Interpretare il Lavoro: Chiavi e Traiettorie PDF
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Questo documento esplora le basi della sociologia del lavoro, distinguendo tra senso comune e sapere sociologico. Viene analizzata la funzione critica della sociologia, affrontando temi come la devianza e i paradigmi della ricerca sociale.
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Parte I: Il sapere sociologico La sociologia è la scienza il cui obiettivo è quello di studiare la società, a tal proposito non può che emergere la necessità di distinguere la sociologia dal senso comune. Il senso comune è quello in cui tutti noi ci riconosciamo e ricadiamo. Da ciò deriva una prob...
Parte I: Il sapere sociologico La sociologia è la scienza il cui obiettivo è quello di studiare la società, a tal proposito non può che emergere la necessità di distinguere la sociologia dal senso comune. Il senso comune è quello in cui tutti noi ci riconosciamo e ricadiamo. Da ciò deriva una problematica essenziale del sociologo: essendo anche egli membro integrante della società e dunque un essere sociale, anche egli è direttamente coinvolto in quella forma di sapere comune che la società condivide in ogni suo luogo e istituzione. La sociologia tenta di smontare, mettere in dubbio queste convinzioni diffuse, pur riconoscendone la posizione centrale all’interno della società. Si ha bisogno dei luoghi comuni, ma spesso dietro ad essi si nasconde una falsa rappresentazione della realtà. Il sociologo, a differenza dell’uomo della strada che non ha tutte le informazioni necessarie per formulare analisi che non siano seviziate da pregiudizi di cui egli non è cosciente, avrebbe un accesso privilegiato all'oggettività dei fatti perché la sua preparazione lo renderebbe in grado di : a. raccogliere informazioni più accurate b. sospendere i propri giudizi di valore Senso comune e sociologia, apparterrebbero entrambi ad un medesimo ordine di discorso che Pollner ha definito come “ragione mondana”. Secondo la sua visione il senso comune delegherebbe alla sociologia la descrizione di fatti che egli percepisce come oggettivamente esistenti , ma di cui stenta a mettere a fuoco i contorni. La sociologia offrirebbe al senso comune sofisticate risorse osservative che tuttavia essa importa da discipline che le sono per così dire esterne. Se però alla sociologia dovesse venire a mancare il supporto dalla metodologia della ricerca, il suo discorso non potrebbe che tornare ad arenarsi nelle secche del senso comune. Accennando le conclusioni: Mori descrive la sociologia come un nodo al fazzoletto. Dovrebbe cioè sempre ricordarci che la stragrande maggioranza delle regole poste alla base della vita sociale, che ci sembrano ovvie, sono in realtà frutto di processi più o meno taciti di elaborazione collettiva. Se esse smettono di soddisfare le esigenze per le quali erano state create, possono essere sempre cambiate, sostituite oppure del tutto abolite. Da questo punto di vista è possibile comprendere come la funzione pratica della sociologia non possa che coincidere con una funzione critica/ politica. Volendo usare un termine tecnico, la caratteristica essenziale del ragionamento sociologico consiste nel suo essere “riflessivo” , ovvero nella sua capacità di porre costantemente in discussione quegli stessi presupposti di cui il senso comune si serve per discutere. La sociologia è convinta che non esistano né cause biologiche neppure cause naturali alla radice della realtà sociale che abitiamo (Berger, Luckmann) ma che essa sia frutto di pratiche convenzionali che poniamo costantemente in essere. Gilli ha delineato due famiglie di problemi sociologici: a. problemi sociali: costituiti da fenomeno che il senso comune percepisce e indica come oggettivi e rilevanti b. problemi sociologici: costituiti da tutto quel complesso groviglio di attività di senso comune atte a produrre costantemente quei problemi sociali in quanto problemi un’ esempio tratto da quell’ambito di ricerca che va sotto il nome di sociologia della devianza aiuterà a chiarire e riassumere tutte questa complicata questione. Il problema sociologico della devianza non è affatto dato dalla trasgressione delle regolòe condivise quanto piuttosto dal fatto che il senso comune, a prescindere dalle caratteristiche oggettive degli atti, tende a interpretarne soltanto alcuni come devianti, mentre altri non vengono etichettati come tali. (es. un ladro d’appartamento suscita più allarme di quanto non faccia un evasore fiscale) La devianza in sostanza è una caratteristica che riguarda la capacità di destabilizzare cognitivamente l’ordine sociale: deviante è tutto ciò che introduce dubbi, impedimenti, difficoltà nell’attribuire un senso comune al mondo che abbiamo innanzi. la metodologia della ricerca in sociologia prima di affrontare le questioni più tecniche tipiche della ricerca sociale, occorre chiarire che il primo riferimento va ai “paradigmi di ricerca” ossia a quadri concettuali che guidano nello studio di fenomeni sociali. tali paradigmi indicano regole, principi e condizioni formali oltre che a specifiche procedure operative per la raccolta, controllo e analisi dei dati empirici. Indicando che i paradigmi fondativi della ricerca sociale rispondono a tre grandi questioni: - la realtà sociale esiste? rispondere ad una questione ontologica - la realtà sociale è conoscibile ? rispondere ad una questione epistemologica - la realtà sociale può essere conosciuta? rispondere ad una questione metodologica consideriamo allora tre paradigmi principali: 1. paradigma positivista 2. paradigma neopositivista 3. paradigma interpretativista (o comprendente) 1. paradigma positivista l’ontologia del positivismo assume che la realtà sociale esiste al di fuori dell’individuo e sia oggettivamente conoscibile e afferma che la realtà sociale ha esistenza effettiva ed è conoscibile. Fu Durkheim ,il primo sociologo positivista, a spiegare che è necessario trattare i fatti sociali come cose effettivamente esistenti al di fuori delle coscienze individuali e studiabili oggettivamente. l'epistemologia si fonda sulla distinzione tra ricercatore e oggetto di studio, intendendo che i due non si devono influenzare reciprocamente in alcun modo. rispetto all’epistemologia, per il positivismo, lo scopo è spiegare e formulare leggi natuali, generali e immutabili. per quanto concerne la metodologia, il positivismo procede per esperimenti e osservazioni, in cui osservatore e osservato sono lontani tra loro e il principio logico che caratterizza questo paradigma è quello della deduzione, preferibilmente espressa in forma matematica. 2. paradigma neopositivista nasce per rispondere alle critiche che erano state avanzate dal positivismo. Dal punto di vista ontologico, adotta il realismo critico , per cui afferma che esiste una realtà sociale esterna all’uomo, ma che essa è conoscibile solo imperfettamente, in modo probabilistico. L’epistemologia del neopositivismo prevede il riconoscimento del rapporto di interferenza tra studioso e studiato, che deve essere il più possibile evitato per formulare leggi non più assolute, ma limitate nel tempo e soggette a falsificazione per poter arrivare sempre più vicini alla conoscenza assoluta. Dal punto di vista della metodologia rimane ferma l’unicità del metodo scientifico sperimentale. che si orienta a formulare leggi probabilistiche e provvisorie, formulate ancora da un linguaggio matematico. 3. paradigma interpretativista mira a leggere il senso dell’azione sociale ricostruendone i significati soggettivi e le motivazioni dell’attore sociale individuandone i tratti dominanti. in merito alla questione ontologica si pone l’obiettivo di comprendere la realtà e di non spiegarla non esiste una realtà che sia oggettiva dato che ogni individuo produce una sua realtà e sono attraverso questa realtà è conoscibile. Considerando Weber il più grande esponente di questo paradigma è possibile affermare che l’oggetto di studio di tale paradigma è l’agire dotato di senso. la dimensione epistemologica intende sottolineare come la ricerca sociale è intesa come una scienza interpretativa alla ricerca e alla scoperta di significati e non è considerata come una scienza sperimentale che ricerca leggi universali. Metodologicamente, questo paradigma prevede che ci sia interdipendenza tra ricercatore e metodo di studio dato che difficilmente lo studioso ha una buona comprensione del comportamento individuale se non avvicinandosi ed entrando in relazione con i vari individui/gruppi di interesse che mettono in pratica quel comportamento. tale paradigma, sempre dal punto di vista metodologico, fa ampio uso delle tecniche di ricerca qualitative. A fronte di questa organizzazione il paradigma interpretativista produce enunciati di possibilità (tipi ideali). Il metodo in questione è quello scientifico, perché la sociologia è di per sé una scienza che segue un processo non casuale per interrogarsi empiricamente sulla realtà. È fondamentale che i risultati delle analisi e le conclusioni siano portati all’attenzione pubblica e resi oggetto di dibattito pubblico. La ricerca si avvale della metodologia qualitativa, quantitativa e di metodi misti volti alla raccolta e alla