Summary

This document provides a lecture on histology, covering topics such as the origin of tissues and embriology. It explores the fundamental processes involved in cell function and specialization, including cell division, interaction, movement, and specialization. The document also explains the role of proteins in differentiation using examples of cells such as neuron and lymphocytes. Lastly, it discusses the processes responsible for this differentiation and mentions topics on gene expression.

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LEZIONE 1 – INTRODUZIONE ALL’ISTOLOGIA 17/11/2022 COS’È L’ISTOLOGIA? La crescita dell’organismo deriva dalla moltiplicazione di un ovulo fecondato, lo zigote, che da vita a tutte le cellule dell’organismo tramite il suo moltiplicarsi. Sia nell’embriologia dello sviluppo, che in quella descrittiva,...

LEZIONE 1 – INTRODUZIONE ALL’ISTOLOGIA 17/11/2022 COS’È L’ISTOLOGIA? La crescita dell’organismo deriva dalla moltiplicazione di un ovulo fecondato, lo zigote, che da vita a tutte le cellule dell’organismo tramite il suo moltiplicarsi. Sia nell’embriologia dello sviluppo, che in quella descrittiva, questo è un percorso articolato che permette di arrivare alla formazione dell’organismo sviluppato. Esso si riferisce sempre ad una situazione di un organismo in fase prenatale precoce. L’organogenesi inizia già alla quinta settimana, l’embrione è ancora quasi invisibile. Da questa cellula otteniamo 200 tipologie di cellule differenti. Queste cellule si organizzano e coordinano tra loro a formare strutture multicellulari che svolgono specifiche funzioni, questi sono detti tessuti. Questi ultimi si coordinano tra loro formando organi, che a loro volta formano sistemi e apparati. La loro collaborazione definisce l’organismo. L’istologia si occupa dei tessuti, che fanno da ponte tra la cellula (biologia cellulare) e gli organi e la loro coordinazione (anatomia macroscopica). Essa nasce fondamentalmente come anatomia microscopica. La prima idea di cellula risale al 1600, grazie ai primi microscopi. Le prime osservazioni vennero fatte su cortecce di sughero essiccato. Si osservarono cellule vuote, i residui della parete cellulare della cellula vegetale. L’anatomia microscopica era una scienza meramente descrittiva, come l’anatomia macroscopica. Succede qualcosa di particolare dopo gli anni 50, con la scoperta del DNA, e dopo gli anni 70-80, quando si comincia a sviluppare la biologia molecolare e si cominciano a studiare i meccanismi della trasduzione del segnale intracellulare (cascate enzimatiche e biochimiche, che permettono alla cellula di interpretare e leggere gli stimoli esterni). Qui c’è una svolta: si capisce come le strutture a livello microscopico, prima solo descritte a livello strutturale, siano anche importanti a livello funzionale. L’istologia è un punto di contatto a livello microscopico tra il livello descrittivo e quello funzionale microscopico; mette insieme l’aspetto anatomico e quello funzionale; è un collegamento tra la biologia cellulare, che si concentra sulle attività funzionali interne alla cellula e dei suoi rapporti con l’esterno (che fanno sempre riferimento all’individualità della cellula), e l’anatomo-fisiologia macroscopica. Questo contatto tra due discipline va a concentrarsi sulle interazioni tra cellule, cioè l’essenza dei tessuti. Importante è il concetto di quanto siano correlate struttura e funzione. Non è importante solo l’aspetto morfologico al dettaglio, ma l’aspetto morfologico in relazione alla funzione da svolgere. QUATTRO PRINCIPI FONDAMENTALI Prima di affrontare la specificità dei tessuti e delle cellule che lo compongono, bisogna affrontare l’origine dei tessuti, affrontare l’embriologia (dallo zigote alle cellule che compongono un tessuto). In questo percorso, che ci porta dallo zigote alla differenziazione in 200 tipologie differenti di cellule, dobbiamo sempre fare riferimento a quattro questioni fondamentali, quattro processi essenziali per il funzionamento di una cellula (le cellule compiono anche più attività, ma le più complesse azioni sono la combinazione di due o più di questi processi): - Come si dividono o non si dividono, o muoiono eventualmente - Come interagiscono tra loro: interazione fisica (tra due cellule o una cellula e una struttura non cellulare) e interazione di segnali (gradienti chimici, fattori di crescita, altre molecole prodotte dalle cellule stesse. Tutta la comunicazione che non comporta il contatto fisico). - Come si muovono: conversione di energia chimica in energia cinetica, e la sua trasmissione all’esterno (fulcro di tutto ciò che ha a che fare con la struttura dei tessuti, cioè la morfogenesi. Perché un tessuto abbia una forma e non sia una serie indefinita di cellule, queste ultime hanno bisogno di muoversi per poter dare una specificità al tessuto). - Come si specializzano: la presenza di 200 tipologie di cellule implica che esse siano diverse nei termini in cui si specializzano. L’ovulo fecondato ha potenziale differenziativo totipotente (sarebbe in grado di fare tutto, ma non fa niente), mentre, le cellule dell’organismo adulto, svolgono una funzione e hanno caratteristiche e strutture dedicate ottenute tramite specializzazione. LA DIFFERENZIAZIONE E IL RUOLO DELLE PROTEINE Se partiamo dall’ovulo fecondato, cioè dallo zigote, esso ha con sé il suo genoma che lo caratterizza; Differenziandosi, darà il suo identico genoma a quasi tutte le cellule. Dato che le informazioni che permettono alla cellula di crescere, sostenersi e agire, sono codificate nel genoma, come si ottiene la differenziazione ( esempio estremo: neurone motorio lungo un metro e 20, mentre il linfocita (non ha lo stesso identico genoma) è una cellula 10 micron tonda e fluttua nel sangue)? La differenza nasce unicamente da una distinzione del numero di proteine prodotte da uno stesso stampo di DNA. Ogni proteina parte dallo stesso punto di riferimento su più cellule differenti, dalla stessa quantità di genoma, poi in ogni singola cellula la proteina operativa prodotta può essere diversa da quella prodotta in un’altra. Ogni cellula ha geni codificanti che in un’altra sono silenziati. Per questo motivo vengono svolte azioni completamente diverse. Questa distinzione del repertorio proteico si ottiene e si mantiene tramite vari processi. Tali azioni sono responsabili di tutta la regolazione fine, che ci permette di ottenere differenze non casuali ma coordinate e codificate nel tempo e nello spazio (da uno stesso genotipo a fenotipi completamente diversi). Dunque, questa differenziazione si ottiene tramite tre processi: - CONTROLLO DELLA TRASCRIZIONE: per passare da DNA a proteina devo controllare la trascrizione dell’RNA messaggero (mRNA). Essa può essere controllata tramite diversi meccanismi, ed è il punto di controllo più significativo nel condizionare quanto stampo di RNA produco per quello specifico gene, e questo è correlato alla quantità di proteine che poi effettivamente traduco. Da un lato, attraverso una serie di elementi regolatori, che prendono il nome di fattori trascrizionali, che si legano al DNA, posso influenzare quanto RNA viene prodotto, controllarne la velocità di trascrizione e di produzione di proteina. Dall’altro c’è un controllo epigenetico. Il DNA è una molecola estremamente lunga che ha bisogno di strutture secondarie e terziarie molto complesse. Nello sviluppare tali strutture, fisicamente, porzioni di DNA possono essere più o meno accessibili all’interazione con altri elementi biochimici. Se ho una porzione di DNA estremamente chiusa, dal punto di vista strutturale, le DNA polimerasi non riescono a raggiungerla. Questo tratto di DNA, al di là della presenza di fattori trascrizionali, di tutti gli altri stimoli che può ricevere la cellula, non verrà espresso. Questa scelta è regolata; e sulla base di questo, posso controllare in maniera massiva e stabile quali tratti di DNA, quali genomi, quali proteine posso produrre. Questo controllo è chiamato controllo epigenetico. Questa è una delle chiavi fondamentali che rende diverse cellule di tessuti diversi. Se prendo una cellula epiteliale e una del sangue vedo la differenza nell’espressione dei geni, cioè nella loro accessibilità, cioè, strutturalmente, nella loro condensazione della cromatina. Questo è uno dei principi per cui è difficile effettuare la transdifferenziazione, cioè la modifica di una cellula specializzata in un’altra altrettanto specializzata. I fattori trascrizionali sono tipicamente fondamentali per le dinamiche più acute; servono più come innesco per i controlli epigenetici e per la reazione dinamica agli stimoli momento per momento. Ad esempio, se manca il glucosio, tramite cambiamento di assetto proteico, la cellula può rispondere a questa mancanza grazie ai fattori trascrizionali. - STABILITÀ mRNA: la sua quantità varia a seconda della regolazione della sintesi di mRNA. Posso decidere quanto DNA trascrivere in mRNA e quanto degradarne; un controllo biochimico regola la capacità di trascrizione e velocità di degradazione. Fino ad una quindicina di anni fa, si credeva che le capacità di degradazione fossero intrinseche dell’mRNA, della sua porzione terminale, il poli-A. Vennero scoperte delle classi di regolatori come i miRNA (microRNA) che possono interagire con il messaggero stesso e aumentarne l’instabilità regolando nel tempo le capacità di degradazione e produzione. Queste miRNA sono molto corti e presentano sequenze di omologia all’interno e gli permettono di essere antisenso rispetto a uno o più mRNA; legandosi a questi producono una destabilizzazione. L’attività dei miRNA può coordinare l’azione di più mRNA contemporaneamente, in blocco (degradazione o produzione di molti RNA). Ci sono studi su come l’affinità dei miRNA per una classe di messaggeri, condizioni delle funzioni cellulari coordinate. - SPLICING: cioè quanti di questi mRNA vengono tradotti in proteine. Questa è un’azione di regolazione post-trascrizionale, infatti sequenze di DNA codificanti, dette esoni, sono separate da parentesi non codificanti, dette introni. Gli esoni sono le parti trascritte in mRNA. Tagliando e scegliendo quali sezioni di mRNA utilizzare (splicing), posso cambiare in maniera significativa la composizione delle proteine e la loro conseguente funzione. Partendo da due tratti di mRNA uguali, ma che hanno subito un differente effetto dello splicing, lo scheletro della proteina tradotta è lo stesso, ciò provoca un cambiamento nella loro struttura tridimensionale e dunque anche della loro funzione. Da una stessa sequenza di geni ottengo molte proteine differenti, grazie a regolazione a livello dello splicing. Ottengo quelle che sono dette isoforme differenti. Ho una regolazione anche a livello della traduzione, cioè posso regolare quanto efficientemente un mRNA venga tradotto. - REGOLAZIONI POST-TRADUZIONALI: regolano la quantità e l’espressione della proteina. Ad esempio, gli enzimi possono essere attivati e inattivati, pezzi di proteine