Riassunto Etica Nicomachea PDF
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Aristotele
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Questo documento è un riassunto dell'Etica Nicomachea di Aristotele. L'opera esplora il concetto di felicità e bene, analizzando le virtù etiche e dianoetiche, l'amicizia e il ruolo della ragione nella vita umana. Il testo discute dei diversi libri con un focus specficico.
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ARISTOTELE - ETICA NICOMACHEA LIBRO 1 I primi 2 libri dell’Etica e i cap. 1-6 del 3° sono dedicati a definire l’oggetto della ricerca morale: il bene dell’uomo, il massimo dei beni che si può acquisire e realizzare attraverso l’azione. Il sommo bene a cui ogni individuo tende è la felicità, il vero...
ARISTOTELE - ETICA NICOMACHEA LIBRO 1 I primi 2 libri dell’Etica e i cap. 1-6 del 3° sono dedicati a definire l’oggetto della ricerca morale: il bene dell’uomo, il massimo dei beni che si può acquisire e realizzare attraverso l’azione. Il sommo bene a cui ogni individuo tende è la felicità, il vero bene è qualcosa di perfetto. Dalla felicità, l’indagine si sposta alla virtù: - virtù dianoetiche: sono proprie della parte intellettuale dell’anima - virtù etiche: corrispondono alla parte appetitiva dell’anima, guidata dalla ragione LIBRO 2 Le virtù sono del carattere e derivano dall’abitudine, non si possiedono per natura. Il giusto mezzo si trova tra 2 estremi LIBRO 3 Concerne l’atto pratico, al fine di definire la volontarietà e l’involontarietà dell’azione LIBRO 4 Dedicato all’esame di particolari virtù etiche LIBRO 5 Tratta della giustizia, la virtù intera e perfetta. Sulla giustizia è fondato i diritto che Aristotele distingue in diritto privato e diritto pubblico, a sua volta distinto in diritto legittimo (fissato dalle leggi vigenti nei vari stati), e in diritto naturale (è il migliore in quanto è “ciò che ha la stessa forza dappertutto ed è indipendente dalla diversità delle opinioni”) LIBRO 6 Contiene la trattazione delle virtù dianoetiche proprie dell’anima razionale, sono: - la scienza: disposizione che dirige la dimostrazione (non può essere diversamente da quello che è) - l’arte: disposizione accompagnata da ragionamento vero che dirige il produrre - la saggezza: definita come l’ambito pratico razionale che concerne ciò che è bene o male per l’uomo - l’intelligenza: è un abito razionale che ha la facoltà di intuire i principi primi di tutte le scienze - la sapienza: è il grado più elevato e universale del sapere LIBRO 7 Tratta della temperanza e dell’intemperanza, della fermezza di carattere e della mollezza, e del piacere. Rappresenta il fondamento della felicità LIBRI 8 e 9 Dedicati all’amicizia, che Aristotele considera “una cosa non soltanto necessaria, ma anche bella”; è una virtù o s’accompagna alla virtù; è cosa assolutamente necessaria per la vita. 3 sono le specie dell’amicizia, a seconda che sia fondata sul piacere reciproco, sull’utile o sulla virtù. L’amicizia perfetta è quella dei buoni e dei simili nella vita, si vogliono bene reciprocamente in quanto sono buoni e sono buoni di per sé. L’amicizia fondata sul piacere e sull’utile si rivela accidentale e cessa quando in piacere o l’utile vengono meno; quella fondata sulla virtù è perfetta ed è la più stabile LIBRO 10 Completa la determinazione della felicità e definisce in che cosa consista il sommo bene. La contemplazione, è l’attività più elevata in quanto è attività dell’intelletto; è l’attività più continua e più piacevole, più autosufficiente, è l’attività svolta da Dio stesso. L’etica studia il modo in cui ci comportiamo o il modo in cui ci dovremmo comportare (questo in maniera generale) Bisogna capire il fine con cui agiamo; Aristotele sostiene che prima di tutto bisogna studiare l’uomo, e studiando l’uomo, si rende conto che tutti gli uomini agiscono sempre in vista di un fine, cioè si comportano, fanno le cose sperando di raggiungere un determinato scopo. Lo scopo con cui gli uomini agiscono, è sempre uno scopo positivo, l’uomo cerca di trovare qualcosa di piacevole, che lo porti al bene. Quindi il fine delle azioni umane è sempre il bene, però ci sono delle azioni che sono un bene in sé e delle azioni che sono un bene 3°, ovvero che a volte io faccio delle cose, mi impegno a raggiungere uno scopo, che però non è la felicità in sé, ma è il mezzo per raggiungere qualcos’altro. Aristotele si chiese, raggiungiamo molti beni intermedi, ma ci sarà un bene ultimo? Che è quello che Aristotele chiama, un sommo bene, che è un bene in sé che è il punto di arrivo, il bene più alto, questo sommo bene per Aristotele è la felicità. Analizzando il comportamento umano, Aristotele cerca di capire quando gli uomini si sentono felici, e nota che l’uomo è felice quando svolge bene il proprio compito, quando realizza in maniera ottimale ciò che sente di essere portato a fare, ciò che sente essere la sua caratteristica più profonda. L’uomo in generale, sarà felice quando svolgerà bene il suo compito più specifico, che è quello di pensare, ovvero la felicità consiste nella vita secondo ragione, guidata dalla ragione. Quindi nella vita dell’uomo che vuole essere felice, c’è un solo fine ultimo, che è la vita secondo ragione. Però le strade per arrivare a questo punto di arrivo, possono essere varie e queste sono le virtù. Alla base di tutto, c’è la liberà dell’uomo; l’uomo è responsabile delle proprie scelte. Aristotele, inizia a parlare dell’anima anche in chiave etica, affermando che l’anima è formata da 2 parti: - parte razionale: è quella della ragione, la parte che pensa, riflette, dove si trovano le virtù più razionali - parte appetitiva: è quella che si lascia trasportare dagli appetiti, dai desideri, dall’ira, dall’amore, etc. Queste 2 parti, rappresentano i 2 poli dell’anima e sono in contrasto. A queste 2 parti dell’anima, secondo Aristotele, corrispondono delle precise tipologie di virtù. Alla parte razionale, corrispondono le virtù intellettive o dianoetiche (ragionare), sono quelle virtù che si basano sulla ragione; alla parte appetitiva, corrispondono le virtù morali o etiche, sono quelle legate al contenimento delle passioni. VIRTÚ ETICHE O MORALI Secondo Aristotele, quando entra in gioco la parte appetitiva della nostra anima, il modo migliore di comportarsi, quello più morale che può portarci verso la felicità, è quello del giusto mezzo. Tra gli eccessi, devo cercare di pormi a metà, trovare il giusto mezzo. Una cosa fondamentale per agire bene e moralmente è l’abitudine. Questo meccanismo di abitudine, dobbiamo crearlo noi tramite l’uso della libertà. È vero che alcune volte agiamo non pensando, quando agiamo per abitudine, ma avviene questo perché siamo responsabili noi di aver costruito questo sistema quasi automatico. Quindi è importante abituarsi, darsi delle regole e renderle quasi automatiche; e secondo Aristotele, anche la politica ci aiuta in questo, anche la politica e la società, dovrebbe abituarci a questo. La politica ci può aiutare, ma il referente ultimo siamo noi, per questo l’etica riguarda l’individuo. Tra tutte le virtù etiche, secondo Aristotele, la più importante è la giustizia, perché l’uomo che segue le leggi, in fondo non sbaglia mai; seguire le leggi ci aiuta già in automatico a seguire le leggi e agire per il meglio. La giustizia è la virtù etica principale, ed è il giusto mezzo tra commettere ingiustizie e subire ingiustizia (il giusto mezzo è essere giusti). La giustizia si divide in 2 tipi, che Aristotele chiama: - giustizia distributiva: è quella che distribuisce gli onori in base ai meriti, cioè è quella che da di più a chi merita di più e di meno a chi merita di meno - giustizia commutativa: è quella che distribuisce gli onori ugualmente a tutti, cercando anche di correggere gli svantaggi e le differenze VIRTÚ DIANOETICHE Aristotele ne elenca 5: - arte: capacità razionale di produrre oggetti (capacità di progettare) - saggezza: virtù che ha il compito di individuare il giusto mezzo nelle virtù etiche - intelligenza: ha il compito di cogliere i principi 1° delle scienze - scienza: virtù che svolge le nostre capacità dimostrative - sapienza: è la più elevata, perché è sintesi di intelligenza e scienza, e consiste nel dedurre i principi 1° più generali (consiste nella più elevata forma di intelligenza umana) Le 3 virtù teoretiche: intelligenza, scienza e sapienza, sono le più alte. Queste virtù sono quelle che contraddistinguono la vita del sapiente (che le ha più sviluppata), è la via migliore per raggiungere la felicità e assomiglia a “Dio”, si avvicina a lui, per questo è felice. AMICIZIA Aristotele dice che l’amicizia è molto importante per la vita felice. Arriva a distinguere 3 tipi di amicizia: 1. di utilità: si basa sul vantaggio reciproco, due amici hanno vantaggi nell’essere amici; quando il vantaggio reciproco finisce, finisce anche l’amicizia (tipica degli anziani) 2. di piacere: nasce perché si dà piacere reciproco (es. mi fa ridere); quando il piacere finisce, finisce anche l’amicizia (tipica dei giovani) 3. di virtù: ci si lega agli altri per virtù, cioè per essere migliore noi e loro insieme, per sostenerci a vicenda, per condurci verso il bene; questa è l’amicizia più elevata, perché non si basa sul vantaggio, ma sul bene, sul fare la cosa giusta Aristotele propone 2 condizioni che facilitano il sorgere dell’amicizia: 1. Intimità, la vicinanza: se si vive a contatto, vicino a un’altra persona è più facile che nasca un’amicizia 2. L’uguaglianza: per Aristotele perché un’amicizia sia solida è bene che ci sia una qualche forma di uguaglianza (es. di intelligenza, di ricchezza, etc) L’amicizia vera, per quanto sia difficile e rara da trovare, per Aristotele è fondamentale per la vita etica, per agire rettamente. Però non bisogna confondere questa amicizia con: - la benevolenza: non è amicizia, è un sentimento di benevolenza, cercare il bene per persone sconosciute, che conosco poco - e l’amore: ha sì dei sentimenti simili all’amicizia, ma in più ha l’aspetto carnale, fisico, che nell’amicizia non c’è ETICA. I CLASSICI, LE TEORI E LE LINEE EVOLUTIVE - Piergiorgio Donatelli CAP.1 - PLATONE 1. Socrate La caratteristica principale del modo di vivere filosofico illustrato da Socrate è che in esso ci prendiamo cura di noi stessi; significa prendersi cura della propria anima. In Socrate l’anima indica il modo di vivere. La vita etica, si inserisce in un ambito che è quello della società regolata dalle leggi e dalle consuetudini della città, che in quanto tali hanno una loro dimensione etica che Socrate riconosce. L’etica è: 1) una modalità di vita, 2) la quale si colloca in una dimensione critica, che genera uno scarto rispetto alla vita generalmente considerata etica, vale a dire quella raccomandata dai doveri e dalle leggi. La vita etica non è caratterizzata dall’essere giudicata da dottrine o da sapere si qualche tipo, ma dall’essere una vita di interrogazioni e di ricerca, una vita in cui ci occupiamo di noi stessi. La vita fondata sull’interrogazione è verità, avendo quindi in odio la falsità, la menzogna e l’inganno. La vita etica si fonda sulla conoscenza della giustizia, che è ciò di cui si prende cura, ma che è anche la modalità stessa del prendersi cura di sé: prendersi cura di sé significa essere giusti. 