successiva interpretazione dei dati. ricerca qualitativa → la ricerca qualitativa vuole indagare e interpretare i fenomeni sociali per come sono verificati dagli individui e per i significati che tali fenomeni hanno per gli individui stessi. questo tipo di ricerca consente di immergersi nei contesti sociali, interagendo direttamente con i partecipanti, osservandoli e studiandoli nel loro ambiente. si ricorre alla ricerca qualitativa quando si vuole comprendere quel fenomeno. tale ricerca si rende opportuna quando vogliamo esplorare problematiche sensibili, di piccolo ambiente e della vita quotidiana o nuovi soggetti sociali. tutto quanto appena elencato richiama il paradigma interpretativista e richiede un disegno di ricerca qualitativo. La ricerca qualitativa permette dunque di conoscere la realtà sociale e i fenomeni sociali attraverso la ricca qualità di dettagli, sfumature che emergono dalla raccolta delle informazioni, attraverso processi di codifica dei materiali testuali per arrivare a costruire profili ecc. ricerca quantitativa → studia fenomeni di vita collettiva , permette di valutare l’evoluzione e la diffusione di fenomeni per analizzare e quantificare il cambiamento. la ricerca quantitativa fa riferimento al paradigma (neo)positivista e ha come obiettivo quello di ricercare le cause dei fenomeni sociali attraverso tecniche di indagine che permettano misurazioni precise e controllate. è una ricerca che non prevede vicinanza concreta ai soggetti della ricerca. questo tipo di ricerca si concentra sull'osservazione empirica e sulla raccolta di dati quantitativi che vengono analizzati attraverso tecniche statistiche. I dati raccolti vengono usati per testare ipotesi e modelli concettuali. la ricerca quantitativa si presta e mostra grande efficacia nel seguire ricerche che osservano il campione a più scadenze temporali i metodi misti di ricerca→ proposta di integrazione tra i due versanti, rispetto alle procedure di conoscenza della realtà sociale, permettendo una comprensione più ampia e variegata dell'oggetto di studio. la ricerca con metodi misti si riferisce alla possibilità di produrre disegni di ricerca in cui i ricercatori combinano tecniche di ricerca qualitative e quantitative allo scopo di ampliare e approfondire la comprensione e la corroborazione. per meglio comprendere le opportunità conoscitive di una ricerca con metodi misti si illustrano 4 disegni che integrano qualità e quantità: - sequenziale esplorativo: condurre una ricerca qualitativa utilizzandone poi i risultati per avviare una ricerca quantitativa. La ricerca qualitativa ha un ruolo ancillare rispetto alla quantitativa e l’obiettivo è aumentare una scarsa conoscenza teorica e/o empirica di un fenomeno, per poi avere quanto necessario per costruire uno strumento di indagine quantitativo - sequenziale esplicativo: prevede che la ricerca qualitativa venga usata per interpretare i risultati di una ricerca quantitativa. Nella pratica si progetta di somministrare focus group o interviste per cercare di interpretare e descrivere i risultati ottenuti dalla somministrazione del questionario - convergente parallelo: viene usato quando si vogliono ottenere dati e informazioni differenti ma complementari. in questo caso la ricerca qualitativa e quantitativa vengono usate contemporaneamente con la stessa priorità e attraverso le stesse fasi. - nidificato : prevede di raccogliere e analizzare contemporaneamente i dati di una ricerca quantitativa e informazioni di una ricerca qualitativa, ma entro un disegno qualitativo o quantitativo più ampio. Parte II: Le strutture organizzative Con struttura organizzativa ci si riferisce ad una serie di relazioni sociali durature, presenti nelle organizzazioni e alla modalità di distribuzione dei ruoli e dei compiti sociali tra i membri di un’organizzazione. Il primo modello di struttura organizzativa ha a che fare con la burocrazia: individuato da Weber come il modello organizzativo dell’apparato amministrativo del capitalismo razionale. In generale la burocrazia è definita come: “ un sistema di norme e regolamenti basato su una razionalità rispetto allo scopo che porta ad una radicale trasformazione dei rapporti sociali nelle sfere della vita. I rapporti sociali, dunque, vengono sostituiti da procedure sistematiche, precise e calcolate razionalmente " la burocrazia si fonda sul potere razionale-legale dove l’autorità si incarna in un sistema di norme considerate legittime. due principali forme di burocrazia: a. meccanica : controllo esercitato sulla modalità di prestazione del lavoro b. professionale : controllo esercitato sulla forma iniziale e sui risultati Negli stessi anni dello sviluppo del modello interpretativo proposto da Weber ha corrisposto l’elaborazione di un modello normativo di organizzazione scientifica del lavoro con l’obiettivo di migliorare la performance e massimizzare la produzione portando alla nascita del management scientifico (taylor, one best way). numerose critiche: weber stesso ammise che l’apparato burocratico poteva trasformarsi in una "gabbia di ferro” che rappresentasse il dominio dell’apparato burocratico sulle altre sfere sociali. Il secondo è invece il modello a rete, nato in seguito all'esperienza di Toyota che punta l’attenzione sulle relazioni informali di fiducia reciproca accanto alle dimensioni formali e ampliandosi oltre i parametri dell’organizzazione. con la nascita di questo secondo modello si evidenzia la trasformazione del concetto di struttura organizzativa, portando un’alternativa alla polarizzazione tra gerarchia e mercato concepiti come due poli di un continuum lungo il quale si collocano le scelte aziendale del make or buy. La rete si basa su attori autonomi ma interdipendenti i cui legami si basano su rapporti fiduciari e su meccanismi reputazionali che riducono i rischi dei comportamenti opportunistici. Inoltre, altra caratteristica fondante, consta nel raggiungere fini comuni tra soggetti che agiscono come unico attore collettivo. questo tipo di organizzazione, a differenza di quella burocratica che ha prodotto il management scientifico, produce una forma di management per progetti. Il controllo è laterale distribuito in modo non gerarchico tra i membri dell’organizzazione: il tratto distintivo di queste organizzazioni è stato individuato da Stark e definito come accountability eterarchia dato che la responsabilità dei singoli/ gruppo è fondata su principi valutativi che coesistono all’interno della stessa organizzazione. Terzo modello è quello delle piattaforme, caratterizzato da infrastrutture digitali, sistemi di cooptazione, infrastrutture valutative e management algoritmico automatizzato. Le piattaforme sono dunque metafore, simboli che possiedono carattere performativo perché contribuiscono a costruire scenari del futuro, che orientano le azioni sociali degli attori del presente. infrastrutture digitale : condividono alcune caratteristiche con le infrastrutture moderne. la loro caratteristica è che sono riprogrammabili. modelli di business: basato sull’interazione di almeno due gruppi di utenti dove il valore aumenta in base alla crescita della base di utenti che vi partecipano. modelli organizzativo sistemi di cooptazione : le piattaforme cooptano beni e risorse che sono sulla piattaforma ma formalmente non sono parte dell’azienda. infrastrutture valutative : decentralizzano il controllo pur mantenendo il potere centralizzato nelle mani della piattaforma. sistemi di parcellizzazione: mentre le reti prevedono processi di lunga durata, le piattaforme giocano sull’immediatezza; ciò comporta ad una parcellizzazione delle attività con conseguenze in termini di peggioramento delle condizioni di lavoro , perdita di efficacia dei meccanismi consolidati della protezione dei lavoratori e riconfigurazione delle catene globali del valore. sistemi di estrazione dei valori: possibile grazie ai dati generati dagli utenti sulla piattaforma. queste infrastrutture sono infatti organizzate intorno alla raccolta sistematica, l’elaborazione algoritmica, la circolazione e la vendita dei dati. il processo di “dataficazione” viene definito da dijck come “la capacità delle piattaforme di tradurre in dati caratteristiche e aspetti della realtà che prima non erano quantificabili” algorithm management uso di procedure programmate al computer per il coordinamento dell’input di lavoro in un’organizzazione, quando gli algoritmi prendono decisioni e i manager intervengono solo nei casi di necessità per lo svolgimento di alcune funzioni chiave. platform capitalism e platform society la piattaforma e alla base di questi due concetti: a. platform capitalism: modello economico che si basa sulle piattaforme per facilitare le transazioni b. platform society: definita come una società in cui le interazioni sociali economiche e politiche sono prevalentemente guidate da piattaforme digitali. rispetto alla burocrazia: presenta un nucleo aziendale gerarchico, generalmente di piccole dimensioni, governato attraverso logiche di divisione del lavoro e di supervisione lineare. corrispondono alla “forma organizzativa di möbius” : in sostanza gli utenti della piattaforma sono vincolati a norme definite dalla piattaforma ma senza essere