Appunti Psicologia Dinamica PDF

Summary

Gli appunti di psicologia dinamica forniscono una panoramica delle teorie e delle prassi terapeutiche derivanti dalla psicanalisi e da orientamenti psicanalitici post-freudiani. Il testo confronta queste teorie con le conoscenze della ricerca psicologica, neuroscientifica e bio-medica moderna. Viene evidenziato il ruolo dell'inconscio e dei conflitti psichici nel funzionamento mentale e comportamento. Presenta le principali teorie freudiane come la rimozione, il conflitto tra pulsioni fino allo sviluppo psicosessuale, oltre al modello strutturale e il transfert.

Full Transcript

APPUNTI PSICOLOGIA DINAMICA Capitolo introduttivo La psicologia dinamica può essere definita come quella branca della psicologia che si occupa di rielaborare le teorie e prassi terapeutiche derivanti dalla psicanalisi e dai vari orientamenti psicanalitici post-freudiani ponendole a c...

APPUNTI PSICOLOGIA DINAMICA Capitolo introduttivo La psicologia dinamica può essere definita come quella branca della psicologia che si occupa di rielaborare le teorie e prassi terapeutiche derivanti dalla psicanalisi e dai vari orientamenti psicanalitici post-freudiani ponendole a confronto con i saperi prodotti dalla ricerca psicologica, neuroscientifica e bio-medica corrente. Detto altrimenti, la psicologia dinamica si propone di aggiornare e testare sperimentalmente, in uno sforzo di selezione e di sistematicità, i principali e più validi aspetti delle teorie della mente proposte da Freud e da tutti gli autori che si rifanno, anche indirettamente e magari con riserve critiche, all’ambito psicoanalitico. Sia Freud, sia una serie di altri autori, da Janet in poi, che oggi vengono considerati in senso lato “di ambito psicodinamico” (piuttosto che soltanto, in via più ristretta, “di ambito psicoanalitico”) sono accomunati dal fatto di essersi spesso occupati degli aspetti inconsci, intrinsecamente dialettici, e conflittuali, del funzionamento della mente: sono questi, volendone identificare un nucleo tematico, i filoni centrali in cui tutt’ora si impegna l’indagine della psicologia dinamica. L’accezione dinamica si riferisce, pertanto, al presupposto comune a tali teorie secondo il quale il funzionamento psichico e il comportamento (così come, di conseguenza, la psicopatologia) sarebbero sostanzialmente il risultato dell’interazione di forze psichiche interiori costantemente in contrasto tra loro. La collocazione della psicologia dinamica nell’ambito delle discipline psicologiche del Novecento va compresa tenendo conto del suo iniziale distacco dalla ricerca psicologica scientifica. Per gran parte del secolo, e in pratica fino agli anni Settanta, il panorama generale delle discipline psicologiche è stato caratterizzato, per così dire, da una scissione fra ricerca psicologica sistematica (sperimentale) e ricerca psicologica empirica, o operativa, talora anche detta psicologia applicativa. Fin dall’inizio del XX secolo la ricerca psicologica sistematica si è occupata, partendo dallo studio degli aspetti più semplici del sistema nervoso, di capire e spiegare le leggi che governano i meccanismi basilari dell’apprendimento e della percezione, e nel far questo, ha rinunciato per molti decenni, in pratica fino agli anni Settanta (con l’affermarsi del cognitivismo), ad affrontare temi che per le conoscenze dell’epoca risultavano difficili da definire operativamente, tra cui anche concetti di stampo psicodinamico come il concetto di inconscio, di sogno, di meccanismo di difesa, di legame d’attaccamento etc. Questo fatto comportava un’evidente carenza di ipotesi atte a spiegare ed affrontare molte forme psicopatologiche; di conseguenza, pur in mancanza di dati solidamente verificati, fu necessario agli “addetti ai lavori” esprimere teorie che risultassero utili, su un piano del tutto empirico, alle loro esigenze operative. In questa situazione, la psicologia dinamica ha rappresentato il principale insieme di ipotesi empiriche (cioè, raccolte in modo aneddotico e non elaborate con ricerche sperimentali) utilizzate a supporto di esigenze cliniche pratiche. Verso la fine del XX e l’inizio del XXI secolo, gli sviluppi moderni della ricerca psicologica sistematica e della ricerca bio-medica hanno cominciato a confermare, e di conseguenza rafforzare, talvolta trasformandole, molte delle teorie derivanti dagli orientamenti psicodinamici tradizionali (in particolare quelli fra essi che pongono al loro centro l’importanza dell'inconscio) rendendo la psicologia dinamica una possibile guida all’interno della crisi della psicologia scientifica di impronta radicalmente materialista. La psicanalisi in breve Secondo la definizione datane da Freud, la psicanalisi è, al contempo: un paradigma teorico che presuppone l’esistenza di processi inconsci e di forze psichiche conflittuali, un metodo di indagine sul funzionamento normale e patologico dell’apparato psichico e una prassi terapeutica per il trattamento dei disturbi mentali. I tre livelli sono legati da una circolarità intrinseca: ogni concetto nasce dall’esperienza clinica, a partire dalla quale si costruisce la teoria, da cui deriva infine lo specifico metodo di cura. L’impianto teorico della psicanalisi freudiana è sorretto da alcuni concetti fondamentali: Inconscio → Termine con il quale vengono indicate tutte le attività mentali di cui l’individuo non è consapevole Rimozione → Processo (in realtà meccanismo di difesa, vedi oltre) per mezzo del quale rappresentazioni intollerabili vengono trasferiti nell’inconscio e che riemergono sotto forma di sogni, atti mancati e sintomi nevrotici Conflitto → Presenza di processi psichici contrapposti o comunque inconciliabili (vedi oltre) Pulsione → “Il rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall’interno del corpo e che pervengono alla psiche come misura delle operazioni che vengono richieste” [Freud, 1915] al fine di ridurre lo stato di tensione o eccitazione da esse prodotto Libido → Energia associata alle pulsioni sessuali; essa può venire rivolta verso oggetti esterni, oppure verso l’Io (libido dell’Io o libido narcisistica) Principio di costanza → Principio secondo cui l’apparato psichico si sforza per mantenere il livello di eccitazione complessiva (“somma di eccitamento”) più basso possibile Resistenza → Qualsiasi processo psichico che si oppone al recupero di contenuti inconsci Complesso → Insieme organizzato di rappresentazioni, ricordi, affetti, pulsioni e fantasie relative ad un determinato oggetto, evento o situazione Transfert → La trasposizione per lo più inconsapevole di affetti, atteggiamenti e schemi relazionali da una relazione significativa passata ad una attuale (tra cui anche quella con il terapeuta) Fissazione → L’arresto di una quantità di libido verso una specifica modalità di soddisfacimento o oggetto specifico Processo primario → Modalità di funzionamento dell’apparato psichico basato su “associazioni superficiali e somiglianze insignificanti”, “sull’assonanza, doppio senso, coincidenza temporale senza relazione di significato” Processo secondario → Modalità funzionamento dell’apparato psichico basato su un’attenta valutazione della realtà Libere associazioni → Tecnica mediante la quale viene chiesto al paziente di riferire tutte le idee e le parole che gli si presentano alla mente, senza compiere nessun tentativo di controllo cosciente su questo materiale Principali teorie freudiane → Dall’interazione dei concetti precedentemente accennati derivano sei teorie fondamentali: Teoria della rimozione e dell’inconscio → Le rappresentazioni intollerabili (ricordi che generano angoscia di per sé) o inconciliabili (espressione di un conflitto, vedi oltre) vengono trasferiti nell’inconscio, rimosse; tuttavia, pur rimanendo escluse dalla vita psichica cosciente, continuano ad influenzare il comportamento e riemergono sotto forma di atti mancati, sogni o, in alcuni casi, sintomi È opportuno però non dimenticare che la rimozione (come anche gli altri meccanismi di difesa) è considerata un meccanismo normale di funzionamento: è solamente il cattivo uso o l’abuso di questo meccanismo che può dare vita ad una condizione psicopatologica (vedi anche fissazioni e regressioni) Teoria del conflitto tra pulsioni → Il funzionamento psichico e il comportamento che ne deriva, così come la psicopatologia, sono il risultato di uno o più conflitti tra richieste psichiche di elaborazione contrastanti; in genere, tale conflitto può avere luogo tra: rappresentazioni e affetti contrastanti, pulsioni incompatibili, pulsioni e le esigenze imposte dalla realtà del mondo esterno, istanze differenti (vedi modello strutturale), rappresentazioni e pulsioni intollerabili o percepite come poco governabili, e dunque rimosse, e le varie difese messe in atto per impedirne la rievocazione Teoria dello sviluppo psicosessuale → Le pulsioni sessuali e i comportamenti atti a soddisfarle sono presenti sin dalla prima infanzia e lo sviluppo psicosessuale, pertanto, comincia sin dai primi anni secondo leggi e fasi ben definite; tali fasi sono cinque e sono caratterizzate dalla ricerca di gratificazione edonistica attraverso l’elicitazione di zone erogene differenti e compiti evolutivi specifici: ▪ Fase orale → La zona erogena è l’area orale (bocca, labbra…) e il compito evolutivo che caratterizza questa fase consiste nel subordinare la ricerca del piacere alla comunicazione dei propri bisogni primari (fame, sete o l’alleviamento del dolore) ▪ Fase anale → La zona erogena è l’area anale e il compito evolutivo che caratterizza questa fase consiste nel rinunciare al piacere immediato e compiere un atto di controllo su di esso, al fine di mantenere l’amore dei propri genitori procedendo nell’educazione sfinterica ▪ Fase fallica → La zona erogena è l’area dei genitali e il compito evolutivo che caratterizza questa fase consiste nella risoluzione del complesso edipico (vedi oltre), che si ottiene attraverso la rinuncia al desiderio di possesso del genitore di sesso opposto e l’identificazione con il genitore dello stesso sesso ▪ Fase di latenza → Periodo di manifestazioni sessuali latenti in cui il compito evolutivo consiste essenzialmente nella sublimazione delle pulsioni sessuali per dedicarsi allo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale ▪ Fase genitale → Fase in cui gli impulsi sessuali vengono risvegliati dai cambiamenti biologici indotti dalla pubertà e la ricerca di gratificazione edonistica viene nuovamente ricondotta verso l’area genitale; il compito evolutivo di questa fase consiste nel passaggio dall’autoerotismo alla scelta oggettuale esterna. L’organizzazione della sessualità e di alcuni aspetti della propria personalità (quest’ultima una delle più controverse affermazioni di Freud) dipende quasi interamente dallo specifico percorso che ogni individuo compie attraverso le suddette fasi; quest’ultimo è determinato geneticamente nelle sue linee generali, ma varia considerevolmente in termini di influenze ambientali (e.g., impressioni ricevute alle manifestazioni della propria attività sessuale e / o difficoltà nel conseguimento dei compiti evolutivi). Teoria delle istanze (modello strutturale) → L’apparato psichico è concettualizzato come diviso in tre istanze (sistemi) diverse, l’Io, l’Es e il Super-Io, ciascuna delle quali aventi aspetti consci e inconsci: ▪ Es → Sistema in rapporto diretto con le varie pulsioni e fantasie primarie (contenuti filogenetici ottenuti per trasmissione ereditaria) ▪ Super-Io → Sistema in diretto rapporto con le “forze morali” (insieme di valori e norme sociali) ▪ Io → Sistema in rapporto diretto con il