Scienze dell’educazione 2024/2025 PDF

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This document, titled "Scienze dell’educazione 2024/2025." by Teresa Lo Nardo, discusses the pedagogical aspects of play in early childhood education. It examines the importance of play in the development, and the role of educators and institutions in creating engaging and supportive environments for children aged 0-6. The document emphasizes the integration of educational and developmental approaches.

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Teresa Lo Nardo Scienze dell’educazione 2024/2025 Docente: Compagno G. DIDATTICA DEL GIOCO CAPITOLO 1: GIOCO,...

Teresa Lo Nardo Scienze dell’educazione 2024/2025 Docente: Compagno G. DIDATTICA DEL GIOCO CAPITOLO 1: GIOCO, CULTURA, EDUCAZIONE 1. PROGETTARE E VALUTARE PERCORSI EDUCATIVO – DIDATTICI 0-6 Il Sistema Integrato di Educazione e di Istruzione prevede che, a tutte le bambine e i bambini dalla nascita e i sei anni, vengano garantite pari opportunità, di poter sviluppare potenzialità di relazione, autonomia, creatività e apprendimento annullando disuguaglianze e superando barriere di ogni tipo: economiche, territoriali etniche e cultura. Con la nascita del sistema integrato, 0-6,inoltre, viene riconosciuto a tutti i luoghi dediti all’accoglienza dei bambini nella suddetta fascia d’età, un carattere educativo complementare e interazionale con l'azione educativa delle famiglie nelle loro diversità di funzionamento specificità e della loro missione educativa. Sia il nido che la scuola dell'infanzia prendono vita dalla letteratura scientifica secondo la quale la prima infanzia presenta forti potenzialità di sviluppo e che i bambini devono essere considerati come soggetti di diritti. Sono da considerare come luoghi di vita quotidiana ricchi di occasioni, non solo di gioco, ma anche di scoperta e di socializzazione tra coetanei , deve essere un ambiente sereno e dove i diversi ritmi evolutivi di ogni bambino vengano rispettati, oltre la socializzazione tra coetanei avviene la nascita anche di rapporti duraturi con altri adulti, della sfera extrafamiliare. La cultura pedagogica e la progettazione dei servizi di prima infanzia mirano tendenzialmente dunque alla salute sociale e ad il benessere dei bambini e delle famiglie poiché la cura della salute del benessere del bambino si rispecchia , si amplifica e si traferisca anche nella sfera familiare. Devono mirare ad una concreta esperienza di crescita basata su stili di vita sani, basati sul far sentire il bambino partecipe di una comunità, che si occupa e si preoccupa dei propri componenti dove siano garantite pari opportunità di sviluppo nel rispetto delle diversità individuali culturali e religiose. Le strutture che accolgono la prima infanzia devono avere come finalità principale quella di accogliere il bambino nella sua globalità in un ambiente ricco e funzionale dove attraverso la costruzione di relazioni significative sia con adulti che con il gruppo dei pari si avvii in maniera armoniosa il complessivo processo di crescita del bambino. Diversi studiosi italiani tra cui Pati, Simeoni, Zannini ecc.., evidenziano l'interdipendenza tra il concetto di cura e il concetto di educazione, dove curare nel senso di “to care” si configura non soltanto come lavoro per una guarigione ma anche come presa in carico della persona della famiglia e della situazione finalizzata ad un cambiamento attraverso il processo di una nuova progettualità. Risulta palese dunque che la cura, la valorizzazione di un ambiente capacitante partecipativo, la progettazione di percorsi educativo didattici in modo da garantire a ciascun bambino la possibilità di crescere sul piano personale e sociale diventino le condizioni senza le quali è impossibile assicurare la realizzazione di progetti educativi in corrispondenza delle indicazioni nazionali per il curriculo. La giornata educativa del bambino prevede l’alternanza tra momenti di routine e momenti di gioco individuale e di gruppo. Educatori ed insegnanti devono sempre prestare attenzione e offrire cura non solo ai bambini ma anche agli ambienti. Ambiente che devono essere strutturati in modo da favorire non solo una piacevole permanenza ma rispondendo anche al bisogno di sicurezza e di cura autonomia e protezione di movimento e di gioco. Il processo di progettazione dunque deve tenere conto sia di tutti gli elementi che agiscono direttamente e indirettamente sulla vita del bambino, promuovendo una continuità tra il lavoro fatto dentro l'istituzione educativa e quello fatto all'esterno con la famiglia e le altre realtà educative e sociali. Persone e realtà che orbitano intorno e interagiscono con il bambino devono a loro volta interagire tra di loro, costruendo un percorso dove le diverse esperienze siano collegate. Il servizio integrato, per poter assolvere a tutte queste funzioni, necessita dell’apporto della ricerca scientifica, che fornisce un’ immagine sempre attuale e rinnovata dell'infanzia. 2. PER UNA CULTURA DELLA PRIMA INFANZIA Il diritto al processo educativo restituisce ad ogni bambino il senso profondo del suo essere persona. il bambino non viene più percepito come un organismo che reagisce agli stimoli ambientali ma un essere attivo che si interroga, osserva, modifica, lascia e si lascia intenzionalmente significare dall'ambiente, trova in se stesso il principio delle proprie azioni ed è aperto alla relazioni. Nella fase iniziale del suo sviluppo ha bisogno di qualcuno che l'aiuti ad apprendere come si diventa liberi e responsabili dei propri atti. Questa conquista cognitiva si realizza soltanto in relazione con gli altri. In relazione con gli altri è così che si conquista la propria identità personale, culturale. L'esigenza educativa e formativa dell'essere umano, inteso come persona, si possono dunque riassumere nell'acquisire il senso della propria identità personale, coltivare le proprie caratteristiche originali, cogliere il senso della propria dignità, comprendere il valore delle altre persone con cui ci si relaziona agire liberamente e responsabilmente nella costruzione del proprio progetto esistenziale del bene comune. Il bambino emerge come attore protagonista della propria crescita dotato di “Agency” ( agentività: capacità di poter controllare il proprio comportamento). Il bambino è così un soggetto intenzionale che svolge un ruolo attivo nella costruzione dei contesti sociali nel quale vive. La convenzione dei diritti sull'infanzia dell’ONU del 1989, fa sì che il bambino non venga più inteso come oggetto di tutela ma come soggetto di diritti. Diritti che guardano all'autodeterminazione e all'autonomia del bambino che si attuano attraverso l'autonomia di scelta dei propri stili di vita, attraverso la partecipazione diretta ai processi decisionali della società. Tutto ciò fa sì che venga riconosciuto, a tutti i bambini, il diritto ad un'educazione che miri a dar voce alle loro specificità, alle loro facoltà e potenzialità così da prepararli ad assumere le responsabilità della vita in una società libera. Contestualmente la ricerca scientifica , da una parte ha dimostrato la complessità e la specificità dei primi comportamenti infantili, segnalando la presenza di bisogni irrinunciabili; dall'altra ha evidenziato la necessità di controllare e verificare l'efficacia di particolari progetti e strategie educative. Numerosi studi e ricerche sui temi dell'engagement ( coinvolgimento emotivo, capacità di instaurare relazione ed interazioni) e dell'agency (spiegato in precedenza) rilevano nella progettazione e nella valutazione le azioni strategiche che permettono a ciascuna persona di raggiungere la propria eccellenza personale in un clima sereno e capacitante. La progettazione educativa didattica dovrebbe garantire ad ogni bambino la possibilità di crescere e partecipare sul piano personale e sociale in modo da divenire un cittadino attivo e consapevole. Anche il sistema di istruzione e quello politico hanno capito l'importanza di ciò. Ecco il perché dell'istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione 0-6 ciò è evidente che l’obiettivo consiste nel voler fornire un'educazione di qualità equa e inclusiva e opportunità con pratiche didattiche e di qualità partecipative e inclusive. Da marzo 2021 la strategia dell'unione europea, per i diritti dei bambini, prevede sei aree tematiche che spaziano dalla lotta alla povertà, alla partecipazione al settore civile, ai rischi e alle opportunità del mondo digitale, Nello stesso periodo venne adottata la “European child guarantee” un programma che mira a contrastare la povertà e l'esclusione sociale. Il panorama italiano ha offerto una serie di esperienze educative interessanti e significative che ci consente di avere oggi progetti educativi di grande rilevanza che vengono riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale. Al nido va riconosciuto il merito di aver introdotto elementi di trasformazione dei modelli culturali relativi alla prima infanzia e di aver creato una maggiore consapevolezza delle potenzialità cognitive affettive e sociale dei bambini; questo grazie all'interesse nato intorno ai temi dello sviluppo infantile nel mondo della ricerca educativa. In Italia la riflessione sui servizi educativi si sviluppò di pari passo con gli studi sulla realtà infantile i servizi educativi italiani. Negli anni 70 del secolo scorso, momento di grande fermento culturale e politico, grande attenzione era rivolta ai servizi sociali al lavoro femminile e a tutte le forme di partecipazione democratica. A partire dagli anni 70 quindi come sottolinea Becchi si avvia una pedagogia della primissima età. Essa prende il via con la legge numero 1044 del 6 dicembre 1971 con la decentralizzazione dell’organizzazione dei sistemi educativi della prima infanzia. La presa in carico delle regioni e dei comuni dell'organizzazione dei servizi educativi della prima infanzia permise la realizzazione di servizi più vicini e più aderenti alle reali esigenze degli utenti del territorio. L’aver saputo connettere la comunità locale e aver saputo tenere relazioni diversi contesti di vita e di sviluppo fa sì che la ricerca indichi come fondamentali queste condizion, per la qualità e l'efficacia di un servizio educativo. Negli stessi anni si delinea un nuovo tempo dall'infanzia la collettività decide di creare luoghi deputati alla cura e all'educazione “care ed education”, concetti collegati e interdipendenti l’uno dall’altro. Diversi studi in Europa e negli Stati Uniti hanno fatto emergere l'esigenza fondamentale di un intervento formativo al di fuori della famiglia anche tra i più piccoli. Attivando fin dalla nascita competenze sociali precoci capaci di stabilire relazioni significative con familiari, e non ma anche con i coetanei. L'infanzia si conferma anzi si afferma come una stagione ricca di potenzialità che possono emergere soltanto in contesti adeguati. Le infinite possibilità di sviluppo e la complessità dell’infanzia sono sia la forza che la debolezza dei servizi di prima infanzia, queste due componenti garantiscono vitalità ma ostacolano la creazione di un'identità propria e riconosciuta. La prima prospettiva di tipo politico-sociale considera il servizio educativo di prima infanzia come il servizio la cui problematica rientra nel quadro delle politiche per l'infanzia e delle istituzioni. La seconda considera tale servizio un osservatorio privilegiato nel quale cogliere elementi inediti dello sviluppo infantile. La terza prospettiva sottolinea invece il carattere di istituzione formativa e di agenzia socializzante le cui pratiche educative sono guidate da una pedagogia che va riconosciuta e sorretta. In quest’ultima prospettiva gli adulti stanno accanto i bambini in continuo “fuori e dentro" il servizio educativo. Altro scopo fondamentale della ricerca della prima infanzia e la rapida diffusione di strumenti di rilevazioni. Rilevazioni che dovranno risultare coerenti con le situazioni e con i contesti educativi specifici. Proprio grazie al lavoro di rilevazione sono emerse nuove conoscenze sullo sviluppo dei processi educativi. Nonostante i continui tagli politici, la ricerca sulla prima infanzia è andata avanti grazie al lavoro di educatori, docenti e ricercatori mettendo a fuoco le connotazioni peculiari di un servizio educativo di qualità. 