subordinati contrattualmente a essa. Gli utenti dunque si iscrivono alla piattaforma, sottoponendosi a limiti di azione, senza andare a configurare un rapporto di lavoro subordinato. La piattaforma a differenza dei modelli burocratici non comunica in modo trasparente le norme e opera una costante ricodifica per rendere più difficile la loro individuazione. Un'importante caratteristica della piattaforma è il centrale finanziamento del capitale paziente, in attesa che la piattaforma raggiunga posizione di monopolio. Quello delle piattaforme è un costrutto organizzativo è destinato a ridisegnare organizzazioni e forme di modelli di lavoro ma ciò non implica nel ragionamento dell’autrice che tutto sarà digitalizzato e organizzato esclusivamente per mezzo delle piattaforme, il piano organizzativo verrà trasformato ma non completamente sostituito, ci saranno delle dominanti nuovi come le piattaforme che ridisegnano il rapporto tra lavoratore e management, tra produttore e consumatore. in conclusione: i consumatori producono valore attraverso i loro dati, sostituiscono il management nella valutazione del lavoro / forza vendita e agiscono come voce politica a favore delle piattaforme costruendo un’alleanza tra proprietari e piattaforme, investitori e consumatori. →il mercato del lavoro punto di incontro fra: domanda di lavoro (imprese) offerta di lavoro (persone) ciò che viene scambiato è il lavoro svolto dagli individui che non può essere separato dalle persone stesse. Il mercato del lavoro è come un qualsiasi altro mercato, si incontrano domanda e offerta. Cos’ha di diverso? particolarità del MdL: asimmetria strutturale: Mercato che al proprio interno presenta una forte asimmetria strutturale: è costitutiva del funzionamento del mercato del lavoro. Il mercato fortemente asimmetrico delinea una forte asimmetria tra impresa e il lavoratore, il datore di lavoro è ancora fortemente in vantaggio rispetto a lavoratore nonostante il lavoratore sia protetto da una serie di norme che impedisca di essere completamente alla mercè della volontà soggettiva dell’impresa. L’occupabilità del lavoratore, quanto il lavoro è spendibile e appetibile sul mercato del lavoro per le sue competenze e quanto il datore riterrà opportuno o meno eliminarlo rispetto alle capacità del lavoratore stesso con skills fini al miglioramento dell’impresa (asimmetria meno forte). Le forme contrattuali, negli ultimi anni, avendo indebolito la capacità del lavoratore di sviluppare un’evoluzione a livello di lavoro e carriera ha portato ad un aumento di percentuale di asimmetria strutturale relazione continuativa tra domanda e offerta: il rapporto fra domanda e offerta può rendere un rapporto continuativo trovando dei meccanismi che alimentano e rendono reciproco questo rapporto, la situazione ideale si ottiene quando avviene un incontro tra domanda e offerta soddisfacendo le esigenze dei soggetti coinvolti. Uno degli elementi che rende continuativo questo è la contrattazione sui luoghi di lavoro. mancato incontro (competenze): perché non si incontrano domanda e offerta. esiste una quota sui tassi di disoccupazione legata ai tassi di aspettative sui giovani che piuttosto che esercitare una determinata professione preferiscono la disoccupazione, questo discorso è legato alla mancanza di competenze dell’impresa. sensibile mutamento: mercato del lavoro estremamente sensibile alle modifiche economico sociale )invecchiamento della popolazione, aumento del liv. di istruzione, innovazioni tecnologiche…) conoscenza imperfetta : tra domanda e offerta non c’è mai una conoscenza perfetta, il compratore non sa precisamente il bene o servizio che sta andando a comprare e non ha tutte le info su quel bene o prodotto composizione del MdL e posizionamento come variabili di indagine nella Rilevazione della Forza Lavoro : occupati : attualmente occupati disoccupati :chi sono presenta le caratteristiche per essere occupato , non si lega una specifica condizione amministrativa ma a determinati comportamenti dell’intervistato a rispondere ad una eventuale offerta di lavoro. inattivi : categoria che comprende chi non fa parte integrante della forza lavoro, tutti coloro che presentano le caratteristiche che non rientrano tra gli occupati/disoccupati. sono comprese categorie miste di individui. a sua volta la categoria si suddivide in 1. forze di lavoro potenziali : individui che vogliono lavorare a cui manca soltanto uno dei due requisiti per essere considerati come disoccupati (cercare attivamente lavoro/ immediata disponibilità) 2. altri inattivi: non cercano lavoro e non sono disponibili a lavorare, rappresentano la componente di inattivi più lontana dal mercato del lavoro. in conclusione: le difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro tendono ad aumentare con l’età, con una graduale riduzione dei tassi di occupazione. Il livello di istruzione è il fattore chiave per l'accesso e la permanenza nel MdL: i tassi di disoccupazione, di mancata partecipazione e di inattività aumentano progressivamente al diminuire del liv. di istruzione. Si ritiene importante sottolineare come fenomeni sociali ed economici di una cultura siano fattori permeanti e impattanti sull’analisi dell’mdl. Le politiche del lavoro vengono definite come: istituzioni del mercato del lavoro : nella misura in cui le loro norme si cristallizzano in pratiche concrete, guidano l’azione e la legittimano riducendo così l’incertezza degli attori coinvolti destinatari: disoccupati , persone a rischio di disoccupazione, inattivi composizione di varie politiche in generale le si possono definire come l’insieme di interventi che hanno un diretto ed esplicito legame con il mercato del lavoro e che comportano una spesa per il bilancio pubblico. Le politiche del lavoro sono suddivise in 3 macro-categorie a seconda delle finalità e degli strumenti utilizzati: 1. le regolazioni dei rapporti del lavoro : insieme di interventi che regolano l’interazione tra domanda e offerta di lavoro a. dimensione temporale del rapporto di lavoro: ci si riferisce alla distinzione tra rapporto temporaneo e a tempo indeterminato e inoltre alla differenza tra tempo pieno e parziale. nel primo caso ci si riferisce ad una flessibilità numerica con cui le imprese possono variare il numero di manodopera , nel secondo invece corrisponde alla possibilità di variare la fascia oraria in base alle esigenze del lavoratore. due rischi essenziali: la formazione di un mercato del lavoro parallelo in una divisione tra soggetti occupati come forme contrattuali “tipiche” maggiormente protetti (insider) e soggetti occupati con forme “atipiche” meno protetti (outsider). secondo, riduzione dell’investimento delle imprese in capitale umano considerando minori ritorni data la limitata permanenza nell’ambiente lavorativo. vi è però un’ ipotesi ottimistica della presenza contrattuale delle forme atipiche: definatasi come “trampolino” le forme contrattuali atipiche permetterebbero la conversione di rapporti di lavoro da determinati a stabili e con maggior congruenza alle competenze individuali. L’ipotesi negativa tratta però del rischio di “intrappolamento” e di mancato ingresso nel segmento orizzontale del mercato del lavoro. b. legislazione a protezione dell’impiego (EPL) : regole che intervengono sulla relazione tra datore di lavoro e lavoratore, sia tra questo e lo stato. si possono sintetizzare con: trasferimenti monetari (non sono previsti a seguito di licenziamento che sia di tipo economico o disciplinare, differenza però sussiste con i licenziamenti di tipo collettivo che richiedono l’autorizzazione di un’entità pubblica) preavviso temporale minimo richiesto procedure amministrative previste obblighi verso la rappresentanza dei lavoratori →agire sulla potenzialità di vulnerabilità delle forme contrattuali →indice di protezione legislativa dell’impiego 2. politiche passive : interventi diretti ad assicurare una forma di sostegno al reddito nel caso in cui i beneficiari si trovino senza occupazione oppure a rischio di disoccupazione o ancora soggetti in sospensione/riduzione di attività lavorative. A livello micro il sostegno al reddito consente una ricollocazione del soggetto all’interno del Mdl in casi di perdita involontaria del lavoro. A livello macro agiscono come “stabilizzatori” automatici del ciclo economico, permettendo così di evitare il crollo dei consumi nei periodi di recessione economica contenendo così un’ulteriore crescita della disoccupazione. le politiche passive si suddividono in: sussidi di disoccupazione: basati su un principio assicurativo, sono finanziate dai lavoratori e dai datori. vengono recepiti dai disoccupati che hanno completato un periodo minimo di lavoro con relativo versamento dei contributi. le indennità basate sul principio assistenziale sono invece finanziate dalla fiscalità generale: orientate a prevenire condizioni di povertà legate allo stato prolungato di disoccupazione. vengono corrisposte a disoccupati che hanno indennità di tipo assicurativo, o non ne hanno potuto beneficiare e che sono pertanto privi di mezzi di sostentamento. dalle politiche passive sono esclusi coloro i quali hanno concludono i rapporti di lavoro attraverso le dimissioni. integrazioni