Summary

Questo libro, "Gli attrezzi del narratore", è un'introduzione alla narratologia, esplorando concetti come la trama, i mondi possibili dei racconti e il discorso legato alla narrazione. L'autore, Alessandro Perissinotto, offre una panoramica di diverse teorie narratologiche, usando anche esempi per rendere i concetti più chiari.

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Alessandro Perissinotto GLI ATTREZZI DEL NARRATORE NARRATOLOGIA PER NARRARE € 5,00 Perissinotto 3 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE AVVERTENZA Questo non è solo un file, questo è un libro. È un “prodotto dell’ingegno” che ha...

Alessandro Perissinotto GLI ATTREZZI DEL NARRATORE NARRATOLOGIA PER NARRARE € 5,00 Perissinotto 3 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE AVVERTENZA Questo non è solo un file, questo è un libro. È un “prodotto dell’ingegno” che ha richiesto mesi di lavoro. E per questo ha un prezzo che ho fissato in 5 euro (un prezzo equo per il forma- to elettronico), perché il lavoro intellettuale, proprio come quel- lo materiale, si paga. Però questo libro, che era uscito nel 2005 per Rizzoli, una sua avventura editoriale l’ha già vissuta. E allora ti invito a fare in questo modo: i 5 euro del prezzo di copertina dalli a chi ne ha bisogno; compra un panino a qualcuno che ti chiede qualche soldo per mangiare, aggiungili a una donazione che già avevi in mente di fare, manda un paio di SMS solidali per finanziare un progetto o una ricerca. Non dimenticarti di saldare, se puoi, questo debito. Alessandro Perissinotto Perissinotto 4 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE INDICE INTRODUZIONE.............................................................................................................. 5 PARTE PRIMA: La trama.................................................................................................. 8 1.1 La trama: un concetto ambiguo............................................................................. 8 1.2 Lo strutturalismo....................................................................................................13 1.3 I motivi.....................................................................................................................15 1.4 Intreccio e fabula....................................................................................................18 1.5 La madre di tutte le strutture: Propp e la “Morfologia della fiaba”..............23 1.6 L’oggetto di valore..................................................................................................34 1.7 Gli attanti..................................................................................................................37 1.8 Un modello universale: Greimas e il programma narrativo...........................39 1.9 Il voler-fare, il saper-fare e il poter-fare: la teoria delle modalità..................45 PARTE SECONDA: Il mondo possibile del racconto...............................................49 2.1 Nonna Papera può cucinare il tacchino? I mondi possibili............................49 2.2 Mi credi se ti dico che…? Il contratto di veridizione......................................55 2.3 La coerenza narrativa.............................................................................................60 2.4 Diegesi e mimesi.....................................................................................................67 2.5 Perché Marcel non è Proust: il narratore...........................................................68 2.6 Guardare con gli occhi degli altri: il punto di vista..........................................78 2.7 Come scegliere il narratore e il punto di vista?.................................................82 2.7.1 Il narratore extradiegetico onnisciente......................................................82 2.7.2 Narratore omodiegetico o autodiegetico..................................................84 2.7.3 Altre possibilità..............................................................................................87 PARTE TERZA: Il discorso............................................................................................93 3.1 Oltre la trama c’è di più (ancora su Roland Barthes).......................................93 3.1.1 Nuclei e catalisi..............................................................................................95 3.1.2 Indizi e informanti........................................................................................98 3.1.3 Accelerazioni e frenate: questioni di ritmo........................................... 100 3.1.4 Sorprese e previsioni................................................................................. 102 3.2 Siamo uomini o attanti: la fisionomia del personaggio................................ 107 3.2.1 La psicologia del personaggio.................................................................. 110 3.2.2 Il personaggio e la società......................................................................... 111 3.2.3 Il personaggio e il linguaggio................................................................... 114 3.3 Il personaggio Tempo......................................................................................... 126 3.3.1 Strategie di rappresentazione del tempo................................................ 126 3.3.2 Rappresentare la simultaneità.................................................................. 137 Appendice.......................................................................................................................... 143 Bibliografia 153 Perissinotto 5 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE INTRODUZIONE Cos’è la narratologia? La narratologia, o semiotica della narrazione, è la disciplina che studia il modo e il motivo per cui i romanzi, i racconti, le fiabe ma anche i film e le opere teatrali, prendono una certa forma; in altre parole, studia come sono fatte le narrazioni a prescindere, per quanto possibile, da ciò che contengono. Nell’ottica di uno studio narratologico, un racconto è, prima di tutto, il prodotto di un dispositivo comunicativo, di una sorta di macchina per generare storie; quello che interessa al narratolo- go non è il racconto in sé, ma la macchina che lo ha creato: egli studia il prodotto per risalire al processo. Al chi si occupa di narratologia, non importa molto che il racconto parli d’amore piuttosto che di guerra o che serva per esprimere una condizio- ne esistenziale piuttosto che per vendere una bibita, così come egli non trova rilevante il fatto che il testo sia “bello” o “brut- to”, “letterario” o “prosaico”: semmai valuterà se esso è “effica- ce”, cioè se il dispositivo comunicativo ha funzionato bene in relazione ai compiti che il sistema culturale gli aveva affidato. Se ho detto che la narratologia è una “disciplina” e non ho utilizzato il termine “scienza” è perché non intendo dare l’idea che lo studio dei processi narrativi possa dare risultati univoci come quelli che ci forniscono le scienze esatte: alla domanda “come funziona una narrazione?” si possono dare decine di ri- sposte diverse a seconda degli aspetti che si prendono in consi- derazione, perché, fortunatamente, le narrazioni non sono ridu- cibili a semplici preparati di laboratorio. Perissinotto 6 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE La narratologia aiuta a narrare? Omero, Boccaccio, Shakespeare, Sterne e qualche decina di migliaia di persone hanno scritto e raccontato storie bellissime senza sapere cosa fosse la narratologia (che ai loro tempi non esisteva) e senza badare troppo ai dettami della poetica (che in- vece esiste almeno dai tempi di Aristotele). Dunque, conoscere le teorie narratologiche non è affatto indispensabile per scrivere dei buoni romanzi. Quando hai in testa una splendida storia da raccontare, quando le tue dita compongono con facilità le parole sulla tastiera del tuo computer, quando sai come iniziare, come continuare e come finire, quando hai la certezza che il tuo rac- conto, il tuo romanzo o la tua sceneggiatura piaceranno al pub- blico, la narratologia non ti serve. In tutti gli altri casi, può dare una mano, anche se, naturalmente, non c’è approccio narratolo- gico che supplisca alla mancanza di idee e non c’è approfondi- mento teorico che ti possa aiutare a conquistare quella sensibili- tà per le vite degli altri che rappresenta l’ingrediente di base del raccontare. Dunque, la semiotica della narrazione non serve per inventare storie, altrimenti la scrittura si limiterebbe all’applicazione di formule; essa ti viene invece in aiuto quanto ti poni questioni del tipo: e adesso come continuo? che voce narrante uso? in che punto della storia devo svelare quel dato segreto al lettore? que- sta parte è troppo lunga rispetto all’insieme del romanzo? Occorre poi tenere presente che la narratologia non si è mai sviluppata come disciplina progettuale, come metodo per piani- ficare le storie, ma piuttosto come strumento analitico: se crei racconti e vuoi usarla nel modo giusto devi fermarti di tanto in tanto e analizzare semioticamente quello che hai scritto, valu- tando gli effetti di senso che le tue parole creano. Perissinotto 7 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE La simulazione come metodo Se questo libro si limitasse ad esporre e a confrontare le varie teorie narratologiche, non sarebbe molto diverso dai moltissimi manuali di semiotica del testo offerti dal mercato editoriale. Quello che qui voglio fare è invece mettere insieme le mie com- petenze di semiologo e le mie esperienze di scrittore (in partico- lare di autore di polizieschi) per evidenziare i punti in cui, du- rante la stesura di un romanzo, ti viene voglia di chiedere aiuto a quanti hanno guardato alla narrazione con un occhio “tecnico”. Per rendere tutto questo più concreto, immaginerò di costrui- re, passo a passo, al cospetto del lettore, un breve racconto poli- ziesco da pubblicare a puntate su un settimanale1. Il testo del racconto si trova in appendice: leggetelo subito, perché così sarà più facile comprendere determinati passaggi, ma in taluni mo- menti fingete di averlo dimenticato e concentratevi sui dubbi e sulle scelte procedurali che ci si trova ad affrontare anche (o forse soprattutto) quando si scrive una storia molto semplice come questa. Racchiusi in paragrafi riquadrati, troverete, nel corso di questo volume, gli interrogativi che si pongono durante la stesura del racconto e le risposte che la narratologia può for- nire. 1 Per la verità si tratta di un racconto che è effettivamente apparso a pun- tate nell’agosto 2000 su Torinosette supplemento settimanale del quotidiano La Stampa. Perissinotto 8 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE PARTE PRIMA: La trama. 