L'età della mondializzazione e della società di massa PDF

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Questo documento esplora l'età della mondializzazione e della società di massa. Si concentra sulle trasformazioni scientifiche, tecnologiche ed economiche che hanno caratterizzato la seconda rivoluzione industriale, evidenziando il ruolo delle nuove tecnologie e l'impatto sulla società.

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UNITÀ 1: L’ETÀ DELLA MONDIALIZZAZIONE E DELLA SOCIETÀ DI MASSA CAPITOLO 1: LA SOCIETÀ DI MASSA NELLA BELLE ÉPOQUE 1.1 SCIENZA, TECNOLOGIA E INDUSTRIA TRA OTTOCENTO E NOVECENTO La seconda rivoluzione industriale si sviluppò tra il 1870 (Guerra Franco-prussiana) e il 1914 (Prima...

UNITÀ 1: L’ETÀ DELLA MONDIALIZZAZIONE E DELLA SOCIETÀ DI MASSA CAPITOLO 1: LA SOCIETÀ DI MASSA NELLA BELLE ÉPOQUE 1.1 SCIENZA, TECNOLOGIA E INDUSTRIA TRA OTTOCENTO E NOVECENTO La seconda rivoluzione industriale si sviluppò tra il 1870 (Guerra Franco-prussiana) e il 1914 (Prima Guerra Mondiale). Mentre la prima rivoluzione industriale si era basata sul carbone e si sviluppò principalmente in Inghilterra, Francia e Germania, la seconda rivoluzione industriale si sviluppò in tutta Europa e al di fuori di questa grazie alla scoperta di nuove fonti energetiche (petrolio ed elettricità) e dell’acciaio. La più importante differenza tra le due industrializzazioni fu che alla fine del XIX secolo, la produzione industriale divenne l’unità di misura della grandezza delle nazioni. I caratteri più rilevanti della seconda rivoluzione industriale furono: Nuove materie prime e fonti energetiche (petrolio, elettricità, acciaio, cemento, gomma, concimi) Stretto rapporto tra scienza, tecnica e industria: Gli scienziati sapevano che le loro scoperte potevano avere un’applicazione tecnica industriale. Questo legame tra scienza e fabbrica portò alla creazione di nuovi prodotti capaci di influenzare i gusti e i consumi. Rivoluzione delle tecniche di produzione, delle comunicazioni e dei trasporti che permisero di vendere beni di qualsiasi tipo in tutto il mondo (automobili a benzina, collegamento radiotelefonico, macchina fotografica) Nuova organizzazione aziendale e del mercato finanziario Nuove scoperte in campo farmaceutico (vaccini e aspirina) 1.2 IL NUOVO CAPITALISMO La seconda rivoluzione industriale segnò un aumento generalizzato della produzione e determinò l’ampliamento del mercato. I beni cominciarono ad essere prodotti in serie, accelerando i processi di produzione. La produzione industriale e il lavoro nella fabbrica cambiarono radicalmente per soddisfare le esigenze del mercato di massa: Taylor agì sull’organizzazione del lavoro con l’obiettivo di incrementare la produttività di ogni operaio e di abbattere i costi del suo lavoro. In tal modo gli operai si adattarono al ritmo sempre più frenetico della produzione che eliminava pause e sprechi di tempo. Ford agì sulle tecniche di produzione di fabbrica con l’obiettivo di accrescere la quantità di merci in circolazione. Nel 1913 introdusse la catena di montaggio, per cui l’operaio doveva stare fermo e il nastro gli trasportava il pezzo da assemblare. Essa permise di abbattere i tempi di produzione delle automobili e il loro costo unitario. Questo nuovo sistema di lavoro fu fortemente contrastato dai socialisti, i quali evidenziavano il problema della spersonalizzazione degli operai che, costretti a ripetere gli stessi gesti migliaia di volte, non mettevano nulla di personale nel proprio lavoro. Tuttavia, i nuovi metodi produttivi permisero alle aziende di immettersi su mercati sempre più ampi, vendendo maggiori quantità di beni standardizzati, prodotti in serie e poco costosi. Il basso costo e l’aumento dei salari permise di allargare la fascia di consumatori. Questi, infatti, poterono