salariali : schemi che hanno l’obiettivo di preservare posizioni lavorative di imprese in difficoltà. Il sussidio interviene per compensare la perdita di reddito che occorrerebbe nel momento in cui la contrazione della produzione determina una riduzione delle ore di lavoro. due tipi di rischio: - crisi congiunturali: relative a flessioni temporanee limitate nel tempo e nelle conseguenze - crisi strutturali: riguardano processi più lunghi di ristrutturazione aziendale il finanziamento è solitamente ripartito tra stato e imprese. In casi emergenziali il contributo può essere elargito solo dallo stato al fine di evitare il rischio di comportamento opportunistico. si tratta di politiche che hanno duplice valenza: - sociale →finalità di sostegno al reddito - industriale → permettono alle imprese di conservare manodopera qualificata che sarebbe altrimenti persa in casi di esubero del personale 3. politiche attive : insieme di misure orientate alla rimozione degli ostacoli , non di carattere legislativo, all’ingresso e alla permanenza nel mercato del lavoro. assistenza all’impiego : si fa riferimento ad interventi come come consulenze orientative, programmi di attiva ricerca del lavoro ecc. formazione: interventi orientati all’acquisizione di competenze, tali da porre i beneficiari in condizioni di ricoprire posizioni lavorative vacanti. questa presenta la politica attiva più costosa seppur gli interventi possano variare sia in termini di spesa che di tempo richiesto auto-imprenditorialità: programmi volti a promuovere le nuove imprese, attraverso assistenza tecnica e soprattutto di sostegno al reddito. quest’ultimo si traduce in termini di imposta da destinarsi all’acquisto di materiale specifico per avviare la propria attività. creazione diretta di lavoro: programmi occupazionali finanziati con fondi pubblici e utilizzati principalmente per fronteggiare situazioni di disagio socio-economico attraverso la creazione di occupazione temporanea nel settore pubblico no-profit. incentivi al lavoro: orientare il comportamento di soggetti titolari dei benefici economici. si distinguono gli incentivi in: - positivi (in-work benefits) che corrispondono ad integrazioni salariali o di credito imposta sui salari. questi si propongono di facilitare il reinserimento lavorativo di soggetti beneficiari di sussidi, incentivando l’accettazione di un lavoro. - negativi ovvero quelle misure che si associano alla condizionalità di interventi. Al fine di favorire il reinserimento lavorativo di beneficiari di politiche passive, questi possono essere vincolati a impegni ben precisi di ricerca attiva del lavoro. occupazione sussidiata e interventi di carattere fiscale: utilizzata per rendere i datori di lavoro disponibili a correre il rischio di assumere disoccupati che possano avere una bassa produttività. In questo specifico caso il governo paga parte del salario per un periodo di tempo dopo il quale le imprese possono decidere se assumere l’individuo e pagare l’intero stipendio. I rapporti collettivi di lavoro relazioni industriali: campo di studi interdisciplinare, sistema di regolazione dei rapporti di lavoro →contrattazione collettiva : incontro tra interessi dei datori di lavoro e di lavoratori che trovano un punto di convergenza soggetti della contrattazione collettiva a) associazione dei lavoratori (sindacato): I protagonisti delle relazioni industriali sono i soggetti collettivi, ossia i sindacati. Si tratta di organizzazioni che associano su base volontaria i prestatori di lavoro e i datori di lavoro e che in qualità di rappresentanti svolgono attività di tutela dei loro interessi professionali. in relazione al ccnl (contratto collettivo nazionale) i sindacati li sottoscrivono in una medesima categoria o settore produttivo, i privati non hanno l’obbligo di applicare nella propria azienda un ccnl. - RSA( rappresentanza sindacale aziendale) designate dalle organizzazioni aziendali e RSU (rappresentanza sindacali unitarie) la cui legittimazione è invece elettorale e non sindacale n.b: le RSA sono previste dall’art. 19 dello statuto dei lavoratori, sancisce che le rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito delle associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva: La corte costituzionale ha inoltre chiarito che per far parte di una rsa è sufficiente aver partecipato ad un negoziato senza aver sottoscritto l’accordo collettivo La costruzione delle rsu hanno gradualmente costituito le rsa. la costituzione delle RSU deriva da ⅔ per elezione da parte di tutti i lavoratori, ⅓ da designazione o elezione d a parte delle organizzazioni stipulanti il ccnl che hanno presentato le liste in proporzione ai voti ottenuti. - rappresentatività del sindacato : alle rsa spettano appositi spazi, luoghi accessibili a tutti i prestatori di lavoro per l’affissione di comunicati, pubblicazione e testi di interesse sindacale b) associazioni datoriali l’associazione dei datori di lavoro come quella imprenditoriale non è riconosciuta come persona giuridica. Essa tutela in maniera prevalente i rapporti di lavoro. Queste hanno teso ad evitare fenomeni di concorrenza tra gli imprenditori. →settore privato e pubblico →strumenti: spazi, permessi, sindacali, assemblee, referendum si evidenzia una duplice problematica odierna→ - interna: dovuto alla fuoriuscita dal sistema di rappresentanza di lacune imprese che in precedenza erano affiliate - esterna: proliferazione di associazioni di rappresentanza datoriale per le quali è dubbia la reale rappresentatività. livelli di contrattazione collettiva: contrattazione collettiva: prodotto principale delle attività dei gruppi organizzati di lavoratori e datori di lavoro. rappresenta l’istituto fondamentale su cui si fondano tradizionalmente i sistemi di relazioni industriali. dal pdv giuridico il contratto collettivo è un contratto atipico di diritto comune in quanto privo di una specifica disciplina di legge nel settore privato la contrattazione collettiva si svolge su più livelli → a) nazionale interconfederale: definizione delle regole generali per i diversi settori produttivi b) nazionale di categoria (ccnl) che riguarda ciascuna singola categoria economica c) decentrato: aziendale, territoriale, aziendale, territoriale la contrattazione collettiva può dar vita a tre modelli di decentramento contrattuale collettivo. 1. contratti che prevedono solo il livello aziendale di decentramento. 2. decentramento dell’attività negoziale che riguarda i settori dell’agricoltura, artigianato ed edilizia 3. decentramento rappresentato da quei contratti collettivi di categoria che permettono la presenza contemporanea dei livelli aziendali e territoriali. contenuti delle contrattazione collettiva: a livello storico, la contrattazione collettiva ha principalmente trattato due capi; l’orario e il salario. il contratto collettivo dunque ha l’obiettivo di trovare un riequilibrio tra domanda e offerta di lavoro attraverso la stabilizzazione di due poteri in conflitto: la rappresentanza dei lavoratori e gli imprenditori. Più in generale il contratto collettivo individua: 1. norme che regolano in via diretta i contenuti dei rapporti di lavoro 2. norme che regolano la procedura di determinazione delle prime, ponendo vincoli a quei comportamenti e a quelle modalità d’azione delle diverse organizzazioni formali e informali che fanno parte del sistema delle relazioni industriali nb: il contratto collettivo non è solo un atto ma è anche il processo su cui si fondano i moderni sistemi di relazioni industriali. la concentrazione, inoltre, è il metodo di partecipazione delle parti sociali al potere politico dello stato, mediante un confronto più o meno istituzionalizzato, sugli interventi di governo in materia di politica del lavoro e in generale di politica economica. dal pdv dei contenuti a) interconfederale: disciplinano la materia del salario, condizioni del lavoro, mercato del lavoro e alcuni funzionamenti procedurali-istituzionali b) di categoria: si distingue tra contenuto normativo ed obbligatorio; il primo predetermina le clausole dei contratti individuali di lavoro. il secondo è costituito da quelle clausole che introducono diritti e obblighi per le stesse associazioni sindacali stipulanti c) decentrato: orario di lavoro, specificità aziendali →parte economica e parte normativa →conflitto collettivo e partecipazione Parte III: culture del lavoro plurali il termine “valorizzazione” ha molteplici significati. l’obiettivo è comprendere il valore del lavoro e il valore di chi compie il lavoro. presupposto: “bourdieu” usa il termine campo sociale per indicare una rete o una configurazione di reti oggettive tra posizioni. valore e lavoro valorizzazione : riconoscimento di valore che è legato ai campi sociali, l’impresa è un campo sociale - valutazione come processo di riconoscimento - molteplici capi sociali (Bourdieu) la valorizzazione non ha mai solo ed esclusivamente a che fare con la dimensione concreta del lavoro e il valore viene determinato anche al momento dello scambio. → valore : a)tempo di lavoro (per produrre) b) componente immateriale (campo cognitivo) valorizzazione economica → processo sociale a) espressione di valori morali b) ruolo dell’identità di