tagliate per renderle inattive. Da questo io ottengo le mie 200 tipologie di cellule e i loro stati funzionali distinti (sono considerate anche le cellule uguali che si trovano in uno stato di produzione o degradazione della matrice extracellulare). Quindi tutte queste tipologie di cellule provengono da effetti combinatoriali delle proteine. Questi processi fanno si che, in molti casi, la stessa proteina possa subire effetti diversi quando prodotta in contesti differenti. Questo è un principio fondamentale che vale soprattutto per le cellule regolatrici più che per le strutturali. Nel momento in cui distinguo le cellule, anche con le stesse proteine, posso comunque svolgere funzioni differenti. Così posso usare gli stessi geni per regolare processi diversi, in contesti cellulari differenti. Posso usare gli stessi regolatori ottenendo effetti diversi, cioè sto risparmiando sull’informazione. Tutti questi processi insieme si combinano nel tempo e nello spazio a far sì che il processo di generazione cellulare prenda la forma di quella che è chiamata morfogenesi. Essa è il modo in cui queste funzioni cellulari vengono coordinatamente e contemporaneamente regolate su un’intera popolazione cellulare, per ottenere il processo di modellazione funzionale del tessuto. Dunque, la morfogenesi è l’azione delle 4 attività precedentemente dette che agiscono in modo coordinato su più cellule, per dare origine ad un tessuto funzionale. CARATTERI FONDAMENTALI DI UN TESSUTO Studio un tessuto, devo avere in mente questa lista di punti fondamentali come riferimento: 1. PROVENIENZA: sapere da dove viene nel suo percorso di differenziazione. Sapere la relazione che ha lo zigote con il tessuto finale specializzato. 2. MORFOLOGIA: sono le caratteristiche morfologiche specifiche nel tessuto, le dimensioni hanno le cellule, quali proteine speciali contengono e come le strutture interne si organizzano nella cellula. La polarizzazione cellulare: la cellula polarizzata non è simmetrica nella sua disposizione degli organelli, ma essa riconosce un verso e svolge le funzioni in modo differenziato sulla base di questa direzione. In una cellula polarizzata il nucleo non è al centro, ma spostato tutto da un lato. Gli organelli sono disposti in modo diverso in base al tipo di funzione che devono svolgere in relazione alla posizione del tessuto. La polarizzazione negli odontoblasti (produce dentina) e negli ameloblasti (produce smalto) è data dal fatto che la sostanza extracellulare (matrice) è prodotta in maniera specifica dalla regione apicale, cioè in una direzione specifica. Tutte le strutture intracellulari sono più vicine alla posizione da cui deve secernere matrice, mentre il nucleo si trova nella zona opposta. Altri esempi sono le ghiandole. In queste, i nuclei delle cellule mucose, si trovano dal lato opposto alla secrezione e sono schiacciati dal lato basale 3. DISPOSIZIONE NEL TESSUTO: come le cellule si organizzano nel tessuto dell’organismo, sia rispetto all’interazione con la matrice extracellulare sia nella disposizione tra cellule stesse. Su più tessuti le cellule sono diverse. Rispetto a questa interazione tra cellule e tra cellula e matrice, possiamo individuare due categorie di tessuti (non appartengono a questa classificazione alcuni tessuti più specializzati): 3.1 Tessuto epiteliale: sono caratterizzati da cellule ammassate con poca matrice extracellulare e sono in contatto diretto tra loro, tramite le giunzioni cellula-cellula. Sono fisicamente tenute insieme tra loro. Questa struttura è fondamentale per il ruolo di barriere più o meno selettive che gli epiteli devono svolgere. L’epitelio definisce la suddivisione tra due ambienti differenti, tra un dentro e un fuori, che devono rimanere, a volte solo parzialmente, divisi. Divide due sistemi biochimici che possono anche essere composti da sostanze differenti o concentrate in modo differente (es. la cute permette il mantenimento dell’omeostasi interna rispetto all’ambiente esterno). Gli epiteli possono essere specializzati e avere cellule polarizzate o no. Hanno la membrana basale, un connettivo acellulato che serve per l’orientamento cellulare. In base a ciò la cellula conosce la sua posizione e coordina le sue funzioni di conseguenza. Inoltre, l’epitelio, essendo composto da cellule continue, non è vascolarizzato. 3.2 Tessuto connettivo: cellule immerse all’interno di una matrice cellulare molto ampia. Essi hanno funzione trofica e di sostegno. Qui si trovano i vasi e devono arrivare il più vicino possibile all’epitelio sotto il quale si trovano, per poterlo nutrire tramite diffusione. Le cellule sparse proprie del tessuto (fibroblasti), che hanno il compito di produrre un’elevata quantità di materiale extracellulare, che è a gran parte del contenuto del connettivo stesso. È possibile trovare molte cellule ospiti che possono stare all’interno della matrice. Un organo ad alto tessuto epiteliale è il fegato, e si intuisce, che c’è una densità cellulare molto altra, e lo si può vedere dalla grande presenza di nuclei; infatti, il fegato funziona da filtro, quindi il fatto che sia formato prevalentemente da tessuto epiteliale, è strettamente legato alla sua funzione. I pochi spazi presenti sono le strutture connettivali; esse sono immerse nel mesa-parenchima di tipo epiteliale. Quando si osserva un organo si nota dunque una coordinazione tra componenti di tessuto epiteliale e connettivo. La proporzione tra i due componenti è essenziale per svolgere in modo ottimale le funzioni di ciascun singolo organo (cartilagine è tessuto tipicamente connettivale). Più è attiva la funzione di scambio, meno strati di epitelio troverò; più è valorizzata la caratteristica di impermeabilità e la funzione di protezione, più l’epitelio sarà pluristratificato. L’epidermide ha una funzione particolare, infatti, nelle zone più esterne, troviamo un compartimento di cellule anucleate che stanno esfoliando. Tale strato è detto membrana di cheratinizzazione in cui le cellule morte (solo lipidi e proteine) si ammassano per impermeabilizzare e proteggere ancora di più i punti in cui è più sollecitata la funzione meccanica (palmo della mano, pianta del piede). Invece sulla base dell’epidermide si trova uno strato essenziale di tessuto connettivo. In una struttura come quella dei villi intestinali, che caratterizzano lo strato interno dell’intestino, è favorita la funzione di scambio e di assorbimento di sostanze; qui i villi sono rivestiti da una struttura epiteliale che distingue l’interno dell’intestino dall’interno dell’organismo. La membrana divisoria è composta da un unico foglietto epiteliale con cellule disposte ordinatamente e regolarmente. Le cellule sono molto polarizzate, con citoplasma e tutti gli organelli rivolti verso il lume dell’intestino per poter svolgere le funzioni di secrezione e assorbimento. L’epitelio poggia su una membrana basale, al di sotto della quale si trova un’asse connettivale che permette al villo di mantenere questa struttura e di portare i vasi sanguigni, chiliferi e i nervi. 4. FUNZIONE SPECIALIZZATA (differenziata): deve esserci coerenza tra la funzione del tessuto e la sua struttura morfo-funzionale finale. 5. PROLIFERAZIONE: ogni tessuto deve essere in equilibrio nella sua espansione all’interno dell’intero organismo, per garantirne la salute. Tale equilibrio è utile per il ricambio e la rigenerazione del tessuto in caso di un danno. Possiamo distinguere quindi se sono presenti comparti di tessuto con funzione proliferativa, di rigenerazione, che concentrano la loro attività esclusivamente sulla divisione cellulare e cellule che in condizioni Ovviamente le cellule vanno incontro a divisione cellulare durante tutta l’embriogenesi (i progenitori dei tessuti). Dopo che l’organismo è formato completamente, possiamo distinguere due tipologie di tessuti che si approcciano alla proliferazione: quelli che attivano la proliferazione in momenti particolari, in cui un determinato evento ha causato perdita di tessuto. Dunque per ripararlo a seguito di un taglio, di una ferita, nel processo riparativo interviene anche una componente proliferativa per mancanza di cellule. Queste cellule possono provenire da comparti staminali (dedicate alla rigenerazione di cellule perdute. Sulla base di determinate condizioni possono modificare la loro produttività) o di reingresso nella fase proliferativa di cellule che si trovavano in quiescenza associata ai processi differenziativi. A seconda del tessuto in cui ci troviamo, il ritorno ad una fase di cellula progenitrice, può essere più o meno attuabile. Molti tessuti ematopoietici restano poco specializzati e ciò gli permette di attuare una proliferazione in modo semplice. Un altro esempio tipico di cellule che rientrano in fase proliferativa sono quelle del fegato, perchè la perdita di tessuto epatico non è così frequente A seguito di lesioni, le cellule rientrano immediatamente in fase proliferativa per poter produrre nuovo tessuto. Più difficile è invece nei tessuti muscolari o neuronali, in cui anche la forma allungata della cellula è di ostacolo alla normale proliferazione. Ci sono poi regioni di cellule dette labili, come l’epidermide o la superficie della mucosa intestinale; esse sono programmate per cambiarsi e ricambiarsi continuamente. Ciò è dovuto al loro contatto diretto con l’ambiente esterno o con prolungamenti dell’ambiente esterno (le cavità interne del corpo). Sono ambienti imprevedibili, molto invasivi. Un ricambio programmato e continuo di cellule evita la ripercussione dei danni sull’organismo intero. Proprio per questo, nel giro di una settimana, l’epitelio intestinale viene completamente rinnovato. La gran parte del materiale fecale è infatti composto da cellule del foglietto mucoso dell’intestino. 