2. Diversi modelli di vita etica in Platone Ci sono 2 modi diversi con cui Platone delinea e giustifica la vita etica: da una parte, abbiamo un’elaborazione della vita etica alla luce della felicità a cui essa consente di accedere; dall’altra, la vita etica è elaborata alla luce della vicenda ultraterrena dell’anima. 3. La virtù e la felicità Il concetto di armonia assume su di sé vari significati: armonico è fare qualcosa a regola d’arte, rispettando i canoni dei mestieri che sono rivolti a produrre oggetti che assolvano bene la loro funzione, che è legata ai bisogni umani. Il giudizio di armonia e ordine rappresentala competenza nel produrre a regola d’arte gli oggetti utili alle esigenze della vita. La virtù indica il modo di vivere che rende migliori e quindi più felici. Per essere felici e prosperare un individuo ha bisogno di 4 diverse virtù, che sono: 1) La Sapienza; 2) il coraggio; 3) la temperanza; 4) la giustizia. La loro collaborazione riesce a far fiorire l’anima umana in modo pieno. Le 4 virtù regolano e rendono armonia la vita di queste 3 parti dell’anima. Il coraggio si nutre sia della sapienza che fa conoscere gli scopi più alti, sia della durezza della componente irascibile che fa conoscere gli scopi più alti, sia della durezza della componente irascibile che ci rende capaci di agire senza debolezze e tentennanti. La Sapienza è la virtù che conosce il bene a cui ci rivolgiamo. La temperanza è costituita dal dominio naturale che la parte superiore dell’anima esercita su quella inferiore. La giustizia, indica l’equilibrio interno delle 3 parti dell’anima, e garantisce che ciascuna svolta il suo ruolo. 5. La virtù e il Bene Platone, nel 7° libro della ‘Repubblica’ (tratta del mito della caverna), introduce l’idea del Bene come qualcosa di diverso dal modo in cui le varie virtù sono buone, utili, nobili e belle. L’idea di Bene è come il sole e richiede un movimento la parte nostra come quello dei prigionieri della caverna. Il bene quindi è la prospettiva dalla quale considerare le cose del mondo nella giusta luce e approfondire la sua conoscenza conduce al sapere più alto. 6. L’Eros Nel ‘Simposio’ è delineata una differente visione di questo ultimo modello della vita etica, concepita come il tendere verso un mondo altro; in quanto dialogo il motore del perfezionamento è l’amore (eros). Nel ‘Simposio’ la meta finale è la contemplazione del Bello. Il bello è per Platone, innanzitutto il bello dei corpi e l’attrazione verso i corpi belli, è l’amore degli uomini per i ragazzi, conficcato nelle consuetudini greche. L’idea del Bene in sé e del suo possesso in eterno conducono ai 2 assi: quello della vita etica come orientamento verso il Bene in sé; e quello dell’immoralità dell’anima che consente di godere la virtù in forma perfetta. L’ultima opera di Platone sono le “Leggi”: un dialogo dove l’autore è meno incline a seguire l’idea del lavoro etico personale di perfezionamento e lascia che il lavoro di miglioramento sia il frutto di norme e leggi che guidano la vita degli individui fin nei dettagli più piccoli. Quindi si sostiene che l’amore tra maschi è contrario alla natura, un’affermazione che avrà fortuna, ma che in Platone è un argomento piuttosto debole. 7. La vita etica La vita etica platonica consiste nella realizzazione piena di sé, che ci rende felici nel modo appropriato. La vita felice è precisamente quella della virtù, che regolano una vita giusta e in generale virtuosa nei confronti degli altri; è l’unico modo di essere felici. La vita etica è una vita di conoscenza perché ci mette in contatto con la realtà e ci libera dai vapori dell’apparenza, in questo senso possiamo dire che l’etica di Platone è realista. Nella ‘Repubblica’ Plotone scrive che il Bene, come il sole, non rende solo conoscibili la realtà, ma conferisce loro l’essenza propria e ne è superiore in dignità e potenza. La vita etica è il modo migliore di condurre la propria vita e in quanto tale ne governa ogni ambito. La vita etica è la vita in cui perfezioniamo la nostra virtù. La vita etica è distinta dalla vita politica, non perché la virtù sia distinta dalla politica, ma perché la vita virtuosa, al di fuori delle condizioni ideali, è quella che si riesce a condurre nei limiti della situazione in cui vive. CAP. 2 - ARISTOTELE 1. Una prospettiva finalistica La materia in quanto tale è inconoscibile, lo è solo in quanto assume una forma determinata in una sostanza di cui predichiamo accidenti. La forma fornisce la definizione, l’essenza della sostanza, ma non ha un’esistenza separata; offre la conoscenza necessaria che ci consente di parlare di ciò che capita a qualcosa. 2. Il naturalismo finalistico in etica Il bene è il fine di una cosa. Per gli esseri viventi, le piante e gli animali, il bene è il fine a cui tendono, a partire da un principio di movimento che hanno in sé, nella loro stessa materia biologica. Diversamente dalle arti, hanno in sé il principio del cambiamento e la forma, cioè il fine a cui tendono. Il bene è il fine proprio di una certa cosa o di un essere vivente. Aristotele chiama anima il principio che consente di individuare un certo essere vivente ma anche l’insieme dei principi e la loro collocazione. L’anima è ciò che ci consente di considerare un certo essere un organismo, ma anche una parte di un organismo come una “sua” parte; è ciò che consente di riconoscere una pianta come un organismo che tende alla nutrizione e alla riproduzione di sé attraverso il seme. Il concetto di felicità possiede una duplice essenzialità nella concezione aristotelica: da una parte, descrive il sommo bene: il modo di vita che realizza nella maniera più piena il fine umano, che porta a compimento attraverso le attività appropriate la forma umana; dall’altra, è anche la vita sperimentata dagli esseri umani come felice, è il modo di vivere scelto di per sé e non in vista di altro, è il modo di vivere a cui attribuiamo il valore più alto, è anche la vita che ci gratifica di piaceri. 3. Un’etica della virtù L’opera ‘Etica Nicomachea’ è il risultato di un lavoro editoriale posteriore, su tesi alla base delle lezioni che Aristotele teneva nella sua scuola, il Liceo. La vita virtuosa è quella che ci consente di realizzare al meglio il fine proprio degli esseri umani, che è quello di vivere secondo ragione. La sua concezione etica è fondata sulla centralità delle virtù: sono le persone virtuose che offrono la prospettiva dalla quale possiamo operare le distinzioni etiche. Distinzione tra 2 tipi di virtù: morali e intellettuali. Le virtù fondate sull’abitudine sono quelle che Aristotele chiama morali: come il coraggio, la temperanza, la generosità, la magnificenza, la mitezza, l’amabilità, etc. Sono caratterizzate dal giusto equilibrio che realizzano fra passioni contrastanti; consistono nell’uso diretto della ragione. Operano sulla parte desiderante e passionale dell’anima e consistono in un equilibrio a cui sono portate le diverse passioni chiamate in causa in ciascuna virtù. Riguardano le passioni e le azioni. Le virtù intellettuali, fanno uso del ragionamento, viene messa al centro la saggezza. Aristotele, riassume le 3 caratteristiche delle virtù morali: - si agisce consapevolmente - l’atto virtuoso è compiuto per se stesso - l’azione proviene da una disposizione salda e immutabile Distingue l’intemperanza dall’incontinenza. L’incontinenza non è propriamente vizia, perché non distrugge le basi etiche ma le rende inattive. Considera l’intemperante inguaribile, perché sceglie consapevolmente i piaceri eccessivi, mentre l’incontinente, conosce il giusto mezzo, ma è confuso e indebolito dalla forza dei piaceri. Una virtù cruciale è la giustizia. Considera la correttezza e la distribuzione di beni specifici come onori e ricchezza e qualsiasi cosa possa essere divisa tra i membri della comunità. 2 sono i tipi di giustizia in senso specifico: 1) distributiva: si occupa di come distribuire le risorse, rispetto alla quale la virtù è nel trovare la proposizione tra il valore di ciò che va distribuito e le persone tra cui va distribuito; 2) correttiva: riguarda le relazione tr ale persone ed è distinta in quelle che sono fondate su rapporti volontari e quelle fondate su rapporti privi di volontarietà. 4. Il pensiero pratico Le virtù morali sono stati abituali che ci consentono di scorgere i fini buoni e di agire in base a essi; ci educano a volere i fini appropriati nelle diverse aree della vita. La saggezza, è la virtù intellettuale principale. La virtù morale è condizione della saggezza. 5. La vita etica La vita etica è il modo di vita che conduce colui che è in possesso delle virtù e che le esercita. Il ruolo centrale che ha l’amicizia per Aristotele è funzionale all’importanza che annette all’attività, all’agire e non solo all’essere un certo tipo di individuo senza portare a compimento la propria virtù. L’amicizia, è occasione di azione, di emulazione e anche di rispecchiamento che contribuisce a percepire le proprie condotte virtuose come attività belle e piacevoli. L’amicizia in Aristotele è tra uguali, mentre in Platone il legame etico fondamentale è quello dell’Eros, che è tipicamente asimmetrico. 