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This document discusses the fundamental concepts of healthcare policy, examining various components such as demand, supply, and financing. It explores different prevention strategies, from the elimination of diseases' causes to the identification of early-stage illnesses. Furthermore, factors impacting health, including genetic predisposition, environmental factors, and socioeconomic elements, are detailed.
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La politica sanitaria CONCETTI FONDAMENTALI Il sistema sanitario è l’insieme delle istituzioni, degli attori e delle risorse, umane e materiali, che concorrono alla promozione, al recupero e al mantenimento della salute. Si compone di vari sottosistemi che interagiscono tra loro, in particolare son...
La politica sanitaria CONCETTI FONDAMENTALI Il sistema sanitario è l’insieme delle istituzioni, degli attori e delle risorse, umane e materiali, che concorrono alla promozione, al recupero e al mantenimento della salute. Si compone di vari sottosistemi che interagiscono tra loro, in particolare sono 3: 1. il sottosistema della domanda, comprende la popolazione che esprime un bisogno di salute e richiede prestazioni per ripristinare il proprio stato di benessere 2. il sottosistema dell'offerta, produce e distribuisce servizi e prestazioni sanitarie 3. il sottosistema del finanziamento, raccoglie e distribuisce le risorse monetarie necessarie a far funzionare il sistema nel suo complesso. Un sistema sanitario persegue diverse finalità, dalla prevenzione della morte alla guarigione dalle malattie, dal sollievo della sofferenza all’impedimento di condizioni di cronicità, fino alla promozione della salute. Le attività svolte sono dunque molteplici e si possono raggruppare in: prevenzione primaria: eliminare le cause di insorgenza delle malattie e i possibili fattori di rischio per la salute, interviene su individui sani per ridurre il rischio di eventi avversi prevenzione secondaria: finalizzata a individuare le malattie in fase precoce e ad arrestarne l’evoluzione diagnosi e cura: identificare le cause delle malattie, rimuoverne lo stato patologico o ritardarne il decorso attraverso cure primarie e specialistiche riabilitazione: recuperare le capacità funzionali compromesse dalla malattia e a impedirne la cronicità Ci sono diversi fattori che possono condizionare in positivo (l’esercizio fisico, l’uso del casco e delle cinture di sicurezza, ecc) o in negativo (abuso di alcol e fumo, una vita sedentaria, ecc) la salute di un individuo o di una popolazione. Tali fattori si possono raggruppare in 4 classi: - patrimonio genetico - fattori ambientali - fattori socioculturali - fattori economici e stili di vita - uso dei servizi sanitari L’interrelazione tra questi fattori si evince se si considera che la salute non è più sinonimo di sanità, perciò spendere di più per la sanità non vuol dire necessariamente migliorare lo stato di salute di una persona. Ad esempio nei confronti delle malattie cronico-degenerative (come tumori e malattie cardiovascolari), che costituiscono più del 70% delle cause di morte nelle società industriali, l’unico rimedio efficace è l’eliminazione dei fattori di rischio; la medicina può fare ancora poco, interviene soprattutto per rallentarne il decorso e riportare il paziente a una funzionalità accettabile. Il sistema sanitario può farsi promotore affinché vengano attuate “politiche sane”: nella produzione di energie rinnovabili, nei trasporti, nell'alimentazione e nell’agricoltura. Per funzionare, il sistema sanitario impiega risorse del sistema economico, parliamo di fattori produttivi o input (ossia lavoro, capitali, beni e servizi) e li trasforma in prestazioni sanitarie o output, destinate a migliorare lo stato di salute della popolazione. Nel processo produttivo le risorse sono tra loro combinate secondo proporzioni tipiche dei diversi settori sanitari (ad esempio il settore ospedaliero è ad alta intensità di capitale) per creare valore aggiunto, ossia un nuovo valore d’uso della prestazione prodotta. Il sistema sanitario non si distingue dagli altri settori nella fase produttiva, avviene una trasformazione di risorse primarie in prodotti materiali o servizi, ha tuttavia lo scopo di produrre salute (salute come risultato o outcome) e su questa base deve essere valutato. Le risorse consumate si trasformano in salute: ad esempio un consulto medico oppure una dose di un farmaco hanno valore se accrescono la salute. Ogni euro speso dovrebbe tradursi in un dato ammontare di salute. Sono 4 i parametri con cui valutare un sistema sanitario: 1. l’efficienza (rapporto prestazioni/risorse o output/input), è relativa all’impiego economico delle risorse nel processo produttivo; è misurata dal numero di prestazioni realizzate da un'unità di fattore produttivo impiegato. 2. l’efficacia (rapporto salute/prestazioni o outcome/output), misura il contributo dei servizi sanitari al miglioramento dello stato di salute; è misurata dal miglioramento di salute in seguito al consumo di una prestazione sanitaria. 3. i costi il cui indicatore principale è la spesa sanitaria totale pro capite. 4. l’equità, l’uguaglianza di accesso alle cure sanitarie indipendentemente dalle condizioni socioeconomiche degli individui, la salute non dipende infatti solo dal servizio sanitario ma è la risultante di molti fattori concomitanti (esempio: le condizioni lavorative, l’ambiente, gli stili di vita, ecc). Può essere considerata come la garanzia di un minimo standard che lo stato deve assicurare agli individui a basso reddito per la copertura dei bisogni ritenuti essenziali. Un sistema ideale deve offrire una giusta combinazione fra tutti questi indicatori, ad esempio se l’intervento in sala operatoria è stato rapido ma il paziente è peggiorato, probabilmente esistono problemi di inefficacia e inefficienza. Se anche per assurdo un sistema sanitario non producesse salute, esso produrrebbe comunque dei redditi, infatti le risorse impiegate generano redditi per coloro che le prestano, come stipendi per medici ed infermieri, profitti per l’industria farmaceutica, ecc. I sistemi sanitari dei diversi paesi sviluppati possono essere ricondotti a tre diversi modelli istituzionali: il sistema delle assicurazioni sociali di malattia (di stampo mutualistico) il servizio sanitario nazionale le assicurazioni private di malattia I primi due modelli si differenziano per diversi aspetti: in termini di copertura ○ primo modello: principali destinatari delle prestazioni sanitarie sono i lavoratori ○ secondo modello: l’intera popolazione residente I sistemi di tipo assicurativo presentano differenziazioni di trattamento tra le varie categorie occupazionali, in termini di prestazioni erogate e di contributi versati: rispetto alla natura pubblica o privata degli erogatori e alle caratteristiche dei servizi offerti: ○ nel sistema mutualistico il principale erogatore di prestazioni e servizi, le mutue assicurative, è privato o parastatale ○ nei sistemi sanitari nazionali è lo stato che si fa carico della gestione e dell’erogazione dell'assistenza sanitaria Questo incide sulla gamma delle prestazioni offerte, nel primo caso è più circoscritta e in funzione della partecipazione assicurativa, mentre nel secondo caso è più estesa e in funzione del requisito di cittadinanza o residenza. rispetto al meccanismo di finanziamento, rispettivamente di tipo contributivo o fiscale. Il modello delle assicurazioni private di malattia è finanziato attraverso i premi pagati da coloro che scelgono liberamente di sottoscrivere una polizza assicurativa. Il sistema garantisce la protezione a tutti coloro che sono disposti a pagare in base alla propria esposizione al rischio, mentre sono esclusi coloro che non sono in grado di sostenere il costo di una polizza privata. Il sistema invece non realizza alcuna forma di solidarietà, questo modello è diffuso principalmente negli Stati Uniti in cui, a eccezione dei due schemi sanitari pubblici: Medicaid (rivolto ai poveri) e Medicare (rivolto agli anziani ultrasessantacinquenni), non esiste di fatto un sistema sanitario di tipo mutualistico o di tipo nazionale. All’interno dei sistemi di welfare, accanto ai sistemi sanitari, vengono in genere garantite almeno due prestazioni monetarie connesse alla tutela della salute: - la prima è l’indennità di malattia, ovvero una somma che viene pagata in sostituzione della retribuzione ai lavoratori che si ammalano. È previsto un periodo massimo di erogazione, e solitamente i primi 2-3 giorni sono a carico dei datori di lavoro, mentre il restante periodo di assenza è a carico dell’ente gestore - la seconda prestazione è l'indennità di maternità a cui hanno diritto le lavoratrici madri e che permette loro di assentarsi per un periodo definito dal posto di lavoro. Durante questo periodo è prevista l’erogazione di un'indennità sostitutiva alla retribuzione. I sistemi sanitari dei diversi paesi si differenziano quindi sotto il profilo organizzativo, per le dimensioni, l’articolazione istituzionale, le regole di accesso, ecc. È possibile individuare alcuni soggetti istituzionali comuni a tutti i sistemi sanitari, i principali attori istituzionali di un sistema sanitario sono: i cittadini, in quanto fruitori delle prestazioni e dei servizi sanitari e in qualità di contribuenti, in modo diretto o indiretto costituiscono infatti la fonte principale di finanziamento gli enti centrali dello stato e quello periferici operano a livello subnazionale (regionale o comunale), svolgono un ruolo centrale nella fase di formulazione e approvazione della normativa sanitaria ma anche nella fase di implementazione della politica sanitaria, esercitano quindi una presenza rilevante a livello di indirizzo, controllo, oltre che gestione i soggetti economico-finanziari che acquistano e vendono le prestazioni sanitarie, soggetti pubblici o privati il cui fine istituzionale è l’intermediazione di acquisto e vendita di servizi e quindi fare da tramite tra i cittadini-utenti e le strutture erogatrici dei servizi le strutture di erogazione dei servizi, ossia ospedali, ambulatori, operatori singoli o associati, laboratori e così via. UNA PANORAMICA STORICA L’origine dei sistemi sanitari è connessa ai processi di modernizzazione, urbanizzazione e industrializzazione, a cavallo del XIX secolo. L’urbanizzazione determinò un peggioramento delle condizioni di vita e il sovraffollamento delle città provocò un rischio di epidemie. Fu proprio una devastante epidemia di colera, scoppiata nel 1832, a far decollare la sanità in senso moderno. La neutralizzazione dei veicoli di “contagio” e la soppressione di ogni potenziale fonte di “miasma” furono i due principali obiettivi di politica sanitaria perseguiti dai paesi europei a partire dagli