie diverse nello sviluppo dell’identità e che non sempre il punto finale è costituito dal raggiungimento. Lo sviluppo dell’identità è influenzato dal contesto e per questo può cambiare anche nel corso di brevi intervalli di tempo. La ricerca contemporanea tende a studiare la formazione dell’identità come un processo in divenire, focalizzandone in particolare la natura transitoria e contestuale, piuttosto che il raggiungimento degli obiettivi finali. Infine, studi longitudinali di Fadjukoff, Pulkkinen e Kokko hanno evidenziato che i cambiamenti di identità sono associati alle condizioni economiche: l’identità viene raggiunta con più facilità nei periodi di prosperità e preclusa nei periodi di difficoltà economica. 3.3 Identità di genere Oggi si ritiene che l’identità di genere sia raggiunta principalmente attraverso l’identificazione con i ruoli di genere e che le norme sociali hanno una forte influenza sulla formazione dell’identità. In Italia, è stato sottolineato il ruolo centrale del Coming out nello sviluppo dell’identità: una famiglia sana ed equilibrata e un buon attaccamento al momento del Coming out favoriscono la percezione di reazioni genitoriali più positive. Anche all’interno dell’area dell’orientamento sessuale si può osservare una grande complessità di percorsi: alcuni individui affermano di non ricordare di aver mai avuto un orientamento sessuale diverso da quello attuale, mentre altri non sono altrettanto sicuri e cambiano le loro preferenze sessuali nel corso della vita, anche più di una volta. Osservando un campione di donne non eterosessuali nel corso di 10 anni Diamond ha riscontrato un alto grado di variabilità e discontinuità: alcuni hanno avuto relazioni a breve o a lungo termine con maschi, alcune hanno cambiato la definizione assegnata inizialmente alla propria sessualità almeno una volta, alcuni hanno indicato che loro desiderio non era diretto verso una persona di un certo sesso, ma verso una persona specifica, che solo per caso aveva un certo sesso; mentre le preferenze sessuali maschili, una volta stabilite, sembrano essere più persistenti. Come altri processi di sviluppo, anche l’emergere della preferenza sessuale e dell’identità di genere non è un processo lineare e non è un risultato definito, ma piuttosto è un fenomeno multifattoriale, caratterizzato da molteplici fattori causali, percorsi di sviluppo e manifestazioni. 3.4 La ricerca dell’identità come processo dinamico Lo sviluppo di una teoria è un processo continuo: un’ipotesi teorica viene formulata e poi viene testata mediante studi empirici, questi possono sia da riforma la teoria sia portare a una sua riformulazione. Date le critiche i risultati emersi da numerosi studi, Marcia ha modificato la sua teoria per adattarla ai rilievi critici. Lo stato di identità non è più concettualizzata come un traguardo finale, ma come un susseguirsi di sequenze che possono trovare un nuovo equilibrio in qualsiasi momento e come un processo che dura tutta la vita. Ogni qualvolta un impegno non è più adattivo rispetto al contesto, l’individuo è indotto a cambiarlo e questo può essere fatto cambiando la percezione dell’ambiente o ripensando la propria identità. Situazioni che potrebbero provocare una crisi d’identità si verificano, ad esempio, quando le proprie convinzioni ideologiche sono messi in discussione da cambiamenti del sistema politico, oppure quando la propria identità sociale è minacciata da eventi quali il divorzio o lutto in famiglia. 4. Storm e stress? Nel 1904 Stanley Hall ha interpretato l’adolescenza come un periodo di tumultuo e di sviluppo biologicamente determinato, caratterizzato da un evitabile tempesta emotiva, per Stanley Hall l’adolescente attraversa necessariamente una fase di intenso stress, di ribellione e di forti sbalzi d’umore come conseguenza di una lotta interna tra l’egocentrismo infantile e il modello adulto. Rutter e colleghi iniziato a mettere in discussione la validità e Bandura ha affermato che la lotta dei giovani per l’autonomia rappresenta un problema più per i genitori che per gli adolescenti, entrambi hanno concluso che il concetto di tumulto adolescenziale sia una leggenda più che una realtà. Nonostante ciò, la concezione dell’adolescenza come caratteristica da Storm e stress si ripropone ancora regolarmente nelle discussioni accademiche oltre che sui media e le 3 principali aree nelle quali si ritiene si verifichino le difficoltà illustrate sono: problemi psicologici, conflitto con i genitori e comportamenti a rischio. 