allargare le proprie spese e grazie alla rateizzazione delle vendite poterono acquistare beni impossibili da comprare con un unico pagamento. Tutto ciò portò alla creazione della società di massa e a tre principali conseguenze: Incremento demografico Espansione dei ceti medi Crescente urbanizzazione La seconda rivoluzione industriale fu finanziata in buona misura dalle banche, le quali inserivano i propri uomini negli organismi dirigenziali delle imprese. Infatti, per intraprendere una qualsiasi attività erano necessari investimenti enormi. I prestiti bancari permisero quindi di avviare le attività (capitalismo finanziario). Un’altra importante introduzione fu il mercato azionario con il quale i grandi capitalisti potevano: Condividere i rischi degli investimenti Ridurre la competizione Controllare il mercato La concentrazione industriale caratterizzata da fusioni e acquisizioni portò alla creazione dei grandi monopoli. Prima tra tutti fu la Standard Oil Company che controllava il 90% della produzione petrolifera degli USA. Queste nuove forme di mercato impedivano la formazione della libera concorrenza. Per questo motivo i governi intervennero per ristabilire l’equilibrio tramite leggi anti-trust. Il culmine della produzione fu raggiunto intorno al 1896, dopo la Grande depressione che causò un mutamento fondamentale nella politica economica di tutti i governi. In particolare il liberismo fu abbandonato, applicando misure di protezionismo. Il nuovo sistema consisteva nel porre alte barriere tariffarie all’ingresso. In questo modo si scoraggiavano le importazioni e si favorivano le produzioni locali. Al contempo, molti Paesi si fecero sostenitori dello sviluppo interno, praticando il capitalismo di Stato. Si formò così un’economia mista caratterizzata dalla coesistenza dell’iniziativa privata e di quella governativa. 1.3 LA SOCIETÀ DI MASSA I fattori che favorirono l’affermazione della società di massa furono: Ampliamento della società industriale Espansione della produzione e dei consumi Crescita demografica e urbanizzazione Estensione del diritto di voto Tutto ciò aumentò la consapevolezza riguardo alle vicende del proprio tempo e di parteciparvi in misura maggiore. I nuovi mezzi di comunicazione permisero ai partiti e ai sindacati di diffondere maggiormente il loro messaggio. Tra questi ci sono soprattutto radio, cinema e giornali che contribuirono ad imporre stili di vita e modelli culturali omogenei. A determinare l’imponente crescita demografica furono condizioni di carattere generale: Aumento della produzione agricola Miglioramento delle condizioni igieniche Progressi della scienza medica Le città industriali sorsero e si espansero in modo incessante. Nel corso della Seconda rivoluzione industriale, tutti i governi acquisirono la consapevolezza che la grandezza di un Paese in campo economico dipendeva dal livello culturale dei suoi abitanti. Era quindi necessario estendere a tutta la popolazione l’alfabetizzazione di base. Al sorgere della società di massa, la borghesia era la classe dominante in Europa. Essa esercitava il proprio potere in parlamento e manovrava le leve del potere economico. Tra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la borghesia aumentò di numero e si stratificò al proprio interno: Alta borghesia: grandi industriali e finanzieri che dirigevano imprese e banche, si sedevano in parlamento e influenzava i governi. Media borghesia: imprenditori, funzionari statali, professori e commercianti agiati capaci di influenzare i governi tramite il diritto di voto. Piccola borghesia: bottegai, impiegati pubblici, artigiani e artisti che facevano pressione sugli stati superiori per risalire la scala sociale. Alle grandi battaglie politiche ed ideologiche dell’Ottocento partecipò anche il proletariato. Dopo