6. Due modelli di giustificazione In Aristotele sono rintracciabili 2 modelli di giustificazione. Un modello è quello del finalismo: è il quadro che articola la comprensibilità dell’essere in quanto tale e dei suoi diversi generi. L’altro modello, la ragione pratica e l’insieme delle facoltà che esercitiamo nel pensiero etico possono essere concepite non solo come la funzione propria dell’essere umano considerato dall’esterno nella rande catena dell’essere, ma dal punto di vista del loro esercizio in specifiche e concrete attività valutative che presuppongono forme di educazione e di cultura. CAP. 10 - HUME E SMITH 1. La scena filosofica di David Hume Nella filosofia di David Hume ritroviamo la scena complessiva moderna ed empirista, a cui imprime una svolta significativa e inedita: mette al centro della sua analisi il limite della mente umana. I sensi ci comunicano impressioni di sensazioni che danno origine all’intero edificio della vita mentale. Le impressioni, una volta fatta la loro comparsa nella mente, vi rimangono con la memoria o possono essere suscitate in altro modo nella forma delle idee. Sia le impressioni sia le idee possono combinarsi tra di loro e diventare complesse. Il presentarsi di un’idea ne suscita altre sulla base di un’associazione che è prodotta in noi dall’abitudine dell’avere osservato il ripetersi di certe percezioni. L’abitudine è il modo i cui nella mente si creano come delle tracce che rendono agevole a una percezione suscitarne un’altra. Hume offre una serie di regole generali che possono guidare la percezione dei rapporti fra causa ed effetto, correggendo l’abitudine sviata dalla complessità delle situazioni. 2. Le passioni e la simpatia La morale, si fonda sulla trasmissione delle passioni e sul lavoro riflessivo della mente su di esse. Le passioni sono impressioni di riflessione; sono dirette, quanto sono direttamente suscitate da una sensazione; sono indirette, quando sono cruciali per la vita morale, hanno una causa e un oggetto. Le passioni sono i principi attivi della vita umana. Hume sostiene che sono le passioni a muovere all’azione. Le passioni che ciascuno prova sono comunicate agli altri attraverso la simpatia, che è intesa da Hume come un messianismo di trasmissione. Il dolore di qualcuno non è altro che qualcosa che osserviamo da fuori ma si trasforma in una percezione che proviamo noi stessi, come se fossimo lei o lui. Hume spiega come gli esseri umani siano in comunicazione simpatetica tra di loro. La simpatia tende però a farci immedesimar con le circostanze vicine, con ciò che più facilmente suscita la conversione simpatetica delle idee di ciò che succede nel mondo in passioni. 3. Scetticismo e naturalismo Hume sostiene che l’applicazione dei metodi della filosofia mostra in che modo giungiamo ad avere le credenze fondamentali che ci consentono di vivere nel mondo comune, tra cui vi sono la causalità, la credenza nell’esistenza del mondo esterno e l’identità personale nel tempo, ma sostiene che tali credenze sono l’esito di meccanismi immaginativi che egli stesso considera fittizi e illusori e che rendono tali credenze false. Le facoltà umane sono come istinti, pulsioni a cui siamo inclini, e ne mostra l’operre fondato sul lavoro dell’immaginazione e dell’abitudine. Possiamo dare almeno 2 interpretazioni del ruolo dello scetticismo in Hume, che individuano 2 eredità significative nella filosofia contemporanea: - 1) elabora la prospettiva secondo la quale la ragione, porta a operare su se stressa, distrugge le sue basi, con ciò dimostrando che non sono all’altezza dei suoi criteri di validità. Hume, da una parte, ritrova un quadro proprio della natura umana che è quello moderno che non ha bisogno di fondazioni, e al contempo questo quadro sembra minacciato dall’ ragione filosofica che ce lo raffigura come inadeguato. - 2) secondo la 1° prospettiva, Hume sostiene che il potere distributivo della ragione è all’opera quanto essa è lasciata da sola, ma ciò significa che opera quanto consideriamo gli esseri umani come individui isolati e dediti solo a un certo tipo di pensiero. Qui sostiene che non dobbiamo cercare al di là degli esseri umani, inseriti nelle loro forme di vita asociale, nella vita comune, per trovare i fondamenti delle loro attività intellettuali ma che tali attività non sussistono in modo indipendente e isolato dalla complessa rete di rapporti e collegamenti che caratterizzano gli esseri umani e ci consentono anche di sentire e di pensare a noi stessi come persone singole e individuali. 4. La morale Hume recluta una verità ampia di passioni, tra cui spicca l’orgoglio. Hume recluta un insieme vasto di passioni attraverso le quali colloca la morale nella vita quotidiana in cui convivono sentimenti di diverso tipo, caratterizzati sia da una propensione a mettere prima se stessi sia de una generosità limitata. Al contrario di Rousseau, secondo Hume, possiamo sviluppare una personalità morale proprio perché esponiamo noi stessi all’osservazione e alla critica simpatetica nelle condizioni di una società educata e guidata da regole generali. In Rousseau la morale è direttamente fondata sui ‘sentimenti morali’ che sorgono dalla coscienza. Hume mette al centro della sua concezione la simpatia, che non è un sentimento morale di benevolenza verso gli altri, ma un meccanismo neutrale di trasmissione dei sentimenti. Distingue le virtù in: - naturali: sono proprio dei tratti caratteristici della mente umana sia quando sono rivolti al bene degli altri, sia quando riguardano il proprio bene. - artificiali: dipendono da convenzioni umane, e Hume vi include le regole della giustizia. La concezione morale sentimentalista di Hume non è fondata quindi su sentimenti morali intrinseci, ma sull’approvazione riflessiva, che è un meccanismo sentimentale che si basa sul fatto che gli individui sono mossi da passioni che si comunicano e che nel comunicarle, vi rispondono con un tipo di piacere e dispiacere in cui consiste ciò che chiamiamo virtù e vizio, approvazione e disapprovazione morale. L’approvazione morale non consiste in un indistinto sentimento riflessivo piacevole ma in un tipo di piacere che registra la risposta a una certa affermazione, passione e motivo della persona. Quella di Hume è una concezione naturalistica, che riconosce lo spazio riflessivo dove abita la morale ma al contempo lo riconduce al tipo di vita mentale e sociale in cui si situa il piano non riflessivo dei motivi di 1° livello, quello delle passioni. 5. La giustizia e il governo L’analisi di Hume è convenzionalista e non contrattualistica. Si fonda sull’eperare dei principi della natura umana in condizioni antropologiche e natural-sociali in cui essi fanno sorgere questi nuovi motivi e nuovi obblighi. Alla sua base non ci sono né la ragione né l’idea della legge ma la natura umana. Il principale obiettivo polemico di Hume è lo spirito di fazione che prende fondamentalmente 2 forme: 1) la superstizione e 2) il finalismo. La 1° è quella tipica della ragione che sorge dalla paura, dalla debolezza e dall’ignoranza; la 2° sorge dalla presunzione e dall’orgoglio misti sempre all’ignoranza. 6. Adam Smith In la ‘Teoria dei sentimenti morali’, Adam Smith eredita da Hume l’impianto sentimentalista complessivo ma lo conduce a risultati diversi: ne modifica la formulazione e offre una differente ricostruzione della cultura morale. Ne semplifica il meccanismo e la integra con elementi provenienti da altre linee teoriche. Smith descrive liberare della simpatia nei termini del ricondurre a sé ciò che gli altri provano. Conduce la simpatia a operare in condizioni in cui non si tratta tanto di fare proprie le circostanze altrui ma di sviluppare sentimentalmente dentro di noi il significato delle situazioni. Lo spettatore imparziale è chiunque di noi descritto nella sua capacità di lavorare sulle proprie risposte simpatetiche allo scopo di mettersi nei panni degli altri. Lo spettatore si immedesima con la persona coinvolta, la quale a sua volta si sforza di correggere e di sintonizzare il suo sentimento con quello dello spettatore: assume una passione riflessa che è quella che nasce dall’immaginare che cosa sentirebbe l’altro osservando la sua situazione; significa assumere un punto di vista imparziale. Ricostruisce 2 famiglie di virtù: 1) le virtù miti, amabili dell’ideale condiscendenza e dell’indulgente umanità, fondate sullo sforzo dello spettatore; mentre sullo sforzo della persona coinvolta al attutire le sue emozione a un livello condivisibile dallo spettatore sono fondate le 2) virtù solenni, maestose e degne di rispetto, dell’abnegazione, della padronanza di sé. Smith è un’autore sentimentalista, perciò gli effetti benefici o dannosi sono giudicati dal punto di vista della persona che li riceve, tenendo conto dei motivi che hanno prodotto l’azione. La disapprovazione sorge dalla simpatia con il risentimento provato nei confronti della persona che ha causato gli effetti dannosi. L’addove Hume lascia alla moralità una vita riflessiva, che articola e arricchisce la vita di 1° livello dei motivi non morali, Smith torna a privilegiare i sentimenti morali di 2° livello, che spiega come forme di interiorizzazione dello spettatore imparziale. Lo spettatore imparziale è presente al livello dei motivi come motore di correzione, ma finisce con l’agire in 1° persona dentro di noi, come tribunale che giudica e che assume l’intero meccanismo di correzione sociale. In Hume una società fiorente è una società costituita da individui mossi da motivi che sul piano riflessivo sono moralmente approvati. Nell’etica di Smith una società fiorente può essere costituita da individui che sono mossi dal senso del dovere, ma che non hanno mai provato il motivo che il senso del dovere approva. CAP. 11 - KANT 1. Una nuova scena della modernità Kant sviluppa una concezione dell’etica in cui difende le idee moderne di libertà e di autonomia, inventa una nozione di critica in base alla quale siamo tenuti a sorvegliare l’uso delle facoltà umane e rifiuta la credenza e la condotto quando sono fondate solo sull’autorità o sull’ispirazione personale. La ragione governa le passioni in vari modi. Nell’impostazione di Hume, la ragione può svolgere questo merito solo in quanto è ella stessa un tipo particolare di sentimento. Kant considera inadeguata per rendere conto dei concetti di libertà e di autonomia. Presenta 3 idee fondamentali della ragione: 1) l’idea che tutte le forme di attività e ricettività della nostra mente nella loro diversità riguardando un unico io; 2) idea che ci guida a conoscere il mondo secondo il modello della massima unità razionale; 3) idea che ci fa considerare il mondo come se fosse la totalità delle serie infinite di condizioni che possiamo ricavare con la conoscenza, retrocedendo o risalendo a partire da un evento. 