4.1 Problemi psicologici, depressione e sbalzi d’umore Csikszentmihalyi e Larson tramite un approccio di ricerca chiamato “metodo di campionamento dell’esperienza” hanno seguito gli adolescenti nella loro vita quotidiana, a questi è stato consegnato un “cicalino”, programmato per immettere un segnale in orari casuali durante il giorno; sebbene i risultati abbiano mostrato nella vita quotidiana alcuni sbalzi d’umore, non evidenziano segni di un più generale disagio. Nel tentativo di spiegare agli sbalzi d’umore, Larson e Ham hanno condotto uno studio con adolescenti di età compresa tra i 10 e i 15 anni, in cui hanno chiesto loro di riportare eventi negativi e positivi nella loro vita, misurando il loro umore quotidiano: è emerso che i più grandi percepiscono gli eventi personali più negativamente dei più giovani; cioè i stati d’animo negativi e stress potrebbero essere visti come il risultato di un crescente senso di responsabilità e di una crescente sensibilità nella valutazione degli eventi della propria vita. Per quanto riguarda i principali disturbi, vi sono alcune indicazioni che le percentuali di problemi di salute mentale aumentano con il raggiungimento dell’adolescenza e che queste percentuali non diminuiscono dopo l’adolescenza, ma tendono ad aumentare fino alla metà dei 40 anni. 4.2 Conflitto con i genitori Il disaccordo riguarda perlopiù questioni ordinarie della vita quotidiana e la frequenza diminuisce a partire dalla prima adolescenza; i genitori, percepiscono l’adolescenza come il periodo più difficile nell’educazione dei figli e una spiegazione potrebbe essere che i genitori percepiscono maggiore stress perché hanno minori probabilità di successo, in quanto gli adolescenti diventano maturi e più abili nel discutere. Per quanto riguarda gli adolescenti, i conflitti con i genitori possono essere il punto di partenza per sviluppare un senso di autonomia; se adolescenti e genitori sono flessibili e riescono a gestire una serie di emozioni (ad esempio, riescono a non reagire sempre con rabbia), i conflitti possono essere ad attivi ai fini dello sviluppo relazionale. 5. L’ assunzione del rischio L’assunzione del rischio è un concetto relativamente vago, la ricerca mette in luce come molti diversi comportamenti possono essere inclusi tra i comportamenti a rischio, degli sport estremi e pericolosi agli stili di vita malsani (abuso di sostanze, alimentazione scorretta), fino ad arrivare alle attività criminali, antisociali e ai comportamenti inattesi, irresponsabili e spontanei. I comportamenti a rischio possono avere obiettivi diversi e, per ciascun individuo, effetti positivi o negativi ai fini dello sviluppo. Nel tentativo di differenziare le differenti tipologie di assunzione del rischio, Kloep e Hendry hanno suggerito le seguenti categorie teoriche: 1. Le attività che potrebbero essere definite come ricerca del brivido: comportamenti eccitanti volti alla ricerca di sensazioni che sfidano e mettono alla prova i limiti delle proprie capacità e abilità; 2. L’assunzione del rischio finalizzata ottenere il consenso degli altri: per essere accettati nel gruppo dei coetanei gli individui devono dimostrare determinate qualità e in alcune circostanze ciò potrebbe comportare l’assunzione di determinati rischi, perché il tirarsi indietro potrebbe portare una perdita di status; 3. Comportamenti irresponsabili: questi vengono eseguiti per raggiungere obiettivi desiderati e dimostrano l’incapacità degli individui di valutare le conseguenze a lungo termine o, sì questi sono evidenti, l’indisponibilità a rinviare, spinti dai vantaggi percepiti a breve termine; A