la diffusione delle Trade Unions (sindacati) gli operai si resero conto che i sindacati erano uno strumento di lotta insufficiente: per influire sulle scelte politiche bisognava essere rappresentanti in parlamento grazie all’ampliamento del diritto di voto. Fu così che nel 1875 sorse il Partito socialdemocratico tedesco e il Partito socialista italiano. Questi partiti lottarono per una legislazione sociale più favorevole ai lavoratori, come la copertura assicurativa, le pensioni e il diritto di sciopero. Essi puntavano alla creazione di una società senza classi. Nel corso dell’Ottocento sia la borghesia che il proletariato avevano lottato per ottenere il diritto di voto, prima vietato attraverso il censo e il livello di istruzione. Queste barriere furono prima abbassate dalla borghesia liberale e in seguito abbattute su pressione del movimento operaio e democratico. Il diritto di voto ora spettava a tutti i maggiorenni. Anche le donne ottennero il diritto di voto. In particolare nel Regno Unito si formò il movimento delle suffragette che reclamava con forza il diritto di voto femminile. Il suffragio universale portò alla nascita di veri e propri partiti politici di massa. Essi non operavano esclusivamente in parlamento ma avevano un’ organizzazione propria che prevedeva: la differenziazione tra gli iscritti e i simpatizzanti la formazione di un ufficio di dirigenti che guidassero le scelte del partito un’azione continua di propaganda tra gli elettori Ogni partito aveva un programma di lotta politica, degli obiettivi di governo, slogan ideologici e capi riconosciuti dagli elettori. 1.4 LE GRANDI MIGRAZIONI Le grandi migrazioni furono un altro aspetto qualificante della società di massa. In Europa la popolazione e la produzione agricola crescevano a ritmi sostenuti, ma la distribuzione di beni e lavoro rimaneva ineguale. Gran parte di coloro che abbandonarono le campagne emigrarono oltre i confini nazionali, cercando all’estero un’occasione di vita migliore. La mobilità dei migranti fu favorita dal netto miglioramento dei trasporti. La principale meta dei migranti furono gli Stati Uniti. Gli emigranti furono una grande risorsa per il paese d’origine poiché le rimesse (denaro spedito alle famiglie rimaste in patria) diventarono un’importante voce dei bilanci statali. 1.5 LA BELLE ÉPOQUE Il 1900 fu accolto dall’ottimismo generale e dalla certezza che il progresso dell’uomo fosse inarrestabile. Il periodo a cavallo tra i due secoli fu definito «Belle Époque» in quanto esprimeva la nostalgia per l’epoca prima della guerra in cui tutto sembrava possibile. I decenni a cavallo tra Otto e Novecento furono un’epoca nella quale i progressi della medicina allungarono la vita dei cittadini. La maggiore disponibilità di denaro incrementò il tenore di vita. Nacque così il tempo libero. Si svilupparono il turismo di montagna e quello balneare. Nonostante ciò, erano già presenti segnali di crisi. La seconda metà dell’Ottocento era stata dominata dal razionalismo positivista, le cui teorie sostenevano le ambizioni di progresso economico e tecnologico. Tuttavia, emersero nuove scoperte scientifiche e nuove tendenze culturali che misero in crisi il positivismo e con esso la sicurezza e l’ottimismo che animava la Belle Époque. Con la nascita di nuove teorie scientifiche (radioattività e relatività) e psichiche (psiche di Freud e pragmatismo) si cominciò a pensare che la realtà non fosse sempre inquadrabile in leggi fisiche. Il razionalismo si trasformò quindi nell’irrazionalismo del primo Novecento, di cui Nietzsche ne fu il campione. Egli invocò la nascita di un «superuomo» capace di liberare l’umanità dalla mediocrità orientandola verso un nuovo destino. I gruppi politici più conservatori partirono proprio da qui per affermare la supremazia del proprio