Malattie Genetiche PDF
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Questo documento fornisce una panoramica sulle malattie genetiche e sulle sindromi associate, con l'obiettivo di fornire una descrizione generale delle alterazioni genetiche che possono influenzare il normale funzionamento dell'organismo. Il documento analizza malattie monogeniche e complesse, con particolare attenzione alle anomalie cromosomiche e alle loro implicazioni cliniche. Discute anche diverse sindromi genetiche, come la sindrome di Down, Edwards e Turner, includendo le loro basi genetiche, caratteristiche cliniche e incidenza.
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MALATTIE GENICHE Le malattie geniche sono un termine generico che si riferisce a condizioni causate da alterazioni nei geni che influenzano il normale funzionamento dell'organismo, e queste alterazioni, chiamate mutazioni genetiche, possono compromettere la produzione o la funzione di una proteina...
MALATTIE GENICHE Le malattie geniche sono un termine generico che si riferisce a condizioni causate da alterazioni nei geni che influenzano il normale funzionamento dell'organismo, e queste alterazioni, chiamate mutazioni genetiche, possono compromettere la produzione o la funzione di una proteina codificata dal gene, causando sintomi e disfunzioni specifiche. Tutte le patologie umane hanno un contributo genetico, che in alcuni casi può essere più evidente a livello fenotipico mentre in altri meno, e le varie malattie genetiche si possono suddividere in due macroclassi, ovvero: malattie monogeniche: sono malattie in cui una singola causa genetica è sufficiente alla determinazione di un fenotipo patologico, quindi in realtà il termine “monogenico” è riduttivo perché non sempre si fa riferimento a mutazioni a livello di un singolo gene. Oltre alla singola causa genetica tuttavia c’è spesso anche il contributo ambientale o di altri fattori genetici, i quali possono modificare il fenotipo aggravandolo o semplificandolo. Le malattie monogeniche a loro volta possono essere distinte in: single-gene disorder: sono malattie causate dalle mutazioni a livello di un singolo gene, mutazioni che possono essere presenti su uno o su entrambi i cromosomi e che seguono l’ereditarietà mendeliana chromosome disorders: sono malattie che non sono dovute a singole mutazioni a livello genico ma a eccesso o deficit di determinati cromosomi o di segmenti di cromosomi malattie complesse: sono malattie, anche dette multifattoriali, in cui cause genetiche e non genetiche si uniscono e contribuiscono in modo diverso per determinare l’insorgenza della malattia, quindi del fenotipo. Quindi ciascun gene da un contributo limitato alla manifestazione del fenotipo patologico, e non è in questo caso sufficiente. I fattori che influiscono nella manifestazione di una malattia complessa sono principalmente ambientali e vengono inclusi lo stile di vita e l’esposizione a determinati farmaci o a tossine DISORDINI CROMOSOMICI: sono delle condizioni causata da alterazioni nella struttura o nel numero dei cromosomi, che possono quindi essere distinti in in alterazioni di tipo quantitativo e qualitativo. In ambito medico è molto importante tenere a mente la presenza di alterazioni cromosomiche in quanto circa 1/150 neonati presenta un’alterazione cromosomica, generalmente su cromosomi sessuali, generalmente bilanciate in quanto compatibili con la vita. ALTERAZIONI CROMOSOMICHE QUANTITATIVE : le alterazioni cromosomiche quantitative alterazioni relative alla presenza di un numero anormale di cromosomi, quindi di un numero superiore a 2, in quanto l’essere umano presenta un corredo diploide e quindi il numero corretto di cromosomi nel genoma umano delle cellule somatiche sarà di 46, organizzati in 23 coppie, e che si definiscono come: 46,XX nella donna 46,XY nell’uomo Una alterazione cromosomica quantitativa è l’aneuploidia, ovvero una condizione legata a un problema avvenuto durante la meiosi che porta alla formazione di gameti con corredo cromosomico anomalo, e quindi zigoti che possono presentare casi di: trisomia: genomi che presentano con tre cromosomi di un determinato tipo monosomia: genomi che presentano un singolo cromosoma di un determinato tipo La nomenclatura per indicare ad esempio la trisomia del cromosoma 21 in una donna è 47,XX, +21, mentre per una monosomia del cromosoma 22 in un uomo è 45,XY, -22. Si possono avere anche delle situazioni a mosaico, ovvero casi in cui alcune cellule dell’organismo presentano un cariotipo normale ed altre uno alterato. Fra le anomalie numeriche le più diffuse sono le seguenti. SINDROME DI DOWN: la sindrome di Down, anche conosciuta come trisomia 21, è una sindrome che presenta un’incidenza di 1/700-1000 neonati, e nonostante sia una condizione compatibile con la vita, è associata a una mortalità in utero piuttosto elevata: 1/3 o 1/2 (30%- 50%) degli embrioni affetti da trisomia del 21 muoiono in utero. La sindrome di Down presenta una sintomatologia caratteristica: morfologia facciale alterata: orecchie e testa di dimensioni non corrette ipotonia: è una delle manifestazioni principali ed è una condizione caratterizzata da una riduzione del tono muscolare che si manifesta con muscoli meno tonici e meno reattivi alla contrazione, articolazioni lasse per la ridotta tonicità muscolare, ritardo nello sviluppo motorio, difficoltà posturali e ritardi motori e linguistici Alterazioni congenite cardiache associate implicano la necessità di intervento in modo precoce. Inoltre i pazienti portatori di sindrome di Down presentano vari gradi di deficit cognitivo e, da evidenziare in termini di clinica neurologica, hanno una certa predisposizione all’insorgenza di demenza precoce (età media: intorno ai 50 anni); Basi genetiche della sindrome di Down: la sindrome di Down è sempre associata a difetti a livello del cromosoma 21, tuttavia questi difetti possono essere di diverso tipo. In particolare: nel 95% dei casi: è causata da una trisomia completa del cromosoma 21, dovuto ad un problema di non disgiunzione corretta durante la meiosi che avviene soprattutto a livello dei gameti femminili (l’età della madre è associata alla possibilità di figli con sindrome di Down). In alcuni casi è possibile avere rare forme di sindrome di Down con un’organizzazione a mosaico, ovvero in cui solo alcune cellule presentano una copia extra del cromosoma 21, e questo è dovuto a uno scorretto meccanismo durante la divisione cellulare, post fertilizzazione nel 5% dei casi: è causata dalla traslocazione robertsoniana del braccio lungo del cromosoma 21 ad un altro cromosoma, spesso un acrosoma (generalmente il 14), quindi una piccola percentuale di individui affetti possiede in realtà 46 cromosomi e non 47 come accade nel caso della trisoia. In questo caso la sindrome può insorgere in due diverse forme: forma famigliare: un genitore è portatore della traslocazione e la trasmette in modo non bilanciato al bambino, generando la sindrome di Down forma de novo: i genitori hanno un cariotipo normale e il cromosoma muta in modo assolutamente spontaneo SINDROME DI EDWARDS: la sindrome di Edwards, anche detta trisomia 18, rappresenta una condizione decisamente più rara della sindrome di Down, con un tasso di incidenza pari a 1/5000 nati vivi (in molti casi, l’embrione muore direttamente nell’utero della madre avendo un tasso di letalità dell’80%). Nonostante sia una condizione compatibile con la vita, la sopravvivenza oltre l’anno di vita è piuttosto bassa con una percentuale del 5-10%. Sia nel caso della trisomia 18 sia nella 13, le problematiche si estendono all’intero organismo e si manifestano con sintomi quali: malformazioni renali importanti difetti strutturali cardiaci: problematiche a livello del setto interatriale/ventricolare o pervietà del dotto di Botallo problematiche gastrointestinali: onfalocele, in cui si verifica la protrusione dell’intestino attraverso un’apertura più o meno ampia a livello ombelicale, atresia esofagea ritardo mentale Basi genetiche della sindrome di Edwards: anche la sindrome di Edwards può avere diverse basi genetiche. In particolare questa sindrome può essere causata da: nel 94% dei casi: si ha una completa trisomia del cromosoma 18 (come nella sindrome di Down) e la frequenza di andare incontro a questo evento di non disgiunzione aumenta notevolmente con l’avanzare dell’età materna. In alcuni casi si può apprezzare nuovamente il fenomeno del mosaicismo: in relazione alla quota di cellule colpite si ha un fenotipo estremamente variabile, da una condizione molto complessa che porta con sé mortalità precoce a una situazione apparentemente normale (dal punto di vista fenotipico) nel 2% dei casi: si osserva una condizione di parziale trisomia del 18, in cui solo una porzione del braccio lungo del cromosoma è presente in modo triplicato a causa di una traslocazione bilanciata/inversione portata da uno dei genitori. SINDROME DI PATAU: questa sindrome, anche conosciuta come trisomia 13, è una trisomia compatibile con la vita e interessa anch’essa i cromosomi autosomici. In termini statistici presenta dati molto simili a quelli della trisomia 18: 1/6000 nati vivi, un’elevata mortalità in utero (> 80%) e una sopravvivenza a un anno del 5-15%. Come precedentemente visto per la sindrome di Edwards, si parla di una sindrome multi sistemica in cui riscontriamo: strutturalità fisica compromessa labiopalatoschisi difetti renali mancanza di pelle a livello della testa grandi danni a livello del sistema nervoso centrale: con annesse problematiche del neurosviluppo polidattilia anomalie cardiache complesse: cuore sinistro ipoplastico, difetti del setto atrioventricolare, atresia aortica, atresia mitralica, ritorni venosi polmonari anomali. Per quanto riguarda i difetti a livello cardiaco si opta per interventi nei primi giorni/mesi di vita essendo stato dimostrato come possano avere effetti vantaggiosi sul nascituro. Basi genetiche della sindrome di Patau: anche la sindrome di Patau può avere diverse origini genetiche. In particolare questa sindrome può essere dovuta a: nel 75% dei casi: si apprezza una completa trisomia del cromosoma 13, sempre associata a una non corretta disgiunzione in meiosi. Un’età materna avanzata è un fattore di rischio perché aumenta la frequenza di disgiunzioni scorrette. Si possono avere delle situazioni patologiche associate a mosaicismo non connesse all’età materna nel 20% dei casi: la causa della trisomia si riscontra in una traslocazione Robertsoniana non bilanciata, che dà come risultato 2 copie normali del cromosoma 13 e un braccio lungo addizionale del medesimo cromosoma. Le traslocazioni avvengono solitamente con il cromosoma 14 e il cromosoma 21 , entrambi cromosomi acrocentrici. Soggetti con questo tipo di traslocazioni hanno solitamente un cariotipo con 45 cromosomi totali, presentante una copia del 13 normale, un 14 normale e quello con la traslocazione robertsoniana In caso di traslocazioni bilanciate non si verifica la comparsa del fenotipo patologico, tuttavia, i figli che manifestano il fenotipo ricevono: 2 cromosomi 13 (uno da genitore con traslocazione, uno da genitore sano), 2 cromosomi 14 (uno wild type, ricevuto da genitore sano, e uno ricevuto da genitore con traslocazione che porta un pezzo di un terzo cromosoma 13). SINDROME DI TURNER: questa sindrome, anche detta monosomia X, risulta essere l’unica monosomia compatibile con la vita ed è associata al cromosoma X, colpisce 1/2000-2500 neonati di sesso femminile. Il cariotipo è 45 X0 , e la presenza di una sola X è dovuta alla presenza di un solo cromosoma di tipo X. In molti casi, riscontriamo anche un’organizzazione a mosaico con presenza sia di cellule a cariotipo classico 46 XX e cellule con il cariotipo di Turner 45 X0. Le conseguenze cliniche di questo cariotipo sono molto varie: problemi metabolici: diabete problemi strutturali: osteoporosi, bassa statura, scoliosi problemi cardiovascolari: ipertensione, strettamente interconnessi a problematiche renali L’assenza di un cromosoma sessuale va a ridurre considerevolmente la fertilità, causando anche amenorrea. Dal punto di vista neurologico si può osservare, in alcuni casi, impairment di tipo cognitivo. SINDROME DELLA TRIPLA X: è una sindrome relativamente frequente, è presente in 1 caso/1000 nate vive. Coinvolge, come la sindrome di Turner, il sesso femminile e nella maggior parte dei casi abbiamo un cariotipo del tipo 47,XXX. Il fenotipo, dal punto di vista clinico, non risulta particolarmente grave: altezza maggiore della media non strutturalità fisiche inusuali si riscontra una leggera ipotonia infertilità e amenorrea in alcuni casi si osserva leggero impairmant cognitivo/comportamentale. Da evidenziare il fatto che non si hanno conseguenze troppo gravi in termini fenotipici grazie ai corpi di Barr: in presenza di questa sindrome la donna presenta 2 corpi di Barr, successivamente all’inattivazione di 2 dei tre cromosomi x presenti. Si ha a tutti gli effetti un meccanismo di condensazione che permette, nonostante la presenza di ben 3 cromosomi X, una condizione finale ben compensata. SINDROME DI KLINEFELTER: questo tipo di sindrome è associata al mondo maschile ed è una sindrome in cui si osserva un cariotipo 47 XXY, con un cromosoma sessuale in eccesso. Si possono osservare situazioni a mosaico dove riscontriamo anche cellule con cariotipo normale 46 XY. Gli aspetti clinici che possiamo andare ad osservare sono: alta statura stempiatura ridotta e riduzione dei peli facciali ginecomastia e atrofia testicolare osteoporosi La presenza di un cromosoma X in più determina anche una condizione di azoospermia non ostruttiva (è una condizione medica caratterizzata dall'assenza di spermatozoi nel liquido seminale, causata da un problema nella produzione degli spermatozoi all'interno dei testicoli. È diversa dall'azoospermia ostruttiva, in cui gli spermatozoi vengono prodotti ma non possono essere trasportati all'esterno a causa di un'ostruzione nei dotti riproduttivi) e sterilità: la sterilità non è una condizione obbligatoria, infatti il 10% di questi soggetti al contrario presenta spermatozoi nell’eiaculato SINDROME DI JACOBS: nota anche come sindrome 47,XYY, è una condizione genetica causata dalla presenza di un cromosoma Y in più nei maschi. Molti maschi con la sindrome di Jacobs possono vivere una vita normale senza mai accorgersi della loro condizione, poiché i sintomi possono essere lievi o assenti. Tuttavia, ci sono alcune caratteristiche che possono manifestarsi: altezza maggiore della media ma proporzioni corporee normali leggeri ritardi nello sviluppo e difficoltà di apprendimento comportamenti iperattivi fertilità normale ALTERAZIONI CROMOSOMICHE QUALITATIVE : le mutazioni cromosomiche qualitative, dette anche mutazioni strutturali, sono alterazioni che modificano la struttura dei cromosomi senza necessariamente influenzarne il numero complessivo. Queste variazioni sub-cromosomiche quindi colpiscono una singola parte del cromosoma e si distinguono in: delezioni = perdita di un segmento di cromosoma e di tutte le informazioni che si trovano su di esso duplicazioni = duplicazione o ripetizione di un segmento di cromosoma con iperespressione dei geni presenti su di esso inversioni = riorganizzazione di un segmento di un cromosoma che esso ruoti di 180° per essere poi reinserito nello stesso cromosoma. traslocazioni = spostamento di un segmento di un cromosoma su un altro cromosoma non omologo, quindi è un tipo di mutazione in cui vengono coinvolti due cromosomi che si scambiano informazioni vicendevolmente Le prime tre alterazioni sono intracromosomiche perché le modifiche avvengono a livello di un singolo cromosoma, a differenza dell’ultima. Inoltre un tipo particolare di mutazioni cromosomiali è la formazione del cromosoma ad anello, che avviene a seguito di una delezione terminale (quando un cromosoma perde le estremità) con conseguente unione dei suoi capi, formando un anello. Tuttavia questa non è una malattia genetica ereditaria ma è specifica per le patologie tumorali, in cui le regioni terminali telomeriche delle cellule si uniscono. DELEZIONI: la conseguenza di una delezione è la perdita di materiale genetico. Si possono distinguere due diversi tipi di delezione: delezione terminale: la rimozione del materiale genetico avviene a livello terminale andando a perdere parte del telomero delezione interstiziale: la perdita del materiale genetico avviene all’interno del cromosoma stesso, che sia nel braccio lungo o corto, con la regione telomerica che viene conservata Il principale difetto legato alle delezioni, per cui sono importanti a livello di fenotipo, sono le aploinsufficienze, ovvero una condizione genetica in cui la presenza di una sola copia funzionante di un gene non è sufficiente per garantire il normale funzionamento cellulare o fisiologico. In condizioni normali si ha infatti l’espressione di due alleli per un singolo gene, ma nel caso di una perdita di materiale si rischierebbe anche di non manifestare uno dei due alleli, quindi con espressione genetica al 50% per un determinato gene non permetterebbe di avere l’espressione corretta del gene. L’aploinsufficienza può portare a pseudodominanza, ovvero una condizione in cui un allele recessivo funge da allele dominante in quanto l’allele wild type del cromosoma omologo viene rimosso. In una condizione normale in cui si ha un allele recessivo e uno wild-type, una malattia recessiva non si manifesterebbe, se invece l’allele wild-type viene colpito da un’alterazione e quindi viene deleto, questo comporterebbe il fenotipo patologico per via della mancata funzione compensatrice da parte dell’allele wild-type. Quindi la pseudodominanza è quella situazione in cui una forma recessiva si manifesta perché un solo allele mutato è sufficiente per manifestarlo, ed è l’effetto più comune che si può avere per casi di aploinsufficienza. DUPLICAZIONE : può aumentare l'espressione dei geni duplicati, con effetti potenzialmente dannosi. La duplicazione comportare l’espressione aumentata di un determinato gene, che darebbe quindi un contributo in eccesso (lo stesso sbilanciamento lo si ha anche nei casi delle trisomie, in cui il materiale genetico è maggiore rispetto al normale). L’over espressione di un gene potrebbe portare a manifestazioni fenotipiche patologiche, e inoltre la duplicazione potrebbe anche portare allo scivolamento del frame di lettura o all’interruzione di un gene se viene tagliato a metà, con insorgenza di aploinsufficienza, e quindi potrebbe andare a perdersi la sua espressione. Anche se abbiamo la duplicazione dell’informazione quindi, si può avere una mutazione che distrugge la funzionalità di un gene a livello del suo sito di duplicazione. INVERSIONI: le inversioni sono mutazioni che possono essere di due diversi tipi. In particolare si può avere un’inversione: paracentrica: l'inversione non coinvolge il centromero. pericentrica: l'inversione coinvolge il centromero. le inversioni possono portare alla formazione di strutture particolari che sono gli isocromosomi, ovvero cromosomi composti o da due braccia lunghe o da due braccia corte nella stessa struttura. Sono anch’esse determinate da un errore durante la disgiunzione che fa sì che al posto di avere una rottura in verticale (portando quindi due cromosomi alle estremità) la si abbia in orizzontale, ma sono degli eventi molto rari. Le inversioni più classiche in generale portano ad un’incorretta distribuzione del materiale genetico in un cromosoma, andando a formare gameti anomali. Questo avviene perché, durante il crossing over tra due cromosomi, si avrà un appaiamento particolare per via di una rottura: normalmente questa situazione porterebbe ad un normale scambio di informazioni tra due regioni omologhe, mentre invece in casi di mutazioni di questo tipo si possono generare cromosomi che: - può avere le sue regioni invertite, quindi i geni non seguono più la stessa sequenza in cui erano inizialmente posizionati. Il materiale genetico quindi è invariato e quindi si definisce bilanciato. - può avere più di un centromero o non averlo: si tratta di condizioni che sono incompatibili con la vita e in cui il materiale genetico si troverebbe è in quantità che non sono bilanciate rispetto ad una condizione iniziale, formando cromosomi sbilanciati I geni possono rompersi per via della rottura in una determinata posizione, altrimenti potrebbe risultare variata la sua sequenza regolatoria: ciò che ne risulta è che il gene non viene espresso. In generale, sia quando si parla di inversione che quando si parla di tutte le altre alterazioni qualitative, queste si possono distinguere in: alterazioni bilanciate = quando il contributo totale dell’informazione genetica non è alterato rispetto alla situazione precedente alla mutazione alterazioni non bilanciate = quando si ha l’aggiunga o la rimozione di materiale genetico, quindi a esempio in caso di delezione e duplicazione Modificazioni come inversione e traslocazione invece sono mutazioni che possono essere di entrambi i tipi, in base al tipo di alterazione che si verifica. TRASLOCAZIONE: sono mutazioni che insorgono in seguito a delle rotture a carico del DNA a doppio filamento, non legate al crossing over, che possono essere riparate da dei sistemi particolari come il riparo non omologo. Se le estremità libere sono legabili per essere riparate, anche se derivanti da due cromosomi diversi, si possono unire, e questa è la causa della traslocazione in cui il materiale genetico di un cromosoma viene trasferito ad un altro. Le traslocazioni si possono distinguere in: reciproche: quando si ha lo scambio di informazioni genetiche da un cromosoma all’altro, quindi il materiale genetico è in questo caso bilanciato. Le traslocazioni di questo genere, che non sono sbilanciate, hanno scarsa probabilità di mostrare dei fenotipi gravi; comunque possono prevedere dei problemi nel caso in cui i punti di rottura si verificano nel gene o nel suo punto di regolazione. robersoniane: colpiscono i cromosomi acrocentrici, ovvero che hanno il centromero molto spostato verso l’estremità e un braccio corto assente o con poca informazione genetica. Questi cromosomi molto spesso possono subire una traslocazione che porta alla generazione di un nuovo cromosoma che sarà formato da due braccia lunghe. Sono comunque considerate bilanciate perché l’informazione genetica presente nel braccio corto che viene perso è trascurabile in quanto ridondante e ripetitivo: non si ha quindi una grossa perdita di informazione genetica Le traslocazioni robertsoniane sono le alterazioni cromosomiche più frequenti nell’essere umano, pertanto sono particolarmente rilevanti per la genetica medica. I cromosomi che possono essere implicati in questa traslocazione sono i cromosomi 13, 14, 15, 21, e 22, che sono acrocentrici, e si otterrà un genoma formato da 45 cromosomi ma che comunque non presenterà gravi effetti perché la perdita di materiale genetico è una quantità minima. Nelle traslocazioni cromosomiche bilanciate solitamente il fenotipo è molto lieve, vi è però un forte rischio nei soggetti che presentano questo tipo di traslocazioni di avere dei figli con sbilanciamento cromosomico associato ad un alto tasso di abortività: questo è dovuto al fatto che il cromosoma che ha subito una traslocazione bilanciata in meiosi, durante la segregazione dei gameti, viene riconosciuto come uno specifico cromosoma, con conseguenti porzioni sottorappresentate. Inoltre possono insorgere problemi gravi anche nei portatori di traslazioni in quanto c’è la possibilità di: avere una sorta di malattia monogenica: la rottura di un gene specifico, nel soggetto che ha una traslocazione bilanciata, fa