2. Natura umana e ragione pratica La facoltà di desiderare, riprende l’idea tomista dell’inclinazione per la quale ogni essere vivente tende al proprio fine. 3. L’imperativo categorico e la legge morale Kant distingue 2 modi in cui le massime possono importi come necessarie: come imperativi ipotetici o categorici. 1) gli imperativi ipotetici sono ‘precetti pratici’ in cui la ragione comanda con necessità, sotto la condizione che si voglia un determinato fine. Questi comandano il mezzo adeguato al raggiungimento di uno scopo. 2) gli imperativi categorici, comandano in modo necessario senza condizioni, e rappresentano la legge che promana dalla ragione pura. 2 punti cruciali: 1) Kant considera l’operare della legge come una forma di legislazione su se stessi, poiché la legge morale opera su di noi come la legge che noi stessi ci imponiamo come individui razionali. 2) la legge morale assume l’idea della coincidenza tra le leggi naturali come reggono il mondo e le leggi morali che governano la condotta. Nella ‘Critica della ragion pratica’, Kant sostiene che la natura della volontà determinata in modo universale è proprio quella della libertà nel senso trascendentale. La legge morale, è efficace solo nella sua forma prescindono dalla materia, e la libertà è precisamente il tipo di legge che produce effetti solo in quanto forma furi campo dei fenomeni. Kant stabilisce una relazione necessaria tra ciò che si deve fare e il motivo che ci spinge a farlo. 4. Il sistema dei doveri Nei doveri verso se stessi, colloca il dovere verso il proprio perfezionamento, nella propria natura animale, e nel proprio carattere morale. Nei doveri verso gli altri, non troviamo la distinzione fra animalità e moralità, ma li divide in doveri di amore e di rispetto. Il dovere di amore, è la massima della benevolenza che non è possibile prescrivere in modo preciso, mentre il rispetto è il dovere negativo di non innalzarsi la di sopra degli altri e quindi più essere considerato un ‘dovere stretto’. Kant intende per benevolenza il desiderio del bene altrui e per beneficenza la massima che consiste nel proporsi questa felicità come dovere. Presenta la simpatia come ‘partecipazione alla gioia o al dolore degli altri’ intesi come ‘quel sentimento sensibile di un piacere o di un dispiacere, il quale si riferisce allo stato di soddisfazione o di affiliazione degli altri’. 5. Il sommo bene e la ragione Il concetto di sonno bene è assente in autori come Hobbes, Locke e Hume, considerato che il quadro che essi rivelano alla base della morali è quello della molteplicità dei valori e quindi dei beni. Kant presenta il sonno bene come l’oggetto prescritto della legge morale. Mette assieme 2 concetti distinti, il bene supremo e il bene perfetto. Il ‘bene supremo’, è la virtù intesa come ciò che ci è prescritto dalla legge morale. Il concetto di ‘bene perfetto’, è inteso come il bene autosufficiente della tradizione antica, non ha bisogno di altro oltre al bene stesso per essere in sé compiuto; richiede che la felicità che accompagna la virtù, la accompagni effettivamente. Il sommo bene, indica che il possesso congiunto di virtù e felicità in modo tale che la felicità sia distribuita esattamente in proporzione alla moralità. Dio è introdotto come un concetto derivato dalla morale e non è posto a suo fondamento: fondare la morale sulla religione significherebbe negare l’autonomia della morale. Quindi Kant, da una parte si colloca nella linea moderna che ha bisogno di Dio per pensare alla morale, e al contempo lo fa in modo tale che bisogna partire dalla morale per concepire Dio come un suo bisogno. Nella ‘Critica della facoltà di giudizio’ sostiene che la natura ci appare nel giudizio di gusto come concetto diverso dalla natura di cui conosciamo gli accadimenti: come qualcosa che pone una distanza rispetto al mero accadere di un evento, che è segnalato dalla bellezza e dal sublime. Quindi la morale e la bellezza, e in generale le idee della ragione, assieme a ciò che chiama il sostato soprasensibile dell’umanità, sono introdotte in contrasto netto con il modo conosciuto della scienza. 6. La politica Lo stato di natura è una condizione in cui ciascuno è governato dalla legge morale, ma individualmente e non civilmente. Kant sostiene che ‘ogni uomo ha i suoi diritti inalienabili, che non potrebbe cedere mai’. CAP. 13 - MILL 1. Un nuovo problema della libertà Mill recupera diverso modi filosofici che hanno dato forma all’etica moderna, ma li rielabora in un quadrato che mette in scena una concezione nuova. Il motivo centrale è quello della libertà, ma è una libertà che è passata in funzione della possibilità di dare forma alla propria vita con personalità, originalità e inventiva e che sappia al contempo arricchire la società. Pone il tema in questo modo proprio sulla ‘Libertà’. Mill esprime un tipo di problematica, legata alla libertà e al valore, che è completamente estranea alla linea contrattualistica e giusnaturalista: in quota linea sono visualizzati gli impedimenti alla libertà che si situano al livello delle regole e delle leggi. La simpatia, che è alla base delle etiche sentimentaliste di Hume e Smith, opera su materiali che sono dati, mentre il problema di Mill è quello di scoprire sia la schiavitù sia la coltivazione del proprio io. Il problema di Mill è quello di come sia possibile vivere vite ‘individuali’ in società che fanno tesoro della sperimentazione si ciascuno. 2. Da Bentham a Mill Questa concezione della società e dell’individuo è fondata sull’utilitarismo, che Mill eredita da Bentham. L’utilitarismo difeso da Bentham sostiene che la misura della condotta giusta è la maggiore felicità per il maggior numero. nell’impostazione di Bentham il principio di utilità è rivolta a riformare innanzitutto le istituzioni e le leggi. Il principio di utilità si compone di almeno 2 tesi: la concezione del valore edonista (il piacere è l’unico e solo bene) e la concezione della condotta gusta (si deve compiere ciò che produce la massima felicità per il maggior numero di persone coinvolte). Per quanto riguarda l’applicazione del principio di unità, ritiene che esso non vada applicato direttamente ma tramite 4 ‘fini subordinati’: 1) la sicurezza; 2) la sussistenza; 3) l’abbondanza; 4) l’uguaglianza. 3. Un’epoca di transizione Mill tratta l’utilitarismo di Bentham come una reazione a concezioni che difendono valori che non esistono più in particolare nella sfera del diritto. Mille legge il principio di utilità come un’impostazione in cui l’azione e il criterio di valore sono svuotati dai loro collegamenti con la vita umana personale e sociale. Mill vede in questa prospettiva un’importante impostazione ‘negativa’. Nella prospettiva di Mill è fondamentale questa operazione scettica di smascheramento della vuotezza delle dottrine e delle condotte. Mill presenta entrambe le prospettive culturali, quella illuminista e della romantica, come reazioni. Il 1° tipo di reazione smaschera una condizione di vuotezza e di separazione fra la vita delle persone e i significati che esse vi attribuiscono, ma scambia questa condizione come quella naturale e ritiene che le verità siano indipendenti dalle forme di vita delle persone, ritiene che abbiano una validità che non deve mai rispondere alle forme di vita associate e alla profondità dei convincimenti. Il movimento romantico e estrico reagisce a questo stato di cose e riconosce invece l’importanza del terreno sociale e personale. 4. La teoria utilitarista della vita Il problema della libertà, non consiste soltanto nella possibilità di liberarsi da oppressioni giuridiche e da convinzioni errate, ma anche nell’opportunità di ricostruire le condizioni nuove percHé possa fiorire l’interesse a fare qualcosa di personale delle propria vita e più in generale di ricostruire le basi individuali e sociali della libertà e della felicità. Elabora anche una nuova versione dell’utilitarismo come teoria complessiva che governa l’intero dominio della vita pratica. L’utilitarismo diventa il modo in cui è possibile pensare alle varie dimensioni della vita individuale e sociale. A questo scopo rivede 2 ambiti dell’utilitarismo: 1) la nozione di conseguenza è collegata alla vita interiore dell’individuo e ha un effetto sul carattere, sul senso di se stessi, sull’immaginazione, sulla tessitura inferiore dell’io. Mill rivisita la storia del valore che divide le varie sfere; 2) la sfera della morale è identica con la giustizia, legata alla nozione di diritti e con la beneficenza. La sfera del conveniente è quella dell’utile che non è collegato ai sentimenti ‘morali’, come accade con la giustizia. La teoria della ‘morale’ utilitarista controlla la giustezza delle azioni e il valore delle circostanze entro la sfera dell’approvazione morale. L’utilitarismo per Mill indica la teoria o l’arte generale della vita e non quella specificamente morale. In ‘Utilitarismo’ Mill sviluppa una concezione che spiega come il piacere possa essere provato in modo diverso entro attività specifiche. La tesi di Mill è che la sensazione di piacere è trasformata dal tipo di attività a cui è associata. Rielabora la nozione di piacere che ha una sua componente edenica, di sensazione, e che è trasformata dal tipo di attività che provoca la nostra gratificazione. Sostiene che ‘i piaceri sono qualitativamente diversi’ come sono diversi i tipi di beni. In ‘Utilitarismo’ sostiene che chi è altamente dotato avvertirà sempre la sua condizione di vita come imperfetta, ma porta imparare a tollerare le imperfezioni e a seguire i propri fini. Mill conclude che vi è una gerarchia di piaceri che pone al punto più alto i piaceri legati alla coltivazione di sé nelle diverse sfere. L’utilitarismo di Mill non offre un criterio normativo, introno al valore e all’azione. Il piacere, è ciò che possiamo considerare come tale in quanto abbiamo fatto esperienza della bellezza, dell’eccellenza umana, della buona amministrazione della cosa pubblica, dei sentimenti altruistici, della giustizia, assieme alla normativa interna che bilancia queste diverse sfere di valore. 