6. MORTE DELLA CELLULA: Una cellula può morire in modo programmato, per apoptosi (differente dalla morte per necrosi). Le sostanze perse dal suicidio di una cellula sono riutilizzate da altre cellule. Questa morte programmata è importante durante la fase dello sviluppo dell’organismo. Da questo otteniamo il rimodellamento dei tessuti, eliminando parti e strutture transitorie non necessarie. Ad esempio, gli organi cavi nascono tutti come cordoni solidi e pieni. Dunque, durante il processo di sviluppo, viene eliminata la parte interna per fare spazio a quello che poi sarà considerato il lume. Perdiamo la palmatura delle mani per ottenere la suddivisione delle dita. Tramite apoptosi abbiamo anche la soppressione di strutture inutili e transitorie; al terzo mese dello sviluppo prenatale perdiamo l’abbozzo della coda. Vengono soppressi anche gli apparati genitali del sesso alternativo a quello definitivo dell’organismo (ci sviluppiamo con abbozzi di strutture genitali bisessuali. La selezione di quale debba essere eliminato definisce il sesso finale dell’organismo). Nella fase adulta, l’apoptosi è essenziale per due processi: il mantenimento dell’equilibrio della popolazione cellulare, soprattutto per zone di rivestimento con un alto fattore di ricambio come gli epiteli parietali interni e la cute. L’accumulo di cellule va ad intaccare la funzione del tessuto. Se la regolazione non funziona più, posso incorrere in un tumore (carcinoma se è a livello epiteliale). Per mantenere l’equilibrio di popolazione devo mantenere costante e in giusto rapporto sia la proliferazione sia la morte. È importante anche per l’autoeliminazione di cellule con alterazioni genomiche o che potrebbero generare danni permanenti all’organismo. Se la cellula ha un comportamento anomalo, l’organismo sfrutta i fattori apoptotici interni a questa per eliminarla. Questa situazione può avvenire a causa di alterazioni genomiche, per alto stress metabolico o per colpa di specifici virus. Sbobina istologia 21/11 Principi di embriologia sperimentale e biologia dello sviluppo Ciclo di Vita L’uomo appartiene al regno degli animali e fa parte del dominio degli eucarioti (in arancione sull’immagine). Questa tabella dimostra come tutte le specie del regno animale sono legate tra di loro tramite i principi regolatori dello sviluppo, anche se gli organismi che si formano possono essere molto diversi gli uni dagli altri. Ma i principi fondamentali dello sviluppo e anche gran parte della genetica che regola lo sviluppo è assolutamente condivisa. Tutti gli animali sono eucarioti ed eterotrofi (necessitano apporto nutritivo attraverso la consumazione gli altri esseri viventi) e sono multicellulari quindi condividono la necessità di coordinare un sistema di più cellule per dare origine ad una società che funziona in maniera armonica e che si riproducono attraverso una classe specifica di cellule (cellule germinali). Il sistema affianco è un ciclo di vita, di sviluppo, di crescita e di morte che è condiviso da tutti gli animali. Fondamentalmente l’essere umano e tutte le specie animali passano attraverso le seguenti fasi: - Fecondazione di una cellula germinale, che porta ad una fase detta di segmentazione (divisione dello zigote senza differenziazione) in maniera da aumentare il numero di cellule disponibili per formare un organismo. - Impianto (esclusivamente nelle specie come l’uomo, che hanno bisogno di uno sviluppo intrauterino), - le fasi differenziative (prime fasi in cui le cellule cominciano ad essere distinte le une dalle altre); questo momento viene chiamato gastrulazione alla quale segue la vera e propria formazione dell’embrione. Si parla prima di una fase pre- embrionale e dopo di una fase embrionale durante la quale avviene una cascata di successive differenziazioni cellulari. - Aumenta allo stesso tempo la complessità dell’insieme ed osserviamo una distinzione dei sottotipi cellulari con caratteristiche distinte che portano nel caso dell’essere umano all’incirca della quarta settimana all’organogenesi, ossia la formazione delle strutture complesse degli organi ed apparati. - Una volta completata l’organogenesi, avviene una fase di crescita, che si avvia, nell’uomo, durante la vita intrauterina e si conclude dopo la nascita per lo sviluppo dell’organismo adulto nell’obbiettivo di raggiungere la maturità sessuale e riavviare un ciclo di vita. Queste fasi sono condivise all’interno di tutto il regno animale. La condivisione di elementi funzionali e regolatori ha un riscontro anche storico in quanto quasi tutti i Phyla conosciuti si sono tutti sviluppati nello stesso periodo storico, circa 500 milioni di anni fa, che viene chiamato il cambriano. Prima di questo periodo storico erano già avvenuti tentativi evoluzionistici di sviluppo di specie animali basati su principi evolutivi diversi di quello che viene descritto, che sono di conseguenza andati a fallire. La prima volta che al livello scientifico abbiamo cominciato a renderci conto di questo fatto evoluzionistico (anche se i concetti evoluzionistici erano ancora un po’ immaturi), è stato all’inizio dell’800. Tutto l’800 è stato caratterizzato (sia a livello anatomico ed embriologico che a livello della costituzione degli eventi e lo studio delle morfologie) da una ricchezza descrittiva estremamente sviluppata (sono state descritte le fasi dello sviluppo fino ai mini dettagli). Invece nel 900 sono stati approfonditi i rapporti causa effetto e le relazioni in questo mondo. Stadio Filotipico Allora all’inizio dell’800 Karl Von Baer (foto a dx) ha insegnato la storia dell’embriologia descrittiva (le sue scoperte sono quelle più importanti in quell’ambito). Passava le sue giornate a studiare degli embrioni di varie specie andando a sezionarli e descriverli giorno per giorno. Fecondava un uovo di pollo e i giorni successivi andava a descrivere dettagliatamente che cosa succedeva nella formazione di questi embrioni. Conosceva benissimo lo sviluppo di essi. Quello che si racconta è che si ritrovò pieno di questi embrioni di anfibi, uccelli, piccoli mammiferi, ma una sera si dimentica di etichettare le piastrine nelle quali aveva gli embrioni in fase di sviluppo. E non è più in grado di distinguere una specie dall’altra la mattina successiva, si confonde tra gruppi di embrioni. Da quest’osservazione abbastanza sorprendente (ha dedicato la propria vita a studiare gli embrioni, sapeva riconoscere ogni specie nel minimo dettaglio), comincia ad approfondire questo evento fortuito e scopre che può capitare che in un certo momento del proprio sviluppo, pure essendo specie diverse, arrivi un momento in cui sono completamente indistinguibili le une delle altre (questa fase prende il nome di stadio filotipico). Paragonando embrioni di rettili, mammiferi, anfibi, pesci succede un momento in cui l’embrione assomigli ad un girino (schema a sx) e non si riesca a distinguerli. Questo fenomeno è vero anche per l’uomo, alla fine della quarta settimana, ci troviamo in una fase in cui il nostro embrione è quasi indistinguibile dal punto di vista morfologico da quello di un pollo o da quello di una rana. Questo fenomeno capita per tutta una serie di specie (es. gli artropodi) che anche loro hanno il loro stadio filotipico. Questo è stato il primo momento in cui si è cominciato a capire che queste specie sono accomunate da qualcosa che dirige lo sviluppo del proprio piano corporeo (vedi immagine). Questo fenomeno verrà concretizzato nella definizione di quelli che vengono chiamati phyla, che sono queste aggregazioni di specie diverse che però condividono questo piano di sviluppo corporeo. Negli stessi anni, vi sono ulteriori osservazioni dello scienziato Georges Cuvier (a dx), paleontologo che studiava resti e fossili. Egli si rende conto studiando i resti di scheletri, che animali di specie diverse hanno la stessa struttura ossea, possiamo riconoscere le componenti anatomiche analoghe (ritroviamo le stesse strutture morfologiche anche se sono presentate diversamente): osserviamo le stesse ossa combinate più o meno nello stesso modo. Cuvier sviluppa questa distinzione tra concetto di analogia à il fatto che esista questa condivisione del piano corporeo gli permette di fare l’ipotesi che esistano degli arti analoghi ma non con la stessa funzione, esempio le ali di uccello e le braccia di un uomo. Quando vengono combinati questi due concetti, comincia prendere il senso l’idea che le specie che condividono un piano di sviluppo anatomico sono le stesse di quelle che condividono anche lo stato filotipico. E da qui cominciano a legarsi tutti i phyla. Antenato Comune D’altronde se paragoniamo due rappresentanti di questi phyla, notiamo che nonostante la differenza di specie (in questo caso vengono paragonati i cordati e gli artropodi), ritroviamo delle simmetrie che non sembrano casuali. Guardando le strutture anatomiche di questi due esseri, osserviamo nei cordati uno scheletro interno, un sistema nervoso che si sviluppa nella regione dorsale rispetto al sistema cardiocircolatorio che si sviluppa nella regione ventrale. Nel caso degli artropodi viene tutto invertito: abbiamo un esoscheletro, un sistema nervoso in posizione ventrale, un sistema cardiocircolatorio nella regione dorsale. Da quest’osservazione è importante notare che queste differenze vengono causate durante la gastrulazione, al momento della formazione dei foglietti embrionali. La stragrande maggioranza dei metazoi basa il proprio sviluppo sulla formazione iniziale di quelli che sono i tre foglietti embrionali. Essi costituiscono le basi di una struttura di riferimento universale ed estremamente semplice: una guaina esterna separa il nostro organismo dall’esterno del mondo, una guaina interna che definisce le nostre mucose interne e gli organi a queste associate che possiamo sintetizzare come quella che governa gli scambi di sostanze con l’esterno (respirazione per le mucose delle vie polmonarie, digestione per le mucose delle vie digestive). Troviamo poi una zona intermedia tra le due, che dà origine a tutte le strutture connettivali e che serve anche da sostegno sia nel caso dei cordati che nel caso degli artropodi. In questo punto in cui le cellule sono più o meno equivalente le une alle altre, in un certo luogo del disco embrionale, le cellule della superficie tuffano all’interno di questo disco, si invaginano, e formano un secondo strato che andrà a distinguere le due guaine. I punti in cui le cellule si sono invaginate saranno i punti dove l’endoderma e l’ectoderma rimarranno in continuità tra di loro (cavità oro-faringea e ano, che vengono chiamati i due forami). Nello sviluppo dei cordati questo fenomeno viene chiamato deuterostomi e il gruppo della membrana faringea che dopo diventerà in seguito il forame oro-faringeo si svilupperà solo successivamente. Nel caso degli artropodi, avviene esattamente il contrario; la prima invaginazione coinciderà poi con lo stomodeo, mentre la comunicazione che diventa il canale anale si sviluppa solo successivamente. Questa inversione di percorso di invaginazione dell’endoderma governa l’inversione di tutte le strutture dorsali e ventrali. Questo solidifica il fatto che cambia solo l’ordine dei fattori, ma la sostanza dello sviluppo è assolutamente condivisa tra questi diversi sistemi. La Differenziazione Cosa succede durante lo sviluppo delle nostre 50.000 miliardi di cellule? Vediamo su questa tabella che il numero di divisione dello zigote per arrivare a questo numero di 50.000 miliardi in realtà è relativamente piccolo, siamo tra le 40 e 50 divisioni cellulari. Sapendo che una cellula può dividersi in meno di 24 ore, senza condizioni particolari di stress, questo significa che se si trattasse soltanto di una questione di quantità, un individuo adulto si potrebbe originare completamente in solo un mese e mezzo. Ma in pratica questo è vero per solo una piccola parte della crescita, in gran parte la crescita riguarda il coordinamento e la differenziazione delle cellule. Lo sviluppo dell’organismo è suddiviso in tre discipline diverse: - una è l’embriologia descrittiva (4 prime settimane di sviluppo fino al momento in cui origina l’organogenesi) - l’altra è l’embriologia sperimentale che ha avuto il suo massimo splendore all’inizio