Stato. CAPITOLO 2: IL NAZIONALISMO E LE GRANDI POTENZE D’EUROPA E DEL MONDO 2.1 IL SORGERE DI UN NUOVO NAZIONALISMO Nell’ultimo trentennio del XIX secolo il nazionalismo cambiò progressivamente caratteristiche e si trasformò da ideologia di liberazione di popoli oppressi a ideologia di supremazia di un popolo sugli altri. Si affermò infatti la convinzione che le fortune di un Paese dipendessero dal declino dei Paesi vicini. Questa nuova ideologia fu sostenuta soprattutto dal ceto medio. A determinare tale svolta influirono fattori di natura politico- economica: Il protezionismo che ostacolò il libero commercio tra gli Stati L’imperialismo esprimeva in modo radicale la volontà di espansione dei Paesi europei a danno degli altri. I fattori economici generarono poi una tendenza politico-culturale: il sentimento nazionale divenne lo strumento che giustificava la competizione tra gruppi etnici diversi. Di conseguenza si diffusero atteggiamenti razzisti. L’idea di nazione era rappresentata dall’identità etnica del popolo (il sangue) considerato come espressione naturale della separazione del genere umano poiché costretta a seguire il darwinismo sociale. Ne derivarono la stipula di alleanze militari e un’imponente corsa al riarmo. Il nazionalismo diveniva così una diffusa ideologia di guerra. I nazionalisti di fine Ottocento proponevano soluzioni conservatrici e autoritarie ai problemi del loro tempo. Erano antidemocratici, contrari ai partiti socialisti, perciò disprezzavano il Parlamento quale strumento della democrazia, promuovendo al contrario l’assolutismo e la dittatura. La glorificazione della guerra divenne il centro dell’ideologia nazionalista: desiderio di patria, autoritarismo e di primeggiare sulla competizione politica ed economica mondiale. Il successo del nazionalismo si basò anche sulla crescente diffusione delle teorie razziste: si diffuse l’antisemitismo a danno del popolo ebraico. Si risvegliò in questo periodo il sionismo che intendeva promuovere la costituzione dello Stato nazionale ebraico in Palestina, con lo scopo di restituire un’identità Nazionale agli ebrei dispersi per il mondo. 2.2 IL NUOVO SISTEMA DELLE ALLEANZE EUROPEE Per garantire la maggior sicurezza possibile alla Germania contro ogni eventuale rivoluzione, Bismarck consolidò l’asse austro- tedesco con la Triplice Alleanza, sottoscritta anche dall’Italia. Poi si assicurò la neutralità della Russia, in caso di guerra contro la Francia, con la stipula del Patto di contro-assicurazione. Le cose mutarono quando la politica estera tedesca passò nelle mani di Guglielmo II. Egli era intenzionato ad impossessarsi del predominio mondiale con il Regno Unito. A tal proposito consolidò le colonie africane e asiatiche riuscendo a mettere in difficoltà le esportazioni britanniche. Inoltre, intraprese la costruzione di una grande flotta da guerra per contrastare l’egemonia navale inglese. In risposta a questa politica Londra e Parigi superarono le reciproche diffidenze e stipularono la Triplice intesa con la Russia (1907). 2.3 LE GRANDI POTENZE D’EUROPA Gran Bretagna: Liberali e conservatori guidavano la vita politica e la Regina Vittoria era il simbolo dell’unità nazionale. L’economia del Paese era la maggiore del pianeta e a fine Ottocento l’Impero britannico aveva raggiunto la massima estensione. Il sistema monarchico- costituzionale presentò il primo intoppo quando la Camera dei Lord (conservatori) prese il potere di veto sulle decisioni della Camera dei Comuni. Ciò spinse la vita politica britannica verso una decisa democratizzazione. In campo sociale furono varate le riforme sulla pensione, sulla riduzione della giornata lavorativa e sull’assistenza agli infortunati. I principali problemi del Paese emersero in campo internazionale con le continue pressioni tedesche