5. La morale e la giustizia La sfera della morale, ha al centro il principio di libertà. nell’impostazione di Mill, la morale riguarda le regole che seguiamo nelle nostre condotte e che sono in grado di giustificare, non i motivi che ci spingono ad agire, ma i motivi che ci aiutano a giudicare il carattere. Il carattere è oggetto di valutazione in termini non morali che attengono all’eccellenza personale e all’amabilità. Mill introduca una distinzione. Scrive che le regole sono utili per lanciarsi nel mare della vita. Milla da il nome di giustizia all’insieme di questi interessi vitali e alle regole atte a progettarli. La giustizia è qualcosa che è rivendicato con diritto, e un’azione ingiusta compiuta da qualcuno è tale per cui ci aspettiamo che sia punita. In ‘Utilitarismo’ la morale è ricondotta alla giustizia. Gli obblighi perfetti per Mill: riguardano la giustizia distributiva, gli obblighi derivati dai benefici ricevuti, il dovere di non deludere le aspettative, la lealtà verso gli amici. Inoltre nella ‘Libertà’ sostiene esplicitamente che fanno parte degli obblighi quelle condotte che vanno a vantaggio degli altri. 6. La libertà e il progresso dell’individuo La morale obbliga e lo deve fare entro precisi limiti proprio per salvaguardare la libertà, in cui realizziamo noi stessi in varie dimensioni tra cui nelle sfere degli ideali e delle relazione umane. La libertà per Mill, è la libertà di essere se stessi in sfere ‘determinate’, il movimento, l’immaginazione, la speculazione, le relazioni affettive e così via. È una libertà che ha bisogno di indicare il tipo di vita che essa rende possibile. Mette la libertà di espressione alla base del tessuto che tiene unita una società. La libertà di condotta trova il proprio limite nell’evitare di recare danno agli altri. Mill colloca nella religione, rivisitata, lo spazio dell’immaginazione e dell’idealizzazione, che costituisce il tessuto del nostro io che non dovrebbe essere lasciato preda della malinconia e della tristezza, ma che dovrebbe esercitarsi sempre nel confronto con attività, relazione, ideali e pensieri che siano in grado di elevare lo spirito, non di abbatterlo e di privarlo delle sue forze morali. Nel capitolo 3 della ‘Libertà’ troviamo il cuore della concezione emiliana dell’essere umano. L’obiettivo polemico è rappresentato dall’uniformità e dal conformismo che Mill vede sempre più forti e agguerriti nella società. La morale garantisce la libertà individuale e il lavoro su se stessi; ma non ha solo un ruolo strumentale, di garanzia di uno spazio personale. Ha un doppio ruolo. È cruciale come sfera dell’arte della vita poiché consente la libertà di svilupparsi: è la sfera della giustizia che genera i diritti alla libertà nelle dimensioni personali. È essa stessa una delle sfere dell’arte della vita, uno degli ambiti in cui gli individui possono coltivare se stessi. Mill trae molte importanti conseguenze dal principio di libertà. L’uguale diritto alla libertà coinvolge chiaramente le donne. L’asservimento delle donne nell’istituzione matrimoniale è in contraddizione con i principi che regolano le altre sfere della società. Si tratta di mettere fine all’esecuzione della parte femminile dalle attività riservate agli uomini e di rendere loro possibile di sviluppare se stesse come i maschi. Mill ripensa il rapporto fra i coniugi come una relazione di amici ‘tra pari’. CAP. 14 - NIETZSCHE 1. Individuo e società nelle > Uno dei temi al centro degli scritti giovanili è la ripresa della critica di falsificare l’individuo intrappolato in una rete di convenzioni e di apprezzare che non rendono possibile lo sviluppo della sua personalità autentica. 2. La conoscenza tragica e la verità Nella tragedia Nietzsche vede composti 2 elementi: 1) il dionisiaco, è l’elemento orientale che caratterizza le feste dionisiache in cui si realizza la partita del sentimento della propria individualità e dei legami in un ‘orribile miscuglio di voluttà e crudeltà’; 2) l’elemento apollineo, è quello ce promana dalle illusioni dell’individualità, e quindi dei legami politici, procede la trave verso l’estrema mondanizzazione, la cui espressione più grandiosa, ma anche più spaventosa, è l’imperium romano’. Nella tragedia si crea un’illusione prodotta dal coro, che è l’elemento dionisiaco anche nelle sue modalità musicali e ritmiche.l’apollineo interviene con il potere del sogno e dell’illusione: l’orrore della vita ci viene trasmesso attraverso l’esperienza funzionale della tragedia. 3. Un modo di vivere scientifico Nella sua 1° grande opera ‘Umano, troppo umano’, e nel lavoro successivo ‘Autore’, Nietzsche cambia prospettiva. Si registra una rottura con gli eroi degli scritti giovanili, e ne risulta modificato l’intero impatto. Il punto di svolta cruciale consiste nel rifiuto dell’idea che la verità non possa essere davvero conosciuta. Nietzche ora abbraccia per intero la prospettiva della conoscenza, che è diventata la conoscenza della scienza e in particolare l’analisi genetico-psicologica dei sentimenti che sono all’origine delle convinzioni metafisiche, religione, morali e così via. La vita scientifica è una forma di disciplina che trasforma l’io: produce un aumento di energia, di raziocinio e di perseveranza. La vita moderna, dei sensi, dell’intelletto, degli scienziati, ha perciò un carattere intensificato, di sperimentazione. La vita moderna, intensificata e sperimentatrice, che ah valorizzato lo spirito del costume e dell’eticità, se da una parte pone un problema di mancanza di misura e di ordine, dall’altra illustra una modalità di esistenza nuova che rimodula la storia genetica dei sentimenti religiosi e artistici. 5. La volontà di potenza La nozione di volontà di potenza consente a Nietzsche di ricostruire la morale come la morale dei forti, dei superiori e dei dominatori. Contro la tradizione del contratto sociale, sostena che sono i dominatori, la stirpe aristocratica, che hanno fabbricato i valori, introducendo la distinzione tra buono e cattivo, che è semplicemente l’espressione della volontà di potenza. La distinzione tra buono e cattivo separa ciò che è nobile da ciò che è sgradevole. 6. La verità e la trasvalutazione dei valori In questa nuova ottica fondata sulla volontà di potenza muta anche la considerazione della verità. Anche la verità è vista come un prodotto della volontà di potenza, è una sue espressione, e l’intera considerazione delle cose è sempre quindi ‘prospettica’, relativa alla volontà di potenza. Nello ‘Zarathustra’ introduce anche l’idea del superuomo, dell’oltre uomo, come immagine degli esseri umani futuri, che avranno superato l’attuale condizione umana e sapranno vivere questa nuova forma di vita. Il nichilismo, è l’esito dello svuotamento di significato sperimentato all’interno del quadro che concepisce la vita come bisognosa di significato. La soluzione proposta da Nietzsche è il superamento dell’intera prospettiva valutativa, che non consente di vivere la vita senza la cerimonia della sua sublimazione in un senso o nell’affermazione che non vi è alcun senso. RIASSUNTO AUTORI KANT Parte 1 - la moralità Definiamo 2 termini: - intelletto: organizza gli stimoli sensibili tramite i principi regolativi - ragione: lavora isolata dalla sensibilità e ha accesso solo all’intelletto, quando questa ragiona su se stessa nascono concetto come “Dio” Nella conoscenza tradizionale bisogna usare l’intelletto, al contrario nella morale bisogna basarsi sulla ragione. ‘Fondazione della metafisica dei costumi’ 1785 Una legge dev’essere basata su un obbligazione, necessaria e tale per tutti, ciò significa che dev’essere anche stabile nel tempo, questo esclude che, nella scrittura di una legge morale i sentimenti abbiamo un ruolo. Ciò che è buono lo è perché parte da una legge e non solo perché l segue. Per questo la legge deve basarsi sulla ragione in quanto isolata dagli elementi instabili della sensibilità. Kant ora cerca il principio su cui basare queste leggi. Introduciamo la volontà: è quel mezzo che permette di realizzare un’azione che risponde a una legge, dev’essere associata poi al dovere in quanto può capitare che le inclinazioni soggettive vadano contro alle leggi morali. In quel caso la volontà per dovere agisce a discapito delle inclinazioni soggettive. Una volontà così la chiamiamo volontà buona. Ogni tanto è necessario che la volontà sia mediata da una costrizione, questa formula è chiamata imperativo. Si dividono in: - imperativi ipotetico: un’azione è necessaria in virtù di quello che si otterrà come conseguenza - imperativi categorici: un’azione è necessaria e buona in sé indipendentemente da circostanze o conseguenze Kant si concentrerà sui secondi, imperativi categorici. 1° formulazione dell’imperativo categorico “Agisci come se la massima della tua azione dovesse diventare, per mezzo della tua volontà, una legge universale della natura” La volontà per esistere necessita di un fine; sappiamo che dev’essere definito dalla ragione e dev’essere base di imperativi categorici e dev’essere un fine in sé stesso. Cos’è un fine in sé? Ha un valore che non condizionata da fattori esterni, è fine di sé stesso ovvero posto da sé stesso e soprattutto sono fini oggettivi ovvero la loro esistenza è il loro fine. L’unico fine in sé stesso e l’essere razionale. Quindi un essere razionale dev’essere sempre usato e considerato come un fine e mai come un mezzo. 