si che insorga una patologia come se ci fosse una mutazione del gene traslocazione apparentemente bilanciata in realtà associata a una delezione in una porzione dell’informazione nel punto di rottura quindi per quanto riguarda le traslocazioni bilanciate c’è un alto rischio per i figli ma un rischio meno grave, ma comunque esistente, per il portatore/genitore. Come già sottolineato, la problematica principale di una traslocazione bilanciata l’abbiamo in meiosi, con la formazione dei gameti. Si vengono a formare delle strutture particolari quadrivalenti dove, i due cromosomi che hanno subito traslocazione si appaiono con i cromosomi normali (wild type) attraverso le regioni con maggiore omologia. Le possibili strade segregative sono: segregazione adiacente 1 segregazione alternata segregazione adiacente 2 In caso di traslocazioni bilanciate, anche a livello dei gameti, il fenotipo non risulta particolarmente grave, viceversa nei casi di gameti sbilanciati (con deficienza o eccesso di informazione genica) avremo una situazione patologica. TRASLOCAZIONI ROBERTSONIANE: le traslocazioni robertsoniane vengono considerate bilanciate e Solitamente i portatori di questo tipo di traslocazione sono asintomatici ma generano gameti sbilanciati. Nel caso dei cromosomi acrocentrici, in meiosi, avremo la formazioni di strutture trivalenti. Nel caso di cromosoma 13 e 14 osserviamo il classico appaiamento 13-13 e 14-14 con la possibilità di fare segregazione in 2 modi (già visti precedentemente): segregazione alternata o segregazione adiacente. L’adiacente, come si apprezza nell’immagine, può seguire una separazione verticale o orizzontale, dando in ogni caso vita a gameti sbilanciati; viceversa, l’alternata, agendo in diagonale genere un gamete normale e un gamete portatore della traslocazione robertsoniana. Non abbiamo in questo caso nessuno sbilanciamento in termini di deficienze genomiche. Da evidenziare la presenza di un’altra tipologia di segregazione detta 3:0, molto rara e che risulta incompatibile con la vita. TRASLOCAZIONI BILANCIATE CHE MANIFESTANO IL FENOTIPO: le traslocazioni bilanciate che manifestano il fenotipo sono state associate in molti casi a disordini del neurosviluppo, e si è osservato come la causa principale di questa esposizione del fenotipo fosse dovuta alla rottura di geni specifici nei “breakpoints” utilizzati per compiere la traslocazione. Un’altra possibile causa è la creazione di sequenze codificanti chimeriche che presentano nuove strutture cromosomiche eterogenee (dovute alla traslocazione) generanti a loro volta proteine chimeriche formate da pezzo di una proteina e pezzo di un’altra proteina, presentando una non corretta funzionalità riscontrabile a livello fenotipico. Un’ulteriore causa può essere la rottura di una regione non codificante con la conseguente disregolazione dell’espressione genica. Traslocazioni e cancro: alcune traslocazioni sono molto specifiche per determinate forme di cancro, coinvolgendo geni altrettanto specifici, in quanto causano l’overespressione di proto-oncogeni (che portano a processi cellulari sregolati) o sintetizzano prodotti con proprietà oncogeniche. Il cromosoma Philadelphia: è traslocazione tra i cromosomi 9-22, quindi consiste nella traslocazione dal cromosoma 22 al cromosoma 9. Parleremo pertanto di 9+ e 22- e causerà la formazione del gene chimerico BCR-ABL, codificante a sua volta per una tirosin-chinasi costitutivamente attiva. Questa situazione provoca una mancata regolazione dello sviluppo cellulare, inibisce il riparo del DNA e in generale si verifica grande instabilità genomica. METODICHE DI INDAGINE: per quando riguarda le metodiche di indagine delle variazioni cromosomiche, queste sono molto divise rispetto a quelle che servono per verifiche quelle puntiformi di una singola sequenza genetica: cariotipo su bandeggio: effettuato tipicamente in metafase, permette di visualizzare i singoli cromosomi con bandeggi caratteristici in base alla concertazione di purine e pirimidiche presenti. In base al bandeggio analizzato rispetto a quello atteso si può verificare la presenta di traslocazioni, con risoluzione di qualche Mbp, dalle 5 alle 10. Sono necessarie delle cellule che sono in grado di dividersi, come linfociti periferici o anche cellule cutanee. Per compiere questo tipo di indagine ci sono delle sostanze che stimolano la divisione cellulare e che bloccano il fuso mitotico per bloccarle in metafase, le cellule vengono quindi rotte con l’utilizzo di una soluzione ipotonica e quindi sono visualizzati i singoli cromosomi che sono dispersi. Ci sono poi dei software che sono in grado di riunirli per creare il cariotipo e quindi visualizzare correttamente i cromosomi; inoltre questo viene colorato per essere visibile al microscopio con la sua bandeggiatura. FISH (Fluorescent In Situ Hybridation): si tratta di una tecnica legata al fatto che si sfrutta la sequenza dei DNA, quindi si ha una sonda complementare che riconosce una regione specifica quando viene denaturato. Essendo la sonda fluorescente, emette luce quando si lega alla sequenza del DNA. Se si avesse una trisomia ad esempio, per una sonda che identifica il cromosoma 21 nella sindrome di Down, si avrebbero 3 spot fluorescenti. Si tratta di una tecnica che si può effettuare sia in metafase che su DNA condensato. Il vantaggio è che con una sonda specifica si sa cosa si sta guardando. Il limite di questa tecnica è che bisogna sapere qual è la sequenza di cui si vuole andare a verificare la presenza, quindi è utile principalmente quando si ha già un sospetto diagnostico. Si possono ora effettuare delle FISH con molte sonde diverse, con colori diversi per identificare diverse sequenze, tuttavia il numero di sonde comunque però è limitato. CGH (Comparative Genomic Hybritation): funziona sempre con delle sonde complementari. Si confronta il DNA del paziente con uno di controllo che non ha alterazioni. I due vengono marcati con due colori diversi e si va poi a comparare confrontando, per le diverse sonde, quanto una si è ibridizzata nel genoma di controllo e quanto in quello del paziente: in quello di controllo si dovrebbe ibridizzare due volte, ma se il paziente ha ad esempio un caso di monosomia o di delezione di una sequenza, si ha minore segnale; se si ha trisomia o duplicazione si ha invece maggiore segnale rispetto al DNA di controllo. Viene fatto con milioni di sonde in contemporanea distribuite su tutti i cromosomi. Si tratta quindi di un sistema che può verificare alterazioni sub- cromosomiche sull’intero cromosoma. I vantaggi sono la possibilità di avere un’analisi completa del genoma del paziente risolvendo il problema della FISH che voleva inizialmente sapere esclusivamente la zona di interesse. Un limite di questa tecnica è che non è in grado di individuare le alterazioni cromosomiche bilanciate perché non discrimina se le sequenze del DNA siano nella loro corretta posizione o traslocate Un altro problema generale, ma in particolare per questa tecnica è che è cosi tanto sensibile che identifica in ogni analisi un certo numero di varianti, è che il nostro genoma presenta ci sono 5/10 varianti in ciascun soggetto, e ogni volta che questo avviene non si è in grado di dare un significato clinico a queste variazioni. Si tratta un limite di conoscenza legato all’ignoranza del ruolo di alcune regioni cromosomiche ancora poco studiate (si tratta di una problematica pratica). ALTERAZIONI SUBCROMOSOMICHE : le anomalie subcromosomiche sono alterazioni genetiche che coinvolgono regioni specifiche di un cromosoma ma che sono più piccole delle anomalie cromosomiche tradizionali, queste mutazioni quindi non interessano l'intero cromosoma (come una trisomia o una monosomia), ma riguardano microdelezioni (perdite) o microduplicazioni (aggiunte) di segmenti di DNA, generalmente contenenti uno o più geni. Le alterazioni subcromosomiche sono dovute ad errori nel processo di crossing over, infatti molte regioni all’interno del nostro genoma sono particolarmente ripetute, con ripetizioni che presentano un’omologia di sequenza molto alta: queste sequenze sono definite dupliconi o LCR (acronimo di “low copy regions”) o ancora duplicazioni segmentali, e proprio a livello di queste sequenze possono avvenire degli errori durante il crossing over, perché si possono appaiare dei dupliconi che non sono in posizione corrispondente sui due cromosomi omologhi, e questo dà origine appunto alla creazione di duplicazioni. Le alterazioni subcromosomiche si manifestano in diverse sindromi. SINDROME DI DIGEORGE: è una sindrome che insorge con una delezione cromosomica e che è una patologia malformativa la cui manifestazione coinvolge diversi organi ed è anche associata ad un deficit psicomotorio e cognitivo. La sindrome di DiGeorge è definita anche “CATCH 22”, dove ciascuna lettera dell’acronimo “catch” è associata a una manifestazione della malattia: C= “cardiac anomaly” (anomalia cardiaca) A= “anomalous face” (malformazioni facciali) T= “thymus hypoplasia/aplasia” (ipoplasia o aplasia del timo) C= “cleft palatus” (alterazioni del palato) H= “hypocalcemia” (ipocalcemia). Il 22 è legato infatti al fatto che ad essere colpito da questa sindrome è il cromosoma 22 e in particolare il suo braccio lungo. I pazienti affetti da sindrome di DiGeorge possono presentare diverse delezioni, alcune più piccole e altre più grandi, a seconda della posizione dei due dupliconi che, appaiandosi in maniera scorretta, causano la mutazioni. Quando si studiano le alterazioni subcromosomiche come questa, si va a valutare qual è la regione più piccola responsabile del fenotipo per capire quali sono i geni più importanti per la manifestazione del fenotipo: se tre soggetti che presentano una delezione grande, una delezione media e una delezione piccola presentano lo stesso fenotipo, è probabile che il gene più importante per determinare la patologia sia localizzato nella regione più piccola. Allo stesso modo, se un primo soggetto presenta una delezione piccola e manifesta anomalie cardiache e un secondo soggetto presenta una delezione grande e manifesta malformazioni facciali oltre che anomalie cardiache, è probabile che il gene responsabile delle anomalie cardiache sia compreso nella regione deleta nel primo soggetto mentre il gene responsabile delle malformazioni facciali sia presente nella regione deleta nel secondo soggetto e non mantenuta nel primo. Procedendo con questo metodo d’indagine, si è arrivati ad individuare il gene TBX1 come il gene più importante nel determinare la sindrome di DiGeorge, e un’evidenza a supporto di questa constatazione è data dal fatto che anche mutazioni puntiformi a carico del gene TBX1 porta a un fenotipo simile a quello dei soggetti affetti da CATCH-22 (il fenomeno appena descritto è abbastanza analogo a quanto avviene per la trisomia 21 e le traslocazioni robertsoniane, anche in questo caso infatti stiamo parlando di mutazioni molto diverse che danno però un fenotipo simile). La delezione che determina la sindrome di DiGeorge è quasi sempre una mutazione de novo, che quindi non è presente nei genitori, alllo stesso tempo però un soggetto che manifesta la sindrome di DiGeorge, se fa figli, avrà il 50% di probabilità di trasmettere loro la mutazione, perché egli presenterà un cromosoma sano e un cromosoma con delezione, ed è una patologia dominante. Quando si parla di tutte le delezioni a carico della regione 22q11.2 è più appropriato dal punto di vista genetico utilizzare il termine "sindrome da delezione di 22q11.2" dal momento che non tutti i soggetti che presentano una delezione in questa regione manifestano tutto lo spettro della sindrome di DiGeorge. Ciò non toglie che, dal punto di vista clinico, una delle manifestazioni più frequenti dovute alla delezione di questa regione sia proprio la sindrome di DiGeorge. Inoltre, come abbiamo detto