anni ‘30 dell’800. Va riconnessa anche la riorganizzazione delle pratiche di terapia medica e di igiene collettiva e l’introduzione di specifiche misure di regolazione e di intervento diretto da parte dello stato ai fini di assistenza e previsione. Il peggioramento delle condizioni lavorative e i maggiori rischi di infortunio sul posto di lavoro connessi al processo di industrializzazione determinano interventi e misure di assistenza e di prevenzione in campo sanitario, favorendo in seguito l’introduzione di un’assicurazione sociale obbligatoria contro i rischi da infortunio. Nella fase originaria di sviluppo della sanità ebbero un ruolo di rilievo anche le chiese, gli istituti privati di beneficenza (fornivano parte delle loro risorse finanziarie ed organizzative) e i vari movimenti popolari. Furono i movimenti politico-religiosi a sperimentare le prime forme di mutualismo sanitario tramite l’istituzione di appositi fondi assicurativi a iscrizione volontaria, creando un nuovo meccanismo di redistribuzione su larga scala del rischio di malattia e di compensazione dei danni conseguiti. Al mutualismo seguì l’introduzione dell’Assicurazione pubblica e obbligatoria contro le malattie, che ha caratterizzato il vero punto di svolta nell’evoluzione dei moderni sistemi sanitari. L’assicurazione obbligatoria si distingueva dalle tradizionali istituzioni di beneficenza pubblica, privata e religiosa, in quanto offriva prestazioni su base nazionale, e non più locale, seppure prevedendo differenziazioni di tipo categoriale. Inoltre l’assicurazione prescindeva da ogni preferenza politico-confessionale dei propri affiliati e creava un nuovo diritto sociale all'assistenza in caso di malattia, disciplinato e protetto dalla legge. Tale diritto presupponeva come contropartita un dovere di contribuzione da parte di ogni potenziale beneficiario. Il paese pioniere in campo sanitario fu la Germania di Bismarck, che introdusse il primo schema nel 1883, seguita dall'Austria nel 1888. Si tratta degli unici due paesi in cui l'assicurazione obbligatoria di malattia venne introdotta prima della fine del XIX secolo. In alcuni casi, come l'Italia fu necessario passare attraverso vari tentativi di riforma prima di arrivare all'introduzione dell'assicurazione obbligatoria (o del servizio sanitario nazionale). A partire dall'inizio del XX secolo fino alla seconda guerra mondiale, il settore sanitario ha registrato una crescita progressiva del proprio peso istituzionale. La crescita economica favorì migliori condizioni di igiene, l'aumento della scolarizzazione contribuì alla modernizzazione dei comportamenti sanitari della popolazione. Venne esteso il raggio della regolazione pubblica sull'intero settore. L'assicurazione obbligatoria di malattia venne concessa a nuove categorie di lavoratori, determinando una progressiva espansione della copertura. Tuttavia, nel secondo dopoguerra si registra un ulteriore rafforzamento istituzionale della sanità; a partire dagli anni 50 il settore sanitario conobbe in tutti i principali paesi industrializzati, una forte espansione sotto il profilo qualitativo e quantitativo: Primo indicatore quantitativo: la percentuale di spesa sanitaria totale rispetto al PIL è raddoppiata negli ultimi sessant'anni. In tutti i paesi sono aumentate sia la quota di spesa pubblica sul totale della spesa sanitaria sia la spesa sanitaria pro capite. Dal 1995 al 2017, mentre la spesa sanitaria pro capite ha continuato a crescere in tutti i principali paesi OCSE, l'aumento della spesa sanitaria pubblica sul totale della spesa sanitaria ha conosciuto una flessione in numerosi Stati, tra cui Germania, Svezia, Regno Unito, Italia e Spagna, per poi ricominciare a crescere, salvo una nuova battuta d'arresto a causa della crisi economica del 2007. L’Italia ha una spesa sanitaria totale pro capite di 2551$, valore inferiore alla media dell'UE-28. Per quanto riguarda l'incidenza della spesa sanitaria pubblica sul PIL, questa è in Italia inferiore rispetto al valore UE-28. Nel decennio della crisi il divario rispetto alla media UE-28 è tornato a crescere, seppur in modo modesto, dopo la fase di convergenza avvenuta negli anni 2000. secondo indicatore: tassi di occupazione nel settore sanitario e socio assistenziale sul totale degli occupati; dagli anni 70 agli anni 2000 tale percentuale è aumentata in maniera consistente in tutti i paesi OCSE. terzo indicatore: grado di copertura dell'assistenza sanitaria, è cresciuto progressivamente in tutti i paesi a partire dagli anni 70. L'innovazione più rilevante del lungo ciclo post bellico di espansione dei sistemi di welfare è stata l'introduzione di un nuovo modello organizzativo: il servizio sanitario nazionale. Il primo paese a introdurre un sistema sanitario nazionale fu la Nuova Zelanda nel 1938. L'idea di un sistema sanitario nazionale è però associata al Regno Unito e in particolare alla figura di Lord Beveridge, principale artefice del piano di riforma che porterà alla creazione del National Health Service nel 1946. L'esempio del Regno Unito venne successivamente seguito dai paesi scandinavi tra gli anni ‘50 e gli anni ‘70, e dai paesi dell'Europa meridionale nel corso degli ultimi quattro decenni. L'Italia, caratterizzata da un sistema di welfare occupazionale e frammentato, è stata il primo paese dell'Europa meridionale a imboccare la strada dell'universalismo in campo sanitario, abolendo le casse mutue e introducendo nel 1978 un servizio sanitario nazionale. Un servizio nazionale tende a essere più omogeneo e standardizzato rispetto ai tradizionali sistemi di mutue obbligatorie: vale sia per i diritti riconosciuti ai cittadini, sia per gli standard di prestazione. Inoltre, un servizio nazionale tende per sua natura a erodere gli spazi di azione del settore non pubblico e a indurre una progressiva omologazione dei comportamenti sanitari sia degli utenti sia dei fornitori di prestazioni. Infine, realizza pienamente l'ideale della cittadinanza sanitaria: la garanzia di assistenza universale, collegata al solo status di cittadino. Il termine sanità denota l'insieme dei programmi e delle strutture pubbliche in questo settore, che peraltro rappresentano uno dei pilastri portanti dello Stato sociale contemporaneo. Ciò nonostante include numerosi attori e pratiche di tipo non pubblico: non solo la medicina privata, ma anche l'insieme delle attività di cura svolte autonomamente da associazioni volontarie, famiglie e individui. Il sistema sanitario poggia sempre su articolate discipline normative emanate dallo Stato. Si possono collocare i principali paesi OCSE in base a due dimensioni: 1. erogazione dell'assistenza sanitaria nelle tre forme: pubblica, privata e mista 2. finanziamento di tipo prevalentemente fiscale o contributivo Tra i paesi che presentano un sistema di finanziamento di tipo fiscale troviamo i paesi scandinavi, il Regno Unito ma anche l'Italia e la Spagna. L'erogazione da parte del settore privato e il finanziamento individuale e volontario si riscontrano solo negli Stati Uniti. Qui la componente pubblica si limita ai due schemi federali Medicare e Medicaid, finanziati attraverso il gettito fiscale. La maggioranza dei cittadini accede quindi alle cure mediche ricorrendo a erogatori privati e pagando di tasca propria. L’italia: da un sistema mutualistico a servizio sanitario nazionale L’evoluzione della politica sanitaria e il processo di statalizzazione del settore sono stati influenzati dai rapporti di forza esistenti tra i seguenti attori: - i partiti e i movimenti politici - la professione medica e le sue associazioni di categoria - la burocrazia e gli apparati che erogano i servizi - le amministrazioni subnazionali I partiti di sinistra e i sindacati dei lavoratori sono stati di norma i propugnatori delle grandi riforme in direzione statalista, in conflitto con i partiti di centro e di destra, la professione medica tendeva anch'essa a difendere l’orientamento “mercantile” del sistema, da cui traeva vantaggi. Gli apparati burocratici hanno in alcuni casi osteggiato qualsiasi alterazione dello status quo, mentre in altri hanno appoggiato le forze riformiste. Il campo di forze tra questi attori è stato storicamente abbastanza bilanciato: l'evoluzione istituzionale del settore sanitario ha seguito di norma un percorso incrementale, fatto di piccoli aggiustamenti successivi. In un continente conservatore in termini di riformismo sanitario, l’Italia è stata l'unica eccezione, nel 1978 ad aver smantellato il vecchio sistema mutualistico imperniato su una molteplicità di schemi categoriali per istituire un servizio sanitario nazionale. La trasformazione del sistema mutualistico in un sistema sanitario nazionale è avvenuta lentamente e per tappe. Una prima svolta fu nel 1958 quando venne istituito il ministero della Sanità, affiancato e coadiuvato dal Consiglio superiore di sanità (organo consultivo) e dall’Istituto superiore di sanità (organo tecnico-scientifico). Fu il nuovo dicastero (Complesso burocratico che governa un settore della pubblica amministrazione; ministero) a promuovere l’impostazione della politica ospedaliera degli anni 70, che con la legge Mariotti istituiva gli enti ospedalieri. Uno degli aspetti più rilevanti di quella legge riguardava il decentramento dei compiti e delle funzioni sanitarie alle regioni. Si demandavano compiti e funzioni ad un ente non ancora istituito (anche se previsto dalla Costituzione), al fine dell’entrata in vigore della legge stessa, se ne sollecitava la creazione. L'estensione a tutti i cittadini del diritto all’assistenza ospedaliera divenne effettivo solo a partire dal 1974, in seguito al trasferimento delle competenze in campo ospedaliero alle regioni. L'istituzione del SSN ha comportato la sostituzione di tutte le mutue categoriali con un’unica assicurazione nazionale estesa a tutti i cittadini. I contributi sociali furono fatti confluire nel Fondo sanitario nazionale (FSN) e da qui redistribuiti i alle regioni per pagare i fornitori delle prestazioni. La struttura amministrativa del nuovo SSN assunse una configurazione decentrata. Il sistema venne articolato infatti su tre livelli, dotati di autonomia politica-istituzionale: stato: spettava la definizione del quadro giuridico-operativo di svolgimento dell'attività di tutela della salute in modo da garantire i principi istituzionali di uguaglianza di trattamento dei cittadini e di diritto alla salute attraverso la programmazione, il coordinamento e il finanziamento dell’intero sistema sanitario regioni: dotate di autonomia gestionale ma non finanziaria, erano attribuite competenze di programmazione e di attuazione del SSN, tra cui la definizione dell’assetto specifico, dell’articolazione organizzativa e delle norme di contabilità delle unità sanitarie locali (USL), strutture operative