3. UNA CULTURA IN GIOCO Il gioco che sia esso strutturato o un'attività libera rappresenta un ambito privilegiato per lo sviluppo intellettivo, affettivo e sociale del bambino. Diventa significativo poiché sviluppa e potenzia capacità come la memoria, l'attenzione, la concentrazione, la formazione di schemi percettivi, la capacità di confronto e di relazione diventa uno strumento attraverso il quale sviluppare la creatività sperimentare i processi cognitivi da via anche allo sviluppo della sua personalità. Il gioco ha dunque un alto valore evolutivo poiché stimola cognitivamente il bambino e permette l'accesso al suo mondo interiore. Il gioco è parte integrante della formazione della persona è un diritto dunque inalienabile. Il bambino deve non solo dedicarsi ma avere anche l'abilità di poterlo fare in maniera adatta. Il gioco è dunque costruzione di significati e valore attraverso l'interazione sociale con gli oggetti e con i pari diventa costruzione significati a partire dalle esperienze effettuate nel mondo reale. Il gioco fornisce uno spazio di apprendimento. Può avvenire senza un'esplorazione e sperimentazione diretta. Favorisce anche la costruzione di opinione proprie. Il gioco è un'attività che dovrebbe accompagnare l'uomo in tutte le fasi della sua vita non soltanto nell'infanzia. L’articolo 31 della convenzione dell’ONU sui diritti dell'infanzia definisce il gioco un diritto, e come tale deve essere anche sul piano teorico, sanza sminuirlo o svalorizzarlo, asserendo anche alla necessità di metterlo al centro della relazione educativa. Il gioco se appunto lo consideriamo come luogo nel quale il bambino racconta autenticamente se stesso il mondo, il modo di vivere il mondo circostante, lo scambio relazioni tra pari in cui può esprimere la sua voce. Il gioco è un diritto non è solo un'attività tipicamente infantile ma esso appartiene ad una società che riconosce il rispetto all'infanzia come modalità tipica di partecipazione alla vita sociale e di contributo essenziale alla propria crescita. I processi correlati alla simbolizzazione, all’ identificazione complementare al processo di apprendimento e allo sviluppo di identità vengono nel gioco simulate e immaginate. Dinamiche di simbolizzazione nel quale il bambino sperimenta azioni nuove importanti e di stimolo alla propria crescita il bambino attraverso il gioco sperimenta riflette ricerche e scopro interiorizza le nuove esperienze e le nuove conquiste. Dunque il gioco nell'infanzia assume un compito di strumento educativo e conoscitivo della realtà come sottolinea Klein nel gioco si compiono complessi processi di identificazione di riconoscimento indispensabili per lo sviluppo psicologico e per la crescita interiore ogni gioco come dice Houzinga è un atto libero il bambino durante il gioco ha la possibilità di intervenire attivamente sugli elementi che lo circondano sia in assenza di trasfigurarla all'interno del proprio vissuto sia nel conseguente senso di modificarli per renderli più congruente con le proprie idee e i propri progetti sia ancora nel senso di costruire delle nuove esperienze delle nuove situazioni. Giocare con il bambino significa condividere insieme al bambino il piacere di giocare, vuol dire sostenerlo nell'ampliare arricchire le proprie attività e le proprie capacità, giocando si impara e si impara proprio giocando con un adulto che mostra di condividere il gioco e il piacere che ne deriva da ciò emerge il bisogno del bambino di imitare l'adulto di avere un modello di riferimento da cui partire per sviluppare la propria originale modalità di essere. La necessità la presenza e il ruolo dell'adulto cambiano a seconda dell'età del bambino tanto più è piccolo tanto più richiederà l'approvazione all'incoraggiamento. Incoraggiamento che deve essere interpretato come conferma di ciò che è giusto fare e se ciò che fa è giusto. Il ruolo dell'educatore nei primi due anni di vita è quello di promuovere verbalmente le regole dei giochi non tanto per comprendere, apprendere le regole del gioco piuttosto per adeguarsi al modello comportamentale. L'interesse dell'adulto è la base della motivazione infantile mentre la sua disponibilità è il rinforzo. Sono alla base dell'autonomia dello sviluppo del bambino. L'intervento dell'educatore deve essere programmato, procedurale, guidato da una consapevolezza delle proprie azioni. La costruzione di occasioni di gioco e di esplorazione richiede la capacità degli educatori di dotarsi di un'impostazione razionale proponendo attività che si trasformino in un percorso che favorisca l'integrazione delle singole esperienze tenendo conto dei tempi personali di apprendimento di ogni bambino. La formazione di tutti, docenti ed educatori, deve mirare a garantire la tutela dei diritti dei minori e a realizzare un'effettiva ed efficace azione educativa nonostante la legge Iori ha impresso un deciso miglioramento restano ancora migliorie da poter fare per punto di vista legislativo. 3.IL PROGETTO EDUCATIVO NEL SISTEMA INTEGRATO 0 -6. La legge 107 del 2015 e il decreto legge legislativo 65 del 2017 hanno ribadito il carattere educativo dei servizi infanzia essi devono garantire la possibilità di sviluppare le potenzialità di relazione, di autonomia, di creatività e apprendimento. Progettare un coerente lavoro didattico significa programmare una sequenza razionale e consapevole che tenga conto delle potenzialità e che possa favorire lo sviluppo del bambino in tutte le sue dimensioni intellettuali affettiva e volitiva. Il presupposto di partenza è quello di pensare al bambino come una persona , come soggetto unico e originale nella sua specificità e nei suoi bisogni personali, esso stesso deve prendere parte attivamente al proprio processo di crescita ed educativo. La finalità primaria del progetto educativo, quindi, deve essere la costruzione dell'identità persona del bambino in uno spazio extra familiare e con il confronto quotidiano con altri bambini e con altri adulti. Il concetto di voler aiutare gli altri non deve offuscare il carattere unico di ogni persona. L'educazione che oggi si chiede ai servizi educativi deve promuovere la persona, la personificazione del bambino, deve sapere mediare e sostenere, stimolare e attivare relazioni, deve dar vita a quelle strutture profonde su cui si regge la personalità della persona. La progettazione deve mirare a superare svantaggi fornire occasioni adeguate e risposte tempestive alle potenzialità di relazione, apprendimento, autonomia effettività, valorizzando l'identità personale di ogni bambino. Il progetto educativo didattico dovrà essere chiaro. Diviene un itinerario grazie al quale l'educatore, l'insegnante, l'adulto di riferimento dovrà accogliere, interpretare la complessità dell'esperienza di vita svolgendo un ruolo o una funzione di filtro arricchimento e valorizzazione di ogni esperienza fatta durante il progetto educativo. Inoltre il bambino nell'incontro con gli altri definisce l'alterità e contemporaneamente nasce l’'auto determinazione di se stesso. Cerca rispecchiamento nell'interazione con l'adulto e l'adulto deve ricordarsi che l'esperienza e l'attività sono fondamentali nella strutturazione della personalità del bambino. Le attività educative devono favorire un clima di accoglienza. Assumono particolare rilevanza i momenti del primo ingresso, nella struttura degli scambi comunicativi armoniosi tra operatori, genitori e bambini, la messa in chiaro delle finalità educative. Le attività devono riguardare le esperienze psicomotorie, grafico-pittoriche, manipolazione, costruzione di gioco, di finzione e di assunzioni di ruoli di narrazione al fine di favorire l'attivazione integrata di relazioni, affetti, competenze e conoscenze. Deve inoltre prevedere anche un mix tra vita quotidiana e attività giornaliere che favoriscono l'acquisizione di rapporti stabili con se stessi e con gli altri. L'ambiente gioca un ruolo fondamentale poiché anche l’ ambiente crea trasformazione, innovazione, scoperta e comunicazione. Gli spazi devono essere definiti organizzati per permettere ai piccoli di muoversi, e sperimentare in maniera autonoma ma anche per permettere le interazioni tra coetanei, coppie o grandi gruppi. Gli educatori devono saper dove vogliono andare i bambini e valutare se la direzione intrapresa corrisponde con il percorso educativo. Progettare fa sì che tutto si svolga seguendo una sequenza razionale e consapevole di interventi tenendo conto delle potenzialità dei bambini, fornisce la base teorica per un modello di funzionamento , di organizzazione del lavoro degli educatori e dei docenti indicando non solo regole ma anche la modalità di interpretare il proprio ruolo all'interno della progettazione educativa. Un progetto educativo di tutto rispetto e che tenga conto della molteplicità e delle variabili operazionali relazionali deve partire appunto da alcuni interrogativi: come, che cosa orienta l'intervento educativo? quali finalità? quali risultati ? quali competenze sviluppare? qual è il modo più efficace per indirizzare la propria azione?. La capacità di porsi questi quesiti oltre alla capacità di mettere in discussione il proprio operato sta a significare l'avvenuta trasformazione concettuale e metodologica dell'educazione. Tali interrogativi possono essere sintetizzati in quattro aspetti fondamentali: 1. L'analisi della situazione di partenza: conoscere bene il bambino, le risorse umane e materiali, l'ambiente sociale e culturale in cui il nido opera. Nessuno di questi punti va trascurato bambino, risorse, famiglie, territorio e l'ambiente ecco su cosa si deve focalizzare l’analisi iniziale. 2. La definizione degli obiettivi: le finalità generali, gli obiettivi per ciascun bambino un percorso privato di obiettivi definiti è un percorso cieco in balia del caso e dell'abitudine. 3. La scelta di metodi e contenuti: una volta definiti gli obiettivi va appunto deciso cosa è meglio fare e con quale continuità , tempi e spazi, la stabilizzazione di certi rapporti con la famiglia e altre istituzioni. Tutto ciò va fatto con lo scopo appunto di mettere il bambino comunque sia a suo agio e a contatto continuo con attività e ambienti che generano in lui piacere e soddisfazione. 4. La valutazione dei risultati del processo: la valutazione appunto è necessaria perché si realizzi una vera e propria documentazione che rappresenti la condizione per la continuità nel tempo dell'azione educativa e la sua memoria storica. Una valutazione o un progetto educativo senza documentazione non ha futuro. 4. Questi quattro aspetti sono legati circolarmente tra loro, diventano uno premessa e conseguenze dell'altro. Anche la scelta di strumenti adeguati per la progettazione è significativa per la riuscita di un percorso educativo, di apprendimento e di sviluppo adeguato. 