chi lavora L’attribuzione del valore economico al lavoro non è solo legato alle caratteristiche del lavoro, il rapporto tra valore e lavoro implica sempre e comunque un qualche livello di astrazione e mediazione sociale che trasforma il lavoro, uno qualsiasi, in lavoro astratto e immateriale. la valorizzazione è dunque un processo sociale e in quanto tale anche espressione di valori morali che orientano le nostre pratiche e relazioni. In questo processo di costruzione sociale del valore del lavoro, l’identità di chi lo compie e le sue caratteristiche distintive svolgono un ruolo centrale. → riconoscimento a) identificare b) attribuire valore Identificare (a) riguarda la costruzione dell’identità, l’attribuzione del valore (b) richiama anche un’idea di riconoscenza, un sentire che deriva dalla relazione di reciproco riconoscimento. Quello di identità è a sua volta un concetto complesso che prevede una molteplicità di definizioni. identità : riconoscimento intersoggettivo lotte per il riconoscimento (bisogno primario) una lettura dell’identità enfatizza il suo carattere intersoggettivo , così come Brown propone di comprendere l’identità come un oggetto che presenta margini labili e porosi ed emerga in un processo di riconoscimento intersoggettivo: io emergo nel momento in cui qualcuno mi riconosce e così facendo riconosce la mia identità. La concezione di identità come riconoscimento relazionale deriva dal cuore dal pensiero filosofico di Judith Butler dove spiega come il riconoscimento sia un bisogno primario di ognuno ma che difficilmente trova piena soddisfazione nel contesto delle relazioni sociali che sono generalmente asimmetriche e diseguali ed è proprio per questo motivo che il riconoscimento si trova al centro delle lotte sociali. Il riconoscimento così facendo si rende una questione morale nella misura in cui viene distribuito in modo diseguale. anche Agamben si esprime in tal senso, descrivendo le “nude vite” come vite che non sono riconosciute in quanto tali. questa riflessione porta a comprendere come il riconoscimento abbia un importante implicazione nella vita delle persone e per la loro possibilità di svolgere un ruolo attivo nella vita di una comunità. Nel contesto di un’economia capitalistica le persone traggono la propria identità dal lavoro che fanno e tendono a identificarsi con le organizzazioni a cui appartengono e a cui offrono le proprie prestazioni. essere parte di un’organizzazione prevede in primo grado un riconoscimento, ovvero la presa di consapevolezza che una persona può portare valore nella costruzione di senso e nel raggiungimento di obiettivi che quel gruppo si pone. nella misura in cui le persone si identificano sempre di più nelle organizzazioni di cui fanno parte il riconoscimento non riguarda solo il lavoro ma anche la loro identità. relazione fra lavoro, valore e identità identità che deriva dal lavoro fatto e lavori definiti dall’identità di chi li compie : Ashcraft evidenzia un condizionamento tra lavoro e identità lavorativa. In altri termini se è vero che alcune persone traggono identità dal lavoro che fanno, è vero anche il contrario, ovvero che alcuni lavori vengono definiti nelle loro caratteristiche e ottengono riconoscimento sociale a partire dall’identità di coloro che lo compiono. valore definito dalla relazione fra loro e identità : la dinamica di attribuzione del valore vede coinvolto vari soggetti. lo stato definisce i criteri di riconoscimento di una certa attività e se questa possa essere riconosciuta come lavoro degno di retribuzione oppure no. Anche i media e la società civile svolgono un ruolo nella produzione e diffusione di questo discorso ai quali si interseca anche il riconoscimento a livello di valorizzazione economica oltre che sociale. valore del lavoro fuori dall spazio del lavoro : ciò che è stato descritto in precedenza aiuta a comprendere il processo di (s)valorizzazione del lavoro che avviene anche al di fuori del luogo stesso in cui si svolge. Questo processo avviene attraverso i discorsi sociali, siano essi più o meno istituzionalizzati. la valorizzazione dunque non ha un rapporto diretto con la natura o con le capacità del singolo: l’identità di chi fa il lavoro è un elemento che concorre a definire fino a che punto questa attività può dirsi lavoro e se quest’ultimo possa essere incluso tra “quelli che contano” “il valore determina e organizza il lavoro piuttosto che il contrario” (Pitts, 2020) in sintesi: valorizzazione a) discorso sociale b) legittimazione simbolico discorsiva : es. da prostitute a “sex worker”, questo cambio di direzione sulla definizione del lavoro comporta un conseguente cambiamento nell’immaginario sociale dove alla professione sono legate una serie di prerogative e diritti che determina la prestazione del lavoratore come socialmente riconosciuto. c) stigma e produzione di nuovi immaginari : si studia come nell’immaginario sociale certi corpi siano connotato rispetto a genere,razza e classe vengono socialmente ritenuti più adatti a fare i lavori “sporchi” rispetto ad altri. Anche il lavoro dunque ha una sua identità e questa viene assegnata a partire dall’identità di chi lo fa. analgamente a come Butler intendeva spezzare la casualità tra sesso e genere, così occorre decostruire la casualità che naturalizza il rapporto tra valore, identità e lavoro e come un lavoro abbia ottenuto un certo riconoscimento e valore sociale in relazione all’identità di chi lo compie o di chi potrebbe. Questo richiede la produzione di nuovi immaginari. Da un lato dall’altro il valore attribuito a un certo lavoro potrebbe cambiare come risultato di di questo lavoro con i gruppi sociali dominanti, dall’altro lascerebbe inalterata la marginalizzazione di alcuni gruppi sociali. questo implica che il superamento di alcune dinamiche di marginalizzazione sociale si impone come necessario per cambiare in maniera più radicale la relazione che lega il lavoro, identità e valore. Riprendendo la prospettiva butleriana, si può dire che la ridefinizione di quali lavori contano va di pari passo con la ridefinizione di quale lavoratore e quindi identità contano. benessere lavorativo il benessere in generale è un concetto sistemico che richiede di tenere viva la relazione tra i vari domini che lo costituiscono, in una visione processuale e non statica che non riguarda solo l’assenza della malattia ma un generale benessere fisico e psichico. In questo contesto si analizza come il benessere lavorativo impatta positivamente su aspetti come la produttività, il clima aziendale, la diminuzione del turn over ecc. benessere come esperienza complessa a) benessere edonico : inteso come la ricerca di emozioni piacevoli “semplici” implicando l’assenza di sentimenti negativi. è un’esperienza ad alta intensità emotiva e di breve durata che riguarda la singola persona e che richiede il contesto che produca costantemente stimoli piacevoli. L’effetto dell’esperienza positiva è confinato alla persona e al momento in sé. b) benessere eudaimonico : ha a che fare con un senso di “pienezza”, di appagamento complessivo e di realizzazione del sé. è un processo che chiama in causa lo spazio fisico e sociale e ha uno sviluppo temporale: richiede un ingaggio con il contesto e l’effetto perde il sistema nel suo complesso. benessere eudaimonico→ tre principali dimensioni a) crescita personale: il lavoro produce benessere quando pone di fronte sfide stimolanti, attivando un processo di apprendimento e il soggetto si sente nelle condizioni di applicare quelle risorse b) “fare” connesso ad avere uno scopo : i comportamenti sono fonte di crescita perché orientati a degli obiettivi e alla costruzione di significato di questo aspetto sembra essere determinante per la valutazione del benessere soggettivo c) significato sociale e comunitario: l’azione finalizzata, fonte di sviluppo e di crescita personale acquisisca un significato a livello sociale e comunitario. quetso racchiude l’idea che la realizzazione, per essere tale, si amplifichi e riverberi nei contesti in cui prende forma. quindi in sintesi, il benessere eudaimonico tiene insieme: esperienza soggettiva dimensione valoriale e motivazionale azione organizzata funzionamento psicofisico da un pdv psicologico il benessere eudaimonico risponde ai bisogni umani: Maslow li ha raggruppati secondo livelli diversi ➔ fisiologico ➔ sicurezza ➔ autostima ➔ appartenenza ➔ autodeterminazione l’esperienza di questo tipo di benessere racchiude in sé una sensazione di realizzazione e pienezza facendo emergere natura implicita minimale e ordinaria: un complesso di pensieri,azioni e abitudini che costellano il costruirsi quotidiano del lavoro attraverso i piccoli dettagli, andando a mappare la vita lavorativa attraverso un senso di normalità. il giusto benessere come relazione di senso tra: - si tratta di un’ agire individuale finalizzato, con il contesto e l’armonia che si crea in questa processualità (psicologicamente parlando) - contesto : ciò che è centrale dunque non è un’astratta dimensione etica ma la possibilità di sperimentarsi in modo coerente rispetto ai significati che la persona dà al mondo dentro l’azione che il lavoro richiede. si apre così un orizzonte in cui il benessere è l'esito