dei comuni singoli o associati comuni: a livello locale faceva capo l’organizzazione di base dei servizi attraverso le USL, rette da un’assemblea generale e da appositi comitati di gestione. La congiuntura che ha consentito la “deviazione” della politica sanitaria italiana dal tradizionale solco delle assicurazioni occupazionali si è originata a seguito dei seguenti processi: 1. progressivo indebolimento della corporazione medica come conseguenza, a partire dagli anni 50, della burocratizzazione del medico della mutua, e durante gli anni 60, della frammentazione interna derivante dallo sgretolamento della struttura gerarchica degli ospedali 2. dissesto organizzativo e finanziario delle casse mutue 3. forte avanzata elettorale del Partito comunista italiano (PCI) durante gli anni 70, prima a livello regionale e poi nazionale, unita a profondi rivolgimenti nel clima sociale e culturale e a una revisione della linea politica del partito, che lo aveva gradualmente portato nell’area di governo 4. creazione delle regioni a statuto ordinario, all’inizio degli anni 70, aveva offerto l’occasione istituzionale per una generale ristrutturazione organizzativa e aveva irrobustito il fronte riformista grazie all'attivismo delle nuove élite di governo periferico. SFIDE E MUTAMENTO ISTITUZIONALE La crescita dei costi e la crisi dei sistemi sanitari A partire dagli anni 50, la sanità ha conosciuto una forte espansione, che ha contribuito a migliorare lo stato di salute della popolazione e a ridurre le tradizionali disuguaglianze di accesso alle cure mediche fra classi sociali e aree territoriali. Tale espansione non è stata priva di implicazioni negative, in termini di efficacia ed efficienza. I costi crescenti della sanità sono infatti in buona parte responsabili della crisi fiscale dei welfare state maturi. I fattori responsabili del lungo ciclo di crescita iniziato dopo la seconda guerra mondiale si distinguono in: lato dell'offerta lato della domanda Le spinte espansive sono in parte pervenute dal versante dell’offerta. Le nuove tecnologie sanitarie, che hanno iniziato a diffondersi nel secondo dopoguerra, hanno rivoluzionato i tradizionali approcci diagnostici e di cura. Ciò ha contribuito ad un crescente diffondersi della fiducia nella medicina, e di conseguenza, un ricorso sempre più intenso a terapie innovative e ad alto contenuto tecnologico, producendo enormi conseguenze sul livello dei costi. Queste conseguenze sono aggravate dal fatto che il settore sanitario ha un progresso tecnico che non è labour saving (risparmiatore di lavoro). I fattori d'offerta influenzano la spesa soprattutto perché quello sanitario è un mercato particolare, vi è infatti un rapporto asimmetrico tra medico e paziente, ed è il primo che detiene gli strumenti per influenzare le scelte del secondo. In aggiunta, la crescita è stata alimentata da una serie di fattori della domanda. La nozione di domanda include, non solo il consumo spontaneo che origina direttamente dall’iniziativa degli utenti, ma anche quello indotto dai medici. L'universalità dell’esplosione dei consumi a livello comparato suggerisce l’esistenza di cause di fondo comuni e di ordine generale, sul piano delle trasformazioni sociodemografiche. Negli ultimi decenni, i paesi industrializzati sono entrati in una fase di transizione demografica, caratterizzata da un rapido aumento della popolazione anziana. L’invecchiamento della popolazione è un fenomeno dovuto all’effetto combinato di due fattori: - il calo della natalità - l’aumento della speranza di vita A questo aumento hanno contribuito in misura determinante i progressi della scienza e delle tecnologie biomediche, che hanno sconfitto molte malattie e hanno garantito la sopravvivenza per molte infermità una volta mortali. Il mutamento demografico ha avuto e ha immense ripercussioni sul sistema sanitario, data la relazione a forma di J, fra età e morbilità e fruizione dei servizi. Le generazioni attuali non invecchieranno con le stesse modalità e dunque non richiederanno il medesimo fabbisogno di cure di quelle precedenti. Si parla quindi di un fattore generazionale attribuibile all’emergere di nuovi modelli socioculturali di riferimento in base ai quali la salute non è solo assenza di malattia, è diffusione di informazioni circa i mezzi e le opportunità di cura. Occorre tenere poi presente l’emergere di nuove forme di morbilità/mortalità sociale. Il maggior benessere e il progresso medico hanno consentito un miglioramento delle condizioni di vita e di salute della popolazione. Sono comparsi nuovi e pericolosi rischi sanitari collegati a comportamenti tipici della società del benessere: alcolismo, droghe, fumo, incidenti, stress, ecc. Si è così verificato un “effetto di sostituzione” che ha in parte controbilanciato la scomparsa delle vecchie patologie. Ci sono inoltre altre dinamiche di ordine economico, politico-istituzionale e culturale. Il consumo sanitario ha dimostrato di essere positivamente correlato al reddito nazionale: la maggior disponibilità economica a livello aggregato ha incentivato un maggior consumo dei beni sanitari offerti dall’industria della salute. Maggior benessere economico ha significato però anche modernizzazione culturale, quindi una maggiore attenzione e preoccupazione per la salute psicofisica. Gli ultimi sessant’anni sono stati caratterizzati da un rapido processo di medicalizzazione della salute che ha comportato una crescita progressiva delle aspettative sanitarie, una progressiva estensione della medicina professionale entro la sfera della salute individuale e una rilettura di molti episodi o problemi personali (il parto, l’ansia, la morte) in chiave medica. Lo sviluppo del welfare state sul piano politico-istituzionale ha esercitato pressioni altrettanto dirompenti sulla domanda. Il formato di copertura dell’assicurazione obbligatoria di malattia è stato esteso a sempre più persone ed è anche aumentata la gamma di rischi protetti. La medicalizzazione della salute ha infatti comportato un uso sempre più intenso dei diritti sanitari e quindi un onere sempre più gravoso per lo stato. Sottolineiamo infine le dinamiche indotte direttamente dal sistema degli incentivi. La crescente regolazione pubblica della sanità ha originato numerose forme “perverse” di incentivazione nei confronti dei tre principali protagonisti dell’arena sanitaria: i consumatori, sono stati inizialmente illusi di poter consumare gratis o comunque a costi bassissimi rispetto ai benefici i fornitori di prestazioni, seppur di fatto responsabili della gestione della domanda e della sua amplificazione, sono stati sollevati da ogni vincolo che non fosse quello ippocratico i finanziatori, si sono riservati pochi poteri di controllo e valutazione e hanno mostrato scarsa efficienza regolativa Il contratto sottostante ai moderni sistemi sanitari è nato con un grave vizio d'origine: ha acceso un impegno “aperto” da parte dello stato, con incentivi quasi unicamente predisposti ad ampliarne l’apertura. Dagli anni 80, con l’intensificarsi delle dinamiche sociodemografiche, economiche, politiche e culturali, tale vizio istituzionale ha cominciato a manifestare tutti i suoi effetti negativi, soprattutto sul piano finanziario. La sfida dei costi ha stimolato la ricerca di nuovi strumenti normativi e organizzativi volti al contenimento dei consumi, al controllo degli erogatori e alla responsabilizzazione dei finanziatori. Quasi tutti paesi hanno dato avvio ad un complessivo ripensamento dei propri sistemi di governance sanitaria, per incrementarne sia l'efficienza sia l'efficacia. Strategie di contenimento e di razionalizzazione della spesa sanitaria Le strategie di contenimento dei costi e di razionalizzazione della spesa sanitaria adottate a partire dalla fine degli anni 70 sono state condizionati dagli assetti istituzionali e al mix pubblico/privato consolidatisi nei decenni precedenti. Le risposte dei principali paesi OCSE sono riconducibili a tre linee principali di intervento: 1. razionamento dei servizi sanitari, al fine di circoscrivere l’impegno della sfera pubblica nell'erogazione e nella copertura finanziaria dei servizi, trasferendo in tutto o in parte i costi della prestazione sugli utenti. Si tratta di una strategia che agisce sul versante della domanda e che punta a ridurre l’insieme dei servizi offerti alla popolazione in condizioni di totale o quasi totale gratuità. 2. adozione di misure di tipo restrittivo sul versante dell'offerta 3. la managerializzazione della produzione sanitaria, ovvero la ridefinizione delle aree di responsabilità allo scopo di aumentare l’efficienza complessiva del sistema. L’obiettivo della riduzione dei costi è perseguito attraverso un contenimento delle risorse assorbite, reso possibile da un incremento dei livelli di efficienza del sistema. Le tendenze di fondo del nuovo riformismo “restrittivo” possono essere distinte in due fasi: gli anni 80, in cui si è cercato di tamponare le falle degli assetti sanitari tradizionali gli anni 90, in cui si è avviata la ristrutturazione dei sistemi sanitari 1. In riferimento alla prima linea di riforma, il razionamento dei servizi sanitari, è possibile distinguere tre aree principali di intervento: accesso, partecipazione finanziaria, comprensività del pacchetto di prestazioni. 1. l’accesso riguarda il grado di copertura di uno schema di protezione sociale, ossia il numero di cittadini che hanno diritto alle prestazioni. Adottare una politica di razionamento che riguardi l’accesso significa escludere dal sistema di assicurazione pubblica alcune fasce di popolazione, così da ridurre l’impegno statale a vantaggio di un bacino di utenza più ristretto. Si tratta di rimettere in discussione l'universalismo, per questo si tratta di una strategia difficilmente implementabile in paesi caratterizzati da una tradizione di welfare di tipo solidaristico. Una variante possibile di tale strategia è rappresentata dalla possibilità di uscita dal sistema di protezione per quei cittadini che ne facciano richiesta a condizione che rispondano a determinati requisiti di natura reddituale. Così facendo si può attenuare l’impegno del sistema pubblico senza pregiudicare l'orientamento solidaristico di fondo del sistema di protezione sociale. L’esclusione dal sistema viene a dipendere da una scelta del cittadino e la possibilità di uscita è concessa solo a persone che in base alla loro condizione economica sono ritenute in grado di provvedere autonomamente alla copertura dei costi sanitari. 