e le aspirazioni indipendentistiche irlandesi. Francia: Il governo repubblicano francese fu affiancato dalle aspirazioni democratiche del Partito radicale e del Partito socialista. Questi due partiti si opposero fortemente al Concordato tra Stato e Chiesa, approvando leggi per la laicità dello Stato. In politica estera continuò l’espansione coloniale in Africa e India. Germania La Germania rafforzò il blocco sociale conservatore. Esso era formato dalla borghesia più ricca e dagli Junker e spingeva per una politica imperialistica più aggressiva e il rafforzamento interno dello Stato. Guglielmo II avviò una politica mondiale aggressiva che lo portò a scontrarsi con le altre potenze. Austria-Ungheria Il sovrano austriaco Francesco Giuseppe governò abilmente il suo impero cercando di colmare l’insoddisfazione delle minoranze etniche. Per tutto l’Ottocento l’Austria-Ungheria crebbe economicamente anche se rimase comunque un Paese prettamente agricolo. Dal punto di vista politico Francesco Giuseppe cercò di limitare i poteri della borghesia estendendo il diritto di voto a tutti i maschi con almeno 24 anni d’età. Il Paese nutriva forti ambizioni in politica estera: essi aspiravano a governare la parte balcanica dove l’Impero ottomano presentava grandi fratture interne. Questo territorio fu conteso tra Russia e Austria-Ungheria e questo scontro finì per far precipitare l’Europa in guerra nel 1914. Russia Lo zar di Russia Alessandro III si ispirò a tre parole d’ordine: Autocrazia: le decisioni del sovrano non potevano essere messe in dubbio Ortodossia: continua discriminazione di cattolici e protestanti e persecuzione degli ebrei Nazionalismo: si espresse attraverso il panslavinismo che mirò a minimizzare i popoli europei. Alessandro III concentrò la sua azione in uno dei principali problemi del Paese: la fame di terra dei contadini. Gli abitanti russi e l’industria crebbero sensibilmente. I profitti che venivano dalla produzione industriale non contribuirono alla diffusione del benessere tra la popolazione: questi avvantaggiarono solo gli investitori esteri o lo Stato che si erano assunti il rischio degli investimenti. Il sistema di fabbrica produsse il rafforzamento del proletariato urbano che reclamò migliori condizioni di vita e di lavoro. Le tensioni sociali ed economiche sfociarono in scioperi operai e rivolte contadine, mentre la borghesia liberale chiedeva la fine dell’assolutismo. Nacquero il Partito socialrivoluzionario e il Partito operaio socialdemocratico russo. Quest’ultimo si divide in due schieramenti: Menschevichi secondo cui prima di arrivare alla rivoluzione bisognasse passare per una fase riformistica Bolscevichi secondo cui bisognasse arrivare alla coscienza popolare e guidare il popolo alla rivoluzione. A capo di questo pensiero vi fu Lenin. La crisi sociale e politica fu acuita dalla guerra russo-giapponese. Lo zar riteneva che richiamare il popolo a raccolta attorno alla bandiera avrebbe allontanato le masse dalla tentazione della rivoluzione. Il conflitto fu però un disastro per le forze imperiali e nel 1905 scoppiò la rivoluzione. Una manifestazione popolare per presentare allo zar una petizione, fu dispersa dall’esercito che causò migliaia di morti. Nacque il primo soviet (sindacati) eletto dagli operai che prese la direzione del movimento operaio. Lo zar promise la convocazione di un’assemblea rappresentativa (Duma) che avrebbe dovuto trasformare il governo in una monarchia costituzionale. Le cose però andarono in maniera diversa. La fine dello scontro contro il Giappone permise al sovrano di impiegare le truppe per reprimere le agitazioni rivoluzionarie. La Duma non ottenne alcun potere e non riuscì ad influenzare le decisioni dello zar. Il Primo ministro russo Stolypin represse ogni ribellione. Procedette alla russificazione delle minoranze etniche e all’emanazione di leggi che alleviassero le tensioni sociali. 