1.1 La trama: un concetto ambiguo. Drin, drin. Rispondo al telefono. «Ciao» dice la voce all’altro capo del filo, «sono Gabriele, co- me va?» È un po’ che non ci sentiamo. Ci scambiamo qualche saluto e qualche notizia, poi lui arriva al sodo: «È per il consueto racconto estivo, quello che esce a puntate nel mese d’agosto: avresti voglia di scriverlo tu?» «Certo.» «Benissimo. Naturalmente dovrà essere un poliziesco, d’altra parte tu sei un giallista, no?» «Quante puntate?» «Sei. 3000 battute ogni puntata.» «Quanto tempo ho?» chiedo io un po’ preoccupato. «Tre settimane.» Definiamo ancora alcuni aspetti, velocemente, poi ci salutia- mo. Io resto lì, con tre settimane di tempo, una decina di cartelle da scrivere e una domanda che mi gira per la testa: che cosa scri- vo? Mi serve una storia, cioè mi serve una trama. La riga qui sopra contiene, implicitamente, un’affermazione che fa inorridire qualunque persona dotata di buon senso. Dire “Mi serve una storia, cioè mi serve una trama” significa sostene- re che la trama e la storia sono la stessa cosa, e questo è palese- mente falso. La storia è fatta sì di azioni, ma anche dei perso- Perissinotto 9 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE naggi che le compiono, degli sfondi entro i quali si muovono e delle ragioni che li inducono a muoversi; la trama invece è il semplice racconto condensato dei fatti che accadono in una sto- ria o, nel nostro caso, poiché quella storia non è ancora stata scritta, dei fatti che dovranno accadere perché quel racconto esi- sta davvero. Eppure, in quella fase confusa che è il confronto con il foglio bianco, l’idea di avere una trama ci fa sentire a metà dell’opera. Alcuni scrittori sostengono che avere una trama non è indispensabile per iniziare un romanzo: inizia a scrivere e poi le cose verranno da sé! Ovviamente, molto dipende dal tipo di vicende che si vogliono raccontare: per me che scrivo polizie- schi è indispensabile avere un’idea di chi muore, di chi uccide e del perché, per altri autori non è così necessario avere dei punti di riferimento. Ciò nondimeno, la trama è la cosa che ci sembra più naturale conservare di una storia: quando qualcuno ci chiede di parlargli di un film che abbiamo visto, quasi sempre partiamo con il riferirgli i fatti e solo dopo parliamo dei temi o dei movi- menti di macchina. E allora provo a inventarmi una trama. Raccolgo alcuni elemen- ti nella mia memoria, penso ad alcuni posti dove sono stato e do- ve mi sono detto “qui un delitto ci starebbe bene” e poi mi pongo delle domande le cui risposte costituiranno gli elementi essenziali della trama. Domanda 1: Qual è il crimine? Risposta: Un uomo, che sta facendo un’escursione con la sua mountain bike viene spinto in un burrone simulando un incidente. Domanda 2: Qual è il movente? Risposta: L’uomo ucciso è un ortopedico che ha curato mala- mente un bambino storpiandolo. Domanda 3: Chi è il colpevole? Risposta: Visto il movente, il colpevole è, ovviamente, il padre del bambino. Perissinotto 10 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE Domanda 4: Come avviene l’omicidio? Risposta: L’assassino, che ha spiato la vittima, la attende sul sentiero, nel punto più strapiombante. Finge di avere un guasto alla propria bicicletta e chiede aiuto alla vittima; questa gli pre- sta soccorso e inizia a smontare qualche pezzo: proprio in quel momento, l’omicida spinge la vittima nel burrone. Domanda 5: Quale errore dell’omicida porterà alla soluzione del caso? Risposta: Dovendo lasciare in tutta fretta il luogo dell’omicidio, l’assassino non può permettersi di rimontare la propria bicicletta, così la getta nel precipizio assieme alla vittima e prende la bici- cletta dell’ucciso. Ma l’assassino si dimentica che la propria mountain bike reca un numero di matricola sul telaio: proprio grazie a quel numero i carabinieri risaliranno a lui. La mia storia comincia a prendere forma, ma, pur non avendo molto spazio a disposizione (circa 18.000 battute, spazi compre- si), devo complicarla un poco per renderla gradevole. Quindi mi pongo altre domande e mi do altre risposte. Come risultato dell’operazione, ottengo questa sequenza di eventi: Un ortopedico, il dottor Pagani, che opera in una località di vil- leggiatura ingessa malamente la gamba fratturata di un bambino e il bambino vede compromessa per sempre la propria salute. Il padre decide di vendicarlo. Il futuro assassino, conoscendo le abitudini e le passioni dell’ortopedico, ottiene da lui informazioni sulla sua prossima gi- ta in mountain bike. L’assassino si apposta lungo il sentiero e, con la scusa di un aiu- to per riparare la bicicletta, induce il medico a fermarsi e a to- gliersi il casco e poi lo spinge nel burrone. L’assassino capisce che la propria bicicletta è ormai inservibile e la getta nel burrone facendo credere che si tratti della bici del dottore, poi scappa con quella che è la vera mountain bike della vittima. Due ragazze che stanno facendo una gita vedono il corpo della vittima e chiamano i carabinieri. Perissinotto 11 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE Il maresciallo Gotti si reca sul luogo del delitto, scatta delle fo- to e fa recuperare il cadavere. Esaminando le foto, Gotti scopre che sul volto della vittima c’erano i segni del casco, ma, al momento del ritrovamento, il casco era legato alla bicicletta: questo insospettisce il marescial- lo. Gotti si reca nuovamente sul luogo del delitto e scopre le trac- ce di un’altra bicicletta passata di lì più o meno nello stesso mo- mento di quella del medico. Scopre inoltre una chiave inglese nel punto esatto dove la vittima è precipitata. Il maresciallo va dal gommista locale e chiede se, recentemen- te, ha montato gomme da bicicletta con un battistrada simile a quello che ha lasciato le tracce sul sentiero: quello risponde che a montarle è stato il figlio, che però ha lasciato il paese per andare a Milano. Gotti si insospettisce, ma il figlio del gommista gli telefona e gli dice di aver montato quelle gomme proprio sulla bici del dot- tor Pagani. L’aiutante di Gotti scopre che, la sera prima di morire, il dot- tor Pagani ha cenato nella solita trattoria e lì ha chiacchierato con uno sconosciuto. Basandosi sulle indicazioni del figlio del gommista, Gotti capi- sce che vi è stato uno scambio di biciclette e che quella trovata accanto al cadavere è la bici dell’assassino. Grazie al numero di matricola riportato sul telaio della biciclet- ta dell’assassino, Gotti risale al suo nome. Gotti fa arrestare l’assassino, lo interroga e ne ottiene una confessione. In realtà, occorre ancora aggiungere un punto, perché, volendo creare una falsa pista, ho inserito una “microstoria” collaterale, quella del figlio del gommista che si innamora di una ragazza mi- lanese e che lascia il paese dove è avvenuto il delitto, attirando così su di sé i sospetti. Questa “microstoria” si innesta su quella principale all’altezza del punto 11; inseriamo quindi il punto 11 bis: Perissinotto 12 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE 10 bis. Il figlio del gommista si innamora di una ragazza di Mi- lano e lascia il proprio paese per seguirla. Ecco la trama. Ho così costruito la trama, ma se qualcuno intenzionato leg- gere il mio racconto mi chiedesse di raccontargli di che cosa parla, non gli racconterei i fatti nella successione che ho mostra- to qui. E sicuramente, volendo trasformare quella trama in rac- conto, non disporrei gli eventi in quest’ordine: io so fin dall’inizio chi è l’assassino, perché uccide e come lo fa, ma vo- glio che il mio lettore lo scopra pian piano e che sazi le sue cu- riosità solo alla fine. Io so fin dall’inizio che il figlio del gommi- sta non ha ucciso il dottore, ma il maresciallo Gotti non può sapere subito come sono andate le cose. Devo dunque lavorare sulle strutture del racconto in modo da presentare i fatti nella maniera opportuna, cioè mostrando o nascondendo a tempo debito determinate cose. Ed è proprio dall’attenzione alle strut- ture narrative che la narratologia prende il suo avvio. La sequenza in 15 punti che io ho proposto come trama del racconto rappresenta la successione logica e temporale degli eventi della storia che narro. Logica perché i fatti che precedono sono la causa dei fatti che seguono (ad esempio, il punto 1, che mostra l’imperizia del dottor Pagani, è la causa diretta dei punti 2, 3, 4 e 5, cioè del desiderio di vendetta e del suo compimento); temporale, perché segue (nei limiti del possibile) il succedersi degli eventi uno dopo l’altro. Tuttavia, abbiamo visto come, nel racconto vero e proprio, l’ordine di presentazione delle azioni debba essere alterato. Qual è dunque la trama? È l’ordine logi- co-temporale o quello che ci viene presentato dalle pagine del volume? L’uno e l’altro, perché quello di trama è un concetto Perissinotto 13 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE troppo vago per la narratologia; in semiotica del testo si preferi- sce parlare, invece che di trama, di fabula quando ci si riferisce all’ordinamento logico-temporale, e di intreccio quando si vuole indicare la successione degli eventi così come essa viene presen- tata al lettore. Ma prima di approfondire questi due concetti, fermiamoci un attimo a riflettere sulle caratteristiche generali della scuola di pensiero entro la quale si colloca l’origine stessa della narratologia, lo strutturalismo. 1.2 Lo strutturalismo In questo libro, lo abbiamo detto e lo diremo ancora, voglia- mo parlare solo di quegli approcci teorici al testo che si rivelano di immediata utilità nel mestiere del narrare, a costo di rinuncia- re a fornire una visione storicizzata della narratologia. Se dun- que accenniamo allo strutturalismo, non è tanto per contestua- lizzare le varie teorie che l’hanno seguito o ancor meno perché esso, negli anni Sessanta-Settanta, ha rappresentato un fenome- no “alla moda” («Son pallidi nei visi e hanno deboli sorrisi solo se si parla di strutturalismo» cantava Francesco Guccini in Via Paolo Fabbri 43 riferendosi agli intellettuali); lo facciamo perché gli strutturalisti sono stati i primi ad ipotizzare che esistessero regole compositive comuni alla base dei vari racconti. E sono proprio queste regole condivise tra le varie narrazioni ad auto- rizzarci a parlare di narratologia e di tecniche della narrazione. Una tecnica è una sorta di esperienza codificata e riutilizzabile; che si tratti di tecnica casearia, di tecnica pittorica, o di tecnica amatoria, essa assume significato sole se, una volta appresa, io la posso utilizzare per fare un’altra forma di formaggio, per dipin- gere un altro quadro o per concludere con soddisfazione un nuovo incontro amoroso: se ogni racconto fosse un’entità a sé, se non avesse nulla in comune con gli altri, le tecniche della nar- Perissinotto 14 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE razione non potrebbero essere riutilizzabili e quindi non sareb- bero tecniche. In Introduzione all’analisi strutturale dei racconti, Roland Barthes scrive: i Formalisti russi, Propp, Lévi-Strauss ci hanno insegnato a indi- viduare il seguente dilemma: o il racconto è un semplice sproloquio di eventi (ed in questo caso è impossibile parlarne se non facendo riferimento all’arte, al talento o al genio dell’autore - tutte forme mi- tiche del caso), oppure esso possiede in comune con altri racconti una struttura accessibile all’analisi, per quanta pazienza sia necessa- rio impiegare per enunciarla; giacché esiste un abisso tra l’aleatorietà più complessa e la combinatoria più semplice e nessuno può conge- gnare un racconto senza riferirsi a un sistema implicito di unità e di regole.2 L’idea di fondo dello strutturalismo è quella di trovare un modello attraverso il quale descrivere il funzionamento di tutte le narrazioni, senza naturalmente dimenticare che ogni racconto ha comunque delle caratteristiche specifiche, delle particolarità che gli sono proprie. In pratica, è un po’ come se immaginassi- mo l’esistenza di un unico scheletro narrativo che i vari autori rivestono di parole, situazione e personaggi diversi, da cui la maggiore o minore piacevolezza di questo o quel racconto; per fare un paragone neanche troppo distante dalla realtà, possiamo dire che, secondo lo strutturalismo, le cose funzionano come una stessa fiaba raccontata da persone diverse: a seconda dei va- ri affabulatori avremo storie più o meno avvincenti, più o meno vivaci, ma la vicenda raccontata sarà sempre la stessa. L’obiettivo degli strutturalisti è dunque quello di individuare il modello generale della narrazione e poi misurare gli scarti da es- so: 2 Roland Barthes, Introduzione all’analisi strutturale dei racconti, in AA. VV., L’analisi strutturale del racconto, Bompiani, Milano 1969, p. 8 (ed. or. 1966). Perissinotto 15 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE [l’analisi del racconto] è forzatamente condannata ad una proce- dura deduttiva; è obbligata a concepire un modello ipotetico di de- scrizione (che i linguisti americani chiamano una “teoria”), e a scen- dere poi, a poco a poco, a partire da questo modello verso i generi che a un tempo vi partecipano e se ne discostano: è solo a livello di questa conformità e di questi scarti che potrà trovare, munita di uno strumento unico di descrizione, la pluralità dei acconti, la loro di- versità storica, geografica, culturale.3 Uno “strumento unico di descrizione”, una sorta di lingua narrativa: come utilizzando una stessa lingua storico-naturale (l’italiano, il francese, ecc.) si possono creare un’infinità di frasi differenti, così, attraverso un unico codice narrativo si può ge- nerare la molteplicità dei racconti esistenti e futuri. Gli studi successivi hanno dimostrato che l’adozione di un unico modello di analisi e l’applicazione di un approccio linguistico (sulla scorta del Corso di linguistica generale di Saussure) erano ipotesi di ricerca troppo grossolane; ciò non significa affatto che l’esperienza del- lo strutturalismo sia stata fallimentare: sebbene non sia stato possibile individuare un unico sistema di descrizione dei raccon- ti, si è affermata una volta per tutte l’idea della narrazione come composizione ordinata di elementi ricorrenti ed è proprio su questo che lavoreremo nel paragrafo successivo. 