2. partecipazione finanziaria, le politiche di razionamento relative hanno avuto un’ampia diffusione in tutti i paesi occidentali. Si tratta di trasferire a carico degli utenti quote di contribuzione alla spesa in forma fissa o variabile a seconda delle tipologie di servizi e prodotti sanitari. Il costo delle prestazioni erogate viene in parte trasferito sul cittadino al momento del consumo, riducendo così l’impegno finanziario del sistema pubblico. Il contributo dei cittadini al costo delle prestazioni consumate è parziale e limitato e prevede forme di esenzione in base alle caratteristiche dell’utente e alle sue condizioni economiche. I “ticket” sono lo strumento più visibile del nuovo riformismo sanitario di tipo restrittivo. Questo sistema mantiene aperta a tutti la porta di accesso alla tutela pubblica, ma modula i costi d’ingresso in base a criteri di efficacia ed equità, riservando la gratuità totale solo a un numero più o meno circoscritto di cittadini che si trovano in particolare stato di bisogno. 3. comprensività dell’intervento pubblico, individuando un pacchetto di prestazioni essenziali o di base da mantenere nell’ambito della tutela pubblica. Il ricorso a questa strategia dipende dalla messa a punto di criteri in grado di circoscrivere la gamma di prestazioni sanitarie e assistenziali garantite dal settore pubblico trasferendo sui cittadini i costi di quei servizi esclusi dalla copertura pubblica. In Italia nel 2001 si è giunti alla definizione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), ovvero dei servizi e delle prestazioni garantite dal SSN. Queste prestazioni sono individuate sulla base di principi di effettiva necessità assistenziale, di efficacia e di apropriatezza. 2. Sul versante dell'offerta sono state 4 le principali linee direttrici della politica restrittiva. degli anni 80. 1. fissazione dei tetti di spesa e di bilanci definiti. Preoccupati dall’andamento della spesa sanitaria pubblica, i governi hanno iniziato a stabilire in anticipo la quantità di risorse finanziarie disponibili annualmente per l’intero settore sanitario. La politica dei tetti di spesa è di bilancio a livello nazionale è poco efficace se le strutture decentrate di spesa non hanno incentivi a risparmiare né strumenti di controllo sui prescrittori di spesa. 2. riorganizzazione delle strutture e del personale. In molti paesi sono stati introdotti blocchi nelle assunzioni dei dipendenti e limiti alle ammissioni nella facoltà di medicina o all'abilitazione professionale. Sono state sperimentate nuove forme di organizzazione del lavoro. Molti istituti di cura sono stati chiusi o riconvertiti ad altri usi, come la riabilitazione e la lungodegenza. 3. controlli sulle tecnologie e sui prezzi. Numerosi passi sono stati compiuti per limitare l’acquisto di sofisticate attrezzature medico-diagnostiche e per razionalizzare l’impiego. In Germania, nei Paesi Bassi, in Danimarca e in Italia è stato adottato un tipo di controllo che consiste nel fissare un prezzo di riferimento che viene coperto interamente dall’assicurazione di malattia mentre l’eventuale differenza è a carico dell’utente. 4. controlli sul comportamento prescrittivo dei medici. I medici sono diventati bersaglio di numerosi provvedimenti volti a influenzare il loro comportamento, responsabilizzando verso i costi indotti. I sistemi di pagamento per prestazione sono stati in genere sostituiti con sistemi per quota capitaria e varie forme di incentivazione al risparmio sono state sperimentate anche per quanto riguarda i medici ospedalieri. 3. La terza strategia di riforma: la managerializzazione della sanità. Secondo alcuni la terza via da percorrere per contenere i costi del sistema sanitario sarebbe la privatizzazione, anche se si tratta di un sistema difficilmente attuabile. Il fatto che i pazienti non abbiano le competenze necessarie per valutare la qualità dell'offerta di servizi sanitari e siano influenzabili da fattori di natura soggettiva (la preoccupazione circa le proprie condizioni di salute) e quindi costretti ad affidarsi a terzi (medici e figure sanitarie professionali) impedisce l'applicabilità del modello di mercato puro al sistema sanitario. Per questo si rende necessaria la presenza dell’operatore pubblico, almeno in veste di regolatore e supervisore. Per via dell'impossibilità di attuare una politica di piena privatizzazione, si è fatta strada una nuova strategia basata sull’adozione, all'interno del sistema produttivo pubblico, di strumenti di gestione tipica delle organizzazioni private, la managerializzazione. Alla base troviamo l’idea che l’introduzione di logiche di mercato all’interno di un sistema sanitario pubblico, affinché i produttori di prestazioni sanitarie possano competere tra loro e/o i manager a capo delle strutture di produzione possano agire come degli imprenditori. L'introduzione di logiche di mercato è legata alla separazione tra la funzione di erogazione e quella di finanziamento. Secondo Enthoven, la separazione tra erogatori e finanziatori può permettere di valorizzare le preferenze e le richieste degli utenti e indirizzare le scelte individuali verso i fornitori più economici. Il secondo aspetto della managed competition ha a che fare con l’introduzione di figure e ruoli di tipo manageriale e la conseguente depoliticizzazione degli organi che fino a quel momento hanno svolto compiti amministrativo-gestionali. Si tratta di separare il momento gestionale da quello politico, che tradizionalmente nei sistemi sanitari integrati ha teso a coincidere. La crisi della politica sanitaria italiana negli anni 80 Il SSN introdotto con la riforma del 1978 ha iniziato a registrare dei problemi di carattere istituzionale e organizzativo, durante gli anni 80. 1. i problemi istituzionali sono da ricollegare con la difficoltà di concertare e attuare provvedimenti ad ampio spettro, favorendo l’adozione di decisioni a carattere particolaristico prive di un disegno unitario. A questo va aggiunta la scarsa competenza del personale, nominato secondo logiche di affiliazione partitica e non secondo criteri di professionalità. 2. Continue dispute tra i livelli di governo in relazione alla definizione dei ruoli e delle funzioni e alla ripartizione delle risorse finanziarie. La l.n. 833/1978 non aveva chiarito quale livello di governo (stato, regioni o entrambi) avesse la priorità nella definizione delle linee di intervento in sanità e a quale dei due le USL fossero chiamate a rispondere del proprio operato. Sul versante finanziario, il rapporto gerarchico stato-regioni e regione-comuni era altrettanto debole, se non inesistente. Alle regioni era concesso un potere nel governo della spesa che spesso andava ben oltre le effettive disponibilità finanziarie, provocando annualmente l'aumento del livello di indebitamento delle USL. Questo accadeva perché non c'era concordanza di mezzi e obiettivi tra i diversi livelli di governo. (poteva accadere che a livello centrale si perseguissero politiche economiche restrittive, riducendo le risorse finanziarie destinate al SSN, mentre le regioni, a livello periferico, spendessero le risorse contingentate a livello centrale oltrepassando i limiti). 3. forme di inadempienza a livello subnazionale, si parla non solo di difficoltà a recepire e ad attuare le misure approvate a livello centrale ma anche come deliberata volontà di ignorarle. 4. Una variabilità interregionale negli indicatori di funzionamento, messa in evidenza da un’analisi della policy sanitaria. 5. elevato grado di politicizzazione delle USL, in queste strutture, a livello locale, venivano riproposte le dinamiche partitiche che si consumavano a livello nazionale. Si trattava di strutture funzionali per l’acquisizione di consenso. 6. il processo di definizione della politica sanitaria italiana è stato influenzato negativamente anche dalle condizioni di emergenza finanziaria connesse all’esigenza di correggere la crescita del debito e del deficit pubblico. Gli interventi correttivi volti a ridurre il fabbisogno di finanziamento del settore sanitario sono stati in questo periodo molto numerosi. Si possono dividere in interventi sul lato delle entrate e in interventi sul lato delle uscite. fra le misure sul lato delle entrate, a partire dal 1978, troviamo la compartecipazione dei cittadini alla spesa farmaceutica attraverso i ticket. La capacità di riequilibrio finanziario di questi provvedimenti si è rivelata tuttavia assai contenuta a causa delle continue revisioni del sistema di esenzione che hanno accompagnato gli stessi provvedimenti di innalzamento della compartecipazione. fra le misure sul lato delle uscite, si possono includere interventi riguardanti la spesa per il personale, la spesa farmaceutica, per l’assistenza ospedaliera, l’organizzazione e la gestione delle USL. Il controllo della spesa per l’assistenza ospedaliera (quota più rilevante della spesa sanitaria complessiva) è stato perseguito tramite l’attuazione di misure dirette alla riorganizzazione della rete degli ospedali. Ciò che ha caratterizzato questo decennio è stata l’assenza di continuità e di coerenza nella politica sanitaria su entrambi i versanti. Infatti c'è stato un alternarsi di provvedimenti volti ad aumentare i flussi di finanziamento e a ridurre la crescita della spesa e misure che invece hanno ridotto le entrate ed aumentato le uscite. In aggiunta troviamo un comportamento diversificato da parte delle regioni nel dare attuazione ai provvedimenti legislativi varati a livello centrale. A seguito di costi crescenti e rendimenti calanti, si è assistito a una ridefinizione degli interessi dei partiti nei confronti della sanità volta a ritardare l’adozione di misure impopolari o a far ricadere su altri attori la responsabilità di tali politiche. È questo il caso della politica dei ticket, dove i partiti hanno a più riprese cercato di impedire l’aumento della compartecipazione finanziaria alla spesa farmaceutica e specialistica e, in mancanza di un successo pieno, hanno ottenuto tuttavia che i provvedimenti escludessero ampie fette di popolazione attraverso la concessione di esenzioni. Quando si è dovuto ricorrere a misure restrittive, la strategia dei partiti è stata quella di attribuire la colpa ad altri (“evitamento del biasimo”). L’azione del legislatore non è riuscita quindi a incidere in modo significativo sull’evoluzione delle entrate e delle spese almeno fino al 1992, producendo disavanzi annui elevati e crescenti. LE RIFORME SANITARIE DEGLI ANNI NOVANTA Le riforme sanitarie tra competizione amministrativa e decentramento Nel corso degli anni 90, l’obiettivo del riformismo sanitario è quello di una ristrutturazione di fondo della cornice istituzionale della sanità pubblica, volta a promuovere nuovi tipi di interazione tra fornitori e finanziatori. Il primo nucleo di idee relative all’impiego della “logica di mercato” all’interno della sanità (privata, ma anche pubblica) si è sviluppata negli Stati Uniti, per opera dell’economista Alan C. Enthoven, dando luogo ad una serie di sperimentazioni. Tra queste le Health Maintenance Organizations (HMO), strutture in competizione fra