del 900. Essa studia dal punto di vista degli eventi embriologici i rapporti di causa effetto attraverso delle tecniche in gran parte legate alla microchirurgia, quindi la manipolazione degli embrioni che permette di capire quali eventi embrionali sono cruciali e perché si possono innescare gli eventi successivi. Questo permette di capire quali sono i fenomeni che sono collegati tra loro ma principalmente di capire quali sono le basi che la governano. - La terza disciplina è quella che viene chiamata embriologia dello sviluppo, una disciplina ancora più tardiva delle altre due perché ho avuto il suo boom negli anni 80 in poi, e basa i propri fondamenti sulla biologia molecolare e sulla conoscenza del genoma delle proteine per cercare di capire quali sono i meccanismi regolatori molecolari che governano dell’embriologia sperimentale. Lo studio di queste tre discipline ha portato a consolidare l’idea che tutti i processi dello sviluppo di un organismo si possono basare su tre principi fondamentali (induzione, determinazione, regolazione) che a loro volta si fondano su due proprietà delle cellule di un organismo multicellulare che sono alla base dello sviluppo di ciascuno di questi tre processi. - La capacità di comunicare con altre cellule, di sentire l’ambiente in cui si trova, e di influenzare questo ambiente in maniera che questa perturbazione possa essere sentita dalle cellule. Questo può avvenire tra contatto diretto tra le cellule, interazioni cellula-cellula a contatto, ma in gran parte grazie a dei segnali. Questi segnalatori entrano nella famiglia dei morfogeni perché regolano i processi morfogenetici. Sono le molecole secrete che si fondono nell’ambiente e creano dei gradienti di concentrazione dalla sorgente verso la sostanza e che possono essere regolate nella loro condizione e nello spazio in maniera da influenzare di più o di meno le cellule che saranno in prossimità. - La seconda proprietà delle cellule è quella della memoria, le cellule sono in grado di essere modificate stabilmente da alcuni eventi attraverso meccanismi che spesso coinvolgono elaborazione di tipo genetico, ma non sempre. Grazie a questa capacità si verifica la situazione in cui una cellula è in grado di rispondere diversamente ad uno stimolo a seconda degli eventi che gli sono capitati in passato. Questa capacità di memoria è quella che permette di generare questi famosi 200 tipi di cellule a partire da una sola con l’uso di un pacchetto relativamente piccolo di segnali condivisi. Queste due proprietà combinate insieme si concretizzano con questi tre processi che governano tutta la biologia dello sviluppo. - L’Induzione Il primo di questi processi è l’induzione che implica che se una popolazione di cellule induttrice (cellule in grigio scuro) e una popolazione di cellule ricettrice (grigio chiaro). Le grigie scure possono creare un segnale che è in grado di indurre una parte della popolazione grigia chiara ad un cambiamento differenziativo permanente, cioè trasformarla in quella popolazione grigia scura. Questo principio di induzione si basa sul fatto che se una molecola secreta viene prodotta da queste cellule grigie scure, questa molecola avrà un picco di concentrazione nello stesso punto della sua sorgente, e poi a gradiente, la sua concentrazione andrà a scendere perché la sostanza secreta segue un gradiente di diffusione. Questo significa che le cellule grigio chiaro che stanno più prossime rispetto a quelle grigio scuro saranno esposte a una concentrazione più alta del morfogeno mentre quelle più lontane ad una concentrazione più bassa. A livello molecolare si innescano degli effetti soglia, le cellule saranno esposte a delle instabilità per cui si convertono in un tipo cellulare distinto. Le cellule che vengono esposte ad una concentrazione bassa, sotto l’effetto soglia, non subiscono variazioni e rimangono del tipo non indotto. Questo principio che di per sé sembra relativamente semplice, dal punto di vista pratico può provocare degli eventi molto articolati perché una volta che la popolazione induttrice ha indotto la popolazione ricettrice (la popolazione gialla B) induce una parte della popolazione A a differenziarsi. La nuova popolazione che si genera (popolazione indotta C) può a sua volta diventare sorgente di un segnale induttivo e visto che le cellule hanno memoria, il segnale prodotto da C che si diffonde in maniera simmetrica (perché va per gradiente) verso la popolazione B e la popolazione A, può avere effetti diversi su A e su B, andando a generare la popolazione D e E. Questa possibilità crea una progressione geometrica e nel giro di pochissimi movimenti induttivi sequenziali, fenomeno chiamato cascata induttiva, permette di creare in maniera coordinata nello spazio tantissime tipologie di cellule differenziate. Questo fenomeno dell’induzione e di contro-induzione è uno dei fenomeni fondamentali che si riscontra quando vengono a prodursi dei patern complessi di diversi tipi cellulari. Questo sembra un tipo di fenomenologia astratta ma in realtà si possono osservare degli esempi molto pratici durante lo sviluppo che riproducono esattamente questo tipo di fenomeno. Ad esempio se andiamo a descrivere cosa capita durante lo sviluppo dell’occhio osserviamo quello che è la base del nervo ottico che si estende dal sistema nervoso verso l’ectoderma. Arriva ad un certo punto alla superficie dell’ectoderma dove comincia a svilupparsi dal lato ectodermico il cristallino, poi si sviluppa dal lato del tessuto nervoso la retina, la base sensoriale e dall’altro lato dell’ectoderma si sviluppa la cornea. Questa serie di eventi, all’inizio del 1900 è stata manipolata attraverso embriologia sperimentale. Quello che si vede a livello della microchirurgia e che se guardiamo questa protrusione della bozza del nervo ottico vediamo una piccola protuberanza detta vescicola ottica. Se vado a rimuovere essa osservo che il cristallino non si forma più. Questo mostra che se non ho la popolazione induttrice, la popolazione ricettrice non viene indotta. Ma non solo, se non si forma il cristallino poi non si forma più né la retina né cornea. Viceversa se da quella vescicola ottica prelevata dalla bozza del mio nervo ottico la trapiantiamo in un altro embrione, osserviamo che quella vescicola da sola sarà sufficiente a indurre la differenziazione in cristallino di cellule ectodermiche che a loro volta inducono la formazione di una pseudo retina e di una pseudo cornea. Quindi riesco ad indurre, con il semplice trapianto di un pezzettino di una bozza del sistema nervoso, la differenziazione dell’ectoderma che non dovrebbe diventare occhio ma che viene indotto nella stessa struttura. Questa serie di eventi può essere usata per spiegare in maniera consistente gran parte di tutti gli eventi di coordinazione di popolazioni di cellule a livello locale. Quindi lo sviluppo dell’occhio ma anche lo sviluppo degli arti può essere spiegato attraverso una serie di fenomeni di questa natura. Quello che però ci resta come evento non facilmente spiegabile sulla base di questo tipo di ragionamento è “Come riesco a spiegare queste cascate di eventi attraverso questo fenomeno? Siccome partiamo da uno solo zigote, quand’è che arriviamo per la prima volta a queste due popolazioni in maniera dalla quale si possa produrre tutta la cascata di eventi che posso osservare?”. Questo evento, iniziale, almeno a livello dell’embrione, coincide con l’inizio della gastrulazione. Dal momento della gastrula in poi, posso considerare tutto lo sviluppo dell’organismo come una lunghissima cascata induttiva. Questa ricostruzione è stata descritta e proposta per la prima volta nel 1924 da questi ricercatori turchi. Quello che hanno fatto è stato applicare queste tecniche di trapianto chirurgico per cercare di modificare l’evento di induzione primaria. Da un disco embrionale in cui sta iniziando la gastrulazione, osserviamo una piccola increspatura dove le cellule cominciano a crescere di più per poi invaginarsi e creare una specie di ferita nella si tuffano al di sotto delle altre cellule. Nel momento in cui si comincia a formare questo primo insieme di cellule, al livello citologico osserviamo che le cellule sono ancora indistinguibili, almeno a livello morfologico. Spemann ha provato a prendere questa piccola popolazione di cellule e a trapiantarla in un altro disco embrionale ed ha ottenuto, a partire dallo stesso disco, lo sviluppo di un secondo embrione. Si osserva un fenomeno che nella specie umana si traduce nella formazione di gemelli siamesi. Questo è servito a dimostrare che una piccola popolazione di cellule può servire da evento che scatena tutta la cascata necessaria per produrre un organismo. Questo ci dimostra che il genoma non descrive cellula per cellula quello che deve succedere ma descrive il processo della cascata e regola il processo che va ad autogestirsi dopo l’innesco. Quindi se riusciamo a formare due embrioni a partire di un innesco possiamo formare due organismi completi (se si separa una morula in due si formano due gemelli assolutamente normali) perché tutto il sistema è autoregolato (uno dei due sarà una chimera). - La Determinazione Il secondo processo fondamentale è la determinazione. Essa implica che possano capitare degli eventi che inneschino un processo differenziativo in una cellula e nella sua progenie anche se quel processo ancora non è evidente. Una cellula può essere predestinata a diventare qualcos’altro in maniera più o meno reversibile, ma dal punto di vista morfologico può essere apparentemente indifferenziata, esempio una cellula è determinata ad essere muscolo ma non lo è ancora. Quando Stemann ha osservato quegli eventi di induzione primaria, ha cominciato a porsi questo problema che ha in seguito studiato nel dettaglio con un modellino abbastanza semplice ma estremamente evocativo. Dalla componente ectodermica, quella esterna deriva la componente detta neuroectodermica che dà poi origine al sistema nervoso. Siccome queste popolazioni derivano l’una dall’altra, Stemann si è chiesto “quando quelle cellule decidono di diventare nervose?” Ovvero: sono già predestinate prima (per cui se io prendo le cellule che stanno in quella regione lì vicino che so che ad un certo punto diventerà un sistema nervoso, lo diventano comunque? oppure sono condizionate dall’ambiente in cui si trovano?). Quindi se prendo quelle cellule e le metto in un altro posto non diventano più sistema nervoso? Anche questo si può indagare come esperimento di microchirurgia. Quando si parte della situazione differenziata, la popolazione nell’ectoderma va a seguire la vita dell’embrione e ad un certo punto ritroviamo queste due popolazioni, per cui abbiamo una porzione che diventa neuroectoderma e una porzione che diventa epidermide. Quello che ha fatto Stemann è stato prendere una porzione di quello che è predestinato a diventare sistema nervoso e provare a trapiantarla nelle cellule dell’epidermide. Lo ho fatto in momenti diversi dello sviluppo prima della