4. LA VALUTAZIONE EDUCATIVA NEL SISTEMA INTEGRATO 0 -6. Il sistema integrato 0-6 comprende nidi e micronidi per bambini tra i 3 e i 36 mesi, si differenziano per capacità ricettiva, dinamica di funzionamento. Abbiamo poi servizi integrati caratterizzati da un’organizzazione flessibile. Ed inoltre scuole dell'infanzia statali paritarie e private. A ciò si aggiungono anche le novità dei poli per l'infanzia. Novità introdotte dal decreto legislativo 65 /2017 che organizzano i programmi e i progetti educativi e pedagogici in un'ottica continuativa senza distinzione tra il tratto 0-3 e3-6. Il decreto legislativo 65/2017 garantisce a tutti i bambini e bambine indistintamente dal sesso pari opportunità di sviluppo delle proprie potenzialità, sviluppo integrale, l'autonomia, creatività, relazioni con l'altro e scoperta del mondo, superando disuguaglianze e barriere. L'organizzazione e la strutturazione degli spazi educativi per l'infanzia deve ridurre gli svantaggi sociali culturali favorendo la partecipazione di bambini e delle loro famiglie, aumentando la qualità dei servizi. Una maggiore formazione agli educatori e agli insegnanti ma anche qualità vocazionali. Due linee guida emanate tra dicembre 2021 e marzo 2022 segnano un'importante documentazione chiave per lo snodo del funzionamento del sistema integrato sono: Le linee pedagogiche per il sistema integrato 0- 6 e Gli orientamenti nazionali per lo 0-3 in entrambi i documenti è dedicata grande attenzione a temi come il diritto all'educazione di qualità fin dalla primissima infanzia, la costruzione di un curriculum unitario dando continuità, il coinvolgimento attivo delle famiglie, la concezione di intercultura, la necessità di formazione in itinere mirata e sistematica, l'osservazione, documentazione, valutazione e la promozione di contesti educativi prosociali capaci di dare centralità ai bambini e valorizzarne l'unicità e la singolarità, sostenere la ricerca per modificare l'agire educativo, il ruolo, l'organizzazione e l'importanza dello spazio e del tempo. La valutazione sia a livello internazionale e nazionale è diventato lo strumento diciamo più qualificativo qualificante con una funzione formativa anche per le pratiche educative, la strutturazione e l’organizzazione educativa. La valutazione ha come scopo il divenire guida per la prassi, la sua finalità è promuovere, giustificare e saper sfruttare al meglio la capacità decisionale. In maniera consapevole e deliberata la valutazione pedagogica dunque si configura sia come mediazioni tra persone che come divulgazione dei saperi disciplinari e professionali. La parola valutazione richiama in maniera quasi naturale le parole : prova, rigore trasparenza e democrazia. La valutazione in chiave docimologica ci rimanda ad una questione di precisione metodologica di cui i bambini hanno bisogno ed una valenza che ci rimanda ai valori dell’universalismo e dell'uguaglianza, realizzando l'uguaglianza educativa grazie alla quale tutti hanno diritto a poter seguire le proprie traiettorie di sviluppo. Anche la valutazione deve avere degli obiettivi, deve porsi delle mete che possano orientare le persone verso uno sviluppo globale in modo che possano acquisire competenze, conoscenze, abilità, strategie e che maturino un atteggiamento positivo e la fiducia in se stessi. Dunque la valutazione va intesa come una supervisione sistemica dell'apprendimento e della crescita educativa della persona e può considerarsi come una vera e propria operazione di distribuzione di valore a fatti, eventi e oggetti in relazione agli scopi che colui che valuta intende perseguire; valutare significa anche porre in atto un vero e proprio processo di attribuzione di valore a qualcosa per poterla promuovere o inibire in relazione agli scopi che si va da vuole perseguire. Dal punto di vista educativo la valutazione è un elemento fondamentale per le progettazioni didattiche in cui si determina e verificano i reali livelli di apprendimento e di crescita del bambino rispetto alle competenze da promuovere. L'articolo 1 del decreto legge 61 del 2017 sottolinea che la valutazione ha per oggetto il processo formativo e i risultati di apprendimento degli alunni ha finalità formativa ed educativa concorre al miglioramento non solo dei processi di apprendimento ma anche quelli di insegnamento trattandosi comunque sia di un intervento educativo oltre che la conoscenza bisogna tenere in conto anche la comprensione che rimanda alla relazione interpersonale tra educatore e bambino basata sul rispetto e sull'ascolto reciproco. Il processo valutativo dunque per dirla come direbbe Dewey diventa esso stesso un vero mezzo procedurale per valutare la riuscita dell'azione educativa. Condizione fondamentale per permettere tutto ciò è che educatori ed insegnanti devono avere adeguate competenze docimologiche. 5.LA VALUTAZIONE EDUC. PER LA VALORIZZAZIONE DELL’UNICITÀ DEL BAMBINO. Negli ultimi anni la valutazione ha fatto sì che l'attenzione si concentrasse più sul processo educativo e meno al prodotto dei processi educativi attuati. Il presupposto è la congruenza tra l'azione didattica e la funzionalità del sistema, modelli valutativi e la processualità. L’esigenze è quella di attuare una valutazione efficace al contesto in grado non solo di esprimere giudizi ma anche di promuovere processi formativi e di apprendimento. La formazione scolastica è una tra le esperienze più significative nella formazione professionale per tutti gli studenti inoltre la valutazione scolastica intesa come atto formale costituisce un aspetto importantissimo e viene spesso percepito in senso positivo e/o negativo. La valutazione incide a volte anche sulla scelta di proseguire gli studi, sulla percezione di sé, sulla fiducia nelle proprie capacità e sulla stima percepita da parte degli adulti e dei pari. Propone valori e disvalori che vengono a poco poco interiorizzati dal soggetto e dalla società; anche il non essere valutato può portare a queste stati, non sentirsi né stimato né disistimato, il percepire appunto nessuna reazione crea uno stato di ambiguità e insicurezza interna. La valutazione non va intesa come forma di controllo o di giudizio sulla persona è necessario che l'alunno venga sempre supportato, accolto e stimato e che esso stesso possa rielaborare i propri punti di difficoltà, insuccessi in maniera funzionale alla propria crescita. Secondo Calonghi la relazione tra insegnante e alunno deve essere basata sulla fiducia reciproca e non su un su una burocratizzazione, deve essere intrinseca della fiducia reciproca, della stima verso le proprie possibilità. Tutti questi elementi concorrono allo sviluppo di una personalità equilibrata inoltre la valutazione deve esprimere la fiducia l'insegnante. Quando l'insegnante valuta comunica, esplicita il personale modello di apprendimento e l'alunno ha consapevolezza che ogni insegnante ha il proprio modo esplicito e che ciò influenza la propria valutazione. La valutazione può avere anche una valenza strategica e nel rendere l'insegnamento sensibile alle differenze tra gli allievi le potenzialità individuarle e svilupparle diventano un'ulteriore occasione di conoscenza degli alunni e del lori approccio all'apprendimento scolastico ma anche degli aspetti extra cognitivi quale le passioni, il vissuto emotivo. Nell'ottica del rispetto della diversità la valutazione rappresenta un elemento strategico che deve saper leggere e modulare contenuti, processi, prodotti e ambiente di apprendimento. Il processo valutativo se è valido può incoraggiare orientare i bambini fin dalla prima infanzia costruendo un'immagine positiva di sé stessi. I giudizi degli educatori possono favorire lo sviluppo di un adeguato senso di autoefficacia che tornerà utile per superare le difficoltà e la possibilità di crescere e maturare in maniera equilibrata gli stimoli valutativi non sono funzionali soltanto all'acquisizione nel senso del sapere o sul modello di apprendimento efficace ma anche sull'esercizio del giudizio critico e sull’autoconsapevolezza. Coinvolgere la famiglia e il contesto extra scolastico durante il processo di apprendimento fa sì che il bambino venga coinvolto nella sua totalità e quindi la valutazione deve anche riconoscere un'importanza valoriale alla sfera emozionale affettiva e tutto il vissuto extra scolastico del bambino perché nel considerare le singole individualità l'esperienza formativa (scolastica ed extra scolastica) deve essere allineata sulla stessa rotta di sviluppo per far sì che il bambino segua un percorso un formativo e di sviluppo armonioso. 6.LA METAVALUTAZIONE COME STRUMENTO EDUCATIVO. La valutazione riflessiva e critica, chiamata metavalutazione, indica il ripensare e rinnovare i processi valutativi, rendendoli più trasparenti e leggibili nei criteri adottati, e aumentando gli standard di utilità, fattibilità, correttezza e accountability. Scriven definisce la metavalutazione come "qualsiasi valutazione di una valutazione, di un sistema di valutazione o di un dispositivo di valutazione". Successivamente, la descrive come "la valutazione delle valutazioni e anche dei valutatori", presentandola come un obbligo etico oltre che scientifico, poiché è in gioco il benessere altrui. La metavalutazione serve ad aumentare la credibilità e la validità del processo valutativo, soprattutto quando questi criteri sono insufficienti. La metavalutazione risponde a quesiti utili a giudicare il merito e il valore dell’azione valutativa. Per Stufflebeam, rappresenta un imperativo sociale, poiché gli oggetti della valutazione sono spesso programmi politici, prodotti di politiche, personale e prestazioni. Inoltre, la metavalutazione fornisce informazioni sull'utilità, fattibilità, correttezza e accuratezza di una valutazione, evidenziandone il carattere sistematico. Patton sottolinea che la metavalutazione consiste nel valutare una valutazione in base agli standard e ai principi della professione. Scriven aggiunge che l’utilità della metavalutazione risiede anche nell’esaminare i punti di forza e di debolezza di una specifica attività valutativa. I risultati, però, variano a seconda che il processo metavalutativo venga effettuato dallo stesso valutatore o da valutatori esterni: Nel primo caso, è un esercizio di revisione critica del proprio operato. Nel secondo caso, serve a costruire giudizi di valore indipendenti sulle tecniche e sulla competenza del primo valutatore. Carol Weiss attribuisce un nuovo significato al processo valutativo, introducendo il concetto di metanalisi. Sostiene che le diverse misurazioni quantitative debbano essere utilizzate per valutare lo stesso tipo di programma, combinandone i risultati al fine di aumentarne la generalizzabilità, la codifica e l’elaborazione statistica. Bustelo, invece, assegna un significato diverso alla metavalutazione: non riguarda più né il processo né la politica o il programma. L’oggetto della valutazione diventa la funzione di valutazione stessa, cioè l’accumulo di conoscenze nel campo della valutazione. Sintetizzando, possiamo individuare tre significati principali della metavalutazione: 1. Revisione critica di una valutazione specifica: associata all’individuazione di errori e all’aumento della credibilità dei risultati. 2. Sintesi di risultati di valutazioni condotte su programmi simili: o sullo stesso programma realizzato in territori differenti. Serve per generalizzare ed estendere i risultati ottenuti. 3. Analisi della qualità complessiva di più valutazioni: utile per indagare le caratteristiche specifiche della funzione valutativa e la sua rilevanza all’interno di un programma. Come afferma Bondioli, la metavalutazione è necessaria nei servizi per la prima infanzia, poiché è parte integrante del processo valutativo e rappresenta un dovere professionale per gli educatori. Aiuta a mantenere un livello elevato di professionalità e implica sottoporre il proprio lavoro a operazioni valutative, utilizzando i risultati per offrire prestazioni migliori alle famiglie e ai bambini, migliorando continuamente i servizi offerti. 