mondo esterno e le altre due istanze (interfaccia tra il mondo esterno ed interno); questa istanza si presta ad una costante azione di mediazione tra le esigenze del mondo esterno (principio di realtà) e i desideri comunicati dall’Es, adoperandosi affinché trovino una modalità di soddisfacimento Teoria della nevrosi di traslazione → Nel corso del trattamento psicanalitico, quasi sempre (vedi oltre) si verifica una traslazione, per lo più inconsapevole di affetti, atteggiamenti e schemi relazionali da una relazione significativa passata a quella con il terapeuta; la comparsa di questa “nevrosi artificiale” è fondamentale ai fini del percorso terapeutico perché permette al paziente di servirsi della relazione con il terapeuta per imparare, nella concezione del primo Freud, come riappropriarsi della propria libido per poterla reinvestire e, nel secondo Freud, come entrare in contatto e ridurre l’influenza dei contenuti rimossi che riemergono nei suoi rapporti interpersonali Teoria dell’interpretazione dei sogni → Il sogno è concepito come appagamento sostitutivo di un desiderio (sessuale) incompatibile o inaccettabile e, pertanto, rimosso; il contenuto, tuttavia, emerge sempre in forma mascherata per via delle modificazioni (lavoro onirico) che impone la censura (dopo modello strutturale, Super-Io) e che sono rese possibili grazie ai meccanismi di ▪ Spostamento → Trasposizione di significato e / o affetti da una rappresentazione ad un’altra ▪ Condensazione → Creazione di una rappresentazione in cui confluiscono tutti i significati portati da altre rappresentazioni della medesima “catena associativa” ▪ Raffigurazione simbolica → Espressione dei contenuti inconsci, residui diurni e stimoli esterni attraverso simboli Volendo tracciare delle linee generali, si può affermare che i presupposti basilari della psicoanalisi siano dunque: ▪ La maggior parte dell’attività cerebrale è inconscia ▪ I vari processi psichici, siano essi consci o inconsci, avvengono in parallelo e ciò tende a provocare conflitti e generare soluzioni di compromesso ▪ Le esperienze infantili hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo della personalità dell’individuo, in particolare nel modellare gli stili relazionali, nonché nella psicopatologia ▪ Il trattamento psicanalitico mira a portare il materiale inconscio rimosso (risalente ad un’esperienza traumatica o alla base di un conflitto) e alla base del sintomo (che ha sempre un significato) alla coscienza, attraverso l’analisi dei resoconti dei pazienti, dei sogni e degli atti mancati, specialmente mediante la tecnica delle libere associazioni, al fine di affrontarlo emotivamente e rielaborarlo. NOTA: Complesso edipico → Il complesso edipico può essere definito come un insieme di sentimenti e atteggiamenti conflittuali di amore e odio che il bambino prova nei confronti di entrambi i genitori; più specificatamente, esso consiste in: ▪ Desideri “sessuali” nei confronti del genitore di sesso opposto e desideri di morte e sentimenti di invidia nei confronti del rivale, rappresentato dal genitore dello stesso sesso (forma positiva) ▪ Sentimenti di amore nei confronti del genitore dello stesso sesso e sentimenti di gelosia nei confronti del genitore di sesso opposto (forma negativa) ▪ Sentimenti di colpa e vergogna derivanti dai sentimenti e desideri negativi sopracitati e angoscia derivante dalla contraddittorietà dei vari sentimenti e desideri L’angoscia e gli altri sentimenti negativi derivanti da tale conflitto spingono il bambino a trovare una qualche soluzione che, in genere, corrisponde alla rinuncia al genitore di sesso opposto e all’identificazione con il genitore dello stesso sesso. Nello scenario immaginato da Freud, il complesso edipico emerge tra i 3 e i 5 anni, nel mezzo della fase fallica, si assopisce nel periodo di latenza e riemerge in forma più piena alla comparsa della pubertà. Oggi, il conflitto edipico è considerata una fase in cui il bambino, parallelamente, impara a tollerare l’amore tra i due genitori che esclude il loro amore per lui e sperimenta il ruolo di partner eterosessuale. NOTA II: Le due topiche freudiane → Il modello di apparato psichico precedentemente citato (modello strutturale) non è, in realtà, l’unico proposto da Freud nel corso dei suoi studi ed anzi è stato introdotto all’interno delle sue riflessioni solamente dal 1922, ovvero dalla pubblicazione di “L’Io e l’Es”. Prima di esso, il modello vigente era il cosiddetto modello topografico, che concepiva l’apparato psichico suddiviso in tre sistemi: Inconscio → Sistema in rapporto diretto con il “rimosso” e la cui attività è governata dalle modalità del processo primario e del principio di piacere Conscio → Sistema in rapporto diretto con il mondo esterno ed interno e la cui attività è governata dalle modalità del processo secondario e del principio di realtà Preconscio → Sistema che si interpone tra i due sistemi precedenti Tale modello venne abbandonato da Freud perché presentava diverse aporie, prime tra tutte l’esistenza di resistenze inconsce e l’esistenza di un’istanza critica che non coincideva con l’Io. Questi due modelli vengono detti prima e seconda topica (vedi metapsicologia). NOTA III: Metapsicologia → Con il termine metapsicologia s’intende l’insieme di teorie che descrivono l’apparato psichico da un punto di vista: Dinamico → Fa riferimento alle forze che danno vita ai fenomeni psichici Economico → Fa riferimento alla quantità di energia impiegata nei fenomeni psichici Topico → Fa riferimento ad “entità spaziale” in cui collocare i fenomeni psichici Principali correnti psicanalitiche post-freudiane e altre correnti teoriche fondamentali nel panorama psicodinamico La teoria pulsionale freudiana ha rappresentato il centro dal quale, negli anni successivi, si sono sviluppati vari modelli, alcuni dei quali se ne sono chiaramente differenziati (come quelli junghiano ed adleriano), mentre altri lo hanno sviluppato, come la psicologia dell’Io, la teoria delle relazioni oggettuali e la psicologia del Sé. Ulteriori contributi sono poi emersi con l’affermarsi della psicoanalisi interpersonale sino ad arrivare alla corrente che oggi viene definita relazionale / intersoggettiva che racchiude sia l’evoluzione dei modelli precedenti, sia gli orientamenti derivanti dall’infant research e delle neuroscienze. Psicologia dell’Io → Orientamento teorico che focalizza la propria attenzione sulla “sfera dell’Io libera dai conflitti” (l’insieme delle funzioni psichiche che agiscono al di fuori della sfera dei conflitti psichici, oggi diremmo funzioni cognitive) e sull’influenza che la spinta motivazionale all’adattamento che induce l’individuo ad integrarsi nell’ambiente in cui è inserito esercita sullo sviluppo, sugli atteggiamenti, sul comportamento e sulla sua psicopatologia di quest’ultimo; tra i principali autori si possono ascrivere: Heinz Hartmann → Il suo contributo può essere riassunto nei seguenti punti: ▪ Ha introdotto la nozione di “sfera dell’Io libera dai conflitti” ▪ L’Io e l’Es originano da una matrice iniziale indifferenziata comune (e non che “l’Io origina dall’Es” come sosteneva Freud) ▪ L’Io possiede un’autonomia primaria e un’autonomia secondaria dall’Es: la prima si riferisce alla matrice iniziale indifferenziata comune, la seconda si riferisce alla sua capacità di agire indipendentemente dalle pulsioni comunicate dall’Es (autonomia dal punto di vista “energetico”) ▪ Lo sviluppo delle relazioni oggettuali (anche se non utilizza esplicitamente questo termine, vedi Klein) inizia dal primo anno di vita e parte dallo stadio senza oggetto del narcisismo primario, passa attraverso la sperimentazione dell’oggetto come qualcosa che esiste soltanto per soddisfare i bisogni del bambino molto piccolo e perviene infine al livello di costanza dell’oggetto (i.e., può essere richiamato alla mente in sua assenza) Anna Freud → Offre una prima sistematizzazione dei meccanismi di difesa, concepiti come strategie che l’Io adotta per proteggersi dall’angoscia (angoscia derivante dalle pulsioni, angoscia reale e angoscia morale): regressione, formazione reattiva, isolamento dall’affetto, annullamento retroattivo, introiezione, identificazione, proiezione, rivolgimento contro sé stessi, inversione nel contrario, sublimazione, identificazione con l’aggressore, eccesso di altruismo, ascetismo ed intellettualismo, diniego, restrizione dell’Io Svolge inoltre diverse ricerche finalizzate ad individuare le modalità di applicazione più opportune del trattamento psicanalitico ai bambini e giunge ad una conclusione fondamentale: poiché il bambino non decide di andare in analisi ma vi viene portato dai genitori, non può presentare nevrosi di traslazione perché ancora in stretto rapporto con i genitori e non è in grado di sospendere il pensiero cosciente, rendendo inapplicabile la tecnica delle libere associazioni, risulta dunque necessario un periodo preliminare di preparazione del bambino all’analisi, coinvolgere i genitori nel processo terapeutico e, soprattutto, analizzare sogni e disegni del bambino (Melanie Klein era in disaccordo, vedi oltre) David Rapaport → Tra le altre cose, riformula il concetto di autonomia dell’Io come indipendenza non solo dall’Es ma dall’ambiente esterno Psicologia psicanalitica dello sviluppo → Orientamento teorico che origina dalla psicologia dell’Io (si serve di alcuni concetti cardine, primo tra tutti quello di “matrice indifferenziata”) e che focalizza la propria attenzione sullo sviluppo dell’Io e sul ruolo che le cure materne possono avere su tale sviluppo; tra i principali autori si possono ascrivere: René Spitz → Attraverso i suoi studi su bambini ospedalizzati per condizioni croniche gravi o residenti in brefotrofi è tra i primi ad aver studiato il peso che cure materne assenti o poco responsive esercitano sul bambino; in breve, ha mostrato tali bambini tendono a seguire questo schema: lamentele e richiami continui durante il primo mese, pianti incontrollabili ed evidente perdita di peso a partire dal secondo mese, rifiuto del contatto fisico, insonnia, ritardo nello sviluppo motorio, assenza di mimica, perdita di peso sempre più evidente intorno al terzo mese e letargia Margaret Mahler → Elabora un modello di sviluppo dell’Io in cui la madre e le interazioni madre- bambino rivestono un ruolo centrale: ▪ Fase autistica (0-2mesi) → Il bambino vive in una condizione in cui dominano gli stati fisiologici ed è poco recettivo agli stimoli esterni ▪ Fase simbiotica (2-6mesi) → Il bambino vive in una condizione di simbiosi con la propria madre e sperimenta l’illusione di un confine comune con la madre ▪ Fase di separazione-individuazione → Suddivisa a sua volta in quattro sottofasi: ▪ Sottofase di differenziazione (6-10mesi) → Il bambino comincia a percepire la distinzione tra sé e la madre e le assenze della madre ▪ Sottofase di sperimentazione (10-16mesi) → Il bambino, avendo acquisito capacità motorie, inizia ad esplorare l’ambiente allontanandosi ▪ Sottofase di riavvicinamento (16-24mesi) → Con l’aumento della capacità di locomozione, sperimenta la soddisfazione di allontanarsi sempre di più dalla madre ma, rendendosi conto di non essere ancora in grado di affrontare il mondo esterno da solo, spesso cerca di condividere con lei le proprie esperienze oppure, se si allontana per tanto, torna dalla madre per assicurarsi di non averla persa ▪ Sottofase del consolidamento del senso di individualità (1-3 anni) → Il bambino acquista una progressiva costanza dell’oggetto (richiamare alla mente la propria madre nei momenti di sconforto) e pertanto non dipende più dalla presenza fisica della madre