2.4 STATI UNITI E GIAPPONE SULLA SCENA MONDIALE Stati Uniti Già prima della Prima guerra mondiale gli Stati Uniti avevano sorpassato il Regno Unito ed erano diventati la più importante potenza economica del pianeta. Questo grazie a: Incremento dei trasporti e della produzione che permise di unificare tutti gli Stati Fu possibile integrare e scambiare le merci su un territorio immenso Lo sviluppo demografico fornì consumatori e mano d’opera in abbondanza Il potere politico era nelle mani del Partito repubblicano che consolidò il proprio potere sotto la presidenza di Roosvelt. I repubblicani mantennero alte barriere protezionistiche e appoggiarono il capitalismo sregolato, intervenendo nella competizione economica solo per evitare la concentrazione industriale e finanziaria. Continuò la discriminazione e lo sfruttamento dei neri e dei nativi americani, mentre i migranti ottennero la possibilità di integrarsi nella società statunitense. La politica estera di adattò ai principi dell’imperialismo imponendo la grande forza economica e demografica sugli altri Stati. Dal 1898 conquistò Cuba, le Filippine e le Hawaii. Giappone Tra Ottocento e Novecento il Giappone prese la via dell’espansionismo militare. A determinare tale svolta furono diversi fattori: Carenza di materie prime da reperire altrove Bisogno di nuovi mercati di sbocco Desiderio di garantire l’indipendenza del Paese La politica estera giapponese si configurò come anti-cinese. Il conflitto ebbe come campo di battaglia la Corea e si concluse con la vittoria giapponese. I giapponesi poi decisero di attaccare la Russia per conquistare la regione cinese della Manciuria. Con la sconfitta russa, Tokyo ottenne la Manciuria e il protettorato sulla Corea. La guerra russo-giapponese del 1905 influì in modo decisivo sulla situazione internazionale e sulla stessa concezione della guerra, mettendo in luce l’inadeguatezza del Russia e frantumando il mito della superiorità della razza bianca. Allo scoppiare della Prima guerra mondiale il Giappone era pronto ad entrare come protagonista sulla scena del grande politica internazionale. CAPITOLO 3: L’ITALIA GIOLITTIANA 1.1 L’ITALIA D’INIZIO NOVECENTO Conclusasi la stagione depressiva che aveva colpito l’economia europea, iniziò per l’Italia una fase di sviluppo che si protrasse fino al 1907. Nel periodo 1887 – 1907 lo Stato italiano mantenne una benefica stabilità finanziaria. In questi stessi anni prese forma il «Triangolo industriale» che aveva ai vertici Torino, Milano e Genova, città nelle quali si diffuse una cultura industriale e tecno- scientifica. L’economia agraria quindi si trasformò in economia di fabbrica, favorita dai grandi investimenti delle banche. Tuttavia l’agricoltura rimase l’attività portante del Paese. In Italia permanevano comunque fattori di arretratezza e analfabetismo. Inoltre cresceva il fenomeno dell’emigrazione. I benefici del progresso economico non si distribuì in modo uniforme in tutto il Paese e aumentò il divario tra Nord e Sud. Questi fenomeni caratterizzarono la cosiddetta «età giolittiana» (1903-1914). Lo sviluppo economico non aveva prodotto più benessere. Nel 1900 gli operai lavoravano in pessime condizioni e I datori di lavoro contrastavano con tutta forza la formazione di sindacati e scioperi. Nel tentativo di sistemare le tensioni sociali, Vittorio Emanuele III nominò Ministro degli Interni Giovanni Giolitti. Egli seppe conciliare le ambizioni delle varie classi sociali, allargando il consenso verso lo Stato liberale e facendo del governo il motore della pacificazione e della modernizzazione del Paese. Giolitti decise di muoversi pragmaticamente per ottenere il migliore risultato in ogni circostanza. Ciò significava adattarsi alle scelte della Destra o della Sinistra volta per volta. 