7.LA RELAZIONE TRA SERVIZI E LE FAMIGLIE. I servizi educativi e gli educatori devono partire innanzitutto dalla consapevolezza che la famiglia per il bambino è il contesto più importante, primario, necessario e fondamentale. È importante per i genitori e per i bambini stessi che le strutture e gli educatori che li facciano sentire importanti, accolti, ascoltati e coinvolti nel processo educativo, che si instauri una relazione affinché i bambini percepiscano l'ambiente educativo come un ambiente sereno. Dando vita a una solida alleanza tra il servizio educativo e la famiglia. Informare i genitori sullo svolgimento, sui fini educativi e quant'altro significa appunto renderli partecipi e a ottenere il loro sostegno che durante il processo educativo diventa consapevolezza e genitori consapevoli sono genitori collaborativi genitori che si sentono presi in considerazione e ascoltati. La reciproca responsabilità la corresponsabilità da parte delle costruzioni dei servizi educativi della famiglia deve portare ad una partnership educativa fondata non solo sulla condivisione dei valori ma su una reale fattiva collaborazione, al reale rispetto reciproco delle diverse competenze. L’invito è quello di far diventare il servizio integrato anche un supporto formativo per le famiglie. Nell'ultimo decennio gli studi hanno evidenziato come i servizi educativi devono creare le condizioni per l'espressione dell'agency per le bambine e bambini. Questo è contenuto nelle linee pedagogiche per il sistema integrato 0-6 negli orientamenti nazionali del per i servizi educativi ma anche nei programmi nazionali rivolto alle famiglie in situazioni di vulnerabilità. Il Pnnr elaborato a partire dalle politiche finanziate dall'unione europea con il next generation European Union si occupa della cosiddetta quarta missione poi ovvero quella della ricerca dell'istruzione che miri che mira a rafforzare le condizioni di un'economia ad alta intensità di conoscenza competitività e resilienza pur tenendo conto della carenza comunque sia strutturale dell'offerta dei servizi educativi per l'infanzia in Italia. La prima soluzione da attuare è quella di aumentare il numero di posti nei nidi nelle scuole d'infanzia. L’ adeguamento anche delle strutture già esistenti e l’assegnazione di assegni familiari per aiutare le famiglie a pagare le strutture. Il fine tendenzialmente è quello di migliorare l'offerta educativa sin dalla prima infanzia e dare un aiuto comunque alle famiglie. Lo scopo principale è quello di promuovere una nuova cultura dell'infanzia fondata sul dialogo e sulla visione positiva della differenza che i rapporti le partnership con la famiglia. La partecipazione dei genitori è un'imprescindibile dimensione del progetto educativo del servizio, i genitori devono essere compresi accompagnati rassicurati anche e soprattutto ascoltati nella disquisizione dei sentimenti ambivalenti e i timori, che proprio che la separazione dal figlio provoca nei genitori. Non vanno né sminuiti né sottovalutati nel loro impegno genitoriale servizi educativi possono dare dunque un contributo anche alle competenze alla qualificazione allo sviluppo e al miglioramento delle competenze genitoriali influenzandosi reciprocamente educatori e famiglie fanno parte di un sistema complesso. Tanto sarà forte questa partnership maggiore sarà l'efficacia dei processi educativi portati avanti perché si potrà operare in una certa continuità anche con ciò che accade dentro le mura domestiche e nei servizi educativi. Non sono un accessorio le relazioni con le famiglie bensì sono appunto uno strumento molto importante quasi centrale tenendo conto che i familiari sono il primo contesto relazionale in cui il bambino è coinvolto. Componente fondamentale perché la relazione tra genitori e educatori tocchi massimi spunti produttivi e la disponibilità e la capacità di ascolto una buona relazione con la famiglia essenziale nell'ambito dell'attività e la prima infanzia il nido è utile non solo per i bambini ma anche per i genitori per il miglioramento delle loro competenze genitoriali e per promuovere e una valorizzazione delle loro potenzialità e fornire loro strumenti che facciano fiorire le loro doti genitoriali. CAPITOLO 2: GIOCO, INFANZIA E EDUCAZIONE 1. LA NATURA DEL GIOCO Il gioco è una delle caratteristiche essenziali dell’essere umano. Huizinga, nella sua teoria sull'homo ludens (l’uomo che gioca), ci mostra che l’essere umano è nato per giocare, in un modo che ci accomuna agli animali. Secondo lui, il gioco è una funzione naturale degli esseri viventi, ma non è facile da definire in modo logico, biologico o morale. Infatti, il gioco non è solo un processo psicologico, ma ha un significato speciale e unico. Giocare è qualcosa che ha un senso per sé stesso: è un’attività che supera le semplici logiche della natura e della realtà fisica. È come se contenesse una forza "oltre il materiale", una componente irrazionale, che permette all’uomo di staccarsi dalla realtà ordinaria e di entrare, per un po', in un mondo straordinario. È lecito ritenere che in ogni gioco si racchiude una parte del corpo e della mente umana, la quale si è civilizzata nella palestra dei comportamenti derivati o adattati a fenomeni sociali, applicati ai significati più nobili del gioco stesso. La comprensione del gioco non implica soltanto l'intendimento delle sue singole parti ma una piena comprensione dell'evoluzione dell'uomo attraverso l'atto ludico. Il gioco è un'attività traversale a tutte le specie viventi: cuccioli e bambini giocano e nel farlo sono pienamente inseriti nella realtà immersiva del giocare il cui gusto sta nel gioco stesso. Il gioco è quella cosa che si fa quando non si fa niente. E’ un'attività il cui scopo è non avere scopo. Se è vero che giocare non ha uno scopo vero e proprio allora si tratta di un'attività che non può essere facilmente indirizzata altrimenti il gioco diverrebbe un mestiere. È vero che il gioco ha una sua ratio e una sua serie di dimensioni che lo caratterizzano come la metacomunicazione. L'attività ludica segnala tutti i partecipi che le azioni che stanno compiendo non hanno il significato che esse avrebbero se non fossero fatte per gioco. Chi gioca ha una sorta di consapevolezza nascosta che lo porta a distinguere tra il piano reale e quello della finzione del gioco, tra l’azione “normale” e quella “giocosa.” Bateson parla di un potenziale semiotico, cioè un valore di significato, che il gioco esprime: esso, infatti, non è solo un’azione, ma una cornice che dà senso all'azione stessa. Questo rende il gioco simile ad altre forme di comunicazione, come il linguaggio teatrale, dove le azioni hanno significati diversi a seconda del contesto. In pratica, l’idea che "questo è un gioco" è come un messaggio di consapevolezza, un “meta-messaggio” che ci sposta dalla realtà al mondo del gioco, permettendo di capire che le azioni nel gioco hanno un significato diverso rispetto a quelle del mondo reale. Il gioco rappresenta un momento di apprendimento e di crescita per i più piccoli poiché giocando essi apprendono che le azioni di gioco sono collegate ad azioni reali e questo tipo di contesto diviene una tappa importante dell'evoluzione della comunicazione, soprattutto nel caso degli esseri umani. L’essenza del gioco sta proprio nel suo essere "per finta," in opposizione al "per davvero." Questo aspetto aiuta il bambino a sviluppare la capacità di fingere, una base fondamentale per imparare a mentire in modo consapevole e a pensare in modo non letterale o lineare. In questa dimensione, infatti, logica e immaginazione si mescolano, dando vita al pensiero complesso. Ma tutto questo avviene solo se si tratta di un gioco spontaneo, non imposto o regolato, perché provare a "scrivere" un gioco, con regole fisse e non flessibili, sarebbe un controsenso per la sua natura stessa. L'opportunità di non incasellare il gioco nelle vesti di un mestiere vero e proprio è suggerita dal mondo animale laddove nelle diverse specie in cui il tempo dell'infanzia e dei cuccioli è relativamente lungo, il gioco è un'attività che riveste un ruolo prioritario e ricopre gran parte del tempo delle loro giornate. I cuccioli trascorrono tutta la loro infanzia giocando e articolando il gioco in una serie di azioni: lottano, scavano, si rincorrono, si mordono. Si tratta di attività che racchiudono una forte componente di divertimento ma che celano un grande potenziale di apprendimento. Le recenti ricerche neuroscientifiche hanno mostrato che il gioco nei bambini è fondamentale per mantenere la plasticità del cervello: questo contribuisce a far sì che, una volta adulti, riescano a fare tante cose in modo vario e flessibile. In una società sempre più orientata al successo e allo sviluppo delle competenze, questa scoperta ha spinto a promuovere il gioco per tutta la vita, cercando di renderlo uno strumento per la crescita felice e positiva del bambino. Tuttavia, c’è un lato negativo in questo approccio: se si passa dal concetto di life long learning a quello di life long playing, si rischia di perdere la spontaneità del gioco. Il gioco, infatti, smette di essere un’attività libera e senza scopo, fatta solo per il piacere di giocare, e diventa uno strumento con obiettivi precisi e regole stabilite. Questa continua selezione dei giochi “più utili” e la troppa attenzione a organizzare spazi e tempi porta a una perdita della vera essenza del gioco, del suo essere senza causa, libero e anche un po' nonsense. La forza del gioco risiede nella possibilità di esplorare liberamente mondi e contesti. Se si architetta un gioco mediato da oggetti iper-strutturati oppure attività ludiche indefettibilmente delineate in ogni parte, sottraiamo all'infanzia la possibilità di scoprire, di immaginare, pena lo smarrire quella magia del gioco che è cruciale per la crescita del bambino. Bardulla sostanzia tale riflessione chiarendo che ciò che rende significativo il processo evolutivo del bambino è proprio l'insieme delle sue esperienze in formazione entro il perimetro della natura, a educare è l'esperienza che si fa dell'ambiente naturale e l'esperienza socialmente condivisa, ovvero la tipologia di cultura di cui una data comunità si serve per regolare e controllare il rapporto con l'ambiente. Il gioco è intrinsecamente libero e non può essere manipolato: non si può obbligare qualcuno a giocare, si può solo stimolare il gioco. Sarà sempre chi gioca a decidere come farlo, quando, e in che modo interpretare le regole del gioco. Giocare non può essere un’azione imposta; per questo, nel gioco, una persona attiva uno spazio di realtà in cui può esprimere se stessa in modo autentico e libero. Anche quando rispetta le regole di una partita di calcio, si lancia da uno scivolo, prova l’emozione del gioco d’azzardo o si diverte a travestirsi, sono sempre la sua volontà e la sua personalità a esprimersi. Questa libertà contiene anche un elemento di “azzardo interpretativo”: giocare è un modo per mettere in discussione il senso comune e le idee rigide sulle cose. Mentre gioca, il bambino crea un mondo personale, spesso lontano da quello della maggioranza, che offre nuove interpretazioni della realtà e rompe il mito del consenso, come lo definisce Hebdige; il fatto che gli oggetti di uso quotidiano possano non solo avere un uso diverso da quello predisposto, ma che l'uso diverso possa stimolare altre idee aprire nuovi scenari è ciò che rende il gioco infantile assimilabile alle utopie quotidiane. I giochi dei bambini possono essere visti come vere e proprie eterotopie, cioè spazi separati dal mondo reale, in cui valgono regole e significati propri. Allo stesso modo, si può parlare di ucronie nel gioco, ossia di tempi interni al gioco che esistono al di fuori del tempo reale (il chronos). Quando un bambino gioca, si immerge in una dimensione spazio- temporale parallela, che somiglia al mondo reale ma è diversa, perché nasce dalla sua fantasia e dal suo potenziale creativo, che nel gioco raggiunge il massimo livello. Attraverso l’imitazione del mondo reale, i bambini creano una sorta di cultura locale: una versione personale e unica della cultura più ampia, che comprende e allo stesso tempo modifica le regole del gioco. Corsaro parla di questo aspetto, spiegando che il gioco è per i bambini una “palestra” dove rielaborano e reinterpretano il mondo degli adulti. Unendosi in gruppi di gioco, riescono a costruire nuovi saperi e a creare conoscenze condivise, sovvertendo in modo immaginativo gli schemi rigidi tipici dell’età adulta. Tra gli studiosi contemporanei che si occupano del game studies e di game design, Tekinbas e Zimmerman considerano il gioco come un sistema in cui i giocatori si impegnano in un conflitto artificiale, definito dalle regole con un risultato quantificabile. Concetto supportato anche da Bertolo e Mariani, per i quali un gioco è un sistema al cui intanto i giocatori scelgono di impegnarsi in un conflitto artificiale ben definito da regole che porta a un risultato quantificabile. Il gioco è un sistema non solo rispetto alle regole che lo sostanziano, ma anche per via delle sue componenti che sono tra loro interconnesse e reagiscono le une con le altre. Il gioco prevede un conflitto artificiale ogni volta che si crea un'opposizione tra i giocatori e il sistema; ed è artificiale perché non è reale in quanto il gioco è una simulazione, all'interno di un ambiente protetto in cui i bambini e adulti possono sperimentare e sperimentarsi senza paure o vincoli. La dimensione sistemica del gioco poggia invero su un sottosistema di regole che ne garantiscono l'esecuzione avendo chiaro che la chiave di volta del gioco è colui che gioca; infatti, un gioco esiste solo in funzione dei suoi giocatori giacché diventa gioco solo quando viene giocato. 