1.3 I motivi In forme diverse, abbiamo più volte ripetuto che la semiolo- gia, ed in particolare lo strutturalismo, rivolge la sua attenzione alle strutture profonde della narrazione e bada alle cose che ac- comunano i vari racconti, piuttosto che (come invece farebbe la critica letteraria) a quelle che rendono ogni racconto unico e 3 R. Barthes, cit., p. 9. Perissinotto 16 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE singolare. Per fare tutto ciò, deve in qualche misura prescindere dai contenuti specifici di ogni narrazione o, quantomeno, gene- ralizzarli per renderli confrontabili tra loro. Ma come può avve- nire questa generalizzazione? Analizziamo il metodo utilizzato all’inizio di questo capitolo per costruire la “trama” (o quel che è) del nostro racconto. Abbiamo creato una serie di punti che corrispondono ad altrettanti eventi, ad altrettante “cose che ca- pitano” nella storia. Noi quei punti li abbiamo creati prima an- cora di stendere il racconto, ma se li esaminiamo a posteriori, cioè confrontandoli con il testo finito, vediamo che essi sono delle parafrasi riassuntive di singole parti di quel testo. Dividere in porzioni i contenuti di una narrazione e poi parafrasarli è il primo passo per riuscire a svincolarsi da essi, a pensare alle strutture, all’ossatura del racconto. Prendiamo il primo punto della nostra trama: Un ortopedico, il dottor Pagani, che opera in una locali- tà di villeggiatura ingessa malamente la gamba fratturata di un bambino. Nessuno ci vieta di parafrasare ulteriormente questa porzione di testo e di generalizzarla ancora: Un uomo procura un danno a un bambino; o addirittura: Una persona danneggia un’altra persona. Abbiamo così creato un “motivo”. Con il termine motiv (motivo), intendo la più semplice unità nar- rativa, che, sotto forma di immagine, rispondeva alle richieste dell’intelletto primitivo e dell’osservazione quotidiana. Data la so- miglianza o addirittura l’uguaglianza delle forme di vita e dei proces- si psicologici ai primi stadi dell’evoluzione sociale, motivi di tale ge- Perissinotto 17 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE nere potevano formarsi autonomamente e, allo stesso tempo, pre- sentare tratti simili.4 Ecco che il motivo diviene una delle basi dell’analisi struttura- le del racconto grazie alle sue tre caratteristiche fondamentali: a. i motivi sono le unità minimali della narrazione, cioè so- no dei “microracconti”; b. i motivi possono concatenarsi tra loro per dare vita a racconti complessi. c. i motivi sono sufficientemente generali per ritrovarsi in forme analoghe all’interno di narrazioni diverse; Vediamo come tutto ciò ci aiuta a comprendere e a creare le storie. L’idea che un romanzo o un racconto o un film sia scompo- nibile in unità minimali ci consente di non guardare più all’opera narrativa come se fosse un blocco unico, bensì di analizzarla pezzo per pezzo cogliendo le relazioni che ogni parte intrattiene con le altre. Quando stiamo per iniziare la scrittura di un ro- manzo, il lavoro da svolgere ci sembra smisurato, abbiamo l’impressione (quantomeno, questa è la mia impressione ogni volta che mi confronto con un nuovo romanzo da scrivere) di non riuscire a tirare le fila di tutte quelle vicende, di tutti quei personaggi, abbiamo paura che le cose ci sfuggano di mano e che non arriveremo mai alla fine. Comprendendo invece che il romanzo è fatto di “microracconti” interconnessi tra loro, pos- siamo parcellizzare il lavoro, possiamo pianificare il testo pren- dendo in considerazione, di volta in volta, un solo motivo e cer- care di migliorarlo e di integrarlo meglio nel tessuto narrativo: 4 A.N. Veselovskij, Poetica storica, Edizioni e/o, Roma 1981, p. 200 (ed. or. 1940 ma 1897-1906) Perissinotto 18 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE senza mai dimenticare che una storia va oltre la sua progettazio- ne a tavolino. Il fatto poi che i motivi, per così dire, migrino da un racconto a un altro, permette di riflettere non solo sulla singola storia, ma in generale sul modo in cui le storie si costruiscono. Se io scrivo di come il dottor Pagani, con la sua scarsa conoscenza della me- dicina, rovina la vita di un bambino, quest’esperienza di scrittura rimane confinata nella mia piccola novella poliziesca; se io inve- ce parlo di una persona che ne danneggia un’altra, io posso tra- sferire la mia esperienza agli altri: posso interrogarmi sul ruolo del danneggiamento in un racconto, posso cosa può o cosa deve succedere in una storia quando un personaggio rimane vittima di un altro (ma questo è solo un esempio) e ciò, indipendente- mente dal fatto che il danneggiamento consista in una lesione o piuttosto in un abbandono da parte della persona amata o in una mancanza di fiducia, indipendentemente dal genere narrati- vo che si sceglie. 1.4 Intreccio e fabula Abbiamo detto poc’anzi che i motivi possono comporsi e collegarsi tra loro per creare racconti più o meno complessi. Siamo così in grado di dare una definizione un po’ più precisa di “trama”: la trama è il risultato dell’unione organica di una serie più o meno ampia di motivi. Quando diamo vita a una narra- zione articolata, noi conferiamo a questi motivi due forme di organizzazione: la fabula e l’intreccio. Due forme che non sono alternative tra loro, ma che coesistono nel racconto finito così come nella sua ideazione. Torniamo al modo in cui ho costruito la trama del nostro racconto di esempio. Il motivo che per primo si è affacciato alla Perissinotto 19 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE mia mente è quello indicato con il numero 4 in una sequenza che ne prevede quattordici; possiamo quindi dire che ho iniziato a inventare la vicenda partendo da un fatto che si colloca più o meno a un terzo della storia. Poi ho analizzato le cause e le con- seguenze di quel primo, cruciale evento e ho messo in fila una serie di motivi seguendo i nessi causali, ho cioè costruito la fa- bula: è appunto l’insieme degli avvenimenti nei loro reciproci rapporti inter- ni che noi chiamiamo fabula5. Detto altrimenti, la fabula è la trama di una narrazione i cui accadimenti sono disposti nell’ordine cronologico del loro fittizio accadere6. Ecco lo schema di questa fabula. motivi 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 111 12 13 14 15 te un m gio- giovedì venerdì s mpi anno erc. vedì ore 11- ab. prima se mat 18 ra tino Quando però ho iniziato a scrivere il racconto, non sono par- tito dal motivo numero 4 (l’omicidio) e neppure dal numero 1 (il danneggiamento che scatena il desiderio di vendetta), bensì dal numero 6 (il ritrovamento del cadavere), poi ho proceduto li- nearmente fino al motivo 13, quindi sono saltato al motivo 15 e, di lì, attraverso un recupero analettico (v. oltre) contenuto nella ricostruzione dell’omicidio fatta da Gotti in presenza dell’indiziato, ho esposto i motivi 3, 4, 5 e il motivo 14, l’elemento che ha permesso al maresciallo di giungere alla solu- zione, mentre i motivi 1 e 2 il lettore li troverà solo alla fine, nel- la confessione dell’omicida: in ultimo. La successione di motivi che si ritrova sulla carta è allora la seguente: 5B. Tomaševskij, Teoria della letteratura, Feltrinelli, Milano 1978 (ed. or. 1928) 6 R. Rutelli, Semiotica (e)semplificata, Liguori, Napoli 2003, p. 376. Perissinotto 20 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE 6 – 7 – 8 - 9- 10 -11 – 12 – 13 – 15 – 3 – 4 – 5 – 14 – 1 – 2 Posso quindi dire di aver intrecciato tra loro i motivi e di aver creato appunto l’intreccio: la strutturazione letteraria degli avvenimenti nell’opera si chiama intreccio7. In altre parole, l’intreccio è la trama di una narrazione i cui eventi sono disposti nell’ordine arbitrario, magari non cronologico, deciso dall’autore8. Ed ecco la rappresentazione schematica dell’intreccio: motivi 6 7 8 9 10 11 12 13 15 3 4 5 14 1 2 tempi giovedì venerdì sabato merc. giovedì ven. un ore 11-18 sera mattino anno prima Perché diciamo che fabula e intreccio coesistono? Perché il racconto, oltre che nella forma dell’intreccio fissato dalla se- quenza immutabile delle pagine o dei fotogrammi sulla pellicola, si riformula e si dispiega nella rielaborazione mentale che ne fa il lettore o lo spettatore, una ricostruzione identica a quella che l’autore aveva fatto (non importa se prima o durante la stesura del testo) per scrivere quella stessa storia. Di norma, la fabula non si ritrova stampata sulla carta; i motivi vengono stampati nell’ordine che conferisce loro l’intreccio, ma la fabula risiede sempre in una mente, quella dell’autore, prima, e quella del let- tore dopo. Guardando lo schema dell’intreccio che abbiamo presentato qui sopra, possiamo dire che l’elaborazione dell’intreccio stesso è una sorta di viaggio avanti e indietro nel tempo della narrazio- ne. L’autore parte da un certo fatto e quindi da un determinato tempo che chiameremo T0, ma ad un certo punto potrebbe sen- tire la necessità di raccontare un evento accaduto prima di quel 7 B. Tomaševskij, cit. 8 R. Rutelli, cit. p. 378. Perissinotto 21 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE fatto iniziale, prima di quel tempo T0, magari in un tempo T-1 o T-2. Questo recupero di cose avvenute prima potrebbe servirgli, ad esempio, per dare una spiegazione a ciò che sta accadendo ora (cioè in T0), oppure per dare una profondità storica al rac- conto. Parleremo così di recuperi analettici o semplicemente di analessi. L’analessi è una porzione narrativa in cui si raccontano eventi precedenti il punto in cui è giunta la narrazione principale9. Nel linguag- gio cinematografico siamo abituati a chiamare l’analessi con il nome di flash-back. All’opposto dell’analessi troviamo la prolessi cioè una porzione di racconto che “anticipa” accadimenti successivi al punto del racconto in cui si colloca10. La prolessi è solitamente affidata al narratore onniscien- te perché, normalmente, il personaggio non può conoscere fatti che non sono ancora avvenuti, mentre il narratore sì (ma tutto questo sarà più chiaro quando, nel par. 2.5, parleremo appunto del ruolo del narratore). Perché fare anticipazioni? Anche qui la gamma di possibilità è vasta, ma un buon motivo per anticipare qualcosa è il desiderio di creare curiosità: accennando ad un fat- to che accadrà, ma che ancora non è compiutamente raccontato, il lettore si sente spinto ad avanzare fino a scoprire esattamente ciò che succederà; nel mio racconto a puntate ho utilizzato la prolessi proprio per creare suspense tra una puntata e l’altra. Vediamo un breve passaggio del nostro racconto in cui, oltre alla narrazione dell’adesso, cioè del tempo T0, è contenuta una analessi e una prolessi, il tutto in poche righe Quando Gotti uscì dalla caserma [tempo dei fatti = T0] era l'ora dell'aperiti- vo e la via principale era piena di torinesi in vacanza che ogni dieci metri scambiavano un cenno di saluto con qualcuno; per undici mesi ognuno di 9 R. Rutelli, cit. p. 376. 