loro per attrarre pazienti cui fornire assistenza sanitaria onnicomprensiva per un premio annuale predeterminato, interessate a bilanciare tra loro i costi e qualità dei servizi. Negli Stati Uniti è nata anche la proposta di riformare la sanità pubblica introducendo mercati simulati e forme di competizione amministrata. Tale proposta è stata rielaborata nel Regno Unito, dove nel 1991, il governo conservatore guidato da Margaret Thatcher ha varato una riforma del National Health Service (NHS), mirante all’introduzione di un “mercato interno” fra compratori e fornitori. Le innovazioni britanniche hanno influenzato il resto dei paesi che hanno messo in atto proposte di riforma ispirate alle nozioni di “mercati simulati” e “competizione amministrata”. Il progetto più ambizioso è stato elaborato nei Paesi Bassi alla fine degli anni 80 con il piano Dekker. Nel 1993 anche la Germania ha avviato una riorganizzazione del proprio sistema di casse malattia, mirante a stimolare la competizione tra di esse. In entrambi i casi si è trattato di riforme di tipo incrementale che non hanno modificato in modo sostanziale l’impianto assicurativo del sistema sanitario. I paesi dell’Europa centro-orientale hanno dovuto affrontare (dopo la caduta del muro di Berlino) una profonda trasformazione, in campo sanitario ha significato il passaggio all’assicurazione sociale obbligatoria, al decentramento e alla privatizzazione dei fornitori di prestazioni. Ciò ha permesso una crescita del PIL, dell'occupazione e della speranza di vita, nonostante il sistema sanitario di questi paesi non riesca ancora a garantirne un’adeguata qualità dei servizi. Gli interventi in campo sanitario degli anni 90 hanno comportato una fase di maggiore “protagonismo” del centro che ha dovuto disegnare e portare a compimento le riforme. In alcuni paesi il processo di managerializzazione della sanità pubblica è stato affiancato da una riduzione dell'accentramento burocratico e dal trasferimento di responsabilità sanitarie ai livelli amministrativi inferiori, dando luogo a un processo di progressivo rafforzamento dei livelli inferiori di governo che prendono il nome di regionalizzazione della sanità. Con gli anni 90, le competenze amministrative ma soprattutto fiscali sono state trasferite al livello regionale anche al fine di scaricare, in una fase di crisi economica, responsabilità finanziarie ai livelli inferiori di governo. La regionalizzazione ha significato oneri finanziari maggiori per il livello meso, essa ha anche offerto alle regioni la possibilità di dare attuazione al processo di managerializzazione della sanità. Le riforme sanitarie del 1992-1993 e del 1999 Negli ultimi tre decenni, la sanità italiana ha subito molteplici riforme che hanno trasformato il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) definito nel 1978. Le riforme degli anni Novanta hanno introdotto cambiamenti organizzativi e finanziari significativi, pur mantenendo il principio di universalismo. Il d.lgs.n. 502/1992 e il d.lgs.n. 517/1993 hanno rivoluzionato la programmazione sanitaria, stabilendo livelli essenziali di assistenza, nuovi criteri di finanziamento, la creazione delle ASL e delle aziende ospedaliere (AO), l'accreditamento di operatori privati e un sistema tariffario per le prestazioni. La riforma ha spostato le competenze sanitarie dal livello comunale a quello regionale, con un rafforzamento dell’autonomia regionale e un processo di aziendalizzazione. Le USL sono diventate ASL, strutture regionali con autonomia gestionale, e gli ospedali trasformati in AO. I poteri decisionali, prima attribuiti a organi politici, sono stati concentrati in direttori generali. Le risorse finanziarie sono state distribuite alle regioni in base al Fondo Sanitario Nazionale (FSN) e al criterio della quota capitaria, sostituendo il rimborso a piè di lista con tariffe per prestazioni. Le regioni hanno acquisito un ruolo centrale nella gestione del sistema sanitario, differenziandosi nell’implementazione dei decreti di riordino, con approcci variabili alla competizione amministrata e alla gestione della spesa. Dal 1996, con il governo Prodi, la sanità è tornata al centro del dibattito politico, portando a una nuova fase di investimenti pubblici e alla revisione della normativa esistente. Nel 1999 è stata approvata la riforma del d.lgs.n. 229/1999, che ha segnato un’inversione di tendenza rispetto alla regionalizzazione e all’aziendalizzazione, introducendo un sistema di "cooperazione amministrata". Essa ha riaffermato il ruolo centrale del governo e dei comuni nella programmazione sanitaria e ha introdotto misure come l’esclusività del rapporto di lavoro dei medici nel settore pubblico, con incentivi economici. La riforma del 1999 ha valorizzato il ruolo dei distretti sanitari per l’assistenza primaria e il coordinamento dei servizi, razionalizzando complessivamente il SSN e precisando i livelli di responsabilità tra gli attori istituzionali. Tuttavia, ha suscitato critiche per l’apparente discontinuità con le riforme precedenti, richiamando in parte l’impostazione originaria della legge n. 833/1978. I comuni hanno assunto un ruolo nella programmazione e valutazione dei servizi, sebbene privo di responsabilità finanziarie. Nonostante le controversie, la riforma ha ridefinito l’assetto del SSN, mantenendo il PSN come strumento centrale di pianificazione. Articolazione e funzionamento del sistema sanitario italiano Le strutture e gli attori del sistema sanitario nazionale si articolano su tre livelli di governo. - A livello centrale operano: ministero della salute, affiancato da organismi con funzioni tecniche e di consulenza, tra i suoi compiti a quello di mettere a punto il PSN che dovrà essere approvato dal governo per diventare operativo Parlamento, approva le leggi in materia di sanità e definisce le risorse nazionali a disposizione per il settore sanitario (annualmente in occasione dell'approvazione della legge finanziaria) Governo Il ministero della salute interagisce anche con la Conferenza stato-regioni, l'organismo deputato a gestire i rapporti tra il livello centrale e il livello periferico, tra i suoi compiti troviamo la definizione degli accordi sul finanziamento del SSN. - A livello periferico, le regioni hanno importanti compiti per il funzionamento del SSN. Oltre ad approvare le leggi regionali riguardanti la politica sanitaria e il PSR di durata triennale, nominano i direttori generali a capo delle ASL e decidono in merito alla ripartizione delle risorse finanziarie alle strutture sanitarie che a livello locale si occupano dell'erogazione dei servizi e delle prestazioni sanitarie. Sono poi le ASL a intrattenere i rapporti con i medici di base, le AO, le altre strutture sanitarie operanti alle dirette dipendenze delle ASL, le strutture di cura private e i liberi professionisti. Il risultato è l'erogazione di assistenza medica, ospedaliera e sanitaria ai cittadini i quali, concorrono al finanziamento del SSN o tramite il pagamento delle imposte, incamerate in parte a livello nazionale (tassazione generale) e in parte a livello regionale o tramite il pagamento dei ticket. I cittadini possono rivolgersi alle assicurazioni per ottenere il rimborso dei servizi aggiuntivi a quelli erogati dal SSN. Le riforme degli anni 90: il ruolo dei fattori politico-istituzionali Negli anni 90, la sanità italiana si ritrova a fronteggiare una profonda trasformazione al fine di affrontare le sfide dovute alla crisi dei welfare State. La capacità di reazione delle istituzioni ha permesso di portare a termine la riforma del sistema sanitario nazionale, di fare assumere alle regioni un ruolo più importante nel processo decisionale, di arrivare a una complessiva razionalizzazione del sistema sanitario. Si possono individuare quattro fattori principali, che hanno contribuito a tale trasformazione: 1. il fallimento dello status quo, ossia del sistema sanitario esistente 2. l'indebolimento dei punti di veto e degli attori di veto e l'emergenza di un imprenditore di policy spesso affiancato da coalizioni di sostegno alla riforma 3. Le idee circolanti nell'ambiente di policy e la capacità programmatica degli attori 4. Le dinamiche riguardanti la trasformazione dei rapporti fra centro e periferia Vi sono infine fattori di contesto (economici e politico-istituzionali), esogeni ed endogeni, delle congiunture critiche che fanno da cornice al processo riformistico. Riguardo al primo ordine di fattori, le riforme scaturiscono dal grado di problematicità dello status quo. Lo status quo è rappresentato dal sistema sanitario esistente e dalla sua capacità di rispondere in maniera adeguata alle nuove sfide e ai nuovi bisogni (più è bassa questa capacità, più gravi sono i problemi a essa connessi) Considerando il secondo ordine di fattori, la gravità del fallimento dello status quo contribuisce a indebolire i punti di veto e gli attori di veto favorevoli all'immobilismo istituzionale. Negli anni 80 l'istituzionalizzazione di un settore sanitario incentrato su politiche distributive aveva originato un circolo vizioso resistente al cambiamento, dominato dalla politica dei veti incrociati a livello nazionale e a livello regionale. Alla fine del decennio, l'incapacità della politica sanitaria di contenere la spesa e di garantire un servizio sanitario efficiente ed equo minacciava dall'interno la sopravvivenza del sistema stesso e contribuiva a indebolire la capacità di resistenza al cambiamento degli attori rilevanti. Questo avveniva in una fase di indebolimento dei partiti, e con essi gli interessi al mantenimento dello status quo, parallelamente si assisteva a un'autonomizzazione dell'esecutivo del parlamento (caratteristica che ha favorito l'introduzione di riforme). Nel caso italiano,mentre si indeboliscono i punti di veto, che avevano ostacolato le riforme strutturali in campo sanitario, si consolidano anche interessi specifici pro riforme, ossia coalizioni di sostegno. Tra chi sostiene le riforme, si distinguono quegli imprenditori di policy che mirano a un cambiamento sostanziale, portatori di un progetto innovatore; l'imprenditore di policy è infatti colui che sa innovare nell'interpretazione della situazione. Nel caso della riforma del 1992-1993 questo ruolo è svolto da governi tecnici legittimati dalla congiuntura politica e finanziaria, nella riforma del 1999 a ricoprire questo ruolo è il ministro della sanità Bindi. Per quanto riguarda il rafforzamento regionale, gli anni 90 si sono caratterizzati per una richiesta di maggiore autonomia da parte dei livelli di governo decentrati e degli attori politici. Sotto l'etichetta di “federalismo” vennero avanzate proposte di suddivisione del territorio e di redistribuzione delle competenze. Il terzo ordine di fattori è legato alle idee circolanti nell'ambiente di politica