differenziazione. Però si è accorto che se questo trapianto lo faceva prima di un certo momento dello sviluppo, le cellule trapiantate si adattavano alla nuova situazione, quindi prende cellule che dovrebbero diventare sistema nervoso, le trapianta in regione dove diventano epidermide e le cellule diventano epidermide. Tuttavia se preleva queste cellule dopo un certo momento dello sviluppo (sempre quando erano ancora apparentemente tutti uguali) e le trapianta, da quel momento in poi le cellule anche se erano state spostate continuavano a mantenere la propria identità. In quel esempio abbiamo un embrione donatore un po’ più scuro, prendiamo cellule che dovrebbero diventare rosse e le trapianto nella regione di un altro embrione ma nella parte in cui devono diventare verdi, se lo si fa prima del giorno X, le cellule diventano verdi anche loro, ma se si oltrepassa il giorno X, le cellule mantengono la propria identità rossa. Questo significa che quelle cellule sono già state determinanti a diventare sistema nervoso (nell’esempio considerato prima). E lui ha chiamato questo momento di passaggio tra uno stato e l’altro periodo critico. Ovviamente lui pensava fosse magia, ma in realtà noi oggi sappiamo che anche se quelle cellule sembrano tutte uguali in realtà al loro interno sono capitati degli eventi che, siccome generano memoria, fanno sì che verranno condizionate a prendere un certo destino differenziativo. Questi eventi causano l’espressione o la non espressione dei fattori trascrizionali. A dx abbiamo un esempio di situazione di determinazione in un embrione di pollo, che tramite tecniche di colorazione specifiche riusciamo a vedere all’intero dell’embrione dove è presente una certa proteina rispetto ad un'altra. Quello che si vede è che questo embrione comincia a sviluppare degli arti che ancora sono tutti morfologicamente analoghi (ha 4 arti che sembrano tutti uguali) anche se ad un certo punto i due arti superiori diventeranno ali e quelli inferiori diventeranno zampe. Quello che si vede è che nonostante gli arti siano a questo momento indistinguibili se osserviamo i fattori trascrizionali che sono esempi in quelle cellule, troviamo questo fattore TBX5 che mentre esso è espresso negli arti superiori, non c’è negli arti inferiori e viceversa per i due altri fattori TBX4 e PITX1, sono espressi nell’arto inferiore e non sono espressi nell’arto superiore. Nel momento in cui capita questa situazione qui, quegli arti sono già determinati a diventare rispettivamente ala e zampa. Le cellule mantengono l’identità territoriale della sorgente anche quando vengono trapiantate nella destinazione, quindi se si trapiantano le cellule dell’arto superiore a livello dell’arto inferiore si ottiene comunque uno sviluppo di pezzo di ala, e non l’adattamento lo sviluppo di una zampa (nel momento in cui vengono espressi i geni citati, abbiamo superato quel famoso periodo critico). Quindi questi fattori trascrizionali funzionano come delle targhe che definiscono se una cellula deve appartenere ad un sistema o ad un altro. È possibile comunque grazie l’ingegneria genetica far esprimere PTX1 ad un’altra popolazione di cellule, ma non si sta più facendo un trapianto, ma sto inducendo l’espressione ectopica di un gene in un’altra sede, la semplice espressione di questo gene in quella sede la trasforma quell’arto in una zampa. Quindi alcuni di questi non so delle bandierine che definiscono se l’arto è zampa o ala ma vengono chiamati regolatori primari che indirizzano tutto il coordinamento dello sviluppo dell’arto. Tant’è che se gli esprimo da un’altra parte mi inducono un processo differenziativo distinto. - La Regolazione Questo ci collega al terzo processo fondamentale che è quello che chiamiamo regolazione che è la caratteristica più fondamentale per lo sviluppo di un organismo. Nel genoma non abbiamo scritto cosa deve fare la cellula che sarà in posizione 524 (ad esempio), perché sarebbe impossibile scriverlo precisamente per tutte le cellule del corpo umano, quindi ci sono scritte delle regole che governano dei processi, dei percorsi che consistono nel dare istruzioni alle cellule perché loro possano eseguirle ovunque siano. Nello sviluppo del corpo umano succede esattamente questo, cioè è scritto il processo che governa lo sviluppo e non dettaglio per dettaglio come deve essere sviluppato l’organismo. E questo viene descritto dal seguente esperimento (a sx). Sempre nell’embrione del pollo, abbiamo visto che dopo un certo momento l’arto inferiore e l’arto superiore sono definiti a svilupparsi in maniere distinte. Ma se prendiamo un pezzo di cellule predestinate a formare l’ala e la trapiantiamo nella zampa, si formerà un arto balordo nel quale avremo un pezzo di zampa è un pezzo di ala. Ma se prendiamo una bozza di cellule della zona prossimale, che rappresenterebbe la nostra spalla, e la trapiantiamo nella regione distale della zampa, quello che si ottiene è che la parte prossimale resta ala ma la parte distale diventa la parte distale della zampa, questo significa che l’ambiente in cui abbiamo trapiantato le cellule è in grado di dare alle cellule di zampa le coordinate per svilupparsi in maniera corretta rispetto alla posizione all’interno dell’arto anche se è un arto diverso. Quindi la serie di istruzioni secondo le quali si sviluppano la zampa e l’ala è coerente, quindi sono interscambiabili. Questo produce un enorme salto di qualità in termini di robustezza perché nel momento in cui ci sono cellule che sono in grado di autoregolarsi (se li metti in un posto e si comportano di conseguenza) faccio sì che il mio organismo sia in grado di resistere alle perturbazioni in maniera enormemente più robusta che non se ogni cellula fosse comandata per fare solo e esattamente una cosa precisa. Il Campo Morfogenetico Se per esempio si taglia via un pezzo della bozza di arto, quindi se esporto la porzione distale della mia ala, quello che succede è che si sviluppa un’altra ala completamente normale perché le altre cellule si autoregolano, crescono un po’ di più e compensano la mancanza della popolazione iniziale. Viceversa, se io trapianto della popolazione sovrannumeraria, quindi per esempio fondendo due morule insieme, non si forma un individuo aberrante, bensì il sistema si autoregola e compensa, sviluppandosi normalmente. Quindi è intrinseco al sistema la capacità di ogni cellula di autoregolarsi nel crescere e nel non crescere, nel differenziare e nel non differenziare. Tra l’altro, questo fa sì che si riesca a risparmiare tantissimo in termini di codificazione di istruzione, perché se la stessa serie di istruzioni funziona sia per governare lo sviluppo dell’ala che lo sviluppo della zampa, nel momento in cui si legge l’etichetta “questo deve diventare un’ala e questo deve diventare una zampa” poi posso riusare esattamente lo stesso programma per gestire entrambe: provoca un risparmio. Questa capacità regolatoria per cui una popolazione di cellule alla stessa capacità differenziativa che una porzione prossimale della bozza di zampa o di ala, può essere postata distalmente e funziona comunque. Questo significa che quelle cellule, nella loro determinazione a diventare arto, sono ancora capace di diventare sia un pezzo che l’altro dell’arto (non sono ancora specializzate). Questo che viene chiamato il campo morfogenetico, che è un concetto fondamentale nella biologia, cioè quando abbiamo lo zigote, che è di per sé un campo morfogenetico, esso ha in sé la capacità differenziativa di produrre tutto l’organismo (è un campo morfogenetico totipotente). Man mano che andiamo avanti nello sviluppo e avvengono degli eventi di differenziazione durante la gastrulazione, succede che si restringe il campo morfogenetico (quindi non ci sarà più una sola cellula ma tre che andranno a ridurre il proprio potenziale differenziativo). Quindi non è più capace di dare origine a tutto, ma solo a una parte del tutto che viene definita dagli eventi differenziativi che sono avvenuti prima. E questo fa sì che nel sistema di autoregolazione, man mano che si restringono i campi morfogenetici, le cellule diventano sempre più specializzate, sempre più precise fino a definire un arto finito, ma restringono allo stesso tempo il campo delle stesse possibilità, e si autoregolano solo nell’ambito di quelle possibilità (a titolo di esempio: se prendo un embrione dopo la gastrulazione, e tolgo tutto l’ectoderma, gli altri due foglietti non sono più capaci di riprodurre lo stesso ectoderma, ma se tolgo solo una parte delle cellule di questo l’altra parte può compensare, ma se tolgo tutto, il mesoderma non è capace di compensare la mancanza). Un campo morfogenetico arriva per approssimazioni successive a determinare la differenziazione dell’organo finito utilizzando sempre gli stessi quattro processi cellulari che abbiamo elencato dalla scorsa volta. Quindi sempre la combinazione di quattro eventi distinti molto semplici che permette di attuare la morfogenesi. Prima domanda che uno si può fare è “se il genoma che deve fare da riferimento per tutta la definizione dei processi di sviluppo, devono esserci delle differenze tra il genoma degli organismi unicellulari e il genoma degli organismi multicellulari, perché non avrebbero bisogno di tutta questa orchestrazione siccome l’organismo sarà composto solo di una cellula e quindi uno può pensare ad andare a confrontare il genoma di una serie di organismi unicellulari e una serie di organismi pluricellulari, e vedere se si riscontrano delle differenze notevoli. Quello che si osserva e che se andiamo a guardare quali sono i geni, le categorie di geni che sono più diverse tra un organismo pluri e unicellulare, quello che emerge è che abbiamo due grandi classi di geni che sono rappresentate nella categoria degli organismi multicellulari e che sono rappresentate molto di meno nel caso degli organismi unicellulari. Queste due categorie sono le seguenti: - La prima è rappresentata da tutti i geni che codificano per le proteine transmembrana e proteine secrete che hanno lo scopo di permettere la comunicazione tra le cellule. - La seconda grande classe sono le proteine trascrizionali. Tutto il mondo dei regolatori di trascrizione nell’epigenetica è enormemente rappresentato negli organismi multicellulari, questo perché negli organismi unicellulari questi meccanismi di regolazione servono fondamentalmente per adattare il metabolismo della cellula alla disponibilità di nutrire in ossigeno, quindi i meccanismi di regolazione sono molto semplici. Mentre negli organismi multicellulari questa popolazione di geni è fondamentale per coordinare i diversi processi di differenziamento. Questa stessa osservazione la posso anche invertire: se si va a prendere organismi multicellulari molto diversi tra di loro ad esempio la Drosophila (che è molto studiato perché era pratico per studiare i rapporti tra la genetica e l’embriologia, su Drosophila sono stati fatti gran parte degli studi che hanno permesso di identificare gli elementi di