2° formulazione dell’imperativo categorico “Agisci in modo tale fa trattare l’umanità, così nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre come fine, mai semplicemente come mezzo” 3° formulazione dell’imperativo categorico “L’idea della volontà di ogni essere razionale come volontà universalmente legislatrice” Il soggetto del principio (noi) è un fine in sé, ciò significa che la volontà dee autodeterminarsi e obbedire a se stessa. Parte 2 - il regno dei fini “Il regno dei fini è un’unione sistematica di diversi esseri razionali attraverso leggi comuni” Questo regno è basato sui principi autolegislati dai suoi stessi membri in cui ognuno è principio e fine di quel regno ed è trattato come tale. Qui entra in gioco il concetto di dignità che è esclusivo dei fini in sé stessi e riconosciuto el regno dei fini, quindi, solo tramite la moralità un essere umano viene riconosciuto come fine in sé e quindi gli viene data la dignità che merita. Parte 3 - ultime conclusioni Le 3 formulazioni si basano su concetti diversi - la 1° sulla fortuna - la 2° sulla materia, sul fine - la 3° da una completa determinazione La 1° formulazione è quella più regolativa e le altre due danno più una sorta di contestualizzazione. La volontà incondizionatamente buona è quella in cui la massima sarà sempre conforme alle leggi. NIETZSCHE Propone un approccio critico alla morale e si chiede cos’è la morale? Ci serve davvero? Il suo è un approccio storico, ricostruisce la storia della moralità. Il suo pensiero può essere pensato in 2 modi: - distrugge la morale - riforma la morale Inizia criticando come i filosofi fino a quel momento non avevano mai messo in discussione “la morale” limitandosi a fondarla e definirla. Questi tentativi sono conservatori nella misura in cui danno per scontato la morale che vogliono definire, Nietzsche mostra invece come la nostra morale è una delle tante e non è sé vincolante né definitiva. Dice come le mariti, nella storia occidentale, siano state fatte con una funzione unitari mirata all’obbedienza, al conformismo e alla limitazione. Divide la morale in 2 gruppi. Morale Aristocratica Questo tipo nasce dall’individuo per l’individuo, significa che è coerente con la natura umana, si basa sul dire di sì alla vita, sulle passioni e sulla contralta dell’individuo. Morale schiavi Questo tipo si basa sulla relazione, ovvero ciò che è valutato positivamente è tale in relazione alla valutazione negativa di altro, questo è spesso la morale aristocratica Il problema che Nietzsche qua sottolinea è come una sola morale tiranneggia nei confronti delle altre e di come noi stessi siamo vittime della tirannia di una morale che non si appartiene. Questa morale da moltissimi problemi come: - debolezza che nasce dal dominare ciò che è naturale, è un dire di no alla vita e a sé stessi - mediocrità perché si tende al conformismo Nietzsche chiama per una riattualizzazione della moralità nobile, dove gli spiriti forti nella loro individualità possano diventare la maggioranza. C’è un bivio e 2 possibili interpretazioni di Nietzsche: 1 - Nietzsche prospettivista Questo Nietzsche decreta la superiorità della morale aristocratica in quanto questa permetta più prospettive e più modi di essere. La morale degli schiavi è anti-prospettivista e non permette un’evoluzione organica. 2 - Nietzsche essenzialista Bisogna scegliere il sistema morale che abbia un effetto migliore sulle nostre vite individuali, la morale degli schiavi porta alla repressione degli istinti, all’alienazione di sé stessi e al conformismo. MILL La filosofia si Mill parte da un ripensamento dell’utilitarismo di Bentham. L’utilitarismo classico nasceva come sistema scettico e critico della moralità vigente, si concentrava sull’utile della società (utile = piacere) non dando però abbastanza spazio alla dimensione dell’individuo e alla complessità sociali. Nel libro “che cos’è l’utilitarismo” 1863, Mill inizia partendo da una confutazione delle critiche all’utilitarismo: - è meschino perché implica che il fine della vita umana è il piacere. La critica presuppone che i piaceri siano tutti uguali, gli umani possono provare piaceri dell’intelletto, dei sentimenti, etc. Riconoscere una gerarchia di piaceri è una parte necessaria dell’utilitarismo. E solo l’uomo che li ha provati entrambi e ne ha una conoscenza approfondita (tramite l’esperienza), può dire quale dei due è preferibile. L’uomo capace di piaceri più elevati è più difficile da soddisfare quindi soffre di più, inoltre è incapace d rinunciare ai piaceri superiori per dignità comune in tutti gli uomini e proporzionale alle facoltà più elevate. - c’è chi preferisce piaceri meno elevati anche quando potrebbe provare piaceri più elevati. Succede per debolezza di carattere in quanto i piacere elevati necessitano esercizio. La morale di Mill Nell’utilitarismo il parametro della moralità è il fine per cui non è importante “l’azione” ma gli effetti che questa ha. Il fine ultimo di ogni azione deve essere: “un esistenza il più possibile esente dal dolore e il più possibile ricca di godimento, sia per quantità che per qualità”. In Mil è essenziale il legame tra moralità e obbligazione, quindi un ruolo importante è quello della giustizia che diventa una parte della moralità, riguarda tutti tipi di obbligazioni che tutelino gli interessi fondamentali dell’umano. Riflette sul fatto che gli individui possano non apprezzare la vita, ci sono 2 possibili motivi: 1. Eccessivo egoismo: non partecipano alla vita sociale e alla comunità, e le attrattive della vita risultano tarpate 2. Quando non si condita la mente: solo una mente coltivata trova interessanti le cose al punto da trovare tutto interessante Qui ci dice come per lui tutti hanno a disposizione una vita interessante se coltivano la propria mente, cos’è che lo impedisce? Diverse cose: cattive leggi dominio sociale, malattia, perdita di oggetti del proprio affetto. Per Mill tutte cose che è possibile eliminare con il riformismo sociale. Appurato che l’utilitarmismo non è la ricerca della felicità dell’individuo ma della comunità, come fare? Tramite leggi e ordinamenti e un’educazione che insegni legame tra felicità del singolo e della comunità. Per Mill le nostre azioni spesso con sono comandate dal dovere ma spesso da altri motivi, quindi se io aiuto la mia comunità perché le voglio bene e non perché sento il dovere di formalo va bene lo stesso, al contrario di ciò che penserebbe Kant. HUME È uno dei più importanti esponenti del sentimentalismo, questa corrente si basa sulla critica del razionalismo che dice come “la ragione ha la forza di governare l’animo umano”. L’attacco di Hume e del sentimentalismo vuole che la ragione non abbia alcuna forza. La filosofia di Hume si basa sulla psicologia morale al punto che le sue teorie sono fondate sulla sua teoria della mente. La tesi del razionalismo vuole che le passioni, inaffidabili e instabili, e il suo opposto che è la razionalità, stabile e affidabile, si contendano la guida della volontà e che bisogni seguire la ragione. Contro questo tesi Hume afferma: - la ragione non costituisce un motivo di azione per la volontà La ragione non può opporsi alle passioni nel dirigere la volontà Iniziamo dalla 1°: Nella teoria della mente di Hume l’intelletto ha le seguenti funzioni: 1. Dimostrazione (relazione delle idee) 2. Scoperta delle relazioni causa/effetto Il 2° soprattutto influenza la nostra quotidianità, se sola causa di un’azione la so valutare meglio. La ragione può far sì che prendiamo consapevolezza di una certa realtà che innesca i sentimenti e quindi l’azione. La 2°: Un impulso deve essere ostacolato da un’altro impulso, ma se la ragione non ne produce uno allora non può ostacolare le emozioni. Quindi la ragione è inerte La passione è un’essenza originaria che esiste in sé, non rappresenta niente e perciò non può entrare in conflitto con la ragione perché sono su due piani diversi. Esistono passioni irrazionali? Più o meno. Le passioni sono sempre valide in sé, ma possono venir ingannate dalla razionalità in 2 casi: - quando una passione si fonda sulla supposizione dell’esistenza di qualcosa che non esiste - quando per esprimere una passione usiamo mezzi inadeguati e finiamo con ingannarci nei nostri giudizi causa/ effetto Non c’è proprio relazione tra passioni e razionalità, vivono in due dimensioni diverse. Alcune passioni sono calme e non producono grandi scossoni nell’anima e non sono legate a impulsi violenti, questo può provocare confusione e spesso le confondiamo con la razionalità. Hume fa un vero e proprio dogma chiamato ‘la legge di Hume’ che mette una netta differenza tra: - piano normativo: cosa è giusto o sbagliato fare e quindi cosa si deve fare - piano descrittivo: come stanno le cose Quindi la moralità può essere dimostrata razionalmente, allora bisognerà trovare delle relazioni che siano moralmente definite. Sono interne o esterne? Ognuna di queste tesi ha problemi, nel 1° caso potrei essere un criminale senza riferimento a situazioni esterne, nella 2° oggetti inanimati diventano moralmente validi. Razionalmente la relazione è identica ma moralmente i due cassino diversi, tra i due casi cambia la natura della causa del comportamento, ma la relazione è identica. La conclusione è che la razionalità scopre ma non produce produce perché mi fa scoprire le relazioni senza dare un giudizio. L’obiettivo di Hume si basa sul fatto che quando facciamo qualcosa di immorale viene prima la sensazione della razionalità e quindi la prima è oggetto della seconda. C’è bisogno di qualcosa che la mente percepisca come immorale. Perciò non solo la ragione è inerte nei confronti del bene, ma non può nemmeno conoscerlo. Hume continua la sua indagine comparando il vizio e la virtù a percezioni come i colori, i suoni, etc… Per la sua teoria delle idee ogni percezione è, o un’idea o un’impressione e le passioni sono le seconde. Quindi il vizio è la virtù non si possono scoprire solo contrastando le idee. La moralità è più propriamente sentita che giudicata anche se queste passioni spesso