seguito di uno studio sull’assunzione del rischio tra adolescenti turchi, Kloep e colleghi hanno aggiunto una quarta categoria: quella del rischio assunto per perseguire un obiettivo futuro, come fare domanda per un lavoro di alto livello, trasferirsi in un paese diverso dal proprio per avere migliori opportunità o uscire con un partner contro la volontà dei genitori. Sica hai esaminato anche le funzioni dei comportamenti arrischio per adolescenti italiani e ha evidenziato come questi assumono per molti adolescenti anche una funzione legata all’esplorazione dell’identità e alla comprensione di sè. 5.1 Uso di sostanze L’uso di sostanze in adolescenza è importante, poiché stili di vita errati in età giovane possono compromettere seriamente la salute. Engels e Eijnden hanno fornito una rassegna completa delle ricerche sull’assunzione di alcol ed elencato i seguenti fattori facilitanti: 1. L’alcol facilita l’interazione sociale: i giovani ci danno spesso questa come importante motivazione per bere, in particolare per quanto riguarda le relazioni sentimentali; numerosi studi hanno dimostrato che i giovani che non bevo mai, o che iniziano a bere più tardi degli altri, hanno una bassa autostima, più livelli di depressione e un minor numero di amici; 2. Bere e fumare sono comportamenti tipici degli adulti ammirati: vivere in una cultura in cui alcol e sigarette sono associati all’essere cool e sono fortemente veicolati dai media, diventa importante status symbol; 3. Bere, soprattutto in compagnia di coetanei, è utile per alleviare lo stress: le richieste della società moderna, con la sua instabilità e incertezza, potrebbero contribuire all’uso di droghe per alleviare lo stress; La comparsa, in fase adolescenziale, della tendenza a fumare, bere e a usare droghe, può rappresentare in una certa misura un’accettazione dei valori e delle norme degli adulti; per alcuni giovani la sperimentazione dell’uso di sostanze può configurare un aspetto della crescita e dell’ingresso nella società adulta, in cui le droghe sono viste come normative, è uno dei compiti dell’adolescenza e imparare a usarle in modo appropriato. Inoltre quando si esaminano le principali ragioni che spingono gli adolescenti all’uso di sostanze, queste non sembrano essere diverse dalle ragioni che fornirebbero anche gli adulti. 5.2 Devianza Esiste un ampio consenso tra i ricercatori sul fatto che la criminalità i comportamenti antisociali siano adottati principalmente durante l’adolescenza anche se basarsi sull’aumento di comportamenti criminali in funzione dell’età per sopportare tale concezione è davvero sbagliato. La maggior parte di queste statistiche si basano sul numero delle persone denunciati vari Stati o anche sul numero di arresti ma le statistiche di solito non discriminano tra i tipi di reato: i crimini che le statistiche ti portano più frequentemente sono i reati di danneggiamento quali furto, violenza, violazioni dell’ordine pubblico e incidenti automobilistici; quindi, i reati minori degli adolescenti sono spesso equiparati ai reati gravi commessi dagli adulti, alcuni sono tali solo perché commessi da soggetti di una certa fascia di età (come il consumo di alcol e da parte di minorenni). Il quadro risulta ulteriormente distorto per il fatto che altamente improbabile di reati di grande rilievo vengano commessi da adolescenti quali evasione fiscale sul larga scala, riciclaggio di denaro, criminalità aziendale; se guardiamo la questione da questa prospettiva, la maggior parte degli studi mostra che i giovani in una percentuale che va dal 70 al 80%, non adottano comportamenti criminali. Perciò, solo il 20-25% circa dei giovani potrebbe corrispondere alla descrizione di adolescenti “selvaggi e spericolati”. Molti intraprendono questi comportamenti nella loro prima adolescenza, diventando poi, da adulti, cittadini rispettosi della legge; altro discorso è quello relativo alla stabilizzazione di comportamenti devianti e criminosi a partire dall’adolescenza in contesti che inglobano i giovani in strutture di criminalità organizzata. In questi casi immaginare un futuro diverso per te diventa difficile per i giovani. È importante dunque sottolineare che Storm e stress non sono caratteristiche tipiche dell’adolescenza in generale, ma solo di un piccolo gruppo di giovani. 