2. IL GIOCO IN EDUCAZIONE La Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia sancisce all'articolo 21 comma 1, che gli Stati parte riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente dalla vita culturale e artistica e prosegue, con il comma 2, nel quale si legge che gli stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l'organizzazione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi appropriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali. È interessante l'inserimento del gioco tra le attività ricreative adatte all'età del bambino e il suo essere connesso alla vita culturale e artistica quasi a voler sottolineare come il gioco sia da concepire costitutivamente parte del bambino, nonché parte necessaria della sua quotidianità. Non si discosta che da tale intendimento il DL 65/2017, articolo 1 comma 1, Stabilisce che alle bambine e ai bambini, dalla nascita fino ai sei anni, per sviluppare potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, in un adeguato contesto affettivo, ludico e cognitivo sono garantite pari opportunità di educazione e di istruzione, di cura, di relazione e di gioco superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali. Il dispositivo normativo esplicita finalità ludico cognitive e finalità di gioco e relazione. In questi termini non stupisce il fatto che la nozione di gioco sia storicamente considerata un elemento rilevante ai fini della crescita dello sviluppo personale e sociale dell'individuo tre, il gioco è un fenomeno poliedrico che accompagna l'uomo nelle fasi della vita e si colloca sull'asse evolutivo configurandosi come traiettoria e strumento educativo. Il gioco è il più alto grado dello svolgimento umano perché esso è la spontanea e necessaria rappresentazione dell'Interno dell'anima punto il gioco è il più genuino e il più spirituale prodotto dell'uomo ed è a un tempo il modello è l'immagine della vita interna dell'uomo punto i giochi d'infanzia non sono solo da riguardarsi come frivolezze ma come cosa di molta importanza e di profondo significato. Nei giochi liberamente scelti dai fanciulli si rivela la vita interiore futura. I giochi dell'infanzia sono i germi di tutta la vita a venire perché tutto l'uomo si svolge e qua si rispecchia in essi fino nelle piccole disposizioni e nel più intimo dell'anima. Affrontare il tema del gioco rende necessario dare il giusto spazio ad alcuni valori che costituiscono le premesse, il contesto è la cornice in cui può presentarsi un’interazione valoriale. Si tratta di valori propedeutici e catalizzatori in grado di attivare innescare processi di apertura e accelerare i tempi di collaborazione solidaria necessaria per un'integrazione sociale della persona che gioca. Due sono i valori pregnanti del gioco: 1. quello pedagogico che mira a rendere l'uomo un essere libero e solidale. Libertà ed etica si combinano nell'atto del giocare e dell'essere educati e la solidarietà risulta essere un valore aggiunto del gioco inteso come momento di cooperazione e di inclusione. Il gruppo non è mero raggruppamento di singoli né giustapposizione di individui piuttosto deve essere concepito come uno spazio di costruzione e di contrattazione tra le persone, foro di scambi intellettuali e mutazioni. 2. La sua forza di mediazione attrarre fuori le potenzialità di ogni persona. Il gioco si fa scommesse educativa perché insiste sulle capacità dell'individuo valicando confini fisici e mentali. Il gioco come mediatore educativo riesce a far emergere da un individuo il suo potenziale di educabilità e a condurlo decisamente verso il compimento ovvero verso il massimo possibile di se stesso. Il gioco è inteso come momento educativo ricco di valori funzionali alla crescita della persona attraverso l'esercizio ludico il bambino riesce a esprimere gli impulsi e i moti del proprio animo in un ambiente psicologicamente libero; il gioco offre al bambino la possibilità di estrinsecare di far esplodere le proprie energie così da assolvere una funzione riequilibrante delle condizioni biologiche. Permette di rivelare le inclinazioni temperamentali e la natura psicologica dei piccoli dando all'educatore la possibilità di interventi opportuni e adeguati ai comportamenti messi in atto. A ciò si aggiunge che la piacevolezza insita nel giocare conferisce alle attività ludiche il senso dell'attesa, dell'aspettativa e del desiderio per cui il gioco utilizzato con sagacia allenta la tensione e la noia e costituisce un prezioso mediatore educativo. Il gioco ha un ruolo importante nella formazione e nella crescita degli individui in quanto svolge funzioni sia sul piano dello sviluppo di competenze sia su quello relazionale ed emotivo. Esso contribuisce allo sviluppo motorio e sensoriale, allo sviluppo di capacità cognitive e di apprendimento allo sviluppo di capacità simboliche e creative allo sviluppo socio relazionale e comunicativo. Secondo Piaget, lo sviluppo della capacità ludica del bambino si muove in parallelo con lo sviluppo cognitivo e anch'esso procede per tappe. - La prima tappa nel primo anno di vita del bambino, caratterizzata dallo sviluppo cognitivo dell'intelligenza sensoriale e motoria, è quella in cui emergono i cosiddetti giochi di esercizio, i quali rappresentano la via per affinare le modalità di apprendimento così come gesti, movimenti, schemi motori. Accanto alla dimensione esplorativa e conoscitiva del mondo circostante si avvia il ricorso al gioco funzionale e soprattutto a quello funzionale e rappresentativo, in cui dal limitazione dell'oggetto e delle sue funzioni si slitta al carattere rappresentativo lo stesso, dando vita a circoscritte azioni ludiche strutturate in sequenze. - La seconda tappa che va dai due ai sei anni è segnata dai giochi simbolici connessi allo sviluppo dell'intelligenza preoperatoria, cioè alla concettualizzazione e alla trasformazione di segmenti della realtà in simboli. Il gioco simbolico è basato sulla utilizzazione sostitutiva di oggetti con altri ma è anche anticipazione delle abilità di drammatizzazione giacché si attivano pratiche ludiche quali il minimo, limitazione, la riproduzione e travestimento. Nel nuovo Regno fingersi altro il bambino matura una serie di competenze non solo cognitive ma affettivo relazionali e acquisisce consapevolezza di sé, padronanza e autonomia. Emerge la capacità immaginativa che esibisce una certa labilità tra piano reale e piano della fantasia. I giochi di rappresentazione mimetici del quotidiano risultano centrali in questa fase perché in grado di dare senso alle regole, esorcizzare le proprie paure, orientarsi nello spazio e nel tempo, interiorizzare e risignificare situazioni di vita e contesti - la terza tappa, dal settimo anno di vita in poi, prevede i giochi di regole che allenano il pensiero reversibile a guardare alla realtà in modo multi-prospettico e a valutare soluzioni possibili e diversificare per un determinato problema. Intorno a quest'età il bambino svolge con destrezza i giochi di regole che lo aiuteranno a muoversi verso la preadolescenza consolidando la facoltà immaginifica, la curiosità e l'abilità del formulare ipotesi. È significativo come la crono-tipizzazione del gioco suggerita da Piaget, segni anche una qualche forma di gerarchia temporale nella comparsa di determinate tipologie di gioco , in ordine alla fase di sviluppo del bambino. In prima battuta il gioco e volano per lo sviluppo sensoriale grazie al quale è possibile affermare che al centro dell'apprendimento ci sia l'esperienza del bambino che non è più spettatore passivo ma è attore del processo formativo. Il gioco rappresenta un elemento indispensabile per la formazione senso percettiva del bambino che predilige le circostanze di piacere e divertimento in grado di coinvolgere la percezione sensoriale a tutto tondo. Primo bambini piuttosto piccoli hanno la tendenza a esplorare gli ambienti e gli oggetti intorno a loro ed è importante l'utilizzo di giochi educativi di carattere sensoriale per familiarizzare con l'ambiente. Giocando il bambino impara non solo ad affinare sensi e sensazioni ma anche riconoscere, denominare gestire le proprie sensazioni. In questo frangente risultano particolarmente utili giochi di scoperta del proprio corpo e di quello altrui, trampolino di lancio per una più ampia conoscenza della realtà. - Accanto allo sviluppo sensoriale troviamo quello motorio caratterizzato da un'ampia gamma di attività ludiche il cui elemento unificante è costituito dal movimento. I giochi di movimento sono in grado di attivare le aree del cervello che favoriscono una migliore attenzione rispetto a consegne e compiti di apprendimento e migliorano il grado di connettività neurale poiché potenziano le capacità mentali di processare l'informazione, incrementare il ricordo dell'esperienza e la concettualizzazione. Il movimento è considerato un tratto chiave della crescita di ogni individuo e il bisogno di movimento permette di esprimere un comportamento innato che è condizione necessaria sia per gli animali sia per gli uomini; un bambino che gioca e si muove acquisisce consapevolezza del proprio corpo e affina le qualità della mente preposte a finalizzare gli atti motori e a dare loro senso e significazione. E’ la volta dello sviluppo dei processi cognitivi i quali si attivano mediante qualsiasi azione ludica in ogni fase della vita , non solo nell'infanzia. Ogni gioco è in grado di incidere tanto sui processi cognitivi di base quanto su quelli superiori. E’ il caso dell'arricchimento delle conoscenze che coinvolge giochi per l'ampliamento del bagaglio gnoseologico così come per l'implementazione della capacità di identificare e nominare un numero crescente di oggetti, animali, persone. Al potenziamento delle conoscenze corrisponde l'ampliamento dello spettro lessico semantico con un'implicita messa a punto delle abilità linguistiche comunicative di base. Complementare al costituirsi delle conoscenze vi è il processo della memorizzazione che consente alle concettualizzazioni di divenire acquisizioni permanenti, passaggio chiave per consentire al bambino di compiere operazioni mentali più complesse. Esistono differenti tipi di memorie: Quella verbale favorita da attività ricorsive e ripetitive Quella visiva stimolata da giochi di visualizzazione basati sul recupero dell'informazione per associazione La memoria di lavoro che permette di affastellare informazioni in sequenza , di tenerle a mente e di realizzare procedure per il raggiungimento di un dato obiettivo Tra i processi cognitivi superiori vi è quello relativo al pensiero creativo articolato in sensibilità ai problemi, fluidità ideativa e verbale, flessibilità. Questo si sviluppa massimamente attraverso i giochi simbolici o di finzioni che consentono al bambino di operare trasformazioni inedite delle realtà operando su situazioni e oggetti e risignificare con originalità. La creatività rappresenta una manifestazione significativa e libera dalla fantasia di ciascun individuo. Un bambino che gioca sperimenta la possibilità di intervenire sugli elementi intorno a lui e di modificarli congruentemente in base alle sue necessità e ai suoi pensieri. Nell'atto creativo del bambino risiede l'espressione di quei desideri irrinunciabili in quanto fondamentali per la realizzazione della realtà ma soprattutto di se stesso. Secondo Winnicott è grazie alla creatività scaturita dal gioco che il bambino giunge alla scoperta di sé inteso come rafforzamento della propria identità. L'utilizzo del gioco creativo non solo allenta l'intelletto nella configurazione di pensieri e idee ma contribuisce a irrobustire l'intelligenza del soggetto dal momento che questo sperimenta diverse soluzioni possibili a una data situazione-problema. Un altro aspetto chiave dello sviluppo del bambino nel quale il gioco svolge un ruolo importante è quello della relazionalità perché la ricerca neuroscientifica sulla validità del gioco mette in luce lo sviluppo di aree cerebrali connessi alle emozioni, alla motivazione e alla gratificazione nonché l'incidenza dell'attività ludiche sulla capacità di interagire socio affettivamente con gli altri. Grazie al gioco si creano i primi legami di amicizia e si strutturano i primi elementi di una cultura sociale