3.2 TRE QUESTIONI: «SOCIALE», «CATTOLICA», «MERIDIONALE» I tre principali problemi che Giolitti dovette affrontare riguardarono tre questioni: Sociale: l’istruzione elementare obbligatoria e gratuita, l’allargamento del diritto di voto e l’incremento demografico incrementarono la consapevolezza e la forza dei lavoratori. Giolitti riconobbe che l’evoluzione della società non poteva più essere combattuta ma doveva essere guidata e controllata. Decise quindi di garantire maggiore libertà ai lavoratori e di promuovere leggi sociali favorevoli ai lavoratori (nascita del Consiglio superiore del lavoro, norme che limitavano il lavoro femminile e minorile, assicurazioni obbligatorie). Giolitti invitò Turati a portare i socialisti al governo ma egli rifiutò. Dopo lo scoppio di uno sciopero generale, Giolitti sciolse la Camera per poi riottenerla con le elezioni del 1906 nelle quali il Partito socialista riacquistò la maggioranza. Giolitti potè quindi riprendere la sua politica della conciliazione sociale e avviò il Paese verso una democratizzazione. Cattolica: con la promulgazione da parte di Pio IX del «non expedit» con cui i cattolici non potevano più far parte della vita politica, Giolitti cercò un riavvicinamento attraverso le elezioni del 1904. Giolitti promise di rinunciare ai principi laicisti e anticlericali dei governi precedenti e con l’appoggio dei cattolici vinse le elezioni. Il varo di una nuova legge elettorale con cui introduceva il suffragio universale maschile, suscitò la preoccupazione della Chiesa. Giolitti sfruttò questo timore per ampliare il consenso verso lo Stato liberale. Perciò firmò il Patto Gentiloni con cui stabiliva che tutti i credenti avrebbero votato per il liberali a patto di non assumere iniziative sgradite alla Chiesa. Ciò condizionò la libertà d’azione del Presidente. Meridionale: l’espansione industriale aggravò il ritardo socio- economico del Sud Italia. Nel meridione mancavano le infrastrutture che agevolassero il potenziamento di aziende e del commercio. Inoltre un fisco oppressivo e un’amministrazione pubblica inefficiente e corrotta aggravarono le condizioni. Era inoltre poco diffusa la coscienza dello stato degli operai e dei contadini perciò le rivolte risultavano improduttive. Giolitti favorì lo sviluppo industriale attraverso la creazione di grandi industrie grazie ad agevolazioni fiscali ed ad un allargamento del credito. Tuttavia questa sua politica diede ben pochi risultati. 3.3 LA GUERRA DI LIBIA La politica estera italiana in quegli anni percorreva due binari. Da una parte esisteva un solido legame con la Triplice Alleanza, dall’altro la partecipazione alla competizione mondiale richiedeva di tornare accordi con Francia e Regno Unito. Si diffuse il bisogno di nuove terre per i contadini meridionali che poteva essere colmato con la colonizzazione delle terre in Africa. Per far ciò però bisognava cercare un’intesa con Francia e Regno Unito: l’Italia avrebbe potuto conquistare la Libia in cambio dell’appoggio all’espansione francese in Marocco e inglese in Egitto. Lo scontro con gli ottomani si concluse con la Pace di Losanna del 1912. La vittoria diede dei grossi problemi: Costi finanziari elevati Ribellione delle popolazioni berbere in Libia che non furono mai conquistate definitivamente Scarsa valutazione del territorio africano che risultò difficile da colonizzare e con poche risorse Lo Statuto Albertino è stato uno dei documenti più significativi della storia politica e costituzionale italiana. Proclamato il 4 marzo 1848 dal re Carlo Alberto di Savoia, rappresenta la prima forma di Costituzione concessa in Italia, valida inizialmente per il Regno di Sardegna e, dal 1861, per il Regno d’Italia. Rimase in vigore fino al 1° gennaio 1948, quando fu sostituito dalla Costituzione repubblicana italiana. Caratteristiche principali dello Statuto Albertino Lo Statuto si distingue per tre caratteristiche fondamentali: 1. Elargito (ottriato): Non era il risultato di una volontà popolare, ma una concessione regale del sovrano ai suoi sudditi.Questo sottolinea il potere unilaterale del re. 2. Breve: Conteneva solo 84 articoli che enunciano principi generali, senza entrare nei dettagli operativi. 