una mutazione puntiforme del TBX1 può provocare la sindrome di DiGeorge, ma (come possiamo osservare consultando il database OMIM delle patologie mendeliane) altre patologie che possono manifestarsi per una mutazione puntiforme dello stesso gene sono la sindrome velo-cardio- facciale e la tetralogia di Fallot. In realtà vi è un’alta variabilità nel fenotipo patologico anche quando la mutazione genetica è del tutto uguale (come nel caso dei gemelli monozigoti che hanno): quindi il contributo dell’ambiente è anch’esso abbastanza rilevante. SINDROME DI SMITH MAGENIS: la sindrome di Smith-Magenis è una malattia genetica rara causata solitamente dalla delezione di una porzione del cromosoma 17 (17p11.2), o in casi più rari anche da mutazioni del gene RAI1, e si manifesta con una combinazione di sintomi fisici, cognitivi e comportamentali. In questo caso quindi la delezione è a carico del braccio corto del cromosoma 17 e presenta un’incidenza di un individuo ogni 25000, quindi è circa 10 volte più rara di quella che è la sindrome di diGeorge. Al giorno d’oggi le tecniche migliori per poterla individuare e diagnosticare sono la FISH o il CGH, in base alla situazione, anche se in passato i genetisti clinici hanno tentato di identificare la sindrome attraverso l’analisi dei dismorfismi. Ad oggi i software per l’analisi dei dismorfismi si sono evoluti tantissimo, tuttavia al contempo la facilità di analisi genetica è aumentata di molto, perciò l’analisi genetica è il metodo più utilizzato al momento e in particolare: se si sospetta una specifica alterazione subcromosomica = FISH se non si ha un sospetto diagnostico = array-CGH si nota quindi come le tecniche di analisi siano molto diverse rispetto a quelle che si usano per studiare le mutazioni puntiformi. Anche in questo caso si ha un gene che viene identificato come il più importante nell’insorgenza della sindrome, ovvero il gene RAI1, che è un gene regolatore della trascrizione fondamentale per regolare l’espressione genica a livello cellulare che permette lo sviluppo del sistema nervoso a livello cranio-facciale. Alterazioni a livello di questo gene infatti portano a una disregolazione della trascrizione che farà si che insorgano le manifestazioni fenotipiche della malattia, caratterizzata da dismorfismi facciali (facies tipica), anomalie cardiache, difetti dello sviluppo del SNC e bassa statura. La causa di questa patologia è da ricercare naturalmente nel malfunzionamento del gene RAI1, che però può essere dovuto sia a una alterazione subcromosomica che, più raramente, a una mutazione puntiforme: delezione del gene RAI1: un appaiamento errato durante il crossing-over, dovuto alla presenza delle due regioni LCR tra le quali il gene viene interposto, può portare alla perdita della regione specifica del cromosoma, in quanto le due regioni possono appaiarsi in maniera scorretta. mutazione puntiforme: nel caso in cui il gene RAI1 risulti presente ma mutato, per quanto possa manifestarsi la sindrome di Magenis nel paziente, la tecnica di analisi non rileverà la mutazione e la regione del braccio corto del cromosoma che sto studiando risulterà essere presente in entrambi i cromosomi del cariotipo del paziente In conclusione, questa sindrome, così come la precendente, è un esempio di aploinsufficienza, ovvero di una condizione in cui la presenza di un solo allele wild-type non è sufficiente per mantenere la normale funzione fisiologica dell'organismo. La delezione o la mutazione di un allele compromette l'equilibrio genico, portando alla manifestazione dei sintomi. SINDROME DI CHARCOT-MARIE-TOOTH: la sindrome di Charcot-Marie-Tooth, anche detta sindrome da duplicazione 17p12, è una sindrome che porta all’insorgenza di una serie di neuropatie sensori-motorie dovute all’iperespressione di particolari geni. Le sindromi da duplicazione in generale sono più rare rispetto alle sindromi da delezione perché molto spesso possono essere silenti: se nella delezione abbiamo una perdita di materiale e nella regione coinvolta vi è un gene importante per cui abbiamo un fenomeno di aploinsufficienza, quindi una condizione in cui una singola copia del gene wild-type non è sufficiente per un fenotipo normale, nel caso della duplicazione si avrà una manifestazione del fenotipo soltanto se si evidenzia una rottura della sequenza genica oppure se l’over-espressione di una proteina porta ad uno specifico fenotipo. Un esempio di duplicazione quindi, sempre legato al cromosoma 17 ma in posizione p12 è la sindrome di Charcot-Marie-Tooth, che è la forma più comune di neuropatia periferica con coinvolgimento di nervi motori e sensitivi, associato a debolezza muscolare soprattutto all’estremità distale degli arti. Anche in questo caso la problematica è legata ad un crossing over aberrante, che porta una duplicazione della regione contenente il gene PMP22 responsabile della formazione della mielina e fondamentale per la funzionalità dei neuroni. In particolare, tanto più il neurone è lungo e tanto più il ruolo della mielina è importante, e la problematica in questo caso è legata proprio ad una iper-espressione della proteina con mielinizzazione aberrante dei nervi periferici. Anche in questo caso, affinché avvenga il crossing over aberrante e quindi il gene venga duplicato, è necessario che il locus genico in questione sia fiancheggiato da regioni LCR, ovvero regioni Low Copy Repeats, che favoriscono errori di appaiamento durante il crossing-over. Tuttavia, laddove un gamete si formi con una duplicazione di questa regione del cromosoma, è necessario che si formi anche un gamete complementare che presenti una delezione in favore del gene PMP22, e in questo caso la problematica sarà dovuta a una delezione del gene, con insorgenza di un altro tipo di neuropatia che si distingue da quella di Charcot-Marie-Tooth. In particolare bisogna tenere conto che esistono diverse forme monogeniche di CMT e questa sindrome può anche essere causata da alterazioni di altri geni, perciò bisogna specificare che la sindrome di CMT dovuta a una duplicazione del gene PMP22 sul cromosoma 17 in posizione p12 viene indicata come CMT1-A (CMT1 è la classificazione indica una situazione dominante data da un difetto di produzione della mielina, poi si aggiunge la lettera che A per indicare che la duplicazione avviene a livello del gene PMP22). NEUROPATIA EREDITARIA CON SENSIBILITÀ ALLA PRESSIONE : questa neuropatia è una patologia legata a una delezione della porzione 17p12, e in particolare del gene PMP22, dovuta a una duplicazione errata complementare alla sindrome di CMT. Quindi in questo caso si hanno due patologie che coinvolgono lo stesso gene che sono legate in un caso alla duplicazione della regione e nell’altro alla delezione della medesima regione. Anche in questo caso il quadro sindromico sarà quello di una neuropatia periferica che però sarà un po’ particolare in quanto viene mantenuta la sensibilità periferica alla pressione. Questo caso quindi è un ottimo esempio dell'importanza del dosaggio genico, in quanto mette in luce come la sovrabbondanza di una proteina dovuta a una duplicazione possa essere dannosa, ma allo stesso modo quanto possa essere dannosa anche una situazione opposta, legata a una delezione e nella quale si avrà soltanto un allele wild-type, facendo così insorgere una condizione di aploinsufficienza, ovvero una condizione in cui si presenta un solo allele la cui espressione non è sufficiente al normale fenotipo. MICRODELEZIONI DEL CROMOSOMA Y : oltre alle alterazioni di numero, i cromosomi sessuali possono andare incontro anche a delezioni e duplicazioni subcromosomiche, e in particolare a livello del cromosoma Y le alterazioni subcromosomiche più frequenti sono proprio le microdelezioni, che spesso possono essere le responsabili dell’infertilità maschile analogamente alla sindrome di Klinefelter. La maggior parte delle delezioni sul cromosoma Y insorge de novo, quindi non vengono ereditate da un genitore, grazie alla presenza di diverse sequenze ripetute sul braccio lungo del cromosoma Y che faciliteranno la formazione di queste delezioni, e in particolare sono state identificate tre regioni cruciali per la spermatogenesi che possono andare incontro a delezioni: AZF-a AZF-b AZF-c a seconda del coinvolgimento delle diverse regioni il fenotipo della delezione sarà diverso, in quanto se vengono colpite le regioni AZFa e AZFb il risultato sarà un’infertilità totale, ovvero un’azospermia, mentre invece quando si ha il coinvolgimento della regione AZFc l’infertilità è parziale, causando oligospermia (una riduzione significativa del numero di spermatozoi, sebbene possa in alcuni casi permettere una fertilità residua). Quindi quando il danno coinvolge la regione c si ha una parziale produzione di spermatozoi, e la patologia potrebbe essere trasmessa alla progenie, ma è molto difficile fare delle previsioni di trasmissione. Le tecniche di indagine utilizzate possono essere di due diversi tipi, in particolare si può utilizzare la CGH (Comparative Genomic Hybridization), utile per identificare variazioni strutturali nel genoma, e la PCR mirata, progettata per amplificare e analizzare le regioni specifiche di interesse. In particolare la PCR mirata è una tipologia di indagine che viene usata in quanto le delezioni spesso sono note, e questa tecnica permette di amplificare una determinata zona. Per verificare la presenza o meno del gene, e quindi per individuare un’eventuale delezione, si può scegliere un gene nelle diverse regioni e verificare mediante PCR se avviene l’amplificazione (questa tecnica è affidabile perché l’amplificazione non può essere di un altro cromosoma Y, in quanto abbiamo una sola copia di questo gene): la presenza di amplificazione indica che non sarà avvenuto alcun tipo di delezione. Dato che la produzione di gameti non dipende solo dalla presenza della regione AZFc ma anche da altri fattori, allora in sede di consulenza genetica non è possibile andare a definire quale sarà il fenotipo del figlio, quindi non si può sapere se egli soffrirà di oligospermia o di azoospermia completa. DELEZIONI DEL CROMOSOMA X: anche il cromosoma X può andare incontro a delle delezioni, e in particolare la delezione cromosomica più frequente è una delezione telomerica che avviene sul braccio lungo, la quale è solitamente associata a fenotipi variabili che coinvolgono aspetti riproduttivi e la possibilità di una menopausa precoce, anche se a volte si può avere un quadro sindromico più complesso con presenza di ritardo mentale e dismorfismi. La complessità in questo caso è data dalla grandezza della regione deleta, in quanto si può dire che: delezioni brevi: sono associate a condizioni come menopausa precoce o alterazioni della fertilità delezioni estese: possono determinare quadri clinici più gravi come ritardo mentale e dismorfismi inoltre un ulteriore problema insorge se la regione deleta comprende anche il centro di inattivazione del cromosoma X, ovvero il centro XIC, quella regione che è responsabile della produzione del trascritto RNA XIST che dovrebbe portare all’inattivazione di uno dei due cromosomi X. Se la delezione coinvolge il centro XIC, che viene quindi rimosso, si avrà un cromosoma X non silenziato e una conseguente over-espressione dei geni di entrambi i cromosoma X. Quindi, se la delezione comprende la regione XIC, si verifica una espressione diallelica dovuta all’attivazione di entrambi i cromosomi X che porta a un'overespressione genica, e questo sbilanciamento nell'espressione genica può causare fenotipi gravi, includendo anomalie dello sviluppo e ritardo mentale. La gravità del quadro clinico dipende quindi dall'estensione della delezione e dall'eventuale coinvolgimento della regione XIC, con implicazioni dirette sulla regolazione dell'inattivazione del cromosoma X. INTERPRETAZIONE DELLE COPY NUMBER VARIATIONS: le CNV