5.3 Risk-taking esplorativo e ricerca di sensazioni forti È stato sostenuto che un incremento del comportamento esplorativo e di assunzione del rischio assolve importanti funzioni nello sviluppo, in particolare, consente ai giovani di conoscere il proprio ambiente e di diventare indipendenti dalla protezione dei genitori; ma tali attività sono ugualmente funzionali anche per la mezza età e per gli anziani, anzi, per tutte le età. Males sostiene che non è giusto confrontare i giovani conducenti in esperti, che spesso guidano vecchia auto in affidabili su strade dissestate, con conducenti maturi, esperti, che guidano auto di migliore qualità su buoni strade e poi accusano i giovani di guida spericolata. La ricerca sui comportamenti arrischio in età giovane spesso non offre elementi di confronto tra giovani e adulti, sebbene uno studio comparativo che ha esaminato l’assunzione di rischi sessuali online, quali la concessione del proprio indirizzo o numero di telefono o l’invio di foto sessualmente espliciti a destinatari sconosciuti, abbia mostrato che gli adulti assumono tali comportamenti nella stessa misura degli adolescenti. Esistono poche evidenze empiriche a dimostrazione del fatto che l’assunzione del rischio aumenti durante l’adolescenza: i bambini hanno una curiosità naturale che li pone in situazioni potenzialmente pericolose quando esplorano l’ambiente circostante. Appare evidente, come l’assunzione del rischio sia un fenomeno che riguarda tutte le età. Ciò che distingue la ricerca di sensazioni forti e l’assunzione del rischio da parte degli adolescenti o dei bambini più piccoli e che gli adolescenti hanno maggiori risorse materiali, sono meno sorvegliati e quindi i rischi che corrono a volte sono pericolosi oltre che per se stessi anche per gli altri ; nel confronto con gli adulti, gli adolescenti spesso scelgono diversi tipi di rischio e, inoltre, hanno un’esperienza limitata delle proprie capacità e del rischio che effettivamente corrono. 5.4 Sesso non protetto I giovani sotto i 25 anni sono la fascia di età con il più alto tasso di infezioni a trasmissione sessuale oltre all’HIV, tuttavia se guardiamo più da vicino alle statistiche, scopriamo che, paradossalmente, gli adolescenti usano il preservativo da prima e molto più degli adulti. Sotto i 25 anni, i giovani fanno sesso con partner occasionali e mutevoli più frequentemente rispetto agli anziani, e isolare le donne, hanno spesso relazioni di lunga data con un partner e quindi corrono meno rischi di essere esposti a infezione. Un altro motivo che sta alla base della maggiore vulnerabilità alle malattie sessualmente trasmissibili, in particolare tra le giovani donne, ti siede in spiegazioni di tipo medico. Una delle conseguenze dell’attività sessuale dei giovani e rischio di gravidanza infatti circa la metà di queste gravidanze termina con un aborto, suggerendo che la gravidanza non era stata pianificata; secondo l’Eurostat, i tassi di aborto sono più alti nella fascia di età 20-24, ma rimangono alti anche nella fascia di età 25-29 anni. Sembrano esserci due gruppi di giovani donne che rimangono incinte: quelle per le quali la gravidanza è stata un incidente e quelle che l’hanno programmata o almeno non hanno fatto nulla per evitarla; nei paesi industrializzati occidentali, le gravidanze adolescenziali sono considerate un problema ed inoltre e soprattutto la giovane madre, piuttosto che il padre, a dover affrontare il peso della monogenitorialità, con tutte le implicazioni economiche sociali che ne conseguono. Caterina e Coleman intervistando giovani genitori, hanno scoperto che questi ritenevano di aver fatto una scelta razionale: la maggior parte di loro vedeva la gravidanza come un modo per sfuggire alle proprie famiglie di origine disfunzionali o a esperienze scolastiche negative e come un’opportunità per