3. Flessibile: Poteva essere modificato con leggi ordinarie, una caratteristica che permise ampie manipolazioni durante il fascismo. Principi fondamentali dello Statuto Forma di governo:Stabiliva la monarchia costituzionale con una forte centralizzazione del potere nelle mani del re. Separazione dei poteri: Seguiva il principio teorizzato da Montesquieu, ma con il sovrano come figura centrale: ○ Esecutivo: Appannaggio esclusivo del re. ○ Legislativo: Condiviso tra il re, il Senato (di nomina regia) e la Camera dei deputati (eletta a suffragio maschile ristretto). ○ Giudiziario: Esercitato da magistrati nominati dal re. Diritti dei cittadini: Includeva libertà di stampa, opinione, riunione, proprietà privata e uguaglianza formale. Tuttavia, erano facilmente limitabili per motivi di sicurezza pubblica. Religione: Il cattolicesimo era religione di Stato, ma venivano tollerati altri culti, consentendo diritti civili e politici a minoranze religiose come valdesi ed ebrei. Limiti dello Statuto Il diritto di voto era riservato a una ristretta élite maschile, con requisiti censitari e culturali, escludendo il 98% della popolazione. La flessibilità del documento permise al regime fascista di violare i principi liberali senza abrogarlo formalmente. Il controllo centralizzato del re sugli organi costituzionali limitava l’effettiva divisione dei poteri. Dalla monarchia costituzionale alla Repubblica Con l’unità d’Italia nel 1861, lo Statuto Albertino divenne la Costituzione del Regno d’Italia. Durante il ventennio fascista, venne manipolato per legittimare il regime dittatoriale. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia si liberò del fascismo e avviò il processo di transizione verso una Repubblica. Il 2 giugno 1946, con il suffragio universale, gli italiani votarono per scegliere tra monarchia e repubblica e per eleggere l'Assemblea Costituente, incaricata di redigere la nuova Costituzione. La Costituzione della Repubblica Italiana Entrata in vigore il 1° gennaio 1948, la nuova Costituzione riflette i principi democratici e repubblicani. Tra le sue caratteristiche principali: Forma di governo: Repubblica democratica con sovranità popolare (Art. 1). Laicità dello Stato: Riconoscimento di tutte le confessioni religiose (Artt. 7 e 8). Divisione dei poteri: ○ Legislativo: Affidato al Parlamento. ○ Esecutivo: Sotto la guida del Presidente del Consiglio dei Ministri. ○ Giudiziario: Autonomia dei magistrati ordinari. Pari opportunità: Garantisce uguaglianza formale e sostanziale a tutti i cittadini (Art. 3). Diritti universali: Libertà di stampa, pensiero e riunione, con rifiuto di ogni censura. Suffragio universale: Diritto di voto esteso a uomini e donne maggiorenni. Caratteristiche del documento: La Costituzione italiana è rigida (modificabile solo con procedure specifiche) e lunga (contiene disposizioni dettagliate su vari aspetti del vivere civile e politico). Conclusione Lo Statuto Albertino segnò una transizione verso un sistema costituzionale, ma con forti limiti legati alla sua natura concessoria e alla concentrazione del potere nel re. La Costituzione del 1948, invece, è il fondamento di uno Stato democratico moderno, nato dalla volontà popolare e basato su principi di uguaglianza, laicità e sovranità del popolo.

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