condivisa. Allo sviluppo socio relazionale legato anche allo sviluppo della collaborazione solidale; Di fatto i giochi possono essere usati per insegnare la cooperazione tra pari e l'importanza del supportarsi a vicenda. I giochi di cooperazione aiutano a migliorare il clima psico affettivo tra i partecipanti, insegnano a catalizzare positivamente la competitività e offrono spunti per rafforzare le forme di conflittualità che possono porgere in seno al gruppo. Si tratta prevalentemente di giochi di fiducia che hanno come obiettivo la conoscenza reciproca attraverso l'espressione corporea, la percezione tattile, la creatività, la fantasia e l'immaginazione. Tutte tecniche adattabili a ogni età e in grado di instaurare relazioni positive fra i membri giocanti. Sia nella fase di sviluppo senza motorio sia in quella rappresentativa, il gioco pre- simbolico e quello simbolico offrono molteplici spunti per potenziare la capacità comunicativa del bambino. Il gioco è spazio comunicativo per definizione in quanto libera l'espressività e ogni forma di linguaggio, da quello verbale a quello non verbale. Il linguaggio viene messo a punto è sviluppato proprio all'interno delle situazioni ludiche nelle quali azioni ora ripetitive, ora combinatorie, ora di scambio fanno sì che il bambino impari a comunicare in maniera fluida senza avvedersene, intento nel permanere nello stato di piacevolezza che dal gioco deriva. Il linguaggio può essere oggetto di esplorazione e di gioco. Nel bambino piccolo si assiste alla fusione tra parola e oggetto, tra significato e referente oggettivo, senza alcuna divergenza tra il campo del significato e il campo visivo. Se si nomina un determinato oggetto il bambino inizierà a guardarsi intorno sino a identificarlo; La parola è un indicatore spaziale. Più tardi nel periodo prescolare si registrano le prime divaricazioni tra campo del significato e campo visivo e nel gioco il pensiero è separato dagli oggetti perché il bambino è in grado di determinare le cose partendo dalle idee e non dagli oggetti stessi perché opera con un significato alienato in una situazione reale. 3. IL GIOCO COME STRUMENTO PEDAGOGICO – DIDATTICO NEL TEMPO Il gioco non si presta a facili e supine storicizzazioni, giacché il suo essere connaturato all'essere umano rende la sua traiettoria evolutiva praticamente coincidente con quella dell'uomo. È possibile individuare alcuni nodi di senso, passaggi chiave che raccontano il modo in cui il gioco abbia accompagnato da sempre l'esistenza puntellando in maniera particolare il campo educativo. Indiscusso è il valore del gioco come documentum, come attestato dagli archeologi. I primi giochi risalirebbero al 9000 a.C. Sebbene attestazioni più codificate di gioco si attestino alcuni secoli dopo quando presso gli egiziani era diffuso il gioco del Senet, Rinvenuto in diverse tombe egizie. Questo gioco prevedeva un tavoliere composto da caselle che indicavano un percorso da compiere con diverse pedine; Aveva un significato religioso ed era legato al passaggio della vita terrena all'aldilà: giocandoci con le divinità il defunto doveva oltre che vincere recitare le formule contenute nel libro dei morti pertanto acquisì ben presto un carattere didattico. Sulla stessa scia del Senet si svilupparono, i giochi dei Mencala e il gioco reale di Ur nel 2600 a.C. Mentre i primi a fare riferimento ai giochi propri del mondo greco romano furono Erodoto e Polluce. IN GRECIA… Le attestazioni greco romano del gioco infantile si ibisco un taglio marcatamente pedagogico e didattico. Nelle scuole romane, primo grado di insegnamento era definito ludus, aggettivo che designava tre elementi: - il divertimento infantile - la scuola con il suo apparato di regole e rigore - tutti quei comportamenti che non producevano un effetto pratico, attività non finalizzate Già greci e romani osservarono con attenzione il mondo del gioco del bambino considerato come spazio di frivolezza e illusione immerso in un mondo altro da quello reale che rischiava di rallentare l'ingresso dei più piccoli nell'età della ragione e nella dimensione dell'adulto; d'altra parte ne apprezzavano la fisicità e la centratura del corpo il quale veniva addestrato così all'assunzione di abitudini di vita sane e all'arte della guerra. Il gioco faceva parte di tutti i rituali che mettevano l'uomo in contatto con il sacro. La stessa istituzione degli antichi giochi sportivi rientrava tra le forme di culto e i giochi venivano dedicati alle divinità. I giochi olimpici tenuti in onore di Zeus a Olimpia attiravano gli abitanti dell'intero mondo greco che ogni quattro anni si spostavano per parteciparvi con entusiasmo sino a che furono sospesi dall'imperatore romano Teodosio I. Successivamente si diffuse il gioco dei dadi presso gli ariani dell'india che lo consacravano attraverso la proclamazione di un inno nel Rig Veda, associando il gioco alla pioggia, al concetto di fecondità e di rinascita. Anche per i greci il gioco dei dadi era un passatempo interessante mentre per i romani il gioco di dadi erano differenziati per età e per fascia sociale. NEL MEDIOEVO… durante il medioevo l'infanzia il gioco erano dominati da un sentire visionario caratterizzato perlopiù da storie di cimiteri, demoni e fantasmi spaventosi. D’altro canto, i giochi più diffusi erano indovinelli, filastrocche, nascondino, giochi con la palla. I giochi dell'europa medievale erano essenzialmente simili a quelli egiziani: dadi, dama… siete ritiene che il gioco di carte sia nato probabilmente nella Spagna del Trecento come gioco nobile, praticato in larga scala da sovrani e cortigiani. Permane presso i medievalisti l'idea che il gioco e infanzia non venissero percepiti come una priorità; Mentre l'interesse degli studiosi rimane concentrata sul mondo degli adulti. NEL RINASCIMENTO… la situazione mutua decisamente nel periodo del Rinascimento, nel corso del quale la sensibilità rispetto al bambino e alla centralità del tempo evolutivo dell'infanzia e divengono cruciali. Tra umanesimo e Rinascimento e sino a tutto il diciassettesimo secolo il gioco dei bambini appare il fulcro delle rappresentazioni artistiche. L'istruzione scolastica di Vittorino da Feltre, CASA GIOCOSA, guarda il gioco come ricompensa per gli apprendimenti che portano a termine con successo i compiti assegnati recuperando l'equilibrio tra esercizi fisici e lavoro intellettuale. A ciò fa da corredo la posizione di Erasmo da Rotterdam che nella sua opera DE CIVILITANTE MORUM PUERILIUM mette in risalto il rispetto per le peculiarità individuali e per il gioco infantile, il quale rivela le reali inclinazioni del bambino. Guardando alle game fra gioco e apprendimento, il bambino può deve apprendere giocando e la via per ottenere un buon livello di apprendimento e essere occupati in attività che risultino interessanti. I giochi ci insegnano molto su chili pratica e possiamo affermare di conoscere meglio una persona se abbiamo cognizione del suo modo di giocare. Le storie che soggiacciono poi ai giochi si intrecciano con la cultura dell'epoca, con rimandi e riprese, modifiche e variazioni che rendono ogni gioco culturalmente dinamico. NELL’ETÀ MODERNA Nell’età moderna si accendono con insistenza i riflettori sul gioco e sul mondo dei bambini. Rousseau riteneva che il gioco fosse un diritto del bambino, per nulla in antitesi con il lavoro. Attraverso il gioco, il bambino sviluppa tutti i sensi, e la sua esperienza sensoriale costituisce la base fondante della conoscenza. Egli vede il gioco come un istinto naturale, fondato su basi biologiche, e ne sottolinea gli aspetti percettivo-motori, che devono essere valorizzati, promossi e sollecitati, poiché stanno alla base dell'apprendimento sensoriale su base ludica. Il pensiero di Rousseau ha influenzato Froebel, secondo il quale il gioco è una condizione necessaria per la crescita, in grado di creare armonia tra il mondo interno del bambino e quello esterno. Il gioco è la manifestazione di un’innata tendenza all’attività mentale e fisica. Froebel attribuisce una valenza positiva al gioco, che deve essere protetto e promosso dagli adulti, in particolare dai genitori. Non deve essere banalizzato né considerato un’attività futile, poiché il gioco del bambino allena la vita interiore dell’uomo di domani. Un bambino che gioca serenamente e divertendosi, fino a stancarsi fisicamente, diventerà un uomo attivo, tranquillo e operatore del proprio bene e di quello altrui. I giochi devono essere presentati ai bambini in maniera graduale, nel rispetto delle diverse età: si parte da oggetti semplici fino ai più complessi, così da favorire la creatività e lo spirito d’iniziativa. Froebel definisce i giochi dell’infanzia doni, ossia strumenti necessari per lo sviluppo armonico. Attraverso di essi, il bambino scopre le diverse forme dell’universo. COSA DICE PIAGET La centralità del gioco nello sviluppo del bambino è una nota distintiva anche negli studi di Piaget, che colloca la pratica ludica al crocevia tra assimilazione e accomodamento. ASSIMILAZIONE: consiste nell’utilizzare un elemento del nostro ambiente per svolgere un’attività che è già parte del nostro repertorio di conoscenze e che non comporterà alcuna modifica agli schemi mentali preesistenti. ACCOMODAMENTO: si riferisce al momento in cui ciò che già si è acquisito non è sufficiente per confrontarsi con l’ambiente e richiede una modifica degli schemi mentali. In questo quadro, il gioco non produce conoscenza, ma rappresenta un allenamento alla conoscenza stessa. Attraverso il gioco, il bambino esercita schemi, abilità e conoscenze già in suo possesso. Piaget vede il gioco come uno strumento potente di apprendimento, al punto che, ovunque si riesca a trasformare in gioco l’iniziazione alla lettura, al calcolo o all’ortografia, si nota che i bambini si appassionano a queste occupazioni, solitamente percepite come corvées (compiti gravosi). COSA DICE VYGOTSKIJ… Rispetto all'impianto piagetiano di matrice cognitiva, si discosta leggermente il contributo di Vygotskij, il quale condivide l'idea che il gioco implichi una rappresentazione mentale, ma rivolge l'attenzione anche all'affettività, alle motivazioni e alle circostanze interpersonali che fanno da contesto e corollario al gioco. Il gioco rappresenta una risposta originale alla frustrazione derivante dall'impossibilità di soddisfare immediatamente i propri desideri; ed è proprio mediante la finzione ludica che il bambino allarga il proprio campo di azione e di conoscenze, esprimendo principalmente il bisogno di conoscere e di adattarsi al mondo. Secondo questa visione, inventiva e creatività deriverebbero dall'esigenza di intervenire in modo costruttivo sulla realtà, vivendo situazioni simili e reali, allargando così le proprie esperienze. In tal senso, il gioco è un'attività cruciale per lo sviluppo intellettivo, un mezzo idoneo per sviluppare il pensiero astratto, la concettualizzazione, la simbolizzazione e l'evocazione. Il mondo immaginario creato dai bambini non è arbitrario, anzi è estremamente realistico e governato da regole precise; ciò sottolinea come qualunque processo immaginativo si costruisca a partire dai materiali forniti dalla realtà. Mentre per Piaget il gioco è solitario ed egocentrico, e l'elemento socializzante compare solo nella fase del gioco regolato, per Vygotskij il gioco è, fin dall'inizio, un intreccio indissolubile di regole e immaginazione e, in linea di massima, può essere sempre condiviso con gli altri. MARIA MONTESSORI… Maria Montessori evidenzia l'importanza della dimensione motoria e di quella manipolativa, associando quella biologica con quella psichico-spirituale: se osservate un bambino di tre anni, vedrete che gioca sempre con qualcosa. Questo significa che egli sta elaborando con le sue mani e immettendo nella sua coscienza ciò che la sua mente inconscia ha assorbito in precedenza. Attraverso questa esperienza dell'ambiente, sotto forma di gioco, egli esamina le cose e le impressioni che ha ricevuto con la sua mente inconscia. Per mezzo del lavoro, diventa cosciente e costruisce l'uomo. Maria Montessori sostiene che il gioco è simile al lavoro, tanto che i giocattoli materiali destinati alle attività ludiche dovrebbero essere realizzati tenendo conto dei