Mentalizzazione e Attaccamento (PDF)
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Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
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Questo documento discute la mentalizzazione e il suo rapporto con l'attaccamento, in particolare attraverso la lente della teoria di Fonagy. Esamina come la capacità di comprendere la mente propria e altrui si sviluppi nell'infanzia e come il tipo di attaccamento possa influenzare tale processo. Il documento esplora anche le diverse fasi dello sviluppo della mentalizzazione e la relazione con la regolazione emotiva.
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MENTALIZZAZIONE - capacità di interpretare le azioni proprie e altrui ( pazienti borderline il deficit si trova a questo livello —> fatica a comprendere cosa ha nella mente l’altro) Attualmente l’OED propone due significati per “mentalizzare”: - “costruire o raffigurarsi nella mente, immag...
MENTALIZZAZIONE - capacità di interpretare le azioni proprie e altrui ( pazienti borderline il deficit si trova a questo livello —> fatica a comprendere cosa ha nella mente l’altro) Attualmente l’OED propone due significati per “mentalizzare”: - “costruire o raffigurarsi nella mente, immaginare o dare una qualità mentale a qualcosa”. - “sviluppare o coltivare mentalmente o stimolare la mente”. La capacità di mentalizzazione non è innata, si evolve invece dall’infanzia e attraverso l’adolescenza, in base al contesto relazionale in cui cresciamo (contesto psico-affettivo) La mentalizzazione ha una componente intrapsichica e una componente interpersonale, le quali forniscono all'individuo la capacità di distinguere tra realtà interna e realtà esterna. La mentalizzazione è sostenuta da diverse abilità cognitive, tra cui la comprensione degli stati emotivi, la capacità di controllo dell’attenzione e la capacità di esprimere giudizi sugli stati soggettivi. 6.1 ORIGINE DEL CONCETTO DI MENTALIZZAZIONE Per Fonagy la capacità di mentalizzare si sviluppa attraverso interazioni reciproche all’interno di un legame interpersonale significativo tra la figura di attaccamento e il bambino. La nozione di mentalizzazione, dice Fonagy, era già presente in alcuni modelli psicoanalitici precedentemente formulati (Freud, Klein, Bion, Winnicott), sono sotto altri nomi. Il Sé psicologico può svilupparsi attraverso la percezione del fatto che un’altra persona ci pensa come soggetti dotati di stati mentali. I genitori che non possono riflettere in modo comprensivo sull’esperienza interna del bambino, e rispondergli di conseguenza, lo deprivano di un’esperienza psicologica necessaria a costruire un senso di sé vitale. 6.2 MENTALIZZAZIONE E ATTACCAMENTO La ricerca ha dimostrato la presenza di una complessa interazione evolutiva tra la capacità di mentalizzazione e la sicurezza dell’attaccamento nella primissima e nella prima infanzia. La teoria dell’attaccamento individua alcune importanti funzioni evolutive dell’attaccamento: - la regolazione affettiva e degli stati di stress. - lo stabilirsi di meccanismi di controllo dell’attenzione. - lo sviluppo delle capacità di mentalizzazione. La struttura maggiormente attiva nei compiti di mentalizzazione è la corteccia pre-frontale mediale. Quando si attivano le aree cerebrali che mediano l’attaccamento materno e/o romantico, viene soppressa l’attività cerebrale nelle regioni associate al giudizio sociale e alla mentalizzazione. Possiamo così pensare che trovarsi in uno stato di intenso attaccamento inibisca la mentalizzazione. In una relazione di attaccamento sicuro, infatti, il bambino può esplorare la mente dell’altro sentendosi relativamente sicuro di non trovarvi intenzioni ostili verso il Sé. Ciò implica un bisogno meno pressante di crearsi un modello mentale di ciò che potrebbero pensare gli altri. La mentalizzazione è per Fonagy un’arma da utilizzare nella lotta per la sopravvivenza. Se da un lato l’attaccamento sicuro nella prima infanzia può favorire lo sviluppo della mentalizzazione, dall’altro un intenso legame di attaccamento inibisce la capacità di mentalizzare. Per questo motivo alcuni autori ipotizzano che la mentalizzazione si sviluppi nel contesto di legami cooperativi e non di attaccamento Nel 1987 Fonagy, in collaborazione con altri autori, ha fatto uno studio sulla trasmissione transgenerazionale dei modelli di attaccamento. La loro ricerca è riuscita a dimostrare: - stato mentale dei genitori rispetto all'attaccamento, valutato prima nella nascita del bambino, è predittivo della classificazione ottenuta da quel bambino alla Strange situation a 12 mesi. - madre e padre con capacità riflessiva di buon livello avevano probabilità maggiori di avere figli sicuri. - una buona capacità di mentalizzare può rompere il circolo vizioso che di solito porta i genitori con storie di attaccamento difficile a crescere figli insicuri La capacità di mentalizzare rappresenta un fattore protettivo che riduce l’impatto delle esperienze precoci difficili e la probabilità della trasmissione transgenerazionale dell’insicurezza dell’attaccamento. Scoperte come queste hanno portato Fonagy a considerare la capacità di mentalizzare come assolutamente centrale per l’attaccamento. Le capacità di mentalizzazione del genitore sono determinanti nel favorire l’attaccamento sicuro del bambino e l’attaccamento sicuro fornisce il contesto determinante per attivare il potenziale metallizzante proprio del bambino. La psicopatologia borderline può essere considerata il riflesso di un’inibizione della mentalizzazione. La psicoterapia può essere vista come un tentativo di ripristinare o innescare la capacità di mentalizzare. 6.3 MENTALIZZAZIONE: IPOTESI EVOLUTIVA Nel modello di Fonagy e Target (2003) il bambino può acquisire la capacità di mentalizzazione grazie allo sviluppo della comprensione della natura rappresentazionale delle menti e della regolazione affettiva. 6.3.1 COMPRENSIONE DELLA NATURA RAPPRESENTAZIONALE DELLE MENTI I bambini imparano nei primi mesi di vita che loro (e gli altri) sono agenti fisici e sociali in grado di influenzare e di essere influenzati da oggetti esterni e dalle persone. Successivamente, intorno ai 9 mesi, sviluppano un metodo teleologico, ovvero si aspettano che le azioni degli agenti siano razionali e dirette a uno scopo. Durante il secondo anno di vita, i bambini cominciano a interpretare le azioni degli agenti intenzionali come derivanti da desideri, bisogni e intenzioni. Tuttavia, nei primissimi anni di vita, i bambini non sono in grado di separare completamente gli stati mentali dalla realtà esterna. → ciò determina una mancanza di flessibilità definita “equivalenza psichica”, ovvero gli stati mentali sono equivalenti alla realtà. Si ha un’onnipotenza soggettiva e la sensazione di conoscere già tutto ciò che esiste lì fuori. In questa modalità del funzionamento mentale se il bambino viene maltrattato, avrà la sensazione di averlo meritato perché è cattivo Modalità del far finta → è il completamento evolutivo della modalità dell’equivalenza psichica. Il bambino separa le proprie fantasie interne dal mondo esterno. Il mondo interno, cioè, è dissociato da quello esterno. Nel pensiero dissociato il far finta si estende a tal punto che nessun pensiero ha implicazioni sulla realtà. Modalità riflessiva → emerge dai 4 anni ed è la capacità di prendere in considerazione la relazione tra realtà interna ed esterna. 6.3.2 REGOLAZIONE AFFETTIVA Nei primi mesi di vita i neonati preferiscono le relazione stimolo-risposta che permettono loro di scoprire il Sé corporeo nel mondo fisico. Si ha una svolta della responsività contingente a 3 mesi: invece di prestare attenzione alle proprie azioni, i bambini preferiscono osservare l’ambiente sociale emotivamente responsivo. Fonagy osserva che i genitori capaci di una buona sintonia emotiva trasmettono la loro empatia e la capacità di affrontare quanto accade attraverso un rispecchiamento che è allo stesso tempo contingente e caratterizzato. Le dimostrazioni facciali o vocali corrispondono agli affetti del bambino, così che diventano la base per le prime rappresentazioni degli affetti del bambino. Il genitore deve però caratterizzarlo in parte come “far finta”. Le risposte del genitore che hanno queste modalità pongono le fondamenta per il riconoscimento e la regolazione di affetti e impulsi. E’ ottimale un livello intermedi di coordinazione bidirezionale madre-bambino, che predice un attaccamento sicuro, mentre un grado elevato di coordinazione bidirezionale tra madre e bambino rappresenta un indice di rischio e predice spesso un attaccamento di tipo insicuro-disorganizzato. Fonagy sostiene che alcune forme di psicopatologia possono essere associate a particolari modalità di fallimento nella sintonizzazione e nel rispecchiamento all’interno della relazione caregiver-bambino. Il rispecchiamento affettivo del genitore non “caratterizzato” può portare il bambino a sentirsi sopraffatto dalla natura contagiosa della propria angoscia perché il suo sconvolgimento sembra provocare nel genitore un’emoziona identica. Un rispecchiamento non caratterizzato ripetuto porterebbe a rinforzare la modalità dell’”equivalenza psichica”. Un rispecchiamento non contingente può portare al risultato di un senso di vuoto interno e allo strutturarsi di un falso Sé. Il rispecchiamento non contingente rinforza l’uso della modalità del “far finta”, sviluppando una vulnerabilità alla patologia narcisistica. Attaccamento e regolazione degli affetti Jude Cassidy (1994), → collega direttamente regolazione emotiva e attaccamento - sostenne che il bambino regola le proprie emozioni al fine di mantenere la vicinanza con la figura di attaccamento. - arriva a questa ipotesi prendendo in considerazione: la teoria dell’attaccamento di Bowlby, secondo la quale uno degli obiettivi primari del bambino è quello di mantenere una certa vicinanza con la figura dell’attaccamento; l’idea di Thompson, secondo cui la regolazione emotiva ha una natura adattiva: le emozioni possono essere regolate al fine di raggiungere i propri obiettivi in un contesto dato. Non tutti i caregiver rispondono allo stesso modo ai segnali affettivi del bambino, quindi quest’ultimo metterà in atto la strategia di regolazione più efficace per mantenere il rapporto con la propria figura di attaccamento. Quello che ci dice la ricerca empirica è che i bambini le cui madri rispondono in modo sensibile ai suoi segnali avranno più possibilità di sviluppare un’attaccamento sicuro. - Non è facile per una madre interpretare adeguatamente i segnali del bambino (ad esempio nel momento in cui sono appena nati e l’unico modo per interagire è piangere.) - Le madri più sensibili sono quelle in grado di differenziare il tipo di pianto e in base a questo capiscono qual è il malessere del bambino La strategia del bambino sicuro in risposta a queste esperienze materne è quella di utilizzare la MADRE COME BASE SICURA da cui partire per esplorare l’ambiente, quando non vi è alcuna minaccia da quest’ultimo, e come rifugio in presenza di pericolo (questo movimento di tentativo di avvicinamento anche fisico all’altro significativo, è qualcosa che resta nel tempo) Il bambino sicuro, convinto che i suoi segnali emotivi riceveranno una risposta sensibile, segnalerà apertamente i propri desideri e le proprie emozioni con il genitore. Anche quando fa esperienza di un’emozione negativa, la strategia maggiormente utilizzata prevede l’espressione aperta, diretta e attiva nei confronti del genitore. Il bambino, quindi, in tale situazione chiederà aiuto e non nasconderà