10 R. Rutelli, cit. p. 382 Perissinotto 22 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE loro aveva ripetuto [rievocazione di fatti accaduti prima dell’inizio del racconto = ana- lessi = T0-x]: «Basta, io a Montenevoso non ci vado più, ti sembra di essere a Torino, ci incontri le stesse persone»; ma poi, ad agosto, si erano ritrovati tutti. A quel pensiero, Teo Gotti sorrise tra sé sereno, ignaro della svolta che avrebbe preso la vicenda di lì a poco [anticipazione su fatti che accadranno in un tempo successivo = prolessi = T+y]. Ma perché complicarsi la vita infrangendo l’ordine causale e cronologico degli eventi? Perché non raccontare le cose dall’inizio alla fine? Qualche risposta a questa domanda l’abbiamo già data, ma ora vediamo di fare un po’ d’ordine. Le ragioni per cui è preferibile dare ai motivi un ordine diver- so da quello che essi hanno nella fabula sono di tre tipi: ragioni estetiche, ragioni compositive e ragioni cognitive. Le prime, quelle estetiche (che peraltro non pervengono alla narratologia), si liquidano più rapidamente dicendo che l’intreccio è più interessante della fabula, ovvero che una narra- zione assolutamente lineare rischia di diventare noiosa. Le ragioni compositive sono anch’esse facili da intuire. Il mondo più semplice per comprenderle è quello di pensare alla contemporaneità degli eventi. Nel capitolo VIII dei Promessi Spo- si, mentre Renzo e Lucia tentano il matrimonio di sorpresa in parrocchia, a casa di Lucia i bravi cercano di rapire la stessa Lu- cia; siamo dunque davanti a due fatti che si svolgono nello stes- so momento, come fare a raccontarli? Lo scrittore francese Mi- chel Butor avrebbe probabilmente diviso la pagina in due colonne e avrebbe narrato parallelamente le due storie; Manzoni sceglie invece una via più tradizionale e ci racconta prima quello che capita a Renzo e Lucia e poi quello che è avvenuto a casa della ragazza in sua assenza. Anche nel nostro piccolo racconto ci siamo trovati di fronte a una scelta di questo tipo; il marescial- lo Gotti va a indagare presso il gommista, mentre il carabiniere Perissinotto 23 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE Ferrero cerca informazioni sulla vittima: abbiamo deciso di se- guire prima Gotti e poi, attraverso un’analessi che si concretizza in un dialogo tra Gotti e il suo sottoposto, di recuperare ciò che quest’ultimo ha scoperto. Le ragioni di tipo cognitivo sono invece più delicate. Un rac- conto è una specie di “commedia degli equivoci”: se tutti sapes- sero tutto, non ci sarebbe storia. Se la vittima sapesse che c’è un assassino appostato, non si farebbe sparare; se la moglie sapesse fin da subito che il marito la tradisce non ci sarebbe una doloro- sa vicenda d’amore, se lo spettatore sapesse fin dall’inizio di chi è il figlio che l’eroina della soap sta attendendo non guarderebbe le puntate dalla 1350 alla 1397 e così via. Se noi fossimo costret- ti a raccontare le cose dall’inzio alla fine, cioè a seguire la fabula, nella maggior parte dei casi non potremmo creare le disgiunzioni cognitive necessarie a rendere la storia interessante. Perché ab- biamo scelto di rivelare solo verso la fine il sistema attraverso il quale Gotti ha scoperto il nome dell’assassino? Perché così fa- cendo abbiamo aumentato l’interesse del lettore, il quale si sarà chiesto fino alla fine come diavolo avesse fatto il maresciallo ad arrivare alla conclusione. 1.5 La madre di tutte le strutture: Propp e la “Mor- fologia della fiaba” Per legittimare la loro aspirazione ad individuare un modello unico di narrazione dal quale far discendere tutti i racconti come altrettante “variazioni sul tema”, gli strutturalisti partivano dalla teoria di Propp, secondo il quale: tutte le favole di magia hanno strut- Perissinotto 24 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE tura monotipica11. Questo significa che tutte le fiabe sono uguali? E soprattutto, significa che possiamo partire dalla fiaba per ri- conoscere una “struttura monotipica” anche all’insieme delle al- tre narrazioni? La risposta è negativa in entrambi i casi, ma ve- diamo di scendere nel dettaglio. Propp parte da un corpus di cento fiabe di magia russe e le analizza cercano i tratti comuni e gli elementi differenti; si ac- corge ben presto che nella fiaba esistono due livelli, uno “super- ficiale” dove si manifestano le particolarità di ogni singola fiaba, l’altro, “profondo” nel quale quelle stesse particolarità mostrano invece di avere delle radici comuni. Ci spiegheremo meglio con degli esempi: 1. La regina ordina che Biancaneve venga portata in un bo- sco e uccisa 2. La fata permalosa lancia una maledizione e la principessa, pungendosi con un fuso, cade addormentata 3. La strega imprigiona Raperonzola in una torre 4. Il Gelo decima i raccolti nel paese di Ivan. Possiamo immaginare che questi quattro eventi appartengano ad altrettante fiabe differenti; se noi guardiamo questi enunciati al livello del discorso, cioè al livello “superficiale” del testo, noi percepiamo immediatamente le diversità: in uno il “cattivo” (chiamiamolo così per il momento) è la regina, nell’altro è la fa- ta, nell’altro ancora è la strega, nel quarto è il Gelo (personaggio tipico della fiaba russa) e, se prendessimo in considerazione altri casi, potremmo ritrovare il lupo, il drago, l’orco, il Vento Tra- montano e così via. Allo stesso modo, a subire la “cattiveria” sono, di volta in volta, Biancaneve, la principessa, Raperonzola e Ivan. E anche le “cattiverie” sono di tipo differente: tentato 11 V.Ja. Propp, Morfologia della fiaba, Einaudi, Torino 1966, p. 29 (ed. or. 1928) Perissinotto 25 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE omicidio, lesione, sequestro di persona, furto o rapina (per usare un linguaggio giuridico). Ma nel momento stesso in cui notiamo queste differenze, siamo costretti a riconoscere che, a un livello più profondo, esse corrispondono ad altrettante somiglianze: in tutti gli enunciati c’è un cattivo, c’è un danneggiamento e c’è una vittima che però non viene totalmente e definitivamente schiacciata dal danneggiamento. Parlando di “cattivo” e di “vittima”, noi individuiamo poi dei “personaggi-tipo”, cioè dei personaggi che non si caratterizzano per loro peculiarità (i capelli biondi, l’intelligenza, il nome, ecc.), bensì per il loro ruolo nell’economia della narrazione, per le azioni standard che svolgono nella fiaba. Propp individua sette personaggi tipo: l’eroe, l’antagonista, il donatore del mezzo ma- gico, l’aiutante dell’eroe, il falso eroe, il mandante, il personaggio cercato. Questi personaggi possono anche non comparire tutti in una stessa fiaba, ma sono comunque fissi, così come è fissata la gamma delle azioni che essi possono svolgere, da cui Propp ricava: Gli elementi costanti, stabili della favola sono le funzioni dei per- sonaggi, indipendentemente dall’identità dell’esecutore e dal modo di esecuzione. Esse formano le parti componenti fondamentali della favola.12 In pratica non importa se l’eroe si chiama Ivan, Principe az- zurro o Giufà, non importa se trovi la principessa con la sua astuzia o grazie al caso, ciò che importa, ciò che non cambia è che nella fiaba vi è un eroe che trova la persona scomparsa o in pericolo o che si salva da una persecuzione: ciò che non cambia è l’insieme delle sue funzioni. 12 V. Ja. Propp, cit., p. 27 Perissinotto 26 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE Per funzione intendiamo l’operato di un personaggio determina- to dal punto di vista del suo significato per lo svolgimento della vi- cenda.13 E Propp aggiunge: Il numero di funzioni che compaiono nella favola di magia è li- mitato.14 Per l’esattezza è limitato a 31. Trentun funzioni, non una di più. Ma come è possibile fissare un numero finito e piuttosto modesto di funzioni quando le azioni che i personaggi possono compiere sono migliaia? Ancora una volta si ricorre alla genera- lizzazione, così come avevamo visto per i motivi: se l’antagonista deruba, rapisce, ferisce, affattura, ordina di uccide- re l’eroe o un suo parente o la figlia del re, noi generalizziamo il suo operato e lo poniamo sotto la categoria del danneggiamen- to. Il “danneggiamento” sarà così la funzione (l’ottava delle trentuno) attraverso la quale l’antagonista nuoce all’eroe o al si- stema sociale (famiglia, villaggio, reame, ecc.) del quale esso è difensore. L’analisi di Propp rivela poi un altro aspetto molto importan- te: La successione delle funzioni è sempre identica.15 Significa che in tutte le fiabe di magia il danneggiamento arri- va sempre nello stesso punto ed è sempre seguito dalla reazione dell’eroe, dalla partenza e così via; anche se in nessuna fiaba so- no presenti tutte le 31 funzioni individuate da Propp. È quindi venuto il tempo di vedere l’elenco di queste funzio- ni. Nella colonna di sinistra abbiamo indicato le varie funzioni con il numero progressivo, il nome, il simbolo assegnato ad 13 Ibid. 14 Ibid. 15 V. Ja. Propp, cit., p. 28 Perissinotto 27 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE ognuna di esse nella Morfologia della fiaba e una brevissima descri- zione. Nella colonna di destra troviamo invece qualche esempio pratico tratto dalla fiaba di Cenerentola (naturalmente per le sole funzioni che compaiono in questa fiaba) nella sua versione oggi più nota, quella Disney. Funzione Esempio in Cenerentola Situazione iniziale (i) Cenerentola vive con il pa- dre amoroso 1. allontanamento (e) – uno dei membri della famiglia si allon- tana da casa (es. il principe va alla guerra e lascia la moglie sola a casa) 2. divieto (k) – all’eroe è impo- sto un divieto (es. a Cappuccet- to Rosso viene vietato di passa- re per il bosco) 3. infrazione (q) – il divieto viene infranto (es. Cappuccetto rosso passa per il bosco) 4. investigazione (v) - l’antagonista tenta una ricogni- zione (es. il lupo, travestito, par- la con Cappuccetto Rosso) 5. delazione (w) – l’antagonista riceve informazioni sulla sua vittima 6. tranello (j) – l’antagonista tenta di ingannare l’eroe 7. connivenza (y) – l’eroe cade Perissinotto 28 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE nel tranello 8a. danneggiamento (X) - l’antagonista areca danno o me- nomazione a uno dei membri della famiglia dell’eroe 8b. mancanza (x) – a uno dei Alla morte del padre, Ce- membri della famiglia manca nerentola si trova sola con la qualcosa o viene il desiderio di matrigna che la priva di ogni qualcosa affetto, dunque ella sente la mancanza degli affetti. 9 momento di connessione (Y) – il Il principe annuncia il ballo danneggiamento o la mancanza nel quale cercherà moglie e in vengono resi noti quel momento Cenerentola prende coscienza della pro- pria mancanza. 10. reazione dell’eroe (W) Cenerentola chiede di po- ter andare al ballo 11. partenza 12. l’eroe è messo alla prova dal donatore (D) – (es. una fata chie- de all’eroina un gesto caritate- vole prima di concederle il do- no magico) 13. risposta dell’eroe al donatore (E) - l’eroe reagisce all’operato del futuro donatore (es. l’eroina accetta di sorgere il compito ca- ritatevole) 14. conseguimento del mezzo ma- Cenerentola ottiene dalla gico (Z) – il mezzo magico per- fata gli abiti e la carrozza per viene in possesso dell’eroe andare al ballo. Perissinotto 29 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE 15. trasferimento (R) – l’eroe si trasferisce sul luogo in cui si trova l’oggetto delle sue ricer- che 16. lotta (L) – l’eroe e l’antagonista ingaggiano direttamente la lotta 17. marchiatura (M) – all’eroe è impresso un marchio 18. vittoria (V) – l’antagonista è vinto 19. rimozione della sciagura o del- Cenerentola riesce a fare la mancanza (Rm) innamorare di sé il principe. 