Edith Jacobson → La costituzione del sistema dell’Io ha luogo con la scoperta del mondo degli oggetti e la crescente distinzione tra quello e il proprio Sé fisico e mentale, che avviene appunto rapportandosi con gli oggetti, a cominciare da quello originario, quello materno La nascita del Sé avviene in due fasi successive: la fase psicofisiologica che ha luogo nei primi mesi di vita e la fase del Sé mentale che ha luogo nella prima infanzia e nel corso della quale si stabilizzano le rappresentazioni psichiche di sé e degli altri Erik Erikson → Erik Erikson concepisce lo sviluppo psicologico come un processo di otto fasi ognuna caratterizzata da una “crisi psicosociale” / compito evolutivo da risolvere (e.g., nella prima infanzia, il compito è il passaggio da dipendenza totale a dipendenza parziale, nell’età adulta il raggiungimento della capacità di generare e provvedere alla prole). La risoluzione positiva di ogni crisi consente al soggetto di adattarsi alla sua realtà sociale e di costruire un’identità stabile. Teoria delle relazioni oggettuali → Orientamento teorico che focalizza la propria attenzione sulle relazioni oggettuali (la rappresentazione della relazione tra soggetto e oggetto e gli affetti connessi) e sull’influenza che queste rivestono sullo sviluppo, sul comportamento e sulla psicopatologia degli individui; tra i principali autori si possono ascrivere: Melanie Klein → Il suo contributo può essere riassunto nei seguenti punti: ▪ Il mondo interno, sin dalla nascita, è abitato da pulsioni di vita e pulsioni di morte e, progressivamente, da oggetti interni (rappresentazioni, e.g., la figura materna o sé stesso), inizialmente “parziali” (cioè parti di essi, come il seno o il proprio stomaco), e il carattere delle relazioni oggettuali corrispondenti dipende dall’interazione tra fantasie inconsce relative ad essi (vedi oltre), esperienza quotidiana e relazione effettiva con l’oggetto, da una parte, e investimento pulsionale e proiezione dei sentimenti sugli stessi, dall’altra ▪ Le fantasie inconsce sono rappresentazioni primitive e preverbali, cariche affettivamente e investite libidicamente, relative agli oggetti e alle relazioni con essi o tra di essi che caratterizzano fin dalla nascita la vita mentale del bambino e sottendono le sue esperienze Alcune sono sostanzialmente innate mentre altre originano dalle sensazioni somatiche dei primi mesi di vita (interpretate dal bambino come relazione con un oggetto che causa intenzionalmente quella sensazione) ma, in ogni caso, tutte contribuiscono alla costituzione degli oggetti interni ▪ Lo sviluppo è concepito in posizioni (ovvero modalità differenti di interfacciarci con gli oggetti): 1) Posizione schizoparanoide (da 0 a 6 mesi) → Fase caratterizzata da un uso massivo dei meccanismi di scissione, proiezione e identificazione proiettiva, da oggetti parziali e dalla paura di essere attaccati dagli oggetti persecutori (angoscia persecutoria): In seguito ai primi contatti con la realtà, il bambino, al fine di ridurre l’angoscia derivante dall’incertezza e dell’ambivalenza del proprio ambiente, e al tempo stesso dirigere efficacemente il proprio investimento pulsionale, scinde il mondo in oggetti (parziali) ideali (totalmente “buoni”) e persecutori (totalmente “cattivi”) Al contempo, poiché il bambino teme la sua stessa aggressività per via della forte attivazione che essa comporta, ricorre ai meccanismi di proiezione e identificazione proiettiva per, rispettivamente, liberarsi e regolare le sue emozioni aggressive; queste proiezioni generano però l’angoscia persecutoria 2) Posizione depressiva (da 6 a 18 mesi) → Fase caratterizzata da una progressiva integrazione degli aspetti ambivalenti del Sé e degli oggetti (grazie allo sviluppo della capacita di regolazione emotiva), dalla scoperta della propria dipendenza dalla madre e dall’angoscia depressiva (timore per la perdita dell’oggetto), quest’ultima derivante dal senso di colpa per le pulsioni aggressive e i sentimenti negativi di invidia (e.g., seno della madre, così potrebbe provvedere da sé ai suoi bisogni fisiologici) e gelosia (e.g., vorrebbe la madre tutta per sé ma è costretto a condividerla con il padre) provati nei loro confronti ▪ L’osservazione del gioco libero dei bambini è concepita come lo strumento attraverso il quale la Klein indaga i contenuti inconsci dei bambini, l’equivalente delle libere associazioni negli adulti William Fairbairn → Il suo contributo principale consiste sostanzialmente nell’aver posto al centro della riflessione psicoanalitica le relazioni: per lui, infatti, la libido non è rivolta al piacere ma a stabilire relazioni soddisfacenti con gli altri, necessarie in primis al bambino per la sua sopravvivenza. Wilfred Bion → Ha concentrato la sua attività di ricerca sul trattamento delle psicosi; il suo contributo può essere riassunto nei seguenti punti: ▪ Basandosi su studi condotti sui gruppi condotti dal 1943 al 1952, teorizza l’esistenza di ciò che lui chiama “assunti di base”, ovvero credenze / fantasie magiche, fondamentalmente inconsce, che i membri del gruppo tendono a sviluppare per alleviare l’angoscia derivante dalla frustrazione dei loro obbiettivi e / o dal pericolo di disgregazione; in breve, egli individua tre tipologie fondamentali di assunti di base: assunti di base di dipendenza (fantasie magiche relative alla figura di un capo da cui dipendere totalmente), assunti di base di attacco / fuga (fantasie magiche relative ad un ipotetico nemico, interno o esterno al gruppo) e assunti di base di accoppiamento (fantasie relative alla venuta di un cambiamento qualsiasi che ribalterebbe sicuramente le sorti) ▪ Lo sviluppo dell’Io, che egli chiama “apparato per pensare”, consiste nella progressiva conquista di forme di pensiero sempre più evolute e complesse ed inizia con lo sviluppo della cosiddetta funzione α, ovvero la capacità di trasformare gli elementi sensoriali ed emotivi riflessi grezzi (elementi β) in impressioni sensoriali ed emotive rappresentabili e, dunque, immagazzinabili, elaborabili, verbalizzabili e comunicabili (elementi α); in breve: La prime forme di pensiero che si instaurano grazie alla trasformazione sono i pensieri onirici (sogni e miti, fantasie) ovvero produzioni mentali che si esprimono tramite immagini connesse tra loro in modo narrativo e le pre-concezioni, che altro non sono che elementi alfa derivanti da elementi β sostanzialmente innati con annesse le aspettative legate ad essi (anch’esse innate) Le seconde forme di pensiero che si instaurano sono le concezioni (pre-concezioni che vengono abbinate alle esperienze di oggetti reali corrispondenti) e i pensieri (pre- concezioni che non incrociano l’esperienza reale corrispondente ma solo oggetti reali che le si approssimano e, pertanto, rimangono insieme di elementi α riguardanti “ciò che non-è”) Le terze e quarte forme di pensiero che si instaurano sono i concetti (concezioni purificati dagli elementi affettivi) e i calcoli algebrici (concetti organizzati in ipotesi e teorie) ▪ Lo sviluppo della funzione α dipende dalla rêverie materna (processo attraverso il quale la madre accoglie, elabora e restituisce al bambino gli elementi β che il bambino ha proiettato “depurati” in elementi α) e dalla configurazione contenitore-contenuto (quel processo attraverso cui, assieme agli elementi β “depurati”, la madre restituisce anche la funzione α, consentendo al bambino la capacità di poter agire da solo in futuro su questi ed altri contenuti; viene indicato con ♀♂) ▪ Poiché concepisce molte forme di psicopatologia come una sostanziale incapacità di entrare in contatto ed elaborare i propri elementi β (e.g., psicosi come “indigestione di contenuti β”), la prassi terapeutica si profila, di fatto, almeno nelle sue linee generali, come una configurazione contenitore-contenuto♀♂ tra terapeuta e paziente. Donald Winnicott → Il suo contributo può essere riassunto nei seguenti punti: ▪ Lo sviluppo è concepito come una progressiva diminuzione della dipendenza del bambino dalla madre e il cui fine è la costituzione dell’Io e la creazione di condizioni adatte all’espressione del suo Sé; in breve: 1) Dipendenza assoluta → L’infante è totalmente dipendente dalle cure materne, non sa di ricevere delle cure, non può controllare cosa gli viene fatto ed è solo in condizione di trarre vantaggio o subire danni da ciò che gli viene fatto, mentre la madre entra in empatia con i bisogni fisiologici del bambino (preoccupazione materna primaria) e riesce a soddisfarli prima ancora che in lui siano avvertiti fastidio e angoscia (funzione che viene detta di holding o accomodamento); in questa fase: ▪ Per quanto riguarda lo sviluppo dell’Io → Se la madre esercita una funzione di holding “sufficientemente buona”, riparando il bambino dagli “urti” (fame, dolore etc.), permetterà a quest’ultimo di cominciare a percepire un senso di continuità della propria esistenza (integrazione); se vi è una ripetuta e sistematica incapacità di entrare nella condizione di preoccupazione materna primaria, il bambino tenderà a vivere in una condizione caratterizzata dalla comparsa delle cosiddette “angosce primarie” (disgregazione, cadere in pezzi, essere senza alcuna relazione con il corpo…) ▪ Per quanto riguarda lo sviluppo del Sé → È fondamentale che la madre consenta un’adeguata “funzione di rispecchiamento” (consentire al bambino di specchiarsi nel volto della madre durante le sue manifestazioni affettive, anche negative) 2) Dipendenza relativa → Il bambino cresce (anche di dimensioni) e comincia a rendersi conto della sua dipendenza dalle cure materne e, pertanto, comincia ad inviare dei segnali di richiesta per ottenere il soddisfacimento dei suoi bisogni, mentre la madre, da un lato, per facilitare le richieste, comincia ad esercitare un graduale de-accomodamento dei bisogni del bambino (attende suoi segnali) e dall’altro, essendo il bambino cresciuto, si assicura di maneggiarlo con cura senza fargli sentire che il suo corpo è fatto di parti non ancora coordinate (funzione di handling) ; in breve: ▪ Per quanto riguarda l’Io → Se la madre esercita un graduale de-accomodamento (lasciando spazio al bambino per esprimere i suoi bisogni), e una funzione di handling sufficientemente buona, permetterà al bambino da un lato di cominciare a percepirsi come separato dalla madre e, dall’altro, di percepire la sua pelle come confine tra “ciò che è me e non-me” e il proprio corpo come “contenitore della propria realtà psichica” (processo che Winnicott chiama personalizzazione) ▪ Per quanto riguarda il Sé → Un graduale de-accomodamento esercitato in maniera sufficientemente buona, permetterà al bambino di ricevere la prova di ritorno di essere stato riconosciuto come un essere, creando così le condizioni adatte all’espressione del suo Sé (vero-Sé, vedi oltre); se invece la madre fallisce sistematicamente o non considera le richieste del bambino o, al contrario, non gli lascia spazio per esprimere i suoi bisogni da un lato costringe il bambino ad un comportamento difensivo detto “strutturazione di un falso Sé” (conformare eccessivamente le proprie richieste alle risposte ambientali), mentre dall’altro lo esorta a regredire alla fase precedente, minacciando la sua capacità di comunicare i suoi bisogni 3) Progressiva indipendenza → Il bambino diventa sempre meno dipendente e, se le fasi precedenti hanno avuto luogo senza grandi difficoltà, egli avrà acquisito una sostanziale fiducia nella figura di attaccamento (non utilizza esplicitamente questo termine, vedi Bowlby) e nell’ambiente circostante, cosa che gli conferirà la capacità di vivere momenti di solitudine