il distress. La comunicazione affettiva tra caregiver e bambino fornisce il contesto in cui quest’ultimo arriva a capire ed organizzare l’esperienza affettiva. Poiché il genitore è sensibile ai segnali del bambino, l’affetto verrà vissuto come utile per avvisare il genitore durante i periodi di distress. La risposta sensibile del genitore a sua volta migliorerà la percezione del bambino nel modulare le sue emozioni (Bell & Ainsworth, 1972). C. nella sua ipotesi teorica sottolinea l’importanza della qualità dell’attaccamento nella regolazione emotiva del bambino. La mente dell'essere umano si forma attraverso la primaria relazione. Non è uguale un estraneo da una figura significativa di riferimento perché il bambino quando ne avrà bisogno andrà alla ricerca di QUELLA figura dato che il legame di attaccamento si forma con una persona ed è a quella persona che cerco di accedere quando ho bisogno. Questo sistema incide sulla capacità del bambino di crescita e di cercare aiuto all'esterno. Più ho interiorizzato la possibilità di accedere ad un’altro significativo che mi può aiutare più chiederò aiuto. Quindi il discorso della mentalizzazione va ricollocato all'interno del discorso dell’attaccamento e all’interno di una funzione emotiva che serve ad adeguarsi al comportamento sociale, partendo da strategie che possono modificarsi e modellarsi in base alla situazione sociale che abbiamo davanti in quel momento. + funzione adattamento + sarà positivo in termini di funzione evolutiva, per il nostro benessere La funzione + importante dell’attaccamento è il controllo dell’angoscia e la regolazione delle emozioni. Quello che abbiamo interiorizzato nel passato ci aiutano nel bene o nel male ad affrontare problemi. Può essere quindi considerato come un sistema che presiede alla capacità di regolazione affettiva di un soggetto. (libro) Nei primi mesi di vita i neonati preferiscono le relazione stimolo-risposta che permettono loro di scoprire il Sé corporeo nel mondo fisico. Si ha una svolta della contingenza a 3 mesi: invece di prestare attenzione alle proprie azioni, i bambini preferiscono osservare l’ambiente sociale emotivamente responsivo. Fonagy sostiene che alcune forme di psicopatologia possono essere associate a particolari modalità di fallimento nella sintonizzazione e nel rispecchiamento all’interno della relazione caregiver-bambino. Grazie ai contributi della prospettiva intersoggettiva (valuta realtà esterna ovvero com'è stata la relazione concretamente ), dell’Infant Research (studia la relazionalità primaria da quando il bambino è ancora nella pancia della mamma e valuta la comunicazione affettiva, quindi molto prima del verbale. La prima comunicazione tra mamma-bambino è quindi affettiva. Sul piano della regolazione emotiva se io funziono sufficientemente bene, quindi riesco a regolare le mie emozioni anche sotto stress, avrò un cosiddetto adeguato e flessibile comportamento sociale. Riesco a ridosare il mio comportamento e le mie emozioni in base al confronto che ho con l’esterno Thompson (1994) → regolazione emotiva → insieme di processi che, consciamente o inconsciamente, esercitano un’azione di monitoraggio, valutazione, modificazione, e più in generale, di mediazione della risposta emotiva. Gross (2002) ha aggiunto che tali processi possono essere di tipo: - intrinseco → è il soggetto che agisce autoregolandosi - estrinseco → qualcuno agisce per regolare le emozioni dell’altro. - entrano in gioco sia in relazione a emozioni positive che negative. Fasi dello sviluppo della regolazione emotiva. PRIMO ANNO DI VITA: - ruolo esterno dell’adulto è essenziale per dare significato alle esperienze del bambino, ad esempio rispondendo prontamente al pianto o ai sorrisi; - sono presenti anche condotte autoregolatorie, come la suzione del pollice per calmarsi o il distogliere lo sguardo da uno stimolo eccitante. Inizialmente tali condotte sembrano automatiche per poi divenire sempre più consapevoli nel corso del primo anno. - alla fine del primo anno emerge anche il fenomeno del «riferimento sociale», ovvero il bambino usa l’emozione espressa dal genitore per regolare il proprio stato emotivo e comportamento. TRA I 12 E I 36 MESI: - le strategie di regolazione emotiva sono prevalentemente di tipo comportamentale: si osservano condotte di evitamento di situazioni indesiderate, la ricerca attiva di alcune persone, la richiesta di vicinanza e il contatto fisico per ottenere conforto, sicurezza e consolazione; - grazie alla capacità di gioco simbolico e di finzione i bambini iniziano ad utilizzare l’attività ludica per rielaborare e dare un senso ad esperienze emotive intense. In tale periodo il caregiver, pur avendo un ruolo minore nella regolazione emotiva, continua comunque a svolgere una funzione fondamentale, soprattutto fornendo sostegno durante esperienze emotive intense e di lunga durata. 3-5 ANNI: - matura gradualmente la capacità di autoregolazione emotiva; - genitore diventa una base come base per contenere gli impulsi, definire i limiti e le regole, mentre il bambino assume gradualmente un ruolo più attivo e promotore di iniziativa; - il pieno sviluppo della capacità di giocare e di utilizzare gli oggetti e le persone in modo simbolico rappresenta una forma fondamentale di regolazione emotiva che, con il linguaggio, aiuta nella gestione delle emozioni; - la conoscenza di una gamma più estesa e articolata di emozioni gli consente di incrementare le proprie capacità espressive e di indirizzare la richiesta emotiva in maniera finalizzata. DOPO I 5-6 ANNI: - i cambiamenti nell’ambito dello sviluppo cognitivo, sociale e morale comportano l’adozione di strategie regolatorie più mirate e complesse che consentono al bambino di mettere in atto strategie di coping appropriate ai diversi contesti sociali; - il bambino utilizza, in maniera più continua ed efficace, varie strategie di regolazione emotiva in sé e negli altri, ad esempio non pensando alle fonti di sofferenza, ma anche spingendo l’altro a non pensare per aiutarlo nei momenti di stress. - maggiore possibilità di riflessione sulle emozioni e su come regolarle. - a quest’età si iniziano a vedere i primi problemi che potrebbero emergere in maniera significativa : bambino affaticato nell’interazione tra i pari, bambino sereno - si iniziano a notare delle difficoltà che il bambino potrebbe aver acquisito dalle relazioni passate DAGLI 11 ANNI IN POI: - le esperienze emotive si fanno particolarmente intense, dovute anche allo sviluppo ormonale e neurologico; - iniziano a prendere forma stili di regolazione emotiva molto personali, per far fronte alle richieste dell’ambiente sul piano sia dell’apprendimento che delle relazioni sociali, particolarmente importanti in questo periodo. - NB: le abilità regolatorie però negli adolescenti sembrano essere ancora immature rispetto a quelle degli adulti, infatti uno dei loro compiti evolutivi sarà proprio quello di sviluppare modalità regolatorie flessibili e congruenti con le richieste provenienti dall’ambiente. Ha a che fare con una magg capacità di definire in senso specifico il proprio stile di regolazione emotiva 6.4 L’ORGANIZZAZIONE DEL SÉ NELL'ATTACCAMENTO DISORGANIZZATO. IL SÉ ALIENO La disorganizzazione dell’attaccamento coincide con una disorganizzazione della struttura del Sé e un’indebolita capacità di mentalizzazione. Se le risposte di rispecchiamento che il bambino riceve dal caregiver non riflettono la sua esperienza in modo accurato, il Sé sarà incline alla disorganizzazione. Il bambino finirà così per internalizzare rappresentazioni dello stato dei genitori anziché dei propri, il che genera il Sé alieno. Da questo nasce anche il meccanismo di identificazione con l'aggressore. Tutti abbiamo parti aliene nel Sé che possono essere integrate grazie alle nostre capacità di mentalizzazione. Nei bambini con attaccamento disorganizzato, a causa del comportamento ostile, minaccioso o spaventoso del caregiver, le parti aliene del Sé sono più estese e, dal momento che la capacità di mentalizzazione è compromessa, anche le discontinuità del Sé saranno più estese I bambini disorganizzati sono ipervigili nei riguardi del comportamento del caregiver e osservano attentamente non la rappresentazione di propri stati mentali all’interno dell’altro, ma gli stati dell’altro che minacciano il loro senso di Sé. In questi casi, la capacità di mentalizzare può essere presente, ma non svolge la funzione positiva di organizzatrice del Sé. L’'organizzazione difettosa del sé rappresenta quindi un fattore di vulnerabilità. La parte aliena interiorizzata assume infatti un carattere persecutorio. 6.5 TRAUMA, MODALITÀ PRE MENTALISTICHE DEL FUNZIONAMENTO PSICHICO E DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ Tra i diversi fattori che possono compromettere il normale sviluppo della capacità di mentalizzazione, i traumi psicologici precoci sono sicuramente il più imponente. Secondo Bateman e Fonagy, questo dipende da: - Inibizione difensiva del pensiero rispetto ai pensieri e sentimenti altrui - Disagio precoce eccessivo, che può alterare i meccanismi di regolazione dell'arousal inibendo l'attività corticale delle regioni orbite frontali collegate alla mentalizzazione - Trauma connesso all'attaccamento, che determina un'attivazione cronica del sistema dell'attaccamento stesso. → il bambino infatti come reazione al trauma, ricerca una vicinanza con la figura di attaccamento che però rappresenta la fonte stessa del trauma. Nel tentativo di ottenere un controllo sul genitore abusante, il bambino si identifica con l’aggressore, interiorizzando l’intenzione malevola dell’aggressore in un Sé alieno. L’intento distruttivo dell’abusante finirà con l’essere percepito come proveniente dall’interno del proprio Sé, determinando un pronto odio per se stessi. Tutto ciò provoca un collasso della capacità di mentalizzazione. Fonagy e collaboratori hanno avanzato la proposta che gli individui che sperimentano precocemente un trauma possano inibire difensivamente la propria capacità di mentalizzare e che alcune caratteristiche dei disturbi personalità possono originare proprio da questa inibizione. La fenomenologia del disturbo borderline di personalità si manifesta con la prevalenza di una modalità prementalistica che si avvale dell’”equivalenza psichica”, della modalità del “far finta”, della modalità teleologica e del fallimento della mentalizzazione. - La modalità di funzionamento dell’”equivalenza psichica” fa sì che il mondo interno sia percepito come sovrapponibile al mondo esterno. Convinzione di essere sempre nel giusto, grandiosità e idealizzazione. - Nella modalità del “far finta” realtà fisica e psichica sono completamente slegate. Nei casi più gravi il paziente presenta uno stato dissociativo in cui ogni collegamento con la realtà è perduto. - Il ritorno al pensiero di tipo teleologico fa sì che i cambiamenti degli stati mentali siano ritenuti reali solo quando sono confermati da azioni fisicamente osservabili. La realtà fisica ha il primato su motivazioni e intenzioni. Il modello evolutivo dei processi di sviluppo della personalità borderline per Fonagy sono: precoce disorganizzazione delle relazioni primarie di attaccamento. conseguente indebolimento delle capacità sociocognitive di base disorganizzazione della struttura del Sé fallimento della mentalizzazione connessi a condizioni di iperattivazione dei sistemi di arousal e dell'attaccamento che si manifestano con la ricomparsa di modalità prementalistiche di funzionamento psichico Il fallimento della mentalizzazione permette di comprendere alcune