bisogni costruttivi e di organizzazione interiore del bambino, in una prospettiva di spendibilità anche nella sua vita adulta. Il gioco rappresenta un vettore essenziale della crescita e dello sviluppo di un individuo, nonché un'attività significativa per la promozione della persona. Grazie al gioco e nel gioco, si definisce la cosiddetta "mente assorbente" del bambino, capace di acquisire input diversificati presenti nel suo ambiente di vita. All'educazione spetta il compito di aiutare la mente nei suoi diversi processi di sviluppo, consolidandone energia e facoltà. Ecco che l'attività ludica, finalizzata in maniera appropriata, è un'attività nella quale il tempo di gioco deve essere ampio e non regimentato dalla presenza dell'adulto, contribuendo al percorso di crescita del bambino e ponendolo in equilibrio tra realtà e fantasia, tra esperienza vissuta e simbolizzazione dell'esperienza stessa. LE SORELLE AGAZZI… Anche le sorelle Agazzi indirizzano i loro studi nella stessa direzione, pur concependo la relazione educativa in maniera più direttiva. Non disprezzano il gioco libero, ma si oppongono alla ricerca spasmodica di giochi e auspicano situazioni sempre ben condotte e coordinate dallo sguardo vigile, attento ma sereno dell'educatore adulto. È in questo ambiente che avviene il passaggio tra gioco libero e lavoro; in altre parole, la forma giocosa, sempre gradita ai bambini, rende facile accettare qualsiasi attività, anche più rigida o "arida". Si deve insegnare giocando, cosicché la lezione diventi gioco e il gioco lezione. L'antinomia con il lavoro, in questo modo, viene superata, perché nell’attività ludica si vive una finalità educativa. L'azione ludica consente di sviluppare le qualità del bambino in una serena atmosfera in cui la norma dominante lo esercita all'ordine, all'osservazione, al linguaggio, all’operosità e ai gusti gentili. Per rappresentare meglio il senso del gioco come atto creativo, resta degno di nota l'aneddoto dei due chiodi, raccontato dalle due pedagogiste: due chiodi simili nella forma e nello spessore, ma di diversa lunghezza, consentirono sia di giocare al "venditore di chiodi" sia di fornire un exemplum all'interno di una lezione sulle grandezze. Ecco il gioco presentarsi come quel dispositivo che, diversamente dagli altri, coniuga in sé natura e artificio, pensiero razionale e curiosa attitudine all'esplorazione, incanalando ogni energia nella direzione dell'apprendimento, della formazione e della crescita complessiva della persona. Il gioco crea l'occasione per sospendere il continuum delle azioni didattiche tradizionali e, mediante quella intuizione divergente ed epifanica, che può giungere ora dal bambino, ora dall'educatore, ora dall'insegnante, innesca un percorso conoscitivo senza eguali. Il gioco mette di fronte al bambino un nuovo tipo di desiderio: gli insegna a desiderare, mettendo in relazione i suoi desideri con un "io" fittizio, con il suo ruolo all'interno del gioco e delle regole che esso presenta. Perciò, nel gioco diventano possibili per il bambino le più grandi conquiste, conquiste che, domani, costituiranno il suo livello medio di azione reale e moralità. 4. LA CENTRALITA’ DEL GIOCO SIMBOLICO O DI FINZIONE Uno dei tratti peculiari del gioco infantile e, più avanti, anche di quello che caratterizza l’età adulta, è proprio la sua dimensione simbolica. Ogni gioco è simbolo, metafora e metonimia; l’avvicinamento alla finzione rappresenta una capacità di simbolizzazione, fondamentale per la crescita della persona nel suo ambiente. Il gioco svolge un ruolo nel motivare e indirizzare l’attenzione del bambino, permettendogli di alternare tra essere nella realtà e far-finta-di. Sin dai primi anni di vita, il bambino, attraverso il gioco, esprime il proprio mondo interiore, esplora e costruisce la propria conoscenza del mondo, creando legami con ciò che lo circonda; nel fare ciò, il bambino, usa oggetti quotidiani (pentole che diventano batterie per suonare) dando vita a situazioni immaginare, ma che risultano verosimili. L’uso sostitutivo degli oggetti permette al bambino di sperimentare una forma di metacognizione gestuale e l’accesso nella dimensione ludica a carattere simulativo tramite drammatizzazione, mimo, imitazione. Questo processo aiuta il bambino a sviluppare maggiore controllo visivo e a reiterare schemi d’azione funzionali. Mentre il gioco di finzione si affina, il bambino impara ad interpretare diversi ruoli, interagendo con altre prospettive e assumendo una visione meno egocentrica della realtà. Secondo Zigler, Singer e Bishop-Josef, il gioco simbolico svolge ben 11 funzioni specifiche che rimandano allo sviluppo complessivo del bambino. 1 Sviluppo capacità motorie 5 Ordinamento/ sequenziamento 9 Flessibilità 2 Affinità dei sensi 6 Capacità di ritardare la 10 Assunzione dei ruoli gratificazione 3 Empatia 7 Crescita del vocabolario 11 Espansione dell’immaginazione/creatività 4 Condivisione/rispetto dei turni 8 Maggiore concentrazione Attraverso il gioco, oltre a consolidare la percezione sensoriale e affinare le competenze linguistico-comunicative, i bambini imparano a gestire le proprie emozioni, controllando quelle negative come paura, rabbia e angoscia, ed esplorano le emozioni degli altri. Secondo Piaget il gioco simbolico è un atto fondamentale del processo di adattamento al mondo. Nella crescita di un bambino, il gioco simbolico rappresenta un mezzo fondamentale per assimilare il reale, sulla base dei propri desideri e interessi. Il bambino, di per sé, non ha nessun interesse verso quello che domanda o afferma, ma prova piacere e divertimento principalmente tramite l’immaginazione. Questa tipologia di gioco costituisce una delle forme attraverso le quali si struttura il pensiero legato all’assimilazione, poiché il bambino è libero di rivivere e rielaborare le esperienze in base alle proprie esigenze, proteggendo così il suo universo dalla realtà. Questo cambia quando a giocare sono ragazzi poiché l’introduzione delle regole porta alla perdita dell’aspetto simbolico del gioco. Nello sviluppo mentale è, quindi, fondamentale l’acquisizione della funzione simbolica che si configura come la condizione dello sviluppo linguistico e di pensiero. Il gioco simbolico viene considerato il prototipo dell’attività creativa, poiché promuove associazioni originali e integra esperienze attraverso simboli, consentendo così al bambino di manipolare la realtà in modo metaforico e associativo. Il bambino abbandona ciò quando acquisisce maggiore consapevolezza della realtà. Per Vygotskij, il gioco simbolico è una via conoscitiva ed esplorativa. L’esplorazione ha la sua origine da comportamenti senso-motorie e si alterna con il gioco: un nuovo oggetto stimola, in primis, esplorazioni e apprendimenti, che poi si convertono in una ri-finalizzazione dello stesso oggetto in senso ludico. Quindi l’esplorazione è atto epistemico volto a imitare la realtà, l’immaginazione rappresenta la creatività del bambino. Se il gioco simbolico viene inteso come un’attività dell’algebra, rischia di diventare un semplice sistema di segni che generalizza la realtà, senza elementi ludici e il bambino può essere considerato un matematico privo di successo che descrive i segni mediante l’azione. Anche secondo Bettlhaim, il gioco è una rappresentazione simbolica e inconsapevole dei propri vissuti, pensieri, e in tal senso, esso costituisce la voce più intima del bambino. Giocare è il mezzo per risolvere e affrontare situazione complesse; il modo in cui il bambino sceglie e conduce il gioco riflette la sua capacità di gestire i problemi e poiché spetta a lui la scelta del gioco da fare, ne deriva un senso di padronanza che lo gratifica. A differenza dell’adulto, che vive le giornate senza sperimentare il nuovo, il bambino percepisce ogni cosa come una nuova esperienza, e il gioco diventa una guida per orientarsi nel mondo. Egli non prova vergogna per le sue fantasie perché queste rappresentano per lui una “promessa di futuro” e il desiderio di crescere, portandolo a esprimersi in modo visibile agli altri. Come già osservato in precedenza da Vygotskij, il bambino attraverso il “fare finta”, il bambino non solo sviluppa la capacità di rappresentare situazioni, ma impara anche a usare il linguaggio decontestualizzandolo. Nel gioco, al bambino si chiede di rendere espliciti gli elementi impliciti della finzione chiarendo chi è il personaggio, quale sia lo spazio e il tempo dell’azione, e come questa si sviluppi attraverso simboli e segni che, all’interno del gioco, assumono significati magici rispetto alla realtà. Gioco e teatro hanno una struttura molto simile: il gioco, come il teatro, è spazio situato e simbolico, in cui il livello di connotazione supera quello della denotazione, e il bambino, come un attore, è impegnato a decifrare situazioni e circostanze non solo per raggiungere la “vittoria” ma anche la completezza della sua inteprezione. Inoltre, entrambi condividono la dimensione del divertimento, di un feedback positivo dell’adulto che premia da una parte e dall’altra un consenso favorevole del pubblico. Secondo Bruner, vede il gioco collocato tra due tipi di pensiero: quello paradigmatico e quello narrativo. Il primo rappresenta la capacità di pensare in sequenze logiche, sostenendo l’analisi scientifica e i meccanismi della comunicazione; il secondo, invece, è la capacità di rispecchiare gli eventi trasformandoli in storie, immaginando mondi alternativi. È proprio dall’immaginazione che parte lo sviluppo del pensiero narrativo. Per Bruner, il gioco, nell’ambito delle categorizzazioni, rappresenta un punto di vista privilegiato per comprendere lo sviluppo cognitivo infantile, caratterizzato da un complesso apparato simbolico. Un ruolo chiave è affidato proprio alla rappresentazione che si realizza attraverso la combinazione di linguaggio simbolico, organizzazione visiva e azione. Lo psicologo sottolinea come la funzione simbolica del linguaggio non sostenga solo la conoscenza scientifica ma anche l’arte, il mito e il gioco. Quest’ultimo è espressione del pensiero divergente che guida il bambino a esplorare soluzioni creative e alternative ai problemi. Questo spostamento di prospettiva è produttivo poiché insegna al bambino di trovare possibili soluzioni applicabili sia nella realtà che nello spazio ludico. Nel gioco vige la regola di creare mondi immaginari ma pur sempre verosimili e, quindi, credibili perché legati alla realtà, pur attraverso simboli e di passaggi di ri-significazione (es: il bambino che gioca sotto il tavolo, sa dove si trova, eppure la forza trasformativa del gioco muta il tavolo in casa, tana). Il linguaggio immaginifico si sviluppa nei primi anni di vita e si collega alla capacità interpretativa del bambino, che percepisce nelle espressioni linguistiche una giocosità che si manifesta in cantilene, stornelli e ripetizioni ritmiche. In questo senso, il gioco linguistico (language game) rappresenta un primo passo verso l’interpretazione, poiché prevede ruoli e turni di interazione. Esso sfrutta la carica motivazione che sta nell’atto del giocare, coinvolgendo il bambino in un uso della lingua funzionale e risolutivo di consegne di gioco, senza rendersene conto. Anche i giochi di simulazione richiedono la visualizzazione di situazioni problematiche e l’applicazione di strategie di problem solving, permettendo al bambino di esprimere la propria creatività e oltrepassare i limiti del possibile. Non si tratta solo di impersonare un ruolo in un contesto immaginario, ma di sviluppare competenze metacognitive e metalinguistiche che facilitano l’interazione sociale con pari e adulti. Gioco linguisti e gioco simbolico condividono lo stesso tessuto immaginifico e rappresentazionale per cui i bambini diventano protagonisti dentro un’architettura di manipolazioni e strategie di interazione volte a raggiunge i loro obiettivi finzionali. Fare finta è una tendenza naturale nei bambini, che usano il gioco di finzione per esplorare il nuovo e costruire schemi mentali e un bagaglio mnemonico. Parlando ad alta voce, riorganizzano il loro pensiero e praticano nuove parole, sperimentando diverse strutture linguistiche. Il gioco simbolico comporta forme uniche di rappresentazione del mondo