positivi, di iniziare le sue prime esplorazioni, di relazionarsi con i vari oggetti esterni e, di conseguenza, accrescere il proprio Sé In questa fase, è importante che la madre dissemini attorno al bambino oggetti che rispondono ad alcuni dei suoi bisogni in modo tale che lui possa individuarli, sceglierli ed imparare ad usarli e, allo stesso tempo, lasciare che il bambino faccia esperienza di piccole frustrazioni della sua onnipotenza (il bambino crede che tutto ciò che esiste al mondo sia lì per lui) ▪ Durante le prime esplorazioni, i bambini tendono a scegliere un oggetto transizionale, ovvero un oggetto (e.g., giocattolo, bambola, coperta...) che rappresenta simbolicamente la “presenza della madre in sua assenza” e che permette al bambino di imparare a gestire l’angoscia derivante eventuali momenti di difficoltà senza dover ricorrere costantemente alla figura materna (se non, naturalmente, per situazioni particolarmente pericolose o confuse). Questo oggetto, infatti, non solo offre conforto emotivo al bambino (in quanto richiama alla memoria la figura materna o altre significative e le esperienze di cura da essa ricevute) ma lo sostiene ed incoraggia nella regolazione delle emozioni (aiutandolo a richiamare alla memoria, e progressivamente interiorizzare, modelli di autoregolazione emotiva e di gestione della frustrazione appresi dalle interazioni con la madre), favorendo così lo sviluppo di un senso di sicurezza e autonomia [Approfondire Psicopatologia negli autori di questo filone di ricerca] Psicologia del Sé → Orientamento teorico che focalizza la propria attenzione sullo sviluppo del Sé e sull’influenza che quest’ultimo riveste sullo sviluppo in generale, sugli atteggiamenti, sul comportamento e sulla psicopatologia degli individui; tra i principali autori si possono ascrivere: Heinz Kohut → Fondatore e principale esponente della corrente della psicologia del Sé, ha concentrato la sua attività di ricerca sul trattamento del disturbo narcisistico di personalità; il suo contributo può essere riassunto nei seguenti punti: ▪ Lo sviluppo di un Sé coeso (≅ autostima che tende ad essere stabile, radicata in criteri funzionali e realistici) dipende sostanzialmente dalla capacità dei caregiver (primariamente la madre) di diminuire gradualmente in intensità e frequenza le risposte empatiche nei confronti delle manifestazioni dei bisogni narcisistici del bambino (bisogni di approvazione e conferma per il proprio operato) e di fornire adeguatamente (né troppo, né troppo poco) conforto ed incoraggiamento dinanzi agli insuccessi; più specificatamente: ▪ Il bambino esprime i suoi bisogni narcisistici attraverso due modalità (corrispondenti alle due modalità del transfert speculare e del transfert idealizzante, vedi oltre): Sé grandioso (richieste di conferma che possono anche sfociare in comportamenti esibizionistici e di grandiosità) e l’imago parentale idealizzata (idealizzazione dei caregiver) ▪ I caregiver (primariamente la madre) rappresentano per il bambino ciò che Kohut chiama “oggetti-Sé”, ovvero oggetti che servono a sviluppare e sostenere il Sé nascente del bambino, sia fornendo il conforto e ammirazione necessari, sia presentandosi come una “fonte di ispirazione” (introiezione) ▪ Una graduale diminuzione di risposte empatiche di fronte alle manifestazioni del Sé grandioso e dell’imago parentale idealizzata (ciò che Kohut chiama “frustrazioni ottimali”), unito a manifestazioni attente e puntuali di conforto, incoraggiamento e senso di ammirazione dinanzi alle varie difficoltà che il bambino inevitabilmente incontra durante i suoi primi timidi contatti con il mondo esterno, permetteranno al bambino, dapprima, di fare i conti con la propria non-onnipotenza e, successivamente, di interiorizzare le modalità, proprie degli oggetti-Sé, attraverso cui gestire autonomamente l’ansia, la frustrazione e i vari sentimenti negativi derivanti dagli insuccessi (processo che Kohut chiama interiorizzazione trasmutante) ▪ Manifestazioni di Sé grandioso e / o l’utilizzo massivo di idealizzazione e svalutazione primitiva (utilizzata nei confronti di oggetti o situazioni che minacciano la propria autostima e / o frustrano i propri bisogni narcisistici) negli adulti sono per Kohut il segno di un percorso di sviluppo in cui è mancato il supporto adeguato degli oggetti-Sé alle manifestazioni dei propri bisogni narcisistici, una perturbazione della relazione Sé / oggetto-Sé in cui: può non esserci stato alcun rispecchiamento empatico agli atteggiamenti grandiosi del bambino, non esserci stata possibilità alcuna di idealizzare qualcuno oppure, ancora, un’incapacità dell’oggetto-Sé idealizzato di restituire al bambino l’ammirazione provata nei suoi confronti Di conseguenza, nel processo terapeutico, il terapeuta deve disporsi e fungere da oggetto-Sé e riparare le carenze dei genitori. Psicoanalisi interpersonale → Orientamento che pone l’accento sul ruolo che l’ambiente interpersonale (l’insieme di interazioni sociali) e sull’influenza che quest’ultimo riveste sullo sviluppo, sugli atteggiamenti, sul comportamento e sulla psicopatologia degli individui; tra i principali autori si possono ascrivere: Harry Stack Sullivan → Fondatore e principale esponente della corrente della psicoanalisi interpersonale, ha concentrato la sua attività di ricerca sul trattamento della schizofrenia; il suo contributo può essere riassunto nei seguenti punti: ▪ Il Sé si manifesta sempre e soltanto attraverso le interazioni sociali ed è da esse continuamente rimodellato (vedi George Mead); più specificatamente, esso si costituisce: dalla percezione dei giudizi e dalle aspettative altrui riguardanti i propri comportamenti, dal riconoscersi o non riconoscersi in tali giudizi e aspettative e dalla selezione degli atteggiamenti e comportamenti approvati dagli altri significativi ▪ Gli individui sono essenzialmente guidati da due bisogni fondamentali che si rendono sistematicamente manifeste nella vita relazionale degli individui: bisogni di soddisfazione (fisiologici ed affettivi) e bisogni di sicurezza ▪ Le psicosi deriverebbero da “un’angosciante paura dell’angoscia stessa” che spinge gli psicotici a proteggersi da essa limitandosi alle esperienze che non producono angoscia e rifugiandosi nel loro mondo di deliri e in relazioni deformate da “distorsioni paratattiche” (schemi relazionali in cui l’altro viene personificato in modo distorto al fine di adattarsi alle proprie previsioni ed aspettative, derivanti da relazioni passate che non hanno prodotto angoscia; “accostamenti semplici e lineari”) La paura di provare angoscia, a sua volta, trarrebbe origine da alcuni perturbamenti delle prime relazioni diadiche caregiver-bambino e, più specificatamente, dall’incapacità dei caregiver di regolare le loro risposte dinanzi all’angoscia del bambino: se questi, ogniqualvolta il bambino comunichi di essere in preda all’angoscia (per via di rumori improvvisi o troppo forti, oppure perché ha semplicemente fame), rispondono sistematicamente manifestando un’angoscia ancora più intensa di quella del bambino stesso (creando per così dire un “effetto valanga”), porteranno progressivamente il bambino ad esprimere solo i sentimenti e a mettere in atto solo i comportamenti che non generano angoscia nei loro caregiver e che, di conseguenza, non amplificano la loro; in altri termini, costruisce il suo Sé sulla base dell’esclusione dell’angoscia perché questo è l’unico modo per soddisfare il suo bisogno di sicurezza ▪ Il trattamento terapeutico si profila, almeno nelle sue linee generali, come un processo di cooperazione tra terapeuta e paziente in cui entrambi, di comune accordo, si impegnano nell’individuare, elaborare e “smontare” le distorsioni paratattiche che il paziente mette in atto nelle sue relazioni attuali In questi termini, è importante ricordare che l’atteggiamento terapeutico (setting interno) di Sullivan è impostato in maniera esattamente opposta alla neutralità freudiana ed è definito da lui stesso “osservazione partecipante” Psicologia dell’Io-relazioni oggettuali → Orientamento teorico che nasce dal tentativo di integrare le teorie proposte dalla scuola della psicologia dell’Io con quelle della scuola delle relazioni oggettuali e il cui principale esponente è Otto Kernberg; il suo contributo può essere riassunto nei seguenti punti: ▪ Lo sviluppo del Sé consiste in un processo a quattro stadi, due dei quali presentano un compito evolutivo che deve essere conseguito e la cui mancata realizzazione è precursore di psicopatologia; in breve: 1) Stadio I→ Caratterizzato da rappresentazioni Sé-oggetto indistinte 2) Stadio II→ Le rappresentazioni del Sé vengono differenziate da quelle degli oggetti, e in seguito tali rappresentazioni vengono ulteriormente scisse in “gratificanti” e “frustranti”; il fallimento in questo compito evolutivo è pertanto precursore degli stati psicotici (vedi delirio psicotico) 3) Stadio III → Le rappresentazioni interamente positive e interamente negative del Sé e degli oggetti vengono integrate in rappresentazioni in cui coesistono entrambi gli aspetti; il fallimento in questo compito evolutivo è precursore della patologia borderline (vedi scissione nella patologia borderline) 4) Le rappresentazioni ambivalenti si stabilizzano ▪ Teoria sull’organizzazione della personalità → Secondo Kenberg, la maggior parte dei disturbi mentali può essere sistematizzata secondo tre dimensioni (gradi di coesione del Sé, grado di maturità delle difese, grado di compromissione dell’esame di realtà) che ne definirebbero, appunto, l’organizzazione generale della personalità: ▪ Pazienti con personalità organizzata a livello nevrotico → Non presentano un Sé frammentato, presentano un saldo rapporto con la realtà e i meccanismi di difesa sono sostanzialmente maturi, anche se caratterizzati dall’operare trasformazioni specifiche del pensiero, del sentimento, del comportamento o una qualche combinazione tra questi, come la rimozione, l’isolamento, la formazione reattiva, l’annullamento retroattivo, lo spostamento e l’evitamento (vedi oltre); all’interno di questa categoria possono essere ascritti i vari disturbi d’ansia e fobici, il disturbo ossessivo- compulsivo, la depressione e il disturbo da conversione (le varie nevrosi di Freud per così dire) ▪ Pazienti con personalità organizzata a livello borderline → Presentano un Sé piuttosto frammentato, l’esame di realtà è sostanzialmente nella norma e i meccanismi di difesa sono essenzialmente primitivi (tipicamente, scissione, identificazione proiettiva, diniego, comportamenti passivo- aggressivi, ipocondriasi); all’interno di questa categoria possono essere ascritti la maggior parte dei disturbi di personalità (compreso naturalmente il disturbo borderline di personalità ed esclusi il disturbo paranoide, il disturbo evitante e il disturbo ossessivo-compulsivo di personalità) e la maggior parte disturbi dell’umore (esclusi i vari disturbi depressivi e il disturbo schizoaffettivo) ▪ Pazienti con personalità organizzata a livello psicotico → Presentano un Sé sostanzialmente frammentato, l’esame di realtà è gravemente compromesso e i meccanismi di difesa sono essenzialmente primitivi (proiezione delirante e diniego psicotico…vedi oltre) Teoria dell’attaccamento → Orientamento teorico che pone l’accento sul costrutto di “attaccamento” (l’insieme di atteggiamenti e comportamenti alla base del forte legame emotivo tra il bambino e la sua figura di riferimento) e sull’influenza che quest’ultimo riveste sullo sviluppo generale, sul comportamento (specie quello relazionale) e sulla psicopatologia degli individui (vedi anche capitolo