caratteristiche principali del disturbo bordeline: relazioni disfunzionali, tentativi suicidari, autolesionismo, atti impulsivi di violenza. Le difficoltà legata alle relazioni interpersonali descrivono un aspetto fondamentale del disturbo borderline, connesso a caratteristiche costituzionali di affettività negativa e impulsività e a esperienze psicosociali di maltrattamento. Le relazioni costruite da persone con disturbi personalità Borderline sono spesso l'esito di processi di identificazione proiettiva: la disorganizzazione della struttura del sé impone Al soggetto di manipolare in modo seduttivo le persone a lui vicine Affinché queste si comportino in modo da permettergli di disconoscere la parte aliena del sé collocandola Nell'altra persona. Questa operazione si traduce in relazioni in cui il soggetto viene maltrattato o abusato dall'altro, che riesce così ad attivare stati mentali di cattiveria e indegnità. Il caratteristico terrore dell'abbandono offre l'innesco per atti di autolesionismo, Considerando che quella che si perde davvero è l'opportunità di esternalizzare la parte aliene nel sé: la suicidarietà dei pazienti Borderline E infatti associata un'esperienza di perdita dell'altro. Dopo un agito autolesionista spesso il soggetto trae una sensazione di sollievo e maggiore coesione del sé. Gli atti impulsivi violenti si verificano nel caso in cui l'altro si sottrae alle manovre intimidatorie o alle umiliazioni tese a trasformarlo in un contenitore necessario di stati del sé intollerabili. Queste persone sono estremamente vulnerabili all’umiliazione. La distruzione dell’altro attraverso la violenza è un’espressione della speranza di liberarsi della parte aliena del Sé, generalmente associato ad uno stato di euforia. Solo dopo compare il rimorso. 6.6 MENTALIZZAZIONE PSICOTERAPIA In pazienti con diagnosi di disturbo borderline di personalità, disturbo da stress post-traumatico, disturbi di nutrizione e dell’alimentazione, disturbi depressivi troviamo un deficit della mentalizzazione. Bateman e Fonagy ritengono che l’obiettivo primario di tutti i trattamenti rivolti al paziente borderline dovrebbero essere il recupero e/o il rinforzo della capacità di mentalizzazione. Il paziente borderline è particolarmente vulnerabile agli effetti collaterali dei trattamenti che attivano il sistema di attaccamento, ma in sua assenza la mentalizzazione non potrà mai progredire. Il terapeuta deve bilanciare la capacità di mentalizzazione con la stimolazione del sistema di attaccamento del paziente Per la cura del disturbo borderline di personalità gli autori propongono un trattamento manualizzato: Mentalization Based Treatment (MBT): L’obiettivo del paziente è quello di capire più a fondo piò che prova e pensa riguardo a se stesso e agli altri. Il percorso terapeutico si sviluppa in tre fasi: 1. fase iniziale = valutazione delle capacità di mentalizzazione e del funzionamento della personalità e ingaggio del paziente nel trattamento. Il terapeuta definisce la diagnosi, stabilisce una gerarchia di obiettivi terapeutici, individua i problemi sociali e comportamentali. 2. fase intermedia = lo scopo è stimolare un aumento progressivo della capacità di mentalizzazione. 3. fase finale = il terapeuta si concentra sui sentimenti di perdita connessi alla fine del trattamento, su come mantenere i progressi realizzati e sulla definizione condivisa di un programma di follow-up adatto ai bisogni del paziente. Il terapeuta deve assumere un atteggiamento “mentalizzante”: fare domande e scoraggiare un ricorso eccessivo alle libere associazioni da parte del paziente, adottare un livello di coinvolgimento emotivo né troppo caldo né troppo freddo, fare interventi semplici e brevi, focalizzati sull’affettività e sulla mente del paziente. Il terapeuta deve monitorare di continuo lo stato mentale e adattare gli interventi. 6.7 SCALA DELLA FUNZIONE RIFLESSIVA La Scala della Funzione Riflessiva (RF) rappresenta un indica quantitativo delle capacità di mentalizzazione delle persone valutate. Le domande sono suddivise in 2 gruppi: - Permit Question, permettono a chi parla di dimostrare la presenza di capacità riflessive. - Demand Question, esigono che l’intervistato fornisca una risposte riflessiva. - risposte valutate in base alla presenza o meno di Marker che rivelano la presenza di funzionamento mentale riflessivo - affermazioni specifiche, e non generiche Gli indicatori della presenza di funzionamento riflessivo sono: 1. Consapevolezza della natura degli stati mentali 2. Sforzo Esplicito di identificare gli stati mentali che si ottengono il comportamento 3. Riconoscimento degli aspetti evolutivi degli stati mentali 4. Presenza di stati mentali dell'intervistato in rapporto all’intervistatore La funzione riflessiva è misurata su una scala da -1 a +9, a indicare il grado e l’intensità con cui la capacità riflessiva si manifesta. 6.8 SOVRAPPOSIZIONI CONCETTUALI Choi-Kain e Gunderson hanno individuato 3 dimensioni della mentalizzazione: Modalità di funzionamento (implicita/esplicita) l’oggetto (Sé/altro) aspetti cognitivi o affettivi. Inoltre ha anche messo in luce la sovrapposizione tra il concetto di mentalizzazione e empatia, mindfulness, cosapevolezza degli affetti, punto di vista psicologico. Mindfulness → capacità di mantenere la propria consapevolezza del momento presente) Entrambe sottolineano l’importanza dell’integrazione degli aspetti cognitivi e affettivi degli stati mentali Empatia → implica una reazione affettiva attraverso la quale si condivide lo stato emotivo di un altro, la capacità cognitiva di immaginare il punto di vista dell’altro, la capacità stabile di mantenere la distinzione tra Sé e l’altro. Entrambi implicano il riconoscimento degli stati mentali e degli affetti altrui, anche se l’empatia è più orientata verso gli altri, mentre la mentalizzazione sia verso gli altri che verso il Sé. Consapevolezza degli affetti (in assenza si ha l’alessitimia). La regolazione degli affetti mette in grado le persone di mentalizzare e la mentalizzazione permette alle persone di regolare gli affetti. La regolazione degli affetti mette in grado le persone di mentalizzare e la mentalizzazione permette alle persone di regolare gli affetti Punto di vista psicologico, strettamente connesso alla mentalizzazione nella misura in cui viene definito come capacità di una persona di cogliere i nessi tra pensieri, sentimenti e azioni con l’obiettivo di apprendere i significati e le motivazioni delle proprie esperienze e comportamenti. La mentalizzazione è a livello sia implicito che esplicito mentre il punto di vista psicologico è soprattutto a livello esplicito. IL MODELLO STRUTTURALE DI KERNBERG ORGANIZZAZIONI DI PERSONALITÀ: → Strutture psichiche derivanti da esperienze affettive con oggetti significativi primari che sono relativamente stabili e si vanno a definire in base ad alcuni fattori si intende un modo di funzionare sul piano intra intrapsichico che si basa su 3 parametri, i quali variano e in base al loro variare si ha dei livelli differenti di personalità. - identità - meccanismi di difesa - esami di realtà Le caratteristiche della personalità NON patologica: 1. Concetto integrato del Sé e degli altri significativi: identità dell’Io coesa e strutturata e visione integrata degli altri che rende possibile valutazione adeguata di sé e degli altri e un investimento emotivo profondo in relazioni stabili di dipendenza matura; Se la persona ha raggiunto la posizione depressiva vuol dire che ha superato la posizione mentale schizo paranoide e vuol dire che ha interiorizzato un concetto di se stesso e dell’altro integrato, il che significa integrare parte buone e cattive di me stesso e altro significativo. Concetto di integrazione si valuta banalmente chiedendo cose su di lui, in base a cosa e come risponde. 2. Forza dell’Io: capacità di regolare le emozioni e gli impulsi (come reagisce la persona le frustrazioni e l’ansia?); 3. Super-Io integrato e maturo: Laddove si supera la fase del processo edipico, ci sarà un’interiorizzazione di un sistema di valori e morale suo; La bontà dell’interiorizzazione di sistema, valori e ideali ci dice molto della qualità del super io. Se nel momento in cui faccio qualcosa o mi succede qualcosa di negativo non presento un sistema di valori e morale teorizzato, potrei avere una sorta di super-io eccessivamente critico nei confronti di me stesso. Non significa soltanto morale ma anche ideale e formano insieme un sistema di valori. 4. Gestione adeguata degli impulsi libidici e aggressivi. → + Io che funziona bene + sarà adeguata la gestione degli impulsi libidici Quando ci sono queste caratteristiche la personalità funziona sufficientemente bene. La normale identità dell’Io sarebbe il risultato di un processo evolutivo che possiamo sintetizzare in 4 fasi: 1) fase simbiotica e sottofase di differenziazione (II fase Mahler pg 43) interiorizzazione di rappresentazioni del Sé e dell’oggetto realistiche in condizioni di bassa attivazione emotiva. Tali relazioni oggettuali interiorizzate costituiranno il modello di interazione abituale tra il sé e gli altri; in condizioni emotive estreme, invece, avviene l’interiorizzazione di rappresentazioni di Sé fuse con quelle dell’oggetto, rispettivamente “tutte buone” o “tutte cattive”. In questo stadio, l’esperienza sarebbe organizzata in modo schizoparanoide. 2) (fase di separazione-individuazione Mahler) graduale differenziazione delle rappresentazioni del Sé e dell’oggetto (precedentemente fuse) connotate da affetti estremi vanno a costituire unità interne parziali, reciprocamente scisse, di rappresentazioni “tutte buone” e “tutte cattive”. 3) le unità “tutte buone o tutte cattive”, iniziano a essere integrate e a formare rappresentazioni realistiche del Sé in relazione agli oggetti in cui convivono aspetti sia positivi sia negativi. C’è anche l’elaborazione delle angosce depressive. 