sono le varianti del numero di copie di regioni specifiche all’interno del genoma umano, che è particolarmente variabile, e la presenza di queste regioni a numero variabile permettono di osservare enormi differenze tra i genomi degli individui. Ciascun individuo infatti presenta CNV che possono arrivare fino a circa 500.000 paia di basi, tuttavia queste alterazioni nel numero di copie non sono sempre benigne ma possono anche essere patogeniche. Grazie alle array-CGH, che sono particolarmente sensibili, si è stato in grado di risalire alla presenza di diversi numeri di copie di diversi geni in pazienti diversi, determinando la variabilità genetica di ciascun individuo, tuttavia le CNV possono essere: benigne: sono CNV fisiologiche che permettono la variabilità individuale e solitamente sono di dimensioni più piccole, comprese tra 40.000 e 100.000 paia di basi (perciò quando una CNV è formata da 40-100 kb è più probabile che sia benigna). Queste varianti sono presenti anche negli individui sani della famiglia e sono localizzate in regioni già ricche di dupliconi e povere di geni funzionali, per cui non causeranno grandi danni. Inoltre solitamente le varianti benigne sono molto frequenti e hanno una frequenza superiore all’1% nella popolazione campione maligne: sono CNV a significato patogenico che insorgono solitamente de novo, quindi che non sono trasmissibili e che quindi solitamente non sono presenti negli altri membri della famiglia. queste CNV hanno dimensioni maggiori e sono quindi formate da un numero superiore alle 2 Mb, contenendo quindi un numero di geni molto più elevato. Queste regioni, siccome contengono porzioni geniche consistenti, sono alterazioni frequentemente associate a patologie, a causa dell'impatto che hanno sull'espressione dei geni In linea generale quindi l’assenza del fenotipo della malattia nei genitori, ma la presenza del genotipo, è generalmente indice di benignità, tuttavia bisogna tenere in considerazione anche alcune casistiche che potrebbero cambiare la diagnosi. Non è detto che se un individuo presenta una alterazione genotipica priva di fenotipo questa sia benigna in quanto potrebbe esserci: una penetranza incompleta: il carattere può non manifestarsi in tutti i portatori del genotipo una slatentizzazione dell’allele recessivo: se viene perso il gene wild-type per una delezione potrebbe rimanere soltanto l’allele recessivo, facendo si che ci sia un'espressione di un gene esclusiva da uno dei due alleli un imprinting genomico: potrebbe esserci il silenziamento selettivo di alcuni geni, tra i quali potrebbe essere silenziato quello patogenetico Detto questo quindi, è allora possibile che sia una CVN sia comunque una variante patogenetica nonostante essa sia presente anche nei genitori, perché i genitori potrebbero non esprimerla, e diventa ancora più sospetta se è presente solo in un genitore che non presenta il fenotipo. DATABASE GENETICI: Un'importante risorsa per i medici è l'accesso ai database genetici, che permettono di raccogliere e confrontare informazioni su alterazioni cromosomiche. Un esempio utile è DECIPHER, un database che consente di inserire la delezione o la banda cromosomica coinvolta e ottenere informazioni sul fenotipo atteso, su altri casi simili e sulla sindrome associata. Durante l'uso di questi database, è fondamentale fare attenzione al genoma di riferimento utilizzato, poiché i più recenti sono GRCh37 e GRCh38, che sono stati adottati negli ultimi anni come standard per l'annotazione delle sequenze genetiche. MALATTIE MONOGENICHE EMOGLOBINOPATIE: le emoglobinopatie sono un gruppo di malattie genetiche del sangue che colpiscono l'emoglobina, una proteina presente nei globuli rossi responsabile del trasporto dell'ossigeno dai polmoni ai tessuti del corpo e dell'anidride carbonica dai tessuti ai polmoni. Queste malattie sono causate da mutazioni nei geni che codificano per l'emoglobina. L’emoglobina è una proteina tetramerica formata da 4 subunità dette catene: nei soggetti adulti la maggior parte dell’emoglobina è la cosiddetta emoglobina A, che è formata da 2 catene alfa e 2 catene beta, mentre una piccola quota è l’emoglobina A2, dove al posto della catena beta è presente la catena delta. Nei soggetti adulti sono molto poco rappresentate delle forme di emoglobina formate da subunità diverse, che invece sono rilevanti durante la fase fetale e embrionale, infatti, la sintesi dei geni che codificano per le varie subunità subisce delle variazioni durante la vita intrauterina, in particolare: emoglobina embrionale: due catene epsilon e due catene alfa emoglobina fetale F: due catene gamma e due catene alfa Tutti i geni che codificano per queste catene sono localizzati a livello del DNA in due regioni cluster: una sul cromosoma 11: è presente il gruppo dei geni non alfa (beta, delta, gamma e epsilon) una sul cromosoma 16: è presente il gruppo dei cosiddetti geni alfa (alfa e zeta) GENI GLOBINICI: all’interno dei cluster sono presenti degli pseudogeni, ovvero porzioni del DNA che hanno una struttura simile ad un gene ma mancano molto spesso delle sequenze regolative per cui non vengono riconosciute e non vengono espresse, quindi se andiamo ad analizzarli esclusivamente dal punto di vista della sequenza nucleotidica i geni globinici hanno un’alta omologia con i geni che vengono espressi ma non hanno un significato funzionale. La presenza di così tanti geni con sequenza simile è dovuta al fatto che tutti questi geni durante l’evoluzione hanno subito delle modificazioni, infatti, questi geni localizzati nella stessa porzione cromosomica hanno una struttura praticamente identica: tutti i geni che codificano per catene globiniche sono costituiti da 3 esoni e hanno gli stessi elementi regolatori in 5’e in 3’. Questa alta omologia di sequenza è anche una delle cause di delezioni: un po’ come abbiamo per i dupliconi, la presenza di sequenze che sono simili in posizioni differenti a livello cromosomico può portare a un appaiamento non corretto, shiftato, con la perdita o il guadagno di alcune regioni cromosomiche. Un altro elemento da tenere in considerazione è il fatto che questi geni sono localizzati nello stesso cluster, quindi nella stessa zona cromosomica. Questo è estremamente importante per il controllo della loro espressione: durante lo sviluppo prima fetale e poi nell’adulto, l’espressione dei diversi geni che vanno a costituire le diverse forme di emoglobina risulta diversa. Il fatto che siano localizzati nella stessa regione fa sì che un unico centro detto LCR, (Locus Control Region) che si trova a monte dei geni presenti, permette di modulare la struttura della cromatina, e a livello di questa regione sono presenti diversi siti di legame per fattori di trascrizione. Sfruttando questo centro e la conformazione della cromatina a livello embrionale, fetale e adulto si ha l’espressione preferenziale di geni diversi localizzati nella stessa regione. A livello embrionale abbiamo una struttura che favorisce l’espressione della catena epsilon, a livello fetale gamma mentre nell’adulto la beta e in parte la delta. Questo spiega perché nelle diverse fasi dello sviluppo la tipologia di emoglobina presente risulta diversa. Le emoglobinopatie possono essere classificate in diversi modi: classificazione genetica: classificazione per tipo di catena coinvolta o gene coinvolto (discriminiamo a seconda dei geni che codificano la catena alfa, beta ecc.) classificazione molecolare: classificazione per tipo di mutazione (loss of function, che causano la completa perdita della proteina, oppure dissenso che possono avere un meccanismo d’azione diverso); classificazione clinica: classificazione per manifestazione del fenotipo o gravità della malattia É presente anche una classificazione intermedia che permette di distinguere le emoglobinopatie in: emoglobinopatie quantitative: corrispondono a patologie che presentano una ridotta sintesi di una delle catene che vanno a costituire l’emoglobina, come la talassemia emoglobinopatie qualitative: corrispondono a patologie che presentano una produzione di catene aberrante, con una funzionalità̀ diversa rispetto al normale, come ad esempio l’anemia falciforme TALASSEMIA: la talassemia è una emoglobinopatia quantitativa causata da una riduzione della quantità di catene globiniche. In particolare in base alla catena globinica che viene colpita dal deficit si può avere: alfa-talassemia: se viene colpito il gene della catena alfa beta-talassemia: se viene colpito il gene della catena beta Le catene alfa e beta sono i costituenti del 97-98% dell’emoglobina nei soggetti adulti e le talassemie sono delle mutazioni che portano a beta o alfa-talassemia, che sono abbastanza frequenti in quanto il 5% dell’intera popolazione mondiale è portatrice di una talassemia. La talassemia è una patologia recessiva quindi il numero di soggetti affetti corrispondono solo a quelli che presentano entrambi gli alleli mutati, quindi naturalmente la presenza di omozigosi o eterozigosi composte risulta molto più bassa di questa percentuale effettiva. β-TALASSEMIA: è una patologia causata da mutazioni a carico del gene β, che codifica per la catena beta, e le mutazioni descritte sono diverse: delezioni: corrispondono alla rimozione di porzioni più o meno importanti del gene e possono anche portare alla perdita completa di questo. Sono state descritte diverse delezioni che possono colpire o una porzione del gene β-globinico (uno o due esoni) oppure più tipologie di geni (in questo ultimo caso sono delezioni più grosse). Alcune sono particolari perchè ad esempio sono delezioni che colpiscono oltre al gene β anche il gene ∆ e in questo caso si parla di β-∆ talassemia perché abbiamo una riduzione di quantità non solo delle catene β ma anche delle catene ∆ mutazioni puntiformi: per quanto riguarda le mutazioni puntiformi, abbiamo visto che possono essere organizzate in diverse posizioni nella struttura del gene β-globinico perché abbiamo tre regioni codificanti, delle regioni non codificanti e delle regioni regolatorie comprese il promotore. A seconda delle localizzazione delle mutazioni possiamo aspettarci un fenotipo diverso: mutazioni che hanno un effetto sulla trascrizione: mutazioni a livello di 5’UTR mutazioni a livello del promotore: mutazioni in regioni non codificanti a livello del promotore che hanno un effetto sui livelli di trascrizione e che volte portano a una trascrizione ridotta del gene stesso, con la produzione di minori quantità di catene mutazioni che hanno un effetto sulla maturazione e stabilità di mRNA: altre mutazioni puntiformi possono alterare la stabilità dell’mRNA, come quelle che cadono a livello di: giunzione esone-introne: possono alterare il processo di splicing, portando alla formazione di un trascritto aberrante o comunque non stabile. possono essere localizzate in regioni introniche o esoniche: vanno a creare delle alterazioni di splicing o nel riconoscimento degli esoni, con risultato finale di maturazione dell’mRNA o stabilità dell’mRNA maturo che sono alterate regioni consensus mutazioni che hanno un effetto sulla traduzione dell’RNA: codone iniziale codone non senso frameshift In realtà vi sono dei rari casi di β-talassemia che mimano le mutazioni dirette del gene β- globinico che sono dovute però a mutazioni nei fattori di trascrizione che regolano l’espressione di questo gene: affinché questi geni globinici vengano espressi è importante la regolazione tramite il locus LCR che è modulato da diversi fattori di trascrizione, e alcune mutazioni in fattori di trascrizioni specifici che favoriscono l’espressione del gene β-globinico, se mutati, hanno come effetto finale una riduzione di espressione del gene stesso. Quindi il difetto genetico può non essere localizzato a livello del gene β-globinico ma il risultato finale è lo stesso. Questo è un esempio che in diverse