pubblica e alla capacità programmatica degli attori delle istituzioni. Si tratta dell'emergere di specifiche capacità di analisi, diagnosi, elaborazione programmatica da parte degli attori. Spesso le idee sono presenti già prima delle riforme, ma restano allo stato latente a causa del prevalere del partito dell'immobilismo. Negli anni 80 è importante il discorso sulla deregulation e sulla concorrenza, che si traduce nell'istituzione di quasi-mercati e nell'impiego di logiche concorrenziali dentro sistemi sanitari pubblici. Il tema del decentramento torna a essere centrale nel dibattito politico italiano di quegli anni, alimentato dal successo elettorale della Lega Lombarda nei primi anni 90. L'attuazione della managed competition in Italia è stata facilitata dalla creazione dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali. (ASSR) La riforma del 1992-1993 ha apportato trasformazioni negli organi di governo della sanità, in particolare, il processo di rafforzamento regionale ha fatto emergere una duplice esigenza: di monitoraggio e verifica delle fasi di implementazione previste dai decreti di riordino (da parte del livello centrale) Supporto nel dare attuazione ai decreti stessi, ovvero per dare concreta realizzazione ad aziendalizzazione regionalizzazione (da parte del livello regionale) Per rispondere a queste due esigenze venne istituita l’ASSR. Tuttavia, nei primi anni di attività, non ha avuto modo di svolgere appieno le sue funzioni e si configura come un organo di supporto. Dalla seconda metà degli anni 90 l’ASSR è stata in grado di rispondere in modo innovativo alle sfide istituzionali, assumendo un ruolo di interfaccia tra il governo centrale e i governi regionali. Nella formazione selezione delle idee sono rilevanti i processi di apprendimento. Gli attori decisionali arrivano a comprendere che nel nuovo ambiente lo status quo non funziona più, scelgono così di adattare gli obiettivi e gli strumenti delle politiche pubbliche sulla base delle esperienze e degli errori commessi nel passato o dell'acquisizione di nuove conoscenze informazioni cercando di imitare esempi ed esperienze che hanno avuto successo in altri contesti. I processi di apprendimento non avvengono in maniera automatica, spesso risultano complicati perché comportano la ridefinizione delle norme e delle strategie che hanno avuto successo nel passato e hanno saputo alimentare fiducia e attaccamento da parte dei beneficiari. La ridefinizione del quadro normativo e culturale comporta costi elevati perché genera incertezza dove prima vi erano ordine e stabilità. In molti casi, perciò gli attori cercano di opporsi al cambiamento, preferendo rimanere legati a vecchi schemi di riferimento nell'ambito dei quali la loro identità e i loro valori possono continuare a legittimarsi e rafforzarsi. Un quarto fattore è riconducibile alla crisi e al mutamento dei rapporti centro-periferia. Il SSN italiano sin dal 1978 è stato decentrato, la ridefinizione dei rapporti centro-periferia ha avuto un impatto sulla riforma sanitaria e anche sul processo di rafforzamento istituzionale delle regioni. Banking ha osservato che i programmi sociali sono strumenti per edificare e tutelare la nazione e aiutano a mediare tensioni regionali e a rafforzare lo Stato contro forze centrifughe radicate nelle politiche territoriali. I programmi sociali progettati, gestiti e finanziati a livello subnazionale possono svolgere un ruolo significativo nel rafforzare le singole comunità e indebolire in maniera corrispondente la comunità nazionale. L'obiettivo dell'autonomia finanziaria e il rafforzamento politico dei governi regionali viene perseguito attraverso varie strategie, per esempio iniziare dai settori di policy che sono già di competenza del livello regionale. La sanità ha tutte le caratteristiche per diventare il grimaldello che fa leva sul processo di rafforzamento istituzionale delle regioni. - la spesa sanitaria costituisce tre quarti del bilancio regionale - la costituzione attribuisce alle regioni la competenza in materia di sanità La riforma sanitaria del 1978, introdusse un servizio sanitario nazionale decentrato. Gli anni 80 hanno assistito a un acceso scontro tra i livelli di governo per la gestione della sanità. La riforma del 1999 segna un'inversione di tendenza, rappresenta un ritorno ai principi alla base della legge istitutiva del SSN; si può quindi considerare come una riforma strutturale. La riforma Bindi è un tentativo di reazione del centro al rafforzamento regionale, per ricondurre gli effetti della riforma sanitaria a degli obiettivi nazionali, comuni a tutte le regioni. Questa riforma è il prodotto della coalizione di centro-sinistra che ha governato dal 1996 al 2001. Notiamo come la riforma del 1992-1993 e quella del 1999 siano due riforme diverse: quella del ‘92-93 è stata approvata da un governo tecnico in una fase particolarmente critica per i conti pubblici e il contesto politico-istituzionale, mentre quella del ‘99 è stata approvata da un governo politico, che ha fatto del welfare uno dei temi centrali del proprio programma di governo. GLI ANNI DUEMILA: REGIONALIZZAZIONE , CONTENIMENTO DELLA SPESA E POLITICIZZAZIONE DELLA SANITÀ Federalismo fiscale, piani di rientro e costi standard Durante gli anni 90, in molti paesi europei (tra cui l’Italia) i sistemi sanitari sono stati caratterizzati da un processo di decentramento, favorito dall’idea che livelli di governo subnazionali più responsabili fiscalmente potessero contribuire a contenere i costi di un settore sottoposto a forti pressioni espansive e dalla grande visibilità pubblica della sanità. I governi centrali hanno considerato la politica sanitaria, una questione sempre più divisa e onerosa sotto il profilo finanziario e organizzativo-gestionale, i livelli locali di governo si sono mostrati al contrario più attratti dalle opportunità di guadagnare consensi attraverso la differenziazione di regole e programmi sanitari. La l.n.833/1978 aveva contribuito alla creazione di un sistema sanitario decentrato ma squilibrato, in cui USL e regioni potevano spendere a piacimento mentre lo Stato era tenuto al ripieno dei debiti. Attribuendo finanziamenti alle regioni sulla base della spesa storica, non aveva introdotto strumenti adeguati a responsabilizzare i livelli di governo inferiori al controllo della spesa sanitaria. Durante gli anni 90 erano state messe in atto una serie di misure volte a ridefinire le modalità di finanziamento della sanità e al responsabilizzare i livelli di governo nel controllo della spesa. A partire dal 2000 una serie di provvedimenti normativi specifici hanno contribuito alla realizzazione del federalismo fiscale in campo sanitario, ovvero l'attribuzione di un'ampia autonomia finanziaria alle regioni. La prima tappa di questo processo è rappresentata da d.lgs.n.56/2000 sul federalismo fiscale, per permettere alle regioni di raggiungere l'autonomia finanziaria. L'impatto di questo decreto sul SSN si è manifestato gradualmente in seguito all'abolizione di tutti i trasferimenti erariali a favore delle regioni a statuto ordinario. Nel 2000 si è data attuazione al Patto di stabilità interno, questo ha coinvolto regioni ed enti locali nel rispetto dei vincoli di finanza pubblica assunti dall'Italia a livello europeo con l'adesione al patto di stabilità, crescita e sviluppo. Con il patto anche l'Italia ha adottato il criterio della corresponsabilizzazione all'indebitamento tra livelli di governo, con la partecipazione di regioni ed enti locali alla riduzione del disavanzo e all'eventuale sanzione prevista dalla normativa europea nel caso di accertamento di disavanzo eccessivo. Il patto venne interpretato come un esplicito riconoscimento di autonomia, in quanto permette agli enti decentrati di decidere gli strumenti con cui perseguire l'obiettivo della riduzione dell'indebitamento. Nell’autunno del 2000 è avvenuta la prima verifica fra Stato e regioni sull'andamento della spesa sanitaria. Ha seguito la stipula del primo accordo stato-regioni, in base al quale il governo stanziava risorse aggiuntive per il ripiano dei debiti pregressi ma a partire dal 2001 le regioni avrebbero dovuto trovare le risorse necessarie per gli eventuali debiti che sarebbero stati contratti in seguito. Un’altra tappa verso la realizzazione del federalismo in campo sanitario è il secondo accordo stato-regioni, dell'8 agosto 2001, necessario vista la continua crescita della spesa. Il governo si impegnò ad aumentare le risorse nazionali per la sanità, così da raggiungere in un triennio una quota vicino al 6% del PIL, avvicinando l'Italia ai valori dei principali paesi europei. Venne dato il via libera alla progressiva delega alle regioni per la gestione della spesa e dell'organizzazione della sanità, quanto alle politiche del personale, dei contratti e della mobilità delle risorse umane, all'assistenza farmaceutica e agli assetti delle AO. Le regioni dovettero accettare un tetto alla spesa farmaceutica, lo slittamento di un anno della prevista abolizione dei ticket sulla diagnostica e che il 2001 venisse considerato l'anno zero nei rapporti tra Stato e regioni Le regioni si impegnarono inoltre a introdurre strumenti di verifica dell'andamento della spesa e a fornire informazioni per il suo monitoraggio, a stipulare convenzioni per l'acquisto di beni e servizi, erogare le prestazioni previste dai LEA, a tenere la domanda sanitaria sotto controllo, ricorrendo se necessario a misure fiscali aggiuntive. Tutto ciò ha trovato applicazione nella l.n. 405/2001 che ha vincolato le regioni a contenere la spesa sanitaria entro i limiti specifici per il triennio 2002-2004. Nel 2001 è stata approvata anche la riforma del titolo V della Costituzione, che ha definito la tutela della salute come appartenente alle materie di legislazione concorrente. Le regioni hanno potestà legislativa mentre allo Stato spettano la determinazione dei principi fondamentali e il compito di fissare standard e livelli omogenei di prestazione dei servizi, i LEA. Un’importante innovazione che ha caratterizzato la seconda metà degli anni 2000 ha riguardato i piani di rientro, strumenti grazie ai quali il governo centrale affianca e monitora le regioni. I piani di rientro sono accordi attraverso cui il governo nazionale e le regioni con deficit sanitari strutturali stabiliscono gli obiettivi e le azioni strategiche finalizzate al recupero dell’equilibrio finanziario e alla rimozione delle determinanti strutturali del disequilibrio. Sono tre le principali misure che rendono innovativi i piani di rientro quale strumento di regolazione dei rapporti fra stato e regioni [Pavolini 2012]: 1. la presenza di meccanismi automatici di copertura parziale del deficit sanitario da parte delle regioni stesse, basati sulla tassazione locale e su trasferimenti vincolati