costruire una nuova identità positiva. Sia i giovani padri che le giovani madri miravano a creare una famiglia amorevole in contrasto con la famiglia di origine; inoltre, le giovani madri preferivano la maternità a lavori poco retribuiti e di basso livello e ovviamente in questi casi la gravidanza è un evento ben pianificato. Phoenix ha sottolineato che una gravidanza precoce non ha necessariamente un impatto negativo sulla sviluppo futuro della giovane madre, alcune ricerche indicano che la gravidanza adolescenziale non è la causa diretta dell’abbandono scolastico o di altre conseguenze problematiche. Ferguson e Woodward hanno mostrato che, in molti casi, le ragazze vivevano già in circostanze economicamente svantaggiate e, spesso, avevano abbandonato la scuola ben prima di rimanere incinta. Phoenix mette in luce come le prospettive future della maggior parte delle madri adolescenti erano scoraggianti e cupe ancor prima della nascita del loro bambino, e la gravidanza risultava una conseguenza piuttosto che la causa dei loro problemi. Per riassumere: i giovani sotto i 25 anni usano metodi contraccettivi più spesso di qualsiasi altra fascia di età, tuttavia, sono il gruppo di età più suscettibile alle malattie sessualmente trasmissibili, in parte per motivi biologici e in parte perché non vivono ancora in una partnership stabile. Nel 4% dei casi le ragazze rimangono incinte e alcune di queste per libera scelta; dunque sebbene la gravidanza adolescenziale come fenomeno in sé possa offrire problemi alla società adulta, non è un problema per la stragrande maggior parte degli adolescenti, né una prova di comportamenti arrischio insensati. 6. Sviluppo del cervello Nel cervello si formano percorsi neurologici tra le cellule cerebrali ogni volta che un individuo impara qualcosa di nuovo; comportamenti ed esperienze ripetuti rafforzano tali percorsi, mentre quelli non utilizzati tendono a scomparire. Le aree nelle quali si sono stabilite poche connessioni sono chiamate “materia grigia”, mentre quelle in cui percorsi si sono rafforzati sono chiamati “materia bianca”. Con l’aumentare dell’età, la aumenta e quella di materia grigia diminuisce, come riscontrabile attraverso una specifica tecnica di indagine, la risonanza magnetica. Alcuni ricercatori affermano che il cervello dell’adolescente è ancora immaturo, perché l’aumento della sostanza bianca in un’aria della parte anteriore del cervello chiamata corteccia prefrontale, inizia non prima della tarda adolescenza. Tuttavia, la maggior parte dei ricercatori concorda sul fatto che sia ancora prematuro trarre tali conclusioni, poiché il lavoro in questo settore è ancora agli inizi e le implicazioni di queste osservazioni vanno intesi a livello ipotetico. Sercombe sottolinea la relazione tra esperienza e strutture fisiche del cervello: comprendere lo sviluppo del cervello adolescenziale non può essere garantito senza comprendere l’ambiente in cui il cervello si sta sviluppando. Gli stessi neuroscienziati riconoscono che qualsiasi conclusione presentata riguardo alla connessione tra strutture cerebrali e comportamento sarebbe provvisoria e prematura poiché la ricerca stessa sul cervello è ancora gli inizi; nonostante la mancanza di prove, i media sono stati ansiosi di accettare i risultati preliminari e di esagerarli, Arrivando a descrivere gli adolescenti come irragionevoli, instabili e con danni cerebrali. Questo è un problema serio perché può condurre a stereotipi negativi riguardo i giovani e creare rafforzare una profezia che si autoavvera : se gli adulti si aspettano che i giovani si comportino in modo infantile e responsabile e, di conseguenza, limitano la loro libertà di agire e le opportunità dimostrare le proprie capacità, ciò potrebbe creare le condizioni che incoraggeranno i giovani a comportarsi in modo irresponsabile. Molti autori hanno sottolineato che la ricerca sull’adolescenza, condotta da ricercatori adulti, e poco equilibrata poiché si concentra principalmente sui comportamenti problematici e interpreta i risultati in modo negativo. TRANSIZIONI