patologie monogeniche può essere presente, quindi in realtà possiamo avere mutazioni in due geni diversi che causano un effetto finale identico e quindi una manifestazione del fenotipo dove la malattia sarà praticamente sovrapponibile. Al di là delle singole e specifiche mutazioni che, a seconda della posizione, avranno effetti diversi, le mutazione possono essere distinte in due macrocategorie: mutazioni β0: sono mutazioni associate alla completa assenza delle catene β, dovute ad esempio a una mutazione di stop, una mutazione che causa frameshift o una mutazione a livello della T- G iniziale, che porteranno alla completa assenza della proteina corrispondente. mutazioni β+: sono mutazioni associate non a una completa assenza delle catene β ma a una riduzione dell’espressione della quantità della proteina. Tipicamente sono mutazioni che avvengono a livello del promotore o mutazioni nella maturazione dell’mRNA, che quindi non sono associate a una completa perdita della catena della proteina corrispondente ma soltanto ad una riduzione quantitativa di questa. Questa classificazione in β0 e β+ è strettamente correlata con la classificazione clinica delle β- talassemie: β-talassemia major: è la più grave forma di talassemia, anche definita come morbo di Cooley, dovuta ad un genotipo β0β0, in cui entrambi gli alleli presentano le due mutazioni più gravi. La manifestazione clinica sarà quindi più grave, e questa talassemia è caratterizzata da una severa anemia che può essere superata soltanto con trasfusioni. Se non viene adeguatamente trattata tramite trasfusioni, è spesso associata a livelli di crescita con alterazioni epatiche o della milza. β-talassemia intermedia: è una forma di talassemia che si sviluppa quando l’individuo presenta un genotipo β0/β+, ovvero con almeno un allele associato alla mutazione meno grave, in cui quindi c’è una residua produzione di catena β ma non nulla. In questo caso si avrà una β-talassemia intermedia che non necessita di trasfusioni per poter essere curata β-talassemia minor: questa talassemia è una condizione fenotipicamente non patologia che si ha quando l’individuo è eterozigote, e quindi presenta un allele wild type e un allele che porta una mutazione β0 o β+. Dal punto di vista clinico la β-talassemia minor non dà nessuna manifestazioni di sintomi e quindi può essere identificata solo tramite esami ematologici, molto spesso i soggetti non sanno di portare la malattia ma viene rilevata tramite una lieve anemia microcitica durante un esame del sangue. Il soggetto quindi sarà portatore di mutazioni nel gene della β-globina. Un dato interessante è che la maggior parte dei soggetti affetti da questa forma di talassemia presentano un aumento di emoglobina F (HbF) e a volte anche di emoglobina A2 (HbA2): un soggetto β0 presenta una catena β che non viene assolutamente prodotta e sviluppa dei meccanismi compensativi che portano ad un over-espressione delle catene γ e delle catene ∆, che possono portare alla formazione di forme di emoglobina che sono funzionali ma meno efficienti per il trasporto dell’ossigeno perché è pur sempre un meccanismo compensativo. I soggetti eterozigoti presentano una β-talassemia minor che è caratterizzata da una lieve anemia e anche in questi soggetti si possono rilevare delle alterazioni durante gli esami ematologici. Dal punto di vista clinico i pazienti quindi sono tendenzialmente asintomatici e ci può essere una tendenza a qualche meccanismo compensativo causati da over espressione di altre forme di emoglobina legate al fatto che l’emoglobina A è meno presente, perché le catene β prodotte sono la metà del necessario dato che ci troviamo in condizioni di eterozigosi con un allele β0. FREQUENZE RELATIVE DI β-TALASSEMIA IN EUROPA: la frequenza delle mutazioni di β-talassemia è relativamente alta ma molto variabile nelle diverse popolazioni. Anche le tipologie di mutazioni che sono presenti nelle diverse popolazioni sono molto variabili, in alcune popolazioni, in zone come la Sardegna, il 95% dei soggetti presentano una specifica mutazione di stop associata ad un allele β0. Questo è legato al cosiddetto effetto fondatore dove popolazioni isolate hanno un accumulo di una specifica mutazione. Se invece valutiamo la popolazione italiana nel complesso, abbiamo una rappresentanza di questa mutazione di stop ma anche una notevole presenza di altre mutazioni. Osservando il grafico dell’isola di Cipro possiamo intuire che in generale le isole sono prone ad effetto fondatore e quindi sono tendenzialmente degli isolati genetici che determinano un accumulo di mutazione (come nel caso della Sardegna). Nel caso di Cipro l’85% dei soggetti presentano questa mutazione a livello intronico che va a modulare stressing della proteina β-globina. La stessa mutazione è più frequente in Grecia mentre in Spagna e in Italia abbiamo una distribuzione simile che invece tende a cambiare spostandosi verso il Regno Unito. Tendenzialmente quindi la distribuzione della mutazione dipende dalle connessioni (o isolamenti) con altre popolazioni o dalla condizione geografica (come per le isole) della popolazione in questione. Selezione positiva: la frequenza delle varianti del gene β-globinico, e quindi le β-talassemie (ma vale anche per altre forme di emoglobinopatie), è così alta perché è un esempio di selezione positiva. Solitamente, se parliamo di una patologia recessiva, ci aspettiamo di avere una completa manifestazione del fenotipo nei soggetti omozigoti e una serie di soggetti portatori eterozigoti che risulteranno completamente normali e non avranno nessun vantaggio dal punto di vista della sopravvivenza o dell’evoluzione. In questa situazione, tutte le volte che è presente un allele mutante, se vengono a generarsi dei soggetti omozigoti (quindi con manifestazione della malattia) con una malattia associata a ridotta fertilità questa, con l’evoluzione, potrebbe venir persa o comunque ridurre la sua frequenza. Nel caso delle emoglobinopatie invece l’essere portatore di una variante in eterozigosi non è una condizione neutra, ma è stato visto che è un vantaggio contro l’infezione da malaria: i soggetti eterozigoti hanno un minore tasso di mortalità da malaria, e quindi si ha una situazione paradossale perché essere portatore di un allele deleterio dà un vantaggio evolutivo. Questo è confermato dal fatto che proprio nelle regioni dove in passato c'è stata una ampia diffusione della malaria (compresa la Sardegna), il numero di soggetti eterozigoti risulta estremamente rilevante. A livello evolutivo questo vantaggio di essere portatori ha determinato l’accumulo di mutazioni del gene della β-globina. Se andiamo a valutare la percentuale di soggetti portatori di un allele mutato nel gene della β- globina notiamo una distribuzione non uguale che ricalca la diffusione della malaria in anni non troppo lontani dai giorni nostri. I livelli maggiori si hanno in Sardegna e nella regione del delta del fiume Po. α-TALASSEMIA : è una patologia che si manifesta a causa di una riduzione delle catena α, che si va a riflettere sull’emoglobina A in quanto questa è formata da 2 catene α e 2 catene β, quindi le alterazioni a carico del gene α e del gene β sono quelle più rilevanti per manifestazioni di una patologia (se viene a mancare una delle altre catene ad esempio la catena ∆ ci sarà la riduzione della HbA2, che è solo il 2-3%, e quindi non si avrà nessun’altra manifestazione del fenotipo). Il gene α è localizzato nel cluster definito cluster dei geni α, e questo gene, sul cromosoma 16, è un gene che si trova duplicato. Quindi all’interno del cluster genico sul cromosoma 16 sono presenti due geni α in grado di andare a produrre la corrispettiva catena α. Di conseguenza, le forme associate alla manifestazione di α-talassemia, sono molto più spesso delle delezioni rispetto a delle mutazioni puntiformi, e sono delle delezioni che possono comprendere uno solo dei geni oppure delezioni più grandi che vanno a coinvolgere entrambi i geni α presenti su un allele. Un singolo allele quindi potrà avere diverse forme: allele αα: è un allele in cui sono presenti entrambi i geni α e che porterà a condizione di normalità allele α: è un allele in cui si ha la delezione di un gene e la permanenza dell’altro allele - : è un allele che presenta una delezione più grande, che comprende entrambi i geni α Il risultato finale siccome ci si trova in una condizione di-allelica (due alleli per ciascun locus), è che un soggetto, più o meno affetto da delezioni, potrà avere un genotipo con diverse combinazioni: genotipo con quattro geni α: condizione di normalità in cui su ogni cromosoma sono presenti due geni α e che quindi nel complesso ci sarà la produzione completa, con tutti e quattro i geni, della proteina della catena genotipo con tre geni α: la mancanza di un gene, dovuta auna delezione che colpisce un gene α, è una condizione asintomatica perché si viene comunque a formare emoglobina sufficiente genotipo con due geni α:la mancanza di due geni, in una condizione che può essere data da un allele normale e un allele che ha una grossa delezione determinando la perdita dei due geni su quell’allele o da una omozigosi con due alleli α-, è tendenzialmente asintomatica e vi sono solo delle alterazioni a livello degli esami ematologici genotipo con un gene α: la mancanza di tre geni su quattro porta a una condizione di α-talassemia, in cui c’è un allele con una grossa delezione che porta alla perdita di entrambi i geni α e un allele con una delezione più piccola. In questo caso il risultato finale è che dei quattro geni che dovremmo normalmente esprimere per le catene α, ne abbiamo uno solo, e c’è quindi una forte riduzione di catene α disponibile Questo molto spesso è associato ai dati ematologici che rivelano la presenza di una emoglobina aberrante definita emoglobina H (HbH), formata da omotetrameri di β. In questa emoglobina la catena α è così poco rappresentata che una normale produzione di catene β porta ad una formazione di tetrameri di 4 catene β, e avviene a livello delle emoglobine adulte. Durante lo sviluppo fetale invece abbiamo si ha una situazione simile in quanto mancherà sempre la catena α, ma al posto della catena β ci sarà la catena γ, andando a formare la emoglobina di Bart, che è nuovamente formata da un omotetramero di catene γ. Questa condizione è abbastanza grave e si ha una forte anemia alla nascita. genotipo senza alcun gene α: la mancanza di 4 geni, quindi la possibilità di omozigosi per l’allele --, comporterà l’assenza totale della catena emoglobinica, con formazione già a livello fetale dell’emoglobina di Bart. Questa è una condizione molto grave e letale associata ad idrope fetale, ovvero alla presenza di accumulo di liquidi durante lo sviluppo fetale Tendenzialmente l’α-talassemia è legata alla mancanza di tre geni. Tenendo in considerazione questo schema, risulta chiaro come le mutazioni associate all’alfa talassemia comprendono delle delezioni, è difficile ipotizzare delle mutazioni puntiformi, in quanto bisognerebbe ipotizzare due mutazioni puntiformi indipendenti, una nel gene alfa 1 e uno nel gene alfa 2, per creare un allele --, quindi una delezione è più facilmente ipotizzabile. Quindi se andiamo a considerare le varie forme di emoglobine e ipotizziamo la completa assenza o una forte riduzione della catena alfa, capiamo come nel soggetto adulto venga a formarsi emoglobina H, un grosso eccesso di catene beta sfruttato per formare i tetrameri, lo stesso avviene a livello del soggetto durante lo sviluppo fetale per la formazione di tetrameri gamma. È possibile anche trovare delle forme di emoglobina più atipica, solitamente presenti solo nelle prime fasi dello sviluppo embrionale, per esempio, l’emoglobina di Portland, formata da due catene Z (che sostituiscono l’alfa) e due catene gamma, il problema è che l’espressione della