regolazione fondamentali) e prendo Elegans (che è uno degli organismi più semplici studiati in assoluto, perché è un vermetto molto piccolo che è composto da sole 1000 cellule, quindi si è riuscito a studiare ogni cellula e seguire divisione per divisione in un livello di dettaglio irraggiungibile) e poi prendo l’uomo (che l’organismo che noi consideriamo il più complesso quindi quello che ci interessa di più). Allora vado a confrontare questi tre genomi, e quello che si osserva è che non troviamo un rapporto diretto tra il numero di geni e complessità dell’organismo. Siamo più o meno sempre nello stesso ordine di grandezza, Elegans a circa 20.000 geni, la Drosophila ne ha più o meno 15.000 l’uomo ne ha circa 30.000, quindi non c’è un rapporto lineare tra la complessità e l’articolazione del genoma (l’uomo contiene meno di due volte il genoma di Elegans ma è molto più di due volte più complesso). Si può prendere un gene e guardare la sua sequenza, e poi a secondo della similitudine di sequenza posso capire se questo stesso gene ha un fratello molto simile in un altro organismo e quindi posso andare a cercare quali geni mappano attraverso specie diverse. Facendo questo tipo di lavoro si osserva che circa la metà del genoma di ciascuno di questi organismi corrispondono. Su i Drosophila sono stati fatti, tra gli anni 80 e 90, dei lavori incredibili in cui sono stati sistematicamente eliminati tutti i geni, i 14.000 geni del Drosophila uno per uno. Togliendo sistematicamente un gene si guardava cosa succedeva in seguito dopo la crescita dell’organismo senza quel gene. La metà che non è condiviso tra l’uomo e Elegans è costituita da gran parte da geni che non sono essenziali, che causano quando vengono eliminati dei difetti fenotipici molto piccoli, molto trascurabili. Questo ci dice che il cuore di quello che governa lo sviluppo di tutti e tre questi organismi è conservato ed è condiviso. La conclusione di questo è che, almeno livello degli animali, tutti gli organismi condividono un cuore di regolatori e di proteine strutturali che costituiscono poi la sostanza dove c’è ogni cellula che si divide una per una. E allora la domanda: “come cavolo è possibile che un topo diventi un topo, un uomo diventi un uomo e una Drosophila diventi una Drosophila?” àSono le piccole differenze tra una caratteristica e un altra che fa la differenza (tra un gene transmembrana ed un altro, tra un fattore trascrizionale ed un altro ecc.). Le similitudini Su questo esperimento il cervelletto di un topo c’è questa proteina targa che identifica le cellule determinate a diventare cellule morte. E qui come per il pollo questa proteina non è semplicemente una bandierina ma è l’induttore, il regolatore primario, perché se io vado ad eliminare il gene, nel povero topolino non sviluppa più il cervelletto. Allora questa molecola ha un suo omologo nel genoma di Drosophila (fa parte del 50% dei geni che ritroviamo nei due organismi) solo che in Drosophila non c’è il cervelletto perché il suo sistema nervoso è fatto da soli 100.000 neuroni. Se prendo questa molecola da Drosophila e lo metto nel genoma del topolino al posto del suo, il cervelletto si sviluppa normalmente. Quindi non è lo stesso regolatore che regola nel topo lo sviluppo del cervelletto, e dal Drosophila non so esattamente a cosa serva ma è comunque interscambiabile, cioè la sua funzione è conservata e preservata. Ancora di più se io prendo il gene che in Drosophila fa lo stesso lavoro nel controllare lo sviluppo dell’occhio che si chiama eyeless, che ha un suo omologo in diverse altre specie animali. La cosa importante però è che se io prendo questo gene del topo, e lo faccio esprimere a delle cellule di Drosophila a livello del l’ectoderma, nel posto in cui dovrebbe diventare occhio normale, quello che succede è che viene fuori un occhio aberrante quindi il gene di un topo è capace di indurre un processo differenziativo, ma semplicemente non completo in Drosophila, che dà origine a una bozza di occhio di Drosophila anche se il gene del topo e questa bozza di occhio sono assolutamente indistinguibili. Anche qui si dimostra che la funzione dei due omologhi e interscambiabile, cioè posso prendere questo pezzo di genoma e metterlo da una parte dall’altra e più o meno ottengo lo stesso risultato. Quindi la domanda che si impegna è “che cos’è che fa sì che la Drosophila sviluppa questo occhio qua invece nel topo diventa un occhio aberrante?”. Le differenze La conclusione è che se io vado a confrontare i genomi di organismi multicellulari di specie diverse, la maggior parte delle differenze non le trovo nei geni, soprattutto non nei geni cruciali ma le trovo nelle sequenze regolatorie e i promotori dei geni. Questo significa che il mio eyeless, (immaginiamo che sia il gene 1 sull’immagine), questo gene sia nel topo che nella Drosophila produce una proteina che è questa proteina verde che è molto simile. Però la differenza è che mentre la sequenza che è in grado di rispondere a questo gene, che è un fattore trascrizionale nel topo, sta a monte del gene 3, nella Drosophila quella sequenza che risponde a questo gene sta nel gene 2 dell’immagine. Quindi che il meccanismo di regolazione è lo stesso, la proteina strutturale è la stessa ma il modo in cui sono combinate le sequenze di regolazione è diverso. E questo produce questi tratti distinti che però sono governati degli stessi meccanismi di regolazione. È anche vero che le famiglie di proteine che regolano i processi induttivi sono le stesse tra Drosophila e Elegans, che sono proteine secrete e che rappresentano una famiglia di recettori che sono in grado di governare la grande maggioranza di tutti i processi di sviluppo che possono dare origine ad un organismo umano intero. LEZIONE 3 ISTOLOGIA 24-11-2022 MORFOGENI E OMEOGENI Abbiamo già osservato che prendendo le cellule della regione prossimale dell’arto inferiore del pollo e trapiantandole in sede distale nell’arto superiore si ottiene un riadattamento del differenziamento di queste cellule, che mantengono l’identità dell’arto da cui provengono, ma sviluppano il segmento dell’arto coerente con il punto in cui sono state trapiantate. Ciò significa che in quell’ambiente esiste un sistema di coordinate che permette alle cellule che sono state spostate di capire dove sono e quindi che tipo di programma differenziativo attuare in quella nuova sede. Questo tipo di informazione viene gestito attraverso gradienti morfogeni: il fatto di avere un gradiente morfogeno permette a qualunque cellula, a seconda della concentrazione di morfogeno a cui è esposta, di avere una percezione della spazialità in cui è inserita rispetto al contesto del campo morfogenetico in cui si trova. Il campo morfogenetico non è un’entità assoluta e statica, cambia nel tempo durante lo sviluppo. Quando abbiamo la morula, essa può essere intesa come un campo morfogenetico universale, ma man mano che le cellule operano scelte differenziative il loro potenziale differenziativo si restringe (in termini di numero e possibilità) e il numero di campi morfogenetici esistenti aumenta; ciò permette di definire per step successivi, per decisioni e approssimazioni successive, sempre più dettaglio: inizialmente definisco semplicemente il grande orientamento spaziale, i foglietti germinativi, e mano a mano spezzo queste popolazioni in sotto parti, che acquisiscono sempre più informazioni rispetto ai dettagli. All’inizio, quindi, abbiamo differenziamenti molto generici, che diventano pian piano sempre più specifici. Il numero dei morfogeni, che sono gli elementi chiave di regolazione di gran parte dei processi differenziativi, è relativamente piccolo. Questa ristrettezza è legata al fatto che grazie alle capacità di memoria delle cellule lo stesso segnale (in questo caso lo stesso morfogeno) può essere riutilizzato più volte durante lo sviluppo per segnalare scelte di tipo diverso a seconda della storia precedente di ogni cellula. I morfogeni inducono queste scelte differenziative grazie all’interazione con recettori che stanno sulla membrana delle cellule bersaglio, delle cellule che vengono indotte. Essi innescano dei meccanismi all’interno della cellula (che possono variare a seconda del tipo di morfogeno considerato), delle cascate di trasduzione. Queste sono delle catene di reazioni biochimiche che hanno in comune tra loro il fatto che alla fine della cascata tipicamente si ottiene un effetto di tipo trascrizionale. Il fatto che lo stesso morfogeno possa provocare effetti trascrizionali diversi, a seconda del momento storico in cui agisce sulla cellula, dipende dal fatto che ogni fattore trascrizionale non agisce mai da solo, ma agisce in complessi multimolecolari ed è il complesso che definisce la specificità dell’attività del fattore trascrizionale. Quindi, a seconda dei cofattori che sono già presenti nella cellula quando viene indotta grazie allo stimolo del morfogeno, l’attività trascrizionale del morfogeno (che è sempre la stessa) si traduce nella trascrizione di geni diversi perché i complessi trascrizionali che si andranno a formare non sono gli stessi. Qui di fianco, nell’immagine, abbiamo un esempio di questo tipo di effetti. L’immagine è un embrione di pollo: la fotografia dell’embrione intero si concentra a livello del tronco, in particolare a livello degli abbozzi delle due ali (i 2 bozzetti laterali) mentre la riga scura in mezzo è il punto della colonna. La colorazione che vediamo in nero non è altro che una marcatura sull’embrione intero della presenza di una proteina: in questo caso stiamo parlando di Sonic hedgehog, che è una molecola secreta ed è un ligando morfogeno che lega una serie di recettori, di cui quello che ci interessa in questo momento è Patched. Se guardiamo questo embrione a livello dell’arto, notiamo che Sonic Hedgehog è espresso in un punto preciso: la regione posteriore dell’arto. Sonic hedgehog, che viene prodotto nella regione posteriore dell’arto, viene poi secreto e si diffonde verso la regione anteriore: si genera così un gradiente in cui ho un segnale alto di Sonic a livello della regione più posteriore dell’arto e un segnale che digrada verso lo zero andando verso la parte anteriore. Questo gradiente è quello che determina l’orientamento anteroposteriore dello sviluppo dell’arto; lo stesso tipo di coordinamento interessa anche l’arto inferiore. Il gradiente di Sonic si correla con la presenza e lo sviluppo delle regioni più posteriori e a mano a mano che la concentrazione di Sonic scende avremo la differenziazione nelle regioni più anteriori. Questa polarizzazione può essere perturbata banalmente andando a trapiantare la popolazione di cellule che produce Sonic che, come detto, si trova nella regione posteriore di un arto dell’embrione, nella regione anteriore di un altro embrione: otterrò delle bozze di ali che contengono due sorgenti, strutture anomale contenenti un gradiente convergente del ligando. È la dimostrazione che la produzione del morfogeno è causativa ed è l'effettivo