di un movimento circolare: per manifestarsi deve avvenire un’integrazione tra il sé verso un ordine significante esterno ma così facendo, la persona ha un impatto significativo sulla dimensione esterna. dunque, se non c’è benessere nel contesto lavorativo è difficile che possa esserci un pieno benessere individuale e viceversa. benessere lavorativo e giustizia sociale a) dimensione sistemica b) processo multidimensionale c) dimensione etica giustizia se prendiamo la dimensione sistemica da questo pdv il benessere lavorativo non dipende da risorse individuali astratte ma è un processo multidimensionale, concreto e situato e i percorsi di autodeterminazione prendono forma dentro una configurazione di forze. In tal modo la crescita personale, la capacità di rispondere positivamente ai vissuti di un disagio, viene iscritta in più complesse variabili socio culturali, organizzative e istituzionali. ciò che Farmer definisce violenza strutturale riguarda l’ingiustizia e la violazione che vengono riprodotte dal funzionamento sociale e organizzativo in sé, prima ancora di essere agite da attori specifici e identificabili. il benessere lavorativo dunque si manifesta all’interno di contesti organizzativi orientati alla giustizia e all’equità, se ciò non accade la capacità lavoratrice di sperimentare, a livello soggettivo e individuale, una condizione di appagamento, apre la via ad una condizione lavorativa paradossale, di sfruttamento. diversi studi riportano che i processi manipolatori perpetrati da un lato dall’azienda che manipola le emozioni individuali ai fini degli interessi aziendali dall’altro conducono al paradosso per cui sono le lavoratrici che sostengono, attraverso un investimento passionale, il proprio sfruttamento facendo sì che i soggetti accettino condizioni lavorative non dignitose in termini economici, relazionali e organizzativi. →psicologia critica di comunità a) contestualizzare il benessere b) benessere e giustizia le condizioni di un buon lavoro a) la libertà da minaccia è condizione necessaria al benessere lavorativo ma non sufficiente se non accompagnata dalla libertà di attivarsi in modo autodeterminato accogliendo responsabilità e scelte autonome. la cura delle relazioni dove l’organizzazione lavorativa deve sviluppare la capacità di adattarsi e corrispondere alla specificità di bisogni e talenti di ognuna. Questo “ambiente sufficientemente buono” è fisico e relazionale, coinvolge l’organizzazione degli spazi, come lo sviluppo di una specifica cultura della relazione. b) l’ appartenenza è intesa come la cura delle relazioni combinata a una cultura di senso del lavoro e dell’identità lavorativa, favorisce il senso di appartenenza e di partecipazione. l’appartenenza funziona come la resistenza all’alienazione sociale e facilita i processi legati al benessere al lavoro. c) una certa attenzione va posta alla capacità delle organizzazioni di esplicitare i propri valori ma per avere un impatto reale è necessario che vi sussistano politiche capaci di collegare valori identitari a pratiche precise d) Lo stile di leadership gioca un ruolo centrale dove la dimensione valoriale costruisce una trama quotidiana e crea uno specchio nel quale è possibile rispecchiarsi. e) partecipare ai processi fa sì che chi lavora si percepisca un soggetto attivo nella costruzione di una dimensione valoriale all’interno dell’organizzazione. è interessante notare come, in queste circostanze, i valori funzionino da contratto sociale, mentre le relazioni fondano appartenenza, identità sociale e scopo condiviso. Parte IV: Popolazioni gli squilibri di genere nel e sul lavoro: le disuguaglianze di genere nel mondo del lavoro sono ancora presenti e persistenti. una prima ragione alla base della persistenza ha a che fare con il carattere di invisibilità che spesso connota gli squilibri e le discriminazioni legate al genere. questa invisibilità che riguarda le pratiche, spesso informali che definiscono un diverso accesso di potere ai network e agli spazi decisionali delle organizzazioni. una seconda ragione è la convinzione di alcuni che il percorso verso assetti di genere più stabili ed equi sia ormai già avviato e che il suo pieno raggiungimento è solo una questione di tempo. c’è inoltre una terza ragione che è stato definito assunto della massa critica. Si tratta della convinzione secondo cui, una volta raggiunto l’equilibrio di genere nella composizione quantitativa della forza lavoro le disuguaglianza sarebbero venute meno. Tuttavia numerose ricerche indicano che i numeri non sono sufficienti per garantire piena parità e anche laddove si registra un equilibrio nella composizione a livello quantitativo tra i generi, gli ostacoli all’equità non sempre vengono meno. in sintesi: squilibri di genere : invisibilità degli squilibri → credenza del superamento degli squilibri ( c’è chi lo ritiene argomento superato) assunto della massa critica (quant. forza lavoro) alcuni di questi fenomeno di squilibrio possono essere ricondotti ad un'asimmetria sviluppatasi già a partire nel sistema di produzione fordista e presente ancora oggi: divisione tra la sfera pubblica della produzione- tradizionalmente vista come di dominio maschile - e quella privata della riproduzione che include il lavoro familiare e di cura- solitamente associata alle donne. quello della conciliazione tra vita personale e lavorativa resta tutt’oggi un nodo centrale rispetto alla presenza delle donne nel mercato del lavoro. le asimmetrie assumono diverse forme: segregazione di genere: riferimento alla diversa concentrazione degli uomini e delle donne in differenti ambiti o posizioni segregazione orizzontale: fenomeno della tipizzazione di genere delle professioni e dei settori che trova le sue radici in culture di genere che attribuiscono diversi compiti e competenze tra uomini e donne, cui spesso si associano diversi riconoscimenti sociali. segregazione verticale: riferimento allo squilibrio nella presenza di donne e uomini in diverse forme organizzative, un fenomeno spesso descritto attraverso la metafora del “tetto di cristallo” che sottolinea come al salire dei ruoli di responsabilità la presenza delle donne si contrae o del “pavimento appiccicoso” che fa riferimento alla maggiore permanenza delle donne in ruoli più bassi. segregazione contrattuale: ci si riferisce alla diversa distribuzione di genere nelle tipologie contrattuali in particolare quelle denominate “atipiche”, dove la presenza femminile appare sovrarappresentata che presentano maggiori criticità in termini economici, previdenziali, di sviluppo professionale ecc. una terza articolazione nelle forme di disuguaglianza di genere si può individuare nei fenomeni di discriminazione, vale a dire la presenza di comportamenti non paritari nei confronti dei lavoratori o delle lavoratrici: divari retributivi: gender pay gap con cui si fa riferimento sia alla diversa retribuzione a parità di posizione, sia in senso più lato di divario nelle retribuzioni di donne e uomini che tende a tradursi in un divario previdenziale sottostimata rappresentazione delle donne nei cosiddetti settori della STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica) infine è utile ricordare come le diverse forme di disparità presentino anche una dimensione intersezionale ovvero spesso si manifestano con altre forme di diseguaglianza quali l’appartenenza etnica, la classe, l’età, l’orientamento sessuale ecc. adottare una prospettiva intersezionale consente di mettere in evidenza come le diverse articolazioni identitarie possano dare origine a forme specifiche di discriminazione. teoria del doing gender : teoria in cui il genere viene descritto come una “routine, un adempimento metodico e ricorrente” dove il questo viene “messo in atto” evidenziando la dimensione “strutturante” , dunque si guarda al genere come “sistema di azione”. questa chiave di lettura viene usata per osservare le asimmetrie di genere mettendone a fuoco i diversi livelli: individuale (micro), organizzativo (meso), istituzionale (macro). questi tre diversi livelli hanno una natura interdipendente e multidimensionale. 