attaccamento, oltre). Bowlby → Quello di “attaccamento” è un concetto centrale all’interno della riflessione psicodinamica attuale (a partire dalla cosiddetta “svolta relazionale”, vedi oltre) ed è stato per la prima introdotto e sistematizzato all’interno della stessa a partire dai lavori del ben noto medico e psicoanalista britannico (di formazione kleiniana) John Bowlby; il suo contributo può essere riassunto nei seguenti punti: ▪ Ispirandosi agli studi di Darwin, Lorenz e i coniugi Harlow, comincia per primo a studiare sistematicamente il legame d’attaccamento negli esseri umani. Egli definisce “attaccamento” come la tendenza innata e autonoma nell’uomo, come negli animali, a ricercare la vicinanza protettiva di una figura ben conosciuta ogni volta che si vivano situazioni di pericolo, stress o dolore e il “comportamento di attaccamento” come quell’insieme di schemi di comportamento messi in atto, appunto, per instaurare un legame con tale figura e ottenere pertanto la sua vicinanza, sostegno e protezione; tale spinta al legame è così fondamentale per il bambino che egli è costretto a instaurare questa relazione in ogni caso, anche se il suo oggetto di attaccamento non è responsivo o è addirittura abusante ▪ Assieme a Mary Ainsworth, inventrice della “Strange Situation” [1979, vedi oltre], delinea quattro stili di attaccamento: attaccamento sicuro (bambini che concepiscono la madre come una “base sicura” nelle situazioni stressanti), attaccamento insicuro – evitante (bambini che mostrano insicurezza evitando la madre nelle situazioni stressanti), attaccamento insicuro – ambivalente (bambini che, nelle situazioni stressanti, alternano ricerca disperata del contatto a scoppi di rabbia e allentamento della madre) e attaccamento disorganizzato (bambini che nelle situazioni stressanti alternano strategie comportamentali confuse e disorganizzate a momenti di disorientamento) [vedi oltre] ▪ Nel corso dello sviluppo, grazie la crescita cognitiva e lo sviluppo del linguaggio, la continua interazione tra i semplici schemi comportamentali alla base del comportamento d’attaccamento e le risposte della figura d’attaccamento determina nel bambino la costruzione dei cosiddetti Modelli Operativi Interni, ovvero l’insieme rappresentazioni, affetti, fantasie e schemi comportamentali relativi alla figura d’attaccamento e alla relazione con essa, in base ai quali il bambino interpreta il comportamento della figura d’attaccamento, prevede con un certo anticipo la situazione e seleziona la strategia più funzionale Con il procedere dell’età e l’instaurazione di continue altre relazioni con “altri significativi”, i MOI progressivamente si consolidano, acquistando al contempo maggior flessibilità, fino a cominciare ad operare a livello inconscio e ad andare a costituire la base dei propri pattern relazionali ▪ Per Bowlby, il percorso terapeutico consiste, almeno nelle sue linee generali, in un percorso interpersonale, di individuazione e ristrutturazione dei MOI disadattivi; più specificatamente, il percorso terapeutico dovrebbe: fornire al paziente una base sicura da cui esplorare gli aspetti dolorosi della sua vita e rielaborarli (vedi rispecchiamento / funzione di rêverie di Bion), incoraggiarlo ad esaminare i suoi pattern relazionali attuali, le aspettative e i giudizi su di sé e gli altri (specialmente quelli che intervengono nella relazione terapeutica), incoraggiarlo ad esaminare quanto i suoi pattern relazionali attuali siano il risultato delle sue esperienze precoci di attaccamento e incoraggiarlo a ristrutturare tali pattern Psicoanalisi intersoggettiva → Orientamento teorico che nasce dal tentativo di integrazione delle teorie provenienti dalle scuole della psicologia delle relazioni oggettuali, della psicologia del Sé, della psicoanalisi interpersonale, della psicoanalisi relazionale (modello del conflitto relazionale), dalla teoria dell’attaccamento, dalla teoria socio-costruttivista di Hoffman e dagli studi provenienti dall’infant research e che, sostanzialmente, pone al centro del proprio interesse l’interazione reciproca tra sviluppo, comportamento e psicopatologia, da un lato, e la matrice dei legami relazionali, dall’altro. Secondo gli autori operanti all’interno di tale orientamento, infatti: ▪ La psicopatologia è il risultato di esperienze relazionali disfunzionali o traumatiche (quelle precoci hanno un’influenza maggiore) che strutturano pattern relazionali e strategie di regolazione emotiva disadattivi; di conseguenza, i maggiori problemi psicopatologici, anche se fenomenologicamente diversi, sono da comprendere come difficoltà nello sviluppo della capacità di stare in relazione ▪ La soggettività è intersoggettiva: l’individuo si sviluppa all’interno delle relazioni, è da esse continuamente rimodellato ma, allo stesso tempo, influenza costantemente quest’ultime ▪ La spinta all’instaurazione di relazioni efficaci viene considerata un bisogno fondante, che plasma dalla nascita alla morte la mente dell’individuo, nonché la sua eventuale psicopatologia Tra i principali autori si possono individuare: Peter Fonagy → Psicologo ungherese noto per aver introdotto all’interno della riflessione psicodinamica e psicologica in generale il costrutto di mentalizzazione (o funzione riflessiva), intesa come “la capacità di avere presenti nella propria mente il proprio stato [fisiologico ed affettivo], i propri desideri, i propri obbiettivi, le proprie conoscenze, valori e ragioni quando ci si occupa della propria esperienza e di avere presenti lo stato, i desideri, le conoscenze i valori e le ragioni dell’altro da sé quando di quella persona si voglia interpretare il comportamento”; il suo contributo può essere riassunto nei seguenti punti: ▪ La capacità di mentalizzare implica l’acquisizione della capacità di regolare i propri vissuti emozionali (regolazione emotiva) e lo sviluppo di entrambe queste capacità, sebbene avvenga attraverso un naturale processo di maturazione cerebrale (porzione ventro-laterale della corteccia premotoria per la prima e vlPFC per la seconda), è influenzato in maniera determinante dalla qualità delle esperienze relazionali precoci delle prime interazioni diadiche bambino- caregiver (che avvengono all’interno del legame d’attaccamento) e, più specificatamente, dalla qualità dell’aiuto da parte di quest’ultimo nel sorreggere e promuovere tale sviluppo, espletato principalmente attraverso la sua capacità di “rispecchiamento emotivo” (cioè la capacità di permettere al bambino di poter ritrovare i vari stati emozionali che proietta all’esterno nelle risposte mimiche e verbali che gli si rimandano in relazione ad esse) In breve, se tali risposte mimiche e verbali risultano essere sufficientemente congrue, in termini di intensità, forma e durata alla reale situazione esperita dal bambino e il suo vissuto emozionale relativo ad essa, e allo stesso tempo marcate (sia verbalmente che fisicamente) in modo da fargli capire che esse sono, appunto, risposte di un “altro-da-sé” ai suoi stati emotivi che riconosce e legittima l’esistenza del suo mondo interno, il bambino comincerà progressivamente, da un lato, ad interiorizzare le modalità attraverso cui il caregiver modula le manifestazioni dei suoi stati emotivi e ad applicarle da sé, permettendo a sé stesso, di conseguenza, di entrare più facilmente in contatto con esse per poterle elaborarle e, dall’altra, di capire che i suoi stati emozionali appartengono a lui ma che possono essere condivisi con il caregiver Tutto ciò porrà le basi affinché il bambino possa imparare ad attribuire significati soggettivi e oggettivi ai suoi vissuti emotivi e a quelli degli altri. ▪ I comportamenti difensivi patologici adottati da neonati e bambini deprivati con attaccamento disorganizzato (come l’evitamento della madre, il freezing, il fighting, il reversal) sono per Fonagy espressione di un tentativo di inibizione della capacità di mentalizzazione da parte del bambino stesso (che, naturalmente, si traduce in un’inibizione dello sviluppo nella stessa e deficit): il bambino, di fronte a ripetuti e sistematici fallimenti empatici protratti nel tempo (dalla totale disattenzione all’abuso, passando per il celebre “effetto valanga” di Sullivan → genitore spaventato / spaventante, vedi prima), comincia a ritenere pericoloso esplorare la mente del caregiver (non c’è soluzione alla mia sofferenza; mi abbandonerà e mi lascerà di nuovo indifeso; non mi aiuta perché non mi vuole bene / perché sono malvagio e non merito cure etc.) e trova pertanto come unica possibilità di adattamento quella di inibire la propria capacità di mentalizzare il suo caregiver risparmiando così a sé stesso un’esperienza intollerabile ▪ Per Fonagy, il percorso terapeutico consiste, almeno nelle sue linee generali, in un percorso di “riattivazione” della capacità di mentalizzazione inibita in un contesto in cui il terapeuta cerca di trasformarsi per il paziente in una base sicura da cui procedere all’esplorazione del mondo interno ed esterno William Stern → Psichiatra e psicanalista inglese, uno dei più noti e citati autori nell’ambito dell’infant research, ha dedicato gran parte della sua ricerca allo studio delle competenze relazionali precoci del bambino e alla capacità di “sintonizzazione affettiva”: ▪ Integrando il concetto di Sé nucleare di Kohut con i principali risultati dell’infant research (mente diadica, alla ricerca del contatto degli altri e con competenze relazionali sin dalla nascita, vedi oltre), elabora un modello stadiale: 1) Fase psicofisiologica (vedi M. Mahler) 2) Fase del Sé mentale, che consiste nella progressiva acquisizione, a partire dalla nascita, di quattro sensi del Sé, ognuno associato a un particolare ambito relazione: Senso del Sé emergente (0-2mesi) → Capacità di acquisire all’interno di una consapevolezza estremamente vaga le prime esperienze affettive e percettive Senso del Sé nucleare → Capacità di sperimentare sé stessi come distinti dagli altri Senso del Sé soggettivo → Capacità di comprendere che le proprie esperienze soggettive sono condivisibili Senso del Sé verbale → Capacità di riflettere in merito al proprio Sé, grazie alla comparsa del linguaggio ▪ Introduce il concetto di sintonizzazione affettiva, intesa come la capacità di condividere stati affettivi. I concetti di base più nel dettaglio In questa parte viene analizzato il diverso significato attribuito ad alcuni concetti fondamentali da parte dei vari approcci teorici che si sono susseguiti nel tempo e le conseguenti implicazioni nella pratica clinica. Inconscio Con il termine inconscio s’intende, in generale, qualsiasi tipo di attività psichica al di fuori della consapevolezza. Sebbene nel corso della storia l’esistenza di attività mentale al di fuori della consapevolezza e del controllo cosciente sia stata postulata, seppur con qualche differenza legata allo specifico contesto storico-scientifico, da diversi (tra cui Leibniz nel concetto di “piccole percezioni”, Kant e Fichte nel concetto di “immaginazione produttiva”, Schopenhauer e Nietzsche), si può affermare senza alcun dubbio che il concetto di inconscio inteso così come lo s’intende ora sia divenuto specifico oggetto di studio sistematico solamente a partire da, e grazie a, i lavori di Freud. L’inconscio in Freud -> Come è noto, le prime riflessioni di Freud in merito a ciò che lui stesso denominerà Inconscio (Unbewusstes) cominciano a partire dai suoi lunghi studi sulla sintomatologia e sul trattamento dell’isteria e che poi confluiranno nell’opera intitolata, appunto, “Studi sull’isteria” [Freud, 1892]. In breve, nell’esaminare le caratteristiche dei sintomi