4) le rappresentazioni “buone” e “cattive” del Sé e degli altri continuano a unificarsi in concetti integrati di Sé e degli altri, con conseguente divisione realistica del Sé come potenzialmente motivato da impulsi sia di amore sia di odio, e degli altri come oggetti completi e investiti in modo ambivalente. Ciò si traduce nella modulazione degli affetti a esse associati, che perdono il carattere estremo, e nello sviluppo di un mondo rappresentazionale più complesso e articolato, e in capacità relazionali più ricche. Le relazioni oggettuali interiorizzate in condizioni di elevata attività affettiva costituiscono l’Es, mentre la libido e l’aggressività sono il risultato dell’integrazione delle relazioni oggettuali interiorizzate e degli stati affettivi estremi associati alle relazioni oggettuali precoci. Il Super-io si sviluppa a partire da rappresentazioni oggettuali persecutorie e idealizzate che vengono progressivamente integrate a formare un’autorità interna. La differenza nei livelli di aggressività può essere ricondotta a temperamento ed esperienze precoci. Per comprendere l’aggressività patologica dei pazienti con disturbi gravi della personalità dobbiamo tener conto sia delle loro caratteristiche temperamentali sia delle loro esperienze precoci, ed una maggiore predisposizione temperamentale alle risposte avvertire e vissuti traumatici finisce per influenzare negativamente le relazioni dell’individuo. Kernberg distingue tre diverse organizzazioni di personalità di gravità progressivamente minore: - psicotica - borderline - nevrotica IDENTITÀ o L’integrazione dell'identità, la persona presenta una continuità temporale e affettiva su se stesso e degli altri. Se si hanno delle relazioni sane con delle persone significative si manifesta una stabilità mentale e rapporti profondi, caratterizzati da calore ed empatia. (bisogna capire se c’è questa continuità). o La diffusione dell’identità, invece, consiste in un concetto non integrato di Sé e degli altri significativi (discorso della polarizzazione in senso buono o cattivo delle parti). Si manifesta, di conseguenza, con un comportamento contraddittorio, che non può essere integrato, o attraverso percezioni superficiali, piatte e impoverite degli altri. o Un criterio importante per la valutazione dell’identità è capire le manifestazioni non specifiche di debolezza dell’Io, ovvero lo scarso controllo dell’angoscia e degli impulsi e la mancanza di canali sublimatori maturi. Ci sono diversi meccanismi di difesa come: - sublimazione → meccanismo di difesa di secondo livello. Possibilità di spostare affetti angoscianti su altre forme che sono rappresentative (arte). Buon modo per far evolvere l’angoscia - acting out non va bene→ cattivo modo di affrontare angoscia In base alle manifestazioni, cerchiamo di capire come il paziente controlla l’angoscia. Rispetto all’esame di realtà: o L’esame di realtà si definisce come la capacità di differenziare la realtà dalla fantasia, il Sé dal non Sé, in relazione alle norme sociali condivise. Paziente psicotico ha un delirio e crede di poter mettersi in contatto con gli alieni, la sua versione non è disconfermabile, non riesce a distinguere fantasia dalla realtà. Non è contestabile perchè lui continuerà a dire che per lui quella è la realtà e che sei tu ad essere dentro il complotto Paziente sospetta che delle macchine lo seguino ma riconosce che potrebbe essere il periodo stressante, riesce a differenziare realtà e fantasia. o Dal punto di vista clinico, un adeguato esame di realtà è costituito da: assenza di sintomi psicotici, assenza di affetti, contenuti di pensiero e atteggiamenti inappropriati o bizzarri, capacità di provare empatia nei confronti di chi conduce il colloquio, interagendo in maniera collaborativa e adeguata. o In caso ci fosse una compromissione dell’esame di realtà il soggetto perde la capacità di percepire adeguatamente il mondo esterno e ne altera il rapporto sulla base di una sua visione soggettiva. Rispetto ai MECCANISMI DI DIFESA Vedi cap 7 Y = grado di organizzazione che varia in base alla gravità del funzionamento, da nevrotico, a borderline, a psicotico X = grado di introversione e estroversione ONP = Organizzazione nevrotica di personalità OBP = Organizzazione borderline di personalità OPP = Organizzazione psicotica di personalità Ci sono 3 modi di funzionare secondo identità, meccanismi di difesa ed esami di realtà. Questo vuol dire che i disturbi condividono la prospettiva, ma variano le caratteristiche singolari IDENTITÀ MECCANISMI ESAME DI REALTÀ DIFESA NEVROTICA Integrata Maturi Conservato, buono. (funzionano bene Capacità di valutare il Sé socialmente ma e gli altri realisticamente hanno delle aree e in profondità nevrotiche) BORDERLINE Diffusa Primitivi Conservato ma fragile → ALTA posso avere dei micro-down in momenti particolarmenti stressanti. Funzionano meglio nelle aree vitali BORDERLINE Diffusa Primitivi Non c’è compromissione BASSA di realtà Psicotica Diffusa Immaturi Capacità di esaminare la realtà è compromessa. Prospettiva negativa sul mondo. Paziente con organizzazioni Borderline bassa schizotipico → ho stesse caratteristiche sul piano dinamico ma avrò delle caratteristiche differenti singolari ad esempio sul piano introversivo o estroversivo Sul piano Borderline si hanno due sottocategorie che differenziano due tipologie di difesa: Schizoide → vanno in ritiro Borderline → acting out Borderline è un doppio piano suddiviso da scale interne. Entrambi condividono il piano dinamico Se saliamo di livello siamo sempre in organizzazioni borderline ma funzionano meglio e abbiamo ad esempio il narcisista che ha 2 sottocategorie, quello maligno e antisociale (il peggiore in assoluto). Più siamo ad un livello basso più la prognosi è negativa. Quando abbiamo un paziente con un funzionamento narcisistico dobbiamo fare attenzione al livello. Se facciamo diagnosi col DSM vediamo solo se è narcisista o meno, ma se facciamo una diagnosi psicodinamica vediamo il livello di narcisismo del paziente e se siamo al livello peggiore non ci sono molte probabilità che la terapia funzioni. Schizotipico: è il più emblematico sul piano dell’avvicinamento all’organizzazione psicotica, perché è quello che ha più pensiero magico e stranezze molto simili al paziente schizofrenico. Sul piano clinico può essere utile parlare di questo tipo di teoria perché facendo una distinzione di disturbi di personalità secondo il DSM stiamo definendo categorialmente se il disturbo è presente o meno. Abbiamo 5 criteri, se li abbiamo possiamo diagnosticare il disturbo altrimenti no. Con questa teoria invece riusciamo a riconoscere anche un’involuzione o un’evoluzione del paziente in ambito terapeutico. Il lavoro terapeutico consiste nell’aiutarli nel riflettere prima di fare (estroversione). Si lavora molto su quali erano le emozioni che hanno scatenato l’agire, riagganciare quell’atto a quello che è accaduto. Lavorando bene si può vedere un’evoluzione in termini di funzionamento. Articolo sull’amore Sulla base dello schema di Kernberg si possono fare dei percorsi di alcuni funzionamenti specifici come quello amoroso. Prima cosa che dice riguardo la capacità di amare in senso maturo riprendendo fasi psicosessuali di Freud è che sia arrivato alla fase del complesso edipico. Si sposta poi sulla Klein parlando di relazioni oggettuali e riprende tutto il discorso dell’identità diffusa piuttosto che quella integrata per fare una differenziazione di cosa caratterizza la capacità matura di stabilire una relazione d’amore. Primo pre-requisito Raggiungimento della consapevolezza individuale di essere qualcosa di separato dall’oggetto esterno (superamento fase orale e complesso edipico) Superamento di un certo livello di idealizzazione, devo integrarla con la realtà e non idealizzare la persona passando da vedere essa tutto in positivo a tutto in negativo. (Non mi confronterò con le frustrazioni di una relazione, ma appena succederà qualcosa vedrò in negativo) Empatia → mettersi nei panni dell’altro e capire cosa si prove. Vuol dire anche comprendere di aver fatto del male, avendo quindi raggiunto la fase depressiva di cui parlava la Klein (so che l oggetto a cui ho fatto male è lo stesso a cui voglio bene e mi sento in colpa di averlo fatto, il senso di colpa è positivo) Tutto questo discorso consente di avere un aggiustamento della relazione nel tempo per mantenere l'amore che poi si trasformerà in sentimento. E’ quindi attraverso questi requisiti che si avrà il passaggio dall’innamoramento allo stato di essere innamorato Mantenere la relazione vuol dire necessariamente entrare in conflitto con l’altra persona. Se non entro in conflitto è un problema perché potrei essere in una posizione di idealizzazione. Il problema del paziente con personalità dipendente è che il suo star male diventa un contenitore enorme perché non può permettersi di dire all'altro che sta male perchè senza l’altro non sa esistere e quindi a volte sopporta anche violenze narcisista maligno- dipendente Tornando all’amore adulto dice che nella vita capita di avere delle tentazioni, di portare fuori la pulsione, ma un amore maturo sta nella capacità di tenere l’amore anche nella continuità temporale, sviluppando la capacità di reintrodurre quella pulsionalità all’interno della relazione. Invece di cedere alla tentazione, rimango e affronto il conflitto di coppia. - discorso di aver raggiunto una sua individuazione in termini di corporeità, di desiderio se stiamo alle regole Freudiane e aver raggiunto la capacità di tollerare il fatto di essere qualcosa di separato dall’oggetto esterno - aspetto importante per raggiungere capacità matura di amare il non solo aver raggiunto il livello di tenerezza e quindi aver superato la fase orale e complesso edipico ma anche un certo livello di idealizzazione. - se idealizzazione è troppo spostata in senso scisso (quindi c’è fase immediata di idealizzazione totale) poi si sposta man mano si conosce la persona, dovrei in quel caso integrare l’aspetto idealizzazione con la realtà. Se tutto questo non c’è e rimane livello elevato di idealizzazione, non c’è questa possibilità di confrontarsi col reale. - Bordelrine funzionano cosi ì, idealizzazione e ad un certo punto arriva il cambio di faccia. Distinzione a livello di adolescenza Adolescenti ad oggi funzionano molto di più in senso ritirato, implodono, non esplodono. Differenza tra adolescente problematico e non : Sta nella stabilità emotiva, se parliamo di un ragazzo IN CORSO di uno sviluppo borderline (se parliamo di adolescenza non parliamo di disturbo perché la diagnosi viene fatta in età adulta) Ragazzo che può essere conflittuale con le autorità dovrebbe sviluppare quel senso di colpa, se questo non accade e questa turbolenza diventa identità diffusa, questo diventa un problema più serio. Facendo terapia con un adolescente si evitano disturbi futuri che sono più complicati da gestire. Per questo è preferibile intervenire durante l’adolescenza. 7- PERSONALITÀ E MECCANISMI DI DIFESA = operazioni mentali più o meno consapevoli volte a risolvere un conflitto emotivo intra o extra psichico, che ciascun individuo mette in atto per affrontare situazioni stressanti e mediare i conflitti generati dallo scontro tra bisogni, impulsi, desideri, affetti e proibizioni interne e/o condizioni della realtà esterna. Essi hanno infatti la funzione di eliminare o attenuare le sensazioni negative. Spesso sono seguiti da risposte comportamentali e solo l'uso di difese più adattive può essere associato a consapevolezza e intenzionalità. La differenza tra sano e patologico la fa il come mi difendo. Il ricorso ad uno stile difensivo piuttosto che ad un altro si intreccia con le caratteristiche di base della personalità. Uno degli scopi primari delle difese è mantenere un’omeostasi psichica che permetta all’Io (che media il rapporto dell’individuo con il mondo interno e la realtà esterna) di continuare a funzionare in modo stabile. Tuttavia, se da un lato le strategie difensive permettono all’individuo di proteggersi, in molte circostanze possono diventare esse stesse pericolose per l’equilibrio psicologico dell’individuo La differenza tra sano e patologico la fa il COME mi difendo. o I meccanismi di difesa immaturi detti anche primitivi - caratterizzati da una scarsa capacità di riflettere e accettare i propri conflitti psichici, tipici di modalità infantili di funzionamento mentale. Tendono ad eliminare il conflitto. - Derivano dalla scissione delle rappresentazioni interne di sé e dell’altro (discorso oggetti parziali → quando identità è diffusa (concetto di me e dell'altro scisso) mi difendo scindendo le parti; Se sono in estrema difficoltà il paziente borderline vede me (terapeuta) come cattivo e se stesso come buono. Paziente borderline gravemente sotto stress può andare in angoscia paranoica, l'altro è il nemico e sta appunto scindendo le parti. Io mi devo difendere da te che mi vuoi fare del male. Pazienti che si difendono tendenzialmente in modo scisso per prima cosa si spostano su un livello negativo, non posso fidarmi della dottoressa perchè lo fa solo per soldi. Es., scissione, proiezione, identificazione proiettiva. o I meccanismi di difesa maturi, invece, sono le strategie psichiche più creative e