del bambino, come immagini mentali, che non necessariamente corrispondono ad oggetti o personaggi reali o illustrati. In questo modo, il bambino inizia a usare le immagini in modo flessibile, permettendogli di trascurare dettagli della realtà senza perdere il senso dell’oggetto o del contesto che rappresenta. Questo porta allo sviluppo di quella dimensione del pensiero che Leslie definisce metarappresentativa. Quest’ultima indica che, anche da adulti, possiamo rimodellare mentalmente immagini, eventi che memorizziamo. Di fronte a somiglianze sfocate, ci è utile ricorre all’approccio ludico che ci permette di creare scenari mentali alternativi. Nel gioco alternativo, il bambino cerca di attenersi alla realtà, ma se ci riuscisse completamente, il gioco perderebbe il suo fascino. Il bambino finge di scoprire nuove cose, coinvolgendo anche gli adulti nella sua finzione con frasi come “Shh, mamma, è un gioco! Facciamo per finta” che richiamano alla magia del verosimile. Il gioco ha una vocazione sociale, innescando processi di socializzazione e sviluppo emotivo tra i giocatori. Favorisce il decentramento da sé e la maturazione personale, essenziali nell’interazione con gli altri. L’attività ludica si svolge in compagnia, il che pone al bambino la sfida della socialità poiché si renderà conto delle leggi del caso e della probabilità che vanno rispettate. Queste esperienze gli permettono di ricostruire e riconosce il mondo. Giocare con altri arricchisce la socializzazione poiché offre l’opportunità di vivere direttamente un senso di interdipendenza, valorizzando le peculiarità di ciascuno e attivando modalità relazionali di mutuo aiuto facilitando l’interazione con gli altri, con gli oggetti e lo spazio-tempo. Se la conoscenza si costruisce attraverso la relazione corpo-mondo, il gioco, allora, rappresenta non solo la conclusione ma anche l’avvio simbolico di tutte le esperienze umane possibili. 5. LA CLASSIFICAZIONE DEI GIOCHI Gli studi sui giochi, sia da un punto di vista socio-antropologico sia da un punto di vista educativo e didattico, mettono in luce le diverse tipologie, lasciando intendere la necessità di diversificare la scelta dei giochi in base al contesto, al profilo dei giocatori, alle finalità per cui si decide di giocare. Tra le classificazioni più nominate abbiamo lo schema di Claparéde, ripreso successivamente da Piaget, secondo cui il gioco accompagna lo sviluppo del bambino sottolineandone le tappe evolutive. Secondo tale schema, i giochi si suddividono in 3 macroaree:  Giochi d’esercizio —> correlati all’intelligenza senso-motoria;  Giochi simbolici —> legati all’intelligenza rappresentativa;  Giochi di regole: —> // all’affermarsi dell’intelligenza riflessiva e delle relazioni sociali. I giochi d’esercizio includono quelle attività che, grazie a una componente di sfida o un limite prefissato di tempo, vengono rese ludiche. Questi giochi si basano su ripetizioni (parole, frasi-test, filastrocche, poesie, canzoni, movimenti coreografati), composizioni, scomposizioni e ricomposizioni, associazione di parole-immagini, parole oggetti, catene di parole o dialoghi, e abbinamenti. Accanto ai giochi d’esercizio basati sull’intelligenza linguistica, esistono anche i giochi di movimento, i giochi di natura insiemistica (classificazione, seriazione, inclusione/esclusione), i giochi epistemici (legati al problem solving, al gioco del “perché”) e i giochi di enigmistica (cruciverba, rebus, anagrammi). I giochi simbolici sono quei giochi che coinvolgono il pensiero creativo, divergente, la capacità immaginifica. Includono attività espressive, musicali, ritmiche, teatrali, mimica, canto, filastrocche legate al ritmo, trans codificazione (dal linguaggio verbale a quello iconico o motorio), attività manipolative e di costruzione, giochi di memoria (memory, kim game), drammatizzazione di storie, giochi di simulazione (“far finta che”, “se fossi”). Tra questi vi è il Roleplay che è un’attività di simulazione guidata (denominato anche role-taking se si offrono indicazioni operative, role-making se è presente la creatività e role-play se si costruisce un dialogo sulla base di una situazione, lasciando alle coppie la scelta delle strategie). L’ultima macroarea include giochi che permettono di scoprire regole sociali di interazione e comunicazione, la funzione dei ruoli sociali e le regole di convivenza: giochi comunicativi basati su “information gap” e “opinion gap”, con il libero uso della lingua o strutture linguistiche limitate; giochi tradizionali le cui regole si prestano a reinterpretazioni interculturali come la Caccia al tesoro; giochi con griglie e schemi come gioco dell’oca, Monopoli, Trivial Pursuit; giochi da tavolo come battaglia navale ( con numeri e lettere nella forma classica o altre combinazioni di simboli), dominio di sillabe e parole (sostantivo-aggettivo/verbo); giochi di carte e attività come cloze game. Tra i criteri classificatori vi è quello sociale messo a punto da Parten nel 1932, che distingue 4 tipologie di gioco basati sulla qualità delle relazioni tra i giocatori: gioco solitario, parallelo, associativo e cooperativo. Il gioco solitario costituisce uno spazio personale in cui il bambino può confrontarsi con le proprie abilità e sviluppare competenze in assetto individuale. Tuttavia, è importante monitorare questo tipo di gioco per individuare eventuali segnali di autoesclusione, che potrebbero impedire uno sviluppo sociale equilibrato. Il gioco parallelo è un gioco in cui due o più bambini condividono spazio e tempo ludico, ma giocano individualmente. Il gioco associativo è quel gioco che coinvolge più bambini in un’attività senza avere necessariamente lo stesso obiettivo, mentre il gioco cooperativo ha carattere collaborativo, si basa su accordo e i bambini assumono ruoli e funzioni specifiche per raggiungere un obiettivo comune. Un altro modello classificatorio viene fornito dal sociologo Caillos, il quale suddivide i giochi in 4 categorie, in funzione dell’atteggiamento del giocatore: Agon (competizione), alea (fortuna, fatalità, caso), mimicry (simulacro, simulazione), ilinx (vertigine, fisica e morale). Ognuna di queste categorie, è ricompreso tra Paidia (cioè il giocare in senso lato da cui scaturisce il divertimento, improvvisazione, corrispettivo inglese “play”) e Ludus (il gioco in senso stretto, regimentato da regole specifiche, corrispettivo inglese “game”). Caillos, con gli atteggiamenti dei giocatori, identifica sei caratteristiche peculiari del gioco: 1. Il gioco è libertà —> il gioco deve essere scelto liberamente perché se imposto o semplicemente consigliato perderebbe una delle caratteristiche fondamentale; 2. Il gioco è un’attività circoscritta entro un preciso confine spazio-temporale—> non si può giocare ovunque o per un periodo indefinito; 3. Il gioco è un’attività incerta—> il risultato non si può conoscere anticipatamente poiché uno svolgimento prevedibile, senza possibilità di sbagliare, è contrario al senso del gioco stesso; 4. Il gioco è improduttivo —> non produce benefici materiali anche se nella sua forma di gioco a fine di lucro; 5. Il gioco è azione regolata —> il gioco è retto da regole precise e stabili che si devono accettare per il corretto svolgimento del gioco; 6. Il gioco è un’attività fittizia—> chi gioca sa perfettamente di ritrovarsi un una dimensione parallela, separata dalla realtà. C’è un piacere nell’assumere ruoli e comportarsi come se si fosse qualcun altro. La finzione, dunque, assume la stessa valenza delle regole. È possibile classificare i giochi in relazione ai modi del giocare, alle funzioni, alle dinamiche ludiche: giochi di movimento (danzare, cantare, giochi sportivi), giochi di memoria (memorizzare poesie, filastrocche, memo), giochi basati su information gap (scambio di informazioni, completare il disegno sulla base delle informazioni ricevute; indovinare un personaggio misterioso facendo domande), giochi d’esercizio e con mancanza di informazioni (giochi con completamento, dialoghi, interviste, storie con finale mutevole), giochi simbolici (burattini, simulazioni, recite, ecc.), giochi da tavolo (domino, memory), giochi all’aria aperta (nascondino, moscacieca), giochi digitali. Passando da un’analisi sociologia a una educativa, la letteratura scientifica offre diverse ipotesi classificatorie dei giochi che si basano su come i giochi attivano diversi processi e quali benefici apportano in ambito pedagogico. Un primo sguardo ci induce a individuare quei giochi in base a quali abilità ci fanno sviluppare. I giochi di conoscenza sono volti allo sviluppo dei processi cognitivi di base (memoria e attenzione) e dei processi cognitivi superiori (ragionamento e problem solving). Si tratta di giochi che incrementano lo sviluppo della comprensione della capacità di ragionamento e che mirano all’arricchimento delle conoscenze. È importante che i giochi permettano ai bambini di identificare, nominare, numerare, selezionare colori e forme, mentre sperimentano con oggetti e situazioni reali. Tra questi giochi significativi ci sono quelli che insegnano a costruire relazioni temporali, tra il prima e il dopo, e relazioni spaziali, che includono la localizzazione esatta (sopra, sotto, di fianco, davanti, dietro, vicino, lontano, a destra, a sinistra). Vi sono giochi che richiedono un confronto tra le grandezze (altezza, lunghezza e larghezza) e quelli atti a potenziare il pensiero razionale, allenando il cervello con inferenze, ipotesi, supposizioni e deduzioni. I giochi basati sullo sviluppo della competenza cooperativa sono quelli che mettono in relazione azione ludica con l’esperienza emotiva e socioaffettiva del bambino, favorendo una sana competizione e la cooperazione che valorizza il ruolo di ogni giocatore, incentivando atteggiamenti prosociali di sostegno reciproco e mutuo rispetto. La dimensione ludica crea un ambiente piacevole, riducendo conflitti e riducendo il “filtro affettivo”, facilitando così l’apprendimento e il superamento dei propri limiti. La ricerca neuroscientifica e neurodidattica mostra che il gioco stimola quelle aree cerebrali legate a emozioni, motivazione e alla gratificazione. Il gioco è terreno fertile per le prime forme di socializzazioni: esperienze di affinità e amicizia mentre gioca con altri. Il gioco di cooperazione promuove l’intercultura, facilitando l’incontro con l’altro diverso da sé su un terreno di comune interesse. Attraverso la dimensione ludica, il bambino rielabora i contenuti del proprio mondo sociale, riproponendolo all’interno delle dinamiche di gioco. Il gioco non è solo mezzo di piacere e soddisfazione, ma è anche un’istituzione di rapporti operativi con l’ambiente naturale e sociale, consentendo una conoscenza diretta del mondo. Ogni gioco possiede un potenziale sociale che emerge nella condivisione e nelle relazioni che crea, anche nei giochi individuali, dove l’individuo si confronta con sé stesso. Le emozioni generate dal gioco aiutano a comunicare significati altri e fungono da guida cognitiva. Con esso favoriamo lo sviluppo di abilità cognitive e socio-emotive come: decision-making, autoefficacia, autostima, autoregolazione ovvero la capacità di risolvere diverse problematiche in modo creativo. I primi giochi sviluppati nell’infanzia sono quelli senso-motori. I bambini piccoli esplorano l’ambiente e gli oggetti attraverso i sensi, osservando, manipolando e toccando. Non a caso, i giocattoli per la prima infanzia come sonagli, stoffe di varia trama tessile, sono progettati per allenare i sensi. Accanto ai giochi per l’attivazione sensoriale ci sono i giochi di movimento che coinvolgono il bambino in attività fisiche come camminare, correre, saltare, giochi con la palla, nascondino. Questi giochi motori non solo allenano il corpo ma migliorano anche le capacità del cervello di processare l’informazione, di incrementare il ricordo in base alle esperienze. Un ruolo importante nei processi di apprendimento e nel percorso di crescita è svolto dai giochi di memoria che aiutano a consolidare esperienze e concetti anche a distanza di tempo. Questi giochi supportano la memoria di lavoro, ovvero la capacità di memorizzare informazione in sequenza,

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