20. ritorno dell’eroe 21. persecuzione (P) – l’eroe è Cenerentola viene chiusa sottoposto a persecuzione in casa 22. salvataggio (S) – l’eroe si Cenerentola riesce ad usci- salva dalla persecuzione re dal luogo ove è stata rin- chiusa 23. arrivo in incognito (°) – l’eroe arriva in incognito a casa o in un altro paese 24. pretese del falso eroe (F) Le sorellastre di Ceneren- tola si spacciano per lei 25. compito difficile (C) – all’eroe è proposto un compito difficile 26. adempimento (A) – il com- pito è eseguito 27. identificazione (I) – l’eroe è La scarpetta di cristallo Perissinotto 30 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE riconosciuto identifica Cenerentola 28. smascheramento del falso eroe (Sm) 29. trasfigurazione (T) – l’eroe assume nuove sembianze 30. l’antagonista è punito (Pu) – (es. in alcune versioni di Cene- rentola, la matrigna e le sorella- stre vengono bruciate in botti di pece) 31. nozze (N) – l’eroe si sposa Cenerentola sposa il prin- e sale al trono cipe L’insieme delle 31 funzioni costituisce la struttura della fiaba, quella struttura invariabile del livello profondo che poi, ad un livello più superficiale, si riveste di tutte le varianti suggerite dal- la fantasia degli affabulatori: tutte le fiabe di magia hanno struttura monotipica.16 Ma che cosa ci insegna la morfologia della fiaba? In che modo ci aiuta a scrivere storie? Con queste due domande mettiamo in luce uno degli errori più evidenti della semiologia strutturalista, quello che vede l’applicazione delle teorie di Propp ad ambiti diversi da quello della fiaba. Propp ci dice chiaramente che la sua analisi si applica alla fiaba di magia, ma gli studiosi che lo hanno seguito hanno pensato di poter estendere l’idea di una struttura monotipica, non solo alle fiabe, ma a tutte le forme della narrazione; si sono illusi di trovare nella successione delle funzioni quello “strumen- to unico di descrizione della pluralità dei racconti” di cui parlava 16 V. Ja. Propp, cit., p. 29 Perissinotto 31 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE Barthes. Per inseguire questa illusione, essi hanno forzato, mo- dificato, specificato la struttura della fiaba per permetterle di ac- cogliere e di descrivere tipi di racconti molto più articolati e complessi di quanto non sia la fiaba, con il risultato di ottenere dei modelli inutili tanto per l’analisi quanto per la progettazione di storie. Provo ad applicare al nostro racconto il modello di Propp. Funzione Esempio in L’estate del ma- resciallo Gotti Situazione iniziale (i) Il dottor Pagani ha curato in modo errato un bambino e il padre di questo decide di ven- dicarsi, ma tutto pare tranquil- lo a Montenevoso. 1. allontanamento (e) 2. divieto (k) 3. infrazione (q) 4. investigazione (v) - Il futuro assassino, cono- l’antagonista tenta una ricogni- scendo le abitudini e le passio- zione (es. il lupo, travestito, ni dell’ortopedico cena al suo parla con Cappuccetto Rosso) stesso ristorante e lo fa parlare 5. delazione (w) – Il futuro assassino ottiene da l’antagonista riceve informazio- lui informazioni sulla sua pros- ni sulla sua vittima sima gita in mountain bike 6. tranello (j) 7. connivenza (y) 8a. danneggiamento (X) - L’assassino uccide il dottor l’antagonista areca danno o Pagani, danneggiando così la menomazione a uno dei membri società di cui Gotti è il difenso- della famiglia dell’eroe re. 8b. mancanza (x) 9 momento di connessione Le due ragazze trovano il (Y) – il danneggiamento o la corpo del dottor Pagani mancanza vengono resi noti Perissinotto 32 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE 10. reazione dell’eroe (W) Il maresciallo Gotti intervie- ne 11. partenza 12. l’eroe è messo alla prova dal donatore (D) 13. risposta dell’eroe al do- natore (E) 14. conseguimento del mezzo Le fotografie rivelano che magico (Z) – il mezzo magico non si è trattato di un inciden- perviene in possesso dell’eroe te. 15. trasferimento (R) – l’eroe Gotti torna sul luogo del de- si trasferisce sul luogo in cui si litto e scopre la chiave inglese trova l’oggetto delle sue ricer- dimenticata e le tracce che dell’altra bici. 16. lotta (L) – l’eroe e Gotti smaschera la messa in l’antagonista ingaggiano diret- scena operata dall’assassino tamente la lotta 17. marchiatura (M) – all’eroe è impresso un marchio 18. vittoria (V) – L’assassino viene interrogato l’antagonista è vinto e confessa 19. rimozione della sciagura o della mancanza (Rm) 20. ritorno dell’eroe 21. persecuzione (P) 22. salvataggio (S) 23. arrivo in incognito (°)e 24. pretese del falso eroe (F) 25. compito difficile (C) 26. adempimento (A) 27. identificazione (I) 28. smascheramento del falso eroe (Sm) 29. trasfigurazione (T) 30. l’antagonista è punito L’assassino viene portato via (Pu) e si sottintende l’arresto 31. nozze (N) – l’eroe si sposa e sale al trono Perissinotto 33 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE Mi accorgo subito che un buon numero di caselle corrispondenti ad altrettante funzioni rimane vuoto: la struttura monotipica del- la fiaba è abbastanza distante da quella del mio racconto. In se- condo luogo mi rendo conto che per collocare all’interno di alcu- ne funzioni determinati passaggi della storia di Gotti ho dovuto forzare parecchio le cose: la lotta diretta tra l’eroe e l’antagonista (L) diventa qui un duello a distanza basato su prove e deduzioni, il trasferimento dell’eroe è un semplice spostamento sul luogo del delitto e così via. Se dunque la struttura della fiaba non può essere applicata ad altre forme di narrazione, a maggior ragione essa non può essere usata come schema progettuale per creare storie. Per analizzare il mio racconto alla luce delle funzioni di Propp ho già dovuto effettuare delle forzature, ma cosa sarebbe accaduto se avessi voluto riempire tutte le caselle rimaste vuote? Che risultato avrei ottenuto se avessi voluto far tornare l’eroe (e dove?), se avessi voluto per forza rimuovere il danno (avrei dovuto far resuscitare il dottor Pagani?) o se avessi voluto introdurre un falso eroe? Un risultato fallimentare, senza dubbio, perché nella fiaba tutto deve tornare e non c’è posto per sfumature psicologiche o per dubbi circa l’etica dominante, mentre nei romanzi e nei racconti, così come nella vita vera, le cose sono più complicate e non sempre l’eroe è del tutto buono o l’antagonista del tutto cattivo. Se vogliamo possiamo divertirci a scrivere fiabe seguendo la successione delle funzioni, ma con le altre forme di narrazione questo non funziona. A questo punto si potrebbe obiettare che il lavoro di Propp non ci serve a nulla, ma anche qui sbaglieremmo. In primo luogo, le ricerche del folclorista russo ci hanno mo- strato che le strutture di fondo esistono, che è possibile indivi- duare delle regole compositive che, con una certa elasticità, val- Perissinotto 34 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE gono per tutte le narrazioni appartenenti ad un certo gruppo e che quindi possiamo applicare l’esperienza maturata attraverso una storia ad altre storie dello stesso genere; naturalmente, a patto di non legarci troppo al rispetto di queste regole. Inoltre, l’applicazione impropria della teoria proppiana alle narrazioni complesse ha messo in evidenza che, sebbene sia dif- ficile ritrovare nella letteratura non favolistica alcune sequenze di funzioni o alcuni personaggi (ad esempio l’”aiutante magi- co”), esistono funzioni, come il danneggiamento o la sconfitta dell’antagonista, che sono presenti in ogni trama. Possiamo così dire che ogni trama parte da una situazione iniziale di equilibrio e che poi, attraverso una rottura di questo equilibrio determinata da un danneggiamento, evolve fino a un ristabilimento di un nuovo equilibrio. Questa idea di fondo ci apre la strada verso modelli narrativi più generali, forse meno precisi nel descrivere ciò che avviene nella storia, ma più largamente applicabili non solo nell’analisi, ma anche nella progettazione di trame. 1.6 L’oggetto di valore Muoviamoci ora in una direzione di massima generalizzazio- ne. Propp individua nel confronto tra l’antagonista e l’eroe l’asse portante della fiaba, ma talvolta, nel romanzo, è difficile indivi- duare uno specifico antagonista, così come è difficile spesso (specie nella letteratura del Novecento) individuare un autentico eroe. Proviamo dunque a cambiare gli attori di questo confron- to: non più due personaggi, ma due valori. Possiamo così dire che una narrazione è sempre la storia di una lotta tra il bene e il male, ma facendo attenzione a sottolineare che “Bene” e “Male” non sono valori assoluti, né sono necessariamente i valori con- divisi da una certa società o dettati da una certa etica. Il raccon- Perissinotto 35 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE to è il teatro di questa lotta, ma è anche il luogo dove i valori di riferimento vengono definiti: ogni racconto ha il proprio “Be- ne” e il proprio “Male”. Facciamo qualche esempio. In Lo strano caso del dottor Jekyll e mr. Hyde di Stevenson, i valori che animano la trama sono gli stessi della società vittoriana: Je- kill è onesto e misericordioso, al punto di tentare un esperimen- to teso a separare nettamente il lato buono dal lato malefico di ogni uomo; Hyde incarna invece la malvagità allo stato puro, il disprezzo per gli altri e per la vita. La lotta tra il bene socialmen- te condiviso e il male socialmente condiviso non potrebbe esse- re più chiara. Nei romanzi che hanno come protagonista Arsenio Lupin (Leblanc, primo ventennio del 1900), o nei fumetti di Diabolik assistiamo invece a un rovesciamento di questi valori: il “Bene” di Lupin e di Diabolik, in quanto ladri e addirittura assassini, è ciò che la società definisce “Male”; ciò nondimeno, fintanto che rimane all’interno della finzione, cioè dentro la storia, il lettore si immedesima nel protagonista e aderisce al suo programma nar- rativo plaudendo il conseguimento di un “Bene” individuale (l’impossessarsi dei beni altrui) che coincide con il “Male” socia- le. Ma il “Bene” e il “Male” si scontrano anche quando il con- flitto non assume i contorni di una lotta fisica o esplicita: in La metamorfosi (Kafka, 1912), il “Bene” individuale che Gregor Sam- sa desiderebbe, consiste nella possibilità di affermare la sua di- versità rispetto alla società borghese, la quale, invece, rappresen- ta il “Male”. Ovviamente, le storie possono avere un lieto fine, quello in cui il “Bene” definito all’interno dell’orizzonte del racconto pre- vale sul “Male”, oppure un finale tragico, quello dove è il “Ma- le” (sempre inteso come valore definito dalla narrazione stessa) a vincere. Perissinotto 36 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE Il caso del romanzo di Stevenson evocato qui sopra è molto particolare: in esso il “Bene” e il “Male” si presentano come en- tità pure e astratte e per tali astrazioni si lotta e si muore. Nella maggior parte delle storie però, i valori non vengono messi in gioco allo stato puro, ma vengono, per così dire, caricati sugli oggetti; Arsenio Lupin non agisce per un non ben definito “Be- ne individuale”, ma agisce per appropriarsi di qualche gioiello: il gioiello è così un oggetto che, per Lupin, si carica di valore, di- venta il “Bene”. E poiché per la società è “Male” che quello stesso gioiello non rimanga al suo legittimo proprietario, la lotta tra il bene e il male sarà una lotta per il possesso di un oggetto di valore. Ed ecco il punto: ciò che dà vita alla narrazione è sempre la lotta per la conquista di un oggetto di valore. Certo non dob- biamo limitarci a concepire l’oggetto di valore come un oggetto fisico o come un prezioso, l’oggetto di valore può essere: - un oggetto fisico dotato di un valore intrinseco (denaro, oro, diamanti, ecc.) o soggettivo (un ricordo di famiglia); - un “oggetto di relazione” (l’amore, l’amicizia, la stima, la fi- ducia in se stessi, ecc.); - un “oggetto di potere” cioè una situazione di dominio (l’eliminazione di un concorrente, di un rivale, la conquista di una carica pubblica, ecc.) - un “oggetto di sapere” cioè una conoscenza (un segreto, una confessione, ecc.). Ciò che conferisce valore all’oggetto è semplicemente il desi- derio che uno dei personaggi (o più personaggi) prova per l’oggetto stesso. Per il protagonista di una storia, possedere l’oggetto di valore equivarrà a far vincere il proprio “Bene” su di un “Male” rap- presentato da tutto ciò che si frappone tra lui e l’oggetto: il per- Perissinotto 37 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE corso che il protagonista farà per congiungersi al suo oggetto di valore (indipendentemente dalla riuscita o meno di questa ope- razione) è il programma narrativo, cioè la più generale delle strutture del racconto. 