coordinatore dell'orientamento nello spazio di questa struttura: nel momento in cui io tengo due sorgenti, e quindi due gradienti che convergono verso il centro, ottengo un arto anomalo che ha sostanzialmente due poli posteriori e che poi va verso uno pseudo anteriore verso la zona mediale. Quindi Sonic da solo, una singola molecola, è in grado di gestire il coordinamento dello sviluppo di un'architettura complessa come quella dell’orientamento anteroposteriore della parte distale dell’arto. Nel caso di Sonic, il modo in cui si ottiene questo pattern di regolazione è relativamente ovvio: ho la sorgente da cui produco uno stimolo che si diffonde e va a digradare; la concentrazione segue l’orientamento dalla sorgente verso le zone più distali. Tuttavia, si può ottenere lo stesso effetto anche con altri meccanismi. In particolare, un meccanismo complementare a quello appena citato, in cui possiamo gestire pattern di concentrazioni diversi, è la base secondo la quale, attraverso la produzione di cordina, si induce poi lo sviluppo della zona cordale nello sviluppo dell’ectoderma. Posso avere la produzione di uno stimolo a livello uniforme in una popolazione, per esempio perché c'è un'attività autocrina, quindi le cellule si autoproducono un fattore di induzione, oppure perché ho un effetto paracrino con moltissime cellule tutte capaci di produrre il segnale (situazione di azzurro diffuso nella foto) e poi posso ottenere delle cellule che producono un fattore inibitorio del morfogeno. Per esempio, uno dei meccanismi più classici, che è, appunto, quello di cordina, consiste nel produrre una molecola complementare al morfogeno stesso, che lo lega a livello biochimico/fisico e lo sequestra impedendogli di andare a legare il recettore. Tipicamente queste molecole assomigliano al recettore stesso, vanno a catturare il segnalatore e lo rendono inefficace; a questo punto otteniamo un gradiente inverso e la sorgente del mio segnale (che è inibitorio) diventa un punto di depressione del segnale di induzione; invece, ho uno stimolo di induzione più grande man mano che aumenta la distanza dalla sorgente. Questo è rilevante perché permette di ottenere geometricamente delle forme perfettamente complementari: quando ho un gradiente con una sorgente di induzione localizzata tipicamente ottengo una regione circolare di stimolo positivo che mi permette l’induzione di una popolazione localizzata; nel momento in cui ho questo effetto speculare negativo ottengo delle regioni di induzione molto più lontane e che presentano delle regioni negative al centro. La combinazione di questi due tipi di pattern permette di ottenere delle modulazioni molto più articolate. Quindi si legano al recettore o alla sostanza? Tipicamente possono funzionare in tutti e due i modi ma la modalità più classica è che io secerno una seconda molecola, che è simile al recettore, alla regione del recettore che lega il ligando, ma che non funziona da recettore: va a legarsi al ligando, oscura la parte del ligando che dovrebbe andare a stimolare il suo recettore naturale e fa un decoy, sequestra il ligando. Ci possono essere, poi, anche dei sistemi che permettono di avere il blocco recettoriale, ad esempio nel sistema Delta-Notch la produzione di Delta può andare a bloccare l’attività di Notch in cis, ma il meccanismo più diffuso è quello descritto prima. Torniamo alla domanda di Spemann e Mangold: qual è l’evento molecolare che permette di avere una prima differenziazione tra A e B (che possono essere anche solo due cellule), che permette poi di gestire tutta la cascata a valle? Sostanzialmente abbiamo due grandi classi di meccanismi che possono spiegare questo tipo di fenomeno primigenio: - processi di tipo deterministico - processi di tipo stocastico. Quelli di tipo deterministico, di solito, funzionano meglio nelle situazioni con poche cellule: organismi più semplici, più piccoli o campi morfogenetici più ristretti. Quelli di tipo stocastico, invece, sono più utilizzati negli organismi più complessi perché tipicamente sono più robusti rispetto alle perturbazioni: resistono meglio alle variazioni dalla media. Per far sì che abbia senso far funzionare un morfogeno, infatti, devo avere una popolazione sorgente e una popolazione bersaglio, e quindi, idealmente, devo avere almeno due popolazioni. Ci sono, appunto, dei meccanismi che permettono di spiegare come si fa ad arrivare ad almeno queste due popolazioni. Tali meccanismi possono essere applicati al momento della divisione dello zigote, quindi al momento del primo reale evento differenziativo, ma possono poi essere riutilizzati in situazioni successive. PROCESSI DETERMINISTICI Quando questi eventi sono di tipo deterministico, si realizzano sostanzialmente due scenari principali (che vediamo raffigurati nell’immagine). 1. Il primo è quello di quella che viene definita una divisione asimmetrica. Essa prevede che partendo da una cellula madre, quando questa si divide, le due cellule figlie non sono uguali: ciò significa che non esprimono esattamente lo stesso repertorio di proteine, il che vuol dire che le proteine già esistenti nella cellula sono state separate in maniera asimmetrica e/o che gli RNA che sono presenti all’interno della cellula sono separati o vengono prodotti in maniera asimmetrica. Tale fenomeno prevede a monte un evento di polarizzazione: quando fisicamente la cellula madre si è divisa le componenti biochimiche al suo interno non erano distribuite in modo uniforme all’interno del citoplasma, altrimenti le cellule figlie sarebbero uguali. L’evento di polarizzazione può essere un evento di qualunque tipo: contatto con un'altra cellula, contatto con un elemento della matrice extracellulare, segnale prodotto dall’esterno (es. gradiente acido o concentrazione di zuccheri)... Un esempio in natura che produce questi effetti di polarizzazione marcata è la fecondazione: lo spermatozoo deve attraversare la parete dell’ovulo e lo fa in un punto specifico. Questo evento di ingresso induce una perturbazione biochimica significativa a livello della membrana dell’ovulo stesso e quindi diventa perfetto per definire un fenomeno di polarizzazione: ho degli effetti biochimici locali che possono produrmi una separazione del citoplasma con una polarizzazione interna. Se subito dopo la cellula si divide e il suo asse di divisione è coerente con questa polarizzazione, io posso ottenere due cellule figlie diverse. 2. Il secondo scenario, sempre di tipo deterministico, prevede una divisione simmetrica: le due cellule, quindi, sono potenzialmente uguali, ma nel momento in cui la cellula madre si è divisa esse sono per definizione fisicamente collocate in un diverso punto dello spazio e può essere che l’una e l’altra siano esposte a due condizioni ambientali leggermente diverse. Ciò può produrre questo effetto di prima distinzione, dopodiché il sistema si può autoregolare. Entrambi questi fenomeni si verificano in natura e sono effettivamente rilevanti per gestire lo sviluppo degli organismi, soprattutto in organismi con un modello più semplice. PROCESSI STOCASTICI Esistono, però, anche dei casi in cui ho divisione simmetrica, e quindi cellule uguali e non distinguibili dal punto di vista biochimico, e non ho evidenti cause esterne che mi portano a un’induzione differenziale delle due cellule figlie, ma ottengo stocasticamente una differenziazione con una condizione che viene definita di bistabilità: un processo grazie al quale ad un certo punto una cellula prende una strada e non torna più indietro e l’altra cellula prende un’altra strada e non torna più indietro. Queste due strade saranno poi trasmissibili come informazione alla progenie, che manterrà coerenza con quello che è successo prima, questo è quello che è la definizione di “stimolo differenzativo”. Questo tipo di processo, che è cruciale negli organismi superiori, è basato fondamentalmente sul feedback positivo. In biologia si incontra più spesso il feedback negativo, che è un circuito di regolazione che serve fondamentalmente a mantenere uno stato di equilibrio nei sistemi. Ho una condizione che induce la cellula a rispondere in qualche modo: per esempio ho mancanza di ossigeno per cui la cellula comincia ad attivare una serie di programmi di motilità per cercare un punto in cui vi sia più ossigeno. Questa induzione di una perturbazione nella cellula deve essere uno stato transitorio, non permanente, che la cellula poi spegne perché sennò ho un cambio di tipo cellulare. Tale meccanismo è tipicamente gestito da feedback negativo: lo stesso processo che viene indotto si auto sopprime. Appena scende il segnale che mi ha indotto a muovermi, quindi appena c’è più ossigeno, il tutto scende e va a zero. Concettualmente è la stessa cosa dell’elettrotecnica, si può riscontrare una forte analogia con tale ambito della fisica. In questo tipo di sistemi, quindi, ho tipicamente un segnale che parte da zero, poi per qualche ragione ho uno stimolo che porta il segnale a salire, ma appena lo stimolo cessa il segnale tende a tornare a zero. I feedback positivi, invece, funzionano esattamente al contrario. Il macchinario di risposta ad una certa situazione si auto induce: non appena inneschiamo quella attività, essa tenderà ad auto alimentarsi e quindi, se qualcos’altro non la blocca, questa andrà al massimo (ogni volta aumenta e ogni volta si auto stimola per aumentare ancora); si crea, quindi, un sistema di amplificazione. Si hanno delle situazioni in cui parto da zero e quando il sistema viene innescato esso non è più arrestabile: tende ad andare a uno, perché dopo si auto alimenta, non ha bisogno di altro. Anche se lo stimolo che lo ha innescato cessa, quindi, il sistema resta acceso (a meno che qualcosa lo vada ad interrompere in maniera forzata). Questo permette di digitalizzare dei segnali continui: riesco a modellare un sistema che, nonostante nasca da una natura continua, poi mi permette di ottenere un sistema bistabile (o il sistema è tutto acceso o è tutto spento). Ciò è quello che di base succede nei feedback positivi. Contestualizzato qui, nel mondo delle reti differenziative stocastiche, il sistema è estremamente efficace. Immaginiamo due cellule identiche che attivano entrambe una via segnalatoria che ha come effetto quello di farle diventare rosse (il fenotipo che ci interessa è il rosso). Il patway che induce il fenotipo rosso, contestualmente all'induzione del fenotipo rosso, induce anche l'espressione di una molecola, che è x nell’immagine a destra, che è un segnale inibitorio per il fenotipo rosso. Quindi, più una cellula è rossa e più essa produce una molecola secreta che inibisce le cellule che le stanno intorno a essere rosse. Finché le due cellule sono perfettamente all’equilibrio, e quindi hanno esattamente la stessa quantità di fenotipo rosso, esse si inibiscono l’una con l'altra in maniera bilanciata e tutto il sistema è perfettamente in equilibrio. Questo equilibrio, però, è estremamente instabile perché la quantità di x che producono le due