isterici, egli inizia progressivamente a nutrire la convinzione l’isteria non provenga da specifiche lesioni anatomiche ma da complesse dinamiche psichiche, di carattere fondamentalmente inconscio, legate ad esperienze traumatiche, generalmente di seduzione sessuale subite durante l’infanzia (teoria della seduzione). Alcuni autori invece ritengono che “la scoperta dell’Inconscio vera e propria” da parte di Freud debba essere collocata nel periodo della cosiddetta “svolta del ’97”, ovvero nel momento in cui Freud, rendendosi conto dall’analisi clinica che spesso l’esperienza traumatica di seduzione dei suoi pazienti isterici non era realmente vissuta, ma appartenente al mondo della fantasia e nata dall’esigenza di mascherare le reazioni alle impressioni ricevute in merito all’attività autoerotica dei primi anni di vita (e che trovano espressione nei sintomi). In ogni caso, la prima vera sistematizzazione di ciò che lui intende per Inconscio, sebbene ve ne fossero naturalmente già degli abbozzi in tutti gli scritti precedenti, specialmente ne “L’interpretazione dei sogni” e in “Psicopatologia della vita quotidiana”, è rintracciabile in “Introduzione alla psicoanalisi”, scritto in cui Freud introduce il suo primo modello di apparato psichico noto come “modello topografico” o “prima topica”. In questo modello, l’Inconscio è concepito come quel sistema, molto diverso dai processi di pensiero che si erano fino ad allora prestati all’osservazione psicologica, in rapporto diretto con il “rimosso” e la cui attività è governata dai principi del processo primario (vedi prima) e del principio di piacere (vedi prima) e si esplica attraverso i meccanismi dello spostamento (processo di acquisizione di una rappresentazione delle caratteristiche appartenenti ad un’altra rappresentazione), della condensazione (processo di unione di più rappresentazioni in un’unica rappresentazione secondo il principio del processo primario) e della sovradeterminazione. A partire dal 1920, ovvero quando in “L’Io e l’Es” introduce il cosiddetto modello strutturale (o seconda topica), nel quale a tutte e tre le istanze che vengono assegnati aspetti consci e inconsci allo stesso tempo, si accentua in Freud l’esigenza di differenziare tra ciò che si potrebbe definire come “descrittivamente inconscio” (ovvero tutto ciò che è al di fuori dalla consapevolezza ma capace di essere evocato, vale a dire il preconscio) da ciò che invece è “dinamicamente inconscio” (ovvero tutto ciò che determina i conflitti intrapsichici e influenza il comportamento e che, salvo l’utilizzo delle tecniche psicoanalitiche, non si può recuperare). Le fantasie inconsce di Melanie Klein -> Le fantasie inconsce sono rappresentazioni primitive e preverbali, cariche affettivamente e investite libidicamente, relative agli oggetti e alle relazioni con essi o tra di essi e che sottendono e organizzano le esperienze del bambino. Alcune sono sostanzialmente innate mentre altre originano dalle sensazioni somatiche dei primi mesi di vita (interpretate dal bambino come relazione con un oggetto che causa intenzionalmente quella sensazione) ma, in ogni caso, tutte contribuiscono alla costituzione degli oggetti interni: quest’ultimi, infatti, derivano dall’interazione tra fantasie inconsce e l’esperienza quotidiana che, appunto, renderebbe queste più realistiche e meno intense, fino a dare vita all’oggetto interno. Inoltre, sempre parlando di inconscio nell’ambito del pensiero kleiniano, è importante sottolineare la sua concezione del gioco: ella considerava il gioco libero come lo strumento principale attraverso cui accedere ai contenuti inconsci dei bambini, l’equivalente infantile dell’analisi dei sogni. L’inconscio in Joseph e Anne-Marie Sandler -> Joseph e Anne-Marie Sandler hanno proposto una loro personale formulazione distinguendo tra Inconscio Passato e Inconscio Presente, che fondamentalmente ricalcano la distinzione tra inconscio dinamico e inconscio descrittivo di Freud. I dubbi di Freud e le considerazioni di Kernberg in merito -> Otto Kernberg ha messo in evidenza come lo stesso Freud, nella fase crepuscolare del suo pensiero, fosse stato assalito da alcuni “tormentosi dubbi” in merito a tale distinzione; in breve: Se è vero che ciò che è dinamicamente inconscio coincide, essenzialmente, con il materiale rimosso dell’Es, come si spiega il fatto che tutti gli aspetti delle relazioni oggettuali infantili rimessi in atto nel trattamento psicoanalitico possono essere considerati dinamicamente inconsci nonostante non siano mai stati rimossi? Se è vero che ciò che è dinamicamente inconscio non si può recuperare se non con le tecniche psicoanalitiche, come mai talvolta si può riscontrare l’emergenza a livello cosciente di materiale dinamicamente inconscio anche in pazienti non psicotici (e.g., nelle patologie di personalità più gravi che fanno parte dell’organizzazione borderline di personalità i contenuti dell’Es possono affiorare a livello della coscienza attraverso stati dell’Io scissi o mutuamente dissociati, contraddittori, consci, Io/Es)? Differenze tra inconscio psicoanalitico e inconscio cognitivo -> Secondo Eagle sostiene che, in linea di massima, la differenza tra inconscio psicoanalitico e inconscio cognitivo riguardi essenzialmente due aspetti fondamentali: Irrazionalità e illogicità → Nella psicologia dinamica, i processi mentali inconsci seguono i principi del processo primario e del principio di piacere, mentre nella psicologia cognitiva, i processi mentali inconsci sono “intelligenti, logici e problem solving”, tutto fuorché irrazionali (basti pensare alle operazioni intelligenti, complesse ma inconsce sottese alla percezione che intervengono in situazioni come quella della stanza di Ames o dei triangoli di Rock) Recuperabilità → Nella psicologia dinamica, i contenuti inconsci sono, con le dovute accortezze, recuperabili e verbalizzabili, mentre nella psicologia cognitiva in genere non sono recuperabili e verbalizzabili (memoria procedurale) Emozioni e affetti In genere, con: Emozione s’intende la specifica configurazione di risposte stereotipate del sistema motorio viscerale (e.g., aumenti o diminuzioni della frequenza cardiaca, della circolazione cutanea, della temperatura corporea, della sudorazione, della piloerezióne, della dimensione delle pupille e della motilità intestinale) e del sistema motorio somatico (in particolare quelle relative ai muscoli facciali e all’insieme di muscoli scheletrici alla base della postura) in relazione a determinati stimoli interni o esterni, naturali o appresi (vedi Damasio). Sentimento l’esperienza soggettiva, non sempre pienamente consapevole, associata ad un’emozione Affetto s’intende lo spettro di sentimenti, positivi e negativi, in merito ad uno specifico stimolo È opportuno ricordare che nell’ambito della psicoanalisi e, più in generale, della psicologia dinamica, invece, talvolta si tende a non considerare tale distinzione e ad utilizzare tali termini in maniera interscambiabile. Gli affetti nella teoria freudiana -> Freud non ha mai dedicato una trattazione specifica al tema degli affetti, tuttavia, sin dai suoi primi studi sulla sintomatologia dell’isteria è sempre trasparsa l’idea che gli affetti giocassero un ruolo centrale nella comprensione dello sviluppo, del funzionamento psichico e della psicopatologia. In linea di massima, si possono individuare due periodi fondamentali in merito alla sua concezione degli affetti: Dai suoi primi lavori sino al periodo che immediatamente precede l’introduzione della seconda topica, Freud concepisce gli affetti essenzialmente come la corrispondente base energetica di una rappresentazione, una somma variabile di eccitazione, di natura prevalentemente inconscia, che si sviluppa come una carica elettrica e che può essere spostata, trasformata oppure scaricata. Dall’introduzione della seconda topica in poi, Freud aggiunge alla sua precedente concezione la dimensione soggettiva dei vissuti affettivi; più specificatamente, nell’ultimo Freud, gli affetti sono concepiti come “qualcosa di molto composito” che “comprende in primo luogo le innervazioni e scariche motorie” viscerali e somatiche e “in secondo luogo, certe sensazioni; quest’ultime sono di natura duplice: le percezioni delle azioni motorie che si sono verificate e le sensazioni dirette di piacere e dispiacere che danno all’affetto, per così dire, la sua nota fondamentale”. Questa diversa concezione degli affetti si riscontra, oltre che in alcuni passi dove viene affrontata in maniera esplicita, nell’enfasi posta sugli aspetti ora quantitativi ora qualitativi degli affetti all’interno dei due principali modelli eziopatogenetici freudiani: il modello del trauma e il modello del conflitto. Infatti, mentre nel modello del trauma sessuale la dimensione qualitativa e soggettiva degli affetti viene relativamente trascurata, in quanto la sintomatologia nevrotica (più specificatamente isterica) viene considerata essenzialmente come la conseguenza di un “affetto indigesto” (che aumenta la somma di eccitamento totale) legato ad un ricordo traumatico che non potendo essere scaricato trova espressione nei sintomi, nel modello pulsionale, invece, viene riservata grande attenzione al dispiacere legato all’incompatibilità fra rappresentazioni contraddittorie o alla loro intollerabilità e al ruolo di quest’ultimo nell’innescare le complesse dinamiche intrapsichiche che daranno vita alla psicopatologia e alla sintomatologia corrispondente. Un’altra prova dell’importanza riservata agli affetti si può individuare nella distinzione tra conversione dell’affetto (isteria), spostamento dell’affetto (nevrosi ossessiva) e trasformazione dell’affetto (nevrosi d’angoscia e melanconia). L’affetto in Melanie Klein -> Nel modello kleiniano, gli affetti giocano un ruolo essenziale non solo nella formazione della psicopatologia, ma anche nella creazione degli oggetti interni e delle relazioni oggettuali che ne conseguono e nello sviluppo psicologico del bambino. In breve, la Klein sostiene che si sviluppino progressivamente grazie alla continua interazione tra fantasie inconsce (vedi prima) ed esperienza reale con l’oggetto in questione, da una parte, e investimento pulsionale (di vita o di morte secondo la Klein) e proiezione dei sentimenti sugli oggetti reali, determinanti nella costituzione e continua modificazione delle fantasie interne e derivanti da tali esperienze, dall’altra. [Vedi Sviluppo psicologico in M. Klein, prima] In questa linea di pensiero, il conflitto riguarda essenzialmente affetti incompatibili Gli affetti in Wilfred Bion -> Secondo Wilfred Bion la capacità di “metabolizzare gli affetti” (in un certo senso quella che oggi viene chiamata regolazione emotiva, vedi oltre) assume un ruolo centrale non solo nel funzionamento psichico ma anche, e forse soprattutto, nella psicopatologia (vedi prima). Gli affetti in André Green -> André Green concepisce gli affetti come una delle diverse modalità di rappresentazione coesistenti nel funzionamento della psiche. In breve, il famoso psicoanalista francese, nel riprendere la distinzione freudiana tra rappresentante psichico (richiesta di elaborazione psichica che dal corpo giunge alla mente) e rappresentazione della pulsione (insieme costruito da contenuto ideativo e quota d’affetto), sostiene che nel processo di costruzione della rappresentazione della pulsione emergerebbero invece due tipi di rappresentazione aventi “lo stesso status rappresentazionale”, i contenuti ideativi e gli affetti, appunto. Gli affetti in Kernberg -> Kernberg sostiene che gli affetti siano essenzialmente disposizioni innate, al