1.7 Gli attanti Chi è che, in una storia, opera per conquistare un oggetto di valore? Qui sopra, per semplificare, abbiamo detto a desiderare l’oggetto di valore sono i personaggi, ma ora è venuto il mo- mento di precisare questa nozione e di eliminare alcune ambi- guità terminologiche. Innanzi tutto, “personaggio” può indicare non solo una figura generica (l’eroe, l’antagonista, ecc.), come avviene nella teoria di Propp, ma anche un ben preciso “indivi- duo letterario”, ed è quanto avviene quando diciamo frasi del tipo: «Edmond Dantes è il personaggio principale del Conte di Montecristo», oppure «I personaggi femminili di Verga sono parti- colarmente riusciti». Per continuare ad elaborare modelli suffi- cientemente flessibili, dobbiamo però continuare a lavorare con un certo grado di generalizzazione e dunque evitare la possibile confusione con i personaggi specifici. A questo scopo, Algirdas Julien Greimas introduce il termine “attanti”. Gli attanti non sono attori e non sono nemmeno personaggi, sono ruoli narra- tivi, sono posizioni mutuamente definite che rimangono stabili indipendentemente dalle figure concrete che le occupano. Esemplifichiamo il tutto con una metafora calcistica. Possiamo dire che gli attanti sono come i ruoli in campo: c’è il portiere, c’è il difensore, c’è il centrocampista, c’è l’attaccante; ogni singolo ruolo è definito dal rapporto con gli altri (il portiere sta davanti alla porta, i difensori stanno davanti al portiere e dietro ai cen- trocampisti, ecc.) e dalla funzione che svolge (il portiere para, il Perissinotto 38 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE difensore si oppone all’avversario che si avvicina alla porta, ecc.), ma non da chi lo interpreta (il portiere sta davanti alla por- ta indipendentemente dal fatto che sia Zoff o Buffon). In un racconto, secondo Greimas, vi sono sei attanti: il Soggetto, l’Oggetto, il Destinante, il Destinatario, l’Aiutante e l’Opponente o anti-Soggetto17. Il Soggetto è quell’entità che, nella narrazione, lotta per con- seguire l’Oggetto (di valore) che desidera; come abbiamo notato prima, Soggetto e Oggetto si definiscono vicendevolmente at- traverso il desiderio: l’Oggetto di valore diventa tale nel momen- to in cui c’è un Soggetto che lo desidera e il Soggetto è tale solo se vi è un Oggetto da desiderare. Ma perché vi sia desiderio è quasi sempre necessario che vi sia qualcuno che lo rende deside- rabile, qualcuno che lo carica di un valore positivo, cioè che lo fa apparire come un Bene per il Soggetto: questo qualcuno è il Destinante. Nel mito dell’Eden, Adamo ed Eva (Soggetto) mangiano la mela (Oggetto) perché il serpente (Destinante) l’ha mostrata a loro (Destinatari) come qualcosa di desiderabile. Il ruolo del Destinatario e il ruolo del Soggetto tendono quindi a coincidere ed è per questo che, d’ora in poi, non parleremo più di Destinatario. Capita spesso poi che il ruolo del Destinante sia del tutto implicito, cioè che il Destinante non sia qualcosa di fi- sicamente presente nel racconto: se, nei Promessi Sposi, Renzo desidera Lucia è perché lei non è troppo brutta, è buona, mode- sta e lavoratrice, valori questi che la società contadina del Sei- cento riteneva positivi; è dunque l’implicita presenza della socie- tà a fungere da Destinante. Allo stesso modo, se nel nostro 17 La teoria greimasiana distingue tra Opponente e anti-Soggetto, ma ai nostri fini questa distinzione può essere ignorata, assegneremo quindi all’Opponente ruoli che pertengono all’anti-Soggetto e viceversa: Opponen- te e anti-Soggetto saranno dunque per noi sinonimi. Perissinotto 39 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE raccontino Gotti vede nella cattura dell’omicida un Oggetto di valore è perché la società (che non per nulla gli paga lo stipen- dio) glielo impone e funge da Destinante. Com’è facile intuire, l’Opponente è colui che ostacola il Sog- getto nel suo disegno di impossessarsi dell’Oggetto. Detto al- trimenti, l’Opponente è un anti-Soggetto che mira a conquistare lo stesso Oggetto desiderato dal Soggetto. Di fatto un racconto non è soltanto la storia di un soggetto desi- derante e di un oggetto desiderato, ma prevede una struttura pole- mico-conflittuale che pone lo stesso oggetto al centro di due azioni antagoniste. […] L’attore che si oppone al congiungimento tra sog- getto e oggetto , cercando in tal modo di realizzare il valore contra- rio, si dirà che occupa il ruolo di anti-Soggetto.18 Ovviamente, l’Aiutante sarà colui che aiuterà il Soggetto a congiungersi con l’Oggetto. 1.8 Un modello universale: Greimas e il program- ma narrativo Parlando della narrazione come della lotta per la conquista di un oggetto di valore, possiamo notare come, ridotta alla sua formulazione più semplice, la storia sia riconducibile a un pro- gramma strutturato in tre fasi: INIZIO: vi è un soggetto disgiunto da un oggetto di valore (SO) SVILUPPO: il soggetto opera per congiungersi all’oggetto di valore FINE: il soggetto si congiunge all’oggetto di valore (SO) 18 F. Marciani, A. Zinna, Elementi di semiotica generativa, Esculapio, Bologna 1991. Perissinotto 40 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE Questo programma, estremamente semplice, viene chiamato Programma narrativo di base (PNb) ed è il vero motore della vicen- da, ciò che fa agire i personaggi, ciò che sta sotto quelle che i teorici d’un tempo chiamavano le “peripezie” dei personaggi stessi. Non c’è racconto, romanzo, commedia o fiaba a lieto fine in cui non possa essere individuato un programma narrativo di ba- se di questo tipo; e dove manca il lieto fine, il programma narra- tivo di base non è diverso: semplicemente, quello che viene por- tato a termine è il programma narrativo dell’Opponente, ma di questo ci occuperemo in seguito. Naturalmente, sono pochissime le storie così banali da poter consistere nel solo programma narrativo di base; neppure le si- tuazioni più quotidiane sono così semplici: Giulia vede Marco a una festa e se innamora a prima vista (Inizio), lei gli chiede se è disposto a fidanzarsi con lei (Sviluppo) e dopo un anno si spo- sano (Fine). No, non funziona così. Presumibilmente, prima che Giulia possa chiedere a Marco di fidanzarsi occorrerà che qual- cuno li presenti, cioè occorrerà che lei ottenga un oggetto di sa- pere intermedio costituito dal nome e dai dati di Marco; poi, in occasione del primo appuntamento, sarà necessario che Giulia si vesta e si trucchi in modo da sedurre Marco: gli abiti e il trucco saranno altri oggetti di valore intermedi che le consentiranno al- la fine di conseguire l’oggetto di valore finale, cioè Marco (o meglio il suo amore). Dunque, le storie sono molto più compli- cate di quanto non lo sia il loro programma narrativo di base (e meno male, altrimenti finirebbero subito e sarebbero noiosissi- me). A complicarle sono i vari Programmi narrativi d’uso (PNu), cioè quei programmi che servono al Soggetto per congiungersi con altrettanti Oggetti di valore intermedi, grazie ai quali si con- giungerà all’Oggetto di valore finale (ad esempio, in un polizie- Perissinotto 41 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE sco, l’arresto di uno scippatore può fornire elementi che con- durranno poi all’identificazione dell’assassino). In molti video- giochi, il ruolo degli oggetti di valore intermedi nello sviluppo della narrazione è particolarmente evidente ed esplicito: per po- ter aprire la tale porta devi prima aver scoperto una certa chiave, per scoprire quella certa chiave devi prima aver conquistato a suon di pungi virtuali la mappa del luogo e così via. Ma, come esemplificazione, usiamo ancora una volta la fiaba di Cenerentola. Il programma narrativo di base (PNb) è il seguente PNb = Il Soggetto vuole congiungersi col suo Oggetto di va- lore finale = Cenerentola vuole sposare il Principe e alla fine lo sposa. Notiamo di sfuggita che a scatenare il desiderio del Soggetto (Cenerentola) verso l’Oggetto (Principe) è il Destinante, cioè il Re che emette il bando attraverso il quale annuncia che il Prin- cipe cerca moglie, altrimenti Cenerentola non si sarebbe mai so- gnata di sposare il Principe. Ma per poter sposare il Principe, Cenerentola deve poter an- dare al ballo, quindi: PNu1 = L’eroina deve congiungersi con un oggetto di valore relativo che le permetta di conseguire l’oggetto di valore finale = Cenerentola va al ballo. Ma per poter andare al ballo Cenerentola deve avere una car- rozza, dei vestiti eleganti, delle scarpe preziose, quindi, grazie all’intervento dell’Aiutante: Perissinotto 42 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE PNu2 = … = La fata dona a Cenerentola una carrozza PNu3 = … = La fata dona a Cenerentola dei vestiti PNu4 = … = La fata dona a Cenerentola delle scarpe Ecco uno schema: PNu1 e l’insieme di PNu2, 3 e 4 sono in rapporto gerarchico tra loro, nel senso che il programma narrativo d’uso 1 è reso possibile dalla messa in atto e dalla conclusione dei programmi 2, 3 e 4, mentre questi ultimi sono in rapporto sequenziale tra loro. In tutto questo, noi non abbiamo considerato il ruolo dell’Opponente e ci siamo limitati ad osservare i programmi narrativi del Soggetto, ma è evidente che anche l’anti-Soggetto ha un suo preciso piano e che questo piano interseca quello del Soggetto. Nello stesso modo in cui il Soggetto cerca di avvici- narsi all’Oggetto, l’anti-Soggetto tende ad allontanarlo vuoi per- ché anch’egli mira allo stesso Oggetto, vuoi perché il suo vero Oggetto è l’infelicità del Soggetto, cioè il suo perenne stato di disgiunzione dall’Oggetto di valore (SO). In Cenerentola, l’anti-Soggetto può essere facilmente indivi- duato nelle sorellastre: anche per loro l’Oggetto di valore è il Perissinotto 43 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE Principe e anche a loro servono oggetti intermedi, anche se non dovranno lottare per ottenerli. Diverso è invece il caso dell’Otello di Shakespeare: qui la lotta non è per la conquista di uno stesso oggetto, bensì per il rag- giungimento di due fini diversi e mutuamente esclusivi. Se, da un lato, l’oggetto di valore di Otello è Desdemona, dall’altro, l’Oggetto di valore di Jago, l’Opponente, è la rovina e l’infelicità di Otello: sebbene l’Oggetto di valore non sia conteso tra Sog- getto e anti-Soggetto, è evidente che la realizzazione del pro- gramma narrativo dell’uno conduce necessariamente al fallimen- to del programma narrativo dell’altro. Ed ecco dunque la struttura di una narrazione priva di lieto fine: il programma nar- rativo di base dell’anti-Soggetto giunge a compimento in manie- ra duratura impedendo che avvenga la stessa cosa per il pro- gramma narrativo del Soggetto. Quando decidiamo di costruire strutturalmente una