catena Z viene silenziata subito dopo le prime fasi di sviluppo embrionale, e quindi non è una condizione definitiva. ANEMIA FALCIFORME: l’anemia falciforme è una malattia genetica ereditaria del sangue caratterizzata da una forma anomala dei globuli rossi, che invece di avere la tipica forma rotonda e flessibile assumeranno una forma a falce. Questa alterazione è causata da una mutazione recessiva nel gene che codifica per l'emoglobina, HBB, che porta alla produzione di un tipo anomalo di emoglobina chiamata emoglobina S (HbS). Quando una persona eredita due copie del gene mutato sviluppa la malattia, mentre invece se la persona ne eredita solo una copia esso sarà un portatore sano, che generalmente non causa sintomi gravi. A differenza delle talassemie, che sono alterazioni quantitative, l’anemia falciforme è un’emoglobinopatia che consiste in un’alterazione qualitativa, quindi nella produzione dei tetrameri non funzionanti, e il gene causativo è quello della globina. L’anemia falciforme è una patologia recessiva legata ad una specifica mutazione missenso che porta ad una sostituzione amminoacidica dell’acido glutammico con la valina, in posizione 6 del gene β della globina: essendo una patologia recessiva, la manifestazione si ha quanto la mutazione è presente su entrambi gli alleli. L’anemia falciforme è una patologia genetica che è stata scoperta molto tempo fa e la cui problematica è proprio la presenza di una mutazione missenso che comporta il cambiamento di diverse caratteristiche chimico-fisiche tipiche dell’amminoacido solitamente presente nella proteina di forma wild type, con quelle dell’amminoacido presente invece nella forma che poi porta alla malattia. La valina, infatti, presenta un residuo idrofobico, a differenza dell’acido glutammico che ha invece come residuo un acido polare, dunque fra le due molecole cambierà sicuramente la solubilità, ma anche altre caratteristiche che parteciperanno alla formazione dei precipitati di emoglobina, che conferiscono il classico aspetto a falce ai globuli rossi. L’emoglobina, normalmente formata da 2 catene alfa e due catene beta, con questa specifica mutazione a livello delle due catene beta viene definita emoglobina S. Vi sono altre forme di alterazioni qualitative molto più rare: anemia emolitica: rappresenta l’emoglobinopatia in cui l'acido glutammico, carico negativamente, viene sostituito con una lisina, carica positivamente, nella catena beta dell'emoglobina. Questa mutazione quindi è una mutazione missenso che si manifesta come un fenotipo anemico molto forte ma senza che i globuli rossi assumano la tipica forma a falce dell’anemia falciforme. L’emoglobina in questo caso prende il nome di emoglobina C anemia falciforme attenuata: è possibile che l’anemia falciforme si manifesti con un quadro molto più attenuato quando il soggetto presenta un gene che codifica per HbC e un gene che codifica per HbS, quindi un individuo eterozigote ma senza alleli wild type microdrepanocitosi: è una condizione genetica in cui una persona eredita un gene per la drepanocitosi (anemia falciforme) da un genitore e un gene per la microcitemia (o talassemia) dall'altro genitore, questa combinazione di varianti genetiche è anche nota come sindrome falciformi-talassemica. Vista la frequenza delle varianti dei geni emoglobinici, soprattutto in alcune aree in cui c’era stata la malaria, grazie alla selezione positiva, c’è stato un vantaggio evolutivo per gli eterozigoti, per cui la frequenza di portatori in queste zone è piuttosto alta, quindi non è così improbabile avere delle situazioni particolari di soggetti definibili come eterozigoti, con un allele con la mutazione dell’anemia falciforme e un allele di tipo β0: vengono quindi a formarsi dei quadri che rappresentano una sovrapposizione tra le forme di talassemia e anemia falciforme. La quota di perdita di funzione legata alla mutazione missenso dell’anemia falciforme ricalca quella presente nella beta talassemia: il fenotipo principale associato all’anemia falciforme è l’anemia emolitica, in quanto non si avrà l’assenza delle catene beta ma la formazione di precipitati di emoglobina che poi vanno ad alterare la struttura dei globuli rossi. Questa alterazione della struttura dei globuli rossi porta crisi vaso- occlusive ovvero gli eritrociti sono più propensi a formare delle occlusioni a livello dei vasi che possono dare danni a diversi organi quali cervello, retina, fegato, milza, e soprattutto possono facilmente andare incontro a lisi, con insorgenza di anemia. Una quota di fenotipo, dunque, come per la beta talassemia, è legata alla assenza della normale funzionalità delle catene beta, mentre un’altra quota di fenotipo è legata più a una sorta di guadagno di funzione per una specifica mutazione missenso che porta all’alterazione della stuttura dei globuli rossi, i quali assumono la tipica forma a falce. Si parla di correlazione genotipo-fenotipo quando si vanno a definire le caratteristiche del fenotipo della malattia in base al genotipo: nelle patologie che possono essere causate da mutazioni diverse, come la beta talassemia, è facile correlarla con la gravità del fenotipo (beta zero completa assenza delle catene beta quindi fenotipo più grave, mentre beta plus parziale delezione delle catene beta quindi meno grave), mentre in questo siccome la mutazione è specifica le correlazioni genotipo-fenotipo saranno legate alla presenza di altri geni che possono modulare il fenotipo. Ci sono anche forme che non sono proprio forme di anemia falciforme nelle quali non abbiamo la situazione omozigote per la formazione dell’emoglobina S, ma possiamo avere la presenza di un’altra mutazione sempre in posizione 6 o un composto eterozigote. I veri geni modificatori sono invece delle varianti geniche che possono essere presenti sugli altri geni globinici che possono modulare la presentazione del fenotipo. Il copynumbervariant dimostra quanto sia variabile il genoma all’interno della popolazione: abbiamo un genoma di controllo ma un tot di copy number variants grosse, un tot piccole e un’infinità di varianti puntiformi, e la maggior parte di queste varianti non sono strettamente correlate con il fenotipo, ma alcune possono modularlo. Per definire la normale variabilità biologica possiamo prendere come esempio un enzima, la cui attività media è del 100%, mentre la normalità della sua attività è tra l’80 e il 120%, e questo vale anche per l’efficienza di produzione dei geni: ci sono delle varianti nei promotori che fanno sì che solitamente la quantità di proteina prodotta è 100, ma un soggetto con una variante può produrne 98; ciò non porta alla manifestazione del fenotipo, ma lo può rendere suscettibile in presenza di una mutazione a manifestare un fenotipo più grave. Se uno invece ha una produzione della proteina superiore alla quantità media, in presenza di mutazione può presentare un fenotipo migliore. Quindi anche quando parliamo di forme monogeniche dobbiamo sempre tenere presente che, oltre alla mutazione causativa, tutto il background genetico può concorrere a spiegare il livello di gravità di un determinato fenotipo. FIBROSI CISTICA: la fibrosi cistica è una malattia genetica ereditaria autosomica recessiva che colpisce principalmente i polmoni e il sistema digerente, ma può coinvolgere anche altri organi. Essa è causata da mutazioni nel gene CFTR (Cystic Fibrosis Transmembrane Conductance Regulator), che regola il trasporto di sale e acqua nelle cellule, e provoca la produzione di muco denso che può ostruire i dotti e causare danni. La fibrosi cistica è una patologia recessiva che, nel mondo occidentale, è considerata come la più frequente, infatti circa 1 su 2000/2500 neonati ne sono affetti (un portatore ogni 25 individui). Il gene causativo è il gene CFTR, che codifica per una proteina che funge da canale di membrana per il trasporto di alcuni ioni. La fibrosi cistica è un buon esempio per vedere come venivano identificati i geni malattia in passato, andando a effettuare l’analisi di linkage. Questa analisi sfruttava la variabilità presente in ciascun individuo, dato che all’interno di un singolo cromosoma in diverse posizioni ciascuno di noi può avere o l’allele wild type o l’allele con la variante, andando a definire l’aplotipo. L’aplotipo è l’insieme delle varianti geniche che sono caratteristiche di ciascun individuo. L’analisi linkge per identificare il gene causativo di una patologia va ad analizzare gli aplotipi, cercando all’interno dell’intero set di cromosomi quelle regioni che hanno lo stesso aplotipo nei soggetti affetti e che invece sono differenti nei soggetti non affetti: se l’aplotipo è lo stesso, significa che la mutazione causativa è presente in quella regione. Fare questo tipo di analisi è utile solo quando non si conosce il gene malattia, infatti un tempo era molto difficile sequenziare in maniera diffusa il DNA e quindi si sceglievano dei punti molto variabili all’interno di un cromosoma e si procedeva come descritto precedentemente, identificando la regione dove era presente il difetto genico. Dopo aver identificato la regione si poteva sequenziare. Ora l’approccio è completamente diverso poiché si può sequenziare anche nel giro di pochi giorni l’intero genoma, dunque, prima si sequenzia tutto e poi si identifica la variante presente in tutti i soggetti affetti. Con l’analisi linkage, una volta identificata la regione cromosomica legata al fenotipo, poi si cercava in essa il gene e la mutazione causativa. La questione della posizione cromosomica era estremamente importante in passato anche in relazione ai crossing-over: ammettiamo di partire da due soggetti che hanno lo stesso braccio lungo del cromosoma 7 con la mutazione, nella generazione successiva ci sarà un crossing-over e metà del cromosoma 7 verrà perso. Se la malattia è ancora presente, allora so che il gene causativo sarà nella metà che è stata preservata, mentre se il fenotipo viene perso allora il gene causativo è nella metà che è stata persa. L’analisi linkage consiste nel trovare la minima regione in cui l’aplotipo è identico in tutti i soggetti affetti e ciò permette di capire tutti i crossing-over che hanno cambiato solo la regione wild-type e non la regione con la mutazione. Il gene CFTR è un gene abbastanza grosso, con 7 esoni, che porta alla produzione di una proteina che presenta ben 5 domini funzionali: due domini costituiscono domini transmembrana responsabili della formazione del canale un dominio, chiamato dominio R, è il dominio di regolazione due domini sono in grado di legare l’ATP che fornisce energia per modulare la regolazione, quindi l’apertura e chiusura del canale A livello fisiologico il ruolo di questo canale è quello di permettere il passaggio di ioni cloro a livello delle membrane epiteliali, in particolare a livello del polmone, in quanto la fibrosi cistica è principaalmente una patologia polmonare, ma questa proteina è presente anche a livello del pancreas e dell’intestino così come nei genitali maschili o nelle ghiandole sudoripare. L’espressione a livello delle ghiandole sudoripare è fondamentale per il riassorbimento del cloro prima dell’eiezione del sudore; è molto importante poiché una manifestazione fenotipica facile da identificare di una sregolazione del canale CFTR è la produzione di un sudore con elevati livelli di cloro e sodio. Dunque, i livelli di sale all’interno del sudore sono un semplice test per verificare la funzionalità del canale CFTR. Il ruolo principale di CFTR è a livello polmonare, infatti la disfunzione di questo canale fa si che vi sia una minore idratazione del muco presente sugli epiteli di tipo polmonare, e ciò tende a bloccare la motilità delle ciglia dell’epitelio e a favorire i diversi tipi di infezione batterica. La forma classica della fibrosi cistica prevede alterazioni a carico dell’apparato respiratorio, soprattutto