34 livello micro : riferimento agli aspetti legati all’individuo. a tale livello sono di interesse gli studi che indagano la auto-promozione e negoziazione delle donne, mostrando come queste siano generalmente meno propense rispetto agli uomini a richiedere al proprio datore di lavoro un aumento di stipendio perchè tendenzialmente sottostimano le proprie competenze professionali e capacità di negoziare. altri di questi, sul lato della domanda, studi dimostrano come le donne abbiano una minore probabilità di essere selezionate e promosse a parità di caratteristiche lavorative degli uomini a causa degli stereotipi e aspettative di genere , secondo cui le donne sarebbero meno capaci e competenti sul lavoro. livello meso: riferimento alle caratteristiche del contesto organizzativo e del contesto familiare di appartenenza agite più o meno consapevolmente. A tale livello le aziende possono trasformarsi in uno scenario di processi di stereotipizzazione, ovvero di assimilazione delle caratteristiche di una persona a ruoli stereotipati legati al genere. Un ulteriore elemento centrale nella produzione di disuguaglianze a livello meso attiene ai modelli di lavoro dominanti, in altre parole : “ idea del lavoratore ideale” che le organizzazioni presuppongono e incoraggiano a rimanere “maschilizzato” che porta ,poi, alla consolidazione di network di lavoro; si intende dire con ciò che il lavoratore viene visto come più propenso a poter creare rapporti tra i componenti dell’organizzazione anche al di fuori dell’orario di lavoro in modo da rafforzare i legami e migliorare il livello di produzione lavorativa dato da una maggiore collaborazione e senso di unità tra i membri del gruppo. le donne invece vengono poste in una posizione marginale rispetto al costruirsi di questi network dove, per evitare l’emergere di queste, la loro opinione viene omessa nelle decisioni dell’azione di un certo gruppo. Altre conseguenze possono emergere anche da sistemi come “l’effetto matilda” che tratta del sistematico mancato riconoscimento dei successi dati dal contributo femminile attributi ai colleghi uomini, per via della maggiore visibilità e posizione gerarchica. Infine gli approcci che osservano il livello meso includono anche la divisione del lavoro fra i partner e la dinamiche di negoziazione che avvengono nei contesti familiari livello macro : fa riferimento alla dimensione istituzionale ovvero all’impatto delle strutture del mercato del lavoro, degli attori istituzionali, delle norme e delle politiche all’interno di specifici contesti sull’occupazione femminile. Esping- Andersen identifica tre tipologie di stato sociale che influenzano le caratteristiche del lavoro e in particolare la partecipazione femminile stato social democratico nordico: si connota per un costante investimento pubblico sull’equità di genere e in particolare sull’occupazione femminile regime liberale anglosassone: i servizi di cura e conciliazione sono demandati al mercato regime corporativo conservatore continentale: caratterizzato da un modello di famiglia tradizionale, dalla scarsa presenza di servizi di cura e dove il lavoro femminile non viene incentivato. caso particolare del regime corporativo: welfare mediterraneo che presenta un’ulteriore accentuazione del carattere familistico delle politiche. caratterizza anche l’italia per la limitata offerta di servizi pubblici a supporto. nel corso dei secoli il posizionamento femminile a livello gerarchico familiare subisce una leggera trasformazione nel momento in cui, con l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro il concetto del “breadwinner” viene condiviso tra uomo e donna (nonostante le donne siano maggiormente poste in una fascia contrattualista di tipo “atipica”. Rimane dunque la tipizzazione legata alla donna in quanto figura detentrice degli oneri della cura familiare, ed è proprio per questa ragione che molte misure di welfare sono indirizzate maggiormente alla donna più che all’uomo. Gli immigrati Sayad descrive l’immigrazione come lo specchio della società. anche per questo caso si presentano tre livelli di analisi micro : vede gli immigrati come attori economici chiamati a decidere se andare ad investire altrove la propria capacità lavorativa e poi protagonisti di strategie di inserimento occupazionale e di mobilità professionale; meso : vede le imprese come microcosmi in cui gli immigrati mettono alla prova sia la capacità inclusiva dell’organizzazione, sia quella di gestire la crescente eterogeneità del personale e il favorire del suo sprigionarsi performativo macro : vede gli immigrati particolarmente coinvolti nelle dinamiche di trasformazione dei sistemi sociali e di produzione e nelle loro ricadute sui lavoratori e sulle lavoratrici, rendendoli dei soggetti paradigmatici di come le differenze e le disuguaglianze sociali impattano sul mondo del lavoro. La presenza di persone con background migratorio sta diventando una parte normale e stabile dell'organizzazione del lavoro, anche in settori finora poco coinvolti. Il mondo dei migranti è molto vario, sia per le caratteristiche personali che influenzano il loro comportamento nel mercato del lavoro, sia per gli aspetti che definiscono la loro "diversità". L'immigrazione verso l'Italia si è distinta fin dall'inizio per un'alta presenza femminile: le donne sono sempre state una componente importante dei flussi migratori legati al lavoro e rappresentano la maggioranza negli ingressi per motivi familiari. l’immaginario collettivo, in generale, ha visto via via rafforzarsi la sua eterogeneità dal punto di vista etnico, culturale, linguistico e religioso. gli immigrati regolari sono inseriti all’interno di un sistema di stratificazione civica, ovvero all’interno di sistemi di disuguaglianze basati sulla relazione tra lo stato e le diverse categorie di immigrati e di diritti che sono di conseguenza loro riconosciuti o negati. la collocazione nei sistemi di stratificazione civica dipende anche dalla relazione tra immigrazione, regimi di cittadinanza e gradi di accessi ai diritti. In questo contesto occorre sempre tenere a mente che l’immigrazione clandestina (immigrati irregolari) è un’ importante elemento che ha portato nell'inserirsi di questi in tutta quella fetta del mercato del lavoro detto “sommerso” che porta con sé tutta una serie di caratterizzazione di tale condizione lavorativa come una privazione di diritti e assicurazioni relative alla mansione svolta all’interno dell’organizzazione. Al principio della vicenda migratoria, la quota prevalente degli ingressi è di norma rappresentata dai migranti economici giunti attraverso specifici schemi migratori o accordi coi paesi di origine, oppure regolarizzatisi ex post attraverso vie sanatorie. rientrano anche i lavoratori stagionali (titolari di permesso di soggiorno della durata di pochi mesi), i lavoratori ad alta qualificazione. un’altra un’altra caratteristica presente fin dall’avvio del flusso migratorio in italia ovvero il carattere composito dell’immigrazione dal punto di vista della provenienza nazionale che ha visto di conseguenza uno straordinario arricchimento del panorama linguistico e l’affermarsi di una geografia religiosa molto complessa. da specificare che vi sono altri tipi di ingressi dati da ragioni di ricongiungimento familiare o i richiedenti asilo, che negli ultimi anni, sono cresciuti proporzionalmente in percentuale. Va da sé che questi tipi di ingressi e soggiorni non economici non siano direttamente funzionali alle esigenze della domanda di lavoro. In definitiva oltre che attraverso la front door costituita dagli schemi che regolano gli ingressi dei migranti economici e la back door dell’immigrazione irregolare, l’accesso al mercato del lavoro può avvenire attraverso la side door della migrazione per ragioni familiari e di protezione internazionale. A questi ingressi vanno aggiunti anche i differiti costituito dai discendenti degli immigrati che raggiungono all’età e/o escono dai sistemi formativi, le c.s. seconde generazioni costruzione sociale del mercato del lavoro degli immigrati C’è una minoranza di coloro che scelgono di investire in un luogo diverso da quello d’origine la propria capacità, fra questi fattori si possono ricordare: il senso di deprivazione relativa: emigrano coloro i quali avvertono uno squilibrio tra lo status nel momento in cui si confrontano con altri componenti del proprio gruppo di riferimento. esigenza di corrispondere ad una strategia familiare di diversificazione nell'impiego delle proprie risorse umane così da massimizzare i vantaggi ma soprattutto minimizzare i rischi diffusione di una cultura della migrazione capace di influenzare i valori e i comportamenti individuali finendo talvolta con il configurare la migrazione come un rito di passaggio che definisce l’assolvimento dei propri compiti verso la famiglia. la possibilità di attingere capitale sociale, ovvero alle risorse cognitive e normative, incorporato nelle reti sociali (i c.d. network etnici) che facilitano la migrazione e l’adattamento nel nuovo contesto la teoria dei network illumina il discorso sui percorsi di inclusione occupazionale dei migranti. L'embeddedness dell'economia nella società si manifesta, a un primo livello, attraverso le relazioni sociali. I contatti personali, con le loro caratteristiche e quantità, facilitano sia l'accesso al lavoro sia la crescita professionale. Per i migranti, queste reti rappresentano un doppio vantaggio: da un lato, offrono supporto diretto da parte di chi li ha preceduti, rafforzando la fiducia interna; dall'altro, mettono a disposizione la reputazione positiva che il gruppo ha costruito presso i datori di lavoro, generando fiducia esterna e agevolando l'integrazione nel nuovo contesto. un secondo livello di embeddedness è di tipo strutturale costituito appunto dalla struttura di opportunità accessibile ai migranti che li pone in una posizione di partenza svantaggiata (per una serie di ragioni, come status giuridico , status etnico ecc.) dove numerosi studi documentano come il fatto di appartenere ad una minoranza etnica costituisca una variabile penalizzante, esponendo membri di taluni gruppi a un po’ alto rischio di discrimanazione/esclusione. dal p.d.v. teorico un riferimento irrinunciabile è la teoria del mercato del lavoro duale che afferma che le immigrazioni sono