funzionali per trattare i conflitti emotivi ed affettivi, denotano una capacità del soggetto di tollerare i propri sentimenti contraddittori e ambivalenti e di trovare soluzioni di compromesso. Più acquisisce capacità di integrare le parti nel lavoro terapeutico + è in grado di tenere ambivalenza di un conflitto. Dottoressa prende soldi per lavorare ma allo stesso tempo so che è interessata anche a me. Da un lato dico che la doc non lo fa per beneficenza ma riconosco che la dottoressa è interessata a me. Es., rimozione, spostamento, isolamento, intellettualizzazione, annullamento retroattivo. Meccanismo di difesa di paziente isterico è la rimozione. Le caratteristiche generali dei meccanismi di difesa sono: - sentimenti, pensieri o comportamenti appresi, relativamente involontari, che sorgono in risposta a percezioni di pericolo psichico. - costituiscono la risposta individuale sviluppata per eliminare o alleviare le situazioni di conflitto o di stress. - strumento preferenziale con cui l’individuo gestisce gli istinti e gli affetti. - sono generalmente automatici. Funzionano senza sforzo conscio e per lo più senza la consapevolezza del soggetto. - possono essere reversibili. - possono essere classificati lungo un continuum adattivo-disadattivo. - gli individuo tendono a “specializzarsi” utilizzando in modo caratteristico le stesse difese nelle stesse situazioni La classificazione Defense Mechanism Rating Scales (DMRS) elaborata da George Villant e Christopher Perry, prende in considerazione 7 livelli difensivi, disposti gerarchicamente in base ai criteri di maturità e adattività delle singole difese Per valutare il potenziale disadattivo di una difesa è necessario considerare: - se il soggetto fa ricorso a difese diverse o si limita a impiegarne uno o due. - con quale intensità viene impiegata. - l’età del soggetto. - il contesto in cui si manifesta. 7. DIFESE DI ALTO LIVELLO (difese mature) → Livello di funzionamento difensivo che consente capacità di adattamento ottimali nella gestione degli agenti stressanti. Affiliazione Capacità di chiedere aiuto ad altri Altruismo Affrontare un conflitto emotivo attraverso l’aiuto dell’altro → implica il soddisfacimento di bisogni sociali e di attaccamento Anticipazione Ridimensionamento di conflitti emotivi o fonti stressanti prendendo in considerazione soluzioni realistiche alternative, prevedendo reazioni emotive a problemi futuro e sperimentando l'angoscia Futura attraverso la rappresentazione mentale di idee e affetti angoscianti Autoaffermazione Comporta l'espressione diretta dei propri sentimenti o pensieri, in modo non manipolativo Auto-osservazione Saper riflettere sui propri sentimenti, pensieri, comportamenti Repressione Evitamento attivo e volontario di pensieri, problemi, desideri o sentimenti disturbanti Sublimazione Affrontare situazioni stressanti o conflittuali incanalando, più che inibendo, sentimenti o impulsi potenzialmente disadattivi in comportamenti socialmente accettabili Umorismo (Humor) Capacità di saper cogliere con ironia gli aspetti divertenti delle situazioni conflittuali o stressanti 6. DIFESE OSSESSIVE: livello di inibizione mentale → lascia intatte le idee e incide sull’affetto a esso associato (che viene neutralizzato o minimizzato senza distorsione della realtà esterna) Isolamento affettivo Incapacità di sperimentare contemporaneamente le componenti affettive e cognitive di un esperienza, in quanto viene escluso dalla coscienza. Elimino l’affetto e resto con il contenuto. In seduta si percepisce freddezza nell’interazione, non si riesce ad alzare il livello emotivo. Intellettualizzazione Affrontare fonti stressanti mediante un eccessivo uso del pensiero astratto al fine di evitare di provare sentimenti disturbanti. Buon funzionamento di base, non percepisce l’affetto quando si parla di qualcosa carico emotivamente. Annullamento Messa in atto dei comportamenti finalizzati a riparare simbolicamente o retroattivo negare precedenti pensieri, sentimenti o azioni che risultano inaccettabili per il soggetto. - Paziente ha un pensiero angosciante e non è in grado di tollerarlo → elimina l’affetto e si sposta sull’azione compulsiva, la quale elimina retroattivamente il pensiero - 5. Livello di inibizione mentale: DIFESE NEVROTICHE → Esclude i conflitti e gli eventi stressanti dalla consapevolezza 5a. Difese isteriche Rimozione Elimino il conflitto dalla mia consapevolezza, è una sorta di suddivisione orizzontale che passa da conscio a inconscio Dissociazione Implica un’alterazione temporanea delle funzioni integrative di coscienza, (minore) memoria e identità. Così facendo un particolare impulso o affetto può agire al di fuori della coscienza 5b. Altre difese nevrotiche Formazione reattiva sostituzione di comportamenti o sentimenti inaccettabili con altri diametralmente opposti Spostamento Spostare l’angoscia legata ad altro, su un oggetto. Se non vede l’oggetto non ha angoscia perché essa è stata canalizzata su di esso. è una negazione peggiore della rimozione 4. Livello di distorsione minore dell'immagine DIFESE NARCISISTICHE → distorsione dell’immagine di sé, del proprio corpo o degli altri al fine di regolare l’autostima (distorsioni non complete e diffuse come nel livello borderline). Paziente narcisistico molto spostato sulla corporeità Idealizzazione Attribuire caratteristiche esageratamente positive a se stesso o all’altro (di sé e degli altri) Onnipotenza Affronta conflitto o stress comportandosi come se fosse superiore o possedesse poteri o capacità speciali Svalutazione Attribuzione di caratteristiche esageratamente negative a se stesso o agli altri (di sé e degli 3. Livello di disconoscimento e della Fantasia e Autistica: DINIEGO → Esclusione della coscienza di impulsi, idee o affetti inaccettabili o spiacevoli, con o senza attribuzioni di essi a causa esterna Diniego/Negazione Mancato riconoscimento di un qualche aspetto della realtà esterna o interna che risulta invece evidente per altri Proiezione Comporta l’attribuzione dei propri pensieri, sentimenti e impulsi inaccettabili ad altri. Solitamente si tratta di persone da cui il soggetto si sente minacciato o a cui si sente affine Razionalizzazione Elaborare delle spiegazioni rassicuranti o funzionanti a se stessi, ma inesatte, per il proprio o altrui comportamento Fantasia autistica Affrontare conflitti emotivi o fonti di tensione interne o esterne attraverso il “sognare a occhi aperti”, evitando relazioni umane e non affrontando le situazioni in modo efficace 2. Livello di distorsione maggiore dell’immagine: DIFESA BORDERLINE → Grossolana distorsione e attribuzione errata dell’immagine di sé o degli altri per mantenere il Sé coeso ed evitare la frammentazione Scissione dell’immagine di Divisione di se stesso o degli altri in parti del tutto buone o cattive, non sé e scissione dell’immagine riuscendo a integrare le caratteristiche positive e negative in immagini degli altri coese; spesso lo stesso individuo può essere alternativamente idealizzato o svalutato Identificazione proiettiva Proiettare su qualcun’altro un affetto o impulso inaccettabile per il soggetto, come se fosse che l’altro ad aver dato il via a quest’affetto/impulso. Non disconosco del tutto la mia rabbia ma in qualche modo induco in te un comportamento tale che la mia rabbia sia giustificabile - A differenza della proiezione, non si disconosce ciò che è stato proiettato che viene interpretato invece come una reazione giustificata nei confronti dell’altro 1. Livello dell'ACTING → Funzionamento difensivo che affronta le situazioni stressanti o di conflitto per mezzo di azione o ritiro, senza considerare le conseguenze. Acting out Espressione di sentimenti, desideri e impulsi attraverso un comportamento incontrollato, senza pensare alle conseguenze a livello personale e sociale Aggressione passiva Indurre l’altro ad essere aggressivo, con atteggiamenti passivi Help-Reject Complaining Persona si lamenta che nessuno può aiutarla ma in realtà non si (lamentarsi ma rifiutare l’aiuto) mette nella condizione di essere aiutata. Ritiro nell’apatia Emotivamente piatto 0. Livelli di cattiva o mancata regolazione difensiva → collasso delle strategie difensive. Abbiamo la parte difensiva psicotica, per cui si ha la compromissione della realtà Diniego psicotico Distorsione psicotica Proiezione delirante → schizofrenico paranoico DINIEGO → difesa primitiva, compare in pazienti gravemente malati e svolge una funzione protettiva, soprattutto nelle prime fasi di adattamento alla minaccia di morte. Permette all'individuo di ricomporsi secondo i propri tempi, per affrontare la situazione. Se viene utilizzato in modo pervasivo però può diventare patologico, spingendo il paziente a evitare i controlli medici o la terapia. Proiezione, scissione e acting out → sono quasi invariabilmente disadattivi Rimozione, negazione → possono essere sia adattivi che non Sublimazione e humor → pressoché adattivi e indicativi di una personalità matura e psichicamente integrata Paziente che si era allontana da un problema di droghe inizia a raccontare da un momento all’altro dettagli dei suoi abusi, sempre più insistentemente. Lei aveva operato una scissione, raccontava di stare male ma invece che dire che era arrabbiata con la terapista operava l’aggressività all'esterno, mettendo in salvo la seduta con la dottoressa. All’esterno intanto lei stava cominciando a peggiorare per il livello e la quantità di sostanza, tornando in una situazione rischiosa. Questo fino a quando non ha saltato una seduta e quando è tornata ha raccontato di aver fatto una festa di 3 giorni nella quale si è sentita male, rischiando molto. In quel momento è intervenuta in modo più preciso, facendo un discorso sul meccanismo di identificazione proiettiva ed dicendo che se avesse continuato a fare uso di quel tipo di sostanza dovevano rivedere anche l’ipotesi di continuare la terapia. Il suo intervento ha unito l’oggetto materno ambivalente perchè da una parte la sta proteggendo, ma dall’altra la sta rimproverando e “minacciando” di terminare la terapia. Dopo quella seduta la paziente ha interrotto il tipo di sostanza che veniva utilizzata in maniera provocatoria nei suoi confronti. Il paziente ci induce a muoverci emotivamente sul piano carico per lui trasferalmente e si sente autorizzato a muoversi in un certo modo perché noi ci stiamo comportando in un altro. Induce 2 parti a muoversi. Modi più immediati di comunicare con i pazienti borderline In sintesi, il paziente scaricava la rabbia che provava al di fuori della terapia, perchè era vista come una cosa positiva. Al di fuori di essa continuava a drogarsi fino a quando la doc l’ha minacciata di smettere di fare terapia con lei se lei avesse continuato a venire in terapia fatta. E’ proprio in quel momento che la paziente ha capito che la doc ci teneva a lei. Ciò che è importante è riconoscere a posteriori ciò che è accaduto rimettendolo nel processo analitico Si chiama identificazione proiettiva perché la paziente non disconosce l’affetto, per cui era arrabbiata con lei ma perchè ha indotto in lei un comportamento 7.1 BREVE STORIA DEL CONCETTO DI MECCANISMO DI DIFESA Il concetto di “meccanismo di difesa” nasce ufficialmente nel 1894. Freud: - Nel saggio “Le neuropsicosi da difesa” (1094) → ipotizza l’esistenza di operazioni difensive inconsce, volte a proteggere l’individuo da conflitti, idee ed emozioni disturbanti. - Successivamente riconduce i meccanismi di difesa differenziati che aveva classificato, alla sola rimozione. - L’Io reagisce a una situazione di pericolo potenzialmente traumatica