SOCIALI (cap. 5) Per la maggior parte degli adolescenti le relazioni più strette sono quelle con i membri della propria famiglia, mentre i coetanei possono rappresentare la principale fonte di supporto nelle questioni della vita quotidiana, il sostegno fornito dei genitori è cruciale nelle situazioni di emergenza e nella pianificazione del futuro. Numerosi studi longitudinali hanno mostrato che ricevere il sostegno dei fratelli migliora le relazioni con i coetanei e le abilità sociali e risulta protettivo rispetto a solitudine, depressione e comportamenti problematici; al contrario, il conflitto confratelli aumenta i comportamenti problematici, soprattutto per i più piccoli. Spesso i figli percepiscono che i genitori li trattano in modo diverso dai loro fratelli e questo può avere un impatto sul loro adattamento psicosociale, nel senso che possono sviluppare problemi psicologici e comportamentali, soprattutto se si confrontano con un fratello dello stesso sesso con il quale hanno una cattiva relazione. inoltre i fratelli più piccoli e sono quelli più vulnerabili alla percezione di un trattamento parentale differenziato. Stattin e Kerr hanno messo in luce che non è tanto la conoscenza in sé del comportamento degli adolescenti, ma il modo in cui questa conoscenza è acquisita a fare la differenza: se i genitori monitorano erano troppo da vicino il comportamento dei figli spiandoli e interrogandoli, è più probabile che gli adolescenti non parlino di te o addirittura dicano vere proprie bugie. Inoltre, se i giovani percepiscono i tentativi di monitoraggio dei genitori come una violazione della loro privacy, è probabile che si ribellino con il rischio di aumentare i conflitti. tuttavia, nelle famiglie in cui le relazioni genitori-adolescenti sono solide e i giovani parlano spontaneamente delle loro attività ricreative accade che i giovani siano anche più disposti a seguire i consigli dei genitori ed evitare di impegnarsi in attività trasgressive. Il modo in cui i genitori interagiscono con i propri figli ha un forte impatto sul comportamento, sul benessere e sul successo in età avanzata, Baumrind ha individuato tre principali stili genitoriali: autoritario, autorevole e permissivo. La genitorialità autoritaria è caratterizzata da un alto livello di controllo di scarso calore nella relazione; la genitorialità permissiva si caratterizza per molto calore, ma è assente il controllo; la genitorialità autorevole bilancia i due elementi fornendo al contempo calore e controllo. Maccoby e Martin hanno aggiunto un quarto stile, quello della genitorialità negligente, quella priva sia di calore sia di controllo. Tuttavia, bisogna considerare che il significato e le conseguenze degli stili genitoriali sono fortemente influenzati dalla cultura; inoltre la maggior parte di questi studi ha considerato l’impatto degli stili genitoriali sui comportamenti dei figli ipotizzando sempre una relazione unidirezionale, ovvero ha esaminato soltanto il modo in cui lo stile genitoriale influenza i figli ma la relazione genitore-figlio, come ogni sistema aperto, e bidirezionale e come tale dovrebbe essere considerata. Phillip, Hendry e Spencer hanno evidenziato le relazioni emotive dei mentori adulti con gli adolescenti e i modi in cui tali relazioni forniscono contesti “sicuri” di sostegno nell’aiutare i giovani a risolvere i problemi, sviluppare strategie sociali e gestire loro sentimenti nel modo più efficace. Ci sono mento eri di ogni tipo e di ogni ruolo, quelli che svolgono un ruolo professionale (insegnanti, animatori giovanili, allenatori sportivi), ai genitori degli amici e ai vicini, agli amici più anziani e anche una figura carismatica occasionale, come un criminale riabilitato. 