storia, dobbiamo quindi pensare a mettere in campo almeno due pro- grammi narrativi di base in competizione tra loro, due pro- grammi d’azione, l’uno del soggetto, l’altro dell’anti-Soggetto, che si sfidano costantemente. Per ognuno di questi programmi narrativi di base dovremo poi pensare ad un certo numero di programmi narrativi d’uso, in modo da complicare sufficiente- mente il racconto. Adesso immaginiamo di ripartire da zero con la costruzione della trama di L’estate del maresciallo Gotti e vediamo come il mo- dello del Programma Narrativo ci può essere utile in fase di progettazione. Devo creare una trama, cioè devo scegliere due attanti, il Sog- getto e l’anti-Soggetto e stabilire, per ognuno di loro, un pro- gramma narrativo di base. Perissinotto 44 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE Siccome il racconto che devo scrivere è un poliziesco, partirò dal programma narrativo dell’anti-Soggetto, cioè dell’assassino, poiché il PNb dell’investigatore dipenderà da quello del crimina- le. Parto dalla formulazione più astratta: un anti-Soggetto vuole conseguire un Oggetto. Poi definisco questo Oggetto e il perché esso è desiderato dall’anti-Soggetto: l’Oggetto è una vendetta e il motivo per cui l’anti-Soggetto la desidera è da ricercarsi nelle menomazioni che la vittima ha inferto al figlio dell’anti-Soggetto. Stabilisco poi quali sono i programmi narrativi d’uso che con- sentono all’anti-Soggetto di raggiungere il suo fine, e qui, muo- vendomi a ritroso come abbiamo fatto per l’analisi di Cenerento- la, mi chiarisco quali sono i passaggi che conducono l’assassino a portare a termine il suo crimine: spinge la vittima in un burrone, ma prima le deve attirare in un tranello, ma per tendergli il tra- nello deve avere delle informazioni su di lui; ecco tre PNu per rendere un po’ più complesso l’agire dell’anti-Soggetto. Una volta delineati i PN dell’anti-Soggetto, passo al Soggetto. Il suo Oggetto di valore finale consisterà nella punizione del colpevole (PNb). Ma prima il Soggetto deve conoscere il colpevole (PNu1), cioè l’anti-Soggetto, per conoscerlo dovrà capire come è avvenuto l’omicidio (PNu2) e per capirlo dovrà immaginare il tra- nello (PNu2), ecc. I programmi narrativi del Soggetto e dell’anti-Soggetto sono quindi speculari e modellando uno avrò gli elementi per modella- re anche l’altro. Noterete che il modo di operare per la costruzione della trama è ora diverso rispetto a quello che abbiamo presentato quando parlavamo di intreccio e fabula. In realtà, la diversità è apparen- te: ragionare in termini di fabula o in termini di Programma Nar- rativo, significa solo usare strumenti differenti per fare chiarezza sui meccanismi della propria creatività, significa pensare diver- samente a ciò che si sta comunque facendo. Di fatto, la creazione dei programmi narrativi d’uso risponde alle stesse logiche di cau- salità (relazione di causa ed effetto) che erano alla base della Perissinotto 45 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE creazione della fabula; l’unica differenza è che il modello del Programma Narrativo mette maggiormente in evidenza la dimen- sione polemica del racconto, la sua essenza di lotta tra due volon- tà contrapposte. 1.9 Il voler-fare, il saper-fare e il poter-fare: la teo- ria delle modalità Sia che impieghiamo il modello del Programma Narrativo, sia che utilizziamo il semplice buon senso, comprendiamo facil- mente come il racconto sia il susseguirsi di azioni motivate da una logica interna e mirate a uno scopo (il conseguimento dell’Oggetto di valore). Nella struttura del racconto ci sono dunque degli attanti che agiscono, cioè che “fanno” delle cose. Ma, affinché le azioni siano davvero motivate, il verbo “fare” deve essere accompagnato da altri verbi modali quali “sapere”, “volere” e “potere”. All’origine del racconto c’è un Destinante che, attribuendo valore a un Oggetto, inculca nel Soggetto un “voler-fare”, cioè un voler operare in modo da congiungersi con quell’Oggetto: il serpente induce Adamo ed Eva a voler prendere la mela (“vo- ler-fare”), la società obbliga il maresciallo Gotti a voler indagare (“voler fare”). Il Destinante è l’ente primo che non ha bisogno di giustificazioni: il racconto lo dà per scontato e non si chiede perché il Destinante sia in grado di generare un “volere”, ovve- ro, noi sappiamo che Satana prende le sembianze del serpente per indurre Adamo ed Eva a ribellarsi a Dio, ma non possiamo chiederci come egli sia in grado di fare ciò, lo fa e basta. Il “voler-fare” produce il programma narrativo di base, ma non basta a giustificare le singole azioni, non basta a dar loro una logica. Un Soggetto dotato del solo “voler-fare” appare as- Perissinotto 46 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE solutamente velleitario; c’è bisogno che egli possieda anche un “saper-fare”. Non basta che Cenerentola voglia sposare il prin- cipe e voglia andare al ballo, deve anche sapere come ci si abbi- glia per andare al ballo: nella maggior parte della versioni della fiaba, Cenerentola ha già questa competenza mondano- seduttiva, nei rari casi in cui ella non la possiede, la narrazione prevede un’opportuna istruzione su come ci si reca a un ballo di gala, cioè prevede l’acquisizione preliminare, attraverso un pro- gramma narrativo d’uso, di un oggetto di sapere. Acquisto il “saper-fare”, il soggetto deve conseguire il “poter- fare”: ora che Cenerentola sa come dovrebbe agghindarsi per andare al ballo, come può procurarsi il necessario? Sarà la fata, in veste di Aiutante, a consegnare a Cenerentola, il “poter-fare” che segue il suo “saper-fare” e che prelude al suo “fare”, o me- glio al suo “far-essere” (cioè al suo “fare in modo da essere” sposata con il principe). Quindi, il Soggetto vuole, sa e può fare le azioni che gli com- petono per il raggiungimento del suo obiettivo e per lo sviluppo della narrazione. Non si tratta di un semplice gioco di verbi, ma di una precisa caratterizzazione del Soggetto e, di conseguenza, anche del personaggio corrispondente19. Questo punto sarà più chiaro pensando, ancora una volta, al nostro racconto. Prima abbiamo delineato il programmi narrativi dell’anti- Soggetto e del Soggetto. Adesso dobbiamo tentare di passare dal- la genericità del Soggetto ed un personaggio un po’ più definito. A dire il vero, la maggior parte delle caratterizzazioni del personag- 19 La differenza tra il Soggetto e il personaggio corrispondente si va via via chiarendo: in questa fase possiamo ribadire che il Soggetto è un semplice ruolo attanziale, un ruolo generico, mentre il personaggio che funge da sog- getto è un individuo dotato di caratteristiche ben precise per ciò che attiene la fisionomia, il carattere e la profondità psicologica. Perissinotto 47 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE gio non verranno collocate al livello delle strutture, bensì al livel- lo del discorso (e questo lo vedremo dopo); tuttavia, in questa fa- se abbiamo già bisogno di sapere a grandi linee chi impersonerà il ruolo del Soggetto,cioè, in pratica, chi sarà ad indagare. Ne ab- biamo bisogno adesso, perché a seconda che l’investigatore sia un detective privato, un tutore dell’ordine o un dilettante, la nostra trama e a nostra struttura prenderanno fisionomia diverse. Ma cosa cambia tra un detective privato, un carabiniere (o un poliziotto) e un dilettante? Cambiano appunto il “voler-fare”, il “saper-fare” e il “poter-fare”. Perché mai un privato cittadino dovrebbe voler indagare su un caso di omicidio? Le motivazioni possibili sono parecchie (la vittima era un suo amico, qualcuno lo sta accusando ed egli deve scagionarsi, ecc.), ma di sicuro sono diverse dalle motivazioni che inducono un carabiniere ad indagare (il senso del dovere, un ordine dei superiori, ecc.) o da quelle che inducono un investigatore privato (essenzialmente i soldi): dun- que, la prima caratterizzazione che darò al mio personaggio prin- cipale sarà quello relativa al “volere”, relativa cioè al desiderio che egli prova per l’oggetto. Poi c’è il “saper-fare”. Se scelgo un tutore dell’ordine o un de- tective professionista, posso dare per scontata la sua competen- za, se invece preferisco un dilettante dovrò fare in modo che egli impari ad investigare e quindi dovrò dedicare una parte del mio racconto ad una sorta di apprendistato del protagonista. Decido allora di utilizzare, nel ruolo di Soggetto, un carabinie- re, così mi tolgo tutti i problemi circa il “voler-fare” (indaga per- ché è il suo mestiere) e circa il “saper-fare” (do per scontato che sia un bravo carabiniere e che sappia fare il suo lavoro); a questo punto anche il “poter-fare” va da sé, a meno che io non crei volu- tamente qualche ostacolo da parte dei superiori, ma con sole 3000 battute a disposizione non è proprio il caso. Abbiamo quindi capito che l’analisi del “voler-fare”, del “sa- per-fare” e del “poter-fare” è di vitale importanza per la crea- zione di personaggi e di situazioni credibili: per poter condurre a termine il proprio Programma Narrativo, il personaggio deve pos- sedere le giuste caratteristiche. Perissinotto 48 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE Perissinotto 49 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE PARTE SECONDA: Il mondo possibile del racconto. 2.1 Nonna Papera può cucinare il tacchino? I mondi possibili “Gent.mo sig. Perissinotto, ho letto con piacere il suo racconto a puntate L’estate del ma- resciallo Gotti, ed è per questo che le pongo la seguente doman- da: dove si trova il paese di Montenevoso? Nel racconto lei sostie- ne che Montenevoso è una stazione sciistica a un centinaio di chilometri da Torino, ma io non l’ho trovato né sulla carta, né sull’elenco dei comuni della provincia di Torino. Potrebbe essere più preciso? O, in alternativa, potrebbe ammettere pubblicamen- te che ha mentito? Cordialmente Un lettore” Cosa rispondere? Il poeta è un fingitore, direbbe Pessoa; il narratore lo è di più. Nell’uso popolare dell’italiano, raccontare delle storie significa raccontare frottole: il narratore dunque rac- conta storie (nella duplice accezione di sequenze di eventi e di menzogne), ma lo fa con l’aria seria di chi espone una verità as- soluta, anche quando parla di un gatto che calza stivali da cava- liere o di una top-model che si innamora di un operaio metal- meccanico di mezza età. L’aria seria di chi dice il vero serve a stabilire con il lettore un “patto finzionale” (v. par. 2.2) che isti- tuisce un “mondo possibile”. Ogni volta che si inventa una storia, si crea un mondo possi- bile che non è quello reale anche se può assomigliargli molto. Anche il romanzo più realistico, in quanto frutto di finzione, è Perissinotto 50 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE collocato in un mondo diverso da quello vero: la semplice in- troduzione di personaggi di invenzione all’interno di un conte- sto reale è sufficiente a trasformare il mondo della storia in un “mondo possibile” più o meno distante da quello reale. Si può addirittura giungere ad utilizzare personaggi storici e a collocarli nel loro vero contesto, come fa Margaret Doodey in Aristotele Detective (Sellerio 2000) o Luca Leone in I delitti del mosaico (Mon- dadori, 2004) dove ad indagare è nientemeno che Dante Ali- ghieri, ma il fatto stesso di attribuire a questi personaggi azioni non attestate storicamente (nessun testimone dell’epoca ci ha mai dato notizia di una vocazione poliziesca del sommo poeta) crea il “mondo possibile”: è possibile che le capacità deduttive di Aristotele gli permettessero di risolvere misteriose questioni di delitti; è possibile ma non è reale, il che significa che io posso crederci, ma non sono obbligato a farlo, mentre sono obbligato a credere che Aristotele sia vissuto ad Atene tra il 384 e il 322 a.c.. La sola condizione per narrare senza dare vita a un “mondo possibile” è