con l’angoscia, che diventa il segnale in grado di attivare e mobilitare differenti modalità difensive. - Nelle lezioni introduttive alla psicoanalisi del 1932, Freud annovera solo 4 difese considerate davvero importanti nell’eziopatogenesi delle nevrosi: rimozione, sublimazione, spostamento e formazione reattiva. - Cerca di associare alcune sindromi psicopatologiche a determinati meccanismi difensivi. - ipotizza che ci sia una connessione tra difese, angosce, patologie e fasi dello sviluppo psicosessuale. - Nel 1937 precisa che i meccanismi di difesa svolgono la funzione di tenere lontani i pericoli e le angosce che minacciano l’Io, ma che possono diventare essi stessi pericoli se si “fissano” nell’Io, funzionando come modalità abituali di reagire. Anna Freud (1936) fu la prima a descrivere in modo dettagliato la varietà di meccanismi dei difesa. Per Robert Waelder (1930) le difese hanno la duplice funzione di mediare il conflitto tra impulsi e inibizioni, e di consentire contemporaneamente una certa gratificazione di questi stessi impulsi. Roy Schafer (1968) dice che le difese sono lo strumento attraverso il quale il soggetto può esprimere questi stessi istinti in forma accettabile alla coscienza. Klein - Difese sono impiegate contro le angosce derivanti dall’attività dell’istinto di morte e regolano lo sviluppo dell’Io del bambino. - Ne individua alcune che caratterizzano le posizioni psicotiche (schizoparanoide e depressiva). Sviluppando le osservazioni della Klein, Otto Kernberg mette in evidenza il ruolo dei meccanismi di difesa non soltanto come operazioni rivolte alla “gestione” degli aspetti conflittuali del mondo intrapsichico, ma anche come elementi fondamentali per la costruzione e lo sviluppo delle rappresentazioni del Sé e degli oggetti e per la regolazione delle relazioni oggettuali. Donald Winnicott dice che nel momento in cui la figura di accudimento non è in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze del bambino, essi possono sperimentare delle connotazioni traumatiche, tali da favorire l’emergere di un Falso Sé. Le difese si configurano come quelle strategie di occultamento di parti più autentiche del Sé a cui è negata qualsiasi possibilità di espressione e ascolto. Derivano dal fallimento della funzione di contenimento del caregiver. Kohut (1984) preferisce definirle “difese-resistenze” e per lui svolgono un ruolo prevalentemente adattivo e psicologicamente valido inquinato votato alla salvaguardia dell’integrità del sé. Bowlby vede le difese come i MOI, ovvero pattern stabili e generalizzati di rappresentazioni di sé e degli altri che si costruiscono precedentemente nell’infanzia sulla base di esperienze interattive ripetute, sperimentate nelle relazioni con le prime figure di attaccamento. Questi pattern, una volta interiorizzati, diventano sempre più automatici e meno consci, e possono strutturarsi in modo rigido e disfunzionale. Secondo il concetto di “copione” di Schank e Abelson, attraverso esperienze di vita ripetitive, gli individui costituiscono e strutturano copioni sequenziali di comportamenti che si attivano automaticamente ogni volta che aspetti della vita attuale ricordano lo schema passato. Fonagy suggerisce che i modelli di attaccamento, in quanto modalità relazionali abituali sviluppate dall’Io per minimizzare l’angoscia e promuovere l’adattamento, possono essere considerati anche una funzione di processi difensivi. Rispetto all’adattamento disorganizzato ipotizza che esso possa essere concepito come il risultato di uno sviluppo deficitario dell’Io che si esprime nell’incapacità di strutturare strategie difensive coerenti. Il modello della psicoanalisi relazionale tende a concepire le difese non come fenomeni meramente intrapsichici, ma come funzioni plasmate dal contesto interpersonale. 7.2 SISTEMI MOTIVAZIONALI E DIFESE Lichtenberg si propone di costruire un modello di funzionamento motivazionale della psiche. Egli ipotizza l’esistenza di 5 sistemi motivazionali: - sistema di regolazione psichica delle esigenze fisiologiche. - sistema di attaccamento-affiliazione - sistema esplorativo-assertivo - sistema avversivo di antagonismo e ritiro - sistema sensuale-sessuale. Le difese sono esperienze che nascono come pattern regolativi del sistema motivazionale eversivo, centrato su Resistenza, riluttanza e difensività I meccanismi di difesa non hanno a che fare con un gruppo di apparati psichici, ma sono modalità di cognizione, regolazione affettiva e memoria, che vengono usate dall'organizzazione del Sé per esprimere avversità punto essi dunque si attivano solo in risposta determinati stimoli dolorosi, derivati dalla frustrazione di bisogni motivazionali fondamentali per il Sé Secondo Liotti, (prospettiva cognitivo-evoluzionistica) i sistemi motivazionali sono fondati su potenti tendenze innate, frutto dell'evoluzione darwiniana, e regolano comportamento ed emozioni in vista di specifiche mete. Possono essere plasmati dall'esperienza e il loro funzionamento assume caratteristiche individuali specifiche dovute all'effetto di regolazione esercitato da elementi e processi e presi nell'ambiente. I sistemi motivazionali presentano un’organizzazione gerarchica a 3 livelli: livello arcaico e non sociale = regolano il comportamento e le funzioni fisiologiche necessari al mantenimento dell’omeostasi corporea dell’individuo (respirazione, alimentazione,). E’ composto anche da: - sistema di attacco/fuga o difesa - sistema dell’esplorazione - sistema della territorialità - sistema predatorio - sistema sessuale arcaico livello sociale = processi deputati al controllo delle interazioni sociali. livello conscio-intersoggettivo = è il livello più evoluto. Qui si trovano le strutture che hanno permesso l’evoluzione culturale umana con le specifiche motivazioni intersoggettive e conoscitive. Condivisione dell’esperienza soggettiva, uso del linguaggio, conoscenza e costruzione di un mondo di significati propri di tutte le culture umane. Il sistema di difesa è collocato al livello gerarchico più basso. Esso si attiva quando l'individuo percepisce una minaccia o un pericolo per la sua vita o la sua incolumità e si manifesta attraverso sequenze comportamentali invarianti. Vaillant (2012) auspica che le neuroscienze possano fornire un contributo significativo all’identificazione dei circuiti neurali alla base di meccanismi di difesa, grazie alle tecniche di neuroimaging. 7.3 ADATTAMENTO: DIFESE E COPING Il modello gerarchico dei meccanismi di difesa li distribuisce lungo un continuum che va dalle difese più mature a quelle più immature. Secondo Vaillant affinché un determinato comportamento possa essere definito in senso stretto difesa, è necessario che si dimostri duraturo nel tempo e abbia un evidente scopo adattivo. L’accezione “classica” dei meccanismi di difesa andrebbe distinta dal concetto di coping. - Meccanismi di difesa → considerati inconsci, automatici e spesso riconducibili a strutture patologiche di personalità - Stili di coping → per lo più consci, flessibili e rivolti alla soluzione positiva di condizioni avverse. In generale il termine coping si riferisce agli sforzi cognitivi e comportamentali mirati alla gestione di istituzioni stressanti che comportano percezioni di minaccia, perdita o sfida. La risposta individuale sarebbe frutto di un processo di valutazione delle carie opzioni disponibili e delle possibili conseguenze. Ci sono 3 tipi di risposta: Defense → risposte riflesse associate a situazioni di pericolo-salvezza Mastery → capacità di affrontare i propri stati e processi psicologici come problemi da risolvere Coping → sviluppo di nuove strategie e di comportamenti efficaci per affrontare situazioni difficili e insolite. Da queste 3 componenti dipenderebbe l’adattamento alla realtà dell’individuo. Principali strumenti atti a misurare il coping: - Ways of Coping Questionnaire (WCQ) → basato sulla distinzione di Lazarus e Folkman tra coping centrato sul problema e coping centrato sulle emozioni. - COPE Invenctory → strumento costruito da Carver che propone una suddivisione articolata dei tipi di coping in una serie di specifiche strategie di risoluzione dei problemi e modulazione delle emozioni. 7.4 VALUTAZIONE DEI MECCANISMI DI DIFESA Conoscere le strutture difensive di un paziente finisce informazioni importanti circa la personalità e la psicopatologia di un individuo, oltre a offrire indicazioni utili per la pianificazione del trattamento e la sua conduzione. Strumenti usati per l’assessment delle difese: - Vaillant Q-sort → compoSto da 51 item, indaga un totale di 15 difese. I meccanismi di base sono stati suddivisi in 3 categorie in base all’appartenenza a tre livelli di maturità difensiva (maturo, intermedio o nevrotico, immaturo). Il Q-sort è centrato sulla persona quindi persevera l’unicità e la specificità delle caratteristiche individuali. I risultati sono più accessibili a verifiche statistiche. Vi è una minore dipendenza da errori legati alla soggettività dei valutatori, i quali non necessitano di un training specifico. - Defense Mechanisms Inventory (DMI) → questionario semi-proiettivo che attraverso l’uso di 10 storie che raccontano situazioni conflittuali differenti, misura la presenza e l’intensità di 5 cluster difensivi. Gli sono state mosse molte critiche per i limiti psicometria di validità e attendibilità - Defense Style Questionnaire (DSQ) → è un self-report. Struttura fattoriale riconducibile a 4 stili difensivi: immaturi, distorsioni dell’immagine, self sacrificing, adattivo. Critiche riconducibili alla difficoltà di rilevare i meccanismi di difesa con uno strumento autosomministrativo - Response Evaluation Measure-71 (REM-71) → implica una lettura delle difese lungo un continuum maturità/immaturità e maggiore/minore adattività. E’ un questionario self-report. 7.4.1 LE DEFENSE MECHANISM RATING SCALES (DMRS e DMRS-Q) Sono delle scale di valutazione applicabili a colloqui diagnostici, sedute di psicoterapia, ecc… e comprendono una lista di 30 meccanismi difensivi. Le singole difese sono raccolte in 7 livelli disposti gerarchicamente. E’ possibile calcolare: Punteggio alle singole difese (frequenza di impiego di una difesa diviso il totale delle difese rintracciate nell’intervista) Punteggio dei livelli difensivi (somma dei punteggi proporzionali di tutte le difese appartenenti allo stesso livello) Punteggio globale delle difese (ODF = sintetizza punteggi totali di tutte le difese usate e si colloca su una scala da 1 a 7) L’uso delle DMRS richiede un training specifico. E’ importante innanzitutto che il terapeuta sia in grado di individuare nel contesto del colloquio/seduta delle anomalie o variazioni inattese nell’espressione degli affetti dell’individuo, nei suoi comportamenti, negli aspetti formali o nei contenuti del suo discorso. Dopo bisogna procedere all’individuazione della funzione del meccanismo difensivo attivato. Poi bisogna attribuire al meccanismo di difesa rilevato il nome corrispondente in base alle indicazioni del DMRS. A differenza del DMRS, la versione Q-sort non richiede l’applicazione su trascritti verbatim di colloquio o sedute di psicoterapia. Lo strumento include 150 item, 5 per ciascun meccanismo di difesa. La DMRS-Q permette di ottenere una valutazione quantitativa e qualitativa del funzionamento difensivo dell’individuo. Consente di costruire un profilo difensivo del paziente 7.5 DIFESE, ASSESSMENT DIAGNOSTICO E INDICAZIONI PER IL TRATTAMENTO La valutazione delle difese è un elemento centrale dell’assessment diagnostico della personalità e del funzionamento psico(pato)logico. Il