con la presenza di infezioni ricorrenti. FORMA CLASSICA: oltre che il coinvolgimento dell’apparato respiratorio, sono presenti alterazioni a carico dell’apparato digerente nella stragrande maggioranza dei casi di fibrosi cistica. Il coinvolgimento dell’apparato digerente è legato ad un blocco a causa della scarsa fluidità dei liquidi che passano attraverso le vie pancreatiche e che devono essere rilasciati nell’intestino (enzimi pancreatici). Quindi gli enzimi pancreatici vengono sintetizzati normalmente, ma rimangono bloccati nel dotto pancreatico senza raggiungere in quantità sufficiente il lume intestinale. La maggior parte dei pazienti ha questo coinvolgimento a livello dell’apparato digerente a causa dello scarso livello di enzimi pancreatici. I soggetti che presentano un coinvolgimento dell’apparato digerente vengono definiti “insufficienti pancreatici” per l’insufficiente presenza di enzimi pancreatici. C’è una quota di soggetti con fibrosi cistica che ha solo il coinvolgimento dell’apparato respiratorio, senza il coinvolgimento dell’apparato digerente, in questo caso si parla di “sufficienti pancreatici”. La forma classica prevede il coinvolgimento polmonare e molto spesso coinvolgimento pancreatico proprio per problematiche a livello del dotto pancreatico nel passaggio di enzimi pancreatici, oltre a questo l’aspetto della produzione di sudore con alti livelli di sale (NaCl) è un elemento presente nella forma classica. FORMA NON CLASSICA: esiste una forma non classica di fibrosi cistica, che è legata all’alterazione che avvengono nei maschi a livello dell’apparato genitale. In particolare, si ha la produzione della agenesia congenita bilaterale dei vasi deferenti; è conseguenza di un blocco legato all’eccessiva densità del liquido seminale che passa nei vasi deferenti. Dal punto di vista delle patologie monogeniche, abbiamo visto la sindrome di Klinefelter come esempio di patologia cromosomica (microdelezione a livello del cromosoma Y con alterazione sub cromosomica) le mutazioni del gene CFTR sono, dal punto di vista monogenico, la causa più frequente di sterilità maschile. Questo coinvolgimento dei vasi deferenti può essere presente all’interno della presentazione classica della fibrosi cistica, ma ci sono dei casi in cui questa può rappresentare l’unica espressione fenotipica della variante del gene CFTR. In questo caso dal punto di vista genetico è più corretto parlare di malattia legata al gene CFTR per comprendere l’intero spettro di: fibrosi cistica polmonare fibrosi cistica insufficiente pancreatica forme non classiche con agenesia dei vasi deferenti Dal punto di vista genetico la causa è la stessa, ma c’è uno spettro di possibili manifestazioni fenotipiche. Le alterazioni del gene CFTR sono principalmente una delezione di fenilalanina in posizione +508, la quale è di gran lunga quella più frequente, presente nel 70% degli alleli mutati nelle popolazioni caucasiche, ma sono state identificate anche moltissime altre mutazioni distribuite lungo tutto il gene, di diversa tipologia: mutazioni missenso: mutazioni che portano alla sostituzione di un singolo amminoacido come l’anemia falciforme mutazioni non senso: mutazioni di stop che avvengono in quanto una sostituzione nucleotidica porta all’introduzione di un codone di stop e quindi una proteina tronca mutazioni frame-shift: se si perdono o si introducono uno o due nucleotidi si ha l’alterazione del frame di lettura, quindi i codoni risultano spostati In questo caso la delezione è “in frame” cioè si ha la delezione di tre nucleotidi, che ha come conseguenza il salto di un amminoacido, ma gli amminoacidi prima e dopo la delezione sono uguali a quella che è la proteina di riferimento. CORRELAZIONE GENOTIPO-FENOTIPO: la fibrosi cistica è un esempio di eterogeneità allelica, cioè più mutazioni causative diverse nello stesso gene. Questo perché: eterogeneità allelica: tante varianti dello stesso gene responsabili della malattia eterogeneità genetica: lo stesso fenotipo (la stessa malattia) può essere causata da diversi geni Questo ha una forte ricaduta sulla metodica di analisi: se ho un sospetto di anemia falciforme bisogna verificare che ci sia quella mutazione specifica, se ho un dubbio su una malattia con eterogeneità allelica si guarda tutto il gene (nel caso di fibrosi cistica si sequenzia tutto CFTR), se ho un dubbio su una malattia con eterogeneità genetica si guardano tutti i possibili geni che danno quel fenotipo. MUTAZIONI GENE CFTR: la fibrosi cistica presenta eterogeneità allelica, quindi il gene è uno solo ma le mutazioni posso essere a diversi livelli del gene CFTR, nei suoi 27 esoni. Nel caso della β-talassemia ci possono essere alleli β0 e β+, un omozigote β+ ha la talassemia major, quindi la forma più grave, un soggetto eterozigote con un allele β+ ha un fenotipo più lieve di anemia intermedia. Quindi, la prima semplificazione nel caso di eterogeneità allelica è una suddivisione tra: alleli nulli: contributo zero sulla produzione della proteina di interesse alleli ipomorfici: alleli che vengono associati alla produzione di una proteina che funziona meno del normale, ma un po’ funziona Nel caso della correlazione genotipo-fenotipo, la prima correlazione è con la tipologia di mutazione: mutazione con alleli nulli tipica della forma più grave, alleli ipomorfi tipici della forma meno grave. Nel caso della fibrosi cistica questa correlazione genotipo-fenotipo è un buon predittore della compromissione pancreatica: circa l’85% dei pazienti con fibrosi cistica ha una compromissione pancreatica, nei restanti casi i pazienti sono sufficienti pancreatici; situazione che correla con la presenza di alleli ipomorfi. Quindi, il fatto di avere almeno un allele ipomorfo dal punto di vista pancreatico dà una preservazione della funzionalità. La stessa correlazione si ha con le alterazioni della produzione di sudore. La gravità della compromissione polmonare è difficile da definire in relazione al genotipo del gene CFTR. Quindi, è necessario fare una valutazione della percentuale di attività del gene CFTR residua: più è ridotta la funzionalità del gene CFTR più classica sarà la presentazione di fibrosi cistica. Ci sono delle disfunzioni associate alla parziale funzione del gene CFTR che possono dare i quadri meno gravi di patologia associati a geni CFTR, magari in presenza di due alleli ipomorfi. Si tratta comunque di una patologia recessiva, quindi, bisogna sempre tenere in considerazione l’assetto totale: nel caso di omozigosi di mutazioni ΔF508 o per mutazioni di stop si verifica il quadro classico; se almeno uno degli alleli è ipomorfo quindi associato ad una porzione di proteina funzionante si ha il risparmio della funzionalità pancreatica e a seconda di quanto è ipomorfo l’allele presente la compromissione polmonare potrà essere in parte preservata. Mentre nel caso della funzionalità pancreatica guardando esclusivamente la variante del gene CFTR si ha una buona previsione del coinvolgimento pancreatico; nel caso dell’aspetto polmonare è più complicato il quadro perché non c’è questa chiara correlazione, questo è legato al fatto che probabilmente l’aspetto polmonare risente di più dei geni modificatori, quindi non solo l’assetto del gene CFTR ma ci sono anche altri geni che possono modulare il fenotipo polmonare, oltre che dei fattori ambientali quindi non genetici che possono modulare il fenotipo. Nelle patologie polmonari il fumo tipicamente è un forte modificatore non genetico della manifestazione del genotipo. Si definisce un gene modificatore un gene che, se alterato da solo, non è in grado di portare alla manifestazione di una malattia, ma che in presenza di un’alterazione genica responsabile di una patologia va a modificare la patologia stessa. Alterazioni del gene 7 sono responsabili della malattia, quindi del fenotipo fibrosi cistica, ma se ci sono mutazioni nel gene 3 il fenotipo verrà aggravato. La sola presenza di mutazioni nel gene 3 non presenta manifestazioni fenotipiche, ma se un soggetto ha mutazione CFTR (gene 7) a cui si aggiunge anche una mutazione nel gene 3, allora il fenotipo sarà diverso dai soggetti che hanno solo una mutazione nel gene 7. Siccome per quanto riguarda l’aspetto polmonare guardare solo il genotipo a livello del gene CFTR non da una chiara correlazione, come avviene per la parte pancreatica; sono stati identificati altre varianti in altri geni che sembrano spiegare le forme più gravi di fibrosi cistica. In particolare: alterazioni del gene MBL2: importante per la risposta infiammatoria e la fagocitosi. Ci sono una serie di varianti di questo gene associate ad una minor produzione di questa proteina; se il soggetto con una di queste varianti ha la fibrosi cistica ha un fenotipo grave perché hanno alterate capacità di risposta di fagocitosi contro le infezioni batteriche alterazioni del gene TGFβ1: importante fattore per la risposta infiammatoria, alcune varianti di questo gene portano a produrre maggiori quantità di questa proteina; quindi, caratterizzano soggetti più predisposti a risposte infiammatorie. Questi soggetti se hanno anche la fibrosi cistica manifesteranno un fenotipo più grave Quindi, sicuramente il genotipo a livello del gene CFTR ha un ruolo, oltre a questo c’è tutta una varietà di geni, in questo caso geni legati alla risposta infiammatoria, che possono modulare il fenotipo finale; oltre che tutta la parte non genetica come il fumo o l’esposizione all’inquinamento atmosferico. Quindi, anche nelle forme monogeniche lo spettro di possibili presentazioni è abbastanza ampio. FENILCHETONURIA: la fenilchetonuria rientra in un gruppo di patologie definite iperfenilalaninemie, caratterizzate da un aumentato livello di fenilalanina nel sangue, e in particolare è considerata la più frequente delle iperfenilalaninemie. Essa è una patologia causata da un difetto genetico a carico del gene PAH, che codifica per l'enzima fenilalanina idrossilasi, ovvero un enzima in grado di convertire la fenilalanina in tirosina, e per questo motivo rientra nelle enzimopatie. Se la fenilalanina idrossilasi non funziona, si avrà l'accumulo di fenilalanina che verrà quindi metabolizzata per formare come prodotto il chetoacido corrispondente, l'acido fenilpiruvico, che da’ il nome a fenilchetonuria, per la presenza nelle urine di questo chetoacido tramite cui viene eliminato. La fenilalanina viene normalmente trasformata in tirosina dalla fenilalanina idrossilasi, e la tirosina successivamente subirà il proprio percorso, ad esempio per essere trasformato in dopamina, che è una catecolammina. Il difetto enzimatico tuttavia porterà a due conseguenze principali, che sono: accumulo del substrato = accumulo di fenilalanina deficit del prodotto = mancanza di tirosina, in quanto se l’enzima non funziona allora non questa non viene prodotta Sapere qual è la causa della manifestazione del fenotipo è molto importante per pensare a come intervenire: se l'unico problema è un deficit del prodotto, questo può essere introdotto tramite la dieta per permettere di bypassare il deficit, tuttavia il deficit di tirosina non è l’unico problema della fenilchetonuria, in quanto c’è anche un accumulo del precursore. L'approccio complessivo quindi deve essere quello di andare a ridurre il precursore Nel caso della fenilchetonuria quindi è presente un duplice danno: da una parte abbiamo meno tirosina, dopamina ecc quindi può essere utile introdurre con la dieta il prodotto della reazione, ma abbiamo anche un effetto tossico dato dall’accumulo della fenilalanina nel sistema nervoso centrale, che fa dei danni durante lo sviluppo embrionale e nelle prime fasi di vita. Quindi dobbiamo anche eliminare/ridurre l’accumulo di fenilalanina togliendola dalla dieta. In questo caso si parla sempre di una patologia recessiva associata a una perdita di funzione, che per essere trasm