dallo stato centrale 2. l’affiancamento e il supporto del governo nazionale all’operato regionale 3. il commissariamento, in sostituzione del governo regionale, in caso di perdurante deficit strutturale e incapacità di sviluppare correttamente il Piano di rientro siglato con lo stato Il 2007 è stato il primo anno in cui si è fatto ricorso ai piani di rientro, circa la metà delle regioni italiane è stata sottoposta ai piani (tutte le regioni del sud, tranne la Basilicata; Lazio, Liguria e Piemonte). In alcune di queste regioni i piani hanno funzionato bene, sono stati in grado di migliorare la modalità di operare di vari sistemi sanitari regionali. Ad alimentare le tensioni è stata la manovra economica presentata dal ministro Giulio Tremonti all’inizio del luglio 2008, periodo in cui la questione dei costi e dei disavanzi regionali è tornata a riacutizzare lo scontro tra livelli di governo centrale e regionale. La manovra del ministro Tremonti ha previsto tagli del personale sanitario, riduzione dei posti letto ospedalieri, ticket sanitari anche a carico delle categorie esenti nelle regioni in deficit. Le regioni compatte si sono schierate contro questo piano di tagli. Il Patto per la salute 2007-2009 prevedeva un incremento del FSN del 3% dal 2008 al 2011 e somme aggiuntive per il rinnovo dei contratti dei medici e dei paramedici e per la copertura dei ticket sulle prescrizioni per la specialistica e la diagnostica. Un’altra questione importante di questo periodo è stata la definizione dei costi standard per il finanziamento della sanità pubblica. La l.n. 42/2009 si riferisce al fabbisogno standard che deve essere determinato tenendo conto del costo standard che si deve sostenere per garantire i LEA in modo uniforme sul territorio nazionale. Tali costi standard dovrebbero essere intesi alla stregua di un benchmark per definire le risorse necessarie a garantire, in condizioni di efficienza, i livelli quantitativi e qualitativi delle prestazioni e dei servizi sanitari in tutte le aree territoriali. È il d.lgs.n 68/2011 a determinare costi e fabbisogni standard per il SSN che sono stati chiamati a garantire il superamento dei criteri di finanziamento fino ad allora adottati, a partire dal 2013. Il meccanismo adottato, di tipo top-down, è caratterizzato dalla fissazione del fabbisogno sanitario standard nazionale, ossia "dell'ammontare di risorse necessarie per assicurare i LEA in condizione di efficienza e appropriatezza”. Una volta fissato questo volume di risorse, che deve essere compatibile con le esigenze generali di finanza pubblica, esso viene ripartito tra le regioni, determinando così i fabbisogni standard regionali, applicando i valori di costo rilevati nelle regioni di riferimento. Questo rimanda a due questioni: - la procedura di scelta delle regioni benchmark - il calcolo dei costi standard nelle stesse regioni Il decreto ha previsto un iter di individuazione delle regioni di riferimento basato su tre fasi: definizione dei criteri di qualità, appropriatezza ed efficienza in sede di Conferenza stato-regioni e pubblicazione degli stessi in un decreto del presidente del Consiglio dei ministri individuazione delle cinque migliori regioni da parte del ministro della Salute scelta, tra le 5, di 3 regioni, di cui obbligatoriamente la prima e una di piccola dimensione geografica, da parte della Conferenza stato-regioni, avendo cura di garantire la rappresentatività territoriale di Nord, Centro e Sud Italia. Per quanto riguarda la determinazione dei costi standard, sono calcolati come la media pro capite pesata del costo registrato dalle regioni di riferimento a livello aggregato per ciascuno dei tre livelli di assistenza (collettiva, distrettuale, ospedaliera) in condizione di efficienza e appropriatezza. I costi standard riguardano la rideterminazione del quantum ideale necessario per assicurare le prestazioni essenziali, ovvero quanto queste dovranno costare nei diversi territori, in favore dei quali vanno, rispettivamente, attribuite le risorse relative, da doversi definire in rapporto al loro fabbisogno standard. L’accordo stato-regioni che ha portato al Patto per la salute 2014-2016, ancora in vigore, siglato il 10 luglio 2014, ha previsto che le regioni dovessero avere la certezza del budget a loro disposizione per poter avviare una programmazione triennale. L’obiettivo del patto è rendere il sistema sanitario sostenibile di fronte alle nuove sfide dell’invecchiamento della popolazione, dell’impiego di nuovi farmaci sempre più efficaci ma costosi, della medicina personalizzata. Ma anche riorganizzare la medicina del territorio attribuendo ruoli da protagonisti a medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e farmacie di servizio. L’accordo ha previsto l’aggiornamento dei LEA, inserendovi tutte le malattie rare e sostituendo prestazioni ormai obsolete con nuove cure più efficaci. Verso una partitocrazia della salute Quanto e come è cambiato il rapporto tra sanità e politica a partire dagli anni 90. Una serie di riforme del servizio sanitario italiano che hanno decentrato alle regioni molte delle competenze che prima erano in capo al livello centrale. Lo sfruttamento politico della sanità è iniziato negli anni 50 da parte della DC, è andato perfezionandosi negli anni 60 a opera dei governi di centro-sinistra e ha raggiunto il suo culmine tra gli anni 70-80 con il coinvolgimento del PCI e l’estensione delle spartizioni distributive dal livello nazionale a quello subnazionale. Le riforme degli anni 90 e 2000 e i processi di regionalizzazione e managerializzazione, innescati da queste riforme, lungi da ridurre il grado di politicizzazione fino ad allora esistente, lo hanno in realtà trasferito a livello delle regioni e a livello delle nuove ASL e delle AO istituite a partire dal 1994. I tagli resi possibili negli anni 90 dalla combinazione fra misure nazionali e responsabilizzazione delle regioni, sono più difficili da operare ora che una parte significativa delle risorse è disponibile direttamente a livello regionale. Parte del personale politico regionale rimane a mezza strada fra una compiuta responsabilizzazione e una persistente “cultura della spesa”, secondo cui “la partitocrazia locale può continuare i propri giochi distributivi, rivendicando meriti all'accaparramento di risorse dal centro e nella loro spartizione a livello locale oppure nella propria inventività contabile”. Relativamente allo sfruttamento “visibile” che avviene a livello subnazionale, questo è correlato alla crescita dell’autonomia decisionale, finanziaria e organizzativa acquisita dalle regioni in seguito al processo di decentramento sanitario. Sfruttano dunque la possibilità di nominare direttori generali politicamente vicini così da poter continuare a sfruttare politicamente la sanità, seppure con un bacino territoriale limitato ai confini delle regioni. La riforma della riforma del 1992-1993 aveva cercato di introdurre delle barriere istituzionali a questa pratica. Però quelle barriere, efficaci negli anni della destrutturazione del sistema dei partiti, risultano meno efficaci in anni in cui vi sono segnali di un nuovo consolidamento dei partiti, soprattutto per quanto riguarda le loro leadership a livello locale. Una volta avviato il processo di attuazione delle riforme sanitarie, si è assistito ad un riorientamento delle dinamiche di sfruttamento politico della sanità dal livello nazionale a quello subnazionale che ha fatto emergere come centrali, gli interessi micro al posto di quelli meso o meta, interessi che alla lunga sono riusciti ad aggirare anche i vincoli di spesa e gli strumenti di razionalizzazione del sistema. IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE NEL DECENNIO DELLA CRISI La crisi dell’ultimo decennio ha avuto ripercussioni importanti anche in ambito sanitario. Da un lato ha contribuito alla crescita della “spesa sanitaria out of pocket”: gli italiani pagano di tasca propria circa un quarto delle spese totali per la salute. La spesa sanitaria totale in Italia del 2017 è pari a 152,8 miliardi di euro, di questi il 74% è rappresentato dalla spesa pubblica mentre il 26% da quella privata. Il 91% della spesa privata è stata out of pocket, ovvero sostenuta interamente di tasca propria dai cittadini, solo per il rimanente 9% si è trattato di spesa intermediata. Questo dato conferma lo spostamento del finanziamento sempre più a carico dei cittadini e mostra come la sottoscrizione di forme di sanità integrativa rimanga un fenomeno ancora limitato rispetto ad altri paesi europei. La tendenza all’aumento della spesa sanitaria privata e di quella out of pocket evidenzia uno stato di sofferenza del sistema sanitario italiano in relazione anche all’invecchiamento della popolazione che a sua volta genera un maggiore domanda di salute. La crisi ha portato molte famiglie a rimandare le cure, se non addirittura a rinunciarci. Secondo il Rapporto Sanità del CREA, nel 2016 il 17,6% delle famiglie ha dichiarato di aver cercato di limitare le spese sanitarie per motivi economici, e di queste 1,1 milioni vi hanno rinunciato del tutto. Il Mezzogiorno è l’area più colpita, seguita dal centro, dal Nord-Ovest e infine dal Nord-Est. Il disagio economico per le spese sanitarie è sofferto dal 5,5% delle famiglie, ed è significativamente superiore nelle regioni del Sud. Dopo la stagione delle grandi riforme, due sono state le dimensioni intorno a cui decisori e stakeholders si sono confrontati per definire e governare la politica sanitaria. In primo luogo, considerate le immutate esigenze di contenimento della spesa pubblica, la politica sanitaria è stata condizionata dall’azione di governo di due diversi ministeri: il Ministero della Salute il Ministero dell’Economia e delle Finanze In secondo luogo, il fatto che con sempre maggiore rilevanza la politica sanitaria è stata decisa o con l’apporto delle regioni o direttamente a livello regionale, contribuendo così ad accrescere il grado di differenziazione dell’offerta sanitaria. Quanto alla prima dimensione, il ruolo del ministero della Salute vis-à-vis quello dell’Economia e delle Finanze, la XIV legislatura si era aperta con la decisione di ricostruire il ministero della Salute (e non più della Sanità) che il d.lgs.n.300/1999 aveva abolito in seguito all'accorpamento delle politiche pensionistiche, del lavoro, della salute e sociali in un unico dicastero del welfare. L’obiettivo di questa decisione era ridare visibilità alla politica sanitaria rispetto ad altri settori. In realtà negli anni successivi la sanità è stata progressivamente schiacciata dal peso della politica di bilancio e dalla scarsità di risorse, ossia da decisioni prese al di fuori del ministero della Salute. Le tensioni tra i due ministeri testimoniano il fatto che la questione finanziaria ha continuato