cellule deve essere esattamente identica. In biologia la stabilità assoluta non c’è mai: quello che chiamiamo equilibrio è sempre un’oscillazione intorno a valori medi; nei sistemi di feedback negativo ciò va benissimo perché ogni volta che il sistema tende a discostarsi dall’equilibrio, qualcosa tende a riportarlo allo zero. Qui è al contrario perché se una delle due cellule comincia, per qualunque ragione, a esprimere pochissimo di più di fenotipo rosso, e quindi di x, questo produce due effetti: - quella cellula diventa più rossa - inibisce maggiormente la cellula controlaterale ad essere rossa Questo fa sì che la cellula controlaterale, mentre diventa un po’ meno rossa, produce anche meno inibitore x, che equivale a stimolare di più la cellula che ha cominciato a diventare più rossa. Il tutto va avanti, appunto, come un circuito a feedback positivo all'infinito fino a quando una diventa completamente rossa, quindi produce x al massimo livello, e l’altra sostanzialmente produce zero. Si è ottenuto un sistema “bistabile” perché è quasi impossibile che la prima cellula diventi gialla: non c’è niente che la va a bloccare perché lei si protegge andando a bloccare tutte le cellule che le stanno intorno, che non possono più così produrre l’inibitore. E l’altra, viceversa, non ha nessuna possibilità di diventare rossa perché è circondata da una montagna di inibitori prodotti dalla cellula a fianco. Questo sistema è importante perché ci permette di generare queste famose due popolazioni, la popolazione A e la popolazione B, senza che ci sia apparentemente nessun altro architetto superiore che glielo deve dire: il sistema si autogenera. Allo stesso tempo, cosa forse ancora più importante, il sistema va automaticamente in equilibrio perché se una cellula diventa rossa, l’altra per forza deve diventare gialla e viceversa; quindi, quando in un campo morfogenetico devo produrre due popolazioni che stiano in equilibrio tra di loro, questi sistemi qui mi permettono di gestirlo in maniera autosufficiente, a prescindere da tutto quello che succede intorno. Si parla di sistemi che non sono deterministici a priori, ma che riescono a compensare man mano che il sistema evolve: ciò è quello che abbiamo spiegato parlando dell’autoregolazione dei campi morfogenetici. Per esempio, la parete del nostro intestino è fatta tutta con delle specie di capelli, che sono i villi intestinali che servono fondamentalmente per aumentare la superficie di assorbimento, però se ce lo immaginiamo è una roba complicata da gestire perché abbiamo una superfice apparentemente piana sulla quale devono svilupparsi perfettamente regolarmente queste “protrusioni”, che si producono esattamente con il modello del “feedback positivo”. Tutti questi sistemi non sono solo teorici, ma trovano la loro estrinsecazione in natura. In particolare, esistono alcuni modelli sperimentali di sviluppo che sono stati utilizzati e che ci hanno permesso di capire gran parte di questi meccanismi. Uno di questi sistemi sperimentali che ha permesso di analizzare in maniera estremamente dettagliata fenomeni di induzione deterministica è C. elegans. C. elegans è un piccolo vermetto, un nematode lungo poco più di 1 mm. È estremamente semplice perché è un organismo minimale, però contiene già una sua articolazione dal punto di vista istologico-fenotipico: ha un intestino, ovvero una struttura endodermica che si differenzia per permettere l’assorbimento dei nutrienti, ha un’epidermide, cioè una guaina esterna che protegge l’organismo dall’ambiente esterno, contiene un minino sistema nervoso che coordina i vari tessuti, ha delle cellule contrattili che possiamo assimilare a del tessuto muscolare e, infine, ha il suo apparato riproduttivo con le cellule germinali. Possiamo usare questo modellino per cercare di capire come dallo zigote iniziale si ottengono tutte queste cellule diverse. Le cose interessanti di C. elegans, che sono il motivo per cui è stato utilizzato sono le seguenti: o è un organismo estremamente piccolo, formato da circa mille cellule. Grazie a questo fatto applica in maniera sistematica dei processi di tipo deterministico: si sa subito, dallo zigote, per cui a priori, che destino prenderà ciascuna cellula formando diciamo un albero che arriva fino a ciò che interessa a noi. Ciò permette di tracciare in maniera precisa l’effetto di ogni perturbazione sul sistema; o ha un ciclo vita estremamente rapido (proprio perché è così piccolo), in tre giorni ho un ciclo da uovo a uovo. Questo fa sì che sia molto semplice studiare gli effetti fenotipici di vari tipi di perturbazione; o inoltre, in parte conseguenza delle altre due, come per Drosophila, anche per C. elegans è stato completato il sequenziamento del genoma molto presto storicamente. La conoscenza della mappatura completa del suo genoma permette di avere una grande risoluzione nel cercare di capire cosa succede; o è ermafrodita, quindi è in grado di autofecondarsi in caso di necessità (perché le femmine hanno anche gli spermatozoi). Questo è molto comodo, in termini di biologia sperimentale, perché permette di ottenere delle popolazioni di organismi tutti geneticamente identici, permettendo di studiare con molta più facilità le singole variazioni che introduciamo sperimentalmente poiché viene meno la variabilità sperimentale dovuta all’eterogeneità genetica della popolazione. Se andiamo ad analizzare lo sviluppo di C. elegans, la prima cosa che si osserva è che il suo sistema di cascate induttive nasce proprio da quegli eventi di divisione asimmetrica che abbiamo descritto prima. Nel momento in cui lo spermatozoo entra nell’ovulo e lo feconda, si genera una polarizzazione dell’ovulo fecondato (lo zigote) che definisce quello che chiamiamo per convenzione il “polo posteriore”. Tale evento di polarizzazione può essere descritto a livello molecolare in maniera molto precisa perché, avendo scoperto qual è la proteina che caratterizza la polarizzazione, posso andarla a marcare in fluorescenza (immagine a lato). Vedo sperimentalmente che nel momento in cui ho la separazione, ci sono dei granuli all’interno dell’ovulo fecondato che si polarizzano tutti esattamente in questo “polo posteriore”. Questi granuli vengono chiamati granuli P, proprio perché rimangono poi all’interno del polo posteriore, e restano segregati tutti in una cellula, mentre la cellula anteriore non li ha. Questo avviene non solo nella prima divisione cellulare, ma l’effetto di polarizzazione si mantiene durante tutto il processo di segmentazione: i granuli restano raccolti sempre nella stessa cellula, fino a quando arriviamo a una popolazione di 16 cellule. Perciò in tutte le prime 4 divisioni cellulari i granuli restano sempre segregati solo in una delle 2 cellule figlie. In questo modo rimangono concentrati in una piccola popolazione di cellule, che sarà poi destinata a dare origine alla linea germinale: quelle cellule saranno quelle che daranno origine ai gameti. I granuli stanno proprio in una cellula sola su 16. Tutto questo ci permette di definire quella situazione di popolazione A e di popolazione B che abbiamo descritto prima. Questo si verifica immediatamente, già alla prima divisione cellulare, in cui divido una cellula in una anteriore, rappresentata qui in verde, che chiamiamo AB, e una cellula posteriore, che chiamiamo P1. Questa prima differenziazione ci permette di ottenere una popolazione che può essere induttrice e una che può essere indotta, in particolare P si comporta da induttore mentre AB si comporta da popolazione che viene indotta, ricevente. Questo avviene perché la progenie di P (che mantiene la polarità), che in questo caso è P2, comincia a produrre 2 dei morfogeni che erano presenti nella tabellina vista a inizio lezione. In particolare, produce un morfogeno che si chiama “Wnt” e un altro che si chiama “Delta”. “Wnt” si lega ad un suo recettore, che si chiama “Frizzled”, mentre “Delta” si lega al suo recettore “Notch”. La cosa interessante è che nella prima distinzione tra AB e P, P non esprime Notch, mentre AB sì e quindi le cellule verdi sono potenziali riceventi del segnale di Delta (se la cellula non ha recettore se ne frega della presenza/assenza del morfogeno). Le cellule rosse, quindi, non hanno il recettore per Delta, ma la cellula rosa che si separa da P, che viene chiamata qui EMS, esprime Frizzled. Siccome P2 esprime entrambi i morfogeni, questi possono agire in maniera sincrona ma indipendente sulle due popolazioni: da un lato induce EMS attraverso lo stimolo di Wnt e dall’altro stimola AB con lo stimolo di Delta. Ad arricchire il pattern c’è il fatto che Delta è una di quelle molecole che può funzionare attaccata alla membrana, per cui quando viene prodotta non stimola tutta la popolazione verde, ma stimola solo la cellula verde rimasta più vicina a P2; distinguiamo, quindi, un AB anteriore (ABa) e un AB posteriore (ABp) che avranno, da questo momento in poi, due destini differenziativi distinti. Sostanzialmente con due ligandi e tre divisioni otteniamo già le grosse separazioni delle linee differenziative che andranno a dare origine a tutto l’organismo. Vedere immagine a destra. Le cellule figlie di EMS più lontane andranno a dare origine all’apparato muscolare, quelle più vicine origineranno la zona intestinale; sopra le cellule daranno origine a epidermide e zona faringea. Questo tipo di processo, totalmente deterministico, funziona molto bene nel momento in cui abbiamo delle piccole popolazioni di cellule, in cui posso governare in maniera dettagliata ogni singola relazione. Quando comincio a considerare un sistema un po' più complicato, il numero di biforcazioni che dovrei riuscire a gestire a priori in maniera deterministica diventa molto grande, troppo grande. Quando gli organismi hanno cominciato a evolversi (diventando un po' più complessi rispetto al nematode che abbiamo appena visto) si è sviluppato, quindi, un sistema di tipo modulare. Se guardiamo gli organismi che stanno più o meno a metà tra noi e i nematodi (tipo gli insetti), riscontriamo spesso una struttura di tipo segmentale e cioè è come se avessi dei blocchetti che vengono ripetuti in modo costante e che mantengono l’armonia dello sviluppo corporeo di tutto l’organismo e poi ognuno di questi si specializza e prende alcune caratteristiche che non troviamo negli altri e che gli permettono di avere una funzione specifica. Uno degli organismi in cui questo tipo di comportamento è stato più studiato è un altro organismo modello: è il Drosophila (il moschino della frutta). Le motivazioni per il quale è stato così studiato sono simili a quelle di C. elegans: è molto piccolo, ha un ciclo vita molto rapido, il suo genoma è stato completamente sequenziato. La sua caratteristica rispetto a C. elegans è che comincia ad avere degli organi complessi (organi sensoriali tipo gli occhi, ha gli arti…) e quindi con Drosophila possiamo iniziare a studiare alcuni tipi di caratteristiche che in C. e

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