DSM-4 presentava una scala del funzionamento difensivo (Defense Funcionning Scale. DFS) gerarchicamente organizzata in 7 livelli. Nella nuova edizione del DSM-5 la sezione dedicata alle difese scompare. La Shedler-Westen Assessment Procedure-200 (SWAP-200) ha lo scopo di fornire un linguaggio universale per descrivere la patologia della personalità. Il PDM valuta l’organizzazione di personalità dell’individuo su 3 livelli: sano, nevrotico e borderline. Per ogni patologia di personalità il PDM fornisce le caratteristiche più rilevanti, chiarisce le principali implicazioni per il trattamento ed evidenzia i pattern di transfert/controtransfert. Sono indicate le modalità difensiva prevalentemente associate a ciascun disturbo. Molti studi hanno messo in luce correlazioni possibili tra diagnosi, in particolare di disturbi di personalità, e lo stile difensivo. E’ stato dimostrato che i soggetti con gravi disturbi di personalità tendono a ricorrere in modo più massiccio a difese immature e disadattive. Va tuttavia sottolineato che non esiste una corrispondenza stabile e univoca tra personalità e difese. Alcuni autori hanno rilevato che il livello di funzionamento difensivo globale di un paziente migliora nel corso delle psicoterapie e in particolare in quelle a lungo termine (dai 2 anni e mezzo in poi). A questo miglioramento corrisponde un incremento delle capacità del soggetto di fronteggiare situazioni di stress intenso. Alcune ricerche indicano che questi cambiamenti sono graduali e seguono il sistema gerarchico delle difese. Alcuni studi indicano che modificazioni apprezzabili dell’assetto difensivo dei pazienti con patologia di personalità avvengono più lentamente rispetto ai pazienti che presentano altre condizioni cliniche. Il cambiamento dello stile difensivo si associa a una riduzione nella gravità della sintomatologia dei pazienti e un rafforzamento del buon funzionamento. Frequentemente, l’interpretazione delle difese o il ricorso ad altri interventi, che tengono conto dell’assetto difensivo dell’individuo, favoriscono lo sviluppo di una buona alleanza terapeutica e l’incremento dei processi collaborativi tra clinico e pazienti 7.6 DIFESE PSICOTICHE In Ego Mechanism Defense (1992), Vaillant propone una classificazione di 18 meccanismi di difesa raggruppati in 4 livelli difensivi: difese narcisistiche o psicotiche, difese, immature, difese intermedie o nevrotiche, difese mature. Il termine psicotico è usato per definire una “modalità di funzionamento psichico” che caratterizza individui che non necessariamente presentano disturbi psicotici riconducibili alle categorie diagnostiche del DSM. Le difese psicotiche per molti anni sono state 3: 1. Diniego psicotico o negazione maggiore = implica il completo disconoscimento di aspetti sensoriali-percettivi, ideativi ed emotivi di un’esperienza dolorosa o minacciosa per il soggetto, connessa ad angosce troppo intense da contenere ed elaborare. Questo meccanismo è alla base di tutte le difese psicotiche 2. Distorsione psicotica = il soggetto adatta, trasforma e rimodella la realtà sulla base dei suoi bisogni al fine di renderla più tollerabile. Il soggetto tende ad agire e comportarsi in conformità con la nuova realtà che ha costruito. Comporta una massiccia compromissione dell’esame di realtà 3. Proiezione delirante = il soggetto affronta una fonte di stress attribuendo bisogni, sentimenti, pensieri propri a un oggetto della realtà esterna che diventa una parte di sé. Esame di realtà non è mai mantenuto Il termine “psicotico” caratterizza individui che non necessariamente presentano disturbi psicotici riconducibili alle categorie diagnostiche del DSM. Alcuni modelli annoverano accanto a queste tre difese anche la scissione e l’identificazione proiettiva. In aggiunta alle 3 difese psicotiche presenti nella classificazione di Vaillant (diniego, distorsione, proiezione), nel campo della ricerca empirica un gruppo di clinici ha messo a punto una scala di valutazione dei meccanismi di difesa psicotici da usare in combinazione con la DMRS: P-DMRS (Psychotic-Defense Mechanism Rating Scales): 4. Ritiro autistico = soggetto perde il contatto con la realtà e la capacità di rispondere agli stimoli provenienti dall’ambiente. Implica una perdita di continuità dell'esperienza soggettiva (c’è la mancanza di uno scenario altro a quello reale) 5. Frammentazione = rappresentazione di Sé e degli altri e i legami tra di esse, sono frammentati. Implica scissioni multiple e distruttive che spezzettano e scompongono i vari aspetti dell’esperienza. 6. Concretizzazione = il soggetto affronta le situazioni di stress o conflitto trasformando una rappresentazione mentale in un oggetto, una situazione o un’azione concreti Vari autori hanno individuano meccanismi di difesa psicotici non contemplati nelle classificazioni più diffuse: Smontaggio → funzione di rendere un’esperienza attuale priva di ogni senso, smontandola nelle sue diverse componenti. Incapsulamento → racchiudere, circoscrivere sensazioni, affetti e rappresentazioni, incapsulando parti di sé dell’individuo completamente distaccate del resto della personalità. Messa in atto per far fronta all’angoscia di annichilimento Frammentazione → l’Io si frammenta per evitare di sentire dolore derivato da un’esperienza eccessivamente angosciosa. Deanimazione → processo attraverso cui l’individuo cerca di gestire emozioni intollerabili rendendole meccaniche. Animazione → si attribuisce vitalità a oggetti inanimati sottoponendoli al suo controllo al fine di ottenere quel senso di prevedibilità che non riesce a provare con le persone Fusione → permette al bambino psicotico di nutrire le convinzione delirante di essere un’unità onnipotente con la madre Cap. 8 -SESSO, GENERE E ORIENTAMENTO SESSUALE Il termine “genere” si usa per indicare le categorie maschile/femminile (gender) differenziandole dal sesso biologico maschio/femmina (sex). Il termine “sesso” si riferisce allo stato biologico di un individuo: femmina, maschio o intersessuale (cioè combinazioni atipiche dei caratteri sessuali). Il termine “genere”, invece, si riferisce agli atteggiamenti, ai sentimenti e ai comportamenti che una data cultura associa al sesso biologico di un individuo. L’”identità di genere” riguarda la percezione di sé come donna o come uomo. Quando la propria identità di genere non “corrisponde” al proprio sesso biologico, la persona può definirsi o essere definita transessuale. L’ “espressione di genere”, e il “ruolo di genere”, riguardano invece il modo in cui una persona comunica il proprio genere in una determinata cultura. La propria espressione di genere può essere più o meno compatibile con il modo in cui i ruoli di genere vengono socialmente prescritti e attesi. Robert Stoller chiarì che il termine genere ha connotazioni psicologiche e culturali piuttosto che biologiche. Se i termini appropriati per il sesso sono maschio e femmina, per il genere sono “maschile” - “femminile”. Quest’ultimi possono essere del tutto indipendenti dal sesso (biologico). Il genere equivale al livello di mascolinità o femminilità in una persona e, nonostante molti esseri umani li possiedono entrambi, ovviamente nel tipico individuo maschio prevale la mascolinità e nel tipico individuo femmina la femminilità. Dibattito tra essenzialisti e costruzionalisti: - secondo i costruzionalisti è il contesto socioculturale a formare la sessualità umana - per gli essenzialisti invece le categorie e le identità sessuali rappresentano caratteristiche personali stabili, tendenzialmente transculturali e trans-storiche. L’area dei gender studies si è notevolmente sviluppata a partire dalla fine degli anni Sessanta. Nell’ambito dei gender studies le posizioni del costruzionalismo radicale, tendono a minimizzare, se non addirittura a negare, le basi anatomo-fisiologiche delle rappresentazioni sessuali. La mancanza di conformità tra identità di genere, ruolo di genere e aspettative socioculturali legate al sesso biologico può costituire la base di un disagio che può assumere varie proporzioni, fino al rifiuto del proprio corpo sessuato e allo sviluppo di quadri che la diagnostica psichiatrica DSM 5 definisce disforia di genere. 8.1 ORIENTAMENTO SESSUALE Mentre l’identità di genere riguarda la percezione di Sé come maschio o femmina, l’orientamento sessuale riguarda l’oggetto dell’attrazione erotico-affettiva: eterosessuale se è rivolta verso l’altro sesso, omosessuale se è rivolta verso lo stesso sesso, bisessuale se è rivolta verso entrambi i sessi. L’identità sessuale si riferisce all’esperienza soggettiva dell’orientamento sessuale. Orientamento sessuale, identità sessuale, identità di genere e ruolo di genere sono concetti diversi e non sovrapponibili. Negli ultimi quarant'anni la comunità scientifica ha avviato una revisione radicale delle teorie che vedevano nell’omosessualità un esito patologico o comunque problematico dello sviluppo psichico. La situazione inizia a modificarsi attorno alla metà del XX secolo, quando gli studi di Alfred Kingsley e di Evelyn Hooker inaugurano il cosiddetto “processo di depatologizzazione dell’omosessualità”. Propongono la Scala Kingsley, un noto sistema di classificazione in cui l’orientamento sessuale costituisce un continuum che va dall’eterosessualità esclusiva (punto 0) all’omosessualità esclusiva (punto 6). Il cambio di rotta più significativo avviene nel 1973, quando l’American Psychiatric Association (APA) elimina dalla settima ristampa del DSM-II la diagnosi di omosessualità che era classificata come una devianza sessuale. Nel DSM, tuttavia, l’omosessualità rimarrà nella sua variante “egodistonica” (indesiderata e non positivamente integrata nella propria identità). Nel 1987 l’APA decide di eliminare anche questa variante. Richard Isay ritiene importante affermare che l’omosessualità, come l’eterosessualità, è il risultato dell’incontro tra assetti biologici e sviluppi evolutivi. L’ipotesi di un’influenza biogenetica nella determinazione degli orientamenti sessuali maschili (non esistono dati analoghi per quelli femminili) evidenzia che ogni orientamento sessuale, omo o etero, è talmente complesso che nessun fattore può esserne completamente responsabile. Ipotesi della componente genetica: ricerche sul “gene gay”. La ricerca sull’omosessualità ha oggi ceduto il passo alla ricerca sul pregiudizio antiomosessuale (omofobia, stigma sessuale) e alle sue conseguenze sulle persone non-eterosessuali (minority stress, omofobia interiorizzata). Le cosiddette terapie riparative, di conversione, di riorientamento o di terapie ex-gay, costituiscono una falsa forma di psicoterapia, volta a “cambiare” l’orientamento da omosessuale a eterosessuale, partendo dal pregiudizio che l’omosessualità sia una patologia e che l’eterosessualità sia la meta naturale dello sviluppo psicosessuale. Queste terapie non solo non ottengono il risultato cercato, ma spesso causano gravi danni psicologici. Sono infatti state bandite dai protocolli di cura. Talvolta alcuni interventi clinici, pur non essendo espressamente definibili come “riparativi”, sono comunque caratterizzati da pregiudizi anti omosessuali o da scarsa informazione. Tre tipologie di terapie: terapie riparative → utilizzano le teorie e/o i metodi promossi dalle associazioni di terapeuti riparativi terapie “finalizzate” alla conversione eterosessuale ma che non utilizzano i metodi strutturati e/o le teorie di cui al punto precedente interventi clinici non finalizzati alla conversione eterosessuale ma ugualmente compromessi dai pregiudizi antiomosessuali. I figli cresciuti da genitori omosessuali, confrontati con quelli cresciuti da genitori eterosessuali, non mostrano differenze significative né in termini di salute mentale né rispetto ai percorsi di sviluppo. 