sono calme e finiamo per conformare con le idee. Giudichiamo moralmente male o bene una persona in base se nei confronti di un’azione o di uno sguardo generale proviamo una certa soddisfazione o un certo dolore. SMITH ‘The wealth of Nations’ 1776 - tesi 1: nelle società moderne vige il principio della divisione del lavoro ciò fa sì che io abbia semper eia bene di cui ho bisogno, inoltre al mia proposta di scambio ha maggiori probabilità di successo - tesi 2: viviamo in una società di mercato dove fare il proprio interesse contribuisce all’interesse della comunità, questa è la famosa “mano invisibile del mercato” ‘The theory of moral sentiment’ Dobbiamo definire cosa intendeva Smith con “simpatia”, se vogliamo una definizione tecnica “la simpatia è un sentimento di partecipazione a una passione altrui” questa per Smith produceva un piacere immediato indipendentemente dalla passione a cui si interfaccia, questa non è riducibile all’interesse proprie e non coincide con l’empatia, perché la simpatia non è il semplice sentire cosa sente l’altro ma è l’immedesimazione in una situazione. Noi con la simpatia diamo un giudizio a una persona, se ci immaginiamo di provare quello che prova un soggetto in una determinata situazione possiamo o provare le stesse passioni del soggetto o passioni diverse. Nel 1° caso, approviamo la risposta emotiva del soggetto, nel 2° caso la disapproviamo. Una critica ce Hume fa a Smith è: su queste regole generali/standard sociali vengono dall’esperienza sociale, allora la morale sarà necessariamente conformistica. Le passioni pure (che prova direttamente una persona) sono impossibili da condividere, bisogna che la loro carica sia abbassata attraverso l’autocontrollo. Questo autocontrollo è reciproco sia da parte mia, sia da parte dell’individuo che sta simpatizzando con me, si crea dunque un circolo vizioso fra espressione controllata e simpatia. Questo circolo virtuoso è supportato da quella che per Sith è una qualità intrinseca degli esseri umani, ovvero quella di essere apprezzabili agli occhi degli altri ma non solo “ricevere apprezzamenti”, ma essere degni di apprezzamento. La simpatia è un ottimo strumento affinché la persona sia capace di ottenere la stima degli altri, in entrambi i sensi. C’è il problema del particolarismo, ovvero dl fatto che la nostra simpatia sembri limitata a certe persone. Un’altro problema è lo scarto tra apprezzabile e apprezzato, cioè la differenza tra essere apprezzati ed essere apprezzabile. Lo spettatore imparziale Per avere un confronto adeguato tra i nostri interessi e quello dell’altro serve un terso spettatore che sia imparziale: questo spettatore è la ragione. Oltre a esserci per motivi pratici come le correzioni alla nostra simpatia, serve come bussola del fatto di essere o no degni di essere apprezzati, è una sorta di autovalutazione che decide imparzialmente se le nostre azioni sono degne di apprezzamento o no. Questo spettatore chiaramente avrà un certo carattere e, nonostante sia imparziale, preferirà certe azioni ad altre in base al nostro contesto culturale, etc… SOLUZIONI MORALE Virtù etica, cos’è e come raggiungerla La virtù etica per Aristotele è uno stato abituale che riguarda il giusto mezzo, un equilibrio tra un eccesso e un difetto che apprendiamo per esercizio. Per Aristotele uno stato abituale è un modo di provare le emozioni e la virtù è il giusto modo di provarne; ne pensa varie: coraggio, temperanza, amabilità, magnificenza, giustizia, arguzia, sincerità… Il giusto mezzo non è determinabile in maniera matematica, avrà bisogno di essere trovato in base alle nostre situazioni e l’abilità nel trovarlo la si ottiene con l’esercizio e la pratica. I mali che non dipendono da noi non intaccano il valore morale, bisogna guardare il motivo (il fine) per cui si è scelto di affrontare il rischio. È coraggioso chi non prova timore nei confronti di una bella morte. La giustizia è una virtù per cui si dice che l’uomo giusto mette in pratica il giusto in base a uno scelta e assegna beni in modo da dare parti uguali secondo proporzione giusta. Amicizia L’amicizia è necessaria e tiene unite le comunità. Richiede comunione di vita e l’assenza non la fa cessare a patto che non sia troppo prolungata. Benevolenza è desiderare il bene altrui per lui stesso. Per Aristotele, l’amicizia, è un sentimento verso il prossimo e può avere 3 fini: - piacere: possiamo essere amici di qualcuno perché il nostro fine è il piacere, ma se cessano le cose che ci piacciono cessa l’amicizia (tipica di giovani e amanti) - utilità: se cessa l’utile cessa anche l’amicizia (tipica degli anziani) - il bene in sé: questo è la benevolenza per Aristotele, senza secondi fini, volgiamo il bene di qualcosa per sé; quando questa benevolenza è ricambiata, abbiamo un’amicizia vera. Giustizia e uguaglianza Giustizia è uno stato abituale tale da rendere gli uomini capaci di compiere azioni giuste, agiscono giustamente e vogliono ciò che è giusto. Giusto corrisponde al lecito e all’onesto. È virtù completa e chi la possiede si serve di virtù, oltre che nei riguardi di sé, anche del prossimo. È giustizia in quanto rivolta vero l’altro, virtù in quanto stato abituale. Le azioni si definiscono giuste o meno per mezzo della volontarietà: - danno per caso o costrizione, contro ogni ragionevole previsione: disgrazia - danno originato da ignoranza: errore, anche se involontario la colpa è nell’origine di chi agisce - danno volontario ma senza deliberazione preventiva, spinto da passioni: si discute se la reazione è giusta in base alla provocazione - danno volontario e premeditato: malvagio Prohairesis La scelta è io che ci piace e il rifiuto ciò che non ci piace. La scelta non è desiderio in quanto esso è basato sul piacere, non è neppure impulso ne volere: non riguarda come impossibili ne che non dipendono da noi. Non è opinione poiché si rivolge a ogni oggetto e si divide con il criterio di vero-falso e non del bene-male. La scelta è qualcosa di volontario ma non tutto ciò che è volontario è oggetto di scelta. L’oggetto della scelta e della deliberazione coincidono tranne per il fatto che ciò che viene scelto è già stato determinato. Il principi delle azioni è la scelta, i cui principi sono desiderio e ragionamento. La scelta non riguarda il passato né le cose necessarie ma solo quelle contingenti. Eudaimonia È il sommo bene, il fine ultimo, ciò che perseguano e verso cui tendiamo per se stesso, ma per felicità si intende una felicità in particolare; è un’attività dell’anima secondo ragione, autosufficiente, completa e tipicamente umana non solo in potenza ma in atto. Ci sono 3 modi di vivere in cui l’essere umano ricerca la felicità: - edonista: la ricerca nel piacere, il godimento e l’eccessiva comodità (tipico della massa e delle bestie) - politico: la ricerca nell’onore, persone raffinate e predisposte all’azione - teoretico: è l’unico modo di perseguire la vera felicità per Aristotele, perché è proprio della funzione dell’uomo, ossia l’attività dell’anima secondo ragione Felicità: n uso, un’attività, poter compiere azioni per cui si prova piacere. Così le azioni secondo virtù verranno a essere piacevoli in sé la felicità così consiste nel compiere azioni che sono in se stesse fine, per questo felicità tra in un uso. Akrasia Per Aristotele è la mancanza di autocontrollo, debolezza, mollezza della volontà. Si potrebbe pensare anche che più forte è il desiderio, meno l’acratico è degno di biasimo poiché agisce per impetuosità. Virtù etiche e dianoetiche Secondo Aristotele uno stato abituale è un modo di provare le emozioni e la virtù il giusto modo di provarne, con la giusta intensità e nella corretta circostanza. Le differenze in morali, appartenenti alla parte irrazionale dell’anima e apprendibili per esercizio, e intellettuali, appartenenti alla parte razionale e apprendibili per insegnamento. Tra le virtù intellettuali vi si possono annoverare la scienza, l’arte, la saggezza e la sapienza; invece tra quelle morali, coraggio, temperanza, amabilità, giustizia, sincerità… Ergon Secondo Aristotele l’operare tipico dell’uomo è l’azione, l’attività dell’anima secondo ragione. Il principio delle azioni è la scelta i cui principi sono desiderio di ragionamento. Secondo Aristotele per tendere alla bontà le azioni devono agire in conformità alla retta ragione. Afferma che le azioni devono agire in conformità alla retta ragione. Afferma che le azioni virtuose devono avere una qualità specifica: agire consapevolmente. Parlando di consapevolezza Aristotele categorizza le - azioni involontarie, come quelle dipendenti dalle circostanze e il cui principio è esterno a chi agisce - azioni miste, compiute volontariamente relativamente alle circostanze - azioni volontarie, come quelle in cui il principio è in chi agisce Definita la volontarietà è possibile definire anche quali azioni si possano dire giuste o ingiuste: - una disgrazia è un danno per caso o costrizione - un errore è un danno originato da ignoranza - un danno volontario ma senza deliberazione preventiva, lascia spazio al discutere se la reazione è giusta in base alla provocazione - un danno volontario e premeditato è malvagità Qual è il fine ultimo per l’uomo e come fare per raggiungerlo? Il fine ultimo per l’uomo è la felicità, per Aristotele agire secondo virtù costituisce la vita felice. Agire secondo piacere non porta necessariamente alla felicità. Si può dire che per Aristotele la felicità consista in un uso, un’attività e che derivi da allenamento, esercizio ed eccellenza. Oltre a ciò per vivere bene è anche necessaria una certa dose di beni esteriori quali salute, bellezza, amicizia, ricchezza, potere politico… in breve i mezzi. Virtù dianoetiche Ci sono 2 parti razionale dell’anima, una riguarda l’agire, il calcolare e il deliberare con la quale contempliamo gli enti che ammettono di essere differenti in base alle nostre scelte e una più teoretica, scientifica, legata al sapere, con la quale contempliamo gli enti che non possono essere diversamente. Tra le virtù dianoetiche vi si possono trovare le seguenti categorie: - intelletto: ricerca i principi 