a rimanere centrale per la definizione delle decisioni sanitarie. Il problema del contenimento della spesa sanitaria è considerato un punto importante nell’agenda di policy del nostro paese, nonostante la spesa complessiva per il settore sanitario (in percentuale del PIL) sia in linea con quella attesa in un paese con un livello di sviluppo simile a quello italiano. Le scelte relative alla riorganizzazione del SSN dipendono dalla disponibilità di risorse. A decidere delle risorse ha continuato ad essere il ministero dell’Economia e delle Finanze, condizionando la definizione dei progetti di riforma e la loro implementazione. Questo è uno dei settori in cui è stato ed è più incisivo il ruolo dell’Unione Europea, che continua a incoraggiare i paesi membri a tenere sotto controllo la spesa e i conti pubblici. Il rapporto sulla spending review del 2012, presentato dal ministro dei Rapporti con il parlamento Piero Giarda, indicava chi fosse a dettare i tempi e i modi della politica sanitaria per ridurre i costi pubblici e rendere più efficiente e meno onerosa la pubblica amministrazione. Il rapporto individuava nella forte crescita della spesa sanitaria uno dei fronti principali su cui intervenire. Per mantenere fede a quanto previsto nel Programma nazionale di riforma del 2011 e nel decreto sulla spending review, il ministro Renato Balduzzi definì un piano di riorganizzazione e razionalizzazione del sistema sanitario. Tra i punti cardine del d.l.n.158 del 2012, si trovano nuovi criteri per la nomina dei direttori delle aziende sanitarie e la riorganizzazione dei medici di famiglia. Venne demandata alle regioni la disciplina delle unità complesse di cure primarie privilegiando la costituzione di reti di poliambulatori territoriali dotati di strumentazione di base, aperti al pubblico per tutto l’arco della giornata, nonché nei giorni festivi. Venne prevista la tracciabilità dei pagamenti ai medici che svolgevano tale attività fuori dall’ospedale; le prestazioni dovevano avere una tariffazione minima e massima. Si stabilì la chiusura immediata di enti considerati inutili e venne prevista la messa a punto di un piano sulla non-autosufficienza, da finanziare con la liberalizzazione di fondi utilizzati in altri settori. Sebbene il problema della razionalizzazione della spesa pubblica doveva essere affrontato anche in ambito sanitario, l’Italia spendeva per la sanità risorse inferiori rispetto agli altri paesi europei, però una parte del problema continuava a risiedere nel divario tra regioni. I piani di rientro hanno contribuito a contenere la spesa ma non hanno aiutato a investire nella qualità delle cure e del sistema nel suo complesso, soprattutto laddove si continuano a registrare maggiori problemi di inefficienza (nelle regioni del Sud). Come espresso da Pavolini (2012) il perfezionamento degli strumenti di gestione e di regolazione della sanità a livello regionale e il ricorso a piani di rientro non sono sufficienti per fronteggiare i problemi acuti dei tagli alla spesa. C’è però una seconda dimensione: i rapporti di forza tra i due livelli di governo, quello centrale e quello regionale. A partire dal 2000 vi sono stati numerosi e rilevanti accordi stato-regioni, la maggior parte dei quali ha avuto per oggetto la definizione del fabbisogno sanitario delle regioni e l’attribuzione di compiti e responsabilità tra i due livelli di governo. La Conferenza stato-regioni è divenuta il luogo deputato a decidere tutte le questioni a rilevanza territoriale e lo strumento con cui le regioni hanno fatto sentire la loro voce e le loro richieste. Nella Conferenza, le regioni sono apparse compatte e hanno assunto posizioni comuni mentre la contrapposizione è stata verso il livello centrale. Uno dei motivi è legato al fatto che la politica sanitaria ha continuato in questi anni a essere decisa attraverso le leggi finanziarie che, non sempre sono state in linea con gli obiettivi convenuti negli accordi stato-regioni. Essendo la sanità al centro dei rapporti tra governo centrale e regioni, sono cresciute le esigenze di maggiore coordinamento tra i diversi livelli di governo, per evitare che i processi di differenziazione regionale si traducano in un incremento delle disuguaglianze territoriali in termini di livello e qualità dei servizi. Sarebbe dunque ottimale un rafforzamento della Conferenza stato-regioni, come strumento di confronto sia politico che tecnico, accompagnato da forme di raccordo in ambito centrale che consentissero di superare, almeno in parte, il dualismo tra i ministeri della Salute e dell’Economia e delle Finanze, ma questo non si è verificato. PRESENTE E FUTURO DELLA POLITICA SANITARIA IN ITALIA Il governo Lega-M5s con le decisioni prese in sede di legge di bilancio per il 2019, sembra aver preso una strada destinata a mettere ancora più in difficoltà il SSN. Lo stanziamento per il Fondo sanitario nazionale (2019) ha previsto solo 1 miliardo in più rispetto al 2018 a cui sono da aggiungere alcune risorse finalizzate del tutto marginali. In tutto 4,5 miliardi che copriranno solo il tasso d’inflazione e che, relativamente al 2020-2021, sono legate ad un nuovo Patto per la salute da sottoscrivere fra stato e regioni e al rispetto delle previsioni di crescita fatte dal governo. La spesa e il suo incremento sono espressi in percentuale sul PIL, se il PIL non aumenta quanto previsto, sarà minore anche la quota a disposizione della sanità pubblica. Ci sono problemi urgenti come il via libera ai nuovi LEA, il rinnovo dei contratti, lo sblocco del turnover e il regionalismo differenziato (uno dei punti cardine del contratto di governo “giallo-verde”), questi problemi combinandosi con la scarsità di fondi porterà al collasso del sistema sanitario, oltre ad avere conseguenze importanti sui conti pubblici. Il programma del governo prevede l’attribuzione a tutte le regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia in attuazione dell’art.116, terzo comma, della Costituzione. Il regionalismo differenziato è destinato a favorire un’ulteriore accentuazione delle differenze sanitarie fra le regioni. Le regioni più ricche lo potranno fare trattenendo una quota maggiore delle risorse che attualmente versano al centro, che avrà così meno fondi per la perequazione territoriali; le regioni che dispongono di meno risorse saranno spinte a fare altrettanto per non accrescere la perdita di pazienti e professioni sanitari. Definizione dell’agenda di politica sanitaria per il futuro. Sul versante della riorganizzazione del servizio sanitario rimangono aperte molte questioni, come: ridefinizione della politica ospedaliera potenziamento delle politiche sanitarie a livello territoriale il decollo delle mutue sanitarie integrative la ridefinizione delle regole per l’esercizio della libera professione la costituzione di un fondo per la non-autosufficienza I continui scandali nella sanità, legati al rapporto tra SSN e settore privato, mettono in evidenza la debolezza del sistema di governance in un settore esposto al rischio di utilizzo improprio delle risorse pubbliche e spesso di vera e propria corruzione. A causa di una progressiva restrizione del budget destinato alla sanità, negli ultimi anni sono aumentate le liste d’attesa per visite e operazioni. Ciò ha portato a un incremento della spesa effettuata di tasca propria dai cittadini e talvolta anche alla rinuncia alle cure. Il progressivo invecchiamento della popolazione renderà necessario aumentare le risorse destinate a rispondere ai crescenti bisogni sociosanitari degli anziani. Nonostante l’impatto crescente che la non-autosufficienza sta producendo ed è destinata a determinare su cittadini e nuclei familiari, in Italia risultano scarsamente diffuse misure private di Long-Term Care (LTC) diverse dalla spesa diretta delle famiglie. Si stima che le famiglie italiane spendano ogni anno circa 10 miliardi di euro per esigenze correlate alla non-autosufficienza. Fatica ad affermarsi la percezione della convenienza di forme di tutela di lungo periodo e appare bassa la propensione delle famiglie a corrispondere un contributo periodico e fisso per garantirsi dalle conseguenze future dell’invecchiamento e della non-autosufficienza. La polizza LTC si distingue dalle garanzie per infortuni o malattia per il fatto di assicurare una somma o dei servizi quando l’assicurato non sia più in grado di svolgere in modo autonomo una o più delle attività della vita quotidiana. Una delle possibili leve per l’estensione della copertura assicurativa integrativa contro il rischio della non-autosufficienza potrebbe risiedere nella detassazione introdotta dalla legge di stabilità per il 2017, dei contributi e premi versati alle polizze LTC dei datori di lavoro a favore dei dipendenti. La strada contrattuale, facilitando l’attivazione di forme di copertura ad adesione collettiva, consentirebbe una ripartizione del rischio con indubbi vantaggi in termini di abbassamento dei costi di accesso alla copertura e di estensione delle platee di soggetti assicurati. Vi sono due elementi che non facilitano simili sviluppi: la mancanza di una definizione consolidata e condivisa di “non-autosufficienza” e dei relativi criteri di valutazione, con i conseguenti rischi di mancanza di coordinamento fra interventi pubblici e integrazioni private, e di difficile comparabilità, da parte dei potenziali beneficiari, delle proposte assicurative il collegamento degli incentivi fiscali al reddito da lavoro dipendente, condizione che, aggravata dall’assenza di vincoli per le imprese assicuratrici a estendere la copertura assicurativa oltre il pensionamento, fa venir meno la tutela al momento della quiescenza, quando il rischio di incorrere nello stato di non-autosufficienza diventa maggiore Una risposta potrebbero essere le società di mutuo soccorso (SMS), nate in realtà nell’800 con l’obiettivo di sostenere i lavoratori nei momenti di bisogno grazie alla reciproca assistenza fra gli iscritti. Il principio su cui si basano è quello di socializzare rischi privati costruendo una risposta solidaristica. Nate come fonte di tutela per i lavoratori, con il tempo le SMS si sono aperte a tutti i cittadini, rimanendo società senza scopo di lucro, che a differenza delle assicurazioni non hanno clienti, bensì soci. Per rafforzare il loro ruolo è necessario investire su alcuni aspetti. la loro capacità di integrarsi maggiormente con il sistema sanitario pubblico lo sviluppo del welfare aziendale e contrattuale, che può offrire nuove opportunità di copertura, di fonte alle quali la mutualità deve presentarsi attrezzata, restando fedele ai propri principi fondativi una diffusione sempre maggiore di esperienza di mutualità territoriale, promosse da regioni e istituzioni locali, aperte e calibrate sulle esigenze dei cittadini di un determinato territorio