quella di raccontare una storia vera senza alterarne assolutamente nulla, senza cioè introdurre alcun elemento ro- manzesco, ma a quel punto siamo nell’ambito della biografia o della cronaca e non del romanzo. La nozione di mondo possibile è di derivazione filosofica (la utilizzano, sia pure in modi diversi, Leibniz, Vico, Quine e molti di coloro che si sono occupati di logica proposizionale): un mondo possibile si definisce per un insieme di regole che lo ca- ratterizzano; in ambito narrativo, queste regole stabiliscono qua- li comportamenti, quali azioni e quali ambientazioni possono essere creduti dal lettore (o dallo spettatore) e quali invece ven- gono rigettati come incoerenti. Persino un mondo possibile estremamente tollerante com’è quello della fiaba, accetta un cer- Perissinotto 51 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE to numero di varianti irreale, ma non ne accetta altre: se a salva- re la Bella addormentata è il Principe Azzurro col suo bacio, non mi chiedo se questo sia possibile o meno e non mi doman- do quale particolare enzima contenuto nella saliva del principe faccia uscire la ragazza dal coma, accetto la soluzione e (narrati- vamente parlando) ne sono appagato; se invece, a salvare la Bel- la è Spiderman con una dose di ISO-36, la cosa mi lascia per- plesso, non perché Spiderman sia meno credibile del Principe Azzurro, ma perché il mondo di incantesimi e sortilegi della Bel- la Addormentata nel Bosco non è compatibile con il mondo (fanta-)scientifico dell’Uomo Ragno. Vediamo come Umberto Eco mostra il passaggio dalla no- zione strettamente filosofica di mondo possibile a quella più let- teraria: Definiamo come mondo possibile uno stato di cose espresso da un insieme di proposizioni dove per ogni proposizione o p o ~p. Come tale un mondo consiste in un insieme di individui forniti di proprietà. Siccome alcune di queste proprietà o predicati sono azioni, un mondo possibile può essere visto come un corso di eventi. Sic- come questo corso di eventi non è attuale, ma appunto possibile, esso deve dipendere dagli atteggiamenti proposizionali di qualcuno, che lo af- ferma, lo crede, lo sogna, lo desidera, lo prevede, eccetera. Queste definizioni sono formulate in molta letteratura sulla logi- ca dei mondi possibili. Alcuni inoltre paragonano un mondo possi- bile a un “romanzo completo” ossia a un insieme di proposizioni che non può essere arricchito senza renderlo inconsistente. Un mondo possibile è ciò che questo romanzo completo descrive. (…) Naturalmente dire che un mondo possibile equivale a un testo (o libro che sia) non significa dire che ogni testo parli di un mondo possibile. Se scrivo un libro storicamente documentato sulla scoper- ta dell’America, mi riferisco a quello che definiamo mondo “reale”. Descrivendone una porzione (Salamanca, le caravelle, San Salvador, le Antille…) assumo come presupposto o presupponibile tutto ciò che so sul mondo reale (diciamo, che l’Irlanda si trova a ovest Perissinotto 52 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE dell’Inghilterra, che in primavera fioriscono i mandorli e che la somma degli angoli interni di un triangolo fa centoottanta gradi).20 Dunque, il testo storicamente documentato sulla scoperta dell’America, non fonda un mondo possibile perché, proprio in quanto documentato, fa riferimento al mondo reale; ma se in esso io aggiungo la seguente proposizione, “Nascosto nella stiva della Santa Maria viveva un topolino bianco”, rendo inconsistente quel mondo e ne fondo un altro che, appunto, è possibile e che non differisce da quello reale se non perché la presenza di quel topolino viene data come certa pur senza essere storicamente documentata. In questo caso, l’inserimento di un elemento non reale (le Antille, la Santa Maria, ecc. sono reali, il topolino non lo è) non destabilizza il sistema-testo fino a falsificare le altre proposizioni o le varie proposizioni; cioè, la presenza del topo- lino non rende automaticamente falso il fatto che le Colombo abbia scoperto l’America o che l’Irlanda stia ad ovest dell’Inghilterra: il mondo possibile che si viene a creare conserva così tutte le regole fondative del mondo reale ed è perciò un mondo realistico. Possiamo quindi affermare che esistono due tipi di mondo possibile: 1) i mondi possibili realistici, quelli dove vigono le stesse regole del mondo reale e del tempo nel quale si colloca la storia; 2) i mondi possibili non realistici (o fantastici), quelli dove vigono regole diverse da quelle del mondo reale. 20 U. Eco, Lector in fabula, Bompiani 1989, p.128-129 (ed. or. 1979) Perissinotto 53 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE O, per dirla con Hintikka21, vi sono mondi che si accordano ai nostri atteggiamenti proposizionali e mondi che non si accorda- no. I promessi sposi, Robinson Crusoe, Moby Dick, La coscienza di Zeno e migliaia di altri romanzi fondano mondi possibili di tipo realisti- co: Renzo Tramaglino, Robinson, il capitano Achab e Zeno Co- sini non sono mai esistiti, ma per loro valevano le stesse regole di esistenza che valgono per me lettore. A dire il vero, la questione è meno semplice di quanto appaia e la definizione di Hintikka ce ne rende ragione. Parlare di realtà e di mondo reale non significa esprimere concetti validi per tutti e in tutte le epoche: per i lettori medievali della Divina Commedia o del Libro piccolo di Meraviglie di Jacopo da Sanseverino (nel quale si descrive, ad esempio, la caccia all’unicorno), i mondi narrati non erano poi così fantastici e irreali; erano mondi che non tro- vavano riscontro nell’esperienza del lettore comune, ma che si accordavano perfettamente con i loro atteggiamenti proposizionali, cioè con quanto essi affermavano essere reale. Allo stesso mo- do, la descrizione della prima passeggiata lunare di Neil Am- strong appare a noi un testo realistico anche se non siamo stati sulla luna, mentre il viaggio compiuto dai protagonisti di Dalla terra alla luna apparteneva a un mondo fantastico tanto per letto- ri contemporanei di Jules Verne, che affermavano che nessuno era mai stato sul nostro satellite, quanto per noi che sappiamo (o crediamo) che il primo a metterci piede è stato appunto Am- strong. Semioticamente diremo allora che l’attribuzione di un mondo possibile alla categoria del realistico o del fantastico, dipende 21 J. Hintikka, Semantica delle attitudini proposizionali, in L. Linsky, Riferimento e modalità, Bompiani, Milano 1974 (ed. or. 1969) Perissinotto 54 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE dall’enciclopedia del lettore, cioè dall’insieme di conoscenze, cre- denze ed esperienze che egli mette in gioco per interpretare te- sti. La fondazione di mondi possibili di tipo realistico non pone eccessivi problemi; per costruire un romanzo dove i personaggi condividano i miei stessi atteggiamenti proposizionali basta che mi guardi intorno, per costruire un romanzo storico dove i perso- naggi condividano gli atteggiamenti proposizionali della loro epoca mi sarà sufficiente leggere un buon quantitativo di libri di storia: i problemi nascono semmai quando devo rendere coerente la mia vicenda inventata con le regole del mondo reale, ma di que- sto parleremo dopo. Diversa è invece la situazione quando scel- go di creare un mondo possibile di tipo fantastico. Cosa accede quando delineo un mondo fantastico come quello di una fiaba? Raccontando la storia di Cappuccetto Rosso ammobilio il mio mondo narrativo con un numero limitato di individui (la bambina, la mamma, la nonna, il lupo, il cacciatore, due capanne, un bosco, un fucile, un canestro) forniti di un numero limitato di pro- prietà. Alcune delle assegnazioni di proprietà a individui seguono le stesse regole del mondo della mia esperienza (per esempio anche il bosco della fiaba è fatto di alberi), alcune altre assegnazioni valgo- no solo per quel mondo: per esempio in questa fiaba i lupi hanno la proprietà di parlare, le nonne e le nipotine di sopravvivere all’ingurgitazione da parte dei lupi.22 Dunque, anche nei mondi possibili non realistici, gran parte delle regole sono quelle del mondo reale, solo che in essi è con- sentito introdurre elementi non realistici: l’importante è che l’autore renda questi elementi fantastici coerenti con gli altri. Ad esempio, a Paperopoli le automobili hanno quattro ruote e un volante e vanno sulle strade, non volano, non sono alimentate ad acqua, né sono fatte di mollica di pane: solo che a guidarle 22 U. Eco, cit. p. 129. Perissinotto 55 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE sono dei paperi. I paperi sono l’elemento irrealistico, ma la coe- renza del tutto viene ottenuta attraverso l’umanizzazione dei lo- ro comportamenti, per cui Nonna Papera, nel giorno del Rin- graziamento, può tranquillamente cucinare il tacchino. Talvolta, l’elemento irrealistico irrompe sulla scena del mon- do possibile di tipo realistico come indispensabile elemento di contrasto; è il caso delle storie che introducono fenomeni so- prannaturali (zombie, fantasmi, telecinesi, ecc.) in situazioni più o meno ordinarie. Se il mondo possibile di Dylan Dog, ancorché non realistico, fosse molto diverso da quello reale, verrebbe meno nel protagonista la funzione di “detective del mistero”, poiché nessun fatto risulterebbe incredibile e nulla richiederebbe le particolari indagini di Dylan. 2.2 Mi credi se ti dico che…? Il contratto di veridi- zione. Perché il fatto che Nonna Papera cucini il tacchino non ci provoca il benché minimo turbamento? È un po’ come se cuci- nasse suo cugino. Perché non ci fa specie che Topolino conduca Pluto (un cane quadrupede) al guinzaglio mentre passeggia e chiacchiera con Pippo (un cane bipede)? Perché tutte queste co- se non ci stupiscono, almeno fino a che qualcuno non viene a farcele notare in chiave comica?23 È per via del contratto di veridizione. Con contratto di veridizione, o patto finzionale, si intende l’accordo che si stabilisce tra il narratore e il lettore e in virtù del quale quest’ultimo “sospende l’incredulità” e assume come vero ciò che il narratore sta per raccontargli. 23 Mi riferisco a: C. Bisio, Quella vacca di Nonna Papera, Baldini & Castoldi, Milano 1993 Perissinotto 56 GLI ATTREZZI DEL NARRATORE Generalmente, il patto si stabilisce nei primi passaggi del rac- conto attraverso la descrizione dei luoghi, dei personaggi e delle loro attitudini; altrettanto generalmente, questo patto viene mantenuto stabile lungo tutto il corso della narrazione. È il con- tratto di veridizione ad esplicitare le regole che strutturano il mondo possibile. A parte alcune significative eccezioni24, la prima cosa che, come autori, ci preoccupiamo di far capire al nostro pubblico è il tipo di mondo in cui la storia si svolge. Non è un caso che, volendo raccontare una fiaba, io inizi con «C’era una volta in un paese lontano…»: questa formula stereotipata mi permette di comunicare immediatamente ai miei ascoltatori che i fatti si svolgeranno in un “non qui” e “non ora” e che quindi non an- dranno applicati i criteri di credibilità con i quali valutiamo la ve- rosimiglianza dei racconti di vita quotidiana. Ecco qualche famoso incipit con funzione veridittiva I computer SubInfo della Lies Incorporated erano stati sorpresi nel compimento di un atto anormale da un meccanico della manu- tenzione. Il computer SubInfo Cinque aveva trasmesso informazio- ni che non erano una bugia. Bisognava smontarlo per vedere perché. E a chi fossero andate le informazioni esatte. Probabilmente non ci sarebbe stato modo di individuare il desti- natario delle informazioni esatte. Ma un controllo vettoriale prov- 24 Una di queste è rappresentata dal film Dal tramonto all’alba (regia di Ro- driguez, USA 1996), che basa tutto il suo fascino sull’infrazione del patto fin- zionale che avviene a metà della

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