1°, universali, indimostrabili - scienza: il sapere, produrre dimostrazioni, trovare certezze dimostrabili; si basa su elementi certi e immutabili - arte: generazione, cercare soluzioni; riguarda ciò che è mutevole - sapienza: è unione di intelletto e scienza, si occupa delle cose più eccellenti, dotata di principi della realtà più sublimi - saggezza: riguarda le cose su cui è possibile deliberare riguardo ciò che è buono e utile per il raggiungimento di una vita buona in generale, sarà un sapere cosa fare nei casi particolari. RISPOSTE DOMANDE APERTE Virtù etica, cosa è e come raggiungerla La virtù etica per Aristotele è uno stato abituale che riguarda il giusto mezzo e che apprendiamo per esercizio. Aristotele ne considerava varie: coraggio, temperanza, mitezza, generosità, amabilità, magnificenza, giustizia, etc. La virtù si raggiunge trovando un equilibrio tra un eccesso e un difetto. La generosità ad esempio sarà a metà strada tra prodigalità, dove si condivide troppo e avarizia dove si condivide troppo poco. Il giusto mezzo non è determinabile in maniera matematica, ma avrà bisogno di essere trovato in base alle nostre situazioni e l’abilità nel provarlo la si ottiene con l’esercizio e la pratica. Non è una scienza come vorrebbe Socrate, ma una saggezza particolare che incorporiamo dentro di noi con il tempo, facendo pratica di una virtù, come fosse un allenamento. Amicizia Camicia per Aristotele è un sentimento verso il prossimo e può avere 3 fini: - quello del piacere, ovvero possiamo essere amici di qualcuno perché il nostro fine è il piacere, tipico dei giovani e degli amanti - quello dell’utilità, tipico degli anziani che hanno bisogno del prossimo date le difficoltà dell’età - il 3° è il bene in sé. Questa è la benevolenza per Aristotele, senza secondi fini, semplicemente vogliamo il bene di qualcuno per sé. Quando questa benevolenza è ricambiata abbiamo un’amica vera. La “philia’ per Aristotele è alla base delle relazioni umane e andrà poi a essere, in altre sue opere, il punto di partenza delle comunità umane, dalla famiglia, al viaggio, allo stato. In qualche maniera anche nella pratica pare rimandare alla ‘philia’ come sentimento di simpatia verso un racconto o uno spettacolo teatrale. Giustizia e uguaglianza Aristotele considera la giustizia come una delle virtù cardinali, distinguendo tra giustizia distributiva e giustizia correttiva. La giustizia distributiva riguarda la distribuzione equa di beni e onori all’interno della società, secondo merito e proporzione, non in base a una semplice uguaglianza numerica. La giustizia correttiva, invece, entra in gioco nelle transizioni private, correggendo le ingiustizie attraverso il principio dell’uguaglianza aritmetica, ossia il ripristino di un equilibrio dopo un torto subito. Aristotele vede la giustizia come una forma di uguaglianza proporzionale, in cui ciascuno riceve ciò che gli è dovuto in base alle sue virtù o capacità. Quindi, per lui, l’uguaglianza non è l’identico trattamento per tutti, ma un trattamento equo in base alla situazione individuale. La giustizia, è, così, una virtù legata all’equilibri nelle relazioni umane. Prohairesis Aristotele definisce la ‘prohairesis’ come una scelta deliberata, distinta dal desiderio p dalla semplice opinione. Rappresenta l’atto volontario e consapevole di scegliere un’azione dopo aver ponderato i mezzi per raggiungere un fine. La ‘prohairesis’ si distingue dalla volontà spontanea perché implica la deliberazione razionale su come agire in una determinata situazione. Per Aristotele, è un indicatore chiave della virtù morale, in quanto le azioni virtuose derivano non solo dal desiderio di fare il bene, ma da una scelta mediata e razionale che orienta l’azione verso il giusto mezzo. La ‘prohairesis’ pertanto collega la ragione e l’azione, definendo il carattere morale di una persona. In Aristotele la considera come un fattore determinante per distinguere e azioni moralmente rilevanti da quelle accidentali o impulsive. La ‘ptohairesis’, dunque, non solo definisce la bontà dell’azione, ma rivela anche il carattere stabile e virtuoso di chi la compie, poiché una persona virtuosa sveglia il bene in modo consapevole e costante. Felicità Eudemonia è il fine ultimo, ma per felicità si intende una felicità in particolare. Per l’esattezza è un’attività dell’anima secondo ragione autosufficiente, completa e tipicamente umana. Ci sono 3 modi in cui gli uomini ricercano la felicità: 1. Edonistica: chi la ricerca nel piacere, tipico della massa, ma pare troppo vicina alle bestie, mentre per Aristotele deve essere un’attività distintamente umana. 2. Politico: chi la ricerca nell’onore, ma quanto darebbe in mano agli altri la nostra felicità mentre deve essere autosufficiente. 3. Teoretico: quello è l’unico modo di perseguire la vera felicità per Aristotele, perché è proprio della funzione dell’uomo, ossia l’attività dell’anima secondo ragione. Quindi per Aristotele la vera “eudaimonia” è legata all’attività contemplativa (theoria), in quanto essa realizza al massimo il potenziale umano. La contemplazione è l’attività più elevata dell’anima perché utilizza la ragione, che è la parte distintamente umana dell’essere. Inoltre, essendo un’attività in atto, la contemplazione è continua e non limitata da circostanze esterne. Così, la eudemonia non è un semplice stato di benessere, ma un vivere attivo secondo virtù, guidato dalla ragione e rivolto alla verità. Akrasia Per Aristotele è la mancanza di autocontrollo, una debolezza, mollezza della volontà. Questo concetto si riferisce alla condizione in cui un individuo agisce contro il proprio miglior pregiudizio, nonostante sappia cosa sia giusto fare. Così l’acritico ben sapendo che un cibo è dannoso, che un’azione pur faticosa è la più virtuosa, che dovrebbe condividere ed essere generoso, non riesce in qualche maniera e perseguire la scelta giusta. Si può aggiungere che più forte è il desiderio, meno l’acratico è degno di biasimo perché agisce per impetuosità. L’akrasia si distingue dall’intemperanza: mentre l’intemperante non riconosce il bene, l’incontinente lo conosce ma non riesce a seguirlo. Aristotele riconosce gradi diversi di akrasia, a seconda della forza con cui il desiderio travolge la ragione, e la considera una debolezza più recuperabile rispetto all’intemperanza. Virtù etiche e dianoetiche Aristotele distingue 2 tipi di virtù: etiche e dianoetiche. Le virtù etiche riguardano il carattere e il comportamento morale, come la giustizia, la fortezza e la temperanza. Si formano tramite l’abitudine e l’educazione, permettendo all’individuo di trovare il giusto mezzo tra eccesso e difetto nelle azioni e nelle emozioni. Le virtù dianoetiche, invece, sono legate all’intelletto e alla razionalità, e includono la saggezza e la scienza. Esse si sviluppano attraverso l’insegnamento e la riflessione, e hanno come fine la conoscenza della verità. Mentre le virtù etiche regolano la sfera pratica della vita, le virtù dianoetiche riguardano la sfera intellettuale, e insieme contribuiscono al raggiungimento del bene supremo: la eudaimonia, ossia la felicità o realizzazione umana. Ergon Aristotele introduce il concetto di ergon, che segnica “funzione” o “scopo”. L’ergon di un essere umano, secondo Aristotele, è ciò che distingue l’uomo da altri esseri viventi. Poiché gli esseri umani possiedono la ragione, la funzione propria dell’uomo è l’attività dell’anima secondo ragione e virtù. La felicità è raggiunta quanto una persona realizza pienamente il proprio ergon. Per Aristotele, vivere bene significa agire in conformità con la virtù, che si manifesta nell’uso corretto della ragione. La virtù si sviluppa attraverso l’abitudine e l’azione deliberata, e la vita virtuosa è il mezzo per realizzare la vera felicità. Se in qualche maniera l’uomo ha questa sua capacità distintiva che è la ragione, il suo fine è realizzare questa sua capacità e tanto più vivrà realizzandola tanto più sarà uomo eccellente. Così tutte le virtù saranno modi di praticare la sua funzione. Qual è il fine ultime per l’uomo e come fare per raggiungerlo? Per Aristotele, il fine ultime per l’uomo è la felicità, intesa non come piacere momentaneo, ma come realizzazione piena e duratura della propria natura. Questa realizzazione si ottiene svolgendo al meglio il proprio ergon, cioè la propria funzione o attività specifica. Per l’uomo, l’argon è l’uso della ragione, poiché è ciò che lo distingue dagli altri esseri viventi. La felicità si raggiunge quindi esercitando la ragione nel modo migliore possibile, cioè coltivando le virtù. Le virtù si dividono in virtù etiche (come il coraggio e la temperanza) e virtù dianoetiche (come la saggezza e la prudenza), e si sviluppano attraverso l’abitudine e la riflessione. L’uomo deve seguire la “via di mezzo” evitando gli eccessi e le carenze. Al esempio, il coraggio è la via di mezzo tra codardia e temerarietà. La vita contemplativa, che coinvolge l’attività intellettuale, rappresenta il livello più alto dell’ergon umano e conduce alla realizzazione della felicità completa. Virtù dianoetiche Nell’Etica Nicomachea, Aristotele distingue tra le virtù etiche e quelle dianoetiche. Le virtù dianoetiche riguardano la parte razionale dell’anima e sono collegate al pensiero e alla conoscenza. Le principali virtù dianoetiche sono: 1. Sapiaenza, che unisce la scienza teoretica e la comprensione dei principi più alti dell’essere 2. Intelletto, la capacità di cogliere i primi principi delle cose 3. Scienza, che riguarda la conoscenza certa e dimostrativa delle verità universali 4. Saggezza, legata alla deliberazione pratica e alla capacità di prendere decisioni giuste nelle azioni umane 5. Arte, che si riferisce alla capacità tecnica o pratica di produrre qualcosa secondo un progetto razionale Aristotele ritiene che queste virtù siano essenziali per il buon funzionamento della ragione e che siano sviluppate tramite l’educazione e l’esperienza. Oltre a queste virtù, Aristotele sottolinea che le virtù dianoetiche non di sviluppano naturalmente come quelle etiche, ma richiedono un lungo processo di apprendimento e affinamento della ragione.