determinate dal fabbisogno di forza lavoro delle economie più avanzate che può essere soddisfatto sia da migranti reclutati attraverso specifiche politiche, sia da altri arrivati tramite diversi canali, inclusi quelli irregolari dove, per le ragioni spiegate precedentemente, sono maggiormente adattabili e ricattabili. A rigenerare costantemente il fabbisogno di lavoro immigrato ha concorso anche il processo di etnicizzazione di profili professionali. Infine, si è già avuto modo di accennare all'abbondanza di opportunità occupazionali nel settore informale e sommerso , un fenomeno che, pur caratterizzando l’intero paese, presenta alcune peculiarità settoriali (es. edilizia, servizi a bassa qualificazione). Il lavoro in generale rappresenta, per gli immigrati come per tutti i cittadini, il principale ambito di inclusione e di partecipazione alla creazione del benessere collettivo ma anche il principale viatico per l’accettazione sociale e l’avvio di un percorso di "cittadinizzazione". ma esso può anche trasformarsi nello strumento di esclusione individuale e di comprensione nella coesione sociale. l’immigrazione dunque fa emergere delle criticità che è urgente aggredire per costruire un mercato del lavoro e un’economia che non siano solo più equi ma anche più competitivi. In maniera necessariamente schematica, riferendosi a tre livelli richiamati in apertura, si può segnalare la necessità: livello micro →I migranti rappresentano un modello emblematico del lavoratore moderno e delle finalità delle politiche volte a migliorare l’occupabilità. Essi incarnano, infatti, le sfide che riguarderanno tutti i cittadini, spingendo istituzioni e società civile a garantire strumenti per trasformare le risorse personali di ciascuno in reali opportunità di vita e lavoro. livello meso → incoraggiare le imprese ad una gestione consapevole delle risorse umane immigrate livello macro → ripensare a modelli di produzione e riproduzione sociale di global governance globale della mobilità umana secondo un disegno capace di tenere insieme la tutela dei diritti dei migranti e di tutti gli altri lavoratori. Giovani e lavoro Il tasso di occupazione giovanile è significativamente più basso rispetto a quello degli adulti, mentre il tasso di disoccupazione è il più alto in gran parte dei paesi europei. In Italia, le politiche di welfare hanno sostenuto i giovani e la loro occupazione meno efficacemente rispetto ad altri paesi. L’ingresso nel mercato del lavoro è influenzato dal ruolo della famiglia, che stabilisce tempi e flessibilità di accesso, agendo come elemento di segmentazione dell’offerta. Anche lo Stato incide su volume, caratteristiche e allocazione della forza lavoro attraverso normative come l’obbligo scolastico e l’età pensionabile. In Italia, l’inserimento lavorativo e il passaggio all’età adulta sono processi lenti e frammentari, dovuti a tre fattori principali: una formazione professionale poco collegata al mondo imprenditoriale, un mercato del lavoro polarizzato tra occupazioni stabili e temporanee, l’assenza di politiche di sostegno per giovani e famiglie. Le politiche di deregolamentazione parziale e selettiva, avviate dagli anni Ottanta, non hanno ridotto la disoccupazione giovanile e hanno aumentato il rischio di intrappolare i giovani in lavori precari, poco qualificati e mal retribuiti. In sociologia del lavoro, l'insicurezza lavorativa si distingue in due dimensioni principali: oggettiva e soggettiva. Insicurezza oggettiva Si riferisce alle condizioni materiali e verificabili che minacciano la stabilità lavorativa di un individuo. È una forma di insicurezza legata a fattori esterni e strutturali, come: Precarietà contrattuale: contratti a termine, lavori part-time involontari o temporanei. Rischio di licenziamento: dovuto a crisi aziendali, ristrutturazioni o cambiamenti del mercato. Assenza di protezioni: mancanza di garanzie sindacali o di strumenti di welfare (es. indennità di disoccupazione). L'insicurezza oggettiva è quindi misurabile e connessa a condizioni economiche e politiche del mercato del lavoro. Insicurezza soggettiva Riguarda la percezione individuale di vulnerabilità e instabilità lavorativa, indipendentemente dalla situazione contrattuale reale. È influenzata da fattori psicologici, sociali e culturali, come: Ansia per il futuro: timore di perdere il lavoro o di non riuscire a trovare un’occupazione migliore. Valutazione delle opportunità: senso di inadeguatezza rispetto alle competenze richieste dal mercato. Influenza sociale: contesto familiare o ambientale che amplifica la percezione di precarietà. L'insicurezza soggettiva può essere presente anche in persone con contratti stabili, poiché legata alla paura di cambiamenti lavorativi o alla difficoltà di adattarsi a nuove richieste. Caratteristiche e relazioni Interconnessione: Le due forme di insicurezza spesso si sovrappongono. Ad esempio, un contratto precario (insicurezza oggettiva) può alimentare sentimenti di ansia e sfiducia (insicurezza soggettiva). Impatto sociale: L’insicurezza lavorativa, in entrambe le forme, può portare a conseguenze negative, come stress, riduzione del benessere, difficoltà di pianificazione familiare e limitazione della partecipazione sociale. Riflesso delle disuguaglianze: L’insicurezza lavorativa è più accentuata tra giovani, donne e lavoratori meno qualificati, riflettendo le disuguaglianze nel mercato del lavoro. In sintesi, l'insicurezza lavorativa è una dimensione chiave nella sociologia del lavoro, poiché riflette il grado di vulnerabilità degli individui nel mercato occupazionale e il loro rapporto con le trasformazioni economiche, sociali e culturali. Conseguenze sulla transizione alla vita adulta Nell'ambito della sociologia del lavoro, la transizione alla vita adulta comporta conseguenze significative, legate al passaggio dall'istruzione al mercato del lavoro e alla conquista di autonomia personale ed economica. Queste conseguenze si articolano in diversi aspetti: Prolungamento del processo di transizione Ritardo nell'ingresso nel mercato del lavoro: causato da una maggiore durata del percorso formativo e da difficoltà di accesso a un’occupazione stabile. Dipendenza economica dalla famiglia: i giovani rimangono a lungo legati al sostegno familiare, rallentando il raggiungimento dell’indipendenza. Precarietà lavorativa Lavori temporanei e scarsamente qualificati: i giovani incontrano ostacoli nel trovare occupazioni stabili, finendo spesso in posizioni precarie e poco remunerative. Polarizzazione del mercato del lavoro: divisione tra lavoratori con contratti stabili e coloro che vivono in condizioni di insicurezza. Impatto sulla pianificazione della vita Ritardo nella formazione di una famiglia: la precarietà lavorativa e la dipendenza economica posticipano decisioni come matrimonio e figli. Difficoltà di mobilità sociale: l’instabilità lavorativa rende più arduo migliorare la propria posizione sociale ed economica rispetto alla generazione precedente. Conseguenze psicologiche e sociali Stress e insicurezza: l’incertezza lavorativa genera ansia, insoddisfazione e una percezione negativa del futuro. Rottura del patto generazionale: i giovani percepiscono una mancanza di opportunità e un sistema che non risponde ai loro bisogni. Ruolo delle istituzioni e della famiglia Assenza di politiche efficaci: la mancanza di sostegno da parte di istituzioni e politiche del lavoro rallenta il processo di transizione. Funzione compensativa della famiglia: la famiglia agisce come rete di sicurezza, ma questo ruolo può accentuare disuguaglianze sociali. In sintesi, la transizione alla vita adulta, influenzata da precarietà lavorativa e mancanza di politiche di sostegno, è sempre più lenta e frammentata, con conseguenze sia individuali che sociali sul benessere e sulle prospettive dei giovani. I lavoratori maturi Nella sociologia del lavoro, i lavoratori maturi rappresentano una fascia di popolazione in età avanzata che si trova ancora attiva nel mercato del lavoro. Questa categoria è centrale nell’analisi del prolungamento della vita lavorativa, fenomeno determinato sia da necessità economiche che da scelte personali. L'uscita dal mercato del lavoro può essere involontaria, ad esempio a causa di licenziamenti, discriminazioni legate all’età, o problemi di salute, oppure volontaria, quando i lavoratori decidono di rimanere attivi per soddisfazione personale, per mantenere un ruolo sociale o per ragioni economiche, come la necessità di integrare una pensione insufficiente. Nel contesto italiano, il prolungamento della vita lavorativa è influenzato da diverse dinamiche strutturali: il graduale innalzamento dell’età pensionabile imposto dalle riforme previdenziali, una rete di welfare limitata e il persistente gap tra domanda e offerta di lavoro per i più giovani, che rende necessaria la presenza prolungata dei lavoratori maturi. Tuttavia, in Italia spesso mancano politiche efficaci per il reinserimento o l’aggiornamento di questa categoria, aggravando le disuguaglianze nel mercato del lavoro. I lavoratori maturi rappresentano quindi un punto di equilibrio complesso tra la necessità di sostenere la produttività e la sfida di garantire una transizione dignitosa alla pensione.