8.2 OMOFOBIA Con la depatologizzazione dell’omosessualità, l’attenzione dei professionisti della salute mentale si è spostata sulla valenza patologica di un insieme di atteggiamenti persuasivamente pregiudiziali nei confronti delle persone omosessuali: l’omofobia. Warren Blumenfeld (1992) individua 4 diversi livelli di omofobia: - personale = che riguarda i pregiudizi individuali verso gay o lesbiche - interpersonale = che si manifesta quando le persona traducono in comportamenti i loro pregiudizi - istituzionale = che si manifesta alle politiche discriminatorie delle istituzioni. - sociale = che si esprime attraverso i comuni stereotipi sulle persone gay e lesbiche, escludendole delle rappresentazioni culturali normative. Come il razzista l’omofobo di solito si rifà a un sistema codificato di credenze che ritiene di dover difendere dalla minaccia di soggetti che considera pericolosi. Tra i criteri necessari per fare una diagnosi clinica di fobia figurano la consapevolezza che la paura è eccessiva, irrazionale, inadeguata rispetto all’oggetto e conseguente desiderio, da parte del fobico, di liberarsene. Nessuno di questi criteri sembra essere soddisfatto dall’omofobia comunemente intesa, dal momento in cui: - l’omofobo ritiene normale e giustificata la sua reazione negativa nei confronti della persona omosessuale - l’omofobia non compromette necessariamente il funzionamento sociale del soggetto - l’omofobia non vive con disagio la propria fobia, né avverte il bisogno di liberarsene. - le fobie si manifestano principalmente con l’evitamento dell’oggetto o della situazione temuti. Nell’omofobia invece l’evitamento può coesistere con deliberata aggressività. Sono stati proposti termini alternativi, tuttavia quello di “omofobia” rimane il più diffuso in Italia. Le risposte omofobiche possono rappresentare strategie cognitive a scopo autodifensivo rispetto a un’immaginaria minaccia di “disordine”. Alla base di molti atteggiamenti omofobici c’è la paura di essere identificati e/o etichettati come omosessuali, e dunque spesso l’omofobo, temendo la propria omosessualità, attacca quella altrui. Altre strategie omofobiche sono connesse alla paura trasformata in odio per ciò che viene percepito come diverso e/o straniero. Oggi ciò che preoccupa e spaventa fino all’odio è la possibilità di una “normalità omosessuale”. L’omofobia di oggi non può sopportare che chi non è eterosessuale possa e voglia appartenere al tessuto sociale. Alcuni ricercatori hanno cercato di sviluppare strumenti validi per misurare gli atteggiamenti nei confronti di lesbiche e gay. La modalità di misurazione utilizzata per valutare l’omofobia è costituita per lo più da strumenti self-report in cui si chiede ai soggetti di indicare su una scala il grado di accordo con una o più affermazioni. Un valido strumento è la Modern Homophobia Scale, un questionario autosomministrato che valuta l’omofobia. 8.3 MINORITY STRESS, OMOFOBIA INTERIORIZZATA, RESILIENZA Gli individui omosessuali o bisessuali, se confrontati con gli eterosessuali, sono esposti a un rischio decisamente maggiore di aggressioni o altri eventi traumatici. Conseguentemente, l’incidenza dei disturbi stress-correlati è significativamente più alta negli omosessuali rispetto agli eterosessuali. Seppur paragonabile ad altrettanto deprecabili forme di razzismo e discriminazione, di solito l’omofobia gode di una maggior accettazione sociale e le persone non-eterosessuali non sempre possono contare sul riconoscimento e sul sostegno della famiglia. L’insieme di disagi psicologici a cui sono sottoposte le persone non-eterosessuali viene definito minority stress. Questo si compone di 3 dimensioni: - Esperienze vissute di discriminazione e violenza - Stigma percepito = riguarda il livello di vigilanza relativo alla paura di essere identificati come gay o lesbiche. Livelli elevati di stigma percepito possono comportare stati continui di stress - Omofobia interiorizzata = insieme di sentimenti e atteggiamenti negativi che una persona può provare, più o meno consapevolmente, nei confronti della propria omosessualità. Esistono diversi strumenti che possono aiutarci a valutare i livelli di omofobia interiorizzata e stigma percepito. Un importante fattore che media la relazione causale tra eventi traumatici e esiti psico(pato)logici è la resilienza, che differenzia gli individui in base alle loro capacità di far fronte alle difficoltà. Anche rispetto al minority stress la resilienza può costruire un importante fattore protettivo. Un importante fattore protettivo è anche l’appartenenza a una comunità da cui si può ricevere e fornire sostegno. 8.4 OMOFOBIA IN PSICOANALISI Freud assumeva una posizione articolata ma di fatto ambivalente rispetto all’omosessualità. - la considerava un segno di immaturità psicosessuale - ne riconosceva la presenza inconscia in tutti gli individui. Con gli anni Novanta inizia a diffondersi una letteratura scientifica che non guarda più all’omosessualità come a una patologia e che teorizza ed esemplifica un modello di sviluppo non patologico dell’omosessualità. Fioriscono i gender studies, con la loro benefica distinzione tra sesso e genere e il loro accento sull’influenza della cultura nella costruzione del genere e della sessualità. Si è rivelato interessante studiare gli atteggiamenti verso le omosessualità e le persone gay e lesbiche anche tra gli psicologi, gli psichiatri e gli psicoanalisti: a) Gruppo che segue pensiero freudiano → Sottolineano l’aspetto regressivo dell’omosessualità Altri tendono a considerarla il risultato di un arresto o di un’inibizione dello sviluppo psicosessuale. Affermano che l’omosessualità rappresenti una condizione regressiva che può e deve essere curata. Tra i più attivi sostenitori troviamo Charles Socarides, che vede nell’eterosessualità l’unito esito evolutivo normale. b) Gruppo postkleiniano → tende a considerare l’omosessualità una costellazione sintomatologica caratterizzata da aggressività, narcisismo e relazioni di dominio sugli oggetti. Un caso particolare è quello di Kernberg che ha poi affermato che l’omosessualità è una forma di sessualità sana. c) Il terzo gruppo → non aderisce a una specifica teoria eziopatogenetica della sessualità. Non si focalizza sulla genesi dell’omosessualità. La loro attenzione è rivolta soprattutto alla qualità e alle dinamiche della relazione amorosa. d) Il quarto gruppo è composto da autori che hanno la convinzione che l’omosessualità sia uno degli esiti naturali dello sviluppo sessuale umano. Mitchell rileva l’importanza del cosiddetto approccio non direttivo con il cliente omosessuale, e invita gli psicoanalisti a elaborare la loro omofobia, più o meno inconscia. Un discorso a parte riguarda la psicologi junghiana, la quale non si discosta molto da quella freudiana classica: l’orientamento omosessuale indicherebbe uno sviluppo psichico incompleto, un arresto “a livello infantile”. Il suo contributo alla teorizzazione sull’omosessualità è riconducibile a due ipotesi - Edipico personale → madre incatena inconsciamente a sé il figlio come sostituto del marito. - Archetipico → relazione disturbata con l’Anima. Tuttavia Jung riconosce all’omosessualità anche l’espressione di aspetti positivi della personalità. 8.5 LO SVILUPPO DELL'IDENTITÀ DI GENERE Negli ultimi decenni il pensiero freudiano è stato riesaminato sottoponendo a severa critica alcuni assunti, in particolare i concetti di invidia del pene e masochismo femminile, circa la struttura della differenza sessuale e di genere. Il discorso sulla sessualità viene sganciato dal concetto metapsicologico di pulsione per concentrarsi sul ruolo dell’esperienza sessuale nel rapporto con gli oggetti e nella formazione e conservazione del senso di Sé. Questo radicale cambiamento di prospettiva sulla sessualità ha notevoli ripercussioni sul modo di concepire l’identità di genere. Sigmund Freud parla di mascolinità e femminilità → specifica che nell’individuo non si riscontrano mai allo stato puro, ma piuttosto si ha una mescolanza di entrambi i caratteri. - Differenza di genere è scontata, fondamentale e immodificabile perché radicata nella biologia = anatomia come destino. - teoria psicosessuale → i bambini di entrambi i sessi sono inizialmente convinti che tutti sono uguali; quando scoprono la differenza anatomica ne rimangono sconvolti, sviluppando l’angoscia di castrazione, nel caso dei maschi, o l’invidia del pene, nel caso di femmine. - Qualcosa che entrambi i sessi hanno in comune è il rifiuto della femminilità. Nell’uomo l’aspirazione alla virilità è perfettamente egosintonica fin dall’inizio. Anche nella donna l’aspirazione alla virilità è egosintonica per un certo periodo, precisamente nella fase fallica, prima che lo sviluppo proceda nel senso della femminilità. In seguito però tale aspirazione soggiace a quell'importante processo di rimozione, dal cui esito derivano i destini della femminilità stessa. Il desiderio non esaudito del pene è destinato a diventare desiderio del bambino e dell’uomo che reca il pene. Horney → respinge l’idea che la femminilità si sviluppi solo attraverso l’invidia del pene. Thompson → il desiderio di avere il pene della donna è la metafora della richiesta di uguaglianza con gli uomini. Melanie Klein → Nelle proiezioni del bambino, a livello della Fantasia inconscia, la madre diventa una presenza buona o ostile e viene considerata come contenente il seno, le feci, il pene del padre e i bambini. Questi elementi maschili e femminili, confusi nella madre, saranno differenziati solo successivamente. La bambina ha una consapevolezza inconscia della propria vagina, e quindi il “fallicismo” è secondario e difensivo. (lei non avendo il pene si sente inferiore, dato che esso è assoggettato a temi di viralità) L’invidia del pene è vista dunque come una conseguenza della svalutazione della femminilità e del desiderio per il pene del padre fantasticato come possesso materno. Stoller, il bambino/la bambina è consapevole della sua mascolinità/femminilità indipendentemente dai cromosomi e dall’anatomia dei genitali. Nel modello tolleriamo, il senso di appartenenza all’uno o all’altro genere si crea molto precocemente, entro il primo anno e mezzo di vita, e rimane invariato per sempre. L’identità nucleare di genere si sviluppa nell’individuo normale a partire da 3 elementi: - l’anatomia e la fisiologia dei genitali. - l’atteggiamento dei genitori e dei familiari nei confronti del ruolo di genere del bambino. - una forza biologica in grado di influenzare il contesto ambientale. Parlando della sessualità femminile, mette in discussione l’ipotesi freudiana dell’esistenza di due fasi, la prima con carattere maschile e la seconda con caratteri specificamente femminili. - bambina è da subito consapevole dell’esistenza della vagina. - Per stabilire l’identità di genere, il bambino deve disidentificarsi dalla madre e identificarsi con il padre. - lo sviluppo della mascolinità nel maschio pone problemi particolari, che lo sviluppo della femminilità nella femmina non ha. (Contrariamente alla posizione di Freud secondo cui la mascolinità è lo sviluppo naturale e la femminilità è una modificazione di questa) Stoller fece un famoso studio clinico sul transessualismo, individuando una serie di elementi costanti: - eccessive identificazioni con la madre. - madre incapace di permettere al figlio di separarsi dal proprio corpo. - assenza/carenz