confine tra la sfera biologica e intrapsichica che, oltre ad avere una fondamentale funzione comunicativa (evidente sin dalle precoci interazioni diadiche bambino-caregiver), svolgono la funzione chiave di “organizzatori” delle relazioni oggettuali interiorizzate e delle pulsioni. In breve, secondo Kernberg, essendo le relazioni oggettuali interiorizzate un’entità inscindibile di rappresentazioni del sé, rappresentazioni dell’oggetto in questione e stato affettivo che li lega, si può affermare che gli affetti non solo determinino il carattere e pertanto definiscano e organizzino la relazione oggettuale ma anche guidino i moti pulsionali: l’insieme di affetti positivi che definiscono la relazione costituiranno il motore dei movimenti pulsionali libidici e l’insieme di quelli negativi il motore dei movimenti pulsionali aggressivi. La proposta di Kernberg di riunire affetti rappresentazioni dell’oggetto, oltre a permettere un dialogo tra il modello pulsionale e la teoria delle relazioni oggettuali, ha il merito di prospettare dei possibili collegamenti con i modelli neurobiologici. [Vedi L’origine affettiva e relazionale del Sé nella prospettiva intersoggettiva] Intimità e sessualità Per sessualità s’intende in genere l’insieme di rappresentazioni, desideri e comportamenti attinenti alle relazioni sessuale umane. La sessualità in Fred -> Come è noto, il tema della sessualità ha da sempre pervaso il pensiero freudiano sin dalle sue prime formulazioni. Del resto, sia nei suoi primi studi sulla sintomatologia isterica che lo hanno condotto ad elaborare il modello del trauma (dove, infatti, individua i fattori eziologici dell’isteria in esperienze traumatiche di seduzione sessuale subite durante l’infanzia, il cui ricordo in un periodo successivo darebbe vita a complesse dinamiche psichiche, di carattere fondamentalmente inconscio, che sfocerebbero nella sintomatologia), sia nella famosa “svolta del ‘97” che è sfociata nell’elaborazione del modello della fantasia (dove, infatti, individua i fattori eziologici delle nevrosi in fantasie di carattere sessuale nate per mascherare le reazioni alle impressioni ricevute in merito all’attività autoerotica dei primi anni di vita e che trovano espressione nei sintomi) e sia, ancora, nel modello pulsionale (dove, infatti, individua i fattori eziologici delle nevrosi nelle pulsioni, in primis di carattere sessuale, che premono per essere elaborate e soddisfatte), le vicende attinenti alla sfera sessuale vengono considerate, nella maggior parte dei quadri psicopatologici (in alcuni scritti, in tutti, con naturalmente le dovute distinzioni), fattori assolutamente determinanti. Detto ciò, i principali contributi freudiani in merito alla sessualità in senso stretto possono essere individuati in “Tre saggi sulla teoria sessuale”, (dove, tra le altre cose, introduce il modello di sviluppo psicosessuale infantile, i concetti di pulsione e libido ed offre una sistematizzazione delle perversioni) e in “Tipi libidici” (dove, appunto, introduce la teoria dei tipi libidici). Tra quelli appena citati, il modello di sviluppo psicosessuale è forse il contributo probabilmente più innovativo di Freud in merito alla sessualità, specialmente tenendo conto il contesto storico-scientifico all’interno del quale è stato elaborato (vedi prima). Nel capitolo dei “Tre saggi sulla teoria sessuale” intitolato “La teoria della libido”, Freud introduce il concetto di pulsione (distinguendolo dal concetto di istinto ma non offrendone una descrizione dettagliata come in “Pulsioni e loro destini”, in quanto introduce solo i concetti di “oggetto” e “meta” della pulsione; vedi oltre), e, naturalmente, di libido, intendendola come l’aspetto energetico delle pulsioni sessuali. Egli ne distingue due tipologie fondamentali a seconda di dove essa verrebbe direzionata: libido oggettuale (rivolta verso oggetti esterni) e libido dell’Io o libido narcisistica (rivolta verso di sé). Nel primo dei tre saggi (nel secondo introduce il modello dello sviluppo psicosessuale e nel terzo affronta la fase genitale nello specifico), invece, Freud propone una classificazione delle perversioni basata sui concetti di oggetto (ciò mediante il quale la pulsione può raggiungere la meta) e meta (soddisfacimento e riduzione stato di eccitamento) della pulsione. La teoria dei tipi libidici afferma che, sulla base di alcune caratteristiche della libido, le persone possano essere distinte in: tipo erotico (individui il cui interesse principale è quello di essere amati e, pertanto, sono dominati dall’angoscia di perdere l’amore), tipo ossessivo (individui il cui interesse principale è quello di soddisfare le esigenze del proprio Super-Io e, pertanto, dominati dall’angoscia morale), tipo narcisistico (individui il cui interesse principale è quello della conservazione del proprio Sé) e tipi misti (individui che rappresentano una combinazione di due tipi libidici; esistono quello erotico-ossessivo, quello erotico-narcisistico e quello narcisistico-ossessivo). Secondo Freud, nella realtà pratica non si osservano quasi mai tipi libidici allo stato puro ma quasi sempre tipi misti e un ipotetico tipo misto erotico-ossessivo-narcisistico rappresenterebbe la norma assoluta. La sessualità in Kernberg -> Per Kernberg quando si parla di sessualità è doveroso innanzitutto distinguere tra eccitazione sessuale, intesa come un istinto di base all’incirca paragonabile a ciò che Freud intendeva per pulsione libidica e desiderio sessuale, inteso come il desiderio di fusione con un oggetto. Del resto, come sottolinea lo stesso Kernberg, la gratificazione erotica promessa dalla stimolazione delle zone erogene del corpo ed innescata dall’eccitazione sessuale tende progressivamente a diminuire o a svanire se l’atto sessuale non è al servizio di una più ampia funzione inconscia di diventare una cosa sola con l’oggetto prescelto. Tale desiderio, secondo Kernberg, comprende sia le fantasie di penetrare attivamente e di essere incorporati passivamente, sia quelle di essere penetrati passivamente e di incorporare attivamente. Inoltre, queste fantasie del penetrare ed incorporare testimonierebbero il ruolo dell’aggressività al servizio dell’amore. La sessualità nella teoria multi-motivazionale di Lichtenberg -> Lichtenberg considera il sistema sessuale-sensuale, quello dell’attaccamento e quello esplorativo assertivo profondamente collegati, specialmente nell’ambito della vita sentimentale di coppia. In questo senso, i problemi di coppia potrebbero essere concepiti come una disconnessione di tali sistemi o mancanza di corrispondenza nei membri della coppia [Cavanna, 2009]. Sistemi motivazionali In generale con il termine motivazione s’intende ciò che spinge un organismo verso una meta o uno scopo. Nel corso del tempo il modo di affrontare la motivazione nell’ambito della psicologia dinamica è cambiato significativamente: mentre in un primo momento la ricerca psicodinamica in ambito motivazionale ha impiegato le sue risorse nell’individuazione della motivazione primaria che, consciamente o inconsciamente, guiderebbe ogni azione umana e rispetto alla quale tutte le altre sarebbero mere derivate, gli sviluppi successivi, anche grazie ai risultati provenienti dall’infant research e da altre discipline, hanno invece preferito studiare la motivazione partendo da una prospettiva multi-motivazionale. La motivazione in Freud -> Per Freud, la motivazione primaria è il soddisfacimento pulsionale e la riduzione della somma di eccitamento. In altri termini, nell’ottica freudiana, tutte le azioni umane possono essere spiegate, in ultima analisi, come il tentativo reputato più adeguato a soddisfare una pulsione e ridurre il livello di stimolazione aumentato da essa. Il concetto di pulsione viene trattato in maniera sistematica per la prima volta all’interno del capitolo intitolato “La teoria della libido” nei “Tre saggi sulla teoria sessuale”, dove Freud introduce i concetti di pulsione distinguendolo dal concetto di istinto e, naturalmente, di libido, intendendola come l’aspetto energetico delle pulsioni sessuali. In tale scritto distingue poi tra due tipologie fondamentali di pulsioni: pulsioni sessuali e pulsioni dell’Io o di autoconservazione (fame, sete etc.). Tuttavia, la trattazione più dettagliata del concetto di pulsione è forse da individuare in “Pulsioni e loro destini”, nel quale, concependo la pulsione come “il rappresentante psichico degli stimoli che traggono origine dall’interno del corpo e pervengono alla psiche come misura delle operazioni che vengono richieste alla sfera psichica in funzione della sua connessione con quella corporea”, introduce tutti e quattro gli elementi che da lì in poi verranno considerati da Freud come le componenti della pulsione: fonte (il processo somatico che ha origine in un organo o parte del corpo), spinta (l’insieme delle operazioni motorie connesse alla fonte) meta (la possibilità di soddisfacimento e conseguente riduzione della somma di eccitamento), oggetto (ciò mediante cui la pulsione può raggiungere la meta). Anche nei tre saggi individua alcune componenti della pulsione, ma nomina solo i concetti di “oggetto” e “meta”. Nel suo ultimo periodo di attività, alla luce di alcune osservazioni cliniche che lo misero dinanzi a comportamenti che non potevano essere spiegati in base al principio di piacere e alla soddisfazione libidica (di cui il prototipo principale è rappresentato dalla coazione a ripetere), Freud decide di sostituire la distinzione precedentemente descritta tra pulsioni sessuali e pulsioni dell’Io con quella che vede contrapporsi pulsioni di vita (pulsioni sessuali e pulsioni dell’Io) e pulsioni di morte (pulsioni aggressive) [Al di là del principio di piacere, 1920]. La motivazione in M. Klein -> In generale si può dire che Melanie Klein, pur non distaccandosi totalmente dalla concezione freudiana (individua anche lei due pulsioni fondamentali, quelle di vita e quelle di morte), ne prende allo stesso tempo le distanze circa due aspetti fondamentali: il primo riguarda il fatto che, secondo lei, l’oggetto è legato alla pulsione ab initio, nasce con la pulsione stessa, il secondo riguarda invece l’esigenza da parte della Klein di considerare la ricerca di affetti come motivazioni primarie imprescindibili (esempio del seno, vedi pag. 156) La motivazione in Fairbairn -> Tuttavia è con Fairnbairn che si assiste ad un primo viraggio esplicito dalla concezione freudiana della motivazione: secondo Fairbairn, il vero fine motivazionale non è la riduzione della tensione ma l’instaurazione di relazioni soddisfacenti con oggetti. In quest’ottica, la tensione (somma di eccitamento) è intesa come tensione creata dai bisogni di relazione e ricerca dell’oggetto e l’alleviamento della tensione fisica da fine diventa mezzo per il raggiungimento della motivazione di fondo, ovvero la relazione con l’altro (è quindi l’oggetto a costituire la vera meta pulsionale). La motivazione nella psicologia dell’Io -> Introduzione psicologia dell’Io (vedi prima) Come si può intuire da queste premesse, gli psicologi dell’Io individuano la spinta motivazionale primaria nel concetto di adattamento. La motivazione nella teoria dell’attaccamento -> Nell’ambito della teoria dell’attaccamento (Bowlby e Ainsworth), il comportamento d’attaccamento e le reazioni del bambino alla separazione dalla figura d’attaccamento vengono interpretate come espressione del fondamentale bisogno di sicurezza del bambino, un bisogno primario non conseguente al soddisfacimento di bisogni fisiologici. Questa spinta al legame per soddisfare il proprio bisogno di sicurezza è così forte che, in