1. Amici e coetanei le amicizie intime sono la norma durante l’adolescenza, si sviluppano per scelta, per reciproca preferenza di caratteristiche e attività condivise; i giovani considerano le relazioni di amicizia tanto importanti quanto quelle familiari. La maggior parte dei ragazzi e delle ragazze intrattiene amicizie strette con persone dello stesso sesso, per l’adolescente il gruppo dei coetanei inizia a sostituire la famiglia come contesto sociale il riferimento valoriale. Nell’ambito delle amicizie intime e del gruppo dei coetanei, i giovani possono apprendere abilità sociali diverse da quelle che esercitano nel contesto familiare, le abilità sociali apprese in un contesto aiutano i giovani e diventare più efficaci in altri contesti e le buone relazioni con i membri della famiglia sono associate a buone relazioni tra coetanei; infatti gli adolescenti che sono apprezzati dai coetanei, continuano ad avere una vasta rete di amicizie quando diventano adulti. Alcuni giovani hanno difficoltà a stabilire amicizie extrascolastiche perché mancano di fiducia, che rappresenta un’abilità sociali necessaria, o di empatia; alcuni si sentono a disagio nell’inserirti in gruppi già consolidati. Dal momento che i giovani possono unirsi a molti gruppi per alcuni risulta difficile adattarsi alle differenti norme dei diversi gruppi; alcuni adolescenti hanno difficoltà a stabilire e a mantenere una propria autonomia all’interno del gruppo dei coetanei, in quanto più sensibili all’influenza dei membri del gruppo , e finiscono col prendere parte ad attività che magari non avrebbero liberamente scelto, pur di fare una bella figura con gli amici. A lungo andare, tale mancanza di autonomia porta al declino della popolarità nel gruppo e perfino alla solitudine e a sentimenti di depressione; altri invece assumono posizioni di leadership, e tendono a promuovere nuove idee e attività. È importante sottolineare che all’interno di un gruppo ciascun individuo influenza ed è influenzato dagli altri. Non sorprende che essere popolari sia qualcosa di molto apprezzato durante l’adolescenza anche se esistono due forme di popolarità, una legata allo status e l’altra all’essere benvoluti. Essere fisicamente attraenti è un elemento importante per la popolarità, si presume che i compagni di bell’aspetto abbiano personalità piacevoli, corrispondenti allora aspetto fisico. Il fatto che la percezione positiva di una certa caratteristica di un individuo possa influenzare positivamente il modo di percepire anche altre caratteristiche è definito effetto alone. I cambiamenti biologici e psico-sociali nell’adolescenza influenzano la natura delle relazioni interpersonali; i progressi raggiunti nelle capacità cognitive e verbali, in associazione con la crescita fisica ed emotiva, cambiano il modo in cui gli adolescenti vedono i loro coetanei e interagiscono con loro. Il miglioramento delle capacità empatiche e di comprensione del punto di vista dell’altro possono facilitare la comprensione del funzionamento delle relazioni interpersonali. I gruppi di amici offrono l’opportunità di espandere la conoscenza, sperimentare nuove identità e provare stili di comportamento in un contesto lontano dagli occhi attenti degli adulti. Le amicizie danno potere all’individuo e forniscono opportunità per mettere alla prova abilità sociali quali la cooperazione, la condivisione e la gestione dei conflitti; amici e coetanei diventano sempre più importanti durante l’adolescenza, spesso a scapito del coinvolgimento della famiglia anche se sarebbe sbagliato presumere che tutti i giovani siano ugualmente sensibili all’influenza dei coetanei. Pertanto, quando un adolescente non deviante incontra un coetaneo deviante, l’influenza che esercitano l’una sull’altro può indurre entrambi sia a comportamenti più o meno devianti sia a non modificare affatto il proprio comportamento. Usare la pressione dei coetanei come spiegazione dei comportamenti degli adolescenti significa sottovalutare l’agentività personale dei giovani e la capacità di ciascuno di scegliere compagni con cui vuole socializzare. I giovani sono in grado di stare lontani da situazioni che possono indurre a comportamenti problematici; allo stesso modo, i giovani che appartengono e partecipano a un gruppo antisociale, hanno scelto quel particolare gruppo a causa di interessi e comportamenti condivisi. Per gli adolescenti devianti, con scarse opportunit