effetti, il bambino cerca di instaurare la relazione d’attaccamento anche quando il suo oggetto d’attaccamento è poco responsivo o soddisfacente, o addirittura abusante. La motivazione in Sullivan -> Secondo Sullivan, gli individui sono essenzialmente guidati da due bisogni fondamentali che si rendono sistematicamente manifeste nella vita relazionale degli individui: bisogni di soddisfazione (fisiologici ed affettivi) e bisogni di sicurezza. La motivazione in H. Kohut -> Secondo Kohut, la motivazione alla soddisfazione dei propri bisogni narcisistici non può essere subordinata a nessuna altra motivazione precedentemente descritta (vedi prima). La motivazione a mantenere la coerenza del Sé -> Nel corso del tempo, parallelamente a quanto detto, diversi autori hanno fatto presente, alcuni più esplicitamente di altri, al fatto che la motivazione a mantenere la coerenza del Sé (coerenza tra atteggiamenti e comportamenti) possa essere considerata una motivazione non inferiore alle motivazioni precedentemente descritte. In questa linea di pensiero si muove il concetto winnicottiano di falso Sé con funzione difensiva: in breve, secondo il celebre pediatra e psicoanalista americano, crescere in un ambiente che sistematicamente non ascolta, non riconosce o non valida le proprie manifestazioni affettive, i propri bisogni e le proprie modalità relazionali può in un primo momento, per via dell’elevata rilevanza che i bisogni di sicurezza e relazione rivestono nei primi anni dello sviluppo, costringere il bambino a “mascherare la sua vera essenza” e modellare il suo comportamento solo ed esclusivamente in funzione dell’ambiente disfunzionale in cui è inserito (“costruire un falso Sé con funzione difensiva”, appunto), impedendogli così un sano e autentico contatto con le proprie emozioni e di conseguenza una sana e coerente maturazione del proprio Sé. Tuttavia, secondo Winnicott, con il passare del tempo, il bisogno di coerenza dell’individuo comincerà a far vacillare il falso Sé, manifestandosi come frequente angoscia (dissonanza cognitiva), senso di insoddisfazione verso Sé stessi e le proprie relazioni, profonda insicurezza ed atteggiamenti dipendenti. La teoria multi-motivazionale di Lichtenberg -> Come accennato precedentemente, con l’aumentare delle tecniche di osservazione in ambito infantile e dei risultati provenienti dall’infant research (dai quali emerge l’immagine di un bambino socialmente competente e alla ricerca di stimoli sin dalla nascita, che già in età precocissima mostra molteplici motivazioni apparentemente separate tra loro ciascuna delle quali però a suo modo imperativa) ed altre discipline affini, la ricerca sulla motivazione all’interno del paradigma psicodinamico degli ultimi decenni ha invece preferito partire da una prospettiva multi-motivazionale. Tra i tanti modelli multi-motivazionali proposti, il più noto e apprezzato è senza dubbio quello di Lichtenberg. In sostanza, Lichtenberg propone un modello multi-motivazionale in cui la motivazione è concepita come una serie di sistemi, detti naturalmente “sistemi motivazionali”, volti a promuovere la realizzazione e la regolazione di bisogni di base; tali sistemi sarebbero cinque e, nella vita quotidiana, sarebbero in continua relazione e influenzamento reciproco: Sistema motivazionale delle esigenze fisiologiche → Basato sulla soddisfazione delle spinte che assicurano la sopravvivenza (fame, sete, sonno etc.) Sistema motivazionale di attaccamento-affiliazione → Basato sulla soddisfazione dei propri bisogni di sicurezza e di relazione Sistema motivazionale esplorativo-assertivo → Basato sulla soddisfazione dei propri bisogni di conoscenza, di scoperta e esercitare un’influenza sul mondo Sistema motivazionale avversivo → Basato sulla soddisfazione dei propri bisogni di competizione Sistema motivazionale sensuale-sessuale → Basato sulla soddisfazione dei propri bisogni sensuali (benessere, calma, rilassatezza) e sessuali propriamente detti (soddisfazione orgasmica genitale) [Vedi anche il bisogno di riconoscimento (essere riconosciuto come essere dotato di sentimenti), di rispecchiamento (di ritrovare sé stessi nel volto e nella mente dell’oggetto) di sintonizzazione affettiva (di poter condividere stati emozionali)] Oggetti interni e Modelli Operativi Interni I vari approcci teorici che si sono susseguiti nel tempo all’interno della riflessione psicodinamica spesso si sono distinti per l’aver assegnato al concetto di “oggetto” alcune sfumature differenti ma, in linea di massima, si può affermare che in tutti i principali autori esso ha sempre fatto riferimento alla relazione esistente tra le persone e ciò che di queste entra a far parte del funzionamento psichico in termini di immagini e contenuti simbolici. Oggetto in Freud -> Negli scritti di Freud, il termine “oggetto” viene utilizzato quasi esclusivamente con l’accezione di “oggetto pulsionale”, ovverosia ciò attraverso cui può essere raggiunta la “meta pulsionale”, cioè il soddisfacimento della pulsione e la riduzione della tensione e il rispristino dei livelli fisiologici della cosiddetta “somma di eccitamento” che ne conseguono. In altri termini, nel pensiero freudiano l’oggetto è la rappresentazione interna di una qualsiasi cosa o persona verso cui l’individuo può, in un dato momento, investire la sua libido e, di conseguenza, utilizzare come mezzo per soddisfare le proprie pulsioni e risolvere il proprio stato di tensione. In questo senso, come sottolinea lo stesso Freud in “Pulsioni e loro destini”, l’oggetto può essere considerato come “l’elemento più variabile della pulsione” in quanto “non è originariamente collegato ad essa, ma”, appunto, “le è assegnato soltanto in forza della sua proprietà di rendere possibile il soddisfacimento”; per Freud, quindi, una determinata pulsione può raggiungere la sua meta “passando” per oggetti differenti, non necessariamente tramite il medesimo). [Vedi pag. 189, la costanza dell’oggetto] Oggetto in Melanie Klein -> Sebbene la Klein abbia sempre operato sentendosi saldamente radicata all’impianto psicanalitico di base della sua epoca, è noto come molte delle riflessioni da lei introdotte e desunte, in prevalenza, dalla sua attività di psicanalista infantile, abbiano spostato buona parte del successivo pensiero psicanalitico verso ipotesi e concetti talvolta anche piuttosto distanti dalla teoria pulsionale freudiana, specialmente in termini di sviluppo psichico. All’interno di tale gruppo di riflessioni, naturalmente, non si possono non citare quelle relative al concetto di “oggetto” e i costrutti ad esso collegati. Innanzitutto, il primo punto su cui la riflessione kleiniana in merito si discosta da quella freudiana è la “sfumatura relazionale” che la celebre psicoanalista infantile dà a tale concetto: mentre in Freud il termine oggetto viene sostanzialmente utilizzato per designare la rappresentazione di qualsiasi persona o cosa sulla quale possa avvenire l’investimento pulsionale (e il conseguente soddisfacimento), nel pensiero kleiniano il termine oggetto viene utilizzato per indicare rappresentazioni di persone (o, inizialmente, parti del corpo) percepiti come dotati di esistenza propria e di propri impulsi con i quali il soggetto cerca di entrare in relazione. In secondo luogo, per la Klein, a differenza di Freud, non c’è pulsione senza oggetto: quest’ultimo è imprescindibilmente legato alla pulsione ab initio e, appunto, esiste col nascere della pulsione stessa (e viceversa). Infine, in merito alla nozione di oggetto, il pensiero kleiniano diverge ulteriormente da quello freudiano anche per quanto concerne la genesi degli oggetti interni. Più specificatamente, mentre per Freud gli oggetti interni si costituiscono essenzialmente attraverso le esperienze gratificanti e frustranti con l’oggetto esterno, per Klein essi (e le relazioni oggettuali corrispondenti) si sviluppano progressivamente dalla continua interazione tra fantasie inconsce (vedi prima) ed esperienza reale con l’oggetto in questione, da una parte, e investimento pulsionale (di vita o di morte secondo la Klein) e proiezione dei sentimenti sugli oggetti reali (determinanti nella costituzione e continua modificazione delle fantasie interne e derivanti da tali esperienze), dall’altra. Oggetto transizionale di Winnicott -> Secondo Winnicott, durante le prime esplorazioni, i bambini scelgono sempre un “oggetto transizionale”, ovverosia un oggetto che per il bambino rappresenta “la presenza della madre in sua assenza” e che permette al bambino di esplorare l’ambiente circostante allontanandosi per un certo periodo di tempo da lei ma mantenendo comunque la sensazione della costanza della sua presenza Oggetto-Sé di Kohut -> Secondo H. Kohut, i caregiver (primariamente la madre) rappresentano per il bambino ciò che Kohut chiama “oggetti-Sé”, ovvero oggetti che servono a sviluppare e sostenere il Sé nascente del bambino, sia fornendo il conforto e ammirazione necessari, sia presentandosi come una “fonte di ispirazione” (introiezione); aggiungi qualcosa sul pensiero di Kohut, vedi prima Modelli Operativi Interni -> A partire dai lavori di Bowlby, Mary Ainsworth e di altri autori attivi all’interno della teoria dell’attaccamento, si fece progressivamente strada anche all’interno del panorama psicodinamico l’idea che, nel corso dell’interazione con il proprio ambiente, le persone tendano più a costruire degli schemi mentali in grado di mettere l’organismo nelle condizioni di reagire con un certo anticipo piuttosto che delle semplici copie interne del mondo esterno. Nell’ambito della teoria dell’attaccamento, tali schemi mentali sono detti Modelli Operativi Interni. In breve, secondo Bowlby, nel corso dello sviluppo, grazie la crescita cognitiva e lo sviluppo del linguaggio, la continua interazione tra i semplici schemi comportamentali alla base del comportamento d’attaccamento e le risposte della figura d’attaccamento determina nel bambino la costruzione dei cosiddetti Modelli Operativi Interni, ovvero l’insieme rappresentazioni, affetti, fantasie e schemi comportamentali relativi alla figura d’attaccamento e alla relazione con essa, in base ai quali il bambino interpreta il comportamento della figura d’attaccamento, prevede con un certo anticipo la situazione e seleziona la strategia più funzionale. Con il procedere dell’età e l’instaurazione di continue altre relazioni con “altri significativi”, i MOI progressivamente si consolidano, acquistando al contempo maggior flessibilità, fino a cominciare ad operare a livello inconscio e ad andare a costituire la base dei propri pattern relazionali. Io vs Sé I concetti di Io e Sé rappresentano due costrutti fondamentali che hanno subito una notevole evoluzione teorica nel corso del tempo e che riflettono prospettive differenti, ma complementari, sull'organizzazione psichica dell'individuo e sul rapporto tra mondo interno ed esterno. Mentre in un primo momento (in primis in Freud) la maggior parte degli autori concepiva l’Io come quella struttura associata alla consapevolezza che funge da “interfaccia” tra mondo interno ed esterno, ed utilizzava il termine Sé sostanzialmente come suo sinonimo, si è progressivamente passati dall’identificazione del Sé come immagine che l’Io costruisce di sé stesso, sino ad una visione più complessa e articolata in cui quest’ultimo viene inteso come espressione della totalità della personalità e del proprio corpo. Da quel momento in poi, il Sé ha assunto una centralità all’interno della riflessione psicodinamica senza precedenti che ha aperto nuove prospettive teoriche e cliniche, talvolta in con

Use Quizgecko on...
Browser
Browser